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COLLEGAMENTO PASTORALE Poste Italiane s.p.a. – Spedizione in a.p. – D.L. 353/2003 (conv. In L. 27/02/2004 n° 46) art.1, comma 2, DCB Vicenza Vicenza, 28 marzo 2012 Anno XLIV n. 6 SOMMARIO p. 2 IV a SETTIMANA BIBLICA DIOCESANA p. 3 DETTO TRA NOI… p. 4 STRUMENTARIO p. 11 PERCORSI BIBLICI p. 18 RIFLESSIONI BIBLICHE p. 19 BIBLIOTECA DEL CATECHISTA p. 20 SINTESI DEL DOCUMENTO DEI VESCOVI p. 22 PICCOLO ANGOLO DI VITA… E NON SOLO… p. 24 INCONTRO DIOCESANO “LA CATECHESI IN FIORE” Periodico mensile degli uffici pastorali diocesani – Autorizzazione trib. di Vicenza n. 237 del 12/03/1969 Senza pubblicità Direttore respons. Bernardo Pornaro – Ciclostilato in proprio – P.zza Duomo 2 – Vicenza – Tiratura inferiore alle 20.000 copie. www.vicenza.chiesacattolica.it

SPECIALE CATECHESI 226 - webdiocesi.chiesacattolica.it · nei miei piccoli mali e nei miei banali dispiaceri. Ti ho trovato nella gioia, Nella mia fatica dove ti cerco e spesso ti

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Speciale Catechesi 1

COLLEGAMENTO PASTORALE

Poste Italiane s.p.a. – Spedizione in a.p. – D.L. 353/2003 (conv. In L. 27/02/2004 n° 46) art.1, comma 2, DCB Vicenza

Vicenza, 28 marzo 2012 Anno XLIV n. 6

SOMMARIO

p. 2 IVa SETTIMANA BIBLICA DIOCESANA

p. 3 DETTO TRA NOI…

p. 4 STRUMENTARIO

p. 11 PERCORSI BIBLICI

p. 18 RIFLESSIONI BIBLICHE

p. 19 BIBLIOTECA DEL CATECHISTA

p. 20 SINTESI DEL DOCUMENTO DEI VESCOVI

p. 22 PICCOLO ANGOLO DI VITA… E NON SOLO…

p. 24 INCONTRO DIOCESANO “LA CATECHESI IN FIORE”

Periodico mensile degli uffici pastorali diocesani – Autorizzazione trib. di Vicenza n. 237 del 12/03/1969 – Senza pubblicità – Direttore respons. Bernardo Pornaro – Ciclostilato in proprio – P.zza Duomo 2 – Vicenza – Tiratura inferiore alle 20.000 copie. www.vicenza.chiesacattolica.it

Speciale Catechesi 2

In copertina: Ciesa G. (1793), Affresco con la Resurrezione di Gesù Cristo, Chiesa di San Giuseppe, Piana, Valdagno

Ufficio per l’Evangelizzazione e la Catechesi Curia Vescovile di Vicenza – Piazza Duomo, 2

Tel .0444/226571 – telefax 0444/226555 – e-mail: [email protected]

IVa SETTIMANA BIBLICA DIOCESANA

NEL FUTURO DI DIO…

LETTURA BIBLICA - TEOLOGICA del libro dell’Apocalisse

Periodo: Martedì 03 Luglio 2012 - Venerdì 06 Luglio 2012 Luogo: Villa San Carlo - Costabissara (VI) Destinatari: Animatori CAP; Catechisti/e; Studenti ISSR; Religiosi/e; Insegnanti e IdR; Responsabili dei Gruppi Liturgici Note Tecniche:

la settimana comporta un costo complessivo di € 30,00 a persona (pasto escluso); l’iscrizione è nominativa ed il versamento di € 10,00 (quota non rimborsabile) obbligatorio

entro e non oltre Venerdì 29 Giugno 2012; il saldo viene effettuato la mattina del 03 Luglio 2012 a Costabissara presso la Segreteria di

Coordinamento della Settimana; portare con sé copia del Nuovo Testamento (traduzione della CEI).

Caratteristiche: si opererà una lettura ed un’analisi approfondita del libro dell’Apocalisse, cogliendone i risvolti liturgici, pastorali e teologici che lo contraddistinguono. Segreteria Informazioni e Iscrizioni UFFICIO PER L’EVANGELIZZAZIONE E LA CATECHESI tel. 0444/226571 e-mail: [email protected] UFFICIO INSEGNAMENTO RELIGIONE CATTOLICA tel. 0444/226456 e-mail: [email protected] VIADARIN DAVIDE tel. 0444/638444 cell. 340/4834621 e-mail: [email protected] Nel prossimo numero verrà allegato il pieghevole con la programmazione dettagliata delle

giornate.

Speciale Catechesi 3

Detto tra noi… di I. Battistella

Questo numero di “Speciale catechesi” è attraversato da una filigrana che accomuna tutti gli articoli: il tempo pasquale. Tempo in cui la chiesa risplende di una nuova luce, donata dal Cristo Risorto: a questo ci richiamano i primi due strumentario, legati ai catechismi dei fanciulli. Tempo in cui il cuore di ogni credente batte all’unisono con il cuore dell’intera umanità e ad un percorso di educazione alla mondialità ci guida il terzo articolo.

Tempo per confrontarci con la Parola di Dio e crescere in una fede adulta, come ci suggeriscono i due approfondimenti biblici di don Marcello Milani e Sr. Alessandra Buccolieri. Tempo, infine, per riflettere sul nostro servizio di catechisti, sia alla luce degli orientamenti pastorali dell’episcopato italiano (articolo di Sr. Maria Zaffonato), sia a fronte delle sfide attuali (vedi pag.22).

Il vivere il tempo pasquale, con l’approssimarsi della fine dell’anno catechistico, è un’occasione per fare un bilancio sia dell’attività svolta, sia delle prospettive future. La mancanza di catechisti per cui, talora alcuni gruppi di ragazzi non partono o partono in ritardo; la difficoltà per i catechisti presenti, spesso oberati di impegni, di dedicare tempo alla formazione; il senso di insoddisfazione che spesso accompagna i più impegnati a fronte dello scarso coinvolgimento dei ragazzi e delle famiglie; la necessità di cambiare ma nel contempo il disorientamento e l’insicurezza di fronte alle varie strade che si aprono; tutto questo può essere vissuto con un certo scoraggiamento, ma può anche essere letto come un forte interrogativo che lo Spirito ci pone: siamo legati all’abitudine o siamo pronti a trasferirci “in Galilea”, dove il Signore Risorto ci precede? Stiamo impiegando tutte le nostre forze per coltivare il vecchio albero che ormai ha dato tutti i suoi frutti o ci accorgiamo del nuovo albero che il Signore ha piantato nel giardino della nostra pastorale catechistica? L’incontro del 22 aprile, “La catechesi in fiore”, cercherà di rispondere a questi interrogativi; per questo speriamo di incontrarci numerosi a questo appuntamento

A tutti una Pasqua in cui sentire il battito del Suo cuore, come ci ricorda Madre Teresa.

Igino Battistella

HO SENTITO IL BATTITO DEL TUO CUORE Ti ho trovato in tanti posti, Signore. della sofferenza degli altri. Ho sentito il battito del tuo cuore Ti ho visto nella sublime accettazione nella quiete perfetta dei campi, e nell’inspiegabile gioia nel tabernacolo oscuro di una cattedrale vuota, di coloro la cui vita è tormentata dal dolore. nell’unità di cuore e di mente Ma non sono riuscito a trovarti di un’assemblea di persone che ti amano. nei miei piccoli mali e nei miei banali dispiaceri. Ti ho trovato nella gioia, Nella mia fatica dove ti cerco e spesso ti trovo. ho lasciato passare inutilmente Ma sempre ti trovo nella sofferenza. il dramma della tua passione redentrice, La sofferenza è come il rintocco della campana e la vitalità gioiosa della tua Pasqua è soffocata che chiama la sposa di Dio alla preghiera. dal grigiore della mia autocommiserazione. Signore, ti ho trovato nella terribile grandezza Signore io credo. Ma tu aiuta la mia fede.

(Madre Teresa)

Speciale Catechesi 4

STRUMENTARIO di M. Mendo…

INCONTRO CON IL CATECHISMO IO SONO CON VOI

DIO PADRE CI CHIAMA AD ESSERE SUOI FIGLI

Preghiera

Regali di Dio Ho scoperto, Dio, che tu sei il Padre, ho conosciuto il figlio tuo Gesù, so che mi perdoni sempre. Ma proprio sempre…. Da piccolo ti salutavo soltanto, ora voglio seguirti.È bello crescere e scoprire quanto è grande il tuo amore. Aiutami, resta con me. Accompagnami.Sono una pianta che vuole portare frutto, sono strada che porta in cima, sono una pagina bianca da scrivere. Se la mia vita fosse un libro, tu, Dio, saresti l’autore. Tu detti la mia storia. Ti prego, Dio, fa’ che la mia vita sia un capolavoro.

Da: 365 preghiere per piccoli cuori, ELLEDICI, Torino

Apriamo il catechismo a pagina 111-112 e poi esaminiamo i disegni e dialoghi con i bambini.

Possibili domande:Prima ancora che tu nascessi, qualcuno ti aspettava, chi? Che cosa avevano preparato per te? I tuoi genitori come ti hanno dimostrato il loro amore? C’è Qualcuno che ti ha amato ancora prima dei tuoi genitori? Ancora prima che tu nascessi? Ancora prima che il mondo fosse? Sì perché Dio Padre ti ama da sempre. Chi sono i personaggi del disegno di pag.111? Che cosa stanno facendo? Osserva il loro atteggiamento: descrivilo…. Ti ricorda qualcosa?

