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Squadrismo

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squadrismo fascista

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I libri di Viella

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viella

Matteo Millan

Squadrismo e squadristinella dittatura fascista

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Copyright © 2014 - Viella s.r.l.Tutti i diritti riservatiPrima edizione: ottobre 2014ISBN 978-88-6728-312-5

Questo volume è stato realizzato con il contributodell’Istituto veneto per la storia della Resistenza e dell’età contemporanea

viellalibreria editrice

via delle Alpi, 32

I-00198 ROMA

tel. 06 84 17 758

fax 06 85 35 39 60

www.viella.it

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Indice

Introduzione 9

1. Una “rivoluzione” fascista? 19

1. Milizia e amnistia 202. La «forza che crea il diritto» 323. Il «Governo confuso col partito» 36

2. Fenomenologia della violenza post-marcia 47

1. L’interregno 492. Le metamorfosi 553. Squadrismo per sport. La Vola e altre squadre 614. La Mutua squadristi e i circoli rionali 65

3. Nuove spedizioni 81

1. La conquista delle città: Torino 822. La conquista delle città: Firenze 893. La conquista delle campagne: Molinella 98

4. Il controllo del territorio 111

1. Piccoli e grandi ras 1132. Il fascismo bifronte di Mario Giampaoli 1213. Il «grande bastonatore» 1294. Forza e consenso 134

5. La caduta degli dei 143

1. Il primo caso: Genova 1442. La ine del “sistema Giampaoli”  1503. Lo zampino di Starace: caduta di un ras nazionale 154

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6. Camicie nere al conino  165

1. Il conino degli altri  1662. «Oltremodo nocivi agli interessi nazionali» 1733. Difesa a oltranza 1824. La “schiuma” dello squadrismo 1945. Sottomissione e devozione 199

7. Squadristi di lungo corso 219

1. Onorio Onori. Il comandante della Disperata 2202. La capitalizzazione del passato. «Il ferreo Bonaccorsi» 231

Conclusione 269

Abbreviazioni 273

Bibliograia  275

Indice dei nomi 295

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Ringraziamenti

A V. e S. (in memoria)

Questo libro è il frutto di un percorso di ricerca talvolta non facile, ma sempre intenso e signiicativo. Si è  trattato di un viaggio  tutto sommato  lungo,  iniziato nel 2008 con il dottorato di ricerca in Scienze storiche all’Università di Padova, e proseguito ino ad oggi. È pertanto naturale che una volta arrivato alla conclusione di questo lavoro, gli amici e i colleghi verso cui sento il bisogno di esprimere la mia riconoscenza e gratitudine siano diventanti molti. Accanto a chi mi ha dato aiuti e consigli “professionali”, tante sono state le persone che mi hanno sostenuto e incoraggiato, e senza il cui aiuto tutto sarebbe stato molto più dificile. Siccome però liste e graduatorie corrono sempre il rischio di lasciare indietro qualcuno, mi permetto di ringraziare solo chi è più stato direttamente coinvolto in questa ricerca: chi conta davvero per me credo lo sappia già.

Senza l’aiuto e la cortesia del personale dell’Archivio centrale dello Stato, de-gli Archivi di Stato di Padova e di Bologna e delle biblioteche che ho frequentato, recuperare i materiali con cui costruire questa ricerca sarebbe stato probabilmente un po’ più dificile. Un grazie doveroso ma sincero va al personale della Biblio-teca di Storia e al Dipartimento di Scienze storiche, geograiche e dell’antichità dell’Università degli studi di Padova. Un grazie speciale a Simonetta Carolini dell’Associazione nazionale perseguitati politici italiani antifascisti per avermi messo a disposizione l’inventario del Fondo conino politico, ma soprattutto per la cordialità e l’affetto con cui ha seguito il mio lavoro; è stata per me una testimone della passione con cui si può fare storia.

Carlo Fumian mi ha seguito durante la tesi di dottorato e non mi ha mai fatto mancare consigli e suggerimenti sempre attenti e puntuali, per poi mettere tutto alla prova con una commissione d’esame di altissimo livello. E ora, con il contri-buto dell’Istituto veneto per la storia della Resistenza e dell’età contemporanea, ha reso possibile la pubblicazione di questo libro.

