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«Sostenere l’impegno di favorire la gestione, la conservazione e lo sviluppo sostenibile delle foreste di tutto il mondo». È l’invito alla comunità internazionale lanciato dalle Nazioni Unite, che hanno proclamato il 2011 Anno internazionale delle foreste. Ogni giorno circa 350 kmq di foresta vengono distrutti in tutto il mondo dal taglio indiscriminato del legname, dalla cattiva gestione della terra e dalla conversione in terreni agricoli. Il rischio è enorme: le foreste ospitano popolazioni indigene, proteggono la biodiversità e attenuano gli effetti del cambiamento climatico. delle L’anno foreste ( In principio fu l’Amazzonia ) ( L’anima verde del pianeta ) ( Belpaese dalle mille chiome ) ( La cultura delle radici ) 2011 A cura di FEDERICA BARBERA E MARCO FRATODDI Saggi di VITTORIO AMADIO, BEPPE CROCE, MARIO MARCHETTI, ANTONIO NICOLETTI, MARIKA PIVA, BARTOLOMEO SCHIRONE Interviste a PAOLO DE CASTRO, ROBERTO DELLA SETA, MARCO GISOTTI, MAURO MASIERO, CESARE PATRONE Reportage JACOPO PASOTTI E ANDREA FRAZZETTA Storie di FRANCESCO LOIACONO, SARA MARCI, MATTIA SPERANZA, SIMONE TORRINI Approfondimenti di CHIARA ALBERO, LUISA CALDERARO, ARIANNA CULOTTA, ROBERTO D’AMICO, ERIKA DE BORTOLI, ELISABETTA GALGANI, MANUELA GIORGINO, MONICA PAONE, CARLO RUBERTO, LUCA SALICI, GIANFRANCO STABILE, VALENTINA TONIOLATTI Le schede sui popoli della foresta sono di FRANCESCA CASELLA, SURVIVAL SPECIALE

Speciale Foreste

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La Nuova Ecologia - Corso Euromediterraneo di Giornalismo Ambientale Laura Conti

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febbraio 2011 / La nuova ecologia 33

«Sostenere l’impegno di favorire la gestione, la conservazione e lo sviluppo sostenibile delle foreste di tutto il mondo». È l’invito alla comunità internazionale lanciato dalle Nazioni Unite, che hanno proclamato il 2011 Anno internazionale delle foreste.

Ogni giorno circa 350 kmq di foresta vengono distrutti in tutto il mondo dal taglio indiscriminato del legname, dalla cattiva gestione della terra e dalla conversione in terreni agricoli. Il rischio è enorme: le foreste ospitano popolazioni indigene, proteggono la biodiversità e attenuano gli effetti del cambiamento climatico.delle

L’anno foreste

( In pr inc ip io f u l ’Am az z oni a ) ( L’anim a ve rd e d e l p i ane t a ) ( Belpae se d al le mil l e chiome ) ( L a c ul t ura d e l l e ra di c i )

2011

A c u r a d i F e d e r i c a B a r B e r a e M a r c o F r a t o d d i

S a g g i d iV i t t o r i o a M a d i o , B e p p e c r o c e , M a r i o M a r c h e t t i , a n t o n i o n i c o l e t t i ,

M a r i k a p i Va , B a r t o l o M e o S c h i r o n e

I n t e r v i s t e a pa o l o d e c a S t r o , r o B e r t o d e l l a S e t a , M a r c o G i S o t t i , M a u r o M a S i e r o , c e S a r e pa t r o n e

R e p o r t a g e J a c o p o pa S o t t i e a n d r e a F r a z z e t t a

S t o r i e d iF r a n c e S c o l o i a c o n o , S a r a M a r c i , M a t t i a S p e r a n z a , S i M o n e t o r r i n i

A p p r o f o n d i m e n t i d ic h i a r a a l B e r o , l u i S a c a l d e r a r o , a r i a n n a c u l o t t a , r o B e r t o d ’a M i c o , e r i k a d e B o r t o l i ,

e l i S a B e t t a G a l G a n i , M a n u e l a G i o r G i n o , M o n i c a pa o n e , c a r l o r u B e r t o , l u c a S a l i c i , G i a n F r a n c o S t a B i l e , Va l e n t i n a t o n i o l a t t i

L e s c h e d e s u i p o p o l i d e l l a f o r e s t a s o n o d iF r a n c e S c a c a S e l l a , S u r V i Va l

Speci a le

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L’anno delle foreste2011

febbraio 2011 / La nuova ecologia

( In pr incipio f u l ’Amazzonia )

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a superficie di foresta amazzonica persa durante l’ultimo anno – da ago-sto 2009 a luglio 2010 – è stata la più bassa dal 1988, anno di inizio delle misurazioni. Il dato, fornito dall’Istitut-

to brasiliano per la ricerca spaziale, rivela che la distruzione è stata di “soli” 6.500 kmq, comunque superiore all’obiettivo di eliminare “solo” 5.000 kmq di foresta ma quasi la metà rispetto all’anno prece-dente e inferiore dell’85% rispetto al 2004. Secon-do la rivista Nature, in termini di riduzione delle emissioni di biossido di carbonio il rallenta-mento del processo di deforesta-zione del Brasile corrisponde più o meno alla quantità di anidride carbonica che gli Usa prevedono di risparmiare fino al 2020. Se i miglioramenti sono significativi, continua ad essere inaccettabile la distruzione di un ecosistema unico e irripetibile. Nel corso di milioni di anni nel bioma amazzonico si è formato il più ricco, eterogeneo e sconosciuto dominio ecologico del pianeta. Ma sono bastati 40 anni per distruggerne il 20%.

L’Amazzonia è la maggiore foresta pluviale del pianeta. Si estende su circa 6 milioni di kmq, più della metà dei quali in Brasile. È la regione dove si concentra la maggiore diversità biologica: il 5% della superficie terrestre che ospita un quarto delle specie e un terzo dell’intero patrimonio genetico del pianeta. Qui la diversità dei vegetali arriva fino a 400 specie per ettaro, in confronto alle 20-30 degli ecosistemi temperati. Apparentemente uniforme, presenta differenze anche notevoli di struttura e composizione. La foresta di Terra Firme – costituita da grandi alberi, localizzata su planizie non soggette a inondazioni – occupa la maggior parte del bacino amazzonico. Non si ha la dominanza di una specie arborea particolare, le più diffuse e distribuite sono 10 o 20, con molte altre più rare. La foresta di Var-zea occupa aree prossime ai fiumi, periodicamente inondate per molti mesi, dove vivono molti pesci. La foresta di Igapò si rinviene invece nelle aree paludo-se inondate ai margini dei corsi d’acqua: è bassa, con poche specie molto caratteristiche, con ampi spazi fra gli alberi che permettono la presenza di molte epifite. Le piante si sono adattate a periodi di som-

Ricominciamo dall’Amazzonia La superficie persa durante l’ultimo anno è la più bassa dal 1988. Il “polmone del mondo” però rimane sotto l’attacco dei disboscatori. Salvarlo significa preservare l’intero pianeta

d i V i t t o r i o a M a d i o

mersione di oltre 12 mesi, durante i quali vivono in uno stato latente.

Anche la diversità della fauna è straordinaria. Basti dire che le specie di mammiferi sono il 7% di quelle conosciute ma per alcuni gruppi, come pipi-strelli, marsupiali, roditori e primati il rapporto è decisamente più alto. L’avifauna conta circa 1.300 specie, il 15% di quelle note: dai minuscoli colibrì impollinatori alla possente arpia rapace, endemismi,

insieme a taxa più comuni. I falconiformi ad esem-pio sono rappresentati da almeno 20 specie, alcune molto rare. In Amazzonia vive poi un endemismo importantissimo per lo studio dell’evoluzione degli uccelli: l’hoatzin, specie che abita le boscaglie riparie. Notevolissima è la fauna erpetologica con circa 170 specie di anfibi e 400 di rettili, di cui oltre il 60% en-demiche. Vi sono serpenti di grandi dimensioni come l’anaconda e forme velenose come il grande serpente corallo surinamensis. E ancora gli invertebrati, il gruppo più numeroso della biodiversità: ne esistono infatti più nelle foreste pluviali che nel resto della Terra, oltre il 70% dei quali non è ancora stato clas-sificato. Anche la diversità degli ambienti acquatici, la meno conosciuta, è elevatissima: si ritiene che il numero reale delle specie di pesci possa superare le 2.500, circa il 10% del pianeta.

L’Istituto nazionale di ricerche amazzoniche di Manaus ha valutato che, per i servizi ambienta-li offerti, la foresta amazzonica dovrebbe ricevere annualmente dai paesi che ne beneficiano circa 40 milioni di dollari. L’Amazzonia, per fare un esempio, contiene nella sua biomassa circa il 20% del carbonio del pianeta, parte del quale è liberata durante la respirazione dell’ecosistema ma riassorbita attraver-so la fotosintesi: il risultato finale è un bilancio in equilibrio. Ma se la foresta è bruciata, o sostituita dal pascolo, libera irrimediabilmente carbonio che non può più riassorbire. Un altro esempio è l’acqua,

L‘Per i servizi ambientali offerti, dalle biomasse all’acqua, dovrebbe ricevere annualmente dai paesi che ne beneficiano 40 milioni di dollari’

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L’anno delle foreste2011

febbraio 2011 / La nuova ecologia

risorsa naturale sempre più critica. Nella regione si concentra oltre il 40% dell’acqua dolce superficiale disponibile sul pianeta. La deforestazione su larga scala ne altera però il ciclo, perché riduce la quantità che ritorna verso l’atmosfera con l’evapotraspirazio-ne della vegetazione. È stato valutato che aumenti sostanziali dell’area deforestata porterebbero a una diminuzione del 20% dell’acqua in atmosfera, inne-scando un meccanismo di cambiamento climatico regionale che a lungo termine produrrebbe un’al-terazione nella f lora, nella fauna e nelle attività umane. Superata una certa soglia il cambiamento si autoincrementa poiché i pascoli emettono il 15% in meno di vapore acqueo delle foreste. L’inaridimento produrrebbe un aumento degli incendi stessi e la siccità. Secondo studi recenti, infine, un terzo dei farmaci utilizzati nel mondo contiene prodotti che direttamente o indirettamente derivano da materie prime della foresta pluviale. Gran parte di questo patrimonio potrebbe essere distrutto prima di esse-re conosciuto: appena il 5% delle piante e l’1% degli invertebrati è stato già studiato. Ha ragione Norman Myers, insomma, quando dice che «anche se crederlo ci risulta difficile, il nostro futuro è strettamente legato a quello delle foreste tropicali».

( l ’aut ore )Vittorio Amadio è professore di Ecologia e di Analisi ambientale presso l’Università Mediterranea. Svolge attività di studio e ricerca nel campo delle Scienze ambientali, in particolare della conservazione della natura, la valutazione di impatto ambientale e il recupero ambientale. Nel ‘92 ha preso parte alla conferenza di Rio de Janeiro su Ambiente e sviluppo. È membro del Comitato scientifico di Legambiente.

( eroi )chico MendeS

In difesa dei seringueirosSimbolo della lotta alla deforestazione dell’Amazzonia, la storia di Chico Mendes inizia con la sua attività in difesa dei seringueiros, i “raccoglitori di gomma”, da cui lui stesso discendeva. Per tutta la sua vita si battè per difendere i lavoratori rurali dalle violente intimidazioni e dalle minacce di occupazione dell’Amazzonia. Migliaia di ettari di foresta furono salvati grazie all’empate, una forma di resistenza non violenta che i contadini misero in pratica formando delle vere e proprie catene umane a difesa degli alberi. Il suo assassinio, il 22 dicembre 1988, provocò un’ondata di proteste e fece scoppiare il caso Amazzonia a livello globale.

POlmONe A rISchIO

Il polmone del mondo ha un nome: amazzonia. il 20% dell’ossigeno della Terra viene da qui, da questo luogo di eccezionale bellezza ricco di piante, animali, acque e straordinarie risorse. Un paradiso dove la natura,

lussureggiante e incontaminata, copre secondo il rapporto Amazon alive 2010 del Wwf un’area di circa sei milioni di kmq, una superficie più grande dell’Ue. Dalle sue foreste dipendono le sorti del pianeta. riescono infatti a immagazzinare buona parte del carbonio presente in atmosfera, giocando così un ruolo fondamentale nella regolazione del clima. il brasile ne ospita la parte più consistente, circa il 60%, ma l’amazzonia si estende anche in altri otto paesi (Colombia, Perù, Venezuela, ecuador, bolivia, Guyana, Suriname e Guyana francese). È inoltre la riserva di acqua dolce più grande sulla Terra e si stima che la maggior parte delle specie viventi conosciute trovi casa al suo interno. Qui dal ‘99 al 2009 sono state scoperte 1.200 nuove specie, tra piante e animali vertebrati. Più di 300 sono invece le tribù di indigeni che vivono nella foresta. L’amazzonia offre infine legno pregiato e una grande varietà di frutti, spezie e resine.Tutta questa ricchezza è minacciata. negli ultimi cinquant’anni ne sono stati distrutti almeno 930.000 kmq, un’area grande due volte la Spagna. i processi di deforestazione che colpiscono la regione hanno le stesse cause: aumento della richiesta di terreni da destinare all’agricoltura industriale e all’allevamento di bestiame e sfruttamento indiscriminato delle risorse naturali. Secondo Greenpeace l’industria del legname non smette di addentrarsi verso il suo cuore, spazzando via ettari ed ettari di foresta primaria. rapida crescita regionale, modelli di sviluppo insostenibili, opere infrastrutturali faraoniche che non tengono conto degli impatti ambientali e crescente fabbisogno energetico la stanno mettendo a dura prova. ( M o n i c a pa o n e )

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( s tor ie )il VeScoVo erwin krÄutler

dalla parte degli indios

( inter vi s t a )roBerto della Seta

‘con la questione amazzonica, si alza lo sguardo dalla foresta a tutto l’equilibrio del pianeta’

«Per la prima volta il degrado ambientale ha coinciso con la messa in pericolo di tutto il pianeta. ecco perché l’amazzonia ha avuto un ruolo fondamentale nella diffusione del pensiero ecologista». a colloquio con roberto Della Seta, senatore, già presidente di Legambiente e autore, con Daniele Guastini, del “Dizionario del pensiero ecologico”, per scoprire come il movimento ambientalista sia cresciuto all’ombra della grande foresta e sul mito di Chico mendes.

Dobbiamo alla difesa dell’Amazzonia la diffusione della coscienza ecologista?

La cultura ecologista nasce su temi occidentali nel 1970 col primo giorno della Terra negli Usa: decine di migliaia di persone si mobilitarono contro l’inquinamento urbano. Progressivamente il movimento si allargò all’europa. Poi arriva l’amazzonia, e per la prima volta il degrado ambientale coincise con la messa in pericolo non soltanto della foresta ma di tutto l’equilibrio del pianeta.

L’ambientalismo occidentale è passato per il sangue dei popoli amazzonici. Come racconta la storia di Chico Mendes.

La vicenda dell’amazzonia ha legato la battaglia ambientale a quella contro il sottosviluppo. Una grande minaccia ecologica globale e lo sfruttamento dei paesi poveri da parte dei ricchi erano le due facce della stessa medaglia. Così il movimento acquisì una consapevolezza politica che prima non aveva. Chico mendes è stato il simbolo di questa capacità del movimento ambientalista di legarsi alle questioni dei paesi più poveri. nel ‘92, alla conferenza mondiale onu di rio, gli ambientalisti non erano solo i ricchi occidentali, ma anche i poveri dell’amazzonia.

