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Speciale Berlinale 2013

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Numero speciale di Taxi Drivers dedicato alla Berlinale 2013. In copertina Wong Kar Wai e Anne Hathaway, all'interno del magazine tutti i film in concorso e gli Orsi vinti. Ma l'Italia c'era? E l'ultima pellicola interpretata da River Phoenix come è stata accolta? Per saperlo e per scoprire tutte le sorprese del festival cinematografico in assoluto più seguito dal pubblico, basta sfogliare...

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DIRETTOREVincenzo Patanè Garsia VICE DIRETTRICEGiorgiana Sabatini CAPOREDATTRICE MAGAZINELucilla Colonna CONCEPT DESIGNERGianna Caratelli UFFICIO STAMPAValentina CalabreseINVIATE a BERLINOMaria Cera e Francesca Vantaggiato CONTRIBUTI diValentina Calabrese,Lucilla Colonna eGiovanna FerrignoEXECUTIVE EDITORGiulia Eleonora Zeno WEB MASTERDaniele Imperiali

CONTATTI

e mail: [email protected]: Taxidrivers Mag IIArretrati Magazine:http://issuu.com/taxidrivers_magazine

TAXI DRIVERS MAGAZINE SPECIALE BERLINALE

In diretta su:

Fusoradio.netogni sabato alle 22:00

la FEBBRE del SABATO SERA

TAXI DRIVERS è dedicata a Delian Hristev (R.I.P.)

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INDICE

EDITORIALE

SCELTI DA TAXI DRIVERS

l’ITALIA alla BRERLINALE

i PREMI

in CONCORSO

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In copertina spetta un posto di rilievo al presi-dente di giuria Wong Kar Wai che, dopo tanti annidi lavoro, ha finalmente presentato il suo attesis-simo The grandmaster, aprendo la 63ma Berlinaleall'insegna della spettacolarità e dell'autorialità.

Sul red carpet di quest'edizione particolar-mente ricca di ruoli femminili, accanto ad AnneHathaway (anche lei in copertina, per essere ve-nuta a Berlino a presentare Les misérables), sonostate applaudite Catherine Deneuve, Anita Ek-berg, Juliette Binoche, Rooney Mara e infine Pau-lina Garcìa, vincitrice dell'Orso d'Argento comeprotagonista di un lungometraggio cileno pro-dotto da Pablo Larraìn.

Dagli Stati Uniti (nazione presente con il mag-gior numero di film), è arrivato il vincitore del-l'Orso d'Argento alla Regia Prince avalanche, cheera l'unica commedia in competizione. Dall'Iran,è giunta l'opera di Jafar Panahi, condannato alcarcere e ad altre restrizioni per aver denunciato,con il suo lavoro, la difficile condizione femminile.Dall'Europa orientale, invece, provengono l'Orsod'Oro Child's pose e il film An Episode in the Lifeof an Iron Picker, che è stato il solo a portarsi acasa una coppia di Orsi (Miglior Attore e GranPremio della Giuria).

E l'Italia c'era? L'ultima pellicola interpretata daRiver Phoenix come è stata accolta? Per saperloe per scoprire tutte le altre sorprese del festivalcinematografico in assoluto più seguito dal pub-blico, basta sfogliare Taxi Drivers Magazine...

Lucilla Colonna

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THE GRANDMASTERWong Kar Wai 2012 : Hong Kong, Cina : Biografico : 120’

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Un connubio dientertainment e poesia

di Francesca Vantaggiato

È spettato al film The Grandmaster firmatoda Wong Kar Wai il compito di introdurcinella 63esima edizione del Festival Interna-zionale di Berlino. Presidente della giuriadella kermesse tedesca, Wong Kar Wai haavuto l’onere e l’onore di aprire il sipario conla sua ultima fatica presentata nella sezioneFuori Concorso del festival. Di una vera faticasi è trattato se consideriamo i sei anni di pia-nificazione del film e i successivi tre di realiz-zazione, periodo in cui attori e regista hannodovuto confrontarsi con l’arte del kung fu.

La storia ha inizio negli anni ’30 del secolopassato, quando il protagonista della storia,il Maestro di Wing Chun Ip Man (Tony Leung)di Foshan, vince l’imbattibile Maestro delNord Gang Boation (Wang Qingxiang) con-quistando la nomina di successore e otte-nendo l’incarico di unificare gli stili dicombattimento tra Nord e Sud. La sconfittadel padre è per Gong Er (Ziyi Zhang) –l’unica a conoscere lo stile letale delle 64Mani – tanto inaccettabile da sfidare e bat-tere il Maestro Ip Man. Mentre tra i due nasceun’intesa che va al di là della volontà di uni-ficare e tramandare gli stili, scoppia la guerracivile e il Giappone invade la Cina, eventiche segneranno definitivamente le esistenzedei due Maestri. Gli accadimenti storici si in-trecciano alle difficoltà personali dei dueMaestri: se Gong Er deve vendicare la mortedel padre, ucciso dal proprio discepolo MaSan (Zhang Jin) Maestro di Xingyi, reo diaver disonorato la loro famiglia vendendosial nuovo governo giapponese, Ip Man deveelaborare il lutto delle due figlie e la lonta-nanza dalla moglie.

Il ritratto di una nazione viene immortalatoattraverso le imprese leggendarie di unadelle figure chiave del mondo delle arti mar-ziali. Nelle parole di Wong Kar Wai: “Biso-gnava dare un quadro storico per

comprendere le difficoltà che Ip Man do-vette affrontare. Tra chi pratica le arti marzialic’è l’importante nozione di passarsi la torcia,nessuno possiede ciò che ha imparato. Rice-vere in eredità la saggezza dei padri significaavere la responsabilità di passarla, è questoil dovere di un Maestro”.

Lealtà, umiltà, onore sono i valori a cui unMaestro deve costantemente ispirarsi e IpMan – diventato famoso perché guida diBruce Lee – è la figura che meglio ha incar-nato questi principi alla base di una filosofiadi vita, non solo dell’arte del combattimento.Dopo aver vissuto sulla propria pelle i tempiduri portati dalla guerra, Ip Man ha apertouna scuola di Wing Chun a Hong Kong, fa-mosa per essere stata frequentata da BruceLee e per aver diffuso in tutto il mondo l’artedel kung fu.

Con una coreografia targata Yuen WooPing (Matrix, La tigre e il Dragone, Kill Bill) ri-presa in slow motion enfatizzando la legge-rezza e l’eleganza dello stile nelcombattimento che conosce solo due posi-zioni, orizzontale e verticale – disonore e glo-ria, e con la fotografia del francese PhilippeLe Sourd, Wong Kar Wai ha concretizzato ilperfetto connubio tra entertainment e poe-sia, ritraendo un uomo prima ancora di im-mortalarne le leggendarie gesta. Il suosguardo malinconico è un affondo nel pri-vato dilaniato da eventi storici di grande por-tata, in un universo – quello delle arti marziali– basato sul rispetto di valori sacri, in unamore sacrificato a una causa più grande.Creature in continuo movimento, alla co-stante ricerca della propria essenza e di unautentico posizionamento nel mondo, i per-sonaggi di Wong Kar Wai sono illuminatidalla bellezza vivida di chi vive nella consa-pevolezza che ogni scelta implica coraggio,dignità e perdita.

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LES MISÉRABLESTom Hooper 2012 : Gran Bretagna : Musical : 158’

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Amanda Seyfriedveste i panni di Cosette

di Valentina Calabrese

Parigi. Sullo sfondo di una città sudicia chetrasuda povertà da ogni angolo, Victor Hugodecise di raccontare, in un arco di tempolungo vent’anni, le vite di alcuni personaggisventurati, miserabili e soli, che tentano di so-pravvivere al loro inesorabile destino. Era il1862, e Les Misérables, ottenne un successofavoloso, tanto da essere trasformato poi,nel 1980, da Boubil e Schönberg in un musi-cal. Rappresentato nei teatri di Londra e diNew York e di tutto il mondo dal 1985, Les Mi-sérables è diventato il musical più popolaredi sempre, insieme a The Phantom of TheOpera.

Oggi, dopo quasi trent’anni di messe inscena in teatro, Les Misérables è pronto peril grande schermo e domani, dopo tanta at-tesa, gli italiani, potranno vederlo al cinema.Chi ha preso in mano questa patata bollenteè Tom Hooper, regista premio Oscar perIl discorso del re. Il prodotto è in parte riu-scito, ma in parte ha deluso di molto leaspettative. Un musical così a lungo rappre-sentato da cantanti e attori di tutto il mondo,doveva aggiungere, inventare, qualcosa cheil teatro non ha, invece, da regista ossessio-nato dai primi piani, Hooper è rimastotroppo incollato ai suoi personaggi, trascu-rando tutto il resto, in primis il montaggio.

Protagonista della storia è Jean Valjean(Hugh Jackman), appena uscito di prigione incerca di redenzione. Sotto falso nome, di-venta un fortunato imprenditore e sindaco diuna città della provincia francese. Persegui-tato da uno spietato ispettore, nonché suo exsecondino durante il periodo in prigione, Ja-vert, (Russel Crowe), Valjean è costretto a fug-gire nuovamente, portando con sé la piccolaorfana Cosette (Amanda Seyfried) , che pro-mette di allevare come una figlia, alla madreSantine (Anne Hathaway), in letto di morte.

Questa la storia di un romanzo, e poi di unmusical e poi di un film, che di certo incantaper la sua grandissima forza evocatrice, peri protagonisti del film, in particolare HughJackman e Anne Hathaway, i quali dimo-strano una straordinaria capacità attoriale, in-tensa e vibrante, che aiuta Hooper arisollevare le sorti del suo film. Da un lato,siamo dunque propensi a giudicare positiva-mente questa enorme produzione, complicile scenografie meravigliose, gli autentici co-stumi, le musiche portentose; e ancora, ilbreve ma intenso piano-sequenza in cui laHathaway incanta tutti con l’assolo più com-movente del film, la divertentissima e follesequenza in cui Helena Bonham Carter eSacha Baron Cohen, in un inedito duetto,cantano con irresistibile accento cockney,Master of the House. Ma tutto ciò non basta.La trasposizione cinematografica di un musi-cal che prima ancora era stato un romanzo,deve aggiungere non registrare. Anche l’ul-timo atto di un film che fin dall’inizio ha mo-strato i suoi limiti, non convince,presentandoci Cosette ormai maggiorenne,innamorata di Marius, un giovane studenteche lotta per la costituzione della Repub-blica. Un momento storico che nonostanteappassioni di per sé, non arriva a emozio-nare l’ultimo destinatario: il pubblico.

Insomma, Tom Hooper poteva fare di me-glio, o forse avremmo preferito un registapiù visionario, chi lo sa? Di sicuro c’è cheaveva tra le mani una storia affascinante, po-tente e avvincente, grazie alle parole di unintellettuale immortale nella nostra memoria,ma nonostante questo Les Misérables nonsarà ricordato, se non come un’occasionemancata.

