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Stanislaw Lem - I Viaggi Del Pilota Pirx

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Stanislaw Lem - I Viaggi Del Pilota Pirx

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  • I viaggi del pilota Pirx Stanislaw Lem

    Traduzione di Robert Lewanski

    Copyright by Stanislaw Lem Copyright by Editori Riuniti, 1979

    Titolo originale: Opowieci o pilocie Pirxie, Wydawnictwo Literackie, 1976

  • L'autore e la critica Stanislaw Lem nato a Leopoli nel 1921. Dopo lo scoppio dell'ultima guerra ha

    studiato medicina nella sua citt natale. Interrotti gli studi per alcuni anni (durante i quali ha lavorato come meccanico), si laureato all'Universit Jagellonica di Craco-via, dove abita dal 1946. Nell'immediato dopoguerra ha iniziato la sua attivit narra-tiva, diventando ben presto uno dei pi importanti scrittori polacchi e ottenendo nel 1973 il premio di Stato, massimo riconoscimento letterario del suo paese.

    Una rigorosa conoscenza dei problemi scientifici e filosofici alla base dei suoi romanzi. Su di essa si innesta una ricca dimensione fantastica, internamente nutrita da una problematica tutta terrestre e contemporanea. La narrazione fantastico-scientifica (prima ancora che fantascientifica) di Lem esce quindi da una riduttiva li-mitazione di genere per affermarsi come notevole in assoluto.

    Tra le opere di narrativa di Lem si possono ricordare: Astronauti (1951, ed. it.: Il pianeta morto, Baldini e Castoldi 1963), Obiok Magellana [La nebulosa Magellano] (1955), Dzienniki gwiazdowe [Diari stellari] (1955), Eden (1959, ed. it. da una tradu-zione tedesca: Gli esploratori dell'astro ignoto, Baldini e Castoldi 1963, poi dall'ori-ginale Pianeta Eden, Editori Riuniti 1977), Inwazja z Aldebarana [Invasione da Al-debaran] (1959), Pamietnik znaleziony w wannie [Memorie trovate nella vasca] (1961), Powrt z gwiazd (1961, ed. it.: Ritorno dall'universo, Garzanti 1977), Solaris (1961, ed. it.: Solaris, Editrice Nord 1973, romanzo dal quale stato tratto il famoso film di Tarkovskij), Noe ksiezycowa [Notte lunare] (1963), Nieiwyciezony (1964, ed. it.: L'invincibile, Editrice Nord 1974), Cyberiada [Cyberiade] (1965), Wysoki zamek [L'alto castello] (1966). Opowiesci o pilocie Pirxie [trad. letterale: I racconti del pilo-ta Pirx], di cui si pubblica qui una prima parte, (1968), Doskonah Prinia [Vuoto per-fetto] (1973), Wielkoic urojona [Grandezza immaginaria] (1973), Katar [Febbre da fieno] (1976).

    Tra le opere di saggistica: Dialogi [Dialoghi] (1957), Stimma technologiae (1964), Filozofia przypadku [La filosofia del caso] (1968), Fantastyka i futurologia [Fanta-scienza e futurologia] (1970).

    Ai Dzienniki gwiazdowe, o piuttosto alla parte principale di questo libro, intitolata Dzienniki gwiazdowe Ijona Tichego [Diari dalle stelle di Ijona Tichy], Lem giunto seguendo la strada che da Verne in edizione naif-marxista porta a Swift in edizione interplanetaria. Non importa se i pianeti visitati da Ijona Tichy nei suoi numerosi viaggi hanno o no, nella realt, l'aspetto descritto da Lem; anzi certo che essi non appaiono cos come Lem li rappresenta. Dal punto di vista scientifico i Dzienniki so-no infatti puro umorismo, parodia, gioco. Dal punto di vista letterario sono urna satira allegorico-comica.

    Lem entrato nella letteratura col viso atteggiato a grande seriet; scriveva anche versi lirici, tradizionali. Di punto in bianco si visto che un magnifico umorista. Questo ampliamento della sua attivit di scrittore, che rivela quanto sia multiforme la sua vena artistica, rappresenta, per il critico che segue i destini di Lem, un motivo di gioia.

    Jerzy Kwiatkowski, in Twrczosd, maggio 1958.

  • In che cosa consiste la singolarit di Lem, la sua non esiterei ad usare questa de-finizione grandezza? [] Lem finge di volerci divertire, ma in realt cerca di in-trodurre nei nostri pensieri inquietudine e sfiducia nei confronti delle soluzioni troppo facili, per indurci a correre avanti col pensiero, pi in l di una generazione []. Tan-to pi che quello che descrive del tutto possibile, oggi esiste gi allo stato embrio-nale, soltanto che nessuno ne ha tratto le conseguenze definitive, e spesso assurde.

    Wojciech Zukrowski, in Nowe Ksiazki, 1968.

    Pianeta Eden la continuazione ideale dell'Huxley del Mondo nuovo, dell'Asimov di Foundation o del Vonnegut di Player Piano []. La civilt delle macchine, la so-ciet guidata da un computer geniale []. Che il Paradiso del quale sentiamo nostal-gia nel mito del Grande Ritorno abbia appunto questo aspetto? E quale Dio lo ha cre-ato?

    Nel mondo che verr dopo di noi, traboccante di macchine autoprogrammanti, che si governa con le regole della collettivit ed privo della forza costruttiva, per quanto satanica, dello scontro tra il Bene e il Male, sorge il bisogno di una nuova definizione del soggetto e dell'oggetto, del Creatore e del Creato. Ci si domanda se la distruzione di una macchina dotata di coscienza sia sottoposta a una valutazione etica. La tecnica romanzesca di Lem, eliminate le sollecitazioni dell'ottimismo e del troppo facile fa-scino, alle quali inizialmente ha ceduto, tende alla costruzione di alternative. Con Pianeta Eden, l'autore cerca di riempire l'impenetrabile assenza di valori umani, e quindi di scelte e decisioni irresolute, drammatiche, errate, con le quali bisogna fare i conti. Incomincia l'umanizzazione del cosmo, che non significa conquista come asso-luto soggiogamento dell'Ignoto. Il tema dell'umanizzazione emerge non solo sul pia-no narrativo, ma su un piano pi generale, ideologico del racconto. Per la prima volta la trama diventa una questione secondaria, che serve unicamente alla dimostrazione delle tesi e alla loro viva documentazione letteraria.

    Zbigniew Bauer, in Zycie Lterackie, 1975.

    Dando per scontato il successo conquistato con i romanzi fantastico-scientifici, Lem da molti anni scrive principalmente favole filosofiche. Certo, la letteratura della science-fiction ha sempre avuto una certa parentela con le utopie e le antiutopie; e a queste di solito la favola serviva come il pi adatto mezzo di comunicazione. Le ope-re grottesche di Lem partecipavano della fantascienza contemporanea cos come di Candido e Micromegas; ad esse corrispondevano testi filosofici scritti quasi contem-poraneamente. Lem oramai ha quasi rinunciato al racconto fantastico tradizionale, romanzesco; l'ha sostituito con la saggistica, creando talvolta le apparenze dell'aned-doto, ma spesso non preoccupandosi neppure di questo. Quasi temesse di essere coinvolto nella stretta tra la paura sociale di oggi e il fabbisogno di una science-fiction che susciti la paura: si rifugiato nella filosofia.

    Forse perch, fin dall'inizio, ha proposto alla letteratura di fantascienza esigenze

  • che superavano le sue possibilit. Si pu trovare la formulazione di queste esigenze in Fantastyka i futurologia, dove descrisse quello che non soddisfacente, cercando di definire come dovrebbe essere. E avrebbe dovuto avvenire il miracolo: al posto dei racconti da leggere in treno, traboccanti di mostri antidiluviani, di marziani e di rivol-te di robot, avrebbero dovuto nascere opere che realizzavano la sintesi tra le scienze naturali e tecnologiche contemporanee e i mezzi artistici di comunicazione. Avreb-bero dovuto non perch tali sono le strade su cui procede la letteratura, non perch quelle opere fossero preannunciate nella produzione letteraria preesistente, o perch ci siano scrittori capaci di scriverle; Lem non ha affermato nulla di tutto questo. A-vrebbero dovuto nel senso che esse sono eccezionalmente necessarie, nel momento di crisi della nostra civilt.

    Matgorzata Szpakowska, in Literatura, 25 luglio 1974.

    Questa problematica, secondo la quale a definire l'uomo non l'avventura o la tec-nica bens l'uomo stesso, e che diventa pertanto la vera misura di tutte le cose, la tro-viamo soltanto in poche opere di Lem. Una tale interdipendenza tra l'uomo e la tecni-ca compare sporadicamente gi nella produzione giovanile, riemerge come elemento organizzatore nei racconti del pilota Pirx, e acquista piena autonomia in opere come L'invincibile e Solaris. [] Il mondo di Pirx riproduce le inquietudini e le preoccupa-zioni in ogni giorno; un mondo in cui l'esplorazione del cosmo appartiene ormai al-la storia.

    La figura di Pirx, priva di qualsiasi tratto di eccezionalit, rappresenta una genera-lizzazione dell'uomo pi comune, nel quale possono tranquillamente coesistere i grandi sogni accanto ai travagli e agli errori quotidiani. Pirx un uomo di buon senso, a volte sognatore a volte bonariamente ironico; la sua personalit suscita fiducia e simpatia; il suo comportamento ci ricorda che l'uomo non si distaccher mai dalla propria memoria o coscienza []. Il personaggio servito all'autore per mostrare i cambiamenti che l'uomo finisce per subire attraverso un incessante contatto con la tecnologia. Che cosa cambier, quali dei concetti e dei valori attualmente vigenti do-vranno soccombere, quali invece reggeranno pressoch immutati alla prova del do-mani, a quali livelli della propria coscienza far ricorso l'uomo futuro: ecco una parte degli interrogativi posti da Lem.

    Ewa Balcerzak, Stanislaw Lem, 1975

    da questo filone fantastico che Lem prese l'avvio come scrittore. Su questa linea di sviluppo della sua produzione si trovano, fra gli altri, libri eccellenti come Il piane-ta morto, Obiok Magellana e anche Opotoiesci o pilocie Pirxie, i cui racconti dap-prima sparsi in varie raccolte, sono ora infine riuniti in volume. L'azione di questi racconti si svolge in un futuro non precisato, ma in ogni caso abbastanza lontano dai nostri tempi: esiste ormai una regolare rete interplanetaria di trasporto passeggeri, e la gente si abituata ai robot parlanti, come noi ai frigoriferi e ai televisori. Tuttavia il mondo nel quale il pilota Pirx vive e affronta le sue inconsuete avventure non poi in sostanza tanto diverso dalla realt che ci circonda. Le differenze sono soprattutto di

  • natura quantitativa, non qualitativa, e gli uomini che si muovono in quel futuro im-maginario risultano singolarmente simili a noi. [] Il cosmonauta Pirx [] potrebbe benissimo vivere nei nostri tempi e trovarsi bene. semplicemente un giovanotto co-raggioso e intelligente, dotato di una cospicua dose di buon senso, che gli torna assai utile nel misurarsi con le pi fantastiche realt di pianeti lontani.