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Squadrismo e squadristi nella dittatura fascista8

Un ringraziamento davvero speciale va a Giulia Albanese: non inirà mai di stupirmi per la costanza e l’impegno con cui segue il mio lavoro (passato e attua-le), rappresentando per me un punto fermo, e un’amica.

Un grazie di cuore va inine alla mia famiglia, che con non poche dificoltà mi ha supportato, e sopportato, in un cammino di ricerca non sempre facilissimo.

Forse non è usuale dedicare un libro a due persone, ma in questo momento mi sembra giusto così. La prima è Silvio Lanaro: se forse – come diceva – lui non ha avuto maestri, io posso senz’altro dire che il mio se ne è andato troppo presto. Dedico questo volume anche a Valentina: se arrivare a questo libro ha richiesto oltre sei anni, lei c’era già da prima.

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Introduzione

«Solo il fulmine può stroncare una quercia». Con queste parole il 3 lu-glio 1962 il quotidiano della destra neo-fascista «Il Secolo d’Italia» annun-cia la morte di Arconovaldo Bonacorsi.1 Squadrista del fascio di Bologna, avvocato, ma soprattutto conquistatore delle Baleari durante la guerra ci-vile spagnola, Bonacorsi muore in seguito a una complicazione operatoria nella clinica romana Valle Giulia il 2 luglio 1962. Ha 63 anni.

Il funerale si svolge due giorni più tardi nella chiesa di S. Eugenio, in via delle Belle Arti. Il corteo funebre è preceduto da numerose corone di iori e labari, tra i quali spiccano quello del Movimento sociale italiano e della Federazione Arditi d’Italia.  Il  rito viene oficiato da Padre Julián Adrover, ex cappellano delle formazioni falangiste delle Baleari, interprete personale e «compagno d’armi» di Bonacorsi a Palma di Maiorca. Alla cerimonia partecipano «i camerati della prima e dell’ultima ora», come l’amico squadrista Giuseppe Ambrosi, gli ex gerarchi Francesco Giunta, Alfredo Cucco, Gino Calza Bini e Raffaello Riccardi, o lo storiografo uf-icioso dello squadrismo Giorgio Alberto Chiurco, ma anche esponenti di spicco dell’Msi e giovani della destra neo-fascista che rimpiangono di vi-vere in un’epoca che consente solo di «sognare le imprese che Lui aveva vissuto e realizzato». Al termine delle esequie la salma viene trasportata a Bologna, sua città natale.

1.  La  graia  del  cognome  conosce  due  varianti:  Bonacorsi  e  Bonaccorsi.  In  tutti  i documenti autograi e nelle intestazioni della carta da lettere del suo studio legale appare sempre la dicitura Bonacorsi: pertanto nelle pagine seguenti ho sempre usato quest’ultima graia. Tuttavia, nei documenti citati,  in articoli di giornale o  in opere di memorialistica e storiograia, compare molto spesso Bonaccorsi: ho  trascritto con esattezza le citazioni. Sulla questione: Massot i Muntaner, Vida i miracles, p. 11.

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Con Bonacorsi non muore solo un vecchio squadrista. Almeno nelle parole de «Il Secolo d’Italia», Bonacorsi è un uomo «sopravvissuto a quel-la che era stata la Sua epoca, la Sua esistenza, il Suo costume soprattutto morale, il Suo modo d’intendere e di vivere la vita». Un’esistenza nella quale «la battaglia ideale» – e non solo ideale, verrebbe da aggiungere – contro «il marxismo e la sovversione è praticamente durata incessante-mente dagli anni giovanili dello squadrismo bolognese ai nostri giorni, ino alla sua morte». E così, la sua scomparsa non fa altro che rendere ancora più evidente che non è più possibile «un modo di vita che Lui solo riusciva ancora a vivere». Bonacorsi è stato in grado di fare di se stesso un vero e proprio mito, capace di travalicare la caduta del fascismo e diventare esem-pio vivente per tutti i giovani e i meno giovani nostalgici a vario modo del regime di Mussolini. Il «Suo esempio» – continua il quotidiano – «oltre a rimanere nel ricordo del passato glorioso e leggendario rimane di monito alle nuove generazioni».2