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DARK BLOODGeorge Sluizer 2012 : Paesi Bassi : Thriller : 86’�

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George Sluizer 2012 : Paesi Bassi : Thriller : 86’�

In memoria di River Phoenixdi Maria Cera

Presentato fuori competizione, DarkBlood, l’incompiuto-riassemblato film doveil bello e dannato River Phoenix ha impressosulla pellicola la sua ultima interpretazione.Morto per overdose il 31 ottobre del 1993, inpiene riprese, ha gettato nello shock asso-luto troupe e regista (George Sluizer), fa-cendo cadere nell’oblio il girato e l’attoreche conteneva. 15 anni dopo Sluizer, cono-sciuto soprattutto per The wanishing, pelli-cola del 1988, ha deciso di ridare vita aquesta sospensione, montando il girato,dopo averlo digitalizzato, non conoscendolo stato di qualità del materiale fino a quelmomento conservato. Al setaccio, mancavapoco, ma ciò che c’era andava riassemblato,e costruita una storia per legare i frammentimancanti.

Dark Blood va preso per quello che è: unomaggio. Il canovaccio in sè non è affattopoco attraente: un uomo e una donna, Harrye Buffy (Jonathan Pryce e Judy Davis), in crisidi coppia, cercano di ritrovarsi in una se-conda luna di miele a bordo di una Bentley,dentro l’assolato deserto. Fermati da un gua-sto all’auto senza speranza di poter esseresoccorsi, si imbattono nella solitudine ‘ma-lata e dolorosa’ di un giovanissimo uomo(Phoenix), autorelegatosi dopo aver persola moglie a seguito delle radiazioni di un testnucleare… In compagnia del suo cane, il gio-vane attende la fine del mondo… Nel soc-correre i due, l’attrazione per Buffy,amplificata da una iniziale accondiscen-denza, e deformata dal desiderio di unadonna e di costruire con lei un mondo mi-gliore, degenererà la situazione, rendendola coppia di fatto prigioniera e in balia delgiovane. Tra incomprensioni, tentativi di fugafalliti, e pseudo climax emotivi e di azione,l’epilogo, inevitabile, porterà ad una reci-proca ‘liberazione’.

Tutto però è imbastito-impastato senza unreale approfondimento. Lo stesso Phoenixpoco credibile in un ruolo a lui non conge-niale. Al di là della triste sorte che nella vitareale gli è toccata, il suo volto è troppo gio-vane/puro e poco empatico psicologica-mente, per caricarlo del fardello di un luttodi una moglie, ancor di più di una ‘follia asce-tica’. Altrimenti scritto: manca una direzionecapace di evidenziare in maniera efficacetale scissione (di fatto cercata da Sluizerquando aveva scelto Phoenix per quelruolo). Il film sicuramente non avrebbe fun-zionato neppure in un normale regime dipreparazione e sviluppo della storia. Resta ilsuo valore di testimonianza, di un ultimoPhoenix cinematografico, immerso in una na-tura desertica e canyosa mozzafiato.

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LA MIGLIORE OFFERTAGiuseppe Tornatore 2012 : Italia : Drammatico : 131’�

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Arte, passione e disonestà per uninterprete d'eccezione: Geoffrey Rush

di Valentina Calabrese

Mentre la tv continua a trasmettere il capo-lavoro di sempre di Giuseppe Tornatore,Nuovo cinema paradiso, il regista sicilianotorna al cinema con La Migliore Offerta. Tor-natore presenta al pubblico un fim, differentedai suoi grandi classici “siciliani” come Ma-lena o il più recente Baaria, nonostante con-servi ancora il barocchismo tipico delle sueopere. Intrecciando vari generi cinematogra-fici, come il thriller, il noir, e il melodramma,Tornatore racconta la storia di un vecchio col-lezionista d’arte Virgil Oldman, battitored’aste, e grande esteta solitario, affidato al-l’interpretazione di Geoffrey Rush, uno deirari attori con il potere di rendere assoluta-mente credibile ogni ruolo. Fin dal primo mi-nuto è chiaro che la vita di Virgil Oldman, ètotalmente dipendente dall’amore per l’arte,una passione talmente dominante da avergliimpedito di crearsi un’esistenza completa e,soprattutto, concreta. Perso nelle sue colle-zioni, Oldman, non ha amici, eccetto Billy(Donald Sutherland), suo compagno di astee Robert (Jim Sturgess), un giovane e bril-lante restauratore di congegni meccanici. Lavita di Oldman è scandita dalle aste, e dalsuo lavoro, finché un giorno, una ragazza dinome Claire (Sylvia Hoeks) lo chiama per af-fidargli l’incarico di valutare e vendere al-l’asta l’arredo della casa dei suoi genitori.Oldman accetta il lavoro, ma fin dal primomomento, tra i due, nascono problemi di co-municazione. Claire non si fa trovare agli ap-puntamenti di lavoro, rendendo Oldman

furioso. In realtà, si scopre subito che, le con-tinue assenze della ragazza sono causate dauna malattia che da anni l’ha colpita: Clairesoffre di agorafobia. Oldman, talmente ap-passionato della bellezza celata, si lascia in-trigare, e tra i due nascerà una passioneinsolita, che li condurrà ad un’altrettanta inso-lita relazione.

Tornatore scrive e dirige una storia perfet-tamente nel suo stile, riuscendo ad accostareil suo eccessivo e retorico manierismo clas-sico, alla caratterizzazione del suo protago-nista: un esteta, e ridondante collezionistad’arte che ha sacrificato la sua vita per l’arte,trovando conforto nella rappresentazione diun amore velato, da scoprire, restauro doporestauro. La Migliore Offerta è un film checentra in pieno l’amore di Tornatore perl’arte e per la bellezza, facendo dell’artigia-nato cinematografico il suo monito e cre-ando un film, che seppur appesantito dal suotocco, non può deludere le aspettative dinessuno. Tra i suoi elementi di maggior suc-cesso, non possiamo non citare la fotografiafredda di Fabio Zamarion, l’ambientazionemitteleuropea perfettamente coerente con ilpersonaggio di Oldman, l’estrema bravuradel premio Oscar Geoffrey Rush, che attra-verso i suoi movimenti, fa capire agli spetta-tori la profondità del personaggio dal primoistante, e, the last but not the least, le favolosemusiche di Ennio Morricone, le quali donanoun’aurea classica e al contempo misteriosaal film.

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SOGUK (COLD)Ugur Yucel 2013 : Turchia : Drammatico : 105’

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L’unico solco èquello già tracciato

di Maria Cera

Ho ben impattato nella sezione Panorama(la più indipendente della Berlinale) con lapellicola d’atmosfera di Ugur Yucel, attivoprevalentemente come attore (diretto ancheda Fatih Akin in Soul Kitchen), esordendo allaregia dal 1990. Soğuk, alias Cold, nasce e sisviluppa sorretto e ‘giustificato’ dal suo la-tente soggetto: il freddo. Un freddo che pa-ralizza corpi ed esistenze, schiacciate in unimmobilismo fisico e mentale.

Kars è una piccola città turca ai confini conla Georgia, il cui isolamento è in primis fisico-geografico. Un luogo dove, apparente-mente, non potrebbe viverci alcun essereumano. Così esposto alle forze della natura,all’inclemenza, al rigore, all’indeterminatezzadi un clima livellatore, a cui ci si può solo sot-tomettere. Incastrati in questo pezzo dimondo, le vite si trascinano cercando di farsistrada, come possono. Balabey (un ipnoticoCenk Medet Alibeyoğlu ) è un guardianodelle rotaie: controlla, facendosi varco tra laneve con i suoi passi, che il percorso deltreno non abbia ostacoli. È lui che decide seun treno può o no passare. Solitario, chiusoin uno stato mentale conseguenza di una de-pressione, Balabey vive in un mondo tuttosuo. Amico e confidente di un tacchino checustodisce e cura con attenzione, è prossimoa diventare padre per la terza volta. Non hamai conosciuto altra donna all’infuori di suamoglie. Balabey ben manifesta, simbolica-mente, un passaggio esistenziale di tappedovute, ma neutre, subite. Improvviso e ina-spettato, arriva l’amore. Del corpo e dellasostanza di Irina, giovane prostituta russa, lacui bellezza e innocenza toccano Balabey inuna maniera nuova e sconosciuta. La gio-

vane donna, in procinto di tornare in Russia,accoglie l’amore puro di Balabey senzacomprenderne il reale spessore, o meglio,nel disincanto dell’impossibilità di cambiarpercorso ad un destino già tracciato. Bala-bey è il solo abitante di Kars a sperimentareun risveglio, l’energia di una possibilità, diuna via d’uscita anche solo ideale, ma di cuiavverte la presenza. E che gli altri non pos-sono afferrare, schiacciati da bisogni e sogniche hanno imparato ad accogliere perquello che sono, nella loro astratta impossi-bilità di esistere. Così è per suo fratello e suamoglie, beffati dal matrimonio che ad en-trambi non ha portato un desiderio e unamore cullato nelle diverse aspettative nu-trite, così sarà per Irina e le sue due sorelleprostitute, vinte da una realtà da sempre piùforte di qualunque illusoria rinascita. Ilfreddo ‘rimetterà’ ‘ tutto a posto’, conce-dendo a Balabey la vendetta verso chi hastroncato il suo sentire per la prima ed unicavolta nella vita.

Yucel ‘deborda’ dallo schermo parecchievolte con il suo treno, demiurgo possente diferro che taglia e decide della vita e dellamorte, unica via di fuga da un inferno dighiaccio e neve per i suoi abitanti, destinatisempre ad essere portati indietro, a restaresottomessi, cercando la propria felicità negliinterstizi di un buio-impotenza che li con-tiene. Sentiamo, palpiamo tutta la forza delfreddo, la sua implacabilità, nelle immensepanoramiche, estensioni visive a cui veniamosottoposti, nel contrapposto ed onirico ca-lore fotografico che la dimensione chiusa deiluoghi dove si deposita il sogno tenta , in-vano, di afferrare.

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BEFORE MIDNIGHTDavid Gordon Green 2013 : USA, GRECIA : 108’�

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Linklater ritorna a far parlare Jesse e Céline,ora protagonisti di un amore maturo e in crisi

di Francesca Vantaggiato

Si erano incontrati nel 1995 su un treno di-retto a Vienna pieni di incanto e con tantastrada ancora da percorrere per poi lasciarsicon la promessa, dopo una giornata tra-scorsa in giro per la città, di rivedersi sei mesidopo sugli stessi binari. Era l'epoca di BeforeSunrise. Si erano poi rivisti nove anni dopo,più maturi, a Parigi durante la presentazionedel libro di lui su quella notte. È il 2004, annodi Before Sunset. A distanza di nove anni ar-riva a Berlino il terzo capitolo della trilogia in-centrata sull'incontro tra la francese Céline(Julie Delpy) e l'americano Jesse (EthanHawke) firmato dal brillante Richard Linklaterche si aggiudica quest'anno la Berlinale Ca-mera, un premio assegnato dal Festival diBerlino a quelle personalità o istituzioni vi-cine all'evento verso cui il festival vuoleesprimere la sua gratitudine. Linklater avevacalcato le scene della Berlinale già nel 1995aggiudicandosi l'Orso d'Argento con ilprimo capitolo della storia di Jesse e Céline,facendovi ritorno per il sequel parigino nel2004, e successivamente nel 2007 per la com-media intitolata Fast Food Nation.