Eppure c’è ancora chi parla di fallimento dell’ambientalismo, che cede il passo di fronte al diritto di crescita economica delle nazioni.

nei confronti dell’ambientalismo c’è spesso un atteggiamento superficiale. Si tratta di un movimento ancora giovane, con appena 40 anni di vita. i grandi movimenti della storia hanno iniziato a cambiare le cose solo molto dopo la propria nascita. il movimento operaio, nato con la rivoluzione industriale, ha visto le sue prime conquiste solo un secolo dopo. anche il femminismo ha sudato parecchio, e ancora oggi i diritti delle donne sono in parte incompiuti. insomma, ritengo sia attuale il motto del congresso nazionale di Legambiente del 2007: «il movimento ambientalista è un gigante culturale ma anche un nano politico».

Per la sua lotta in difesa dell’amazzonia brasiliana, e degli indigeni della

regione del fiume Xingu, il vescovo cattolico erwin Kräutler ha ricevuto il Right livelihood award, ovvero il premio al giusto modo di vivere, il nobel alternativo che l’omonima fondazione assegna ogni anno a quanti nel mondo si adoperano per una società migliore. Un premio che si aggiunge ad altri riconoscimenti assegnati a Kräutler per il suo impegno per i diritti umani e in difesa dell’ambiente. eppure il vescovo, che ama definirsi «il più grande latifondista spirituale del brasile», vive solo e sotto scorta proprio per via delle minacce di morte da parte dei latifondisti.nato in austria, da oltre quarant’anni in amazzonia, erwin Kräutler è presidente del Consiglio indigenista missionario (Cimi) e vescovo della prelatura dello Xingu, nello Stato del Parà, dove cinque anni fa ha trovato la morte suor Dorothy Stang, la religiosa statunitense assassinata per aver difeso i diritti delle popolazioni locali contro lo strapotere dei latifondisti. oggi monsignor Kräutler combatte una battaglia

per impedire la costruzione di una gigantesca centrale idroelettrica a belo monte, sul fiume rio Xingu, nel pieno della foresta amazzonica. Sarà la terza al mondo per potenza, produrrà 11.000 megawatt, e vede l’opposizione di numerose organizzazioni della società civile.«il programma d’insediamento della centrale ignora le persone che vi abitano – dice il vescovo Kräutler – non ci sono state udienze pubbliche sufficienti per presentare il programma e gli indios e le popolazioni del posto non sono state coinvolte nel programma». Lo Xingu è uno dei più importanti fiumi dell’amazzonia, lungo oltre 2.000 chilometri bagna il maggior insieme di riserve indigene e ambientali del brasile. il governo sostiene che non sarà danneggiato interamente in quanto verrà costruita una sola diga, secondo Kräutler insufficiente ad azionare le turbine per tutto l’anno. «e poi… per che cosa e per chi è l’energia elettrica? non è per noi dello Xingu – spiega Kräutler – ma per le grandi multinazionali». ancora loro. ( F r a n c e S c o l o i a c o n o )

segue >>

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L’anno delle foreste2011

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Oggi circa 30 milioni di persone vivono “arretrate e felici” in una terra vasta e selvaggia. L’Occidente si preoccupa della foresta solo nel proprio interesse?

È un concetto da approfondire. Lo stesso mendes ammoniva a non considerare felici i popoli che vivono in condizioni pre-industriali. Dobbiamo stare attenti a non idealizzare, da ecologisti, quella gente. non deve essere messo in discussione il progresso, ma bisogna fare i conti con la questione ambientale.

E con i limiti allo sviluppo. L’amazzonia ha contribuito a rompere il mito dell’illimitatezza delle risorse naturali: ora nessuno, neanche il più disinvolto degli economisti, può far finta di non sapere che la crescita non può essere senza limiti.

Oggi, in Bolivia c’è la campagna “Amazzonia senza petrolio”. L’Ecuador si fa pagare per non estrarre i propri barili. In Perù si vendono quote di foresta ai paesi che hanno bisogno di quote verdi.

in questi anni il Sud america, non solo l’amazzonia, è stato teatro di politiche innovative che hanno cercato di dare sostanza al concetto di sviluppo sostenibile. È anche il caso del brasile nella prima fase della presidenza Lula.

I ceti proletari del Brasile sono andati in paradiso con Lula, ma oggi il bilancio ambientale della crescita economica verdeoro per alcuni è negativo. Vuol dire che crescita e ambiente non vanno a braccetto?

no. Un paese grande come il brasile, fino a qualche anno fa immobile sul piano economico, ha avuto un’industrializzazione rapida e ciò non poteva non avere ripercussioni sul suo ecosistema. ora, dobbiamo sì risolvere i bisogni primari, ma fermarci sulla strada dell’industrializzazione.

Non a caso il partito verde di Marina Silva, in Brasile, vale il 20% dei voti.

L’amazzonia è la gran parte della superficie brasiliana, abitata dalla minoranza degli abitanti, ma le sue problematiche e gli interessi sono della maggioranza che vive lontano, sulla costa. La sfida è lontana dall’essere vinta.

“Appena” 5mila km quadrati di foresta disboscati nel ‘09, minimo storico. Giusto cantare vittoria?

È un sessantesimo del territorio italiano e questo ci fa impressione. Però l’amazzonia ha dimensioni molto più vaste dell’italia. È, dunque, un sensibile decremento da leggere come strada virtuosa anche se al tempo stesso lunga.

I governi occidentali e delle nazioni emergenti riusciranno a ridisegnare il proprio sviluppo nella direzione giusta?

Sì, sono ottimista. bisognerebbe andare un po’ più velocemente anche se negli ultimi 20 anni ci sono stati grossi progressi. Le minacce all’amazzonia oggi vengono più dai paesi emergenti, perciò bisogna coinvolgerli nella governance mondiale. La sfida riguarda oramai tutti, Cina e india comprese. ( G i a n F r a n c o S t a B i l e )

( eroi )dorothy StanG

Sorella Amazzonia«L’avidità degli invasori di terre, dei padroni delle segherie che tagliano illegalmente gli alberi e degli allevatori di bestiame che bruciano la foresta, impoverisce la già bassa fertilità di questa terra, causa erosione, aumento della temperatura e diminuzione delle piogge». Così Dorothy Stang descriveva la situazione del Pará, lo stato amazzonico che detiene i record di abusi di diritti umani e crimini ambientali. La suora settantatreenne, originaria degli Usa, per 37 anni dedicò la propria vita a proteggere l’Amazzonia e i lavoratori rurali. È stata uccisa con tre colpi di pistola il 12 febbraio del 2005.

( s tor ie )perù

lotta all’agrobusiness

erano imputati di aver istigato le popolazioni locali a ribellarsi contro l’ordine

pubblico e rischiavano dai 10 ai 15 anni di carcere. La sentenza di primo grado, rinviata già ben cinque volte a causa di uno sciopero del settore giudiziario, è arrivata il 21 dicembre scorso e ha assolto Padre mario bartolini (nella foto), missionario passionista di origini ascolane, insieme a eduardo Geovanni acate Coronel, direttore di radio oriente, un’emittente locale del vicariato apostolico di yurimaguas, regione di Loreto, Perù. Quattro anni di carcere ciascuno è invece la condanna inflitta ai quattro capi indigeni, che per ora rimarranno in libertà in attesa del processo d’appello. Per il missionario italiano, 70 anni di età e ormai da 35 in Perù si prospettava addirittura l’espulsione dal paese.nel 2006, il governo fujimori, senza studi d’impatto ambientale né accordo regionale, mette in vendita grossi appezzamenti di terra abitati e lavorati dalle popolazioni locali, tra cui porzioni di foresta costituzionalmente intoccabili per un totale di 3.000 ettari. L’acquirente principale è l’azienda romero, che in realtà usufruisce del Trattato di libero commercio siglato tra il Perù e

gli Usa, e spalanca le porte alle multinazionali di petrolio, gas, carbone, legno e agro-business. migliaia di indigeni si mobilitano da subito per opporsi all’ennesima cessione del loro territorio ad un’impresa affiliata alla multinazionale. il 5 giugno 2009 però, nei pressi della cittadina amazzonica bagua, l’esercito peruviano attacca i manifestanti, causando decine di morti. in seguito a questo massacro, e alla messa di suffragio che Padre mario celebra per l’anniversario, scattano le denunce che hanno portato al processo in corso, appoggiate da aurelio Pastor, ex ministro della Giustizia e molto vicino al gruppo romero. ora l’obiettivo è l’assoluzione anche per i dirigenti di base condannati al carcere. (M a t t i a S p e r a n z a )

( in t e r v i s t a ) roBerto della Seta

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I Penan, i “gentili nomadi del Borneo”, vivono nell’entroterra dei fiumi del Sarawak. Le loro foreste, intersecate da un labirinto di invisibili percorsi di caccia, sono delimitate da ruscelli, fiumi, rocce e montagne, a ognuno dei quali i Penan hanno dato un nome proprio. A partire dai primi anni ‘70, sono stati sfrattati per far spazio alle compagnie del legname, alle dighe e alle piantagioni di palma da olio. Costrette a vivere in villaggi, le tribù si sono progressivamente ridotte in povertà ma continuano a dipendere in modo sostanziale dalla foresta e alcuni gruppi conducono ancora una vita completamente nomade. Dal 1987, uomini, donne e bambini hanno cominciato a erigere barricate umane lungo le vie di accesso dei bulldozer, presidiandoli talvolta per mesi. Il governo risponde con la violenza e il carcere ma i Penan restano determinati a lottare per impedire la distruzione dell’ultima parte di foresta rimasta. ( F r a n c e S c a c a S e l l a )

I gentili nomadi

del Borneo

( sur vival - s iamo t ut t i uno )

(Le immagini di queste schede sono tratte dal

volume Siamo tutti uno, vedi pag. 74)

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L’anno delle foreste2011

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Ombra nera sul PerùIl 41% della foresta amazzonica peruviana è in concessione alle multinazionali petrolifere. E mentre si teme un aumento al 70% in dieci anni, gli indios alzano le barricate

t e s t i d i J a c o p o pa s o t t i • f o t o d i a n d r e a F r a z z e t t a

( repor t age )

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iamo a Lima, sotto un cielo tinto di grigio cenere. È la cappa perenne che copre la megalopoli stretta tra l’oceano e la catena andina. Dopo mesi di preparativi, la mis-sione organizzata dal Cesvi – ong impe-gnata in opere di aiuto umanitario e per

lo sviluppo – per documentare gli effetti dell’estra-zione di gas e petrolio nella foresta amazzonica è pronta. Ma un giorno prima di lasciare la capitale peruviana gli indios della selva scendono in strada, bloccano aereoporti, scuole, negozi, alzano barricate. E si preparano agli inevitabili scontri con polizia e militari. Perchè? Il 2009 ha segnato il culmine di un nuovo boom delle concessioni di esplorazioni e sfruttamento delle risorse del sottosuolo amazzonico e le comunità indigene si oppongono: la foresta è la loro terra, molta di essa gli è stata data in gestione, ora vogliono fare sentire la loro voce.

«Mi dispiace, tutti i voli sono cancellati per una settimana», così Nicola Bay, responsabile dell’ufficio del Cesvi a Lima, mette fine alla mia visita ai ter-ritori contesi tra le multinazionali del petrolio e le popolazioni locali. Seguirò gli avvenimenti dalla capi-tale peruviana. Andrea Frazzetta invece, il fotografo

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In apertura, le case galleggianti di Belèn, slum a est di Iquitos, principale centro dell’Amazzonia peruviana. A fianco, un oleodotto della compagnia Pluspetrol: nascosti nella selva peruviana si contano 700 pozzi. Sotto, ragazzi del villaggio di Trompeteros si tuffano in acque inquinate: limoni e papaye, abbondanti fino a 15 anni fa, non crescono più

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L’anno delle foreste2011

con cui ho elaborato il progetto, riuscirà ad andare più tardi a visitare le comunità del fiume Tigre, af-fluente del Rio delle Amazzoni nel distretto di Lore-to, dove gli indios osservano impotenti la spartizione della foresta tra i signori del petrolio. L’Amazzonia occidentale – divisa fra Colombia, Ecuador, Brasile e Perù – è la regione più ricca di biodiversità di tutto il bacino amazzonico. È popolata da numerosi gruppi etnici indigeni, fra cui alcune tribù ancora isolate dal resto del mondo. È considerata una delle ultime aree del globo il cui ecosistema è ancora intatto. Purtroppo però, poco sotto le radici profonde dei giganti della foresta, ci sono riserve di gas e greggio che aspettano di essere estratte ed esportate all’estero.

Queste risorse sono note da decenni, il primo boom di prospezioni petrolifere risale infatti agli anni ‘70. Ma diversi studiosi avvertono che è in cor-so un secondo tsunami petrolifero. Bastano un paio di numeri per comprendere l’entità del problema: nel

Andrea Frazzetta (Lecce, 1977) cresce a Milano, dove studia arte e architettura. Dopo la laurea si dedica alla fotografia, realizzando reportage in Sudamerica e Africa. Suoi lavori sono stati pubblicati su “New York Times”, “El Pais Semanal”, “The Guardian Weekend”, “Courier Japon”.

Jacopo Pasotti, geologo, ha lavorato per dieci anni nella ricerca: “investigando” il deserto in Palestina, i “ghiacciai di roccia” delle Alpi svizzere e il clima del passato, con studi specifici sui Carpazi. Collabora come docente al politecnico di Zurigo, come giornalista per “Geo”, “Il Venerdi” e “Science”.

2003, il 7% della foresta amazzonica peruviana era data in concessione alle multinazionali petrolifere. Da allora la percentuale è arrivata al 41%. Con una prospettiva di crescita fino al 70% nella prossima decade, secondo uno studio apparso su Pnas, presti-giosa rivista scientifica americana. Ad oggi è stato dato in concessione un quinto delle aree protette e quasi la metà delle aree che dovrebbero appartenere agli indios (perfino il 17% delle riserve create per tutelare tribù che hanno scelto di vivere in isolamen-to). In tutta l’Amazzonia, sono 688.000 i km quadrati oggetto di sfruttamento o esplorazione. Una superfi-cie estesa quanto la Francia.

Da un lato, quindi, c’è il presidente Alan Garcia, con il suo disegno di fare del Perù «una superpo-tenza del petrolio», che sprona il popolo peruvia-no a «difendere il progresso». Dall’altra ci sono i 500mila indigeni uniti sotto la associazione Aide-sep, espressione di diverse associazioni locali, che il 9 giugno 2009 si sono opposti alle forze dell’ordine (23 poliziotti e 9 dimostranti le vittime accertate degli scontri). Il presidente dell’Aidesep, Alberto Pinzago, su cui pende un mandato di cattura, è rifugiato nell’ambasciata nicaraguense, che visito insieme a giornalisti locali ma che trovo presidiata dai militari. Mentre il presidente liquida il proble-ma degli indigeni sostenendo che a loro appartiene la foresta, ma non quello che ci sta sotto. Lascio il Perù mentre le ultime barricate vengono smontate nei centri abitati della selva, le pressioni interna-zionali smorzano i toni del presidente nei riguardi di Pinzago, gli indios ritornano alle loro famiglie, mentre gli analisti non prospettano alcun calo negli interessi di governi e multinazionali sulle riseve di idrocarburi, ma un aumento degli attriti con le associazioni indigene e quelle ambientaliste. Il ca-pitolo, dunque, è ancora aperto.