Il funerale di Arconovaldo Bonacorsi è l’epilogo di una storia indivi-duale diventata storia politica. Una storia contraddittoria, fatta di omicidi e ruberie ma anche di grande popolarità e prestigiosi riconoscimenti, in un’altalena di successi e repentine cadute in disgrazia.

Vite simili a quella di Bonacorsi sono comuni a tanti altri squadristi, che della pratica della violenza hanno fatto una vera e propria competenza e il fondamento di speciiche strategie sociali. Ed è di queste vite che tratta questo libro, cercando di raccontare lo squadrismo e gli squadristi all’in-terno del fascismo, in un intreccio costante tra grandi fenomeni politici ed esperienze individuali. Per farlo si è scelto come punto di partenza la marcia su Roma per spingere poi l’analisi alla data focale del 1926 e poi ancora più in là, ino appunto ad arrivare all’esperienza della nuova guerra mondiale e del suo epilogo sfociato in guerra civile.

In questa sede, l’amplissimo e frastagliato problema delle origini del fascismo non è stato preso in esame nello speciico. Già da tempo la sto-riograia sul fascismo si è misurata col problema centrale delle sue origini, affrontandolo sotto molteplici punti di vista. Nonostante alcuni pionieri, come Angelo Tasca, avessero da tempo richiamato l’attenzione sul ruolo giocato dalla violenza, a lungo lo squadrismo è stato ritenuto, e spiegato, come un fenomeno di reazione antiproletaria inanziato dagli agrari, oppu-

2. Arconovaldo Bonacorsi Legionario d’Italia, in «Il Secolo d’Italia», 3 luglio 1962; si veda anche Le esequie di Bonacorsi, in «Il Secolo d’Italia», 5 luglio 1962.

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Introduzione 11

re come manifestazione di spostati incapaci di inserirsi nella società post-bellica, o ancora come semplice braccio armato del movimento fascista. Veniva quindi inteso non come un problema storiograico importante e de-gno di essere studiato e ricostruito, pur avendo avuto un ruolo decisivo nel permettere la vittoria fascista. La situazione è cambiata soprattutto a partire dagli acuti spunti forniti da Alberto Aquarone già nel 1979.3 Da allora – seppure a rilento e con qualche incertezza – la storiograia si è confrontata con maggior attenzione con questo aspetto sostanziale e imprescindibile della storia del fascismo. Ne è emerso un quadro molto più sfaccettato e complicato, nel quale lo squadrismo si è dimostrato irriducibile sia al para-digma della reazione di classe sia a quello dell’eccezionalità.4 La violenza squadrista rappresenta per il fascismo italiano – ma il discorso si potrebbe allargare a molti altri movimenti europei di questo periodo – una «forma di creazione», un «oggetto di desiderio politico».5 Si è posta quindi grande attenzione a come essa venisse praticata e vissuta dai suoi protagonisti non semplicemente come un mezzo per raggiungere un obbiettivo politico, ma come valore in sé e pratica fondamentale nel plasmare identità individuali e collettive.

A partire da questa base storiograica, questo libro vuole provare a in-dagare il ruolo giocato dalla violenza squadrista all’indomani della marcia su Roma. In queste pagine si analizza come la pratica della violenza squa-drista abbia contribuito a rendere possibile la conquista e il consolidamen-to del potere e a plasmare identità, mentalità e strategie d’azione capaci di durare a lungo. Si tratta – come è facile intuire – di un tema complesso e sfaccettato, che è stato possibile affrontare al prezzo di fare precise scelte metodologiche e di accettare alcuni limiti oggettivi, che in sede di introdu-zione è opportuno esplicitare.