Ed ora guarda il disegno di pag.112: chi sono i personaggi? Che cosa fa Gesù mentre riceve il Battesimo? Fatti raccontare dalla mamma e dal papà ciò che è scritto nel vangelo di Luca. (Lc 3,20-22).

Qual è il messaggio che ricaviamo dalle pagine del Catechismo? …………………………………………………………………………………………………

Speciale Catechesi 5

Evidenziamo nel catechismo questa frase molto importante:Prima ancora che un bambino nasca, Dio Padre lo ama. Chiama tutti nella sua famiglia, la Chiesa.

Che cosa vuol dire per te?…………………………………………………………………………………………………

Esperienze

Oggi alla TV hanno parlato di un bambino nato con tanti problemi, era stato operato più volte e tutto sembrava andare per il meglio, poi invece non ce l’aveva fatta a superare un’infezione ed era morto. Debora, una ragazzina di otto anni, resta turbata da questa notizia e chiede alla mamma: <<Povero bambino, ha sofferto tanto per niente. Chissà la sua mamma e il suo papà come soffriranno ora?>> La mamma che sente il commento di Debora approfitta per parlare un po’ con sua figlia di questo argomento. <<Vedi, le dice, ora il bambino è in paradiso, è felice, non soffre più e aiuta i suoi genitori a riacquistare serenità>>. <<Sei sicura che è in paradiso, mamma?>>. <<Sicurissima, perché con il Battesimo diventiamo figli di Dio e Dio Padre ci vuole tutti con Lui, l’ha detto Gesù!>>. <<Meno male che ora in cielo trova una famiglia, perché povero bambino, questa, quaggiù, non l’ha quasi conosciuta, risponde Debora>>. La ragazzina resta ancora pensierosa. La mamma la osserva e attende ancora qualche osservazione da questa figlia così riflessiva. Infatti, dopo un po’ Debora rompe il silenzio che c’era fra loro due con un ultimo pensiero, quasi liberatorio. <<Sai, mamma, il Signore è proprio forte. Per farci star bene lassù ha pensato ad una famiglia: Lui è il Padre, la Madonna è la mamma e Gesù è il nostro fratello più grande. Non poteva trovare di meglio!>>.

Come vivere il messaggio?

- “Sono figlio di Dio”: ecco un pensiero che voglio ricordare durante la giornata. - Dico il mio “grazie” a Dio Padre che mi ha dato la vita di grazia con il Battesimo ed ogni

volta che lo faccio incollo un palloncino colorato nel cartellone. - Mi faccio mostrare l’album con le foto del mio battesimo e aggiungo un foglietto con la

preghiera: “Perché ogni bambino entri a far parte della tua Chiesa, io ti prego o Signore”.

Preparo un disegno con un cielo azzurro con in alto una fonte di luce gialla. Ed ogni volta che vivo l’impegno disegno un palloncino colorato.

Speciale Catechesi 6

INCONTRO CON IL CATECHISMO VENITE CON ME

LA CHIESA VIVE NELLA COMUNITA’ PARROCCHIALE

GIOCO d’inizio Il catechista farà scrivere a ciascun ragazzo, sul proprio foglio,una o più parole che gli vengono in mente quando sentepronunciare un determinato vocabolo. In sostanza proporrà un elenco di 10-15 parole, pronunciate a una ventina di secondil’una dall’altra (possono essere utilizzate quelle suggerite o altre). Questo elenco di nomi abbastanza comuni conterrà anche i vocaboli su cui interessa conoscere il pensiero dei ragazzi. Al termine il catechista chiederà ad ogni ragazzo di leggere la risposta riguardante le parole che gli interessano. Le risposte date da tutto il gruppo saranno raccolte su un cartellone e completate.

L’elenco potrebbe essere: Estate, tavolo, parrocchia, canzone, chiesa, prato, pallone, festa, disco, messa, cibo, casa.Obiettivo del lavoro è aiutare i ragazzi a cogliere l’immagine di parrocchia evidenziata dalle singole risposte (su parrocchia, chiesa e messa) e dal loro insieme.

Confrontiamo l’immagine che i ragazzi hanno con il messaggio catechistico di pagina 142-143.

DIALOGO DI APPROFONDIMENTO e CATECHESI Leggiamo insieme le pagine 142-143 del Catechismo, lasciamo il tempo ai ragazzi per rileggere in silenzio e sottolineare le frasi più importanti, tenendo presente soprattutto quelle che esprimono gli atteggiamenti e la azioni che si vivono in parrocchia. Raccogliamo le frasi più significative segnalate dai ragazzi e partendo da questo materiale, guideremo la conversazione.

Spiegazione del disegno Aiutando i ragazzi con alcune domande cerchiamo di capire il messaggio del disegno: - Quali sono gli edifici presenti nel disegno? - Chi sono le persone e che cosa fanno? - Quali sono i problemi sociali richiamati? - Ci sono nella vostra parrocchia iniziative per venire incontro ai poveri? - Che cosa può fare un ragazzino/a come te per i poveri?

Per il catechista Il testo verbale comincia a richiamare la presenza e il servizio di carità della parrocchia nel territorio. Passa poi a descrivere i momenti specificamente cristiani della vita parrocchiale a cominciare dall’Eucaristia. Accenna ai ministeri presenti nella chiesa. Il disegno rappresenta una strada della parrocchia.In fondo si vede la chiesa, la stessa presente anchenegli altri disegni. In primo piano la gente.A sinistra tre giovani “terzomondiali”.Davanti a loro è passata la mamma (quella che troviamo spesso nei nostri disegni) con il figlioche va o torna da scuola. Sulla destra un uomocon la borsa sotto il braccio sta per attraversare la strada.Una zingara con due figli chiede l’elemosina.

Speciale Catechesi 7

Il disegno allude ad alcuni problemi sociali presenti oggi nella società e a cui le parrocchie sono chiamate a rispondere per amare e servire Cristo nei poveri (Mt 25,31-46).

ATTIVITA’

1°- Preparare un cartellone su cui riportiamo le tre parole chiave più le risposte date ai ragazzi nel gioco d’inizio.

2° - Fare un’indagine per individuare i vari servizi che vengono svolti nella comunità parrocchiale. Due ragazzi andranno ad intervistare un rappresentante per ciascun servizio per saperne di più su: qual è lo specifico del gruppo; a chi si rivolge; le difficoltà incontrate; le motivazioni del loro impegno. Nel prossimo incontro analizzeremo i risultati

3° - Gioco Costruiamo la chiesa I giocatori vengono divisi in due squadre (squadra A e squadra B) e anche il campo da gioco è diviso in due parti da una linea centrale. In fondo al campo A c’è la base B (un cerchio di almeno 3 m di diametro) e viceversa. Ogni squadra ha un puzzle raffigurante la propria chiesa o altra immagine di comunità parrocchiale (si può fotocopiare e ingrandire e tagliare a pezzi anche il disegno di pagina 100-101 del catechismo). Ogni giocatore della squadra A riceve un pezzo di puzzle e partendo dal suo campo di gioco deve cercare di portarlo alla base A che si trova nel campo di gioco degli avversari, poi ritorna a prendere un altro pezzo di puzzle... e così fino alla ricostruzione dell’immagine. Lo stesso faranno i giocatori della squadra B. Ogni giocatore quando è nella propria metà campo è difensore, non può essere preso, ma può prendere gli avversari con un semplice tocco della mano. Quando invece il giocatore è nella metà campo avversaria è attaccante ed allora può essere preso, ma non può prendere. Quando si è nella propria base si è al sicuro e non si può essere presi. Nessuno può entrare nella base avversaria. Vince la squadra che per prima completa il puzzle.

Rientrati, completiamo il seguente Diario di bordo: - Oggi ho giocato a ...................... (costruiamo la chiesa). - Per vincere era importante .................... (organizzarsi, dividere bene i ruoli, fare ciascuno la propria parte). - Anche nella Chiesa Gesù è importante ............................... (cooperare, costruire unità.....). - Nella chiesa tutti hanno un compito, si chiama ......................... (vocazione)

PREGHIERA

Abituiamo i nostri ragazzi a pregare per gli altri che non siano solo e sempre i familiari. Distribuiamo ad ognuno un foglietto su cui scriveranno una preghiera uno per l’altro; quindi facciamo piegare in quattro i foglietti e li mettiamo in un cestino. Completata l’operazione creiamo l’atmosfera quindi ognuno sceglie, a caso, un bigliettino e fa la sua preghiera.

IMPEGNO DI VITA

Ascolto con attenzione gli avvisi parrocchiali ed esamino se posso collaborare alla vita della comunità (es: chierichetti, gruppo canto ecc.).

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INCONTRO CON I PREADOLESCENTI

EDUCAZIONE ALLA MONDIALITÀ

TUTTI DIVERSI, TUTTI UGUALI

1. Gioco: Gli “altri” siamo noi

Ognuno pensi di essere un immigrato in una terra straniera.Deve calarsi nel ruolo di immigrato. Il catechista lo aiuti conun esempio: - Al mio paese non c’è lavoro, ho una famigliola da mantenere e decido di partire da solo verso uno stato dovec’è lavoro. Parto da solo e poi, se tutto va bene farò arrivare anche la mia famiglia. Dapprima, però, resterò solo per poter risparmiare e mandare a casa metà del mio stipendio.Parto con poche cose, perché sono povero e magari clandestinamente arrivo in…. Cerco qualche connazionale, perché mi dia un posto dove dormire e mi aiuti a trovare un lavoro, qualsiasi lavoro anche mal pagato, anche in nero…

Qual è l’atteggiamento che vorresti fosse tenuto nei tuoi confronti e quale non vorrestiche fosse tenuto dagli abitanti del posto?Scegline due positivi e uno negativo e poi discuti in gruppo le scelte fatte. Preparare una scheda.