( g l i aut or i )

Dall’alto, in senso orario: lungo il fiume Tigre, affluente del Rio delle Amazzoni, un uomo costruisce una canoa; il bruciatore di un pozzo petrolifero spicca nello skyline della foresta; Cesar August, leader della comunità del villaggio “28 luglio”

Page 11: Speciale Foreste

La nuova ecologia / febbraio 201144

L’anno delle foreste2011

febbraio 2011 / La nuova ecologia

( L’anima verde de l pianet a )

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febbraio 2011 / La nuova ecologia 45

ilioni di anni fa siamo scesi dagli alberi e da allora pas-siamo gran parte del nostro tempo a tagliarli o bruciarli… Adesso che avremmo bisogno

di loro per mantenere gli equilibri ecologici, ci accor-giamo che sono troppo pochi». È Giuseppe Barbera in un bel saggio (Abbracciare gli alberi, Mondadori, 2009) a ricordarci che le foreste hanno un ruolo essenziale per il mantenimento della stabilità ambientale: copro-no il 30% delle terre emerse, contengono il 90% della biomassa e il 70% della Produzione primaria netta ter-restre (Pnt). Il bosco svolge poi un’importante funzione di habitat e conservazione della biodiversità, vegetale, animale e fungina. Ci sono, infine, le funzioni di prote-zione del suolo, turistico-ricreativa e storico-culturale che pure meritano di essere sottolineate.

Questo patrimonio però, in particolare durante gli ultimi cinquant’anni, è stato profondamente intaccato. Una conferma arriva dal Global forest resources asses-sment 2010, la valutazione sullo stato delle foreste del mondo pubblicata di recente dalla Fao che analizza 90 indicatori in 233 paesi e territori, per la quarta volta dal 1990. Ne emerge innanzitutto come i processi di disboscamento che hanno ridotto la superficie fore-stale del mondo a 4 miliardi di ettari (dagli oltre 6 miliardi fino a 10.000 anni fa) si concentrano sempre nelle foreste tropicali, che coprono appena il 7% della superficie del Pianeta. I primi 10 paesi colpiti sono Brasile, Australia (a causa della siccità prolungata), Indonesia, Nigeria, Tanzania, Zimbabwe, Repubblica democratica del Congo, Myanmar, Bolivia e Venezuela. In Africa e America Latina numerosi paesi continuano a sfruttare le proprie risorse forestali molto al di sopra delle capacità naturali di recupero, con la perdita net-ta maggiore soprattutto di foreste pluviali.

Tra il 1990 e il 2010 si è verificato per la verità un lieve rallentamento di questo fenomeno: oggi vengono convertiti ad altro uso o persi per cause naturali 13

Radici globaliArretrano nelle zone più povere, avanzano in Europa e nei paesi che esportano legname. Come cambia il mappamondo delle foreste. Anche a causa dei cambiamenti climatici

d i M a r c o M a r c h e t t i

milioni di ettari, contro i 16 del 1990. Questo non in-duce però ottimismo visto lo spostamento dei motivi di pressione su paesi a fortissima crescita economica. È stato calcolato, infatti, che nessuna nazione in cui il Pil annuo pro capite sia superiore ai 4.600 dollari sta perdendo foreste. Una parte della spiegazione è che i paesi poveri tagliano foreste per ospitare coltivazioni o per esportare legname e pasta da cellulosa. Quan-do la loro economia si sviluppa e comincia ad offrire industrializzazione e terziario, la pressione sulle fore-ste diminuisce. Ma i boschi aumentano in paesi come Cina, Usa, India, Vietnam e Turchia soprattutto gra-zie alle piantagioni per scopi produttivi e di protezio-ne del suolo. Mentre nei paesi europei come Spagna, Svezia, Italia, Norvegia e Francia l’espansione della copertura boschiva deriva dall’abbandono degli spazi rurali che porta forti evidenze di rinaturalizzazione

ma anche rischi di banalizzazione del paesaggio. Un’ulteriore critici-tà è data dalla distribuzione geo-grafica e sociopolitica delle risorse forestali. Si pensi che più del 50% della superficie forestale totale appartiene a Federazione Russa, Brasile, Canada, Usa, Cina e che

i due terzi si trovano in soli 10 paesi (aggiungendo Australia, Repubblica Democratica del Congo, India, Indonesia e Perù). Tutte aree a forte sviluppo econo-mico ma spesso a ridotta efficienza energetica.

Oltre alle crescenti minacce alle foreste primarie (che sono 1,4 miliardi di ettari, il 36% del totale, e diminuiscono dello 0,4% all’anno) suscitano allarme i modelli che prevedono un forte decremento della pro-duttività forestale a causa del cambiamento climatico. Le cause sono i mutamenti globali nell’uso del suolo e l’aumento dei fattori di disturbo, peraltro poco inda-gati e conosciuti: periodi siccitosi, frequenza di eventi meteorici pericolosi, crescita delle aree a rischio in-cendi (l’1% della superficie totale subisce il passaggio del fuoco). E ancora, l’introduzione di specie invasive e gli attacchi parassitari fuori controllo. Le foreste, come conferma il rapporto della Fao, giocano del re-sto un ruolo importantissimo nell’immagazzinamen-to di anidride carbonica. Sono infatti fra i principali serbatoi di carbonio, con 289 miliardi di tonnellate di CO2 assorbiti ogni anno. Ne perdono però cinque ogni dodici mesi, pari al 20% delle emissioni totali:

‘Sono fra i principali serbatoi di carbonio. Ma perdono ogni dodici mesi il 20% delle emissioni

totali, più dell’intero comparto trasporti e con un impatto inferiore soltanto al settore energetico’

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La nuova ecologia / febbraio 201146

L’anno delle foreste2011

febbraio 2011 / La nuova ecologia

più dell’intero comparto trasporti e con un impatto inferiore soltanto al settore energetico.

Il quadro internazionale comples-sivo delle convenzioni mondiali, come quello dei singoli paesi, sta più o meno esplicitamente riconoscendo il rilevante interesse pubblico del bosco. È necessa-rio però cambiare l’approccio di matrice “fordista” della pianificazione, secondo il quale a ogni spazio corrisponde una funzione, con risultati che hanno por-tato finora alla scarsa consapevolezza delle dinamiche evolutive del paesaggio e all’alterazione della struttura profon-da del territorio che è, per sua natura, multifunzionale. Responsabilità indivi-duale e governance nazionali e mondiale non possono sottrarsi alla cura verso le generazioni future. Serve una decisa in-versione di tendenza, pena distruzione e conflitti per risorse e territori vivibili, che valorizzi lo stretto legame tra la bio-diversità, le interazioni tra gli ecosiste-mi e i loro servizi. I processi internazio-nali vanno lentamente e faticosamente in questa direzione, per trovare il giusto equilibrio nell’uso di una risorsa natu-rale rinnovabile che è allo stesso tempo simbolo e custode primario e millenario della biodiversità degli ecosistemi ter-restri. C’è poca terra per soddisfare la richiesta di legno, biomasse, alimenti e natura. Bisogna utilizzarla bene e in modo equo: «Sulla Terra – scriveva d’al-tro canto Francis Bacon – c’è abbastanza per soddisfare i bisogni di tutti, ma non per soddisfare l’ingordigia di pochi»

( eroi )JULia BUtterFLY hiLL

Due anni sulla sequoiaAveva solo 23 anni quando, il 10 dicembre 1997, salì su una sequoia millenaria della California per difenderla dalla Pacific Lumber, una multinazionale del legno che voleva disboscare la foresta di Headwaters. Ci è rimasta per 738 giorni, sospesa a 60 metri di altezza su una minuscola piattaforma, in balia degli agenti atmosferici, e delle minacce della compagnia che la tormentava con il vento e le luci degli elicotteri o impedendo che gli attivisti le portassero il cibo. Su quell’albero ci è rimasta fino a quando non ha ottenuto un accordo che metteva in salvo “Luna”, la sua sequoia, e più di tre ettari di bosco circostante.

( l ’aut ore )Marco Marchetti è professore ordinario di Conservazione delle risorse forestali presso l’Università del Molise e direttore del laboratorio di Ecologia e Geomatica forestale del dipartimento di Scienze e tecnologie per l’ambiente e il territorio. È anche membro del Team of specialists on monitoring sustainable forest management di Unece/Fao e del Scientific advisory board dello European forest institute

( numer i )

4MiLiarDi gli ettari di foreste che ricoprono il

pianeta, contro i 6 di 10mila

anni fa

13MiLionigli ettari

attualmente convertiti ad altro uso o

persi per cause naturali, contro i 19 del 1990

289MiLiarDile tonnellate di anidride carbonica

assorbita ogni anno dalle

foreste

bioma da record

L’uomo si mobilita per salvare le foreste. Ma da che cosa? ecco il paradosso: l’uomo protegge la natura da se stesso, dalle sue azioni, dai suoi crimini ambientali.

Le foreste costituiscono il bioma più diffuso della Terra, quantificato dalla fao in circa 4.000 milioni di ettari, che grosso modo corrispondono a una media di 0,6 ettari procapite. i cinque paesi con maggior ricchezza forestale sono russia, brasile, canada, Stati uniti e cina, che da soli “posseggono” più della metà dell’area boschiva mondiale. Sono invece dieci i paesi che non hanno neanche una foresta al loro interno, 54 quelli che ne hanno per meno del 10% della loro estensione.La causa più importante della deforestazione resta la conversione delle aree forestali in zone agricole, fenomeno che però mostra segnali incoraggianti. durante l’ultimo decennio, infatti, ogni anno circa 13 milioni di ettari sono stati convertiti in terre destinate ad altro uso, o sono andati perduti per cause naturali, rispetto ai 16 milioni del decennio 1990-2000. in altra direzione vanno i cambiamenti climatici: nella sola australia siccità e incendi hanno provocato, nel 2009, la distruzione di ben 450.000 ettari di foreste. un altro dato preoccupante è quello che riguarda le cosiddette foreste primarie, cioè quel 36% dell’area forestale mondiale dove i processi ecologici non hanno subito alterazioni significative. Secondo la fao, dal 2000 a oggi sono diminuite di oltre 40 milioni di ettari. in alcune aree però, soprattutto nel Vecchio continente, negli ultimi decenni si sta verificando il fenomeno opposto: la riforestazione di zone originariamente destinate ad altri usi e l’abbandono dei terreni agricoli stanno provocando un evidente aumento della superficie forestale. un fenomeno che ha ridotto la perdita netta dell’area boschiva in maniera significativa: ogni anno, fra il 2000 e il 2010, una superficie grande come il costa rica (5,2 milioni di ettari) è stata così risparmiata dal disboscamento. ( a r i a n n a c U L o t t a )

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febbraio 2011 / La nuova ecologia 47

( inter vi s t a )MaUro Masierosegretario gruppo Fsc-italia

‘Le foreste certificate Fsc ammontano a oltre 135 milioni di ettari in 81 paesi. Le aziende in possesso di un certificato Fsc sono 19.300’

Che cos’è il Forest stewardship council?creato nel ‘93 il forest stewardship council (fsc) è un’organizzazione non governativa che fra i suoi 900 membri include associazioni ambientaliste, comunità indigene, proprietari forestali, industrie che lavorano e commerciano legno e carta, gruppi della grande distribuzione, ricercatori e tecnici. Soggetti che operano insieme per promuovere una gestione responsabile delle foreste, dal punto di vista ambientale, sociale ed economico. in particolare fsc ha definito un sistema internazionale di certificazione di parte terza, specifico per il settore forestale e i prodotti derivati. in italia dal 2001 è rappresentato dal gruppo fsc-italia.

In che consiste la vostra certificazione?Sono previste due tipologie di certificazione, fra loro complementari: la certificazione della buona gestione forestale (fm) per i proprietari di foreste e quella della catena di custodia (coc) per le imprese di trasformazione e commercializzazione dei prodotti forestali, legnosi e non. Per ottenere la certificazione di una foresta o di una piantagione devono essere rispettati i 10 principi e i 56 criteri definiti da fsc con il consenso delle parti interessate, e dettagliati e adattati alle condizioni locali. devono essere valutate le prime fasi di pianificazione degli interventi, le fasi operative, l’abbattimento e l’estrazione del legname. Sono inoltre fondamentali la partecipazione e il consenso degli stakeholder, ovvero di tutti i soggetti portatori di interessi (ambientali, sociali, economici). La certificazione coc garantisce la rintracciabilità lungo la filiera dei materiali provenienti da foreste certificate fsc ed è indispensabile per poter etichettare con il logo fsc i prodotti.

Quanto è diffusa la certificazione Fsc su scala mondiale?

oggi le foreste certificate fsc ammontano a oltre 135 milioni di ettari in 81 differenti paesi. Le aziende di trasformazione del legno e dei suoi derivati in possesso di un certificato fsc per la catena di custodia sono 19.300, in 103 paesi. il database completo è su http://info.fsc.org.

E in Italia?è certificata per buona gestione una superficie di 60.000 ettari. Ma numerose iniziative di preparazione alla certificazione della gestione sono in corso in diverse regioni, il che fa ben sperare per i prossimi anni. Le aziende certificate per la catena di custodia sono invece oltre 860, con un trend di crescita rilevante. Questo significa che anche in italia è sempre più facile scegliere prodotti col marchio fsc, prodotti che fanno bene alle foreste, all’ambiente e alle persone. ( F e D e r i c a B a r B e r a )

( s tor ie )paraDiso neL paciFico

L’isola che non ha pace

il Papua occidentale, la parte a ovest della Nuova guinea che fa parte

dell’indonesia, è un paradiso verde. L’isola, seconda al mondo per estensione, ospita le foreste intatte del Pacifico asiatico, ma anche un’enorme quantità di risorse minerarie, causa di conflitti tra multinazionali, popolazioni locali e governo indonesiano. Le foreste papuesi, dove vive solo lo 0,01% della popolazione mondiale ma si parla il 15% delle lingue conosciute al mondo, hanno un tasso di distruzione altissimo e più di due terzi sono già stati abbattuti. «Le tribù hanno una relazione molto stretta con la loro terra e le loro montagne, che spesso assumono un significato spirituale», dice Sophie grig di Survival, un’organizzazione mondiale per la protezione dei diritti umani. Questa relazione tribù-terra è stata però violata più volte nella storia. L’ultima nel 1963, quando gli olandesi, che arrivarono nel sud-est asiatico nel 1714, portarono il Papua occidentale a un referendum farsa che i papuesi chiamano “atto della non libera scelta”: solo 1.025 persone su 2,2

milioni furono selezionate per votare con un fucile puntato alle tempie. L’esito fu scontato, il Papua entrò a far parte dell’indonesia.«Molte terre degli amungme e dei Kamoro sono state distrutte dalle compagnie di estrazione – riprende Sophie grig – La montagna grasberg, “terra madre” degli amungme, è stata scavata dalla multinazionale freeport e i rifiuti d’estrazione sono stati gettati nei fiumi, uccidendo i pesci e il sago, alimento base dei Kamoro. Le compagnie minerarie sono anche armate e i soldati hanno ucciso, stuprato e torturato i papuasi». Tanto che gli usa hanno cominciato le pratiche per interrompere i finanziamenti all’esercito indonesiano dopo la diffusione di un video di torture (visibile su www.survival.it). Però la persecuzione continua. e la foresta è minacciata anche dalle piantagioni di polpa di legno e palma da olio. «i papuesi – conclude Sophie grig – sono incredibilmente coraggiosi e molti sono pronti a combattere per difendere i propri diritti». in attesa che la comunità internazionale intervenga. ( sara Marci )

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La nuova ecologia / febbraio 201148

L’anno delle foreste2011

febbraio 2011 / La nuova ecologia

Taiga russa

Giungla del Sud-Est asiatico

Foresta Gola

Foresta pluviale del bacino del CongoAmazzonia

Valvidiane Magellanic

Foresta pluvialedel Centro America

Taiga canadese/alaskana 4.000.000 Km 2

Ospita un quinto delle forestepresenti sulla superficie terreste, e rappresenta il più grandepaesaggio forestale intatto.