3. Aquarone, Violenza e consenso; si vedano anche Lyttelton, Fascismo e violenza; Id., La conquista del potere; il fondamentale Gentile, Storia del Partito fascista, cap. VII. Più recentemente queste suggestioni sono state riprese da Albanese, La marcia su Roma e Franzinelli, Squadristi, e in ottica più comparativa da Gerwarth, The Central European Counter-Revolution; Gerwarth, Horne, The Vectors of Violence e Gerwarth, Horne, War in Peace. Più recentemente ha sottolineato questi aspetti, peraltro con una mole amplissima di documenti, Sven Reichardt, che nei suoi studi è ricorso agli strumenti interpretativi di Pierre Bourdieu: Reichardt, Camicie nere, camicie brune; Id., Fascismo e teoria delle pra-tiche sociali. Per una bibliograia completa mi permetto di rimandare anche alla mia tesi di dottorato: Millan, L’«essenza del fascismo», cap. I.

4. Gozzini, La persecuzione degli oppositori politici, p. 102.5. Finchelstein, Transatlantic Fascism, p. 33.

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Innanzitutto, la cronologia. In quanto elemento identitario, la pratica violenta squadrista non può essere relegata alla sola vigilia, ma è necessa-rio tener conto dei suoi effetti di lunga durata e dei suoi strascichi. Pertanto si è scelto di adottare una cronologia che tenesse conto delle «linee di ten-denza», delle «potenzialità implicite ed esplicite» e della speciica conce-zione della politica del fascismo, senza per questo cadere in qualche facile suggestione teleologica che inscrive il risultato già nelle sue premesse.6

Gli anni successivi alla marcia su Roma rappresentano un periodo cru-ciale per il fascismo italiano, alle prese con l’intricato problema di “durare” e consolidare il potere ottenuto attraverso la marcia su Roma e la lotta della “vigilia”. I primi quattro capitoli di questo saggio si concentrano su questo periodo, dando conto del ruolo, delle forme organizzative e della fenome-nologia della violenza squadrista, in un dialogo costante tra i suoi protago-nisti, le gerarchie fasciste e il più ampio contesto politico e sociale.

Il fascismo italiano arriva al potere lasciando dietro di sé un numero considerevole di morti e feriti (tanto al suo interno quanto tra i “sovversi-vi”) ed è necessario tenerne conto per spiegare – almeno in parte – i per-corsi dello squadrismo post-marcia. Grazie alla violenza esercitata prima della conquista del potere, il fascismo si trova a fronteggiare un’opposi-zione già in parte sconitta e disarticolata, nonostante permangano ancora isole  di  forte  resistenza,  vere  e  proprie  side  politiche  e  simboliche  che lo squadrismo si incaricherà di estirpare. In questo contesto, l’obbiettivo delle violenze fasciste è anche quello di convincere e di “educare”. Sia che entrino nella neonata Milizia volontaria per la sicurezza nazionale sia che continuino – seppure sotto mentite spoglie – a operare in organizzazioni informali, gli squadristi sono gli arteici di un capillare e costante controllo del territorio. La violenza gioca infatti un ruolo centrale non solo nell’eli-minare le sacche organizzate di opposizione politica ma anche, e soprat-tutto, nel prevenire ogni forma di dissenso, nel persuadere i riluttanti e nel fortiicare i convinti.7 La violenza del dopo-marcia è spesso capillare e a bassa intensità, ma capace di conoscere episodi di grande brutalità, come accade a Torino nel dicembre 1922 o a Firenze nell’ottobre 1925.

In questo quadro il 1926 è un anno determinante: l’8 ottobre viene emanato il nuovo statuto del Partito nazionale fascista (Pnf) e nemmeno un mese dopo è promulgato il nuovo Testo unico delle leggi di pubblica

6. Zani, Famiglie politiche e modernità totalitaria, p. 122.7. Aquarone, Violenza e consenso.

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Introduzione 13

sicurezza, che introduce il conino di polizia. Nell’anno successivo viene creato il Tribunale speciale per la difesa dello Stato. Tra 1926 e 1927 l’ap-parato di repressione e vigilanza del regime si fortiica: la Polizia politica e l’Ovra iniziano ad interessarsi della vita e delle opinioni di centinaia e centinaia di italiani. Contemporaneamente migliaia di fascisti sono espulsi dai ranghi del partito e decine di vecchi squadristi vengono condannati, al pari dei loro nemici più irriducibili, al conino di polizia. 