    Jerzy Siewierski, in Nowe Ksiazki, 1968.

  • Riflesso condizionato

    Accadde al quarto anno, proprio prima delle vacanze. Pirx, che aveva gi compiuto tutte le esercitazioni pratiche, e a cui erano stati accreditati i voli simulati e due voli effettivi, aveva anche eseguito il giro autonomo, cio il volo sulla Luna con il rela-tivo atterraggio e ritorno. Si sentiva ormai un vecchio lupo del cosmo e un esperto dello spazio che aveva come casa i pianeti e per vestiario preferito un logoro scafan-dro. Pensava a se stesso come a un eroe che per primo scorgeva nello spazio l'appros-simarsi delle meteoriti e ne dava avvertimento con il rituale avviso: Attenzione! Uno sciame!!, salvando dallo sterminio, con una manovra fulminea una nave spaziale, se stesso e i suoi compagni meno dotati di lui. Cos appariva, almeno nella sua immagi-nazione, ma constatava con dolore, quando si radeva, che sul viso non si rispecchiava per niente l'immensit delle passate esperienze. E neppure il bruttissimo incidente con l'apparecchio di Harrelsberger (che gli era esploso fra le mani durante l'atterraggio su Sinus Medii) gli aveva causato un capello bianco. Si rendeva conto della futilit di sognare di avere i capelli brizzolati (eppure sarebbe stata una cosa magnifica avere le tempie che sembrassero coperte di brina!), ma si rammaricava di non avere attorno agli occhi qualche ruga che indicasse a prima vista l'intensit dell'osservazione delle rotte stellari. Invece, era com'era: rotondetto. Grattava con una vecchia lametta quel suo muso di cui si vergognava di nascosto, e cercava di inventare impressionanti av-venture che avevano se stesso come protagonista. Matters, che parzialmente conosce-va le sue preoccupazioni e in parte le intuiva, gli consigliava di farsi crescere i baffi. Difficile dire se quel consiglio era disinteressato. In ogni caso una mattina, durante un momento di solitudine davanti allo specchio, Pirx si mise un pezzo di laccetto nero da scarpe sul labbro superiore; rimase scosso dalla visione riflessa nello specchio, tanto era buffa. Incominci a dubitare di Matters, anche se non gli voleva certo male. Come certamente non intendeva dire niente di cattivo la bella sorella di Matters, quando gli disse che aveva un'apparenza molto bonaria: era stato il colpo di grazia per Pirx. Nella sala dove ballavano non era successo niente di particolare, aveva solo sbagliato ballo. Lei era stata abbastanza gentile da non farglielo pesare. Lui si era accorto so-lamente dopo qualche istante che gli altri stavano ballando un'altra cosa. Pi tardi, pe-r, era andato tutto liscio: non le aveva pestato pi i piedi, aveva cercato di non ridere (il suo modo di ridere non era apprezzato) e poi l'aveva accompagnata a casa. Dall'ul-tima fermata dell'autobus avevano camminato a piedi per un bel pezzo, e durante tut-to quel tempo Pirx aveva pensato a cosa escogitare per farle capire che non era affatto bonario, Perch in effetti quelle parole gli avevano dato molto fastidio. Si stavano gi avvicinando alla sua abitazione e fu preso dal panico. Non era riuscito ad inventare niente, a causa di tutto quel pensare. Divenne muto come un pesce. Nella sua testa regnava il vuoto, che dal vuoto cosmico si distingueva solo per lo sforzo disperato di cui era riempito. All'ultimo momento gli sfrecciarono come meteoriti due o tre idee: chiedere un appuntamento, baciarla, stringere la sua mano in modo significativo, de-

  • licato ma appassionato allo stesso tempo. Non ne venne fuori per niente. N la ba-ci, n strinse la sua mano, n cerc un appuntamento Ma questo non fu tutto! Quando lei gli diede la buonanotte con quella sua voce calda, e si volt verso il can-celletto afferrando la maniglia, Pirx si indispett. O forse successe perch nella sua voce gli era sembrato di sentire dell'ironia, reale o immaginaria che fosse. Dio solo lo sa, fatto sta che istintivamente, appunto quando si volse cos tranquilla e sicura di s, bella come una regina

    successe proprio allora: la sculacci; e anche forte. Sent un grido leggero e sof-focato. Doveva essere stata certamente colta di sorpresa! Ma Pirx non aspett di sa-perlo. Gir sui tacchi e fugg come se temesse d'essere inseguito Quando il giorno seguente si avvicin a Matters lo fece con la sensazione di avvicinare una bomba a orologeria; Matters per non era al corrente dell'incidente.

    La questione di quel particolare atteggiamento lo travagliava. In quel momento non aveva pensato a niente, per l'aveva sculacciata. Era questo l'atteggiamento giusto di un bonario gentiluomo?

    Non era del tutto sicuro, ma pensava piuttosto di s. Dopo la storia con la sorella di Matters (da allora lo evitava come il fuoco) cess ad ogni modo di fare smorfie allo specchio. Doveva ammettere che in un primo momento si era abbassato a tal punto da cercare con l'ausilio di un secondo specchietto un profilo del suo viso che acconten-tasse almeno parzialmente le sue grandi esigenze. Naturalmente non era completa-mente cretino e si rendeva conto del ridicolo di quei gesti da scimmia, ma d'altra par-te non stava cercando le tracce della bellezza, ma quelle del carattere! Conosceva Conrad e con rossore pensava al grande silenzio galattico, alle virt solitarie. Ma co-me si poteva immaginare un eroe solitario della notte eterna con una faccia del gene-re? I dubbi rimasero, ma la fece finita con le boccacce davanti allo specchio, dimo-strando in quel modo a se stesso di avere una forte e incrollabile volont.

    Queste preoccupazioni diminuirono un po' con l'avvicinarsi dell'esame che doveva sostenere con il professor Merinus, comunemente chiamato Merinos. In realt non temeva quell'esame e solamente tre volte si era recato alla sede di Astrodesia e astro-gnosia navigazionale dove gli studenti erano appostati davanti alle porte in attesa dei colleghi esaminati, non tanto per festeggiare i loro successi, quanto per scoprire quali domande insidiose avesse inventato l' infausto Montone (anche cos veniva chia-mato qualche volta il severo professore). Quei vegliardo, che nella sua vita non aveva mai messo piede non solo sulla Luna, ma neppure sulla soglia di un'astronave, cono-sceva grazie alla sua onniscienza teorica, ogni pietra di ogni cratere del Mare delle Piogge, le creste rocciose dei planetoidi e le zone meno accessibili delle lune di Gio-ve. Si diceva che avesse una conoscenza approfondita perfino delle meteore e delle comete che sarebbero state scoperte solo mille anni dopo, dato che fin da quel mo-mento aveva previsto matematicamente le loro rotte, grazie alla sua occupazione pre-ferita: l'analisi perturbante dei corpi celesti. L'immensit di quella sapienza lo rendeva acido verso le microscopiche cognizioni degli studenti. Pirx per non temeva Meri-nus, perch aveva scoperto la chiave per conquistarsi le sue simpatie. Il vecchio si era creato una propria terminologia che non veniva usata da nessun altro scienziato nella letteratura specialistica. Pirx, mosso dalla sua innata perspicacia, ordin in biblioteca tutte le opere di Merinus, ma non le lesse affatto. Le sfogli soltanto, estraendone pi

  • o meno duecento espressioni bizzarre. Se le impresse in modo duraturo nella mente e da allora visse nella convinzione che avrebbe dato l'esame con esito positivo. I risul-tati lo confermarono. Quando il professore sent lo stile delle sue risposte si mosse sulla sedia, arcu le folte sopracciglia e si concentr nell'ascolto di Pirx come se que-sti fosse un usignolo. Si sciolsero perfino le nuvole che di solito vagavano sul suo vi-so. Quasi ringiovan, perch gli sembr di ascoltare se stesso, e Pirx, stimolato da quella trasformazione e dalla propria sfrontatezza, ci dava dentro a tutto vapore. Il ri-sultato fu talmente favorevole che anche quando sbagli completamente nella rispo-sta, all'ultima domanda (che richiedeva la conoscenza di una formula e perci tutta la retorica non serviva), il professore gli concesse un ventisette scusandosi di non poter-gli accordare il trenta.

    In quel modo aveva addomesticato Merinus. Lo aveva preso per le corna. Per a-veva molto pi paura del bagno pazzesco, che rappresentava la successiva ed ulti-ma tappa prima degli esami finali.

    Per il bagno pazzesco non esistevano rimedi. Prima si andava da Alberto, che uf-ficialmente era solo un bidello presso la cattedra di Astropsicologia sperimentale, ma in realt era il braccio destro del docente, tanto che la sua parola era pi importante delle opinioni di tutti gli assistenti. Alberto era prima ancora il factotum del professor Balloe, che un anno prima era andato in pensione con gran gioia degli studenti e gran mestizia del bidello (perch nessuno lo capiva come il vecchio professore). Il bidello conduceva il candidato nella piccola saletta nel sotterraneo, dove eseguiva un calco di paraffina del viso dello studente; dopo la rimozione, immetteva nel calco del naso due tubetti metallici. Era tutto. Poi il candidato si recava al piano del bagno. Natu-ralmente non si trattava di un bagno vero e proprio, ma gli studenti non chiamavano mai le cose con il loro nome. Si trattava di una stanza abbastanza grande, con una va-sca piena d'acqua. Il candidato nel gergo studentesco il paziente si svestiva ed entrava nell'acqua che veniva riscaldata fino al punto in cui egli cessava di sentire la propria temperatura. Era una sensazione soggettiva: per alcuni l'acqua cessava di esistere a ventinove gradi centigradi, per gli altri solamente a trentadue. Bastava che il giovanotto in piscina (in posizione prona) alzasse la mano per spegnere il riscalda-mento dell'acqua, e subito uno degli assistenti gli appoggiava la maschera di paraffina sul viso. Successivamente aggiungevano all'acqua del sale speciale (e non cianuro di potassio come seriamente assicuravano coloro che avevano gi dietro di s questa prova). Sembrava invece trattarsi di semplice sale da cucina. Ne aggiungevano abba-stanza perch il paziente (chiamato anche l'annegato) potesse galleggiare libe-ramente subito sotto la superficie senza emergere. Poteva per respirare grazie ai tu-bicini metallici che sporgevano in superficie. Questo era fondamentalmente tutto. Scientificamente l'esperimento si chiamava privazione degli stimoli sensori. Infatti, privo di vista, udito, odorato, tatto (perch molto presto cessava di sentire la presenza dell'acqua), con le mani incrociate sul petto a somiglianza di una mummia egizia, l'annegato riposava in uno stato di sospensione senza peso. Per quanto tempo? Quanto poteva resistere.