STATO DI SALUTE È minacciata dalle multinazionali del legno, del petrolio e del gas.A causa dellʼaumento della temperatura terreste nellʼestate 2010 è stata colpita da una serie di incendi che hanno distrutto oltre 100.000 ettari di foresta.

SPECIE A RISCHIO

Tigre diAmur

Leopardodi Amur

1.470.000 Km 2

LʼIndonesia contiene un decimo delleforeste pluviali del mondo e il 40% di quelle dellʼAsia

STATO DI SALUTE Fortemente minacciate dal disboscamento per piantagioni di gomma e di palma da olio che in Malesia hanno già distrutto 2/3della foresta di pianura. Le popolazioni tribali che dipendonodalla foresta per la loro sussistenzasono entrate in conflitto con i contadini, con i taglia legna, con gli estrattori di materie prime e con i coltivatori di palme da olio.

SPECIE A RISCHIO

Rinoceronte di Sumatra

Orangotango

1.720.000 Km 2

Comprende il 18% delle foreste pluviali rimanenti al mondo ed è quindi la seconda più grande dopolʼAmazzonia. Rappresenta il 70%della copertura arborea dellʼAfrica.

STATO DI SALUTE Minacciata dal disboscamento:solo nella Repubblica Democraticadel Congo sono state date concessioni per disboscare oltre 50 milioni di ettari. Due terzi dei 60 milioni di abitanti della RepubblicaDemocratica del Congo dipendonodalla foresta per cibo, medicine e riparo.

SPECIE A RISCHIONella foresta vivono 600 specie di piante e 10.000 specie di animali.

750.000 Km 2

Rappresenta la più grande forestapluviale di pianura rimanente inSierra Leone.

STATO DI SALUTE A rischio a causa del disboscamentoiniziato tre secoli fa per far spazio ai terreni agricoli. Minacciata anche dallʼestrazione di carbone e dallʼindustria del legname.

SPECIE A RISCHIO

Ippopotamopigmeo

Gatto doratoafricano EL

ABO

RAZ

ION

I SU

DAT

I GR

EEN

PEAC

E, F

OR

EST

WAT

CH

, FAO

E W

WF

Estensione attuale

Estensione attuale

Estensione attuale

Gorilla Bonobo

Estensione attuale

3.000.000 Km 2

Composta da un arco di foresteboreali di 6500 km che si espandonoda Terranova allʼAlaska.

STATO DI SALUTE È considerata la foresta meno a rischio al mondo, eppure unquarto risulta ancora minacciata.La vegetazione è, infatti, spintasempre più a nord dalle estrazioniminerarie, dallo sviluppoidroelettrico e dallʼaumento delladomanda di fibre per il legno.

SPECIE A RISCHIO

Caribou Grizzly

248.000 Km 2

Foresta pluviale temperata diconifere e latifoglie. Milioni di anni diisolamento hanno creato un habitatche ospita un abbondante numero dispecie endemiche di piante.

STATO DI SALUTE Minacciata dal disboscamentoper la produzione di truciolatoda esportazione e per far spazioa terreni da coltivare.

SPECIE A RISCHIO

Colibrì diFernandez

Pudu

4.000.000 erra e viene definita per

Km 2

È la più grande foresta pluviale delmondo. Produce circa il 20% dellʼos-sigeno della T

SPECIE

questo “polmone” del pianeta.

STATO DI SALUTE Negli ultimi 50 anni l’uomo ha distrutto più del 17% della forestaAmazzonica. Le principali cause di questo disastro dipendono dalladiversa destinazione data alle areedisboscate, usate come pascoli per il bestiame o per la coltivazionedella soia.

A RISCHIOContiene metà delle specie di tutto il mondo. Almeno 40.000 specie di piante, 427 di mammiferi, 1294specie di uccelli, 378 di rettili, 427 di anfibi e 3.000 di pesci. Sonostimate 3 milioni di specie di insetti.

Bradipo Giaguaro

231.000 Km 2

Sono delle foreste molto fitte e dal clima caldo umido. Coprono la fascia costiera che tocca Messico, Belize,Guatemala e Panama, fino ad arrivare in Venezuela. Ricche di biodiversità, sono luogo di migrazione per la farfalla Monarcae corridoio di vitale importanza per molti uccelli.

STATO DI SALUTE Fortemente minacciata dallʼespansione agricola, dal taglio degli alberi e dall’aumento delle infrastrutture. Nella regione del Darien la principale minaccia è il completamento dellʼautostradapan-americana.

SPECIE A RISCHIO

TFarfalla monarca

apiro

Estensione attuale

Estensione attuale

Estensione attuale

Estensione attuale

( L’Atlante )

patrimonio da difendere Le foreste si estendono oggi per 4 miliardi di ettari (pari a 40.000.000 di Kmq) sul pianeta. fino a 10.000 anni fa coprivano 6 miliardi di ettari. ogni anno viene persa la capacità di assorbire 5 miliardi di tonnellate di co2.

Nel nostro atlante le foreste del mondo più a rischio: le cifre rappresentano l’estensione attuale.

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Taiga russa

Giungla del Sud-Est asiatico

Foresta Gola

Foresta pluviale del bacino del CongoAmazzonia

Valvidiane Magellanic

Foresta pluvialedel Centro America

Taiga canadese/alaskana 4.000.000 Km 2

Ospita un quinto delle forestepresenti sulla superficie terreste, e rappresenta il più grandepaesaggio forestale intatto.

STATO DI SALUTE È minacciata dalle multinazionali del legno, del petrolio e del gas.A causa dellʼaumento della temperatura terreste nellʼestate 2010 è stata colpita da una serie di incendi che hanno distrutto oltre 100.000 ettari di foresta.

SPECIE A RISCHIO

Tigre diAmur

Leopardodi Amur

1.470.000 Km 2

LʼIndonesia contiene un decimo delleforeste pluviali del mondo e il 40% di quelle dellʼAsia

STATO DI SALUTE Fortemente minacciate dal disboscamento per piantagioni di gomma e di palma da olio che in Malesia hanno già distrutto 2/3della foresta di pianura. Le popolazioni tribali che dipendonodalla foresta per la loro sussistenzasono entrate in conflitto con i contadini, con i taglia legna, con gli estrattori di materie prime e con i coltivatori di palme da olio.

SPECIE A RISCHIO

Rinoceronte di Sumatra

Orangotango

1.720.000 Km 2

Comprende il 18% delle foreste pluviali rimanenti al mondo ed è quindi la seconda più grande dopolʼAmazzonia. Rappresenta il 70%della copertura arborea dellʼAfrica.

STATO DI SALUTE Minacciata dal disboscamento:solo nella Repubblica Democraticadel Congo sono state date concessioni per disboscare oltre 50 milioni di ettari. Due terzi dei 60 milioni di abitanti della RepubblicaDemocratica del Congo dipendonodalla foresta per cibo, medicine e riparo.

SPECIE A RISCHIONella foresta vivono 600 specie di piante e 10.000 specie di animali.

750.000 Km 2

Rappresenta la più grande forestapluviale di pianura rimanente inSierra Leone.

STATO DI SALUTE A rischio a causa del disboscamentoiniziato tre secoli fa per far spazio ai terreni agricoli. Minacciata anche dallʼestrazione di carbone e dallʼindustria del legname.

SPECIE A RISCHIO

Ippopotamopigmeo

Gatto doratoafricano EL

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E, F

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Estensione attuale

Estensione attuale

Estensione attuale

Gorilla Bonobo

Estensione attuale

3.000.000 Km 2

Composta da un arco di foresteboreali di 6500 km che si espandonoda Terranova allʼAlaska.

STATO DI SALUTE È considerata la foresta meno a rischio al mondo, eppure unquarto risulta ancora minacciata.La vegetazione è, infatti, spintasempre più a nord dalle estrazioniminerarie, dallo sviluppoidroelettrico e dallʼaumento delladomanda di fibre per il legno.

SPECIE A RISCHIO

Caribou Grizzly

248.000 Km 2

Foresta pluviale temperata diconifere e latifoglie. Milioni di anni diisolamento hanno creato un habitatche ospita un abbondante numero dispecie endemiche di piante.

STATO DI SALUTE Minacciata dal disboscamentoper la produzione di truciolatoda esportazione e per far spazioa terreni da coltivare.

SPECIE A RISCHIO

Colibrì diFernandez

Pudu

4.000.000 erra e viene definita per

Km 2

È la più grande foresta pluviale delmondo. Produce circa il 20% dellʼos-sigeno della T

SPECIE

questo “polmone” del pianeta.

STATO DI SALUTE Negli ultimi 50 anni l’uomo ha distrutto più del 17% della forestaAmazzonica. Le principali cause di questo disastro dipendono dalladiversa destinazione data alle areedisboscate, usate come pascoli per il bestiame o per la coltivazionedella soia.

A RISCHIOContiene metà delle specie di tutto il mondo. Almeno 40.000 specie di piante, 427 di mammiferi, 1294specie di uccelli, 378 di rettili, 427 di anfibi e 3.000 di pesci. Sonostimate 3 milioni di specie di insetti.

Bradipo Giaguaro

231.000 Km 2

Sono delle foreste molto fitte e dal clima caldo umido. Coprono la fascia costiera che tocca Messico, Belize,Guatemala e Panama, fino ad arrivare in Venezuela. Ricche di biodiversità, sono luogo di migrazione per la farfalla Monarcae corridoio di vitale importanza per molti uccelli.

STATO DI SALUTE Fortemente minacciata dallʼespansione agricola, dal taglio degli alberi e dall’aumento delle infrastrutture. Nella regione del Darien la principale minaccia è il completamento dellʼautostradapan-americana.

SPECIE A RISCHIO

TFarfalla monarca

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Estensione attuale

Estensione attuale

Estensione attuale

Estensione attuale

( L’Atlante )

patrimonio da difendere t e s t i d i c h i a r a a l b e r o • g r a f i c a d i L U c a s a L i c i

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La nuova ecologia / febbraio 201150

L’anno delle foreste2011

febbraio 2011 / La nuova ecologia

er proteggere il pianeta dal riscalda-mento globale c’è una sola alternativa: ridurre l’emissione di gas serra o aumen-tarne l’assorbimento. Per centrare que-sto duplice obiettivo al vertice Onu sui

cambiamenti climatici tenutosi a Cancun lo scorso dicembre è stato confermato il Redd (Riduzione delle emissioni provocate da deforestazione e degrado fore-stale), il meccanismo di finanziamento lanciato dalla Cop 11 di Montreal nel 2005. Il programma prevede incentivi ai paesi in via di sviluppo per fermare la deforestazione, così da ridurre le emissioni di CO2. Ma il percorso che ha portato alla sua definizione è stato complesso e non privo di polemiche.

«Arrivare alla definizione e all’adozione di po-litiche contro la deforestazione è stato difficile per almeno tre ragioni – spiega Mario Boccucci, respon-sabile Ecosistemi terrestri dell’Unep – in primo luo-go perché nei paesi tropicali c’è una forte corruzione e interessi troppo radicati, poi perché anche se si riducesse la deforestazione sarebbe difficile quan-tificare tale riduzione determinando l’esatto conte-nuto di carbonio non emesso. Da ultimo perché, se anche si arrestasse la distruzione delle foreste e se ne misurasse la riduzione, si inonderebbe di crediti il mercato del carbonio, portandolo al collasso. Fino a circa quindici anni fa – continua Boccucci – gli

Impegno globaleA Cancun è stato confermato il Redd, il programma che offre incentivi ai paesi in via di sviluppo per fermare la deforestazione

d i e r i k a D e B o r t o L i

impegni assunti dai paesi firmatari del protocollo di Kyoto erano così ridotti che il sistema sarebbe crolla-to qualora si fossero aggiunti, ai crediti da riduzione delle emissioni, quelli da riduzione della deforesta-zione. Per quanto ritenuto un valido strumento di mitigazione, il Redd è stato così sostanzialmente accantonato per una decina d’anni. A seguito degli accordi presi a Cancún diventerà una realtà, anche per favorire una crescita sostenibile dei paesi in via di sviluppo». Non è però ancora chiaro quali saranno le attività finanziate dal Redd. Si teme che sotto la definizione di Sfm (Gestione sostenibile delle fore-ste) siano avallati lo sfruttamento industriale di aree forestali di alto valore o la conversione di foreste tropicali in piantagioni industriali per la produzio-ne di biocarburanti. Il programma prevede inoltre mantenimento o rigenerazione delle foreste, ma non piani di riforestazione o rimboschimento, che al mo-mento restano di competenza del Cdm (Meccanismo di sviluppo pulito).

Intanto, sono stati avviati numerosi progetti, alcuni per mezzo dei meccanismi di finanziamento di Unep, Undp e Fao che vanno sotto il nome di Un-Redd (Programma di collaborazione delle Nazioni Unite per ridurre le emissioni da deforestazione e degradazione delle foreste), altri per iniziativa vo-lontaria di privati o associazioni ambientaliste. In termini pratici, tali iniziative consistono nell’intro-duzione di leggi specifiche o il loro rafforzamento, migliori misure antincendio, pratiche di sviluppo so-stenibile delle foreste e così via. Ad oggi l’Un-Redd supporta nove paesi tra Africa, Asia, area del Pacifi-co e America Latina, operando al contempo come os-servatore internazionale in altri tredici paesi. Temi dibattuti sono le fonti di finanziamento e il livello al quale i progetti debbano essere attuati, se locale o nazionale. I finanziamenti possono essere di natura pubblica o privata. Tra i primi figurano l’Fcpf (Forest carbon partnership facility) e il Fip (Programma di investimenti forestali), fondi e agevolazioni di Banca Mondiale che termineranno nel 2012. Non si tratta dunque di un sostegno economico a lungo termine. Tra i fondi privati figurano invece, fra gli altri, il Rainforest project (Progetto foresta tropicale) soste-nuto dall’Inghilterra e il Noel Kempff climate action project (Progetto d’azione climatica Noel Kempff) in Bolivia. Questo tipo di finanziamenti, a differenza

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Qui sotto, una sessione del vertice per il Clima di Cancun: con il microfono George Soros

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del sistema dei crediti, non consente ai governi dei paesi industrializzati di utilizzarli come forma di compensazione per l’emissione di CO2.

Alcune associazioni internazionali, come il Forest people programme che difende il diritto all’autodeterminazione delle popolazioni indigene, si chiedono chi beneficerà di eventuali contributi. Per alcune comunità, infatti, coltivazione, caccia e raccolta rappresentano indispensabili mezzi di sussistenza. Preoccupazione in tal senso è stata espressa da Greenpeace: «Qualsiasi accordo per ri-durre la deforestazione deve essere concepito per assicurare misure efficaci e vincolanti in ogni paese anche a livello nazionale e non sulla base di singoli progetti per la protezione di alcune aree forestali a rischio. L’approccio basato sul finanziamento di pro-getti presenta problemi di difficile soluzione come la fuga (l’industria smette di distruggere un’area forestale su cui si sviluppa un progetto di protezione e si sposta su un’altra area), la sovrapposizione di misure (vengono stanziati dei fondi per la protezione di un’area che dovrebbe essere in ogni caso protetta da leggi vigenti nel paese) e la non-continuità (fi-nanziamento di progetti che non hanno una durata a lungo termine)».