Dal fortunato incontro tra Linklater, Hawkee Delpy sono nati tre episodi sull'amorevisto da diverse angolazioni, età della vita edella relazione. Poco più che ventenni, Jessee Céline avevano sperimentato la magia diun incontro unico e straordinario con losguardo incantato di due ragazzi in pienascoperta di se stessi e dei rapporti. Più navi-gati e con una rinforzata consapevolezza delproprio essere nel mondo e nella coppia, idue protagonisti hanno fatto passare noveanni prima di riuscire a dare un seguito inten-zionale a quell'incontro fortuito. Sempre al-l'insegna della stessa squisitezza verbale, ilterzo momento della trilogia mostra duequarantenni sull'orlo di una crisi di nervi e dicoppia in vacanza in Grecia con prole al se-guito. I loro corpi portano senza maschere i

segni del tempo, le loro menti sono affati-cate dal pensiero di figli lontani, di ex mogliarpie, di occasioni mancate e dalla perce-zione di aver fatto troppe rinunce. Persiste lostile fatto di lunghe inquadrature di vivaciconversazioni sull'amore, mai sdolcinate osmielate, sui sacrifici richiesti per mantenerein piedi un rapporto, sulle complicazioni diuna famiglia allargata. Anche la terza tappadel rapporto tra i nostri beniamini – tantocomplicata da tenerci agganciati a ogni pa-rola pronunciata, a ogni minima evoluzioneprovocata da un punto di vista diverso con-diviso – si regge sulla perfetta sintonia tra idue interpreti, sulla cui disinvoltura e convin-zione poggia l'intero film. In Before MidnightLinklater si concede un momento dove i pro-tagonisti non sono da soli a discutere appas-sionatamente dell'esistenza in tutte le sueforme introducendo un incontro conviviale acui partecipano generazioni diverse che siconfrontano sulla questione amorosa, sulleinterazioni tra sesso e tecnologia, sulla fuga-cità o l'eternità del sentimento, sulla nascitadi un amore e sull'impegno richiesto per af-frontarlo nella vita quotidiana.È proprio ilquotidiano con le sue sfide, le complicazionie la routine a definirsi come elemento dram-matico e critico nel confronto ora pungenteora divertente tra marito e moglie. Il ritmodei dialoghi è sempre incalzante e mai reto-rico, forse inciampa in momenti di estremaverbosità anche quando i due tentano di ri-solvere le incomprensioni ritrovando l'inti-mità trascurata. Il tutto, però, scorre fluidocome sempre su uno sfondo tragico e ro-mantico al tempo stesso che osserva silen-zioso il destino dei due innamorati. Questoepisodio, maturo come l'amore di cui parla,è il più emotivamente destabilizzante maanche il più autentico, quello in cui il senti-mento reagisce combattendo dinanzi alleimperfezioni ingombranti e insidiose.

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THE CROODSDe Micco 2013 : USA : Animazione : 90’

C’è chi vive credendo che sia saggio nonsmettere mai di avere paura e chi, invece,vive inseguendo con ardore quel misterioso‘domani’, chi è convinto che il cambiamentosia nocivo e chi è un tumulto di idee e sco-perte, chi sopravvive e chi vive. Il nuovo gio-iello della DreamWorks Animation ci riportaindietro di qualche era storica (nelle paroledi uno dei suoi creatori, Kirk DeMicco, a ca-vallo tra la ‘Jurassic Age’ e la ‘Katzenzoic Era’,almeno secondo gli archeologi della Dream-Works!) per raccontarci le avventure di unafamiglia di neandertaliani alle prese con lalotta quotidiana per la sopravvivenza, la ca-tastrofe imminente che sta per scuotere laTerra e l’incontro con un esemplare di homosapiens dalle idee piuttosto rivoluzionarieche metterà in crisi lo status quo dei Crood.

Come in tutte le famiglie patriarcali che sirispettino, è Grug (Nicholas Cage) a preoc-cuparsi che qualche belva feroce non divorii suoi cari o a vegliare su di loro al calaredelle tenebre. La moglie Ugga (CatherineKeener) accetta e condivide l’atteggiamento

iper protettivo del marito, così come fa iltutt’altro che temerario Thunk (Clark Duke), lapiccola e famelica Sandy e la suocera Gran(Cloris Leachman) che non perde occasionedi screditare il genero dalla forza bruta. Di-verso è invece per Eep (Emma Stone), laquale ogni giorno all’imbrunire si sentemessa in gabbia nella cava tanto elogiata dalpadre che, con cura, barrica tutta la famigliacon le buone intenzioni di proteggerla dalleminacce esterne. L’avventura inizia quandoEep, ignorando i precetti del padre, abban-dona la caverna incuriosita dal mondo proi-bito. È in questo momento che incontra e siinnamora di Guy (Ryan Reynolds), un vispoe brillante esemplare di homo sapiens che adifferenza di Eep e dei suoi non usa la forza– per sopravvivere – bensì l’intelligenza – pervivere. Guy, in viaggio alla conquista del do-mani, guiderà i Crood alla scoperta di nuovimondi e nuovi modi di pensare, scontran-dosi con le reticenze di un padre e capofa-miglia geloso e cocciuto ma, infine,illuminato dal grande amore per i suoi cari.

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Vivere o sopravvivere:la preistoria del coraggio

di Francesca Vantaggiato

Non ci sono dubbi, la DreamWorks conKirk DeMicco e Chris Sanders nella cabina dicomando ha fatto centro. A partire dalla gra-fica attenta al dettaglio, la varietà dei coloriacidi e vividi che caratterizzando le fanta-siose creature ibride e i paesaggi probabil-mente poco realistici ma sicuramentesbalorditivi che valgono la costruzione dellospazio in 3D (The Croods è un esempio diutilizzo necessario e ponderato della terzadimensione), il ritmo incalzante, vertiginosoe da perdere il fiato dell’azione, la defini-zione sia fisica che caratteriale dei perso-naggi, l’umorismo secco e a volteinaspettatamente ‘politically incorrect’ che licontraddistingue e i messaggi veicolati a cuinon mancano picchi di puro sentimento ca-paci di strappare una lacrima anche agli spi-riti più duri, The Croods è un viaggioavventuroso e psichedelico verso l’evolu-zione – di sé e della specie. Il mito della ca-verna di Platone docet, bisogna assumere ilrischio di guardare alla realtà nelle sue forme– pericolose o meravigliose che siano – per

dare una direzione all’esistenza che pre-scinda la sola sussistenza e la conservazionedello stato d’illusione che l’obiettivo sia la tu-tela dal cambiamento. La sua accettazione,facile e necessaria per alcuni, intollerabile edannosa per altri, se non porta sempre consé i semi di una condizione migliore, ha senon altro il merito di aggiungere tasselli pro-gressivi nel cammino di ognuno, tasselli chenel bene o nel male rendono l’essereumano vivo.

The Croods è un racconto d’amore, tra imembri di una sgangherata famiglia e tradue giovani e diversi ragazzi, è un film sui va-lori della famiglia, per cui non esistono limitialla portata del sacrificio, è una storia di scon-tri generazionali dove i figli sono la speranzanel futuro in lotta per scalzare le convinzioniantiquate dei padri senza i quali, però, nonesisterebbero, è un viaggio giocoso versola scoperta (dei proto-telefoni, del fuoco,delle scarpe, delle leve) e la libertà dallepaure, dai limiti, dalla mera conservazione.

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L’Italia alla 63ma edizionedel festival di Berlino

a cura di Lucilla Colonna

Nella capitale tedesca è arrivato Giu-seppe Tornatore con La migliore offerta e ilsuo cast internazionale, ma nessun lungome-traggio italiano partecipa alla competizione,dopo che l'anno scorso Cesare deve moriredi Paolo e Vittorio Taviani ha vinto l'Orsod'Oro. E allora andiamo a cercare il made inItaly nelle altre sezioni: Stefano Sardo e VitoPalmieri, che hanno partecipato rispettiva-mente con un mediometraggio e un corto-metraggio, ci raccontano la loro Berlinale.

Quali sono le vostre impressioni su questofestival?

Stefano Sardo: «Conosco piuttosto benela Berlinale, che frequento con continuità dasette anni. È un grande festival, organizzatomagnificamente, con grande rispetto deglispettatori, pubblico in sala a tutte le proie-zioni e un mercato che è uno degli snodi cru-ciali del circuito. Quest'anno per me è stataun'edizione speciale perché presentavo ilmio film».

Vito Palmieri: «Era la prima volta che par-tecipavo alla Berlinale, dunque per me èstato tutto nuovo e molto emozionante. Hosempre seguito questo grande Festival maparteciparvi è ben diverso. Un'organizza-zione eccellente, persone gentilissime e cor-diali, tanti professionisti con cui confrontarsie scambiarsi pareri».

In che ambito sono state selezionate le vo-stre opere?

Stefano Sardo: «Io ho partecipato al Kuli-narisches Kino (o "Culinary Cinema"), la se-zione speciale della Berlinale dedicata aitemi del cibo. È una sezione speciale non-competitiva fortemente voluta dal direttoreDieter Kosslick, e che esiste ormai da 5 o 6anni. Kosslick crede molto all'importanza diun atteggiamento critico-politico sul temadella produzione del cibo e ha voluto dareun grande segnale creando, insieme a SlowFood Germania, uno spazio specifico peropere dedicate a questi temi dentro la Berli-nale».

Vito Palmieri: «Io ero in concorso a Gene-ration, una sezione della Berlinale che da 36anni ospita lavori in cui i protagonisti sono ibambini e gli adolescenti».

Cosa raccontano le vostre opere?

Stefano Sardo: «Slow Food story raccontai 25 anni di storia di Slow Food, movimentoche ha rivoluzionato la gastronomia su scalamondiale partendo dal piccolo paese delPiemonte, Bra, in cui è nato il suo fondatoreCarlin Petrini. Io sono di Bra e per me raccon-tare questa storia è stato un pò come tornarea casa».

Vito Palmieri: «Matilde è la storia di unabambina di dieci anni, che in classe ha qual-

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che difficoltà a seguire le lezioni perché i suoicompagni fanno troppo rumore e quindi esco-gita un'originale e sorprendente piano per ri-mediare al suo disagio».

Sono state accolte bene alla Berlinale?

Stefano Sardo: «Entrambe le proiezioni uffi-ciali di Slow Food story, così come la terza pro-iezione al market, sono state sold out, congrandi applausi. Molte, poi, le manifestazioni diinteresse di compratori internazionali. Staremo

a vedere cosa succederà nei prossimi mesi».

Vito Palmieri: «Sono state fatte tre proiezioni diMatildee i cinema erano sempre pieni di bambini egenitori che hanno applaudito calorosamente ehanno fatto tantissime domande, anche alla piccolaprotagonista che era presente a Berlino con la suafamiglia. Vedere un pubblico così giovane e attentomi ha riempito di soddisfazione ed è stato anche la-vorativamente interessante avere un riscontro daparte loro».