Essere ascoltato �Essere escluso �Essere accolto �Essere preso in giro �Essere messo in disparte �Essere coinvolto �Essere capito �Essere accettato �Essere considerato straniero �Essere integrato �Essere aiutato �Essere disprezzato �Essere considerato un essere inferiore �

Un viaggio in ItaliaQuesta storia racconta come un bambino straniero, in questo caso, cinese, vede gli italiani; quali pregiudizi ha, come interpreta le nostre azioni, i nostri gesti, i nostri modi; che idea ha della nostra società.

Sono andato in Italia con il mio papà e i suoi amici. È la prima volta che esco dalla Cina. Il mondo di fuori è molto diverso. La signora maestra dice che quei popoli sono più sottosviluppati di noi e noi Cinesi siamo migliori. Io ho visto che davvero laggiù non sono bravi come noi.

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L’Italia è un paese grandissimo. È tutto tra le montagne. Dall’aereo sono bellissime. Siamo arrivati all’aeroporto. Papà mi ha detto di far attenzione alle valigie, perché era pericoloso. Io ho fatto attenzione, ma a un amico di papà hanno rubato il portafoglio. Lui ha chiamato un poliziotto. Questo non capiva né il cinese né l’inglese e non so che cosa si son detti.

Un signore ci aspettava su un minibus. Ci ha portato alla città dell’incontro (la città del gemellaggio). Era molto lontana. Il capo della città ci aspettava davanti al suo palazzo. Aveva un bel vestito elegante, ma sopra aveva messo una fascia colorata rossa bianca e verde che faceva ridere. Credo siano i colori della sua tribù. Dietro a lui c’erano due soldati vestiti di bianco, con l’elmo. Uno portava una piccola bandiera su un’asta di plastica. Gli abitanti di quel paese sono ancora primitivi. Invece di fare un inchino, il capo della città ha preso la mano di mio papà e l’ha stretta forte. Credo sia un segno di potere, perché anche gli altri hanno fatto lo stesso, ma con meno forza. Tutti mi toccavano, la testa, la guancia, la mano. Forse non avevano mai visto un bambino giallo……. Siamo andati a pranzo. In quel paese non sono civili, e non sanno usare i bastoncini. Non tagliano il cibo in cucina, ma ognuno ha un coltello e taglia le cose nel proprio piatto. Noi abbiamo fatto come loro, perché papà dice che non bisogna offenderli. Non hanno ognuno la scodella per il riso, ma un cestino di pane in comune per tutti. Tutti lo prendono con le mani. Non bevono tè, ma solo acqua e tanto vino. Il cibo era buono, ma papà mi ha detto di non prendere l’insalata, perché laggiù la mangiano cruda e possiamo prenderci delle malattie………Il giorno dopo il papà è stato invitato a un’assemblea di quel villaggio. Io sono andato con lui. Hanno fatto tanti discorsi in Italiano. Nessuno sa parlare cinese. Non c’era ordine nel parlare. A volte un giovane parlava prima di un vecchio, o una donna parlava prima di un uomo. Un tale seduto vicino a papà traduceva tutto. Papà mi ha detto che il capo del villaggio viene scelto contando i voti di tutti. Il voto delle donne vale come quello degli uomini, e il voto dei potenti come quello di un povero. A me pare che così è come dire a un allievo di fare il maestro in Cina; è molto meglio.Michele Ferrero da Luca, Cristaldi, Il mondo da un oblò, SEI, Torino 2003

RiflettiamoAssieme ai tuoi compagni commenta questa storia.

Che cosa ti ha colpito di più di questa storia? Ti sembra realistico che uno straniero ci veda così? Come vorresti che ci vedesse lo straniero che arriva qui per la prima volta? Come vediamo gli immigrati che vestono in modo così diverso da noi? “L’altro” è il mio compagno di banco, è l’immigrato per strada, è il papà di un mio amico….. sono tutti coloro che non sono io. Cerco di conoscerlo? So ascoltarlo? So capirlo e accettarlo? Voglio superare i pregiudizi cercando di incontrarlo?

L’atteggiamento di ascolto ci obbliga ad uscire da noi stessi per provare a capire le idee dell’altro.Perché pregiudizi, discriminazioni e ingiustizie, collegate al sesso, alla razza, alla provenienza geografica, o alla cultura dell’uomo? L’essere diversi nel colore della pelle, straniero, malato, povero o menomato, di un’altra città e un’altra regione, è spesso motivo di disprezzo e rifiuto. Anche la donna è vittima di discriminazioni.

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Perché il nostro cuore è duro, colmo di egoismo e di violenza? Perché spesso ci scopriamo incapaci di superare incomprensione e divisioni? Sono domande che da sempre l’uomo si pone.

Ascoltiamo questa esperienza

Un giorno a scuola la professoressa chiese chi di noi volesse andare nel banco insieme a Franco. Questo ragazzo è poverissimo e vive in un garage. Durante tutto l’anno scolastico i vestiti se li è cambiati, sì e no, due o tre volte. Nessuno di noi voleva saperne. Anch’io facevo difficoltà ad accettarlo, anche perché se fossi andato con lui non mi sarei sentito più libero, gli avrei dovuto insegnare i compiti ed avere molta cura di lui. Ma Gesù era più forte dentro di me. Ci misi tutta la buona volontà per dire alla professoressa che Franco ed io potevamo stare insieme nel banco.L’aver fatto questo passo mi ha dato tanta gioia e anche Franco, a guardarlo, mi sembrava che gli fosse entrata in cuore tanta felicità.

Che cosa posso fareParliamone insieme, poi però ognuno faccia la propria scelta.

Speciale Catechesi 11

PERCORSI BIBLICI…

Proponiamo, qui di seguito, la relazione del prof. don Marcello Milani (biblista) tenuta all’incontro formativo per animatori dei centri di ascolto, dei gruppi biblici e per quanti operano nella pastorale, del 29 gennaio u.s. presso la chiesa Parrocchiale di S. Marco a Vicenza.

DIVENTARE CREDENTI ALLA LUCE DELLA PAROLA. BREVE PERCORSO BIBLICO A PARTIRE DAL VANGELO SECONDO MARCO

“Diventare credenti” significa accentuare l’aspetto personale e interiore, le scelte e i riferimenti essenziali, un cammino che coinvolge tutta la vita (mente, cuore, agire). Infatti, i cristiani negli Atti degli Apostoli sono chiamati “discepoli, credenti, fratelli”. Per dirla con Paolo e Giovanni, siamo figli di Dio, ma anche lo diventiamo (Rm 8; 1Gv 3,2); diventare credenti comporta una tensione che non viene mai meno. Del resto, Gesù stesso cresceva in età, sapienza e grazia (Lc 2,40.52); e imparò l’obbedienza da quello che patì (Eb 5,8 9). L’esperienza umana era necessaria a Gesù per esprimere e scoprire la sua umanità. Come metodo per illustrare il tema desidero partire dal vangelo dell’anno, il vangelo secondo Marco. Vangelo dimenticato per tanto tempo, esso stesso da scoprire, vangelo che, secondo una ipotesi affascinante, sarebbe stato scritto per essere letto in una sola volta, in occasione di una veglia notturna, tra il sabato santo e la domenica, per celebrare e ricordare la pasqua del Signore e introdurre al battesimo.

La tesi è sostenuta nel commentario, in tre volumi, di B. Standaert, Marco. Vangelo di una notte vangelo per la vita, vol. I, EDB, Bologna 2011, pp.6-7. Gli ebrei nella cena pasquale avevano costruito un racconto (la haggadah) che dava il senso della celebrazione e guidava il rito per rifare in quella sera l’esperienza antica. Il vangelo di Marco ne sarebbe l’equivalente cristiano in quanto tracciava il percorso di fede (vita di Gesù per vivere con e come Gesù), che approdava al battesimo impartito appunto nella notte di Pasqua: «Dopo la lettura del Vangelo di Marco ci si recava al fiume o al mare per battezzare i catecumeni e poi ci si ritrovava tutti insieme per il banchetto eucaristico celebrato il mattino presto» (p.7). È da porre dunque dentro il rito pasquale il cui sbocco finale è l’annuncio dell’angelo della risurrezione che rovescia la prospettiva tragica della morte in croce, scardinando ogni parallelo con il mondo greco. Cfr. anche, del medesimo autore, L’évangile selon Marc. Commentaire (Lire la Bible), Cerf, Paris 1997. Nel corso della narrazione i discepoli mostrano il percorso di fede di tutti i battezzati, fatto di inciampi e sorprese, di scoperte e incomprensioni, di cadute e riprese. La figura rappresentativa potrebbe essere proprio quella di Pietro, la cui predicazione, secondo la tradizione, Marco avrebbe raccolto. È dunque un vangelo per il presente. Dalle sue pagine viene l’invito ad “andare dietro” a Gesù, il “vieni e seguimi” rivolto ai discepoli. Emerge la fede di coloro che hanno incontrato e seguito Cristo, perché altri lo seguano.