La svolta della seconda metà degli anni Venti non segna in realtà la ine della violenza di matrice squadrista che in alcune realtà perdura a lungo, anche se impone stringenti trasformazioni e adattamenti alle vecchie cami-cie nere. E questo risultato il regime non lo raggiunge nonostante l’azione dello squadrismo, ma proprio grazie ad essa. All’analisi di questo periodo centrale sono dedicati il quinto e il sesto capitolo che esaminano le cause politiche che sono alla base delle grandi epurazioni, ma anche rappresen-tazioni e auto-rappresentazioni degli squadristi condannati al conino e dei loro persecutori.

Con la grande epurazione che nei primi anni Trenta colpisce la Bolo-gna di Leandro Arpinati si conclude la parte più considerevole di questo saggio. Il primo decennio del regime costituisce quindi il cuore del volume. Una ricostruzione capillare delle vicende successive degli squadristi qui presi in esame – e per esempio del loro rapporto con la Repubblica sociale italiana e la guerra civile 1943-1945 – avrebbe probabilmente richiesto un’altra ricerca, e un altro libro. Tuttavia, la convinzione che il valore della violenza squadrista possa essere compreso solo all’interno di un’ottica di lungo periodo e seguendo da vicino le vite dei suoi protagonisti ha spinto a seguire più da vicino e più a lungo le vicissitudini, le strategie d’azione, le pratiche e le mentalità di alcuni di loro, e in particolare delle camicie nere che vengono condannate al conino di polizia. Uno studio biograico più accurato e di lungo periodo è stato invece realizzato per due squadristi che della pratica della violenza e del mito dello squadrismo hanno fatto un elemento centrale della loro vita. L’ultimo capitolo è allora dedicato al  racconto delle biograie di Onorio Onori, comandante della famigera-ta «Disperata» di Firenze, e di quell’Arconovaldo Bonacorsi, squadrista bolognese e condottiero in camicia nera nelle Baleari della guerra civile spagnola, con il cui funerale si è aperta questa introduzione.

Oltre ai limiti cronologici, ci sono anche i conini geograici. Si è scel-to infatti di concentrare la ricerca sull’Italia centro-settentrionale, vale a dire su quelle regioni dove tra 1920 e 1922 lo squadrismo ha rappresentato

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un fenomeno endemico e capace di plasmare con incisività stili politici e atteggiamenti  individuali. Questo non  signiica assolutamente  sottova-lutare il peso e la forza dello squadrismo meridionale che in alcune aree si dispiega con forza e brutalità senz’altro paragonabili.8 Basti pensare al caso emblematico e “classico” della Puglia di Giuseppe Caradonna e di Araldo Di Crollalanza, ma anche alla Napoli di Aurelio Padovani. Sia pri-ma sia dopo la marcia su Roma, lo squadrismo meridionale gioca un ruolo importante non solo negli intricati meccanismi della politica locale, ma anche nell’azione di eliminazione e intimidazione costante degli avversari politici.9 È il caso – per fare solo un esempio – degli assalti squadristi con-tro l’ex presidente del Consiglio Vittorio Emanuele Orlando, che durante le elezioni amministrative di Palermo del 1925 guida la lista d’opposizione, oppure – per restare alla stessa occasione – della devastazione di circoli elettorali e sedi delle opposizioni da parte di duecento squadristi fatti arri-vati apposta da Napoli.10