Stefano Sardo, Carlo Petrini e il direttore della Berlinale Dieter Kosslick

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Wong Kar-Wai ha scelto lo Stabat Mater delcompositore romano Stefano Lentini comecolonna sonora di un'emozionante scenadel suo The grandmaster. Lentini, compositore eclettico e anti-accade-mico con alle spalle un percorso atipico dipolistrumentista non classificabile in un ge-nere, ha collaborato alle musiche dell'ultimolavoro del regista hongkongese (basatosulla vita di Yip Man, maestro d’arti marzialiWing Chun e mentore del grande BruceLee), con un’opera dallo stampo classico maprofondamente moderna. Lo Stabat Mater,testo sacro musicato da Pergolesi, Rossini,Verdi, Poulenc, è qui restituito in una veste ci-nematica e intensa, drammatica e autentica.

Fra i documentari selezionati alla Berlinale,troviamo l'interessante Materia oscura diMassimo D'Anolfi e Martina Parenti, che rac-conta un luogo di guerra in tempo di pace. Lo spazio del film è il Poligono Sperimentaledel Salto di Quirra in Sardegna dove peroltre cinquanta anni i governi di tutto ilmondo hanno testato “armi nuove” e doveil governo italiano ha fatto brillare i vecchi ar-senali militari compromettendo inesorabil-mente il territorio. All’interno di questo

spazio il film compone tre movimenti. Ilprimo mostra una ricerca attraverso gli ar-chivi cinematografici del poligono chehanno visto protagonisti le armi e gli esplo-sivi di tutto il mondo. Il secondo segue l’in-dagine di un geologo che tenta dirintracciare l’inquinamento causato dallesperimentazioni militari. La terza racconta il la-voro di due allevatori e del loro rapportocon la terra, gli animali e con un passato pro-fondamente segnato dall’attività bellica.

LA MUSICA DELL'ITALIANO LENTINI RENDE PIÙ SUGGESTIVA UNA SCENA DELL'ATTESISSIMO FILMHONGKONGHESE CHE HA INAUGURATO IL FESTIVAL

IL VELENO SILENZIOSO DI UNA GUERRA IMMAGINARIA

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i PREMIOrso d’oro: Film Pozit�ia Copilului -Child’s Pose di Ca�lin Peter Netzer

Orso d’Argento: Gran Premio della Giuria Epizoda u životu berac�a željeza -An Episode in the Life of an Iron Picker di Danis Tanovic�

Orso d’Argento: Premio Alfred Bauer per un film che apre nuove prospettive Vic+Flo ont vu un ours -Vic+Flo Saw a Bear di Denis Côté

Orso d’Argento: Regia David Gordon Green per Prince Avalanche

Orso d’Argento: Attrice

Paulina García in Gloria di Sebastián Lelio

Orso d’Argento: Attore Nazif Mujic� in Epizoda u životu berac�a željeza -An Episode in the Life of an Iron Picker di Danis Tanovic�

Orso d’Argento: Migliore sceneggiatura Jafar Panahi per Pardé Closed Curtain di Jafar Panahi e Kamboziya Partovi

Orso d’Argento:Contributo artistico nelle categorie fotografia, montaggio, musica, scenografia, costumi

Aziz Zhambakiyev per la fotografia di Uroki Garmonii -Harmony Lessons di Emir Baigazin

Menzione speciale: Promised Land di Gus Van Sant Layla Fourie di Pia Marais

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La metafisica landa di David GordonGreen apre la mia visione delle pellicole incompetizione di questa Berlinale 63. PrinceAvalanche è un ritorno alle origini dell’eclet-tico regista indie americano, di piccola e si-lenziosa poesia. Folgorato dal trailer e daalcune clip di Either Way, commedia ‘nera’ diHafsteinn Gunnar Sigurðsson, il regista ame-ricano ha deciso di imbastire una storia cheriproduce esattamente il canovaccio dellapropria ispirazione. Traspone in Texas unpezzo di esistenza tragicomica di due esseriumani agli antipodi (ma non troppo). Gettatiin un ‘limbo post atomico’, frutto di un terri-bile e straordinario incendio che ha raso alsuolo 43.000 acri di terra e 16.000 case, Alvin(Paul Rudd) e Lance (Emile Hirsch) ci introdu-cono nella loro alienazione bizzarra e rivela-trice. I due ridanno vita a ‘strade perdute’-fuse in un paesaggio di esistenza bruciata edimenticata – ricomponendole nella forma enella identità, ‘tatuandole’ nella segnaleticae nell’incisione-demarcazione di accessoriun tempo propri, nel tempo della vita dastrada.

Alvin è il boss, e rimarca la sua posizionedi comando in un’importante rivendicazione:la musica che accompagna il loro giallo trat-teggio, lento e ispiratore (per chi guarda).Assoluto e ‘falso’ (apparente) propugnatoredella solitudine, Alvin rimane attaccato allaterra che disegna e all’arso, bucolico, boscoche la contiene, cercando di trovare nel pas-sato che ancora resiste dentro i resti di case,in una natura segnata ma risorta, linfa, se-greta, pace al suo bastare a se stesso. Amada lontano la sua donna, astraendo e for-

nendo uno spessore ad una relazione (forse)temuta in un reale e concreto vivere e con-dividere: “L’amore è un fantasma, tutti neparlano ma nessuno lo ha mai veramentevisto”, scrive alla sua bella.

Lance, più giovane, più goffamente e co-raggiosamente attaccato al mondo, gli sicontrappone come abile spalla (anche neiparadossali duetti-scontri che li coinvolgono,generati il più delle volte da piccoli eventi-assurdità). Lance vuole entrare a tutti i costinella vita, anche se gli affondi-tentativi chegenera sono mediamente disastrosi. Il guruAlvin verrà sconfessato nel suo isolamento:neppure il distacco riesce a dare corpo a unideale di amore e di vita destinato inevitabil-mente a lasciare il segno, a toccare… Lanceha forse una chance di crescita da una lieta(ma non troppo) gravidanza di cui è vit-tima… Prince Avalanche genera un solco sot-tile ma palpabile, nell’apparenteleggerezza-svagatezza indie, marcatamentesovra impressa in una messa in scena domi-nata in primis dalla musica ‘beatifica’ diDavid Wingo (collaboratore frequente diGreen) e degli Explosions In The Sky,‘espansa’ da una fotografia levitante quandoserve, in generale attaccata saldamente a unsospeso immanente al reale. La macchina dapresa segue identico ritmo, adattandosinella fissità agli istanti ‘da cartolina emozio-nale’ che deve rendere (quando serve) e ri-velando, nelle riuscite carrellate didimensione che compie, un’esistenza impos-sibile da raggiungere, inutilmente anelata nelsenso, qualsiasi esso sia, che l’essere umanodisperatamente cerca di cogliere.

La strana linea gialla della vita di Maria Cera

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Orso d’Argento: Regia

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PRINCE AVALANCHEDavid Gordon Green 2013 : USA : 94’�

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In una fredda notte di marzo Barbu battela strada ben al di sopra dei limiti di velocitàe investe un bambino. Il ragazzino muore su-bito dopo l'incidente. Lo aspetta una sen-tenza che lo condannerà dai 3 ai 15 anni diprigione. È tempo per la madre Cornelia diintervenire. Architetto e membro dell'alta so-cietà romena, che riempe la propria libreriadi libri di Herta Muller mai letti e a cui piaceostentare la propria agiatezza, inizia unacampagna per salvare il proprio letargico elanguido figlio. Lei spera che le mazzettepersuaderanno i testimoni a rilasciare false

testimonianze. Spera perfino di placare i ge-nitori del ragazzo morto dando loro un pò dicontanti.

Calin Peter Netzer ritrae una madre consu-mata dall'amore per se stessa mentre lottaper salvare il figlio smarrito e se stessa. Conuno stile quasi documentaristico il film rico-struisce meticolosamente gli eventi di unanotte e dei giorni successivi, penetrando nelmalessere della borghesia romena e inflig-gendo un colpo alla condizione delle Istitu-zioni sociali quali la Polizia e la Giustizia.

CHILD’S POSEPozitia Copilului

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VINCITORE DELL'ORSO D'ORO AL MIGLIOR FILM

Calin Peter Netzer 2012 : Romania : 112’�

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CAMILLE CLAUDEL 1915

Nel freddo inverno del 1915, la scultrice fran-cese Camille Claudel (Juliette Binoche) racco-glie una pietra e la esamina. La donnaimmagina di trasformare una semplice pietra inqualcosa di nuovo. Ma il solo pensiero di fog-giare ancora una volta un'opera d'arte le fagettare via la pietra per non creare mai piùnulla. Ossessionata dall'idea di essere perse-guitata da coloro che la invidiano, soprattuttodal suo maestro e amante Auguste Rodin,viene internata dalla sua famiglia in una clinicapsichiatrica nel sud della Francia dove vivrà finoalla fine dei suoi giorni. Il film è la cronaca dellasua veglia senza fine trascorsa in solitudine eabbandono nella speranza di essere ricono-sciuta come artista e aspettando di ricevere lavisita dell'amato fratello e scrittore Paul Claudel(Jean-Luc Vincent). La corrispondenza tra fra-tello e sorella ha ispirato il regista Bruno Du-mont nella realizzazione del film. Ancora unavolta Dumont ha deciso di lavorare con attorinon professionisti: persone con disturbi mentaliinterpretano il ruolo dei pazienti della clinica e,in parte, di se stessi. La camera si avventura ra-ramente fuori delle mura della clinica in cui unadonna è stata rinchiusa, mentre la sua creativitàsfiorisce. Senza indagare, la camera fissa il mi-stero e la follia che giace in quelle mura.

Bruno Dumont 2012 : France : 97�’

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LAYLA FOURIEPia Marais 2013 : Germania, Sud Africa, Francia, Paesi Bassi : 105’�

Layla è una madre single che vive con il figlioa Johannesburg, tirando avanti con lavori occa-sionali. Dopo aver imparato a maneggiare ilpoligrafo riesce ad assicurarsi un lavoro in unacompagnia specializzata nella costruzione dimacchine della verità e sicurezza. Un giorno,sulla strada per raggiungere il nuovo posto dilavoro, resta coinvolta in un incidente che cam-bierà definitivamente la sua vita. Layla resta in-trappolata in una rete di menzogne e inganni.La verità può portarla alla perdita del figlio.

Per girare il suo terzo film, Pia Marais – che havissuto a Berlino per molti anni – è ritornata inSud Africa, dove è cresciuta, realizzando unthriller classico. Usa il film di genere per guar-dare a un Paese che deve ancora guarire dallecicatrici lasciate dall'apartheid. In questo senso,la vita di tutti i giorni in Sud Africa aumenta letensioni nella storia scritta a quattro mani conHorst Markgraf. Quasi per caso, Layla Fourieprende la piega di un thriller politico che tra-sporta lo spettatore nella paranoia, nella paurae nella sfiducia nei confronti di una società cheè ancora profondamente affetta dai conflitti raz-ziali.