( eroi )wangari Maathai

Nobel per la pacePrima donna africana ad aver ricevuto il Premio Nobel per la pace, nel 2004, Wangari Maathai è leader dell’ambientalismo africano e simbolo di un cambiamento di rotta del continente. Una sfida difficile che ha portato avanti contro le minacce della polizia, da cui è stata più volte arrestata. Grazie al movimento dal lei fondato, il Green Belt Movement, sono stati piantati lungo il continente africano oltre 40 milioni di alberi per lottare contro la desertificazione ed è stata intrapresa una forte compagna di sensibilizzazione sui problemi della protezione dell’ambiente e sul disboscamento in particolare.

In considerazione della legittima rivendicazione dei propri diritti da parte delle popolazioni indigene sono stati adottati nuovi standard, che vanno sotto il nome di Redd + Social and envi-romental standards, elaborati da Ccba (Alleanza per il clima, la comunità e la biodiversità) e da Care International. Il protocollo di Kyoto contemplava soltan-to riforestazione e rimboschimento come strumenti per creare crediti. Con il Redd c’è la possibilità che anche riduzioni del-la deforestazione o del degrado delle fo-reste vengano incluse in tale mercato. Ma sono proprio i costi e la collocazione dei crediti forestali nel mercato del car-bonio a rappresentare un tema contro-verso. Spesso i primi costano meno che ridurre le emissioni nel proprio paese, ostacolando l’obiettivo di ridurre le emis-sioni a prescindere da qualsiasi forma di compensazione. «Se vogliamo fermare il riscaldamento del pianeta, emettere gas serra deve diventare antieconomico – sostiene Chiara Campione, responsa-bile Foreste di Greenpeace Italia – Allo stesso tempo deve essere conveniente proteggere le foreste. Se includiamo le misure per la protezione delle foreste nel mercato dei crediti di carbonio si rischia

di svalutarne il valore del 75%. La svalutazione dei crediti annullerebbe gli investimenti in tecnologie a basso impatto climatico nei paesi in via di sviluppo. Inoltre, la distruzione delle foreste, il prelievo di le-gname o la conversione agricola si sposterebbero in aree non protette da progetti legati ai crediti di car-bonio. Senza un calo delle emissioni – conclude – il destino delle foreste sarebbe segnato».

A sinistra, un’operazione di diboscamento in Rwanda

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L’anno delle foreste2011

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i biocarburanti nel 2009 hanno coperto il 2,4% del mercato dei combustibili. Le piante che li producono assorbono più carbonio di quanto non ne venga rilasciato in atmosfera dalla loro combustione, per questo sono stati promossi come

risposta alla dipendenza dal petrolio e in parte come soluzione ai cambiamenti climatici, ma divorano ogni anno un milione di ettari di foresta.

pieno d’africa in africa, spesso, le multinazionali del settore operano in paesi governati da regimi autoritari che, per far spazio alle piantagioni, espropriano i terreni senza permessi e senza indennizzi, privando le popolazioni indigene delle principali risorse di sostentamento. Sta già accadendo in ghana, Tanzania e Mozambico. Secondo friends of the earth cinque milioni di ettari di terreno, un’estensione pari alla danimarca, è attualmente in via di acquisizione in 11 paesi africani per essere assegnata a colture di canna da zucchero, olio di palma e jatropha. «Si diffondono così i conflitti con le comunità locali per la proprietà della terra», spiega anabela da Lemos J. di friends of the earth Mozambico.

pozzo verdeoro con una produzione che supera i 16 miliardi di litri, il brasile è oggi il maggior produttore mondiale di etanolo dopo gli Stati uniti, ma anche nel settore del biodiesel occupa un posto d’avanguardia. recentemente l’amministrazione Lula ha deciso di rilanciare un nuovo programma, volto a incentivare la sostituzione del 5% del consumo nazionale di combustibile fossile con

il suo equivalente rinnovabile. Nonostante il Piano energetico “Proalcol”, varato nel 1975, mirava ad un modello sostenibile dei biocarburanti, oggi il mercato della soia e della canna da zucchero sono controllati dalle multinazionali, e le piantagioni dai latifondisti. Le monocolture hanno avuto un forte impatto sullo sfruttamento del suolo, delle risorse idriche, sulla biodiversità e sull’amazzonia. Sono state infatti distrutte

ampie fasce di foresta e di cerrado, la savana arbustiva tropicale essenziale alla sopravvivenza di numerose specie animali. Secondo l’organizzazione conservation international, il 57% del cerrado è già stato raso al suolo e la metà di quello che resta è seriamente degradato. eppure, il ministero dell’agricoltura considera “terre disponibili per piantagioni” un totale di 70 milioni di ettari di cerrado, ben il 60% dell’estensione attuale.

emissioni indonesianedal 1990 ad oggi più di 28 milioni di ettari di torbiere e foreste pluviali indonesiane sono stati distrutti per far spazio alle piantagioni di palma da olio, nonostante le concessioni del governo ammontino a soli 9 milioni di ettari. Secondo il rapporto di greenpeace “olio di Palma” del 2007, se venissero totalmente distrutte le foreste dell’area di riau, al centro di Sumatra, la quantità di gas serra emessa si avvicinerebbe

alle emissioni globali dell’intero pianeta nel corso di un anno. già oggi l’indonesia, a causa di deforestazione e incendi, detiene il triste primato di emissioni di gas serra con 1,8 miliardi di tonnellate l’anno. inoltre migliaia di indigeni sono stati strappati dalle loro terre e centinaia di indonesiani torturati, se non addirittura uccisi, quando hanno tentato di resistere agli espropri.

italian marketil nostro paese, con una capacità produttiva di oltre 1.657.000 tonnellate l’anno, è uno dei principali produttori europei di biocarburanti e ne fa un utilizzo rilevante, circa il 3% del totale dei combustibili. una percentuale destinata a salire, grazie a un decreto legge del 2010 che fissa la quota minima di biocarburanti da miscelare a benzina e diesel, pari al 3,5% nel 2010, 4% nel 2011 e 4,5% nel 2012. Ma il biodiese prodotto in italia è prodotto quasi esclusivamente con materia prima d’importazione, proveniente da Papua Nuova guinea, indonesia e Malesia. con la conseguenza che il trasporto dei prodotti agricoli da questi paesi ai luoghi di trasformazione minaccia di annullare qualsiasi vantaggio. ( c a r L o r U B e r t o )

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litri di etanolo prodotti dal Brasile che perciò ha il

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57%del cerrado in Brasile è stato raso al suolo e del

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Non è dato sapere esattamente quanti siano ma sappiamo con certezza che esistono popolazioni mai contattate: lo provano alcuni incontri fortuiti e le tracce che lasciano dietro di sé come frecce, utensili e case abbandonate in fretta e furia. Anche se il numero dei membri di ogni singolo popolo varia moltissimo, da un solo sopravvissuto fino a cento o duecento persone, tutto lascia pensare che siano un centinaio. In Brasile ne sono stati individuati almeno 40, 15 in Perù. In Asia li troviamo nelle Isole Andamane e in Nuova Guinea. Il resto vive tra Bolivia, Colombia, Ecuador e Paraguay. Ognuno di questi popoli è unico e le loro lingue, le loro culture e le loro visioni del mondo sono insostituibili. Sono sicuramente i popoli più vulnerabili del pianeta. Nella foto una tribù isolata fotografata nel maggio 2008 in Brasile, appena al di là del confine peruviano. Il rilevamento aereo ha raggiunto l’obiettivo di richiamare l’attenzione dell’opinione pubblica mondiale sulla minaccia petrolifera che grava sui popoli della zona. ( F r a . c a . )

Isolati e vulnerabili

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( Belpae se dal le mil le chiome )

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e foreste in Italia non sono poche. La superficie coperta da boschi am-monta a ben 10.467.533 ettari, pari al 34.74% dell’intero territorio nazionale. Una percentuale superiore a quelle di

paesi tradizionalmente considerati “verdi”, come la Germania (31%) o la Francia (28,6%), e che risulta in costante incremento visto che negli ultimi ven-ticinque anni è aumentata del 19% circa. Questo dato, sicuramente incoraggiante, non corrisponde però a una situazione complessivamente positiva. Purtroppo, quanto affermato anni fa dall’allora capo del Corpo forestale dello Stato, Alfonso Alessandrini, è ancora drammaticamente vero: l’Italia è un paese ricco di boschi poveri. Lo stato della loro conserva-zione, infatti, appare insoddisfacente in moltissimi casi, spesso per una gestione inadeguata o comple-tamente errata, molto più frequentemente per una totale mancanza di gestione.

Chiariamo. Il termine gestione non va frainteso e riferito ai soli aspetti produttivi; anche le politiche di conservazione impongono indirizzi gestionali ben precisi. Invece, in Italia le foreste ben gestite sono

poche, se si esclude parte di quelle dell’arco alpino e di quelle che ricadono all’interno di alcune aree protette. I nostri boschi, in rapporto alla superficie che coprono, producono poco, non sono in grado di svolgere un’efficace protezione del suolo e non offrono reale garanzia di conservazione della biodiversità forestale, che peraltro in Italia è ancora fortuna-tamente elevatissima, solo le specie arboree native sono ben 85.

Le cause di una simile condizione sono varie, ma quelle principali sono facilmente identificabili. Innanzitutto, vi è l’abbandono delle montagne e delle campagne che ha caratterizzato l’ultimo cinquan-tennio. Ciò ha avuto come risvolto positivo il ritorno del bosco su ampie superfici, come confermano i dati

statistici, ma allo stesso tempo ha lasciato il territo-rio privo di presidio con la conseguenza, tra l’altro, dell’incremento spaventoso degli incendi boschivi (una media di oltre 40.000 ettari bruciati ogni anno) e del dissesto idrogeologico. Indirettamente, anche l’urbanizzazione sfrenata, il turismo non sostenibile e la nuova frammentazione del manto forestale ri-salgono alla medesima origine. Un’altra importante causa va ricercata nella riorganizzazione, a parti-re dagli anni ’80, di molti servizi tecnici e aziende dello Stato che, talvolta, si è concretizzata nel loro sostanziale smantellamento. Un esempio eclatante, sebbene raramente citato, è costituito dalla ormai inesistente manutenzione dei bordi delle strade che in tantissime regioni sono diventati delle vere e pro-prie discariche lineari, potenziali inneschi per gli incendi boschivi con inevitabile aumento del rischio. Ad aggravare la situazione vi è la crescente abitu-dine in alcune regioni, come il Lazio, di sostituire allo sfalcio dell’erba il disseccamento della stessa con i diserbanti. Così, oltre ad aumentare la massa combustibile, si diffondono nell’ambiente ulteriori elementi inquinanti. In realtà, il passaggio alle Re-gioni di competenze in materia ambientale, prima in

capo allo Stato, in non pochi casi si è rivelato sciagurato per quanto attiene al controllo del territorio.

Problemi più complessi sono quelli legati alla politica forestale nazionale che, al di là dei ripetuti tentativi di dotare il paese di pro-

grammi organici, ultimo il Programma quadro per il settore forestale del 2009, non è mai decollata in termini applicativi. Le ragioni di ciò sono in mas-sima parte “politiche”, ma vi sono motivazioni più profonde. Ad esempio, la grandissima frammenta-zione della proprietà fondiaria privata ha impedito, più di qualsiasi vincolo di natura ecologica, quella vasta opera di conversione dei boschi cedui all’alto fusto che ha caratterizzato già due secoli fa lo svilup-po forestale della Francia. Con la conseguenza che soprattutto i boschi dell’Italia centro-meridionale appaiono per lo più boscaglie poco evolute atte a produrre solo legna da ardere. La soluzione risie-derebbe nella costituzione di consorzi forestali tra i proprietari per una gestione collettiva del bene. In tal senso, va detto, vi sono stati vari tentativi

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‘Lo stato di conservazione non si può definire pessimo, ma se gli ecosistemi forestali assorbono

ancora gli insulti esterni è esclusivo merito della forza della natura’

Rigogliose e abbandonateLe foreste italiane sono aumentate negli ultimi decenni, e ricoprono il 34% del paese. Ma la frammentazione di enti e organi dello Stato impedisce una gestione organica

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febbraio 2011 / La nuova ecologia

d’incentivazione economica da parte dello Stato, ma la mentalità italiana è notoriamente individualista e legata al guadagno immediato. La natura, invece, ha bisogno di tempi lunghi. Oggi, inoltre, a favorire il mantenimento del ceduo è intervenuta la diabolica questione delle biomasse. Non si è voluto chiarire che, lungo gli Appennini, le possibilità di produzione delle biomasse legnose sono limitate, e da realizzare solo attraverso nuove piantagioni. Sicché da proget-tisti ignoranti e senza scrupoli vengono prospettati interventi ad altissimo potenziale distruttivo. La colpa in realtà è anche delle scuole forestali nazio-nali che sono tante, ma propongono ancora modelli selvicolturali antiquati. In Italia al momento sono attivi 16 corsi universitari in Scienze forestali. Di questi solo 4 o 5 sono di alto livello e solo un paio veramente innovativi. Ne deriva anche una grande confusione dei ruoli. Complice lo strapotere di al-cuni ordini professionali, infatti, oggi a occuparsi di pianificazione e addirittura di gestione forestale intervengono figure specialistiche che, avendo solo una minima o anche nessuna preparazione in campo bioecologico e naturalistico, mancano di qualsiasi titolo per operare nel settore forestale che, al contra-rio, richiede tecnici iperspecializzati. In conclusione, lo stato di conservazione dei boschi italiani non si può certo definire pessimo, ma se ancora gli ecosi-

( iniz iat ive )

Dalla parte di KyotoI cambiamenti climatici ci pongono di fronte a una sfida epocale. Per questo è nato Parchi per Kyoto, promosso da Federparchi, Legambiente e Kyoto club, con l’obiettivo di coinvolgere imprese, enti, amministrazioni locali e aree protette in progetti di forestazione. Oltre ad essere un contributo alla riduzione dei gas serra, Parchi per Kyoto è anche una grande campagna d’informazione e sensibilizzazione sul riscaldamento globale. Lo scopo è dimostrare che grazie a piccoli gesti, come la piantumazione di un albero, è possibile raggiungere risultati im portanti per la salute del pianeta.

( l ’aut ore )Bartolomeo Schirone è ordinario di Selvicoltura e assestamento forestale presso l’Università della Tuscia, Viterbo. Insegna anche Dasologia (dal greco, studio dei boschi) e Selvicoltura presso il corso di laurea in Scienze e tecnologie per la conservazione delle foreste e della natura.

stemi forestali della penisola riescono a mostrare una certa stabilità e capacità di assorbire gli insul-ti esterni è veramente esclusivo merito della forza della natura. Le minacce che incombono su di essi sono sempre più gravi e, in questo periodo di grandi sconvolgimenti ambientali a scala planetaria, una presa di coscienza collettiva del problema più che necessaria appare urgente.

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( inter vi s t a )paolo De caStro

‘l’europa si è dotata di un sistema politico estremamente efficace per la difesa e la tutela del patrimonio forestale’

«L’europa si è dotata nel corso degli anni di un sistema politico estremamente efficace per quanto riguarda la difesa e la tutela del patrimonio forestale». a sostenerlo è paolo de castro, ministro delle politiche agricole e forestali dal ‘98 al 2000, oggi presidente della commissione agricoltura e sviluppo rurale del parlamento europeo.