Pur con indubbie differenze e speciicità, quindi, lo squadrismo meri-dionale esiste e gioca un ruolo importante nell’Italia fascista del dopo-mar-cia. In questa sede, si è scelto però di concentrare l’attenzione e la ricerca su alcune realtà nelle quali la presenza di culture politiche alternative ha rappresentato un ostacolo alla penetrazione e al radicamento del fascismo. Accanto ad alcune aree dello squadrismo agrario più tradizionale – come la campagna bolognese – sono state esaminate anche alcune grandi città che, durante la vigilia, avevano saputo opporsi agli attacchi delle camicie nere e, dopo la marcia su Roma, dimostreranno un orgoglio e una capacità di resistenza dificili da piegare. La reazione fascista sarà spesso all’insegna di forme di conquista e di controllo del territorio e delle coscienze basate sulla pratica della violenza squadrista. Sono città come la Genova di Gerardo Bo-nelli e della squadra Vola, la Firenze del «grande bastonatore» Tullio Tam-burini e del «disperato» Onorio Onori, o la Milano di Mario Giampaoli e dei suoi gregari. Per chi è abituato a frequentare la storiograia sul fascismo 

8. Sulle indubbie differenze tra Nord e Sud nella diffusione dello squadrismo, si veda, per esempio Isnenghi, L’Italia in piazza, pp. 259-260. Importanti eccezioni si hanno so-prattutto in Puglia e in Campania: Colarizi, Dopoguerra e fascismo in Puglia; Snowden, Violence and great estates in the south of Italy; Colapietra, Napoli tra dopoguerra e fasci-smo; Bernabei, Fascismo e nazionalismo in Campania. Per la Sicilia, si veda Micciché, Dopoguerra e fascismo.

9. Si veda, per esempio, Lupo, Il fascismo e Di Figlia, Alfredo Cucco. 10. Mancino, Palermo, 1925; Palidda, Potere locale e fascismo, pp. 287-288.

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Introduzione 15

questi nomi sono abbastanza noti, ma attorno ad essi ruota una congerie di gregari che sono stati oggetto di attento studio. Dall’analisi di questi casi e di questi percorsi biograici è emersa un’ampia fenomenologia di pratiche squadriste e di tipi umani, con strategie politiche e sociali molto diverse, nelle quali le speciiche dinamiche ambientali – dall’indirizzo politico del singolo federale o prefetto al radicamento del movimento operaio, per fare solo due esempi – hanno giocato un ruolo decisivo nel deinire lo sviluppo e le caratteristiche dei tanti squadrismi locali. Tuttavia, la peculiarità delle si-tuazioni provinciali si interseca con un’estesa cultura squadrista che sembra valicare le differenze e le speciicità locali, per formare una rete di relazioni e di esperienze che accomuna, in termini di pratiche e di mentalità, lo squa-drista del circolo rionale milanese alla camicia nera del contado bolognese.

Volendo realizzare una ricerca non circoscritta all’analisi politica ma capace di mettere in luce i caratteri propri di pratiche e mentalità squadri-ste, non è stato facile reperire i documenti adatti. Gran parte dei materiali editi – diari, memorie, cronache, resoconti – trattano quasi esclusivamente del periodo della vigilia. Le tradizionali fonti di polizia – resoconti prefet-tizi, informative delle forze dell’ordine, relazioni ministeriali – si rivelano utili per analizzare la diffusione di pratiche squadriste nel dopo-marcia, ma poco o nulla lasciano trasparire sulle motivazioni, le mentalità e la cultura degli uomini delle squadre. Questa lacuna è stata, almeno in parte, sopperita dall’analisi  dei  fascicoli  personali  degli  squadristi  inviati  al  conino.  Pur con tutti i suoi limiti, questa fonte ha permesso di delineare un abbozzo di cultura squadrista, mettendo in luce le motivazioni delle scelte di violenza, il rapporto con Mussolini, le aspirazioni e le frustrazioni delle camicie nere. Un altro contributo documentario nel delineare un quadro “antropologico” degli squadristi post-marcia è venuto dalla consultazione, quando disponi-bili, dei fascicoli personali prodotti da varie istituzioni del regime fascista, come la Segreteria particolare del duce e la Polizia politica. Queste fonti hanno  inevitabilmente  inluito anche sulla  ricerca, dando  la possibilità di veriicare le vicende di quegli squadristi che, per un motivo o per l’altro, erano in qualche modo incappati nell’apparato repressivo e di vigilanza del regime. Sono rimasti quindi in gran parte esclusi dall’analisi gli squadristi che non sono stati protagonisti di pratiche illegali o criminali, gli squadristi “comuni”. Tuttavia, questi ultimi esistono e mantengono forte una propria coerenza, non rinnegano il recente passato e magari aderiscono pure con partecipazione al regime che hanno contribuito a instaurare, ma – purtroppo – per lo storico restano in gran parte silenziosi e anonimi.