Si parla oggi tanto del primo annuncio? Di fatto il nostro è un annuncio già sentito, ma da riscoprire continuamente, per un ripetuto incontro con Gesù dentro un mondo indifferente, compreso quello dei cristiani

Speciale Catechesi 12

assuefatti. Svolgo la riflessione in tre punti. Seguirà un secondo momento con la lettura più particolare di un testo, la guarigione di Bartimeo cieco (10,48-52), con attenzione anche all’altro cieco, quello di Betsaida (8,22-26). 1 – Marco il Vangelo delle sorprese

Il Vangelo di Marco è pieno di sorprese (altri direbbero incoerenze). Dietro una narrazione essenziale e secca, che talora sembra piatta, è come se volesse dirci, che solo chi si lascia sempre sorprendere, chi mantiene la capacità di stupirsi matura nella fede! Il vangelo di Marco infatti è pieno di domande, la gente e i discepoli si interrogano continuamente: “Chi è costui?”. Gesù non finisce di stupire. È uomo vero e sensibile, deciso e sicuro nella parola e nei gesti e indipendente dai maestri della legge di Mosè; parla con autorità e provoca domande o pone domande, spiazzando gli uditori. Per una sequela autentica accogliere quelle domande e sorprese è un atto necessario.

1.1 – Prima sorpresa, l’inizio del vangelo (1,1-13)

L’inizio stesso del vangelo è problematico. La semplicità non tragga in inganno. Potremmo dire che è pieno di incoerenze. Ma proprio queste rappresentano l’originalità della narrazione.

Il primo versetto: «Inizio del vangelo di Gesù (= che è Gesù), Cristo, Figlio di Dio» (1,1), rappresenta il titolo, lo scopo e il programma del racconto. Esso afferma che il Vangelo ha il suo “inizio” (arché: origine, fondamento e punto di partenza) in Gesù, nella sua persona e quindi nel suo annuncio. Ma qui è la prima sorpresa, perché chi parla ed emerge per primo non è Gesù – che inizia ad annunciare il “Vangelo” ai vv. 14-15 – ma Giovanni il Battista, che lo prepara, l’anticipa e si confronta con lui.

In questo modo, Marco sembra suggerire che il Vangelo ha sì il fondamento in Gesù, ma è sempre preparato da qualcosa o da qualcuno che lo precede – una tradizione, una ricerca, potremmo di re, un “Antico

Testamento”. Luca del resto definisce la predicazione di Giovanni come Vangelo: «Con molte altre esortazioni Giovanni evangelizzava il popolo» (Lc 3,18). Egli è parte delle “buone notizie” che venivano già da Isaia (40,9; 52,7). Ultimo rappresentante dei profeti dell’Antico Testamento, è simbolo dell’attesa e dell’indagine umana. Il suo battesimo richiama altri segni purificatori, ne diventa in qualche modo il riassunto, l’immagine e il compimento. Cristo solo rivela il Padre, ma tanti Antichi Testamenti lo anticipano e preparano, rendono gli uomini disponibili. Come ricorda la Nostra Aetate: «La Chiesa cattolica nulla rigetta di quanto è vero e santo in queste religioni… che non raramente riflettono un raggio di quella Verità che illumina tutti gli uomini» (n.2). Il Vangelo li assume, perché, in Cristo, tutti abbiano accesso al Padre. Potremmo allora riconoscere a tutte le culture una possibile, sapiente preparazione evangelica. Accogliendo il battesimo di Giovanni (1,9-11), Gesù si associa a tutte le attese umane e a tutti i riti di invocazione per la purificazione davanti a Dio. Marco non lo dice direttamente, ma mediante l’incongruenza narrativa induce a riflettere, a cercare il senso profondo.

1.2 – Un’altra sorpresa avviene al momento del battesimo. Giovanni rimane spiazzato quando Gesù lo incontra per la prima volta, perché questi non si manifesta come egli si attendeva. Dopo aver parlato di lui in modo commovente (1,7-8), quando lo vede, stranamente – secondo il racconto di Marco – sembra non riconoscerlo. Egli infatti si aspettava uno “più forte” e invece arriva uno “come tutti”, chi si fa battezzare è uno qualunque, privo di segni distintivi. In questo modo Marco sollecita il lettore a non dare per scontato di sapere chi è Gesù fin dalla prima pagina, a porsi ancora in ascolto dei racconti evangelici, a continuare la ricerca. Infatti in tutto il Vangelo Gesù rimane avvolto dal mistero, il mistero della sua identità, che pone domande agli spettatori, dai discepoli ai compatrioti (prima parte del Vangelo), e il mistero della sua via verso la croce, che

Speciale Catechesi 13

scandalizza per primi Pietro e gli altri discepoli (seconda parte). Perciò, come chiave di lettura, possiamo accogliere l’invito a lasciarci stupire da Gesù: non è come me l’aspettavo, almeno non del tutto. Questo atteggiamento è parte essenziale del diventare cristiani.

1.3 – La figura stessa di Gesù, silenzioso e conteso, è una continua sorpresa.

Egli non ama il bagno di folla, è orientato solo all’annuncio del Vangelo e “minaccia” demoni e guariti dal rivelare la sua identità, imponendo loro severamente il silenzio (1,25.44). La sua identità resta nascosta, egli stesso la nasconde: è il segreto messianico che provoca reazioni diverse. Il racconto evidenzia la progressiva presa di posizione degli uditori di fronte a lui. I nemici (scribi, farisei, erodiani, anziani e sacerdoti) fin dall’inizio tengono consiglio per ucciderlo (3,6a), alla fine ne ottengono la condanna (15,11) e lo deridono (15,31). I parenti “stanno fuori” (3,31) e sembrano condividere la poca stima e l’incredulità dei compatrioti (6,4-6). La folla entusiasta simpatizza per lui (3,21), ma si mantiene anonima e incostante; alla fine ne decreta la condanna a morte. I discepoli, invece, tratti dall’anonimato della folla, lo seguono sulla via della croce e del servizio, esteso a coloro che sono “fuori” (4,11), in modo che il Vangelo sia portato a tutti (13,6, cf 16,13).

Gesù resta il Messia conteso che si presenta in forme inattese. Gli stessi discepoli, nel viaggio verso Gerusalemme, mostrano una incomprensione crescente che culmina nell’abbandono e nella fuga al momento del suo arresto (14,50). Anche il ragazzo, che lo seguiva avendo addosso soltanto un lenzuolo, “lasciato cadere il lenzuolo fuggì via nudo” (14,51-52). In lui forse Marco descrive se stesso, ma anche i neobattezzati, che indossavano un vestito simile.

2.4 - Culmine delle sorprese è il racconto della morte che appare luminosa e porta nuovi discepoli, mentre la risurrezione è stranamente avvolta dal silenzio: le donne,

“piene di spavento e di stupore”, “non dissero niente a nessuno, perché erano impaurite” (16,8). Il Vangelo di Marco si conclude qui. È interruzione, difetto narrativo o intelligente provocazione dell’autore? Di fatto, qualcuno ha sentito il bisogno di completare il racconto con le apparizioni ispirate agli altri Vangeli e con l’invio degli Undici a proclamare il Vangelo a tutti i popoli (16,9-20).

Vogliamo perciò, esaminare il processo di fede che coinvolse i discepoli di Gesù, considerando come essi lo vissero. Ne desumiamo alcune linee in funzione del nostro “diventare credenti”.

2 – Il cammino dei discepoli

I Dodici “apostoli” in Marco più che il gruppo delle autorità rappresentano i discepoli, che cercano di mettere in atto la difficile arte di accostarsi al mistero di Gesù, alla sua identità e alla sua incomprensibile via. Essi mostrano il cammino della fede mediante l’orientamento che li induce ad andare verso Gesù. Seguendo la narrazione di Marco, cercherò di delineare il tracciato che ci interessa. La prima parte del vangelo (prologo, 1,1-13, e attività in Galilea, 1,14-8,26) è ritmata da tre passaggi che segnano il coinvolgimento progressivo dei discepoli nella vita di Gesù: la chiamata dei primi discepoli (Pietro e Andrea, Giacomo e Giovanni, i figli di Zebedeo, e Levi), la scelta e istituzione dei Dodici e il loro invio in missione.

2.1 - La chiamata dei discepoli evidenzia la prima risposta, personale, all’annuncio del Vangelo, che esortava: “Convertitevi e credete nel Vangelo” (1,14-15). L’incontro con Gesù li cambia: sono chiamati a “seguire”, “andare dietro” a lui (1,17.20). I due verbi ricordano l’uso dei discepoli di camminare qualche passo dietro al maestro in segno di rispetto. Perciò, quando Pietro rifiuta l’annuncio della morte, Gesù lo rimprovera: «Va’ dietro a me, Satana! Perché tu non pensi secondo Dio, ma secondo gli

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uomini» (8,31-33). Ponendosi davanti ne intralcia il cammino.

“Andare dietro” significa che Gesù non è un’idea da capire, ma una persona da seguire; è intessere una relazione del tipo maestro-discepolo, lasciandosi coinvolgere da lui, anche senza capire o spiegare tutto. Lungo il cammino egli stesso svelerà la sua identità misteriosa e affascinante, provocando – talora imbarazzando – e camminando davanti. La compagnia di Gesù non sarà senza scontri e incomprensioni. Talora il maestro accuserà i discepoli di avere il «cuore duro»: non comprendono, perché non sanno guardare oltre e in profondità; anch’essi sono sordi e ciechi come quelli «di fuori», «hanno occhi ma non vedono, hanno orecchi, ma non odono» (7,17-18). Tuttavia, non lo fanno per una chiusura preconcetta, ma per debolezza, per una difficoltà intrinseca.