Il Piano d’azione per le foreste del 2006 prevede 18 azioni chiave da realizzare entro il 2011. A che punto siamo?

a pochi anni dal suo avvio, come si evince dal riesame intermedio dello scorso anno, non ci si può attendere che siano visibili gli effetti sugli obiettivi specifici a lungo termine. Tuttavia i risultati degli studi hanno dimostrato che l’attuazione del piano è in corso e che sono stati compiuti progressi nel coordinamento fra i vari settori politici e di livello di attuazione negli Stati membri.

Che ne è stato della proposta del Parlamento europeo per la lotta contro lo sfruttamento illegale delle foreste?

Questa proposta stabisce i requisiti del commercio di legname nell’Ue e definisce le prerogative degli organi di controllo. il regolamento, approvato in seconda lettura dal consiglio Ue per la competività lo scorso ottobre, proibisce l’immissione sul mercato interno di legno e prodotti derivati di provenienza illegale. inoltre gli operatori che immettono questi prodotti sul mercato devono esercitare la dovuta diligenza con un sistema comprendente tre elementi inerenti la gestione del rischio: accesso alle informazioni, valutazione del rischio e attenuazione del rischio individuato.

A marzo, per avviare un dibattito sulle possibilità che l’Ue ha di svolgere attività di protezione e informazione, è stato adottato il Libro verde per le foreste. A che punto sono le consultazioni?

nell’ultima seduta della commissione che ho l’onore di presiedere è stato approvato a larga maggioranza il progetto di parere destinato alla commissione per l’ambiente, la sanità pubblica e la sicurezza alimentare. Una serie di suggerimenti coi quali si punta a rendere più efficace il Libro verde e a rafforzare il ruolo che l’agricoltura occupa nella gestione e nel mantenimento del patrimonio forestale.

Un commento sulla politiche in materia del nostro paese e su quelle dell’Unione.

negli ultimi due anni, complice la crisi, il settore agricolo e forestale è stato il grande assente della politica economica e sociale del nostro paese. L’europa rappresenta un’opportunità unica per le nostre aziende e i nostri cittadini. a livello europeo occorre proseguire su questa strada e cogliere appieno l’opportunità offerta dalla prossima riforma della politica agricola comune per affrontare le nuove sfide globali, tra cui le emergenze ambientali, la tutela della biodiversità e il cambiamento climatico. ( r o B e r t o D ’a m i c o )

( numer i )

34,74la percentuale

di territorio italiano

ricoperto dalle foreste

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arboree native in Italia

16i corsi

universitari in Scienze forestali

attualmente attivi

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L a superficie forestale italiana è di circa 10 milioni di ettari, un terzo del territorio nazionale. il belpaese ospita il 5% delle foreste del Vecchio continente, che piazzano l’italia al sesto posto fra i

paesi europei con la maggiore estensione forestale. La penisola si caratterizza per una variegata e ricca vegetazione: si va dalle foreste sempreverdi mediterranee ai boschi di latifoglie, dai pini alle foreste di conifere. Vegetazione che si trova, il più delle volte, nelle aree protette.Secondo l’ultimo rapporto della fao, la superficie forestale è in continua espansione: ogni anno ci sono centomila ettari di boschi in più. Un aumento dovuto soprattutto all’abbandono e allo spopolamento dei terreni agricoli e delle aree montane. Se da una parte il fenomeno è positivo, dall’altra lo sviluppo incontrollato di nuovi boschi causa la perdita di paesaggi culturali, di habitat, di terreni produttivi, la diminuzione di biodiversità e di servizi ambientali.alla riforestazione fa da contraltare la piaga degli incendi. in italia nell’ultimo decennio sono andati in fumo circa 80mila ettari di superficie boschiva all’anno. La situazione è migliorata nel 2009-2010 con una diminuzione dei roghi del 20% rispetto al 2008, anche se rimane l’allarme rosso per il Sud italia e le isole. in Sardegna, Sicilia, calabria e campania sono andati persi complessivamente circa 60mila ettari di territorio, l’80% della superficie incendiata in tutta la penisola.Secondo l’ultimo dossier Ecosistema incendi 2010 di Legambiente e della protezione civile, l’emergenza incendi nel 2009 ha coinvolto il 16% dei comuni italiani contro il 19% del 2008. Un risultato positivo che in alcune regioni sembra rappresentare un punto di svolta. ad esempio l’Umbria nell’ultimo biennio è riuscita a diminuire del 70% i municipi interessati dai roghi. ( l u i S a c a l D e r a r o )

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L’anno delle foreste2011

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a ancora senso “far legna” nei nostri boschi? Lo scenario ambien-tale e di mercato dei prossimi anni, a partire dal famoso obiettivo 20-20-20 contro cambiamenti climati-

ci, ci offre risposte ambivalenti. Tre quarti di tutta l’energia rinnovabile consumata oggi nel mondo deri-va da biomasse (fonte: Renewable 2010 Global Status Report – REN21). La Road map dell’Unione Europea prevede che al 2020 l’intera produzione da rinnovabili sarà coperta per il 50% da biomasse, e il nostro Piano d’azione nazionale (Pan) per le rinnovabili prevede che contribuiscano per il 20% di produzione di elettri-cità, 60% di calore e 87% dei carburanti alternativi. In questo scenario il legno delle nostre foreste potrebbe offrire al 2020, secondo il Pan, un contributo energe-tico di 4 milioni di tonnellate equivalenti di petrolio. Il che equivale, dato che il legno non ha il potere calori-fico del petrolio, a prelevare circa 10 Mton (milioni di tonnellate) di sostanza secca dai nostri boschi. È tanto, è poco?

Il vero problema è che non sappiamo quanta biomassa contengano i nostri boschi. Se si confrontano i dati Istat sulla quantità di biomassa rispetto ai dati Enea o ad altre rilevazioni regio-nali, o all’Apat, vediamo scostamenti di 6-8 volte: dai tre Mton ai 20-25 Mton. Quasi certamente la verità sta più verso l’alto che verso il basso, ed è possibile che gli obiettivi di prelievo al 2020 siano in realtà già stati raggiunti da tempo. In ogni caso, come osserva Davide Pettenella dell’Università di Padova, uno dei maggiori esperti italiani di economia forestale, «con questi dati non si fa una seria politica delle rinnova-bili, una seria politica forestale e tantomeno una seria politica di mitigazione dei cambiamenti climatici».

Non dobbiamo, infatti, dimenticare l’altro gran-de obiettivo del 20-20-20: il taglio del 20% delle emissioni climalteranti. E le foreste sono al tempo stesso fonte di energia primaria e grande serbatoio di carbonio. L’equilibrio tra le due funzioni sta in una semplice formula matematica: Carbon Sink = accrescimento annuo – prelievi – perdite. Più prele-vo, meno accresco la mia riserva di carbonio. Meno prelevo, più rischio di ricorrere alle importazioni per aumentare la mia quota di rinnovabili. Che fare allo-

Natural massIl legno delle foreste potrebbe offrire un contributo agli obiettivi del 20-20-20. Ma in Italia le stime sull’uso delle biomasse non sono certe. E tarda a farsi strada la silvicoltura naturalista

d i B e p p e c r o c e

ra dei nostri boschi? Rinunciare a coltivarli, dato che la nostra selvicoltura è tra le più costose e con le rese più basse d’Europa? In realtà non esistono risposte univoche perché non esistono boschi monofunzionali. Tantomeno in Italia.

La vera questione non è cosa fare dei nostri boschi ma come farlo. Ormai da decenni si sono consolidate, in Francia e nella Provincia di Trento, esperienze di “selvicoltura naturalistica” o “prossima alla natu-ra”, un modello di gestione basato su tre princìpi. Il primo è la conservazione e il miglioramento della di-versità della flora e della fauna, con un largo ricorso alla rinnovazione spontanea, il rispetto delle specie minoritarie e la conservazione delle specie accessorie e degli strati arbustivi. Il secondo è il rilascio di una parte di piante morte in bosco, per assicurare le ca-tene nutritive collegate alla necromassa. Il terzo è la selvicoltura “invisibile” ovvero il rispetto paesistico nei sistemi di taglio e prelievo: l’abbandono o il con-tenimento del taglio raso, un intervento di prelievo

‘Non sappiamo quanto le foreste contribuiranno agli obiettivi del 2020, ma la strada parte dalle potenzialità del bosco e non dalle dimensioni dell’impianto’

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L’anno delle foreste2011

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continuo ma contenuto, per cui ogni utilizzo di legname diviene anche cura colturale. È un tipo di selvicoltura che per certi aspetti suona simile ai precetti delle an-tiche regole dei monaci di Camal-doli o dei francescani della Verna, che punta alla qualità, non alla quantità. «La selvicoltura natura-lista si basa sulla gestione indivi-duale degli alberi – osserva uno dei suoi promotori, Max Brucia-macchie dell’Università di Nancy – Una tale gestione permette di lavorare su una stessa particella con un basso numero di alberi a forte valore economico e con altri a forte valore ecologico». In un simile approccio, l’economia del bosco è finalizzata innanzitutto alla prevenzione del rischio idro-geologico, alla fruizione paesisti-ca e turistica e alla produzione di legno da opera di alta qualità. Il che non esclude affatto l’utilizzo energetico del legno, ma solo in quanto obiettivo derivato dagli interventi di cura colturale. Non sappiamo quindi in che misura le nostre foreste potranno contri-buire agli obiettivi energetici del 2020, ma possiamo delineare la strada da seguire, che parte dalle potenzialità del bosco e non dalle dimensioni dell’impianto.

Il modello corretto di filiera energetica bosco-legno non è quello delle grandi centrali da decine di Megawatt, del tipo Strongoli sulla Sila o Ospitale di Cadore, nate solo per produrre elettricità, bensì una rete diffusa di piccoli impianti di cogenerazione e teleriscaldamento in aree rurali, legate alla gestione locale del bosco. È il modello che si sta sviluppando con successo da qualche anno in Toscana, con una cinquantina di impianti pubblici di piccola taglia (sotto al Megawatt di potenza) per l’alimentazione di reti di calore da cippato di legna nei territori montani. Impianti che offrono un servizio a scuole, edifici pubblici e abitazioni, e che in vari casi hanno riattivato un’economia e una cura del bosco.

( l ’aut ore )Beppe Croce è esperto di comunicazione e giornalista specializzato sui temi d’innovazione tecnologica e organizzativa e sui temi dell’agroecologia. È segretario e socio fondatore dell’associazione Chimica Verde Bionet (www.chimicaverde.it), costituita nel marzo 2006 con Legambiente e altri partner del mondo scientifico. È attualmente responsabile di Legambiente per l’agricoltura non food.

( inter vi s t a )ceSare patrone

‘È la città il punto debole del nostro territorio. Bisogna far crescere i polmoni verdi nelle aree urbane: è dove la gente vive che dobbiamo migliorare la qualità della vita’

per cesare patrone, capo del corpo forestale dello Stato, l’italia deve puntare a un sistema di protezione diffuso, che vada oltre le aree protette, per riscoprire e rivalutare zone del paese dismesse. e portare i boschi in città.

Come stanno i boschi italiani nell’Anno internazionale delle foreste?

rispetto a trent’anni fa siamo più ricchi di boschi. Ma non illudiamoci, non siamo un popolo che pianta più alberi. È la natura che si riprende lo spazio, e la forestale accelera questo processo aumentando con la cura l’efficienza ecologica delle foreste.

È la Forestale che accerta oltre il 50% degli ecoreati commessi nel Belpaese. Quali sono le minacce più pericolose per i boschi?

al primo posto ci sono gli incendi. Quelli dolosi che cancellano superfici boschive molto estese ovviamente, anche se in certi casi sono peggiori i danni provocati da chi appicca un incendio non volendo. Questo è figlio della negligenza, quando invece abbiamo bisogno di atteggiamenti virtuosi dei cittadini. dopo gli incendi, fra i reati a danno dei boschi ci sono le discariche abusive. La Forestale svolge anche studi e ricerche nelle foreste.Sono attività legate ai progetti Life, interessantissimi perché la foresta è qualcosa di molto vivo. facciamo per esempio studi sull’agricoltura di collina e di montagna perché questo permette all’orso di non scendere a valle. a livello europeo partecipiamo, fra gli altri, a un importante progetto Life+ per costruire un sistema di monitoraggio forestale attraverso l’integrazione degli inventari nazionali. Sarà uno strumento importante per il futuro delle foreste europee.

Quali sono i modelli di gestione che funzionano meglio in Italia?Si pensa spesso che il parco sia il miglior modello di gestione, in realtà è un modello ottimo ma se esclude alcune attività diventa un prototipo che non potrà mai essere esportato. invece noi dobbiamo impostare un sistema di protezione diffuso.

Si spieghi meglio. dobbiamo uscire dall’ottica che la protezione si fa solo nei parchi. il sistema di protezione deve essere diffuso su tutto il territorio: le zone extra urbane devono essere valorizzate con modelli di tipo culturale, dov’è stato fatto, come in Toscana o in puglia.L’Italia dimentica se stessa? La strada della riscoperta è intrapresa, però dobbiamo andare avanti e conquistare la città, perché quello è il punto debole del nostro territorio. bisogna curare i polmoni verdi nelle aree urbane, pensare alle periferie con le zone industriali.

A chi rivolge questo invito?a tutti agli organi dello Stato preposti alla tutela del territorio. La prevenzione è fondamentale, dalle sistemazioni idrauliche alla cura degli alberi. Gli enti locali, per dirne una, dovrebbero fare piani antincendio e strutture di ricovero per gli animali.possiamo rinunciare a qualche sagra estiva pur di avere i piani antincendio. no? ( F r a n c e S c o l o i a c o n o )

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ffrontiamo il 2011, l’Anno interna-zionale delle foreste, con la speraN-za che il bilancio di fine anno possa essere positivo per la conservazione della natura nel nostro paese. Ma

anche con la consapevolezza che l’anno appena tra-scorso, che era dedicato alla biodiversità, si è chiuso con segnali fortemente contraddittori: dalla rotta-mazione del Parco nazionale dello Stelvio, all’incer-tezza delle risorse economiche che il governo met-te a disposizione per i parchi, al tortuoso percorso adottato per approvare una insufficiente Strategia nazionale per la biodiversità, sono solo alcuni esempi che descrivono in maniera chiara la differenza tra la pomposità delle dichiarazioni con cui si era aperto l’anno dedicato alla biodiversità e l’esito finale dello stesso. Sostenere l’impegno di favorire la gestione, con-servazione e lo sviluppo sostenibile delle foreste è l’obiettivo che si pone l’Onu per il 2011, ed anche noi saremo impegnati per accrescere la consapevolezza e promuovere azioni per una migliore gestione dei

Laboratori protettiI parchi rappresentano la migliore occasione per salvare la biodiversità forestale italiana. Ma occorre dare a questi habitat una nuova funzione economica e sociale

d i a n t o n i o n i c o l e t t i

nostri boschi e del patrimonio di biodiversità fore-stale presente dentro e fuori dalle aree protette. La superficie forestale copre circa il 30% del territorio nazionale, con un’importante variabilità di comunità forestali alle quali si associa una componente flori-stica e faunistica estremamente ricca, ma che dal punto di vista strutturale (ad esempio cedui, fustaie con struttura e/o composizione semplificata, popola-menti di origine artificiale di specie autoctone) ha una ridotta variabilità di età e stadi successionali ed è in costante crescita a discapito delle aree agricole e pastorali. Sono invece molto rari i boschi vetusti, ritenuti hot spot per la conservazione della biodi-versità, in grado di garantire un habitat idoneo alla conservazione di comunità ricche e diversificate. Da non dimenticare che in l’Italia, come in altri paesi

‘Possiamo sperimentare una gestione sostenibile del bosco. E dimostrare che ogni euro speso per la conservazione della natura è un buon affare’

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( l ’aut ore )Antonio Nicoletti fa parte della Segreteria nazionale di Legambiente ed è responsabile nazionale Aree protette e biodiversità dell’associazione.