    Non sembra niente d speciale. Per ad un uomo in una simile posizione comincia-no a succedere strane cose. Tutti potevano leggere liberamente le esperienze degli annegati nei manuali di psicologia sperimentale: quelle esperienze erano diversifi-

  • cate individualmente. Un terzo dei candidati non poteva resistere non solo cinque o sei ore, ma neppure tre. La resistenza era per raccomandabile perch le vacanze premio erano distribuite secondo la graduatoria: chi occupava il primo posto riceveva un premio del tutto particolare, per nulla simile ai soggiorni nelle varie stazioni cir-cumterrestri, di solito poco interessanti. Non si poteva mai prevedere chi nella prova si sarebbe dimostrato duro e chi no. Il bagno sottoponeva ad uno stress notevole tutta la personalit del candidato.

    L'inizio della prova and abbastanza liscio per Pirx, a parte il fatto che senza alcun bisogno nascose il viso sott'acqua prima ancora che l'assistente gli avesse messo la maschera, con la conseguenza di inghiottire un buon bicchiere di acqua che poteva subito convincersene era semplicemente salata.

    Dopo aver messo la maschera sent all'inizio un leggero ronzio alle orecchie. Si trovava in completa oscurit. Seguendo le regole, rilass i muscoli: l'acqua lo faceva galleggiare senza alcun movimento. Non poteva aprire gli occhi, anche se avesse vo-luto, perch la maschera aderiva perfettamente alle guance ed alla fronte, e non glielo permetteva. Prima sent prurito al naso, poi all'occhio destro. Naturalmente non pote-va grattarsi attraverso la maschera. Di simili pruriti non parlavano i rapporti degli al-tri annegati. Apparentemente si trattava del suo contributo privato alla psicologia sperimentale. Riposava, perfettamente inerte nell'acqua che non riscaldava n raf-freddava il suo corpo. Alcuni istanti dopo, perse la consapevolezza della propria esi-stenza.

    Avrebbe potuto naturalmente muovere le gambe o almeno le dita per convincersi che erano bagnate e scivolose, ma sapeva che dal soffitto veniva sorvegliato dall'oc-chio di una fotocellula con registratore ottico. Per ogni movimento c'erano punti di penalit. Autoascoltandosi, poteva, dopo un breve periodo, sentire i battiti del proprio cuore, che apparivano molto deboli e provenienti da una grande distanza. Non gli an-dava affatto male. Il prurito cess. Non sentiva nessun inconveniente. Alberto aveva inserito cos abilmente i tubetti nella maschera che non sentiva neppure quelli. Non aveva nessuna percezione. Quel vuoto stava diventando inquietante. Prima perse il senso della posizione del corpo, della posizione delle mani e dei piedi. Si ricordava ancora in quale modo era steso, perch lo sapeva, ma non percepiva niente. Incomin-ci a calcolare da quanto tempo si trovasse sott'acqua con la bianca paraffina che gli ricopriva il viso. Constat con sorpresa che lui, solitamente capace di definire il tem-po senza orologio, con qualche minuto di scarto, in quella circostanza non aveva la minima idea di quanti minuti o addirittura di quanti quarti d'ora fossero passati dalla sua immersione nel bagno pazzesco.

    Mentre si stava meravigliando di questo, not che ormai non possedeva n corpo, n viso, n nient'altro. Era come se non esistesse. Una sensazione di questo genere non poteva essere chiamata gradevole, ma piuttosto spaventosa. Come se si scioglies-se pian piano l'esistenza, che non lo riguardasse pi. Cess perfino di sentire il cuore. Tendeva l'udito quanto gli era possibile. Niente. Invece il silenzio che lo riempiva completamente divenne un mormorio sgradevole e sordo, un continuo fruscio contro il quale avrebbe voluto tapparsi le orecchie. Ad un certo punto pens che doveva es-sere passato gi un bel po' di tempo e che alcuni punti di penalit non lo avrebbero poi danneggiato tanto. Cerc di muovere le mani.

  • Non aveva niente da muovere: le mani sembravano non esistere. Si sbalord pi che spaventarsi. Era vero che aveva letto della perdita della sensazione del corpo, ma chi avrebbe mai creduto che essa potesse essere cos completa?

    Evidentemente doveva essere cos, si autotranquillizz. La cosa pi importante era non muoversi, se ci si voleva trovare ben collocati nella graduatoria; bisognava sop-portare questo ed altro. Questa massima lo sorresse per qualche tempo. Per quanto? Non lo sapeva.

    Poi incominci ad andare sempre peggio. All'inizio l'oscurit nella quale riposava o, pi esattamente, che lui stesso costruiva,

    si era riempita di deboli tremolii svolazzanti sull'orlo del campo visivo, in realt privo di luce. Muoveva le pupille degli occhi e si sentiva incoraggiato dal fatto che perce-piva chiaramente quel movimento. Per, stranamente, dopo qualche mossa anche gli occhi si sottrassero al suo potere

    I fenomeni audio-visivi, tutti quei tremolii, mormorii e fruscii, rappresentavano pe-r solo un'innocua introduzione, uno scherzo, in confronto con quello che gli sarebbe successo subito dopo.

    Si stava disintegrando. Non con il corpo: del corpo non se ne parlava pi, il corpo aveva cessato di esistere da secoli, era passato remoto, era qualcosa perduto in modo irrevocabile. Forse non lo aveva mai avuto?

    A volte capita che una mano priva di circolazione sanguinea, premuta contro qual-che oggetto per un certo periodo di tempo, intorpidisca e divenga insensibile. Si pu toccarla con l'altra mano sensibile e viva, e si ha l'impressione di un pezzo di legno. Quasi tutti conosciamo questa strana e sgradevole sensazione che, per fortuna, passa velocemente. Ma in quel caso l'uomo normale, sensibile, vivo; solamente un dito o una mano sono colti da un'inerzia mortale, diventando quasi un oggetto attaccato al resto del corpo. A Pirx non rimase niente, o piuttosto quasi niente, ad eccezione della paura.

    Si stava disintegrando; non era questione di persone, ma di paura. Di che cosa ave-va paura? Non ne aveva la pi pallida idea. Non si trattava di realt come potrebbe esistere la realt senza il corpo? n di sogno. Non sognava: sapeva dov'era e che cosa gli stava succedendo. Era una terza cosa. Ma non era simile neppure ad uno stato di ubriachezza.

    Aveva letto anche questo. Si chiamava disorganizzazione del lavoro della cortec-cia cerebrale, causata dalla privazione del cervello degli impulsi trasmessi.

    Non suonava neanche male. Per l'esperienza Gli sembrava di essere un po' qui, un po' l, tutto stava sbandando. Direzioni. Sopra, sotto, lato niente di tutto questo. Cerc di ricordarsi dove potesse essere il soffitto. Ma come si poteva parlare di soffit-to in assenza di corpo e di occhi?

    Un momento disse a se stesso faremo un po' d'ordine in tutto questo. Lo spazio, le dimensioni, le tre direzioni

    Queste parole avevano perduto qualsiasi significato. Pensava al tempo, ripeteva tempo, tempo, come se masticasse un pezzo di carta. Un conglomerato senza signi-ficato. Non era pi lui a ripeterlo, lo diceva un nessuno, un estraneo che era entrato in lui. No, era lui che era entrato in qualcuno. E quel qualcuno si stava gonfiando. Stava perdendo tutti i limiti. Stava viaggiando attraverso interni incomprensibili, divenne

  • un enorme pallone, poi un impensabile dito di elefante, tutto un dito ma non suo, non vero, ma inventato, preso non si sa dove. Quel dito si stava rendendo indipendente, stava diventando qualcosa di opprimente, immobile, piegato come se lo stessero pu-nendo, e nello stesso tempo stupido, e lui il suo pensiero galleggiava per aria, una volta da una parte, una volta dall'altra della figura geometrica tridimensionale, una figura impossibile, calda, orrenda Spari. Girava. Girava attorno a se stesso. Cadeva come un sasso. Voleva urlare, occhi luccicanti senza faccia, tondastri, spalan-cati, diffusi. Quando voleva affrontarli sembravano volerlo assalire, si spingevano, lo dilatavano, tanto da sentirsi un serbatoio fatto di un materiale cos sottile da spaccarsi.

    E scoppi Si divise in tante particelle di oscurit, indipendenti fra di loro, che galleggiavano

    in aria come piccoli brandelli di carta bruciata. E in queste oscillazioni e galleggia-menti era compressa una terribile tensione, uno sforzo esistente solamente in una ma-lattia mortale, come quando, attraverso spazi di nebbia e di vuoto, quello che una vol-ta era un corpo efficiente ed ora solamente un deserto insensibile in stato di raffred-damento, desidera farsi sentire per l'ultima volta, raggiungere un altro uomo, vederlo, toccarlo.

    Un momento disse qualcosa, in modo sorprendentemente sobrio, ma quel qual-cosa era a lui estraneo, non aveva a che fare con lui. Poteva darsi che qualche buon uomo, mosso da piet, gli avesse parlato? A chi? Dove? Eppure l'aveva sentito. No, quella non era una voce vera.

    Un momento. Gli altri avevano gi attraversato quella agonia. Di tutto quello non si moriva. Bisognava tener duro.

    Quelle parole se le ripeteva sempre, finch non ne perse il senso. Tutto incominci a sciogliersi nuovamente come una carta assorbente grigia imbevuta d'acqua, oppure come una montagna di neve esposta al sole. Gli sembrava di scappare senza muover-si, di sparire gradualmente.

    Fra poco non ci sar pi pens del tutto seriamente, perch le sue sensazioni ri-cordavano pi la morte che il sonno. Sapeva una sola cosa: che non stava sognando. Si sentiva accerchiato da tutte le parti. Erano in diversi. Quanti? Non riusciva a con-tarli.

    Cosa sto facendo qui? chiese qualcosa in lui. Dove mi trovo? Nell'oceano? Sulla Luna? L'esperienza

    Non credeva che potesse trattarsi dell'esperienza. Come poteva essere: un po' di pa-raffina, l'acqua salata e l'uomo cessa di esistere? Decise di dar fine a tutto quello ad ogni prezzo. Lottava, senza sapere con che cosa, come se cercasse di sollevare un e-norme sasso che lo stava schiacciando. Ma non poteva fare la minima mossa. In un ultimo sprazzo di coscienza, raccolse il resto delle forze e gemette. Sent quel suo gemito, attutito e lontano come un segnale radio da un altro pianeta.

    Per un secondo si risvegli e si concentr, ma solo per cadere in una successiva agonia ancora pi nera e sconvolgente della precedente.

    Non sentiva nessun dolore. Beh, se ci fosse almeno stato un dolore! Si sarebbe in-sediato nel suo corpo, avrebbe dato segni di vita, avrebbe definito qualche limite, a-vrebbe scosso i nervi. Ma qui si trattava di un'agonia indolore: un morto, crescente, ingresso nel nulla. Sentiva come l'aria assorbita spasmodicamente stesse entrando in

  • lui, ma come se entrasse non nei polmoni, ma in una zona di vibranti brandelli del pensiero. Gemere, gemere almeno una volta ancora, sentire se stesso

    Quando uno ha voglia di gemere, non deve pensare alle stelle si fece sentire una voce vicina ma sconosciuta ed estranea.