In secondo luogo, scegliendo i discepoli, Gesù si presenta subito con loro a Cafarnao: esprime l’ambito in cui la fede è coltivata e trova il suo sviluppo, la comunità. Insieme «vanno a Cafarnao» (1,21), entrano nella sinagoga, ascoltano e restano stupiti dal suo insegnamento fatto “con autorità”, recepiscono le reazioni dei presenti: «Tutti furono meravigliati» (1,27). Insieme entrano nelle case, come quella di Pietro (1,29: Gesù è uno di famiglia), e “davanti alla porta” di casa Gesù accoglie la gente della città che accorre a lui e la guarisce dalle malattie (1,31-33). I discepoli lo inseguono e ne «cercano le tracce» (katedioxen) quando si ritira (1,37), fanno domande ed egli accetta di dare a loro spiegazioni, per avviarli alla comprensione del “mistero del regno di Dio”, perché a loro è concesso. È il loro apprendistato. Dimensione personale e dimensione comunitaria sono necessarie e interconnesse per l’adesione a Cristo.

2.2 - La istituzione dei Dodici (3,13-19): «Chiamò a sé quelli che voleva ed essi andarono da lui”. Li sceglie “perché stessero con lui e per mandarli” (cfr. 6,6b-23). Anche in questo caso, risposta personale e vita comunitaria sono strettamente connesse.

Una serie di posizioni e atteggiamenti li qualifica.

A - Gesù li chiama ed essi “vanno verso (eis) di lui”: escono dall’anonimato della folla e si qualificano per un orientamento. Perciò, il Vangelo li nomina uno per uno. Lo stare insieme rivela dimestichezza, al punto che Gesù dà nomi e soprannomi: Pietro e Boanérghes (figli del tuono) ai due figli di Zebedeo per la loro focosità. Il gesto comporta la formazione di un gruppo, che costituisce la nuova famiglia di Gesù, “i suoi”.

B – La medesima dimensione è espressa anche dallo stare con lui (met’autou) e presso di lui (hoi par’autou, 3,21). Essere “con lui” è compito particolare dei Dodici (3,14, cf 5,37): fanno vita comune con Gesù e tra di loro. In questo modo entrano nel segreto della sua persona ed egli concede loro di conoscere il “mistero del regno” (4,11). Si distinguono Pietro, Giacomo e Giovanni, testimoni dei momenti qualificanti della rivelazione: sono i tre presenti alla rianimazione della figlia di Giairo (5,37) e alla trasfigurazione (9,2), segni anticipatori della risurrezione dai morti, al Getsemani scenario della lotta (agonia) e vittoria di Gesù nella preghiera (14,33). Ma tutti i discepoli diventano suoi familiari, letteralmente “quelli [che stanno] presso di lui”, “i suoi”, come li definisce Mc 3,21. La vita comune richiede superamento di gelosie, assunzione di responsabilità, atteggiamento di servizio.

La familiarità è accentuata dall’entrare e dallo stare con lui in casa. Là Gesù fa ascoltare la Parola, insegna, spiega le parabole e ciò che non è stato compreso (cf 9,28), ed è interrogato dai discepoli. Diversamente, “sua madre e i suoi fratelli” o parenti sono descritti come coloro che “stanno fuori” di casa (Mc 3,31-32). Lo cercano forse con qualche pretesa di privilegio in forza del legame carnale, ma non sono ancora integrati nella famiglia. Sono come la “folla”, che ascolta ma non comprende o comprende quello che può, senza entrare in sintonia con lui (4,12). A Nazaret Gesù è “disprezzato” (átimos)

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proprio “dai parenti e in casa sua” (6,4). Perciò, egli identifica i “suoi familiari” con i discepoli, non con i parenti di sangue. I legami validi sono quelli della fede.

C – Una ulteriore qualificazione dei discepoli è essere “attorno a Gesù”: “seduti in cerchio attorno a lui” (3,31-35) o “in disparte/in privato” (chóris, kat’idían, 4,34; 9,28). Attorno a Gesù è seduta la folla, attenta e disponibile alle parole del maestro (come Maria in Lc 10,39); l’ascolto diventa progetto di vita secondo Dio. Un esempio è in Mc 4,10-12.

Quando poi furono da soli, quelli che erano intorno a lui (hoi perì autòn) insieme ai Dodici lo interrogavano sulle parabole. Ed egli diceva loro: «A voi è stato dato il mistero del regno di Dio; per quelli che sono fuori invece tutto avviene in parabole, affinché guardino, sì, ma non vedano, ascoltino, sì, ma non comprendano, perché non si convertano e venga loro perdonato» (Is 6,10).

Ritorna l’opposizione tra “chi è attorno a lui” e “chi è fuori”. L’evangelista cita Isaia 6,9-10 per evidenziare l’insuccesso della predicazione di Gesù e la non disponibilità degli uditori. Per costoro il Vangelo diventa strumento di contraddizione. I discepoli invece vengono avviati alla comprensione del mistero del regno di Dio e del significato profondo delle parabole. L’incomprensione permane anche in loro, ma, interrogando il Maestro, ciò che è nascosto (kryptón) e segreto (apókryfon) diviene loro manifesto (4,21-25). La scoperta resta sempre un dono: è Gesù che rivela i suoi segreti e si lascia trovare. Ma occorre anche indagare, porre domande, cercare con costanza e passione accettando il severo tirocinio al quale si sottoponeva ogni buon discepolo, come già ricordava un maestro antico, il Siracide: «Se vedi una persona saggia, va’ di buon mattino da lei, il tuo piede logori i gradini della sua porta» (Sir 6,36, cfr. Prov 8,34; Sap 6,12-16).

2.3 – L’invio in missione dei Dodici apostoli (Mc 6,7-13) svela l’altra dimensione del discepolo, la comunicazione del Vangelo che

egli ha ricevuto. Sin dall’inizio Gesù aveva detto: «vi farò pescatori di uomini» (1,17), come a dire, per cercarli e radunarli nel suo nome. L’istituzione dei Dodici era avvenuta anche «per inviarli ad annunciare» (3,14). Il testo attuale descrive l’invio (v.7), l'abbigliamento (vv.8-9), l'atteggiamento o stile dei “apostoli” (vv.10-11), l'attuazione pratica (v.12).

Gesù invia in mezzo agli uomini e per gli uomini. La chiamata non è per la semplice gioia personale di stare con Dio. Essere discepoli di Gesù non significa restare chiusi in casa o all’interno di una comunità, fuori del mondo. La comunità non è un luogo di rifugio, ma una palestra di dialogo e di ricerca. Infatti, Gesù non si ferma in casa, ma fa il profeta e maestro itinerante in mezzo alla gente, nelle città e nei villaggi. Appartenere alla sua famiglia significa scoprire di dover andare nel suo nome per prolungarne l’opera liberatrice e terapeutica e per testimoniare la vicinanza del regno di Dio. Gli inviati vanno come comunità e per fare comunità, per mostrare i segni di Dio che incontra ancora l’umanità.

La missione comporta una battaglia contro il male. Non fatta di armi e potenza umana, ma di gesti benevolenti, di atteggiamenti di fiducia in Dio, di povertà disarmante. Allora il vangelo manifesterà la vittoria del Cristo crocifisso. Infatti, l’abbigliamento e lo stile ricordano il pellegrino che accetta di vivere con essenzialità, accogliendo quanto gli è offerto. Non ha casa né denaro, anche il tozzo di pane e il cibo quotidiano devono riceverlo in dono da chi li ospita riconoscendo in loro gli inviati di Cristo. Il vestito è costituito da una tunica, un paio di sandali e un bastone per sostenere il passo (v.8). Era simile all’abbigliamento degli Ebrei mentre celebravano la Pasqua al momento dell'uscita dall’Egitto: «con i fianchi cinti, i sandali ai piedi, il bastone in mano» (Es 12,11). Anche allora avevano accettato quello che era stato loro dato, non si erano procurati provviste per il viaggio e non potevano indugiare, sicché il pane non aveva avuto il tempo di fermentare (Es 12,39). Lo

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stile dei missionari è dunque quello di “stranieri e pellegrini” (Sal 30,13), espressione cara a san Pietro, il maestro di Marco (1Pt 2,11, cfr. Eb 11,13). Si tratta di persone che sanno “vivere accanto” (párokoi), senza possessività, nello spirito del dono, persone che sanno incontrare e rispondere con dolcezza, rispetto e retta coscienza (1Pt 3,16). È un modello di vita esigente per il nostro rapporto nei confronti del prossimo.

Concludendo. Vi è una progressiva esperienza dei discepoli invitati da Gesù ad addentrarsi nel mistero del regno e della sua persona. Questo sarà loro concesso in dono, ma bisogna decidersi con un sincero orientamento a Lui (andare verso) e mediante una sapiente assunzione della fede, per intraprendere con lui e in nome suo un pellegrinaggio verso gli uomini, compiuto in sincerità e povertà, con domande e attesa.

3 – Davanti al Crocifisso con vecchi e nuovi discepoli

Il Vangelo finora non aveva ancora rivelato tutta la drammaticità della figura di Gesù. Ciò avviene durante il suo viaggio (pellegrinaggio-salita) verso Gerusalemme (8,27-10,52). Prima egli aveva chiesto di accostarsi a lui con fiducia ed essenzialità, ora, dietro una curva della strada, improvvisamente appare una croce e una frase incomprensibile, ripetuta anche nel momento più esaltante e misterioso, la trasfigurazione (9,2-10): si chiedevano «che cosa volesse dire risorgere dai morti». La strada, lungo la quale Gesù impartisce l’insegnamento, segna il cammino dei discepoli tra intuizioni e incomprensioni. La confessione di Pietro (8,27-30) infatti rivela, subito dopo, la distanza del discepolo dal Signore (8,31-33).