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Gloria (Paulina Garcia) ha 58 anni e ha undivorzio alle spalle. I suoi figli hanno tutti la-sciato casa e lei non ha nessuna voglia di re-stare sola. Determinata a sottrarsi allavecchiaia e alla solitudine, si butta a capofittoin un turbinio di feste per single alla ricercadi una gratificazione facile e momentanea –che puntualmente la pone di fronte all'espe-rienza ripetitiva del vuoto e della delusione.Ma poi incontra Rodolfo, un ex ufficiale ma-rittimo sette anni più grande di lei verso cuiprova un'attrazione e dei sentimenti. Con lui,Gloria inizia anche a immaginare una rela-zione stabile. Comunque, l'incontro presenta

delle sfide inaspettate e Gloria si vede co-stretta a confrontarsi con i suoi segreti piùoscuri.

Il terzo film di Sebastian Lelio ha unosguardo tragicomico sulle speranze fragili ele verità dolorose, è il ritratto di una donnapotente che riesce ad affermare la sua forzae indipendenza a dispetto di un vortice disentimenti in lotta. La storia si svolge sullosfondo degli attuali conflitti politici in Cile, in-cluse le acque torbide degli ultimi quaran-t'anni di storia cilena.

GLORIA

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ORSO D'ARGENTO PER LA MIGLIOR ATTRICE A PAULINA GARCIA

Sebastián Lelio 2012 : Cile, Spagna : 105’�

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Il secondo film in competizione sollevanotevolmente il livello delle mie visioni. Har-mony Lessons è una visione mentale e cine-matografica realmente autoriale. Sorpresa,scoprire nel pressbook del film la giovaneetà di Emir Baigazin, la sola classe 1984 mi stu-pisce per la maturità sia narrativa che visivanel tratteggio di una evoluzione interiore rac-contata e filmata dentro un percorso in cui,oggetti, esseri viventi, luoghi e corpo assu-mono una funzione simbolica esponenziale.

Una natura meravigliosamente sola, ebloccata nella propria affascinante crudeltàdal ghiaccio e bianco strato di un rigido in-verno, contiene un piccolo villaggio Kazakhodove vive il 13enne Aslan, con sua nonna.Aslan è uno strano essere: quasi autistisco,chiuso in un isolamento inconsciamente pre-servante, dentro un ambiente in cui, sia in na-tura che tra gli esseri umani, vige la leggedella sopravvivenza. L’uccisione-sacrificio diuna pecora che il giovane compie, assistitodalla nonna, condensa tutto il senso del filme del suo titolo: il primo istinto di orrore checi prende nel comprendere che si sta consu-mando un sacrificio è ’sedato’ dalla delica-tezza e minuzia con cui tutto ciò vienecompiuto. Quasi necessario, anzi: necessario.

L’armonia del vivere è necessità e lottaper la sopravvivenza. Non si esce dal cerchioin cui siamo chiusi. Emir Baigazin ce lo mostrain una simbologia realmente riuscita. Lostrano liquido che Aslan ingurgita nel corsodi una visita medica gli comporterà una mar-cata fobia nei confronti dei virus, una lottaprivata e silenziosa contro gli scarafaggi,

un’anormale esigenza di pulizia corporale, eun vomito automatico ogni qualvolta il suosguardo incrocia la forma divenuta sostanza,il bicchiere-contenitore, la sensazione pertur-batrice. Il bullismo del microcosmo scola-stico è un altro simbolo. Praticato a più strati:dal basso, tra gli alunni, il coetaneo Bolan in-fligge ordini e punizioni, raccogliendo de-naro e dazi alimentari in una catena dellasopravvivenza, che lega i giovani agli adulti,perchè: ”Non si può sfuggire alla prigione…il destino di molti…”.

La passività di Aslam comincia ad evol-versi dopo il suo strano incidente liquido…Parallelamente ai minuziosi espedienti esco-gitati per eliminare gli scarafaggi, il destinodella scuola si intreccia a lui, fino a farne con-sapevole giustiziere, fino a perdersi e farciperdere negli stati di sogno-livello che la pe-netrazione del reale in lui generano: la bellacompagna di classe attaccata al proprio cha-dor che si rifiuta di togliere per preservare lasua purezza d’animo; l’Happylon-mondo deibalocchi-paradiso ideale agognato con lacard sempre in tasca dall’unico amico concui Aslan ha un minimo di interazione, luogodominato solo da bellezza, bontà e giustizia;la minuscola sedia elettrica di tortura dei te-muti scarafaggi, che lo contiene dentro letorture della polizia destinate a farlo cederee a confessare il delitto di Bolan di cui vieneaccusato… Fino alla scena di chiusura, ’para-disiaca’ nel livello di ascesa a cui ci porta…ascesa visiva e sensitiva…Siamo anche noida un’altra parte, beati e pacificati, e là sipuò camminare sull’acqua, come la pecorasacrificata.

Vivere è sopravviveredi Maria Cera

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Orso d’Argento per la fotografia di Aziz Zhambakiyev

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HARMONY LESSONSUROKI GARMONII

Emir Baigazin 2013 : Germania, Kazakistan Drammatico : 115’

Pellicola che asciuga il superfluo (anche lamusica di cui non ha affatto bisogno) nel parti-colare che racconta il generale, in cui prevaleuna successione di piani compiuti, dove la na-tura viene in aiuto a dare respiro, a farci pren-dere fiato, quando serve. Altra sorpresa èleggere che i giovani interpreti della pellicola

sono tutti attori non professionisti, semplici stu-denti. Il progetto del film ha partecipato agliOpen Doors di Locarno del 2011 ed è statoprimo progetto kazakho vincitore all’EurasiaFilm Festival 2011. Ha ricevuto supporto finanziariodalla Berlinale Cinema Fund, in una coproduzioneKazakho-Tedesca-Francese.

Orso d’Argento per la fotografia di Aziz Zhambakiyev

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Sono entrambe persone ricercate: l'uomocon il cane che non può avere perché leleggi islamiche credono che sia contami-nato, e la giovane donna che prende partea una festa sulla costa del Mar Caspio. Si bar-ricano in una desolata villa con le tende allefinestre guardandosi con sospetto. Perché luiha rasato i capelli? E lei come fa a sapere chelui è ricercato dalla polizia? Sono entrambiprigionieri in una casa nel bel mezzo di unambiente ostile. Le voci della polizia si sen-tono a distanza, come anche il suono calmodel mare. Guardano al cielo stellato per una

volta, prima di ritirarsi ciascuno dietro i proprimuri protettivi.

Abbiamo dinanzi ai nostri occhi due fuori-legge, in tutti i sensi della parola? O, piutto-sto, sono semplicemente dei fantasmi,prodotti della fantasia del regista Jafar Pa-nahi a cui è stato negato il diritto di lavorare?Il regista entra nella scena e si ritira dietro letende. La realtà viene ripristinata ma la fin-zione continua ad avanzare. Una situazioneassurda: due personaggi di un film in cercadel loro autore-regista che, allo stessotempo, osservano.

CLOSED CURTAIN

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Pardé

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ORSO D'ARGENTO PER LA MIGLIOR SCENEGGIATURA

Jafar Panahi, Kamboziya Partovi 2013 : Iran : 106’

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“Promised Land: il nuovo film di Gus VanSant”. Di questi tempi tutto si riduce, come untitolo di un giornale, a una sintesi fredda esenza Anima che ci distacca dal nostromondo interiore in quanto Essere umani. Inun periodo storico in cui ad imperare è unaforte crisi economica e di identità sociale edindividuale, dimissioni di papi e rappresen-tanti dello Stato e mancanza di punti di riferi-mento validi, cosa ci salverà? L’arte,naturalmente. Un film non è mai stato e, amaggior ragione, non è e non sarà mai purafinzione, così come un regista o un attore unmestiere come un altro o uno sceneggiatoreun qualsiasi “generatore” di parole, perquanto poetiche esse possano rivelarsi.

Il nostro Eduardo De Filippo tentava di dir-celo già diversi anni fa con la sua opera/ma-nifesto L’arte della commedia, in cuidenunciava e rappresentava la figura dell’ar-tista come elemento indispensabile per lasensibilizzazione umana e sociale, in lottacontro la manipolazione da parte della bor-ghesia del modo di vedere, concepire eusare la recitazione, il teatro, al fine di di-strarre lo spettatore dall’importanza e dal-l’utilità di tale arti e rendere superflua lavalenza di un lavoro che deve considerarsiproduttivo e fondamentale all’interno dellasocietà tanto quanto quello di un farmacistao di un falegname. La responsabilità degliaddetti ai lavori nel campo cinematograficoè oramai divenuta palese, ma non sarà que-sto impegno da autore a spettatore ad im-pedirci di sognare. Anzi. Quando laconsapevolezza e l’interesse aumenta, au-menta automaticamente il divertimento e lacapacità di immedesimarsi ed emozionarsi,

sgombrare la mente e lasciarsi andare. Tuttociò, dovrebbe essere implicito per permet-tere la visione di qualsiasi film, in particolarmodo la visione di un Gus Van Sant. Il suo oc-chio discreto, ma perspicace, si posa su unasceneggiatura scritta da Matt Damon e JohnKrasinski che richiamava la stessa freschezzadi uno script precedente, realizzato dallostesso attore in questione che, in coppia conBen Affleck e diretto da Van Sant, firmò nel1997 Good Will Hunting. Un lavoro di squa-dra, dunque, che a conti fatti è risultato crea-tivo e vincente. Grazie all’ambientazioneparticolarmente realistica, studiata attraversola scelta precisa di location, fotografia (la pel-licola a 35 mm è stata sottosviluppata inmodo da diminuire la grana e mantenere in-tatto quel senso di luce non artificiale) e co-stumi vintage, non si stenta a credereneanche per un attimo di essere in una clas-sica cittadina rurale americana (le riprese,quasi tutte in esterni, sono state effettuate inPennsylvania), dove quasi sembra che iltempo si sia fermato. Gli abitanti vivono perlo più di agricoltura e pastorizia, fanno cre-scere i propri figli immersi nel verde delle ri-gogliose colline e nell’azzurro dei ruscelli…ma il loro inserimento nell’economia delPaese inizia a farsi difficile anche per la genteche ha sempre vissuto in modo semplice.L’arrivo “dalla città” di Steve Butler (MattDamon), rappresentante in carriera dellamultinazionale di risorse energetiche Global,accompagnato dalla collega Sue Thoman-son (una brillante Frances McDormand),sembra essere provvidenziale: i due agentidi vendita, infatti, tenteranno di acquisire i di-ritti di estrarre gas naturale mediante trivella-

L'arte ci salveràdi Giovanna Ferrigno

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PROMISED LANDGus Van Sant 2012 : USA Drammatico : 106’

zione di pozzi dalle proprietà della popola-zione locale. Inizialmente attratti da questa allet-tante offerta, nella quale vengono promesseingenti somme di denaro, la comunità sembraessere entusiasta. Non dopo l’intervento del-l’ambientalista Dustin Noble (John Krasinski),però, e soprattutto del rispettato insegnante discienze Frank Yates (interpretato magistral-mente dal veterano Hal Holbrook) che difendea spada tratta l’interesse dei suoi concittadini,l’appartenenza alla propria terra e i saldi principiche stabiliscono uno stretto legame con essa.Un dibattito acceso, ognuno col proprio puntodi vista, seguirà per il resto del film, senza creareschieramenti pro e contro, ma una questione vi-tale dove è la sfumatura a essere presa in con-siderazione, sia nel corso degli eventi che nelfinale.