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Pur nella piena consapevolezza dei limiti appena elencati, si ritie-ne che questo saggio sullo squadrismo nel dopo-marcia possa dare un contributo importante e innovativo allo studio del fascismo italiano. Il ricorso massiccio alla violenza come strumento di lotta politica durante la vigilia implica la deinizione degli avversari come dei nemici, cui non si concede legittimità né si presuppone che essi possano concederla. Una volta conquistato il potere, la strada della democrazia, del pluralismo e del riconoscimento del privato come spazio autonomo non sono con-template.11 Gli squadristi che eliminano a sangue freddo gli oppositori nella Torino del dicembre 1922, o che sequestrano e uccidono Giaco-mo Matteotti, ma anche che bastonano per un semplice sgarro o ancora che intimidiscono gli avventori di un locale solo per una bevuta gratuita, stanno in realtà mettendo in atto e, al tempo stesso, contribuendo a (ri)deinire una modalità della politica  fondata sulla violenza come valore in sé, che in dalle origini costituisce una delle componenti fondamentali dell’ideologia e della pratica politica del fascismo. Se gli squadristi pos-sono fare tutto ciò non è per caso né solo perché qualcuno glielo lascia fare: essi – magari in modo grezzo e approssimativo – sono convinti di averne tutti i diritti in quanto membri di una comunità elitaria di primi e “più” veri italiani.

All’interno di un contesto politico in cui gli arteici della violenza si autorappresentano come i soli ed esclusivi interpreti della volontà naziona-le – e a questo devono tanta parte della loro legittimità politica –, i conini tra ciò che è politico e ciò che privato sono quanto mai labili. In in dei conti, lo afferma Mussolini in persona il 3 gennaio 1925: assumendosi in pieno le responsabilità di quell’«associazione a delinquere» rappresentata dal fascismo, egli dà piena legittimità politica alla violenza delle camicie nere anche dopo la marcia su Roma.

L’attenzione alla rilevanza politica di questa violenza non maschera il carattere criminale o affaristico assunto da molte delle pratiche squadriste. Ma concentrarsi solo sugli aspetti delinquenziali, o sui sordidi interessi privati, può portare a sottovalutare il ruolo della violenza come strumento di radicamento del potere fascista. Tanto più che negli attori di tali violenze gli aflati totalitari convivono con la «ricerca di interessi privati, personali e, dopo tutto, molto materiali».12

11. Si veda Morlino, Democrazie e democratizzazioni, p. 96.12. Corner, Everyday Fascism, p. 220.

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Introduzione 17

Al tempo stesso, non si vogliono tacere gli effetti controproducenti di lungo periodo che la rissosità endemica di una parte dello squadrismo o la pratica gratuita e beffarda della violenza comportano per la solidità del regime e per la conquista delle coscienze che il progetto politico fascista si preigge. Questi effetti non sono qui interpretati come una prova ulteriore della distanza tra teoria e prassi. Piuttosto essi mettono in evidenza tutta la dificoltà che un movimento volontario nato dalla pratica della violenza deve affrontare per istituzionalizzarsi. Lungi dal far derivare da questa ca-ratteristica storica del fascismo italiano la prova di un suo sostanziale falli-mento, si ritiene che essa sia un’importante dimostrazione del ruolo giocato dal radicalismo nel deinire i caratteri speciici della dittatura. La siducia sempre più marcata di larghi strati della popolazione nei confronti dei pro-tagonisti locali del fascismo, colpevoli di pratiche corrotte e al limite della delinquenza, non implica di per sé la mancanza né di un progetto totalitario né della disponibilità ad adottare mezzi totalitari per realizzarlo.13