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mediterranei, una delle principali minacce alle ri-sorse forestali sono gli incendi boschivi, per la quasi totalità di origine dolosa, ma anche l’influenza delle fitopatologie e la presenza di specie aliene. Tutto ciò comporta, in sintesi, un notevole danno ambientale che si concretizza nella perdita di diversità biologica dei suoli, nella diminuzione della resilienza, nella contrazione di gran parte dei servizi ecosistemici forniti dalle foreste.

Saranno dunque le aree protette a salvare anche la nostra biodiversità forestale? Ebbene sì, quanto emerso dal summit di Nagoya della Convention on biological diversity (Cop 10 della Cbd), è la conferma di quanto sosteniamo da tempo, sottolineato anche dal fatto che il sistema nazionale delle aree protette è per oltre il 50% interessato da copertura forestale. Nel nostro paese, dunque, la sfida per contenere la perdita della biodiversità forestale può essere vinta e per raggiungere questo obiettivo si può contare su alcuni fattori positivi, come la crescita della coper-

( s tor ie )natura protetta

integrale a Sasso Fratino

Sasso fratino, ossia la riserva naturale integrale più vecchia d’italia, è stata istituita

nel 1959 e con un’estensione che supera i 1.300 ettari può essere considerata il cuore del parco nazionale delle foreste casentinesi, monte falterona e campigna. i crinali affilati dell’appennino tosco-romagnolo hanno custodito nel tempo questi territori che sono arrivati fino ad oggi complessivamente intatti. Soprattutto dal 1959 l’uomo è intervenuto solo sulla manutenzione dei sentieri, così che la foresta ha potuto evolversi in ottime condizioni di naturalità. oggi l’accesso alla riserva integrale è possibile solo a fini di studio ed è regolamentato dal corpo forestale dello stato. chi ha la fortuna di entrare in questi boschi secolari dove i faggi e gli abeti bianchi si abbracciano, potrebbe sentirsi piccolo, come uno gnomo. piante che superano i 40 metri, ruscelli che scorrono tra le rocce arenarie coperte di muschio e i mille suoni

della foresta ricordano un mondo lontano. in passato le utilizzazioni forestali hanno trasformato radicalmente i versanti appenninici più facilmente accessibili, infatti i lunghi tronchi degli abeti bianchi erano come oro per i regnanti della toscana che li utilizzavano nelle costruzioni, tra cui anche il duomo di firenze, e come legname per le flotte navali. «il lupo, che era considerato estinto in questa zona negli anni 60, è tornato a dominare i boschi del parco – racconta il presidente del parco Luigi Sacchini – oggi ci sono tra i 35 e i 70 individui raggruppati in 6-9 gruppi familiari». per la quinta volta consecutiva Sasso fratino si è aggiudicato il diploma europeo delle aree protette, un titolo ambito che viene assegnato solo a quei parchi e riserve che sono di interesse europeo per la conservazione della biodiversità, della diversità geologica o paesaggistica. e dove viene svolta una attività di protezione adeguata.( S i . t o r . )

tura forestale e la percentuale di territorio protet-to. Serve comunque agire su alcuni fattori, anche strutturali, come l’istituzione di alcune aree protette (in primis il Matese), il completamento dell’iter pre-visto per le aree della rete Natura 2000 (revisione, monitoraggio e piani di gestione) e l’aggiornamento delle pratiche di gestione forestale verso criteri di sostenibilità. Ma occorre dare una nuova funzione sociale ed economica al bosco e alle attività collegate, anche per frenare l’abbandono di molte aree interne che sono presidi fondamentali contro il dissesto idro-geologico ed la prevenzione degli incendi boschivi. Bisogna valorizzare i servizi ecosistemici che il bosco garantisce (acqua, suolo, biodiversità, etc..) le risorse genetiche che tutela, e “monetizzare” il contributo che fornisce alla protezione del clima attraverso il contrasto al cambio climatico e l’aumento del seque-stro di carbonio atmosferico.

Le aree forestali protette possono rappresenta-re perciò un laboratorio dove sperimentare questa

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( s tor ie )protezione civile

mai più incendi sul pollinoIil 2007 è stato l’anno nero per il parco nazionale del pollino, percorso da 145 incendi, quasi tutti di dolosa, che hanno bruciato più di 6.000 ettari. Un anno eccezionale di fuoco che ha portato a una mobilitazione generale sia dalle associazioni ambientaliste che degli enti statali. fondazione per il Sud ha così finanziato il progetto costruiamo la rete di protezione civile nel parco del pollino di cui è responsabile l’ente parco nazionale del pollino e per il cui svolgimento è stato fondamentale il supporto di Legambiente basilicata, Legambiente calabria, Uisp calabria, confcooperative di basilicata, confcooperative di calabria, copollino Soc. coop, associazione Guide del pollino, Wwf e astrambiente. il progetto prevede attività di prevenzione degli incendi e attività di educazione ambientale

e sensibilizzazione volte alle comunità locali e ai visitatori. e anche agli operatori economici del parco. il punto di forza del piano aib (antincendio boschivo), iniziato nel luglio 2008, sono stati i “contratti di responsabilità”. «in base a questi – spiega Marco de biasi, presidente di Legambiente basilicata e delegato del parco per l’aib – viene stabilito un rimborso spese massimo per le associazioni che si occupano di avvistamento e spegnimento incedi, nel caso in cuoi si verifichi un elevato numero di incendi nell’area di competenza, il contributo concesso dal parco può arrivare a zero». con l’adozione di

queste misure la percentuale della superficie del parco percorsa dal fuoco rispetto all’estensione totale è scesa dal 3,46% del 2007 allo 0,1% nel 2010. a marzo 2011 il progetto avrà termine, ma non le campagne antincendio. anche la sala operativa, che ha il ruolo di coordinare le attività in caso di incendi, rimarrà in funzione. per evitare un altro anno nero.( S i . t o r . )

LEgAmbIENTE pEr LE forESTE

L’italia ad oggi è il paese europeo che conta il maggior numero di specie e di habitat, tra cui una superfice boschiva che copre oltre il 30% dell’intero territorio nazionale. per proteggere

questa preziosa biodiversità, Legambiente è impegnata nella promozione del patrimonio forestale tramite la valorizzazione delle attività e delle buone pratiche promosse dalle aree protette. L’attività dell’associazione si concretizza, inoltre, in campagne storiche come la “festa dell’albero” o “non Scherzate col fuoco”, che ogni anno coinvolgono migliaia di cittadini in attività di volontariato volte a migliore la qualità ambientale delle nostre città e in attività di prevenzione degli incendi boschivi. Legambiente fa inoltre parte del comitato Parchi per Kyoto, il grande progetto di riforestazione finalizzato al raggiungimento degli obiettivi del protocollo di kyoto, e realizza progetti di conservazione e sviluppo all’interno di oltre 50 aree naturali gestite dall’associazione tramite le sue strutture locali.info www.legambiente.it

nuova funzione e gestione sostenibile del bosco, pun-tando su percorsi di certi-ficazione delle singole atti-vità forestali e della filiera bosco-legno, iniziando a disincentivare le attività forestali meccanizzate in favore di quelle tradizio-nali e naturali che, oltre ad avere una maggiore capacità di sequestro di carbonio nel suolo, man-tengono intatte le foreste mature aumentando il va-lore della biodiversità delle stesse. Un nuovo progetto per le foreste d’Italia che necessita di condivisione tra i soggetti pubblici, e tra questi ed i privati, e di risorse economiche e fondi che garantiscano una adeguata strategia per la tu-tela della biodiversità. Il 2011 può essere l’occasione dei parchi per sperimentare modalità nuove nella gestione delle foreste, per rivendicare il ruolo fonda-mentale di fornitori di servizi eco sistemici a tutti i cittadini, e dimostrare così che ogni euro investito per la conservazione della natura e per i parchi è un buon affare.

( numer i )

12miliarDigli alberi presenti in Italia

50percentuale delle aree protette nazionali

interessate da copertura

forestale

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Stretto tra l’Orinoco e il Rio delle Amazzoni, il territorio degli Yanomami si estende lungo la linea di confine tra Brasile e Venezuela ed è ricoperto da una fitta foresta equatoriale. Nelle sue parti più impervie e nascoste sorgono gli yano: gigantesche case comuni che possono raggiungere i 100 metri di diametro e contenere oltre 200 persone. Nonostante il grave rischio di estinzione corso tra gli anni ‘70 e ‘80, oggi gli Yanomami sono il popolo indigeno più grande d’America a vivere ancora in modo tradizionale e in relativo isolamento, anche grazie alla mobilitazione dell’opinione pubblica mondiale nel 1991 che ha portato alla protezione delle loro terre. Insieme al loro leader Davi Kopenawa, chiedono con forza una maggiore autonomia in campo sanitario e didattico e restano in prima fila nella difesa dell’ambiente e della foresta amazzonica. (Fra. Ca.)

Paladini dell’Orinoco

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( La cult ura de l le radic i )

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uogo liminare di trasformazione e pas-saggio, la foresta rappresenta in lette-ratura pericolo o rifugio, coniugando in sé il fascino inquietante dell’ignoto alla nostalgia dei primordi e che si concretiz-za in uno spazio altro, potenzialmente

avventuroso e iniziatico. Necessariamente fitta, buia e misteriosa, nel folklore essa incarna il selvaggio e il magico. L’immaginario mitico e fiabesco la popo-la di volta in volta di divinità, creature mostruose, animali feroci, fantastici o parlanti, streghe, gno-mi, nani e folletti. Anche se non è incantata, vi si verificano comunque sortilegi o eventi estranei alle comuni leggi umane: basti pensare alla letteraria Brocéliande, che in Wace ospita la fontana magica di Barenton e che Robert de Boron associa alla figura di Merlino, o a Sherwood, dove si nasconde il leggendario Robin Hood.

Nei racconti cavallereschi, l’eroe attraversa inevitabilmente una foresta perdendovisi come in un labirinto e uscendone solo dopo aver superato del-le prove e incontrato dei personaggi che lo rendono degno di proseguire il suo cammino; si tratta di un topos ben rappresentato nei romanzi medievali di Chrétien de Troyes – il lettore vi trova tanto la sper-duta Guasta Foresta nella quale Perceval viene cre-sciuto per preservarlo dai pericoli delle armi cortesi, quanto la Brocéliande dove iniziano le avventure di Yvain – e che giunge fino all’epica rinascimentale con L’Orlando furioso di Ariosto e la Regina delle fate di Spenser, per riapparire poi nel Castello dei destini incrociati di Calvino.

La “selva oscura” che apre la Divina Commedia di Dante rappresenta allegoricamente appunto ogni tipo di pericolo di perdere “la diritta via” ed è in essa, “selvaggia e aspra e forte”, che il protagonista s’imbatte nelle tre fiere e trova l’ingresso agli inferi. Paesaggio misterioso e minaccioso per antonomasia, opposto del locus amoenus rappresentato dal giardi-no dell’Eden, l’altro fosco bosco che fa la sua appa-rizione nel xiii canto dell’Inferno è quello formato dalle anime dei suicidi tramutati in piante nodose tra i cui rami si annidano le Arpie che di tali fronde si nutrono. La connotazione è invece tutt’altra per

Il richiamo della selva oscuraFitta, buia e misteriosa la foresta in letteratura: dalla “Commedia“di Dante all’habitat fatato di Oberon e Titania in “Sogno di una notte di mezza estate” di Shakespeare, passando per la narrativa moderna di Tolkien e Lewis

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Shakespeare, per il quale la foresta è tanto l’habitat fatato di Oberon e Titania in Sogno di una notte di mezza estate, luogo d’eccellenza di metamorfosi e prodigi, quanto lo scenario idilliaco apparentemente più naturalistico di Come vi piace, commedia am-bientata nella foresta di Arden dove alle querce si mescolano olivi e palme e i cerbiatti convivono con i leoni. Si tratta comunque di variazioni del mondo verde (“the Green World” secondo la felice formula di Northrop Frye) nel quale i protagonisti possono ritirarsi momentaneamente sfuggendo alle rigide strutture della città e della corte per affrontare gli ostacoli, conoscere se stessi e potersi reintegrare nel-la società ristabilendovi l’ordine e l’equilibrio. Ma le fronde degli alberi che mimetizzano i soldati sono

anche l’occasione di far avverare la terza profezia di Macbeth e la relativa uccisione del malvagio prota-gonista eponimo della tragedia: la foresta di Birnam in marcia verso Dunsinane richiama alla memoria la guerra degli alberi messa in scena nel poema me-dievale gallese Cad Goddeu.

La letteratura per l’infanzia e la moderna fan-tasy fanno largo uso di questo motivo: se nel Mago di Oz di Baum gli alberi guerrieri godono solo di una fugace apparizione, le piante ingaggiano vere e proprie battaglie nel Signore degli anelli di Tolkien, e nelle Cronache di Narnia di Lewis. Nella saga fantascientifica di Didier van Cauwelaert, Thomas Drimm, il tema della guerra degli alberi si lega a quello della foresta proibita di mirceiana memoria e del culto degli alberi – motivo mitico antichissimo e interculturale che vede nel mondo vegetale un mezzo di comunicazione tra i morti (le radici che affondano nella terra), i vivi (il tronco) e gli dei (i rami che si innalzano verso il cielo). L’intertestualità si mescola qui all’ecologismo e l’idea classica della metamorfosi degli umani in piante è declinata in senso ambien-talistico sottolineando in modo critico ma proposi-tivo l’opposizione cultura/natura alla base di clas-

‘L’immaginario mitico e fiabesco la popola di volta in volta di divinità, creature mostruose, animali feroci, streghe, gnomi, nani e folletti’

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sici come Il libro della giungla di Kipling, Tarzan delle scimmie di Burroughs o Il richiamo della fo-resta di London. Il motivo dell’in-selvatichimento dell’uomo perduto nella natura e quello diametral-mente opposto della civilizzazione del selvaggio aprirebbero ulteriori orizzonti, che dal romanzo capo-stipite di Defoe conducono alla sua riscrittura e rovesciamento di prospettiva in Michel Tournier, innestando la problematica del co-lonialismo nel tenebroso mistero della foresta che trova in Joseph Conrad una figurazione suggesti-va e inquietante.