La caratterizzazione di tutti i personaggi, chesulla carta potrebbero apparire banali, è stataraffinata molto attentamente, regalando adognuno una personalità forte, una storia e deisentimenti sinceri che non si condiscono di unlinguaggio forzatamente forbito, ma diretto econ una buona dose di umorismo (che ci sug-gerisce un’altrettanta buona dose di diverti-mento creativo nella fase di stesura dellasceneggiatura). Il cast di attori sembra trovarsicompletamente a proprio agio nella corniceautentica dove si svolgono i fatti, i dialoghiscorrono fluidi e, a tratti, improvvisati, a dimo-strare quanta bravura e tecnica ci sia alla basedi una perfetta recitazione e da un modo di di-rigere acuto, ma non stressante. Da menzio-nare, inoltre, una particolare tecnica usata daVan Sant (ispirata a quella di Terrence Malick)

ovvero “i ciak muti”: le scene sono state giratecon gli attori senza i dialoghi, lasciando dare lebattute agli interpreti soltanto con gli sguardi ela trasmissione dei pensieri e dell’emotività.Tale tecnica impreziosisce il livello di ascoltodegli attori e, in seguito, determina un’ampiascelta in fase di montaggio, in cui si avrà la pos-sibilità di alternare sequenze girate con ciakmuti con quelle di normali ciak parlati. Lo scor-rere di immagini paesaggistiche, dei ritrattidelle fattorie, con quel calore e bellezza incon-taminati, donano al film un’energia di calma edolcezza che ritroviamo nelle note della co-lonna sonora, composta dal Burtoniano DannyElfman.

Se si osserva con fare poco approfondito,potrebbe non riconoscersi il tratto di Van Sant,ma osservando con quella consapevolezza einteresse citata poco fa…quel tratto diverrà tra-sparente e inconfondibile. Molti attribuisconoall’autore statunitense la targhetta di “trasgres-sivo” o “controverso”, quando invece ci hasempre fornito un punto di vista imparziale, ab-dicando (forse anche troppo, a volte) il com-pito allo spettatore di elaborare un pensiero,esprimere un’opinione, manifestare disgusto oempatia. Libero arbitrio. Un rivoluzionario si-lenzioso, che parla attraverso i suoi perso-naggi che a loro volta rivivono nei corpi deipiù straordinari attori. Come diede voce aSean Penn in Milk, dopo un semplice “Mo-tore…Azione!”: ”Per noi non si tratta di obiet-tivi personali o di vittorie, stiamo cercando dicambiare la nostra vita”. E c’è chi ancora cicrede davvero. Per fortuna.

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L’ultima pellicola del coreano Hong San-gsoo spiazza per l’impronta che il regista de-cide di adottare. Gli inserti no-sense (uno deimarchi del suo cinema, insieme all’uso -vo-luto- ‘da principante’ dello zoom), in Nobo-dy’s daugther Haewon, in concorso allaBerlinale, si ridimensionano (rispetto alle suepellicole da me finora viste), così come l’im-pianto autobiografico, altro marchio regi-stico-ossessivo di Sangsoo.

C’è sempre il cinema nelle sue storie, neipersonaggi di attore, regista, che popolanole piccole e bizzarre vicende su cui decidedi soffermarsi, come c’è sempre la vita, lesue difficoltà specie relazionali, l’incomunica-bilità – il fraintendimento costante, il volerecontrapposto ad un essere sempre proble-matico. L’ironia, chiave di volta per narrare lecose più serie ed importanti, esorcizzandole,enfatizzando un assurdo-esilarante talmenteparadossale per situazioni, dialoghi, da con-tenere un bel pezzo di verità. Tutto ciò è piùammorbidito, in questa pellicola. Sangsoopare voler prendersi maggiormente sulserio non solo nella forma, ma anche nellasostanza di ciò che racconta. Al centro, comeuna bandiera che trattiene il vento e lo rendevisibile a chi gli sta intorno, Haewon, ‘la figliadi nessuno’, giovane donna e studentessache sente pulsare in sé la vita. L’individuali-smo l’accompagna da sempre: una singola-rità vissuta come distanza dal ‘fuori’, dalmondo che la contiene, che pure assorbe etrattiene, di cui vuole afferrare il senso: vivereveramente, essere realmente felice, appa-gata. Sangsoo decide di cogliere lo statoemotivo di Haewon in un momento partico-lare. L’incontro con la madre che da lì a poco

andrà a vivere in Canada, e il riaffacciarsi diSeongjun, il suo docente di cinema, uomosposato, con cui ha avuto una relazione. Ilrapporto tra loro non è completamenterotto…si cercano a vicenda. Haewon è con-fusa, un po’ persa tra l’anelare ad una pie-nezza che non trova nella scuola, frequentataper inerzia, negli stessi sentimenti, non an-cora afferrati nella completezza e nella formacapaci di appagarla. Nel passaggio dallafine dell’inverno alla primavera, con il caricodi vitalità nuova che la stagione pare portare,questa singolare, giovane donna, vive il pro-prio momento di passaggio, mescolando ilsogno alla realtà nelle interiorizzazioni pro-fonde di cui è capace, realmente vissute escambiate-confuse dal regista dentro unacommistione crescente, difficile da staccare,a pellicola chiusa.

Hong Sangsoo cresce indubbiamente inmaturità aggiungendo una serietà che non hapiù il timore di affrontare. Non mancano gli in-soliti e bizzarri personaggi, tra i quali il più riu-scito è certamente l’insegnante coreanoossessivo-ma non-troppo, andato a vivere ea lavorare negli States, che non vuole mai piùdivorziare, in cerca a tutti i costi e il prima pos-sibile di una donna con una forte individualitàma capace di trattenere pienamente in sè lavita. Non manca una musicalità che reinventain una struggenza no sense la forza e la me-lanconia di uno storico pezzo di classica, as-surgendolo a colonna sonora dello sbatteree svolazzare di una bandiera: “La bandierachiamata Haewon, la figlia di nessuno”. Ps.L’inserto onirico che vede coinvolta Jane Bir-kin è l’unica forzatura a stonare.

Hong Sangsoo e il battito della vitadi Maria Cera

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NOBODY'S DAUGTHER HAEWONHong Sangsoo 2013 : Corea del Sud : Drammatico : 90’

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Una famiglia rom vive lontano dai centriurbani della Bosnia-Erzegovina. Il padre di fa-miglia Nazif (Nazif Mujic, sbarca il lunario re-cuperando e vedendo pezzi d'auto. Lamadre Senada (Senada Alimanovic) si oc-cupa delle faccende domestiche e delle duepiccole figlie. Un giorno, un dolore taglienteall'addome la fa accasciare al suolo. In ospe-dale le comunicano l'esistenza di gravi pro-blemi con il bambino che porta in grembo:la diagnosi lo dà per morto. Il rischio per leiè la setticemia, per cui Senada deve essereoperata immediatamente. Ma la donna nonha l'assicurazione sanitaria e poiché l'inter-

vento ha un costo che la sua famiglia nonpuò permettersi, l'ospedale rifiuta di ope-rarla. È una corsa contro il tempo in cui Se-nada perde le speranze. Danis Tanovicintreccia questi drammatici eventi, le diffi-coltà economiche dei suoi protagonisti e lapaura della morte in un racconto raggelante.La messa in scena di un momento realmenteaccaduto nelle vite degli attori non profes-sionisti contribuisce a restituire al film un fortesenso di autenticità e realismo sociale. Allostesso tempo il film dimostra lo straordinariocoraggio di una famiglia rom e la precisa in-tenzione di sopravvivere.

AN EPISODE IN THE LIFEOF AN IRON PICKEREpizoda u Zivotu Beraca Zeljeza

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ORSO D'ARGENTO GRAN PREMIO DELLA GIURIA eORSO D'ARGENTO PER IL MIGLIOR ATTORE A NAZIF MUJIC

Danis Tanovic 2013 : Bosnia ed Herzegovina, Francia, Slovenia, : 75’�

Page 40: Speciale Berlinale 2013

LA RELIGIEUSE

Suzanne Simonin descrive la sua vita di sof-ferenze in delle lettere. Viene spedita in un con-vento contro la sua volontà. Poiché i suoigenitori non possono permettersi la dote perun matrimonio adatto al suo rango, decidonoche per lei è meglio diventare suora. Sebbenela comprensiva Madre Superiora la aiuti a com-prendere la routine del convento, il desideriodi libertà di Suzanne non ha tregua. Quando laMadre Reverenda muore Suzanne deve fare iconti con le rappresaglie, le umiliazioni e le mo-lestie della nuova Madre Badessa e delle altresuore. Per molti anni Suzanne è oggetto di in-tolleranza e fanatismo.

Il racconto di Denis Diderot è stato adattatoal grande schermo molte volte. Nel 1966 Jac-ques Rivette ne realizzò una versione per il ci-nema con Anna Karina e Liselotte Pulver che futemerariamente critica nei confronti dellaChiesa e che fu vietata dalla Chiesa franceseper alcuni anni. Guillaume Nicloux comunquesi concentra sul destino di una giovane donnacontro un sistema crudele che schiaccia l'indi-viduo. Il suo film prende gradualmente le di-stanze dalle circostanze di questa storiaparticolare per descrivere un dramma univer-sale.

Guillaume Nicloux 2012 : Francia, Germania, Belgio : 114’

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W IMIE – IN THE NAME OFMalgoska Szumowska 2012 : Polonia : 102’�

Adam è un prete cattolico che ha avuto lavocazione alla relativamente tarda età di 21anni. Vive in un villaggio rurale della Poloniadove lavora con teenagers dai disturbi com-portamentali. Declina le avances di una gio-vane ragazza di nome Ewa, dicendo di esseregià impegnato. Il celibato non è comunquel'unica ragione del rifiuto. Adam sa di deside-rare gli uomini e che la stessa decisione diprendere i voti è una fuga dalla sua sessualità.Quando alla fine incontra Lukasz, lo strano e ta-citurno figlio di una semplice famiglia rurale,l'astinenza che Adam si è autoimposto diventaun peso troppo grande da sostenere.

Il film potente visivamente di Malgoska Szu-mowska, caricato con impressionanti immaginiriprese dalla Passione di Cristo, vuole rompereil tabù dell'omosessualità nel sacerdozio.Messo dinanzi al suo 'proibito' desiderio, il pro-tagonista sperimenta sia momenti di felicità siadi pura disperazione. Un film sulle emozioniconfuse, sulla repressione e la solitudine – esulla possibilità infine di poter ritrovare sestessi.