I “tre annunci della passione” mettono alla prova la fede, manifestano anche un nuovo modello di vita, un atteggiamento pratico, spesso estraneo al pensiero umano: la liberazione dalle cose e da se stessi per scoprire la gioia del dono. È l’immagine del bambino opposta alla ricerca di onori e

grandezza, è il servizio a partire dagli ultimi contro il desiderio di potenza e ricchezza (i figli di Zebedeo e il ricco osservante che rifiuta di seguire Gesù, 10,17-28); è la fedeltà più forte della fragilità nelle relazioni anche coniugali (detto sul divorzio, 10,1-12). Le tentazioni provate da Gesù, che Marco non esplicita (1,12-13), vanno manifestandosi ora come prove per i discepoli di fronte al crocifisso. Gesù avverte che solo la preghiera vigilante permetterà di restare fedeli nella tentazione, come avviene per lui nel Getsemani, diversamente da Pietro (14,32-42. 66-72).

Avviene però un fatto nuovo. Mentre i discepoli, che avevano lasciato tutto per Gesù (1,17-20, 10,28-31), durante la passione «tutti lo abbandonarono e fuggirono» (14,50), altri discepoli si fanno avanti: i due ciechi guariti (8,22-26, a Betsaida; 10,446-52, a Gerico), il cireneo (Simone, padre di Alessandro e Rufo, persona conosciuta nella comunità romana, 15,21), il centurione, che a nome della chiesa romana, crocifissa come Gesù al tempo in cui Marco scrive il suo vangelo, esprime la fede nel Figlio di Dio che muore (15,39), Giuseppe d’Arimatea che chiede il corpo per la sepoltura (15,42-46), la donna anonima, che unge Gesù donando la cosa più preziosa che ha (14,3-9), e le altre donne testimoni della morte, sepoltura e risurrezione, depositarie del messaggio ultimo di Gesù, che osservano e ricordano (15,47-16,8). Perciò la morte, nonostante il buio, che copre la terra da mezzogiorno fino alle tre del pomeriggio (15,33), diventa il punto più luminoso, quello della fede ritrovata davanti al Crocifisso. E i primi discepoli? Torneranno offrendo il segno di una penitenza che accetta di riprendere il cammino.

Resta il paradosso finale del racconto originario del Vangelo di Marco (Mc 16,1-8). Gli studiosi riconoscono che gli ultimi versetti del vangelo attuale (16,9-20) sono stati aggiunti dopo. Nella finale originaria le donne ricevono il messaggio da annunciare, ma «Esse uscirono e fuggirono dal sepolcro, perché erano piene di spavento e di stupore.

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E non dissero niente a nessuno, perché erano impaurite» (v.8). Tuttavia, sappiamo che il messaggio è stato diffuso. Il silenzio allora non è dovuto a un maldestro narratore, ma sembra appellare ancora una volta al mistero del Messia, è invito a interrogarsi ancora. Questo motivo è confermato dal messaggio dell’angelo: «Andate, dite ai suoi discepoli e a Pietro: “Egli vi precede in Galilea. Là lo vedrete come vi ha detto”» (16,7). È quanto Gesù aveva annunciato durante la cena pasquale: «Tutti rimarrete scandalizzati, perché sta scritto: Percuoterò il pastore e le pecore saranno disperse (Zac 13,7). Ma, dopo che sarò risorto vi precederò in Galilea» (14,28). L’invito a ritornare sul luogo dove il Vangelo era iniziato (1,14-15) sembra esortare i discepoli a rifare tutta l’esperienza alla luce dei fatti nuovi.

Conclusione

A conclusione, possiamo delineare le dimensioni del percorso verso l’obiettivo che chiamiamo “diventare credenti”. Siamo partiti dalle sorprese e dall’esperienza delle domande che albergano nel cuore umano rappresentate nel Battista, e soprattutto dalla chiamata di Gesù ad andare dietro a lui (1,16-20). La risposta data dai primi discepoli – lasciare tutto per seguirlo, cioè metterlo come valore più alto – è quella che egli attende da ogni credente. Non si tratta di un’idea da comprendere, ma di una persona da incontrare.

Seguire Gesù, come discepoli, significa intraprendere un incontro ripetuto, sul modello del discepolo tracciato già nei libri sapienziali. È quell’andare verso di lui, che libera dall’anonimato delle folle e conduce all’esperienza personale della sua identità misteriosa e affascinante, fino a prendere ciascuno la propria croce (8,34) e a riconoscere nel Crocifisso il Figlio di Dio (Mc 15,39), la cui morte è il punto culminante della fede e del Vangelo.

Noi comprendiamo che quell’incontro e quella risposta sono possibili anche per noi. Ciò avviene in una duplice dimensione, personale e comunitaria, che è fatta di ascolto attento e di domande, di riflessione interiore e di orientamenti concreti, compreso l’agire, che ci fa apprendere e gustare lo stile di vita pratico di Gesù. E la preghiera diventa fondamentale soprattutto quando si deve affrontare la prova.

L’incontro con Cristo non è un fatto intimistico, la ricerca di un rifugio anche comunitario, ma un cammino che porta a incontrare uomini e donne con lo stile di Gesù, offrendo i segni del regno di Dio e testimoniando il medesimo amore sincero per l’umanità (è la dimensione della missione). L’atteggiamento sarà quello dei “pellegrini”, senza possessività (non si tratta di conquistare il mondo) ma nello spirito del dono, portando le ragioni della nostra speranza con dolcezza, rispetto e retta coscienza (1Pt 3,16). Abbiamo bisogno di credenti evangelizzati più che di evangelizzatori aggressivi.

L’insistenza sul mistero di Gesù (il segreto messianico) insegna che il vero credente non si accontenta di formule fisse. Fa parte dell’adesione a Cristo la ricerca e l’apertura a una più profonda comprensione. Perciò, non deve mai mancare lo stupore di chi si domanda: «Chi è costui?», e che cosa significhi: «Gesù è il Figlio di Dio».

Il Gesù di Marco è difficile, ma affascinante, misterioso e provocatorio. Il suo Vangelo, apparentemente semplice, è in realtà drammatico e carico di tensione, presenta un Gesù degno di essere sempre cercato e riscoperto. Perciò, una volta terminata la lettura, occorre... riprendere da capo, come i discepoli invitati a tornare in Galilea. È l’esortazione alla comunità – e ai lettori attuali – perché riprendano la lettura dall’inizio alla luce degli eventi finali.

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Riflessioni bibliche… di Sr. A. Buccolieri

OSARE GESTI

Dal Vangelo di Giovanni (12,1-7) 1Sei giorni prima della Pasqua, Gesù andò a Betania, dove si trovava Lazzaro, che egli aveva risuscitato dai morti. 2E qui fecero per lui una cena: Marta serviva e Lazzaro era uno dei commensali. 3Maria allora prese trecento grammi di profumo di puro nardo, assai prezioso, ne cosparse i piedi di Gesù, poi li asciugò con i suoi capelli, e tutta la casa si riempì dell’aroma di quel profumo. 4Allora Giuda Iscariota, uno dei suoi discepoli, che stava per tradirlo, disse: 5«Perché non si è venduto questo profumo per trecento denari e non si sono dati ai poveri?». 6Disse questo non perché gli importasse dei poveri, ma perché era un ladro e, siccome teneva la cassa, prendeva quello che vi mettevano dentro. 7Gesù allora disse: «Lasciala fare, perché essa lo conservi per il giorno della mia sepoltura. 8I poveri infatti li avete sempre con voi, ma non sempre avete me».

C’è un luogo evangelico, in cui sostare, nei giorni che ci apprestiamo a vivere a ridosso della domenica di Pasqua. Luogo simile alle nostre case, dove si intrecciano amori e dolori, speranze e timori, gesti e giudizi. Betania, il villaggio in cui vi è la casa di Marta, Maria e Lazzaro, è sulla strada che porta a Gerusalemme e Gesù dopo aver ridato vita alle ossa inaridite di Lazzaro (cf. Speciale Catechesi n. 3), vi si ferma per una cena. Marta è descritta con il verbo ‘diakoneo’, il verbo del servizio a immagine del Maestro che ‘non è venuto per farsi servire, ma per servire’ (Mt 20,28). Anche Maria, in un’apparente anticipazione, rivela un aspetto dell’Uomo – Dio, osando un gesto eccessivo, come senza misura sarà l’amore donato sulla croce.

Nella femminilità di questi gesti c’è una profonda complementarità senza contrapposizione: in fondo ogni madre e ogni padre compie nella propria casa, in relazione ai figli e a loro stessi, questo intreccio di amore e di servizio. E quando si ama non si calcola, quando si serve non si guarda il tempo: la gestualità della tenerezza sfiora la follia: ‘Maria allora prese trecento grammi di profumo di puro nardo, assai prezioso, ne cosparse i piedi di Gesù…’. Non è una follia solo di quantità ma di valore e di qualità. L’unguento di nardo, la cui radice è originaria del massiccio dell’Himalaya, era nell’antichità uno dei profumi più apprezzati e costosi. Giuda, con un occhio da buon commerciante, è in grado di stimare subito quel gesto: valeva ‘trecento denari’.

Maria sembra non avere altra preoccupazione che i piedi di Gesù e di riempire la casa, segnata precedentemente dalla puzza di un corpo morto, della fragranza di quel profumo. Gesù si lascia fare, toccare, amare concretamente, apprendendo da Maria un gesto che, passando dalla tavola di Betania alla tavola dell’ultima cena, lui stesso compirà sui piedi dei suoi amici. Una donna, la quale aveva intuito che Gesù si era giocato la propria vita (Gv 11,53) per l’amico Lazzaro, osa questo gesto grande di abbandono, di riconoscenza, di amore così che lavanda dei piedi in Giovanni 13 non sarà un gesto ossequioso, di subordinazione come in tante culture, ma veramente una lavanda di amore.