Il rispetto della natura e la sua preservazione è d’altro canto al centro di opere diversissime, che si estendono tanto nel tempo quanto nello spazio: se lo statu-nitense James Fenimore Cooper dedica cinque libri all’epica delle foreste americane e al mito della frontiera – i Racconti di Calza-di-Cuoio – Mario Rigoni Stern, indi-menticabile cantore dell’altopiano di Asiago e dei suoi paesaggi bo-schivi, sostiene che «non ci sarà vita senza foresta». È evidente che il simbolismo della foresta ha radici letterarie ben salde e ramificate.

dieci letture dalla linfa vitalea c u r a d i e l i s a b e t t a g a l g a n i

Già nella mitologia greca erano protagonisti assoluti: il leccio era sacro a Giove, l’alloro a Dafne, il tiglio alla ninfa filira. Gli alberi erano attori indiscussi delle storie antiche a partire dall’inizio: dall’eden, adamo ed eva e la mela e il serpente. lo sono tuttora,

legati a doppio filo con l’immaginazione, il sogno e la letteratura. sembra che il parlare degli alberi per gli esseri umani sia davvero un bisogno imprescindibile. Proprio per questo abbiamo stilato una lista dei dieci libri sugli alberi da leggere. si comincia dalla Divina Commedia, il capolavoro di tutti i tempi, debutto della letteratura in volgare. si passa per il Vajont di Mauro Corona (nella foto) e per i mondi immaginifici di stefano benni. rimane però senza risposta una domanda, declinata in una poesia di Jacques Prevert: «Ma il gergo degli alberi /è un argot più antico/chi lo sa cosa dicono/quando parlano degli uomini».

( l ’aut ore )Marika Piva è dottore di ricerca in Romanistica a Padova. Docente a contratto presso le università di Padova e di Trento, si occupa principalmente di Chateaubriand e di letteratura francese contemporanea.

Divina Commedia - InfernoDante alighieri

Il grido “Perché mi schiante?” è dell’anima di Pier della Vigna, cancelliere di

Federico II, trasformato in pruno a cui il poeta Dante spezza un ramoscello al suo corpo-albero. Siamo nel canto XIII dell’Inferno Dante che con Virglio entra in un bosco fitto di piante. Della Vigna racconta la sua vita: la fedeltà assoluta al suo sovrano, il tempo felice e poi l’invidia che lo ha fatto cadere in disgrazia con il suo sovrano tanto da spingerlo al suicidio. Quando l’anima viene spedita da Minosse in questa selva, diventa un seme. Da questo nasce una piantina e poi un albero selvatico, pasto delle arpie.

Il barone rampante Italo Calvinoarnoldo Mondadoripp. 189, euro 9,50

Fa parte di una trilogia che racchiude Il visconte dimezzato e Il cavaliere inesistente. Il protagonista è il

dodicenne Cosimo che per ribellarsi alla famiglia sale su un albero e da lì non scende più. Presto impara un’altra vita: diventa un esperto di querce, pini, ulivi, castani ed olmi, parla con gli animali, si innamora di Viola. E invecchia, fino alla morte. Ancora più piena di stupore della sua vita.

Il segreto del bosco vecchio Dino Buzzatioscar Mondadori

pp. 150, euro 8,40Quanti segreti conserva un bosco? Risponde a questa domanda il romanzo fantastico di Buzzati. In una selva

sacra popolata da un popolo di geni custodi degli alberi, Sebastiano Procolo ha intenzione di abbattere gli alberi per speculazione e cerca di ottenere la parte di proprietà di Benvenuto, il nipote di cui è tutore. Ma il potere di trasformazione degli alberi è molto oiù forte…

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Il taglio del bosco Carlo Cassola edizioni Bur

pp. 181, euro 9I mesi di lavoro di Guglielmo, impegnato nel taglio di un bosco comprato per ricavarne legna e

carbone. Un mestiere utile a dimenticare la perdita della moglie. Quasi alla fine del libro incontrerà il Carbonaio, anche lui in lutto per la morte della consorte. Lì il protagonista si renderà conto che non riesce a dimenticare il suo lutto. Perchè tutto è come prima ma niente è come prima.

Una barca nel bosco Paola Mastrocolapp. 257, euro 8

Gaspare Torrente, figlio di un pescatore e aspirante latinista approda a Torino da una piccola isola del

Sud Italia per cominciare il liceo e scordarsi il piccolo

mondo della sua infanzia. Ma la scuola superiore è il regno di programmi inflessibili, insegnanti incapaci e compagni “alla moda”. Comincia allora il suo percorso di “sformazione” con gli alberi come coprotagonisti.

Le voci del bosco Mauro CoronaMondadori

pp. 144, euro 8,50Questo scrittore raffinato (nella foto sopra), abitante del Vajont, è anche uno scultore ed un

arrampicatore. Conosce gli alberi perché qui è cresciuto, ne sa la consistenza e l’odore e il sentimento. Da lui nascono queste storie dove un Dio divertito ripara gli errori del suo creato. L’allocco stanco di essere interpellato per la sua saggezza otterrà un’espressione sciocca; il ghiro che soffre di malinconia in inverno riceverà sonno profondo. E così via.

Homo radix. Appunti per un cercatore d’alberi Tiziano FratusMarco Valerio

pp. 304, euro 30La quarta di copertina parla chiaro: «Reclamo che il mio peso venga valutato in

radici». Tiziano Fratus si autodefinisce un cercatore d’alberi e questa è la sua guida, appunti per scoprire la magnificenza degli alberi e le loro testimonianze secolari, per un turismo delle radici e delle creature. Tra Walt Whitman e Henri David Thoreau, tra Robert Frost e John R. R. Tolkien.

Il signore degli anelli J. R. R. TolkienBoMpiani

pp. 1.380, euro 30Chi ha letto o visto il film Il signore degli anelli non potrà essersi dimenticato degli Ent, creature a

metà strada tra alberi e uomini, in grado di pensare, muoversi e parlare. Nella saga questa razza antica apparve insieme agli Elfi, quindi molto prima degli uomini. Nella Terza Era della Terra di Mezzo, la Foresta di Fangorn sembra essere l’ultimo luogo ancora abitato dagli Ent.

Pane e tempestaStefano BenniFeltrinelli

pp. 248, euro 16Montelfo è il paese più magico del mondo. Qui passa un circo di creature indimenticabili,

uscite dalla penna di Stefano Benni: il nonno Stregone, Ispido Manidoro e molti altri. Ci sono anche i cattivi, Max “Massacro” Settecanal, imprenditore e il Sindaco Vellutti, che hanno in serbo un progetto terribile: distruggere il bosco per costruire “complesso polifunzionale multivalente ipermercatico a uso abitativo, commerciale e riciclo monetario”. Chi vincerà?

L’albero filosoficoCarl G. JungBollati Boringhieri

pp. 208 , euro 15Una delle immagini archetipiche più potenti nei miti, nelle fiabe e nel folclore è l’albero. Jung, come

terapeuta e studioso di alchimia medievale cerca di scandagliarne tutti gli aspetti. Fonte di vita e di protezione, luogo della trasformazione e del rinnovamento, l’albero è di natura femminile e materna, è l’albero della conoscenza, simbolo della totalità del sé.

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( s tor ie )letteratura

Homo radix

«Sono un uomo che ha trovato radici viaggiando nel mondo». Tiziano fratus, poeta trentacinquenne di origini

bergamasche (nella foto), trapiantato ai piedi delle alpi Cozie, in Piemonte, si autodefinisce “cercatore di alberi” e da alcuni anni cerca “monumenti arborei”. «un cercatore di alberi – spiega fratus – è un individuo solitario, che cerca queste creature che uniscono ciò che è terreno a ciò che supera la dimensione fisica». nella sua ultima raccolta poetica Homo radix - Appunti per un cercatore di alberi, fratus suggerisce alberi presenti in italia e nel mondo e individua uno spettro molto ampio di pellegrini “cercatori di alberi”. «Ci sono gli uomini e le donne radice, professionisti della ricerca, poi gli operai e i lavoratori che dedicano la domenica. infine, gli esperti del settore: l’architetto paesaggista, il botanico, la guardia forestale, lo studente di scienze naturali. la poesia diventa una parte integrante della ricerca – aggiunge il poeta – attraverso la scrittura ho addomesticato uno sguardo più attento nei confronti del paesaggio e della storia degli esseri viventi». Come ha fatto per i boschi del Piemonte, tra i più ricchi di alberi monumentali in italia, fra i quali il poeta cita la selva di Chambons, dove gli esemplari più antichi sono del XV secolo. È un bosco caro persino allo scrittore edmondo De amicis, che descriveva i suoi larici come «canuti professori che possono insegnare ai giovani che cosa vuol dire essere un albero». i vecchi alberi piemontesi hanno visto cambiare il paesaggio e crescere la società. sono saggi contorti, pieni di nodi, con una coperta di foglie sulle radici. Per chi sa ascoltare, narrano storie che portano ancora sulla corteccia segnata da profonde ferite. Con i loro trecento anni querce, cedri, platani superano l’età di un uomo. «Grazie alla loro presenza immutabile – aggiunge – s’instaura un rapporto con il territorio che va a rafforzare l’identità che ogni essere umano indossa». Cercare l’albero, insomma, è cercare se stessi. (Manuela giorgino)

( inter vi s t a )Marco gisotti

‘in avatar si rappresenta la crisi dell’ambiente. Dove si dimostra che tecnologia e natura possono convivere’

«la foresta è la nostra parte istintuale, il luogo d’origine dove abbiamo paura di tornare privi del nostro bagaglio tecnologico. Ma è anche Medioevo, belva feroce e istinto primordiale di caccia». Marco Gisotti, già direttore del mensile Modus Vivendi, è fra i maggiori esperti di cinema ambientale. il suo Green movie, in uscita per edizioni ambiente, è dedicato proprio all’ecologia nel cinema. È la persona giusta per capire qual è il ruolo della foresta nell’immaginario del grande schermo.

Iniziamo da Avatar, l’ultimo kolossal dove la foresta è in primo piano.Avatar è il nuovo patto fra uomo e natura. non viene rappresentata la decadenza umana ma ci viene raccontato che la Terra è in crisi ambientale, sociale, economica attraverso le immagini di Pandora, pianeta rigoglioso dove gli esseri viventi sono in rete tra loro. la foresta incarna la legge della vita con la quale l’uomo entra in armonia dopo lo scontro e il tentativo di desertificazione. nella resurrezione del protagonista e nella sua trasformazione c’è il patto che si consuma tra i due mondi.

Tecnologia e natura possono convivere?senza il protagonista non risorgerebbe. l’avatar è il tramite, è fusione tra il frutto della tecnologia umana e quella biologica esistente su Pandora. l’uomo vince nonostante quello che ha fatto alla Terra, nonostante la disumanizzazione. la tecnologia è la possibilità di un nuovo patto.

Molte scene di guerra si svolgono nelle foreste. Perchè? la realtà si salda con l’immaginario. se pensiamo alla guerra in Vietnam, uno dei problemi principali fu proprio entrare dentro la foresta, gestirla. Come le nevi per napoleone in russia. in Apocalypse now, rilettura del Cuore di tenebra di Conrad, la foresta diviene uno scenario utile alla guerra da raccontare. non dimentichiamoci poi della scena iniziale del Gladiatore: un assedio che si consuma bruciando una foresta…

Ma allora il rapporto dell’uomo con la foresta può diventare conflittuale?Penso a King Kong, dove a una giungla reale se ne contrappone una d’asfalto. la città moderna è una riproduzione umana della giungla: King Kong viene portato a new York, città percepita e vissuta come giungla di una civiltà fortemente urbanizzata.

Nei western invece la foresta sparisce e predomina il deserto... Dove la foresta è un rifugio, il deserto è un luogo aspro, di scontro fra corpi. Ma anche di prove da superare, come ne L’ultimo dei Mohicani, dove per raggiungere la frontiera i coloni devono attraversare il deserto.

E se il deserto prendesse il sopravvento?in tal senso Rapa Nui è la metafora ecologista sul destino della Terra. È la vera storia dell’isola di Pasqua e di come il suo popolo l’abbia totalmente desertificata, distruggendo la principale fonte di sostentamento. ha abbattuto ogni singolo albero, fino a raggiungere la totale estinzione…

Come viene presentata la foresta ai bambini?nell’impostazione disneyana le creature della foresta sono figure positive. Ma è l’animazione giapponese a darne l’immagine più interessante. in autori come Miyazaki abbiamo la migliore etica della foresta e della natura. in Nausicaa il tema del bosco parte da un fatto reale: l’inquinamento da mercurio del golfo di Minamata. siamo di fronte a un autore che si pone il problema ecologico e lo rappresenta anche con un fine didattico. ( va l e n t i n a t o n i o l a t t i )

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febbraio 2011 / La nuova ecologia 71

Vivono nell’Africa centrale, sono suddivisi in numerosi popoli diversi, parlano lingue differenti ma sono uniti dallo stesso legame con la foresta che abitano e considerano la personificazione di una divinità feconda e generosa. I pigmei non hanno capi né governi formali. Ogni individuo, donne e bambini compresi, è responsabile delle proprie azioni, ma in ogni gruppo vige uno straordinario spirito di collaborazione e condivisione. Oggi la loro indipendenza e la loro millenaria cultura sono in pericolo. Le cause sono molte, la più grave è la minaccia incombente sulle loro foreste, sventrate e disboscate a ritmi vertiginosi. I governi, che non riconosco i loro diritti di proprietà sulle terre, mirano a integrali nella società dominante per trasformarli in agricoltori sedentari. Salvo rare eccezioni, vengono anche sfrattati dai territori convertiti in parchi nazionali o relegati nel ruolo di guide turistiche. (Fra. Ca.)

Pigmei in cammino

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L’anno delle foreste2011

( sur vival - s iamo t ut t i uno )

Firma per i popoli indigeni!La Convenzione 169 deLL’iLo (l’Organizzazione internazionale del lavoro delle Nazioni Unite) mira a garantire e proteggere l’intero corpo dei diritti umani dei popoli indigeni del mondo e le loro libertà fondamentali. Per questo costituisce oggi la legge più importante che esista in materia di popoli indigeni. La Convenzione riconosce anche le pratiche culturali e sociali dei popoli indigeni, garantisce il rispetto delle loro tradizioni, riconosce il diritto dei popoli tribali all’uso della loro terra e delle sue risorse e stabilisce che essi debbano essere consultati ogniqualvolta vengono varate leggi o progetti di sviluppo che possono avere un impatto sulle loro vite.

Per iL futuro dei PoPoLi indigeni è cruciale che la Convenzione venga firmata dal maggior numero di nazioni possibile, incluse quelle europee. Anche se non hanno popoli tribali all’interno dei propri confini, le azioni dei governi di paesi come l’Italia hanno comunque un impatto diretto perché sono membri di istituzioni internazionali che interagiscono con essi, come la Banca Mondiale, perché fanno progetti di cooperazione allo sviluppo e partecipano ai finanziamenti e alle iniziative sostenute dall’Unione Europea.

a disPetto di quanti Pensano Che i PoPoLi indigeni siano reliquie del passato, reperti archeologici destinati inevitabilmente all’assimilazione culturale ed economica, oppure all’estinzione, la storia dimostra che laddove le loro terre vengono riconosciute legalmente e protette in modo adeguato, il loro futuro è assicurato.

daL 1969 survivaL aiuta i PoPoLi indigeni di tutto il mondo a difendere le loro vite, a proteggere le loro terre e a decidere autonomamente del loro futuro. Firma anche tu la petizione per la ratifica della Convenzione Ilo 169 da parte dell’Italia e di tutti i paesi del mondo.

info: www.survival.it /intervieni/petizioni

Le immagini utilizzate in queste schede sono tratte da Siamo tutti uno: il volume a cura di Joanna Eede in collaborazione con Survival International (Logos edizioni, Modena, 2010, pp 224, euro 29,95). Una raccolta esclusiva di voci e immagini di popoli indigeni di ogni continente amplificate dal contributo di sostenitori, scrittori, filosofi, poeti, artisti, antropologi, giornalisti e fotografi di fama internazionale. I proventi finanziano il lavoro di Survival, si acquista in libreria o su www.survival.it/siamotuttiuno

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