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Inizia dalla fine il film di Fredrik Bond. Char-lie Countryman (Shia LaBeouf) è stato pe-stato a sangue e ora la sua vita è appesa aun filo. Una donna, non una qualsiasi ma lasua amata, gli punta una pistola contro esembra avere tutte le intenzioni di eliminarlo.La voice over fa la cronaca di una morte an-nunciata, quindi convinti di sapere qualesorte spetta al malcapitato non ci resta checoncentrarci sul lungo flashback, che duratutto il film, per capire le ragioni che hannoportato Charlie a intraprendere un viaggioverso Bucarest. Torniamo indietro nel tempoe nello spazio: siamo a Chicago, in un lettod’ospedale dove la vita di una donna sta perspegnersi. È la madre di Charlie, il cui spiritoaleggia nella mente del figlio per dargliun’ultima raccomandazione, quella di andarea Bucarest. Senza capirne le ragioni e senzaporsi troppe domande, Charlie parte e inaereo incontra un uomo che dopo qualchechiacchiera si accascia e muore sulle suespalle per poi chiedergli – da morto – di por-tare un regalo alla figlia Gabriella (Evan Ra-chel Wood). Inutile dire che si tratta di amorea prima vista, che niente sarà facile a Buca-rest per il povero Charlie, a partire dalleprime scariche di taser in aeroporto per arri-vare, infine, all’ex marito della sua bella, unmalavitoso del posto (interpretato da MadsMikkelsen) di certo non disposto a lasciareandare il suo amore.

Amore e morte sono gli ingredienti che

fanno crescere Charlie in un viaggio all’inse-gna dell’imponderabile e del surreale. Tradroghe e alcol – o semplici medicinali daglieffetti allucinatori – Charlie galleggia in unostato onirico mentre cerca di conquistare unamore difficile, affronta intrighi criminali peri-colosi, incontra ancora una volta la madredubbiosa sulla meta consigliata, forse volevadire Budapest e non Bucarest. È leggero egradevole il mondo creato da Bond dovel’assurdo regna sovrano e si fa credibile e di-vertente. Ci sono dei passaggi in cui il pattoda firmare con Bond per accedere nel suouniverso richiede un grosso investimento difantasia e accettazione dell’inverosimile, malo sforzo di superare le logiche della realtà èun sacrificio che ripaga. Nell’avventura sug-gerita a cuor leggero dal genitore Charlieimpara a lottare per un amore, a soffrire perun amore, a dimostrare la propria determina-zione per un amore. Charlie, scosso dalvuoto della perdita di una persona amata edal caos avventuroso provocato dalla bellaGabi, è il protagonista di un’epopea emo-tiva – ora intima ora esplosiva – dove l’ap-prodo agognato è la vita stessa.

Con una storia sognante dai colori acidi,in equilibrio tra l’incredibile e il reale, con unprotagonista armato di sana ingenuità e ac-cogliente nei confronti dell’amore – fatto digioie e dolori –, Bond ci invita a vivere unafavola nera illuminata dalla speranza chenella perseveranza i sogni si avverano.

Amore e morte in chiavesurreale nel viaggio di Charliedi Francesca Vantaggiato

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THE NECESSARY DEATH OFCHARLIE COUNTRYMAN

Frederik Bond 2013 : USA Surreale : 107’

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Il regista russo Boris Khlebnikov e il co-sce-neggiatore Alexander Rodionov si sonoinoltrati nelle Russia centrale e settentrionalestudiando il sistema agricolo, osservandol’atteggiamento della gente nei confrontidella terra e collezionando storie. È venendoa capo dell’incontro con giovani e anziani la-voratori della terra, investitori, vecchie fami-glie a conduzione agricola e coloro i qualihanno lasciato la città per abbracciare la vitacontadina che nasce la storia di Sasha (inter-pretato da Alexander Yatsenko), protagoni-sta di questo terzo capitolo “sull’inevitabilitàdella scelta” preceduto da Free Floating –Svobodnoe plavanie e Help Gone Mad –Sumasshedshaya pomoshch. Per dare corpoal prototipo di Sasha – stando alle parole diRodionov – regista e sceneggiatore si sonoispirati non all’agricoltore di maggiore suc-cesso (come si evince dal film) ma a quellocon più coraggio, all’uomo dilaniato tra il“sogno di una vita lunga e felice e il sognodi libertà, indipendenza e diritto di scelta”.

Si consuma nelle regioni a Nord della Rus-sia, nel villaggio di Umba, il dramma diSasha, gestore e agricoltore di una fattoriacollettiva, in trattative con una società incari-cata di acquistare i terreni dei contadini localiper conto di un facoltoso acquirente. Il gio-vane imprenditore che ha lasciato la città pervivere in campagna e che progetta con lasua ragazza, impiegata nella società addettaall’esproprio delle terre, un ritorno nella me-tropoli grazie ai soldi incassati con la venditaè intenzionato a portare avanti il suo pro-getto fino a quando i suoi dipendenti non si

dimostrano decisi ad andare fino in fondonella lotta per la difesa della propria terra.

Khlebnikov ci mostra come nella contem-poraneità non ci sia spazio per l’azione col-lettiva, per il perseguimento di valoricomunitari, per il rispetto di un’ideologia so-ciale. Individualismo, egoismo, cinismo trion-fano galoppanti in questo scorcio di realtàdove la natura primeggia florida e abbon-dante, ricordandoci la nostra impotenza di-nanzi alla sua forza rigogliosa. Con un tagliorealistico e minimale che guarda in modo cli-nico alla disintegrazione di un gruppo, diun’idea, della lotta, la camera si addentranella discesa verso la follia di un uomo. Ca-piamo le ragioni dense di idealismo chespingono Sasha a portare avanti una batta-glia tutt’altro che personale in una logica co-munista radicata nelle tradizioni del luogo edestinata al fallimento per mano della naturameschina ed egoista dei suoi ‘compagni’ –e dell’essere umano in generale. Il futuro diuna vita sicura preoccupa tanto Sashaquanto i fattori dell’azienda, ma se il prota-gonista è forse l’ultimo dei sognatori, l’ultimoa credere nella forza dell’unione per il rag-giungimento del risultato comune, ben pre-sto gli uomini che lo circondano gli darannouna lezione indimenticabile, dimostrandol’inconsistenza e l’aleatorietà della condivi-sione di intenti e scelte. La terra, intesacome eredità di valori, tradizioni e prin-cipi, e il futuro, ricco di speranze, proie-zioni e sogni, sono gli estremi di undramma agghiacciante e penetrante cheda collettivo si fa individuale.

La lotta per la terra, la difesa di un sogno utopicodi Francesca Vantaggiato

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A LONG AND HAPPY LIFE Boris Khlebnikov 2013 : Russia : Drammatico : 77’

La lotta per la terra, la difesa di un sogno utopico

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A una fermata desolata di un autobus, ungiovane scout suona la tromba per unadonna che si rifiuta di lasciargli la mancia per-ché stonato. Quest'apertura dall'umorismosecco e amaro stabilisce il tono del film cheracconta la storia di Vic, una donna appenauscita di prigione alla ricerca di pace equiete. Vic si trasferisce a casa di un anzianoe malato parente immersa nella foresta ca-nadese, dove viene raggiunta dalla suaamante più giovane di lei e ancora molto at-traente, Flo. Le due donne vivono alla gior-nata, esplorano la natura e si godono ilpaesaggio. La vita potrebbe essere meravi-gliosa se solo Vic non fosse così strettamente

controllata dal giudice di sorveglianza, moltoattento alle apparenze. Inoltre Vic è preoccu-pata dalle scappatelle al bar che Flo si con-cede sempre più spesso. Intanto apparesulla scena una vicina misteriosa appassio-nata di giardinaggio, un'ombra del passatodi Flo molto pericolosa. I segni di una minac-cia incombente si moltiplicano fino a trasfor-mare la foresta in un luogo pieno di insidie edi trappole. Con la sua collezione di eccen-trici personaggi, la sua bizzarra idea di regiae la generale atmosfera di mistero, il criticoe regista Denis Coté ci rivela un mondo dallarealtà imprevedibile.

VIC + FLO SAW A BEAR VIC + FLO ONT VU UN OURS

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ORSO D'ARGENTOPREMIO ALFRED BAUER PER UN FILM CHE APRE NUOVE PROSPETTIVE

Denis Côté 2013 : Canada : 96’�

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Dopo aver presentato i primi capitoli dellatrilogia a Cannes (Paradies: Liebe – Paradise:Love) e a Venezia (Paradies: Glaube – Para-dise: Faith), Ulrich Seidl approda alla fine delprogetto d’indagine sull’amore. Dall’amorecarnale a quello spirituale a quello deside-rato, le eroine del regista austriaco speri-mentano i limiti e le amarezze delle proprieossessioni, puntualmente tradite o negate.

Mentre sua madre, Teresa, è in Kenya adassaporare l’esperienza amara della SugarMama e la zia Annamaria è impegnata nelfolle tentativo di cristianizzare l’Austria, Mela-nie passa l’estate in un centro dimagrante.L’appena tredicenne ragazzina sovrappesosi innamora del direttore un po’ attempato,un dottore padre di famiglia di soli 40 anni.Innocente, dolce e incantata dall’idea delprimo amore, Melanie racconta con pudorealle amiche i suoi sentimenti verso l’uomo,che l’avvicina e la respinge consapevoledell’impossibilità di questo amore, mentre leicerca candidamente e invano di sedurlo.

Dei tre momenti ‘paradisiaci’, questo èsenza dubbio il più tenero e genuino, seb-bene malattia e perversione inquinino l’ariasenza troppi convenevoli. Questa volta peròla protagonista non ha colpe, anzi è la vittimasacrificale di un mondo adulto limitato, limi-tante e bieco pronto ad accanirsi con un piùo meno palese sadismo contro i corpi ab-bondanti dei ragazzini del campo. Ci sonodelle corrispondenze visive invertite tra ilprimo e quest’ultimo appuntamento della tri-logia. Così come accadeva nel capitoloLiebe-Love dove era l’opulenza delle donneattempate a dominare lo schermo contrap-

ponendosi alle longilinee forme dei kenioti,così in Hoffnung-Hope sono le misure over-size dei ragazzini costretti a esercizi meschinia invadere lo schermo. Ma se nel primoerano i corpi in forma dalla pelle scura degliindigeni a sfilare ginnici, nel capitolo conclu-sivo della trilogia sono le taglie abbondantiin tuta bianca a camminare in fila indiana, inuna visione quasi allucinatoria dell’amore-paradiso tradito. Inoltre, se Paradies: Liebegioca sul ribaltamento continuo della rela-zione tra vittima e carnefice tanto da confon-derci nella definizione di buoni e cattivi,Paradies: Hoffnung è più lineare nella sintesidella relazione d’amore negato, è spietato ecrudele solo unilateralmente e, in fondo, pernecessità. Melanie ha la prima cotta della suavita, non a caso per un adulto accudente edivertente, e il dottore si vede costretto atrattenersi pubblicamente mentre in solitu-dine lo vediamo cedere a momenti di mor-bosa attrazione.