    Ci pens e non gemette. Del resto non esisteva pi. Non sapeva chi fosse e sentiva solamente fredde e appiccicose correnti che lo attraversavano da parte a parte. Perch nessuno di quei cretini aveva mai menzionato questi stati nelle loro relazioni? Gli sembrava di diventare trasparente. Di essere diventato un buco, un colino, un insieme di tortuose caverne e passaggi.

    Poi anche questo svan, rimase solamente la paura, che perdur anche quando spar l'oscurit, scossa da un brivido e da un lampeggio.

    Poi peggior ancora. Ma quello Pirx non era in grado di raccontarlo, perch per simili esperienze non erano state ancora inventate parole adeguate. Non riusc ad e-sprimerlo in nessun modo. S, s gli annegati si arricchivano di una terribile espe-rienza che nessuno dei professori poteva nemmeno sospettare. D'altra parte non c'era niente da invidiare.

    Pirx visse attraverso vari stati ed esperienze. Per un po' di tempo non esisteva, poi riappariva, moltiplicato, poi qualche cosa gli divorava il cervello, poi succedevano cose molto complesse, inesprimibili, mostruose, unite dalla paura che era sopravvis-suta al corpo, al tempo e allo spazio. Tutto.

    Se ne sazi all'inverosimile. Il dottor Grotius disse: Il primo gemito lo ha emesso al centotrentottesimo minuto, e il secondo al due-

    centoventisettesimo. Tutto sommato tre punti di penalit; e nessuna convulsione! Prego, accavalli le ginocchia. Controller i riflessi Come riuscito a resistere tanto a lungo?

    Pirx stava seduto sopra un asciugamano ruvidissimo, piegato in quattro. Questa ru-vidit gli dava una sensazione molto gradevole. Si sentiva come Lazzaro. Non perch gli rassomigliasse, ma perch si sentiva realmente resuscitato. Aveva resistito per set-te ore. Era arrivato primo nella graduatoria. Durante le ultime tre ore gli era sembrato di morire migliaia di volte. Per non aveva gridato. Quando lo tirarono fuori grondan-te, lo asciugarono, lo massaggiarono, gli fecero una iniezione, gli diedero un sorso di cognac. Mentre lo conducevano al gabinetto medico del dottor Grotius si guard nel-lo specchio. Era completamente assordato, intontito, come uno che si alzi dal letto dopo mesi di malattia. Sapeva che tutto era ormai finito. Nonostante questo, si guard nello specchio. Non che si aspettasse di vedere dei capelli bianchi, ma cos. Vide il suo largo viso, si volt di scatto e and avanti lasciando sul pavimento le tracce dei piedi bagnati. Per molto tempo il dottor Grotius cerc di strappargli le descrizioni de-gli stati d'animo vissuti. Sette ore, non era uno scherzo. Il dottor Grotius guard Pirx in modo diverso da prima: non tanto con simpatia, quanto con il diletto di un entomo-logo che ha scoperto una nuova specie di falena, oppure una nuova specie di maggio-lino. Forse vedeva in lui il soggetto di un saggio scientifico?

    Bisognava purtroppo ammettere che Pirx non si dimostr un soggetto facile per una ricerca del genere. Era seduto e sbatteva scioccamente le palpebre: tutto gli sem-brava piatto, bidimensionale, e quando stendeva la mano per raggiungere qualche og-

  • getto, esso risultava pi lontano o pi vicino del suo calcolo. Era un fenomeno nor-male, ma non era normale la sua risposta alla domanda dell'assistente che cercava di ottenere un qualche particolare.

    Lei c' stato l? ribatt con una domanda alla domanda dell'altro. No, si meravigli il dottor Grotius. Ma perch? Allora ci vada, gli propose Pirx. Cos potr rendersi conto lei stesso di

    che si tratta. Il giorno dopo si sentiva gi cos bene che era perfino in grado di scherzare sul te-

    ma del bagno pazzesco. Periodicamente andava nell'edificio centrale dove c'era la bacheca degli avvisi. In questa bacheca venivano affissi gli avvisi riguardanti la di-stribuzione dei lavori estivi. Per non riusc a trovare il suo nome. Il giorno dopo era domenica.

    Luned il Capo lo chiam. All'inizio Pirx non si preoccup, ma fece un esame di coscienza. Non poteva trat-

    tarsi del topo che aveva fatto entrare nel razzo Ostensa, perch era successo tanto tempo prima e poi il topo era piccolissimo e non valeva neppure la pena di parlarne. Poi c'era stata quella stupida storia della sveglia che automaticamente inseriva la cor-rente nella rete del letto di Maebius, ma anche questa era una stupidaggine. A ven-t'anni si fanno cose anche peggiori. Del resto il Capo era comprensivo. Entro certi li-miti. Che avesse saputo dello spirito? Lo spirito era un'idea originale di Pirx. Gli amici naturalmente lo avevano aiutato: a cos'altro servono gli amici? Ma Barn si me-ritava una lezioncina. Operazione spirito funzion come un orologio. Misero della polvere da sparo nelle cartine da sigarette, poi fecero un tracciato della stessa polvere, tre volte attorno alla stanza, finendo sotto al tavolo. Forse ne avevano effettivamente versata un po' troppa. Il tracciato usciva nel corridoio attraverso la fessura sotto la porta. Per tutta la settimana, durante le serate, non si faceva altro che parlare degli spiriti, per preparare moralmente Barn all'evento in gestazione. Pirx non era stupido, aveva diviso i ruoli: alcuni ragazzi raccontavano storie terribili, mentre gli altri face-vano gli increduli. Tutto questo serviva a evitare che Barn si rendesse conto dello stratagemma. Barn stesso non prendeva parte a queste ponderazioni metafisiche, limi-tandosi ogni tanto a deridere gli assertori pi fanatici di quell'altro mondo. Si, ma bisognava vederlo a mezzanotte, quando schizz fuori dalla sua camera da letto rug-gendo come un bufalo inseguito da una tigre. La fiamma si insinu nella sua stanza attraverso la fessura sotto la porta, gir tre volte attorno alla stanza e poi scoppi sot-to il tavolo cos violentemente, che perfino i libri caddero per terra. Per Pirx aveva esagerato un po', perch scoppi un piccolo incendio. Alcuni secchi d'acqua liquida-rono il fuoco, ma rimase il buco nel tavolo e la puzza di cordite. In un certo senso lo scherzo non riusc, perch purtroppo Barn non si convinse della esistenza degli spiri-ti.

    Pirx and a rapporto convinto di essere stato convocato per questo scherzo. Si alz pi presto del solito, indoss una camicia pulita, diede uno sguardo al Libro dei voli e alla Navigazione e si avvi.

    Lo studio del Capo era splendido o almeno tale sembrava a Pirx. Le pareti erano tappezzate interamente da carte celesti; sullo sfondo blu scuro apparivano costella-zioni giallo miele. Un piccolo globo lunare muto sulla scrivania, moltissimi libri, di-

  • plomi ed un secondo globo vicino alla finestra. Questo secondo globo era una vera meraviglia della tecnica: premendo il bottone giusto, si accendevano e roteavano sa-telliti artificiali; si diceva che non vi fossero solo i satelliti pi recenti, ma che vi fos-sero compresi perfino gli Sputnic storici del 1957.

    Questa volta per Pirx non guard il globo. Quando entr, il Capo stava scrivendo. Gli disse di sedersi e di aspettare. Poi si tolse gli occhiali li portava solo da un an-no e lo osserv attentamente come se lo vedesse per la prima volta in vita sua. Era un suo metodo. Perfino un santo con la coscienza perfettamente a posto si sarebbe sentito a disagio. E Pirx non era un santo. Non riusciva a rimanere seduto tranquilla-mente sulla poltrona. Alle volte sprofondava in essa, assumendo un atteggiamento troppo rilassato, da milionario sul ponte del suo yacht; altre volte scivolava in dire-zione del tappeto e dei propri tacchi. Dopo un lungo silenzio il Capo disse:

    Come va, ragazzo? Lo trattava con cordialit, dunque non andava tanto male. Pirx spieg che tutto era

    in ordine. Ho sentito che hai fatto il bagno. Pirx conferm. Ma perch aveva sollevato quest'argomento? Divenne di nuovo so-

    spettoso. Forse non era stato abbastanza gentile con l'assistente C' un posto libero per il tirocinio a Mendeleiev. Sai dove si trova? una stazione astrofisica dall'altra parte rispose Pirx. Era un po' deluso.

    Aveva una tacita speranza tanto segreta che per non pregiudicare la sua realizza-zione, non la voleva ammettere nemmeno a se stesso di ricevere una proposta di-versa. Di un volo. C'erano tante astronavi, tanti pianeti e lui doveva ricevere una semplice missione in una base dall' altra parte Una volta era di moda chiamare l'altra parte il lato opposto della Luna che era invisibile dalla Terra. Ma ormai tutti usavano questa espressione.

    Giusto. Sai com'? chiese il Capo. Lo disse con una particolare espressione del viso, come se nascondesse qualcosa. Pirx tentenn per un secondo, incerto se dire la verit.

    No disse alla fine. Se accetterai il compito ti dar tutta la documentazione, il Capo appoggi la

    mano su una pila di carte. Vuol dire che posso anche non accettare? chiese Pirx con malcelata vivacit. Puoi. Perch il compito , cio potrebbe dimostrarsi, pericoloso Voleva dire qualcosa, ma non poteva. Interruppe appositamente per osservare Pirx,

    il quale lo fiss con gli occhi sbarrati, prese lentamente e profondamente respiro e cos rimase dimenticando quasi la necessit di ulteriore respirazione. Arross come una ragazza cui appare il suo principe azzurro, e attese altre parole inebrianti. Il Capo tossicchi.

    Beh, beh, disse, cercando di ridimensionare la cosa. Ho esagerato. Ad o-gni modo ti sbagli.

    Come? balbett Pirx. Stavo dicendo che tu non sei l'unico uomo sulla Terra da cui tutto dipende

    L'umanit non si aspetta da te la salvezza. Almeno per il momento, non ancora. Pirx, rosso come un pomodoro, era imbarazzatissimo e non sapeva dove mettere le

  • mani. Il Capo era noto per i suoi metodi: un istante prima gli aveva mostrato una vi-sione paradisiaca l'eroe Pirx che, dopo aver compiuto il Fatto Eroico, stava ritor-nando al cosmodromo fra due ali di folla raccolta che sussurrava con ammirazione: Eccolo! Eccolo!! poi, come se non si rendesse conto delle conseguenze, aveva cominciato a sminuire l'importanza della missione, a ridurne le dimensioni ad un semplice tirocinio di vacanza. Finalmente spieg:

    Gli addetti alla stazione si reclutano fra gli astronomi che vengono trasportati all'altra parte per passarvi un mese e basta. Il normale lavoro non richiede niente di speciale. Per questa ragione i candidati erano soggetti fino ad ora ai controlli di prima e seconda categoria. Ora, dopo l'incidente, occorrono degli uomini meglio preparati. La cosa migliore sarebbe mandare dei piloti, ma capisci tu stesso che non si pu met-tere un pilota in una semplice stazione d'osservazione

    Pirx lo sapeva. Non solamente la Luna, ma tutto il sistema solare chiedeva ad alta voce piloti, astronauti, navigatori, ma questi erano sempre troppo pochi. Ma cos'era quell'incidente che il Capo aveva menzionato? Aveva abbastanza buon senso per non chiedere.