L’analisi dello squadrismo, in questo senso, permette di rendere conto di come il fascismo sia diventato dittatura e di come esso abbia trasformato l’Italia. Se visti nella loro comune inalità, normalizzazione governativa e illegalismo squadrista appaiono due piani di un’unica strategia politica. Entrambi perseguono il medesimo obiettivo di integrale conquista della società e di realizzazione di un progetto totalitario di creazione di una nuo-va Italia e di un nuovo italiano, da conseguire innanzitutto attraverso l’eli-minazione di ogni forma di opposizione. Interpretazioni che sottovalutano l’apporto del radicalismo provinciale rischiano di deinire in modo astratto il fascismo italiano, quasi fosse una mera costruzione teorica destinata a infrangersi inevitabilmente sul terreno delle realizzazioni concrete. Con-fondere il totalitarismo con una meta e non invece ritenerlo una pratica – esercitata tutti i giorni, magari in modo all’apparenza contraddittorio e controproducente – porta alla continua ricerca di una presunta corrispon-denza “meccanica” tra idee e azioni.14 Qui si è cercato invece di analizzare in che modo l’azione plasma la teoria e in che modo le pratiche sono rese pensabili e realizzabili dal contesto ideologico e culturale entro cui si svol-

13. Si veda la Prefazione di Emilio Gentile, in Benadusi, Il nemico dell’uomo nuovo, p. XVI. Molto interessanti a proposito le rilessioni di Pierre Bourdieu sull’eficacia intrin-seca e concreta dei progetti e degli enunciati politici pubblici: Bourdieu, Sullo stato, vol. I, pp. 64-65.

14. Gentile, Prefazione in Benadusi, Il nemico dell’uomo nuovo, pp. XV-XVI.

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Squadrismo e squadristi nella dittatura fascista18

gono. Ma si è anche cercato di analizzare in che modo esperienze personali e contesto politico si relazionano e si inluenzano a vicenda, per rendere conto degli incentivi informali di cui si giova la violenza fascista ma anche delle condizioni in cui essa può dispiegarsi.

Non tener conto della speciica genealogia, della complessa fenome-nologia e della sfaccettata natura della violenza squadrista nel dopo-marcia può comportare il rischio di far apparire il fascismo italiano come un regi-me tutto sommato differente rispetto ad altri regimi dittatoriali – come la Germania nazionalsocialista – ai quali l’aggettivo totalitario sembra peral-tro attribuirsi con più facilità. Sottovalutare il peso della violenza e della sua  funzione  politica  signiica  ricondurre  la  dittatura  a  un  prodotto  non cercato e accidentale del fascismo.15 Allo stesso modo, non è possibile de-rubricare la violenza squadrista post-marcia come una congerie di semplici crimini comuni commessi da delinquenti e spostati né come un prodotto di scarto rispetto a un fascismo “autentico”, moderato e in ultima istanza mussoliniano. Il partito è decisivo nel rendere lo Stato italiano uno Stato fascista. In questo senso, si ritiene che non esista un dualismo netto tra Pnf e Stato né tanto meno tra Mussolini e fascismo. Fin da subito e nonostante alterne fortune, la violenza di matrice squadrista costituisce un elemento fondamentale nel progetto di fascistizzazione delle istituzioni e della so-cietà portato avanti non solo dai più estremisti ma anche dallo stesso Mus-solini. Attraverso l’analisi del ruolo giocato dallo squadrismo è possibile evitare la tentazione sempliicatrice di ridurre la dittatura a una parentesi o a mero compromesso con i tradizionali “poteri forti” o, addirittura, alla sola igura di Mussolini, col rischio di un fascismo senza fascisti o persino nemmeno più fascista.16

15. Canali, Il delitto Matteotti, pp. 354-355.16. Cfr. Vivarelli, Storia delle origini del fascismo, vol. III, p. 492, secondo cui infatti

«la storia del fascismo italiano è tutta riassunta nella biograia di Mussolini».