Il grottesco – dei luoghi asfissianti, dei per-sonaggi affetti da manie, delle situazionianche apparentemente normali – è un ele-mento caro al cinema di Seidl, il quale amarincarare la dose dell’assurdo surreale insi-stendo senza remore sull’elemento pertur-bante, sia esso l’amore a pagamento, la fededistribuita porta a porta, un amore adole-scenziale impossibile. Nella ricerca del para-diso, da intendere come la condizione in cuil’essere umano si sente accolto, amato, cu-rato, la soluzione abbracciata da Seidl è ilcontinuo fallimento delle illusioni, delle spe-ranze, dei desideri a favore del netto trionfodella sconfitta dell’essere umano.

L'ultimo capitolo della trilogiadi Francesca Vantaggiato

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PARADIES: HOFFNUNG

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PARADISE: HOPEUlrich Seidl 2013 : Austria, Francia, Germania Drammatico : 91’

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Canada, sul finire del XIX secolo. Unadonna raggiunge un gruppo assortito di im-migrati tedeschi intenzionato a inoltrarsi nel-l’impervio nord, nel Kolondike, battendo unastrada che nessuno ha mai esplorato. Inpieno periodo Gold Rush, i sette compagnidi avventura non hanno niente da perderese non miseria, fallimenti e amarezze nella ri-cerca dell’Eldorado che presto si rivelerà uncammino di disperazione e di distruzione.Sei persone tra cui Emily Meyer (Nina Hoss),unica donna del gruppo oltre la cuoca cheaffianca il marito in questo viaggio versoDawson City, hanno risposto all’annuncio diun venditore di cialtronerie decidendo di in-vestire i propri risparmi in quest’avventuraalla ricerca ‘del balsamo per l’anima’.

Ed ecco che il regista tedesco Thomas Ar-slan si cimenta in un western d’atmosferadove al non detto è lasciato ampio spazio, siintuisce tutto con uno sguardo, si comunicasolo l’essenziale. Il mistero aleggia sui settepersonaggi – un padre di famiglia che vor-rebbe poter tirare fuori i suoi cari dallo statodi indigenza in cui vivono, una coppia di an-ziani cuochi che ha investito nel viaggio ognicentesimo risparmiato, un giornalista in cercadi fortuna, un uomo addetto ai cavalli ricer-cato da loschi tipi, una donna dal passatopoco fortunato, l’uomo-venditore di fumo acapo della spedizione – che rivelano umorie debolezze difficoltà dopo difficoltà.

Se sulla carta questo western tedesco,dove non mancano i cliché del genere pro-babilmente banalizzati o indeboliti da una ci-

nematografia estranea ad esso, poteva risul-tare promettente, di fatto risulta quasiun’opera-studio, un esercizio di stile chestrizza l’occhio al teatrale capolavoro Meek’sCutoff di Kelly Reichardt con Michelle Wil-liams di cui vuole emulare speranze, tensionie smarrimenti risultando un’infelice e sbiaditacopia del lavoro indipendente americano. Ilpersonaggio femminile, l’unico a trionfare, èaffidato a una grande interprete – impegnatal’anno scorso in Barbara di Christian Petzold– che da sola deve trainare l’intero film col-mando le lacune di una sceneggiatura-col-lage di ingredienti semplificati: c’è l’uomosulla veranda che tutto vede e sa ma parlasolo dietro compenso, il tradimento del ca-pogruppo che non tarda a svelare il suoanimo gretto e meschino, l’arrivo dell’indi-geno simbolo di salvezza e allo stessotempo di corruzione, il mito della frontieraquale tentativo di riscatto da una vita distenti, il finale aperto in cui è solo uno – il piùforte di spirito – a trionfare. Gli altri perso-naggi, i sei compagni di viaggio mossi dallostesso desiderio, funzionano da contornoall’eroina, hanno avuto un trattamento ve-loce e poco approfondito fino a risultare fi-gure piatte, poco credibili del carattere cherappresentano. La fotografia di Patrick Orth,quasi sempre orientata verso riprese diurne,sembra volere dirci qualcosa insistendo suquesta scelta, ma di fatto non aggiungemolto alla rovinosa avventura, mentre la mu-sica acida e disperata di Dylan Carlson si in-tona al dramma richiamando alla mentepaesaggi sonori già esplorati.

Alla conquista del balsamo per l'animadi Francesca Vantaggiato

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GOLDThomas Arslan 2013 : Germania Western : 113’

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Grande esploratore di luoghi cinemato-grafici Steven Soderbergh, dopo essersi direcente rivolto a un pubblico femminile conl’incursione nel mondo dello spogliarellomaschile dell’ultima fatica intitolata MagicMike, ritorna sulle tracce del genere thrillergiocando sul filo della sospensione tra me-dical e psychological. Proseguendo pertwist e colpi di suspense che aprono finestresu nuove visioni interpretative alle qualedobbiamo prestare molta attenzione, Soder-bergh forgia un lavoro fine e complesso chescardina costantemente le convinzioni dellospettatore.

Il primo twist è sicuramente di genere,pensiamo di assistere ad un medical thrillere invece…La protagonista Emily (il volto an-gelico di Rooney Mara contribuisce a confe-rirle uno stato di grazia e innocenza) soffre diuna grave forma di depressione a cui nean-che il marito (un poco inquadrato ChanningTatum), appena uscito di prigione, riesce aporre rimedio. Dopo alcuni atti di autolesio-nismo finisce in cura da uno psicoterapeuta(un versatilissimo Jude Law) che le prescriveun farmaco miracoloso e molto pubbliciz-zato, l’Ablixa, ignorandone gli effetti collate-rali che si riveleranno devastanti per Emily e,in ultima analisi, anche per se stesso. Senzaindugiare su dettagli rivelatori, è proprioquando siamo convinti di aver colto il sensoprofondo del film – ossia la chiara polemicacontro i comportamenti scorretti e spregiu-

dicati delle aziende farmaceutiche – che So-derbergh si diverte a manipolare il generetrasformando Jude Law in un abile detectivecapace di smascherare i complotti di duedonne al di sopra di ogni sospetto. Il mon-taggio asciutto e puntuale (ad opera del re-gista così come la fotografia) segna il ritmodi una storia ben costruita e attenta a nonsvelare troppo in fretta i suoi segreti. I perso-naggi sono bene scritti, a partire dall’inaspet-tato ritratto diabolicamente angelico diRooney Mara – incredibilmente calata nellaparte dopo il faticoso ruolo al limite della tra-sformazione fisica di Millennium – Uominiche odiano le donne – della sua prima psi-cologa interpretata da una spigolosa Cathe-rine Zeta-Jones, misteriosa e respingente alpunto giusto, per arrivare a Jude Law, sul cuispirito investigativo del tutto convincente sipoggia la seconda parte della storia.

Circa 13 anni fa il regista americano era alleprese con la denuncia del traffico di droganegli States firmando Traffic che annoverava,tra le altre star, anche Catherine Zeta-Jones eche veniva proiettato alla Berlinale 2001; oggiriappare sul grande schermo dopo aver an-nunciato la sua ritirata tornando a maneg-giare il thriller con una finezza di scrittura e uncontrollo visivo all’altezza delle aspettative.Tra critica mirata e stratagemmi di sceneggia-tura ben piazzati, Side Effects si regge su unasolida struttura intrigante, avvincente, persua-siva.

di Francesca Vantaggiato

Colpi di scena e suspense regnano sovraninell’ultimo lavoro di Soderbergh

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SIDE EFFECTSSteven Soderbergh 2013 : USA Thriller : 106’

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Chiudo il Concorso e la Berlinale con unleggero film francese, dotato di tutto il pre-gio (e lo spessore) che i francesi sanno darealla fluidità visiva e narrativa, dove le storiescorrono con una semplicità di verità e di tra-sparenza capace di illuminare e lasciare avolte solchi profondi, altre (come in questodelizioso road movie un po’ fuori dallerighe), una leggera carezza. E la vita va…questo il sunto espressivo di Elle s’en va, pel-licola costruita intorno a Catherine Deneuve,dalla stessa sorretta con classe, esperienza emessa in gioco, calata completamente nellafigura di donna e di condizione che rappre-senta. Emmanuelle Becort, regista e sceneg-giatrice abituata a raccontare il sessofemminile (Clément, 2001, Backstage, 2005), siconcentra su Bettie (Deneuve) e la sua ́ ribel-lione´da sessantenne. Ex miss Bretagna, exmoglie, rinchiusa in una esistenza ristretta erelegata nel paese che l´ha vista nascere, conmadre al seguito e ristorante di famiglia dagestire e sollevare dall’ennesima crepa fi-nanziaria che incombe, anela da sempre al-l’amore, l’unica realtà emotiva capace difarla sentire viva. Provato appena in gioventùe poi sottrattole troppo presto dalla vita. Ilfumo, la sua unica passione-evasione, insuffi-ciente a regalarle ogni volta che inspira e re-spira, l’aria nuova di cui ha bisogno.

Una mattina, di scatto, molla il servizio al ri-storante e si mette in macchina, desiderosasolo di andar via, non sapendo bene cosa edove cercare… Sarà proprio il fumo a con-

durla verso la sua via, trasformando in duegiorni soltanto il sapore, l’odore di un futuronon più così impossibile da cambiare. La Be-cort, coadiuvata dal suo collaboratore allasceneggiatura Jérôme Tonnerre, imbastisceun racconto di strada (attraversando unpezzo di Francia rurale), la cui dinamicità èmarcata, oltre che dallo spessore dei perso-naggi di volta in volta incontrati e dalla sin-golarità delle situazioni affrontate (il vecchioe solitario rollatore di sigarette, il giovane esognatore amateur, l’ingestibile e dolcissimonipote, le ex miss sue coetanee ritrovate nelraduno-calendarizio del concorso di bel-lezza che l’aveva vista protagonista in gio-ventù), dal tono e dalla caratterizzazionedella Deneuve, davvero coinvolgente (e co-raggiosa) nel caricarsi un corpo e un voltoabbandonato dalla giovinezza, nel trasmet-terci i timori, le insicurezze, le incredulità, leingenuità e, infine, le speranze di una donnagiunta ad una età dove qualunque aspetta-tiva dovrebbe essere resa al mittente, doveci si dovrebbe pacificare per ciò che è statoed è stato fatto.

Sì, pare troppo semplicisticamente chiu-dere la Becort, anche a 60 anni la vita aprepossibilità, resurrezioni, amori. Anche a 60anni si può cambiare direzione. L´impianto vi-sivo, sorretto da un movimento di macchinaemotivamente modulante, è accompagnatoda una colonna sonora sofisticata nella sceltadi una musicalità melanconica, con densibrani italiani di: ‘Un tempo che fu’…

Deneuve sessantenne in fuga dalla staticitàdi Maria Cera

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Emmanuelle Becort 2013 : Francia : Drammatico : 116’

ON MY WAYELLE S'EN VA

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I DOSSIER DI TAXI DRIVERS M

AGAZINE DA SFOGLIARE ONLIN

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http://issuu.com/taxidrivers_

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