    La stazione molto piccola. stata concepita male, vicino alla sommit setten-trionale invece che in fondo al cratere. La sua collocazione stata preceduta da una lunga storia e il fattore decisivo fu il prestigio piuttosto che la ricognizione selenode-siaca. Potrai familiarizzarti con questa storia pi tardi. L'anno scorso una parte della cresta montagnosa caduta e ha distrutto l'unica via d'accesso. L'accesso ora piutto-sto difficile ed possibile solo durante il giorno. Si progettava di costruire una funi-colare, ma i lavori sono stati interrotti, perch nel frattempo stata presa la decisione di trasferire la stazione pi in basso, l'anno venturo. In pratica durante la notte ta-gliata fuori dal mondo. Cessa la comunicazione radio perch?

    Prego? Stavo chiedendo perch cessa la comunicazione radio Questo era tipico del Capo. Affidare una missione, una ingenua conversazione, al-

    l'improvviso si trasforma in esame! Pirx incominci a sudare. Dato che la Luna non possiede n atmosfera, n zona ionizzata, la comunica-

    zione radio in essa viene mantenuta per mezzo di onde ultracorte. A questo scopo so-no state costruite catene di rel, simili a quelle televisive

    Il Capo, con i gomiti appoggiati sulla scrivania, giocherellava con la biro, facendo capire che era paziente e che avrebbe ascoltato fino in fondo. Pirx invece si dilungava sulle questioni comunemente note, dato che purtroppo si stava avvicinando ai pro-blemi dove la sua conoscenza lasciava a desiderare.

    Simili linee di trasmissione esistono sia da questa parte che da quella, pre-se la rincorsa cercando di entrare in acque note. Da questa parte ce ne sono otto. Esse uniscono la Luna principale con le stazioni di Sinus Medii, Palus Somnii, Mare Imbrium

    Questo lo puoi tralasciare, lo interruppe magnanimamente il Capo. Lascia stare anche le ipotesi sulle origini della Luna. Adesso ascolto

    Pirx sbatt le palpebre. I disturbi della recezione sorgono quando la catena dei rel entra nella zona

    terminale. Quando una parte dei rel si trova ancora in ombra e sopra gli altri sorge il

  • Sole Capisco. Non devi spiegarmelo disse cordialmente il Capo. Pirx tossicchi, poi si soffi il naso. Ma tutto questo non poteva durare all'infinito. A causa della mancanza dell'atmosfera la radiazione corpuscolare del Sole,

    bombardando il guscio lunare, causa, ehh, disturbi alle onde radio. Questi disturbi appunto interferiscono

    S'incagli. In altre parole i disturbi disturbano. Molto giusto! sugger il Capo. Ma in

    che cosa consistono? Si tratta della attrazione secondaria indotta per l'effetto di No No No? ripet con comprensione il Capo. Nowinski! esplose Pirx. Finalmente se l'era ricordato. Ma anche questo non bastava. In che cosa consisteva quell'effetto? Ecco appunto ci che Pirx non sapeva. Cio, lo aveva saputo una volta, ma se lo

    era dimenticato. Fino alla soglia della sala d'esame aveva portato come un prestigiato-re una piramide di inverosimili oggetti accatastati sulla testa, ma l'esame era gi pas-sato I suoi disperati discorsi sugli elettroni, sulla radiazione forzata e sulla risonan-za, furono interrotti dallo scuotimento di disapprovazione del Capo.

    S, s, disse quell'uomo duro. Ed il professor Merinus ti ha dato ventiset-te Possibile che si sia sbagliato?

    La poltrona di Pirx incominci a rassomigliare a un cono vulcanico. Non vorrei fargli dispiacere, perci sar meglio che non lo sappia Pirx respir con sollievo Ma durante l'esame per il diploma chieder al pro-

    fessor Laab Interruppe significativamente. Pirx si irrigid. Non a causa di quelle parole, ma

    perch la mano del Capo lentamente stava raccogliendo le carte che lui avrebbe dovu-to ricevere insieme alla missione.

    E perch non viene applicata la comunicazione via cavo? interrog il Capo senza guardarlo.

    Per causa del costo. Un cavo coassiale unisce per il momento solamente la Luna Centrale con Archimede. Per durante i prossimi cinque anni si progetta la costruzio-ne di cavi su tutta la rete rel spar Pirx.

    Il Capo, non ancora rasserenato, ritorn al soggetto. Beh, s. In pratica Mendeleiev tagliato fuori dal mondo per duecento ore du-

    rante ogni notte. Finora lass il lavoro si svolto normalmente. Il mese scorso, per, dopo la solita interruzione nella comunicazione, la stazione non ha risposto alla chiamata da Ciolkowski. La squadra di Ciolkowski part all'alba, trov il portello principale aperto, e nell'abitacolo, un uomo. I canadesi che erano di servizio erano Challiers e Savage. Quest'ultimo era steso per terra e aveva il casco spaccato. Era morto per asfissia. Challiers fu trovato solamente il giorno successivo in fondo a un abisso presso il Cancello del Sole. Era deceduto in seguito a una caduta. Eppure alla stazione regnava l'ordine, le apparecchiature erano in funzione, le scorte erano intatte, nessuna avaria. Ne hai letto?

    S, disse Pirx. Ma sui giornali scrissero che si era trattato di una disgrazia.

  • Psicosi Doppio suicidio in un accesso di follia Assurdit, disse il Capo. Conoscevo bene Savage. Dalle Alpi. Non poteva

    esser cambiato cos tanto. I giornali hanno scritto delle frottole. Ti leggerai il rapporto della commissione mista. Ascoltami! I ragazzi come te sono gi stati assoggettati agli esami con la medesima meticolosit dei piloti, solamente non hanno ancora il diplo-ma e perci non possono volare. Inoltre, in un modo o nell'altro, il tirocinio delle va-canze dovrai pur farlo. Se sarai d'accordo potrai partire domani.

    E chi l'altro? Non lo so. Un astrofisico. L c' bisogno di astrofisici. Credo che non ti sar di

    grande aiuto, ma potrai aggiornarti sull'astrografia. Ti rendi conto di che cosa signifi-chi? La commissione arrivata alla conclusione che si trattato di una disgrazia, tut-tavia un'ombra rimasta, chiamiamolo pure un bisogno di chiarimento. successo qualche cosa di inspiegabile. Non si sa che cosa. La commissione ha quindi pensato che sarebbe bene, durante il prossimo turno di servizio, avere almeno una persona con le qualifiche psichiche del pilota. Non vedo alcuna ragione per non collaborare. D'altra parte, certamente, non avverr niente di particolare. Naturalmente devi tenere occhi e orecchie aperte, ma non ti affido nessuna missione poliziesca, nessuno si a-spetta da te la scoperta di nuovi elementi per chiarire quella disgrazia. Del resto que-sto non il tuo compito. Non ti senti bene?

    Che cosa? S, s, sto bene, rispose Pirx. Mi sembrava Credi di riuscire a comportarti in modo ragionevole? Perch mi

    pare che la storia ti sia gi andata alla testa. Sto pensando Mi comporter in modo ragionevole, disse Pirx, con tono di voce fermissi-

    mo. Dubito, disse il Capo. Ti sto mandando senza entusiasmo. Se non fosse

    per il primo posto in graduatoria Allora tutto a causa di quel bagno? cap solo in quel momento Pirx. Il Capo fece finta di non sentire. Prima gli consegn i documenti, poi gli tese la

    mano. Partenza domani alle otto del mattino. Prendi con te meno roba possibile. Del

    resto ci sei gi stato e lo sai. Ecco il biglietto per l'aereo e la prenotazione per il tran-sgalattico. Volerai alla Luna Centrale e di l ti manderanno oltre

    Continuava a parlare. Gli faceva gli auguri? Lo salutava? Pirx non lo sapeva. Non sentiva pi niente. Non poteva sentire perch era ormai molto lontano, dall' altra parte. Nelle orecchie aveva i tuoni del lancio, negli occhi le fiamme bianche delle rocce lunari, e su tutto il viso, quasi lo stesso stupore dei volti dei due canadesi che avevano fatto una fine cos enigmatica. Girando sui tacchi, sbatt contro il grande globo. In quattro salti fece una rampa di scale, come se si trovasse gi sulla Luna; do-ve la gravit diminuisce di sei volte. Davanti al palazzo fu quasi travolto da una mac-china, che fren facendo stridere i pneumatici; molta gente si ferm, ma lui non lo not neppure. Per fortuna il Capo non vide gli inizi di questo promesso comporta-mento ragionevole, perch era ritornato ai suoi documenti.

    Durante le successive ventiquattro ore accaddero tante cose a Pirx, riguardanti Pirx, con Pirx, e a causa di Pirx, che egli a volte sent quasi la nostalgia di quel bagno

  • tiepido e salato durante il quale non succedeva assolutamente nulla. noto che all'uomo fa male tanto l'insufficienza quanto l'esuberanza di sensazioni.

    Ma Pirx non formulava conclusioni di questo genere e tutti gli sforzi del Capo di sminuire, di ridurre, di svalutare il compito assegnatogli non nascondiamolo non servirono a nulla. Pirx entr nell'aereo con una espressione tale che la bella ho-stess automaticamente fece un passo indietro, il che costituiva indubbiamente un ma-linteso, perch Pirx non la not neppure. Marciava come se fosse a capo di un ferreo manipolo, si sedette sulla poltrona come Guglielmo il Conquistatore, e si sent anche Salvatore Cosmico dell'Umanit, Benefattore della Luna, Scopritore di Terribili Se-greti, Domatore degli Spauracchi dell'Altra Parte e tutto questo, solamente in futu-ro, in spe. Ma ci non influiva minimamente sul suo stato d'animo, al contrario, lo riempiva di una benevolenza ed indulgenza verso i compagni di viaggio, che natu-ralmente non avevano la minima idea di chi si trovasse con loro all'interno del jet! Pirx invece li guard come Einstein poteva aver guardato, alla fine dei suoi giorni, dei bambini giocare tra di loro.

    La nuova astronave del transgalattico Selene partiva dal cosmodromo di Nu-bia, nel cuore dell'Africa. Pirx ne era contento, sebbene non pensasse che un giorno, in quel luogo, sarebbe stata murata una lapide commemorativa. No, cos lontano non si era spinto nei suoi sogni; ma ci mancava poco. Gradualmente, per, all'estasi si so-stitu l'amarezza. Sull'aereo potevano anche non sapere della sua presenza, ma sull'a-stronave? Risult che gli era stato assegnato un posto nella classe turistica, in basso, fra i rumorosi francesi, addobbati di macchine fotografiche, ognuno dei quali cercava di sovrastare l'altro con la propria voce, in una lingua per Pirx incomprensibile. Lui, in una folla di rumorosi turisti!?