Ci lascia perplessi un Uomo-Dio che impara da una donna e che assume, per insegnarcela e consegnarcela, una logica di reciprocità? ‘Nel Vangelo di Giovanni tutto, anche per Gesù, accade nell’incontro e nella reciprocità dell’amore. Non c’è nulla a senso unico e il Vangelo non è questione di volontarismo e di generosità’1.

Osare gesti di amore ha come conseguenza l’essere esposti a fraintendimenti, a giudizi, a solitudine. E’ una logica perdente quella che accomuna Maria e Gesù. E tuttavia rende più vulnerabili e quindi più tentati a difendersi. Giuda è l’immagine del ragionamento che rifiuta l’amore, del calcolo che si oppone al dono, dell’avidità che oscura la grazia. Perfino i poveri sono solo un pretesto per non accogliere che l’Amore stesso è povero, mite, disarmato. Gesù, il povero di Nazaret, non solo permette che Maria continui a ‘fare’ quel gesto ma ne rilancia la profezia, anticipandone esegeticamente il significato: ‘Permettile che lo abbia versato tutto in questa occasione come se fosse oggi il giorno della mia morte. Essa ha consumato tutto il profumo che aveva comprato. Non ne ha conservato neppure una piccola quantità. Ciò nonostante il profumo rimarrà: il mio corpo lo conserverà come un vaso di alabastro, fino al giorno della mia sepoltura”2. Fare Pasqua è abitare le nostre case con gesti reciproci, folli, anticipatori di orizzonti e logiche altre. Questa è la Buona Notizia e questo sarà ricordo perenne: ‘dovunque sarà proclamato il Vangelo per il mondo intero, in ricordo di lei si dirà anche quello che ha fatto’ (Mc 14,9). Alessandra Buccolieri Casa Betania, Toara

1 JEAN VANIER, Incontri nel Vangelo di Giovanni, ed Ancora, Milano 2011, p.55. 2 N. CALDUCHE-BENAGES, Il profumo del Vangelo. Gesù incontra le donne, Paoline, Milano 2007, p. 92

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Biblioteca del catechista di F. Cucchini

PRIME PAROLE SU DIO“Prime parole su Dio” è il primo di cinque volumetti per un itinerario di catechesi per genitori e figli che Claudio Rugolotto ha preparato per un cammino di fede che coinvolge le famiglie, i catechisti e la comunità. Nella prefazione il Vescovo, mons. Cesare Nosiglia, sottolinea che: “ la catechesi familiare parte dal principio che i genitori sono, nella propria casa, i primi catechisti ed educatori alla fede e alla vita dei propri figli. Essa tuttavia non si limita a insegnare e ad accompagnare i genitori perché svolgano bene questo compito primario che è loro affidato da Dio, ma tende ad irrobustire la loro fede e la loro vita cristiana in famiglia perché dalla loro testimonianza ne scaturiscano non solo insegnamenti, ma esempi concreti, vissuti insieme ai loro figli”. (pag.4)

La proposta si sviluppa in cinque anni in un processo graduale che richiede l’adesione personale a Gesù e al suo messaggio. Nel primo anno si segue a grandi linee lo sviluppo dell’anno liturgico e della storia della salvezza con riferimenti ai catechismi CEI Lasciate che i bambini vengano a me e Io sono con voi.Nel secondo anno, seguendo il Vangelo di Marco, si risponde alla domanda: “Chi è Gesù?”.Successivamente il cammino prosegue con la scoperta di chi sia il discepolo di Gesù per passare poi alla vita eucaristica e alla vita di comunione. Nell’itinerario vengono anche ripensate le celebrazioni sacramentali con i bambini. “I sacramenti non sono fatti perché le famiglie organizzino una festa con parenti e amici, ma sono doni di Dio a chi vuole costruire la propria esistenza, seguendo giorno dopo giorno l’esempio e l’insegnamento di Gesù”. (pag. 6) Se i sacramenti sono un dono di Dio per un sincero e operoso cammino di fede, occorre una mentalità nuova che conduca ad un impegno concreto per uscire dalla indifferenza e dalla pigrizia per la novità di Cristo che investa la totalità della vita. Senza il coinvolgimento della fede nel quotidiano il cristianesimo rimane lettera morta. Per questo il cammino di catechesi ha bisogno “dell’appoggio dei genitori… Se il bambino vede che i suoi genitori sono interessati, condividono la sua esperienza, danno per primi un esempio di vita vissuta, il suo percorso di crescita nella fede sarà armonico”. (pag. 7) I volumetti sono di facile utilizzo per la chiarezza del linguaggio, la grafica essenziale e le immagini accattivanti.

Claudio Rugolotto è sacerdote della diocesi di Vicenza dal 1966. Dal 1968 al 1975 ha operato in Brasile, nello stato del Goiàs dove si è impegnato nella pastorale parrocchiale e diocesana con una particolare attenzione all’ambito giovanile. Rientrato in diocesi, dal 1975 al 1984 è stato assistente di Azione Cattolica per gli adolescenti. Dal 1984 è parroco e, attualmente, svolge il suo servizio a Marano Vicentino. Dal 1989 sperimenta in ambito catechistico metodologie nuove, che coinvolgano le famiglie dei bambini e dei ragazzi.

Claudio Rugolotto PRIME PAROLE SU DIO Itinerario di catechesi per genitori e figli EDB Bologna

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Sintesi del Documento dei Vescovi… di Sr. M. Zaffonato

Capitolo II: GESÙ, IL MAESTRO Di fronte alla sfida educativa è necessario metterci alla scuola di Gesù, il “Maestro buono” che educa alla vita con la parola e soprattutto con la testimonianza. I suoi gesti di perdono, di misericordia, di compassione e soprattutto il dono di Sé fino a consegnare la propria vita, raggiungono il cuore dei suoi amici che vengono in tal modo educati interiormente e resi idonei ad affrontare la nuova missione. Similmente Gesù opera con noi e per mezzo dell’azione dello Spirito Santo ci abilita ad affrontare i problemi educativi. “Gesù vide che erano come pecore senza pastore”; ebbe compassione di questa folla e si mise ad insegnar loro molte cose”. Anche oggi tanti nostri giovani e meno giovani sono simili a “pecore senza pastore”, disorientati per mancanza di guide autorevoli, anzi, spesso ingannati da maestri inaffidabili. I bisogni della nostra gente, come già per Gesù, deve interpellarci continuamente e muoverci a “compassione”. La prima azione di Gesù è l’insegnamento: “si mise a insegnare loro molte cose”. Gesù è anzitutto il Maestro che desidera aiutare gli uomini a risolvere i problemi, senza mai sostituirsi ad essi: con autorevolezza indica a tutti le vie della vita, rivela il mondo nuovo che il Padre desidera e chiama a farne parte invitando a costruire la pace. Invita all’ascolto della sua parola e il suo insegnamento non si fermerà nemmeno davanti all’incomprensione della folla e alle minacce dei farisei. Nel pane moltiplicato per saziare la fame delle folle, fa intravedere il sacramento dell’Eucaristia. Gesù si prende cura dei bisogni concreti del prossimo sia a livello materiale che spirituale.

Gesù risorto educa, attraverso l’insegnamento delle Scritture, i due discepoli in cammino verso Emmaus; nell’Antico Testamento, l’esodo dall’Egitto è un tempo in cui Dio educa il suo popolo, sazia la sua fame, spegne la sua sete e lo accompagna fino alla Terra Promessa. Dio educa per mezzo dei Profeti che, a tempo opportuno, suscita tra il popolo, ridestando, così, la fede nelle promesse divine. Il libro del profeta Osea è un inno di tenerissimo amore del Signore nei confronti di Israele e nel Siracide si pone nell’atteggiamento del maestro che sta accanto al discepolo per innamorarlo della Sapienza. La Chiesa, discepola, madre e maestra è il luogo della presenza di Gesù nella storia. La Chiesa attinge dal suo Maestro la missione e lo stile educativo, continuando in tal modo l’opera iniziata dal Signore. Sull’esempio di Gesù insegna l’accoglienza, la condivisione, la solidarietà, l’amore gratuito che si dona senza chiedere ricompensa. Il libro degli Atti degli Apostoli racconta la vita dei primi discepoli educati a vivere come il loro Maestro aveva indicato: ne ascoltavano la Parola, celebravano l’Eucaristia, mettevano in comune i beni e vivevano fraternamente nella gioia di Gesù Risorto. Queste dimensioni sono anche oggi, e lo saranno sempre, costitutive della vita ecclesiale perché possiedono una intrinseca forza educativa che deriva da Cristo. La Chiesa è madre, grembo accogliente, comunità di credenti che vivono da figli di Dio e da fratelli tra loro. La Chiesa, come afferma S. Agostino, educa e ammaestra tutti: i bambini con tenerezza, i giovani con forza vigorosa, gli anziani con serenità, accompagnando ciascuno secondo le esigenze fisiche, intellettuali e psichiche. La Chiesa è anche maestra , avendo ricevuto dallo stesso Gesù il mandato di “istruire tutte le genti”

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(Mt. 28,19), “affinché la Parola di Dio corra e sia glorificata” (2 Ts. 3,1). La Chiesa propone ai suoi figli un’autentica vita spirituale, un’esistenza secondo lo Spirito e ciò non in forza di uno sforzo volontaristico, ma di un cammino attraverso il quale il Maestro interiore apre la mente e il cuore alla comprensione del mistero di Dio e dell’uomo. E’ lo Spirito che forma i cristiani, i testimoni, i santi, perché la Trinità sia glorificata in terra e in cielo. Rinati nello Spirito per mezzo del Battesimo, siamo resi capaci di camminare in una vita nuova, secondo lo spirito delle beatitudini, vincendo le tendenze mondane e conformati sempre meglio a Gesù, unico Maestro. Lo Spirito dona, a chi lo segue, i suoi frutti che sono: amore, pace, gioia, benevolenza, bontà, magnanimità, fedeltà, mitezza, dominio di sé. Lo Spirito Santo, anima della Chiesa, forma i cristiani, i cittadini, le persone atte a costruire un mondo più giusto, più libero, più umano e solidale. Lo Spirito ci porta a vivere l’intera esistenza come una vocazione all’amore. Egli ci porta alla “misura alta” della vita cristiana, rendendo straordinari i gesti compiuti nella ferialità. Lo Spirito sviluppa nella Chiesa e in ogni cristiano la dimensione missionaria. Il cristiano è continuamente “vocato”, chiamato a costruire assieme ai fratelli il regno di Dio in mezzo agli uomini. Da questa dimensione scaturiscono l’impegno ecumenico attraverso un dialogo sincero, benevole e franco nei confronti delle altre confessioni cristiane al fine di camminare verso l’unità della Chiesa, secondo il desiderio profondo di Gesù e come afferma l’apostolo Paolo: “Un solo corpo e un solo Spirito, come una sola è la speranza alla quale siete chiamati, quella della vostra vocazione” (Ef. 4,4), quella di formare un solo “ovile sotto un unico Pastore”.