    Nessuno si occupava di lui. Nessuno lo vedeva vestito in uno scafandro rigonfio d'aria, nessuno gli appendeva bombole d'ossigeno sulla schiena, nessuno gli chiedeva come stesse; al momento cercava di consolarsi pensando che lo facessero per riguar-do. L'interno della classe turistica somigliava alla cabina di un jet, solo le poltrone e-rano pi grandi, pi profonde e il quadro sul quale si accendevano varie scritte, si tro-vava davanti al suo viso. In generale quelle scritte contenevano varie proibizioni: al-zarsi, muoversi, fumare. Invano Pirx cerc con diversi atteggiamenti da professionista di distinguersi dalla folla dei dilettanti di astronautica, accavallando le gambe o igno-rando le cinture di sicurezza. Fu un aiuto pilota, invece della graziosa hostess ad im-porgli di allacciare le cinture, ma si tratt dell'unico caso in cui gli fu rivolta l'atten-zione. Finalmente uno dei francesi, probabilmente per errore, gli offr una caramella di frutta; Pirx la prese, s'impast la bocca con quel dolce attaccaticcio, e sprofondan-do nella poltrona rigonfia si perse con i suoi pensieri. Pian piano riconferm la sua convinzione della terribile pericolosit della sua missione, assaporando lentamente l'avvicinarsi del minaccioso incarico. Si comportava come un alcolizzato che si im-possessato di una bottiglia ricoperta di muffa che ricorda i tempi di Napoleone.

    Il posto vicino all'obl? Si capisce, decise di ignorarlo del tutto. Aveva gi visto tante volte!

    Per non resistette. Quando Selene entr nell'orbita di circumnavigazione celeste, dalla quale doveva partire verso la Luna, si attacc al vetro: era in effetti affascinante quel momento in cui la superficie della Terra, segnata dalle linee delle strade, dei ca-

  • nali, punteggiata da citt e villaggi, sembrava liberarsi da tutti i segni di presenza u-mana e finalmente appariva solo come un pianeta coperto di macchie con alcuni rilie-vi e ricoperto da batuffoli di nuvole, mentre l'occhio passando dal nero degli oceani al verde dei continenti cercava invano di trovare segni di presenza umana. Dalla distan-za di alcune centinaia di chilometri la Terra sembrava vuota terribilmente vuota come se la vita vi rinascesse solo in quel momento nelle zone pi calde.

    In effetti l'aveva veduta gi altre volte, ma quella realt lo sorprendeva sempre, perch in essa vi era qualcosa con cui era difficile riconciliarsi. Si trattava forse di una prima presa di coscienza delle microscopiche dimensioni dell'uomo in confronto allo spazio? Oppure si trattava dell'entrata nell'ambito di una diversa scala di gran-dezze, quella planetaria? Oppure dell'immagine della caducit degli sforzi millenari dell'uomo? Oppure, al contrario, del trionfo dell'uomo, che nel suo piccolo riusciva a vincere la potenza morta e impassibile della gravit di questa spaventosa formazione, e che, dopo aver lasciato dietro di s le montagne selvagge e i ghiacci polari, si trasfe-riva su altri corpi celesti? Quelle considerazioni o piuttosto sentimenti privi di pa-role cedettero il posto ad altre, perch la nave cambi rotta, e attraverso il buco delle zone di radiazioni che si apriva sopra il Polo Nord, si lanci verso le stelle.

    Non riuscirono per ad ammirare le stelle per troppo tempo, perch fu servito il pranzo, durante il quale i motori continuarono a lavorare per creare una sostituzione alla gravit. Dopo il pranzo i passeggeri si sedettero nuovamente sulle poltrone, le lu-ci si spensero e si pot vedere la Luna.

    Si stavano avvicinando alla Luna dalla parte meridionale. Solamente a qualche centinaio di chilometri dal Polo risplendeva, per la luce solare riflessa, Tycho Brahe, una macchia bianca, con strisce raggianti che sparavano in tutte le direzioni e la cui sbalorditiva regolarit meravigli generazioni intere di astronauti terrestri, per diven-tare poi, dopo la soluzione dell'enigma, oggetto degli scherzi degli studenti. Non si cercava forse di convincere gli allievi del primo corso che il cerchietto bianco di Tycho era in effetti l'apertura dell'asse lunare e le sue bande di raggi erano sempli-cemente grossolani tracciati di meridiani?

    Pi si avvicinavano alla sfera sospesa nello spazio nero, pi chiara appariva la veri-t che si trattava di un'immagine del mondo rappreso e consolidato in masse di lava alcuni miliardi di anni fa, quando la Terra calda viaggiava con il suo satellite attraver-so nuvole di meteoriti e rimanenze di planetogenesi; quando la grandine di ferro e di rocce batteva incessantemente contro la sottile crosta della Luna, trafiggendola, but-tando sulla superficie ondate di magma; quando, dopo un tempo infinitamente lungo, lo spazio si ripul, si svuot, e il globo privo di aria rimase un campo di battaglia a memoria delle epoche in cui le convulsioni avevano formato le montagne. Poi la sua maschera rocciosa, massacrata dai bombardamenti, divenne ispirazione di poeti e lampada lirica degli innamorati.

    Selene, che portava quattrocento tonnellate di uomini e di carico, si volt con la poppa verso il disco crescente, e inizi una lenta, ritmica frenatura, per appoggiarsi finalmente, vibrando delicatamente, in uno dei grandi e concavi imbuti del cosmo-dromo.

    Pirx vi era gi stato tre volte, fra le quali due da solo, e questo significa che lui stesso aveva allunato nel mezzo del campo delle esercitazioni, distante mezzo chilo-

  • metro dal campo d'atterraggio dei passeggeri. Quella volta non lo vide nemmeno, perch l'enorme fusoliera di Selene, tutta rico-

    perta di piastrelle di ceramite, fu spostata sopra la base dell'ascensore idraulico e spar sotto terra nell'hangar ermetizzato dove fu eseguito il controllo doganale: narcotici? Liquori? Esplosivi o materiali velenosi o corrosivi? Pirx aveva una piccola quantit di simili materiali e pi specificatamente una bottiglietta piatta di cognac regalatagli da Matters. La nascose nella tasca posteriore dei pantaloni. Poi fu la volta del controllo sanitario: certificato di vaccinazione, della sterilizzazione del bagaglio per non trasci-nare sulla Luna qualche microbo terrestre. Questo controllo lo pass subito.

    Dietro le balaustre si ferm, incerto se qualcuno lo stesse aspettando. Si trovava all'ammezzato. L'hangar era semplicemente un enorme salone ricavato

    dentro la roccia e cementato, con il soffitto semisferico e il pavimento completamente piatto. Di luce ce n'era in abbondanza, tanto di quella solare, quanto di quella delle piastre fluorescenti, una moltitudine di gente correva avanti e indietro, sui carrelli a propulsione elettrica correvano i bagagli, bottiglioni di gas compresso, accumulatori, casse, tubi, spole di cavi, e nella profondit si scorgeva l'enorme sagoma immobile di Selene, causa di tutta questa febbrile attivit. La sua parte centrale era simile ad un serbatoio di gas, perch la poppa riposava profondamente sotto il cemento in un ap-posito pozzo, e la sommit passava attraverso un'apertura al piano superiore.

    Pirx stava fermo in ammirazione, finch non si ricord di avere degli affari propri da sbrigare. Nel capitanato dell'aeroporto lo ricevette un impiegato, che gli consegn un blocchetto per il pernottamento e gli disse che l'astronave per l'altra parte della Luna sarebbe partita undici ore dopo. Aveva una grande fretta e non diede a Pirx nes-sun'altra informazione. Pirx usc nel corridoio con una impressione di confusione. Non sapeva neppure con esattezza quale rotta avrebbe seguito la sua nave: attraverso il mare di Smyth oppure direttamente verso Ciolkowski? E dove si trovava il suo sconosciuto compagno lunare? Una commissione? Il programma di lavoro?

    Mentre stava pensando, l'irritazione iniziale si trasform in un sentimento pi ma-teriale concentrato nello stomaco; sent fame. Scelse l'ascensore giusto, avendo prima studiato tutto quanto stava scritto sulle indicazioni in sei lingue, scese alla mensa dei piloti e qui apprese che, non essendo un pilota, doveva mangiare in un qualsiasi risto-rante normale.

    Questo era il colmo! Intendeva gi recarsi in quel dannato ristorante, quando si ri-cord di non aver ritirato il proprio zaino. Torn perci su, all'hangar. Il bagaglio era gi in albergo e allora si rec a pranzo. Si trov fra due ondate di turisti: i francesi, con i quali era arrivato, che si recavano a mangiare, e un gruppo di svizzeri, olandesi e tedeschi, che erano appena tornati da una gita con il Selenebus ai piedi del cratere Eratostene. I francesi saltellavano come solitamente fanno le persone che per la prima volta esperimentano le meraviglie della gravitazione lunare; volavano fino al soffitto, accompagnati dalle risatine e dagli schiamazzi delle donne, godevano del lento calare dall'altezza di tre metri. I tedeschi, pi concreti, inondavano le grandi sale appenden-do sugli schienali delle sedie le macchine fotografiche, i binocoli, i telescopi portatili, e, mentre mangiavano la minestra, si mostravano a vicenda briciole di rocce lunari comprate per ricordo dal personale del Selenebus. Pirx stava seduto davanti al suo piatto, sprofondato nel brusio tedesco, francese, greco, olandese, e Dio solo sa quale

  • ancora; in quel generale entusiasmo e meraviglia, Pirx era probabilmente l'unico cupo consumatore del secondo pranzo di quel giorno. Un olandese cerc di occuparsi di lui, esprimendo la supposizione che Pirx soffrisse di male dello spazio dopo il volo con l'astronave (Lei si trova probabilmente per la prima volta sulla Luna?) e gli of-fr delle pillole. Questa fu la goccia che fece traboccare il vaso. Pirx non fin il secon-do piatto, compr al bar quattro pacchetti di biscotti e and all'albergo. Tutta la sua rabbia si concentr sul portiere, che cerc di vendergli un pezzo di Luna, e pi esat-tamente una briciola di basalto vetrificato.

    Lasciami in pace, imbroglione! Sono stato qui prima di te! url, e tremando di rabbia si allontan lasciando dietro di s il portiere stupito di quello scoppio d'ira.

    Nella stanza per due, stava seduto un ometto che indossava una giacca a vento sbiadita. Aveva i capelli grigio rossicci, con una ciocca che gli cadeva sul viso bru-ciato dal sole. Si chiamava Langner, pi esattamente dottor Langner, e doveva volare insieme a Pirx a Mendeleiev. Ecco lo sconosciuto compagno lunare; appena vide Pirx, si tolse gli occhiali. Pirx era gi preparato al peggio, pronunci il suo cognome, mormor qualcosa tra i denti e si sedette. Langner poteva avere circa quarant'anni, ma agli occhi di Pirx sembrava un vecchietto ben conservato. Non fumava, probabilmen-te non beveva e apparentemente non parlava neppure. Consultava contemporanea-mente tre libri, uno dei quali era una tavola logaritmica, un secondo era composto soltanto di formule, e il terzo solamente di fotografie di spettri astrali. Nella tasca a-veva un piccolissimo aritmografo, e se ne serviva con grande destrezza per i suoi cal-coli. Ogni tanto, senza levare gli occhi dalle sue formule, faceva a Pirx qualche do-manda e quest'ultimo rispondeva con la bocca piena di biscotti. La stanza era in effet-ti un bugigattolo con i letti a castello, una doccia minuscola con scritte poliglotte che invitavano a risparmiare acqua e corrente. Mancava solo che proibissero di respirare profondamente, perch, in fin dei conti, anche l'ossigeno era importato. Pirx mand gi i biscotti con un po' di acqua del rubinetto, e si rese conto che era talmente fredda che gelava perfino i denti. Apparentemente i serbatoi erano collocati vicino alla cro-sta di basalto. Si sentiva un po' strano: secondo il suo orologio erano quasi le undici, secondo l'orologio elettrico nella stanza erano le sette di sera, e secondo l'orologio di Langner era la mezzanotte e dieci.

    Regolarono gli orologi secondo il tempo della Luna, ma si trattava di una cosa provvisoria, perch Mendeleiev aveva un proprio fuso orario. Lo aveva tutta l'altra parte.

    Alla partenza dell'astronave mancavano ancora nove ore. Langner usc dalla stanza senza dir parola. Pirx si sedette sulla poltrona, poi si trasfer sotto la lampada a soffit-to, cerc di leggere alcune vecchie riviste mezzo strappate che si trovavano sul tavo-lino e finalmente, non riuscendo a star fermo, usc anche lui. Dietro l'angolo il corri-doio si trasformava in una piccola hall dove, di fronte a un televisore incastrato nella parete, erano collocate alcune poltrone. Era in onda un programma australiano per la Luna Centrale; gare di atletica leggera. Erano poco interessanti e a Pirx venne sonno. Alzandosi si dimentic della gravit e si lev mezzo metro in aria. Gli era tutto indif-ferente. Quando avrebbe potuto togliersi quei cenci borghesi? Chi gli avrebbe dato lo scafandro? Dove si trovavano le istruzioni? Che cosa voleva dire tutto questo?

    Avrebbe potuto andare anche a chiedere, a insistere, ma il suo compagno, quel

  • Langner, sembrava considerare quella situazione fra le pi normali del mondo, e per-ci probabilmente gli conveniva tener la bocca chiusa.

    Il programma fin. Pirx spense il televisore e ritorn nella sua stanza. Non si era immaginato cos il suo soggiorno sulla Luna! Fece la doccia. Attraverso le pareti sot-tili si sentiva il conversare nella stanza a fianco. Si trattava naturalmente dei turisti conosciuti nel ristorante, euforici per quel viaggio sulla Luna. Pirx non lo era. Cam-bi la camicia (qualcosa bisognava pur fare) e si stese sul letto, mentre Langner rien-trava con altri quattro libri.

    A Pirx venne un brivido, all'idea che Langner fosse un fanatico della scienza, una seconda edizione pi giovane del professor Merinus.

    Langner dispose sul tavolo i nuovi fotogrammi e si mise ad esaminarli con una len-te, con una concentrazione che Pirx non aveva neppure quando esaminava la foto del-la sua attrice preferita. Poi Langner chiese a Pirx quanti anni avesse.

    Centoundici, disse Pirx, e quando il suo compagno alz il capo aggiunse: Nel sistema binario.

    Per la prima volta Langner sorrise e divenne quasi simile a un uomo. Aveva denti bianchi e forti.

    I russi ci manderanno un'astronave, disse. Voleremo alla loro base. A Ciolkowski? Si. Era gi una stazione dall'altra parte; allora ci sarebbe stato un altro trasbordo.

    Stava pensando in che modo avrebbero fatto gli ultimi mille chilometri. Sperava con un'astronave e non con un veicolo di superficie. Ma non chiese nulla; non voleva tra-dirsi rivelando di esser cos poco informato. Langner gli stava dicendo qualcosa, ma Pirx si addorment vestito. Si svegli all'improvviso: Langner, chino sul suo letto, gli tocc il braccio.

    gi ora disse solamente. Pirx si sedette. Sembrava che per tutto quel tempo, l'altro avesse letto e scritto; la

    pila di carte di calcoli era cresciuta. In un primo momento Pirx ebbe l'impressione che Langner parlasse di cena, invece parlava dell'astronave. Pirx si caric sulle spalle lo zaino pieno zeppo; quello di Langner era ancora pi grande, pesava come se conte-nesse pietre. Pi tardi risult che, a parte la camicia, il sapone e lo spazzolino da den-ti, era pieno solo di libri.

    Senza ormai alcun controllo doganale o di documenti si recarono al livello superio-re, dove li aspettava l'astronave di comunicazione lunare, una volta argentea, ora piut-tosto grigia e tozza, adagiata su un treppiede divaricato alto venti metri. L'astronave non aveva una forma aerodinamica, dato che sulla Luna non c'era atmosfera. Pirx non aveva ancora volato su una nave di questo tipo. Doveva unirsi a loro un altro chimico, ma non arriv in tempo e partirono puntuali, ma soli.

    La mancanza di atmosfera causava varie complicazioni: non si potevano usare n aerei, n elicotteri, ma solamente astronavi. Non si potevano usare neppure aliscafi a cuscino d'aria, cos comodi nei terreni pesanti, perch avrebbero dovuto portare con s tutta la scorta d'aria necessaria. Un'astronave molto veloce, ma non pu atterrare ovunque e ha un'allergia per le montagne e le rocce. Il loro insetto tozzo e treppiede tuon sotto una spinta crescente e sali a candela. L'abitacolo era solo il doppio dello

  • sgabuzzino dell'albergo. Sulle pareti c'erano fonti di luci, nel soffitto un obl, la cabi-na del pilota, invece che sulla sommit, era collocata in basso, quasi fra i due getti, per dargli una migliore visibilit in fase d'atterraggio. Pirx si sentiva come un pacco postale: lo mandavano da qualche parte, non si sapeva bene dove, n perch, non si sapeva che cosa sarebbe successo dopo

    Una vecchia storia. S'inserirono nella parabola. La cabina si chin obliquamente tirandosi dietro i lun-

    ghi piedi. La Luna sotto di loro sembrava enorme e convessa e dava l'impressione che mai piede umano si fosse posato su di lei. Nello spazio fra la Terra e la Luna esiste un punto dove l'apparente grandezza di ambedue i corpi identica. Pirx ricordava bene l'impressione riportata dal suo primo volo: la Terra sembrava azzurrina, nebbiosa, con i contorni dei continenti offuscati ed era meno reale della Luna che sembrava appesa nello spazio, rocciosa, con il rilievo delle montagne molto nitido e quasi tangibile.

    Stavano sorvolando il Mare delle Nuvole, il cratere di Bulliadus era gi rimasto dietro di loro, a sud-est era Tycho, circondato dall'aureola dei suoi raggi che attraver-so il Polo passavano dall'altra parte. Come al solito, a grandi altezze, una impres-sione difficilmente definibile si imponeva, quella che una superiore regolarit avesse formato questo cranio roccioso. Tycho riempito di luce solare rappresentava una sorta di centro di questa costruzione; con le sue braccia biancastre abbracciava e attraver-sava il Mare degli Umori e il Mare delle Nubi, mentre la sua diramazione pi grande, quella settentrionale, spariva dietro l'orizzonte in direzione del Mare della Serenit. Quando per, avendo lasciato ad oriente il Circo di Clavius, incominciarono ad ab-bassarsi sul Polo e gi dall' altra parte volavano sopra il Mare dei Sogni, questa il-lusione di ordine spariva, via via che l'astronave si abbassava, e la superficie del ma-re, apparentemente cos liscia ed oscura, mostrava le sue crepe e le sue incrinature. A nord-est apparve il riflesso della cresta Verne somigliante ad una sega. Perdevano via via quota e, da vicino, la Luna rivelava la sua vera natura. Altipiani, pianure, cer-chi di crateri e di montagne anulari, dentellate per le incisioni provocate dal bombar-damento cosmico; cerchi di frantumi di roccia e di lava si intrecciavano e penetrava-no come se la semplice distruzione non avesse accontentato i titani che l'avevano cau-sata. Prima ancora che Pirx riuscisse a scorgere il massiccio di Ciolkowski, l'astrona-ve, spinta da un breve inserimento dei motori, si colloc in posizione verticale in mo-do tale che l'ultima cosa che Pirx pot vedere fu l'oceano di oscurit che assorbiva tutto l'emisfero occidentale. Gi oltre la linea dell'orizzonte sporgeva la cima di Lo-baczewski, avvolta dalle fiamme. Le stelle nell'obl superiore si fermarono. Stavano scendendo come un ascensore e dato che dovevano passare attraverso le fiamme dei propri motori, concentrate vicino alla poppa, i gas, sfregando contro le convessit del-la corazza esterna, provocavano un rumore che creava un'impressione simile al rien-tro in atmosfera. Le poltrone si piegarono orizzontalmente, attraverso l'obl erano vi-sibili sempre le stesse stelle, l'astronave scendeva come un bolide, ma a questa caduta incontrollata si opponeva una soffice e persistente resistenza, offerta dai getti che al-l'improvviso scoppiarono con tutta la loro potenza.

    Ah, siamo avvolti dalle fiamme! pens Pirx per non dimenticare che era un vero astronauta, anche se non aveva ancora il diploma. Un botto, una scossa, un rumore che assomigliava a un martello sbattuto contro la roccia, e la cabina scese soffice-

  • mente, torn in su e ripet questa oscillazione per un paio di volte, sugli ammortizza-tori. Finalmente il treppiede, con le sue zampe da venti metri, si attanagli all'ammas-so roccioso.

    A queste oscillazioni mise fine il pilota, potenziando la pressione nei conduttori dell'olio; si sent un sibilo e la cabina si ferm.

    Il pilota entr attraverso il portello al centro del pavimento, apr un armadio a pare-te e finalmente! apparvero gli scafandri.

    Per un attimo Pirx si sent incoraggiato, ma non dur a lungo. Gli scafandri erano quattro: uno per il pilota e poi uno piccolo, uno medio e uno grande. Il pilota impieg solo un minuto per indossare il suo, ma in attesa degli altri non indoss il casco. An-che Langner si sbrig velocemente, mentre Pirx, rosso, sudato e arrabbiatissimo, non sapeva che cosa gli convenisse fare: lo scafandro medio era per lui troppo piccolo e il grande troppo grande. Nello scafandro medio la testa appoggiava contro la sommit del casco, mentre in quello grande sballottava come una noce di cocco dentro un gu-scio seccato. Si, gli davano dei buoni consigli: il pilota osserv che uno scafandro troppo grande sempre migliore di uno troppo stretto e che caso mai, avrebbe potuto imbottire gli spazi vuoti con la biancheria dello zaino; era anche pronto a prestargli il suo zaino. Per Pirx, per, anche il solo pensiero di una simile imbottitura dello sca-fandro aveva di per s qualcosa di blasfemo, e contro tale idea s'impenn tutta la sua anima astronautica. Avvolgersi con dei cenci?!