Anche le dimensioni caritativa e sociale vengono suscitate dallo Spirito. La carità è la virtù più grande, quella che non finirà mai e che ci rende a poco a poco simili a Dio la cui natura è Amore. Questo amore cristiano impegna il credente all’impegno sociale, al servizio del bene comune, allo sforzo per il trionfo della giustizia e della pace. Un’altra dimensione educativa ci suggerisce lo Spirito del Risorto: quella escatologica. All’educatore, s’impone il delicato, arduo compito di orientare la persona verso la pienezza della vita eterna , poiché, come asserisce Paolo, “E’ lo Spirito che attesta che siamo figli di Dio. Se siamo figli siamo anche eredi: eredi di Dio, coeredi di Cristo, se davvero prendiamo parte alle sue sofferenze per partecipare anche alla sua gloria” (Rm. 8, 16-17). La persona umana è un’unità di anima e corpo, nata dall’amore creatore di Dio e destinata a vivere eternamente con Dio, in Dio per Cristo Gesù.

36° CONVEGNO DIOCESANO DEI CATECHISTI 7-8-9 SETTEMBRE 2012

PARROCCHIA DI S. MARCO IN VICENZA

TI RACCONTO GESU’… La dimensione narrativa nell’annuncio e nella catechesi

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Piccolo angolo di Vita… e non solo … di M. Bertoncello

Cari catechisti e catechiste, ormai lo scorrere delle settimane ci sta accompagnando a gustare giorni decisamente più miti, il sole ormai pur non padroneggiando ancora, ha la forza di correre più velocemente di qualsiasi abbondante nube. In ogni caso, questo tempo pasquale emana il gradevole profumo della primavera e questo basta per farci sentire parte di uno spezzone di tempo già diverso, che ci offre quei tipici colori rinnovati che mescolati a tutti quei “rumori” primaverili, sollevano la pesantezza invernale della nostra vita quotidiana doverosamente vissuta al riparo dal gelo e dall’umidità della stagione appena trascorsa. La vita però cammina sempre con il suo entusiasmo, tra lavoro, famiglia, problemi e quant’altro…ma …pur tra tante difficoltà cammina e fa sentire la sua voce. E’ la voce della vita che cerca sempre una difesa, che cerca l’Amore del prossimo e che lavora giorno dopo giorno per rinnovarsinell’entusiasmo. Già diverse volte ho parlato dell’importanza di operare con tenacia e forza d’animo a difendere questo dono meraviglioso; un dono frutto di un amore grande, un amore che non si è fermato alle semplici parole ma è giunto al culmine del cammino nell’atto dell’estremo sacrificio.La vita è quel dono/valore che ogni uomo credente o non credente ha il dovere di difendere, come già detto, dal “concepimento alla morte naturale”. E’ dall’istante del concepimento, infatti, che la mamma e il figlio iniziano il loro dialogo segreto, e non si tratta solo di messaggi biologici, ma anche spirituali fra le loro anime. Se paragoniamo questa meravigliosa e misteriosa risonanza interiore a quella del suono di ogni coppia di corde dell’arpa, vediamo che in tutta la storia umana, solo una Mamma ha concepito un figlio la cui anima possedeva corde perfettamente simili alle

proprie: è la vergine Maria, concepita immacolata come suo figlio Gesù. Simile ad ogni maternità, ma infinitamente più profondo, tra il piccolo Gesù e la sua Mamma si è così formato e radicato negli anni un legame d’amore unico, che è andato intensificandosi non solo nel lungo periodo trascorso nel piccolo villaggio di Nazaret, ma anche nei tre anni di vita pubblica di Gesù in Palestina, fino all’ora estrema del Calvario. Di questo periodo il Vangelo sembra sottolineare più l’aspetto della rinuncia e del distacco affettivo, a cominciare dall’episodio del ritrovamento di Gesù ormai dodicenne nel tempio per continuare con l’atteggiamento del Signore a Cana e in altre circostanze “Chi è mia madre e chi sono i miei fratelli?....chi fa la

volontà di Dio, costui è per me fratello, sorella e madre” (Mc 3, 31-35), ma sarebbe un errore dedurne una certa indifferenza (teologicamente motivata) verso Maria.In realtà, proprio la pienezza d’amore del cuore del Figlio concepito sotto il cuore simile della Madre, e la conseguente unicità del legame d’amore fra le loro anime, permettono di intuire

un sentimento d’affetto reciproco molto intenso. Perciò, cari amici, quando contempliamo la Sacra umanità di Gesù, non dobbiamo fermarci solo al dato oggettivo dell’incarnazione, ma considerare anche l’immenso affetto di Gesù per Colei dalla quale è nato, è stato allattato ed allevato con amore e dolcezza, e il cui volto ha visto per primo ed ultimo nell’arco della sua vita terrena. Parole d’amore queste, che riflettono l’importanza del nostro compito di educatori e operatori di pace all’interno delle comunità parrocchiali di questa nostra diocesi e non solo. E’ proprio da e su questo esempio che la Chiesa italiana ha celebrato nel febbraio scorso la XXXIV Giornata per la Vita, un evento squisitamente ecclesiale al quale, però, il Movimento per la Vita non ha fatto mancare il

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proprio fondamentale apporto, umile e discreto, affinchè la riflessione potesse rimanere fedele all’intuizione originaria della Giornata, voluta dai Vescovi all’indomani dell’approvazione della legge 194 che legalizzava l’aborto. Un messaggio di vita, quello dei vescovi italiani, intitolato “Giovani aperti alla vita”,che suggerisce a tutti gli uomini che “la vera giovinezza risiede e fiorisce in chi non si chiude alla vita”.Accostare vita e giovinezza dà la stessa emozione che ad ogni volgere d’anno prende l’uomo quando conta un ultimo giorno ed un primo, qualcosa di vecchio e qualcosa di nuovo, nello scorrere di ogni giorno che segna il ciclo incessante del tempo. Ma… non sono solo i tramonti, è anche l’uomo che passa e che scorre dentro la finestra infinita del tempo, al centro della quale irrompe man mano la più giovane delle vite. La novità delle nostre esistenze sta in questo flusso di vita, nel quale è riposta la segreta speranza di questo nostro mondo ormai troppo affaticato da parole vane trasformate in giganti dalle ginocchia d’argilla. Nonostante ciò spunta la nuova vita, il futuro del mondo; in mezzo alle esigenze e ai bisogni, ai desideri e ai sogni che in modo febbrile premono sui pensieri e influenzano le azioni di molti giovani; il senso della vita - l’autocoscienza profonda che la vita è il più grande dei doni ricevuti, l’abbraccio dell’essere, la consistenza di un definitivo che trascende la finestra del tempo- coincide con il senso del bene, della gioia e della verità. Tutto ciò è una delle cose che emerge dalle righe del messaggio dei vescovi italiani, scritto in occasione della giornata per la vita. E’ anche vero che la cultura anti vita e distruttiva, oggi più diffusa che mai, tende a enfatizzarne il peso, perfino a rifiutare la vita; per le vecchie generazioni, lo smarrimento e l’incertezza che si registra nei più giovani, suona quasi come un implicito richiamo sul cosa si è trasmesso e su che cosa è stato sprecato o perduto, sulla frontiera dell’amore per la vita. Non a caso si sottolinea “Amore alla Vita”, e non soltanto “Rispetto per la Vita”. Il

rispetto è poco, se non c’è l’Amore; e il rispetto neppure si raggiunge, senza Amore. Cari amici, ciò che conta alla fine, è la testimonianza vissuta; che non è solo l’affanno di elencare regole e dispensare istruzioni ma, prima di tutto, la coerenza di far seguire ai discorsi giudiziosi il carico del soccorso reale alla vita, comunicando con la passione per la

verità, la grande emozione di servire la persona umana più fragile, come bene inviolabile. E’ l’esperienza di aiuto che convalida la scoperta che la vita, prima meraviglia, è il destino condiviso che ci rende fratelli. E che fratelli significa uguali e liberi, dentro il vincolo dell’Amore. La libertà orientata da questa coscienza si spenderà così verso una relazione

solidale, non nel disprezzo o nel conflitto

distruttivo. L’uguale dignità di ogni essere umano vivente “sia non ancora nato o estremamente limitato nelle sue funzioni”, ci apparirà sotto la luce di quel “sigillo misterioso” che rapporta ogni nostra esistenza al Signore della vita.

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