    Indoss lo scafandro pi piccolo. N il pilota, n Langner dissero pi niente. Il primo apr lo sportello d'uscita, entrarono tutti e tre, il pilota gir la ruota a vite che a sua volta apr il portello esterno.

    Se non fosse stato per Langner, Pirx sarebbe subito saltato fuori e forse al primo passo si sarebbe stortato un piede, dato che dalla superficie lunare lo dividevano venti metri. Seppure la gravit fosse piccola, il salto, considerando il peso dello scafandro, equivaleva ad un volo dal primo piano su una pila di macigni, e per di pi instabili.

    Il pilota abbass la scala pieghevole e scesero sulla Luna. Neppure qui li aspettava qualcuno con fiori e con archi trionfali. Non c'era anima

    viva. La cupola corazzata della stazione Ciolkowski si ergeva alla distanza di appena un chilometro, illuminata dai raggi obliqui del terribile Sole lunare. Sopra di essa ap-pariva, cesellato nella roccia, un campo d'atterraggio, tutto occupato: vi erano allinea-te, in due file, astronavi di trasporto molto pi grandi di quella con cui erano arrivati.

    La loro nave, essendosi appoggiata un po' di sbieco, riposava nella sua triplice di-varicazione. I macigni posti direttamente sotto gli imbuti dei getti, si erano anneriti col fuoco della spinta. Verso occidente il terreno era quasi piatto, se si poteva chia-mare piatto quell'infinito campo di detriti dal quale qui e l sporgevano rottami di macigni di dimensioni che uguagliavano palazzi interi. Verso oriente, invece, il terre-no si rigonfiava dolcemente per trasformarsi poi, attraverso alcuni sbalzi quasi verti-cali, nel massiccio principale di Ciolkowski; quella parete apparentemente cos vicina si trovava nella penombra ed era nera come il carbone. Circa dieci gradi sopra il dor-so di Ciolkowski bruciava il Sole. Non si poteva guardare in quella direzione tanto era accecante. Pirx abbass subito un diaframma protettivo sulla visiera del casco, ma questo non lo aiut molto, pur evitandogli di dover socchiudere gli occhi. Si mossero verso la stazione, camminando attentamente sopra i macigni oscillanti. A quel punto

  • perdettero di vista l'astronave, perch dovettero attraversare una piccola vallata. La stazione dominava questa valle e tutti i dintorni, per tre quarti inserita nella parete rocciosa che sembrava una fortezza dell'era mesozoica parzialmente distrutta da un'e-splosione. La rassomiglianza di alcuni macigni angolari ai bastioni difensivi era sor-prendente, ma solamente da lontano. Pi si avvicinavano, pi appariva chiaro che i bastioni non avevano nessuna forma, ma erano solcati da profonde fessure nere; per un paesaggio lunare, per, il terreno era abbastanza pianeggiante e permetteva spostamenti veloci. Ogni passo alzava una nuvoletta di polvere: la famigerata polvere lunare che li circondava sopra la cintura con una nuvola di latte bianco, e non aveva nessuna intenzione di sedimentarsi. Per questo non camminavano in fila indiana, ma uno vicino all'altro, e quando, gi prossimi alla stazione, Pirx si volt, vide tutta la strada percorsa segnata da tre irregolari serpenti, o trecce, di quella polvere pi chiara di qualsiasi polvere terrestre.

    Pirx sapeva varie cose utili su quella polvere: innanzi tutto che i primi conquistato-ri della Luna, sebbene si aspettassero di trovarla, erano rimasti sbalorditi dal fatto che essa non sedimentava nel vuoto privo d'aria. Anche la polvere pi minuta sarebbe do-vuta cadere subito, eppure quella lunare non lo faceva. Ed era ancora pi interessante che questo succedesse solo di giorno, sotto il Sole. I fenomeni elettrici si manifesta-vano diversamente sulla Luna rispetto alla Terra. Sulla Terra esistono la scariche at-mosferiche, i lampi, i tuoni, i fuochi di sant'Elmo. Sulla Luna naturalmente non esi-stono, per le rocce bombardate da radiazioni di particelle acquistano una carica simi-le a quella della polvere che le ricopre. Dato che cariche simili si respingono, la pol-vere, una volta spinta nell'aria, si mantiene sollevata anche per un'ora, grazie all'azio-ne elettrostatica di repulsione. Quando sopra al Sole ci sono molte macchie, la Luna fa pi polvere. Quando le macchie diminuiscono, ne fa meno. Il fenomeno sparisce solamente alcune ore dopo il calar della notte, quella terribile notte che pu essere af-frontata solamente grazie ai pesantissimi scafandri a doppia parete costruiti apposi-tamente a somiglianza dei thermos.

    L'arrivo all'entrata principale della stazione interruppe quelle riflessioni scientifi-che. Furono ricevuti in modo ospitale. Il direttore scientifico della stazione, il profes-sor Ganscin, sorprese un po' Pirx, che contava sempre sulla sua statura per controbi-lanciare il proprio aspetto paffutello. Ganscin lo guardava letteralmente dall'alto, e il suo collega, il fisico dottor Pnin, era ancora pi alto. Sembrava che toccasse almeno i due metri.

    Vi erano ancora altri tre russi, o forse anche di pi, ma non si fecero vedere. Pro-babilmente erano in servizio. Sulla sommit c'era l'osservatorio astronomico e la sta-zione radio; con un tunnel scavato obliquamente nella roccia e tutto cementato si ar-rivava ad una cupoletta, sulla quale giravano le apparecchiature radar; attraverso gli obl si poteva scorgere una sorta di ragnatela color argento intenso, collocata sulla cresta di Ciolkowski. Si trattava del pi grande radiotelescopio lunare, e si poteva raggiungerlo in mezz'ora con una teleferica.

    La stazione era molto pi grande di quanto poteva sembrare. Nei sotterranei si tro-vavano enormi serbatoi di acqua, di aria e di alimentari; in un'ala inserita fra le fessu-re delle rocce, e perci invisibile dalla vallata, erano posti i trasformatori di energia solare in energia elettrica. L vicino si trovava una meraviglia unica nel suo genere:

  • un enorme solario idroponico sotto una cupola di quarzo con un'intelaiatura d'acciaio. A parte un notevole quantitativo di fiori e di grandi serbatoi con varie alghe che for-nivano vitamine ed albume, vi cresceva nel centro un banano. Pirx e Langner mangia-rono una banana lunare ciascuno. Sorridendo il dottor Pnin spieg che le banane non appartenevano alla dieta quotidiana dell'equipaggio, ma erano piuttosto destinate agli ospiti.

    Langner, che se ne intendeva di costruzioni lunari, incominci a far domande sui particolari riguardanti la costruzione della cupola di quarzo, che lo aveva meraviglia-to assai pi delle banane. La costruzione era infatti molto originale. Dato che all'e-sterno della cupola c'era il vuoto, essa doveva resistere a una costante pressione di nove tonnellate per metro quadrato, e questo considerate le sue dimensioni si-gnificava un peso imponente di duemilaottocento tonnellate. Con una tale pressione, l'aria contenuta nel solario tentava di far saltare la bolla di quarzo in tutte le direzioni. Costretti a rinunciare al cemento armato, i costruttori avevano fuso nel quarzo alcune nervature che trasferivano tutta la pressione sul disco di iride collocato alla sommit; di l partivano in varie direzioni potenti funi d'acciaio ancorate in profondit nel ba-salto, all'esterno. Si trattava perci di un pallone frenato di quarzo, unico nel suo genere.

    Dal solario proseguirono direttamente alla sala da pranzo, per mangiare; su Ciol-kowski era infatti l'ora di pranzo. Dopo il primo pasto sull'astronave e il secondo sulla Luna, quello era il terzo di fila per Pirx. Sembrava che sulla Luna non si facesse altro che mangiare.

    La sala da pranzo, che allo stesso tempo fungeva da sala di ritrovo, non era molto grande. Le pareti erano coperte da travi di pino e non da un rivestimento in legno pregiato. Si sentiva perfino l'odore della resina. Dopo gli accecanti paesaggi lunari quella straordinaria terrestricit fu particolarmente simpatica. Il professor Ganscin rivel che le pareti avevano solo un'impellicciatura di legno, per creare maggiormente un'impressione di casa.

    N durante il pranzo, n pi tardi si parl di Mendeleiev, n dell'incidente, n degli infelici canadesi, n della partenza, come se fossero venuti in veste di ospiti e doves-sero rimanere per chiss quanto tempo.

    I russi si comportavano come se, a parte Pirx e Langner, non avessero nient'altro da fare. Chiedevano notizie della Terra e della Luna Centrale. In un eccesso di franchez-za Pirx confess la sua violenta avversione per i turisti e per il loro comportamento e gli sembr d'aver trovato favorevoli ascoltatori. Solamente dopo un po' di tempo si not che ogni tanto uno o l'altro dei russi usciva per ritornare poco dopo. In seguito si chiar che andavano all'osservatorio, perch sul Sole si era formata una bellissima protuberanza. Quando quella parola fu pronunciata, tutto il resto cess di esistere per Langner. Un'agitazione caratteristica negli studiosi, anche se alle volte inconsapevole, s'impossess dei presenti. Furono portate le fotografie, poi fu proiettato il film girato dal coronografo.

    La protuberanza era realmente eccezionale, aveva una lunghezza di tre quarti di milioni di chilometri e rassomigliava a un animale antidiluviano con le fauci in fiamme. Ma quella rassomiglianza zoologica aveva una rilevanza secondaria. Dopo la riaccensione delle luci Ganscin, Pnin, un terzo astronomo e Langner incominciarono

  • a conversare con gli occhi che brillavano, sordi a tutto il resto. Qualcuno accenn al pranzo interrotto. Tornarono nella sala da pranzo, ma anche l, messi da parte i piatti, si misero tutti a fare dei calcoli sui tovagliolini di carta. A un certo punto il dottor Pnin ebbe piet di Pirx, che ascoltava come se parlassero turco, e lo invit nella sua stanza. Era una cameretta piccolissima, ma fornita di un oggetto meraviglioso: una grande finestra attraverso la quale si apriva la veduta sulla sommit orientale di Ciol-kowski. Il Sole, basso, emanava fiamme come il cancello dell'inferno e proiettava, nel caos di accavallamenti rocciosi, un secondo caos, quello delle ombre che con la loro oscurit assorbivano le forme come se dietro l'orlo dei macigni illuminati si dovesse aprire un pozzo diabolico conducente nel centro stesso della Luna. Pareva che il nulla dissolvesse le cime aguzze, le torri oblique, le guglie e gli obelischi, emergenti dal-l'inchiostro nero come un fuoco pietrificato, immobilizzato nel suo volo. L'occhio si perdeva fra le forme impossibilitate ad integrarsi, trovando un dubbio sollievo nelle nere cavit simili alle orbite degli occhi. Si trattava di cavit di piccoli crateri riempi-te fino all'orlo di ombra.

    Era una visione unica nel suo genere. Pirx aveva gi visitato la Luna in precedenza (ne accenn almeno sei volte durante la conversazione), ma mai a quell'ora del gior-no, nove ore prima del calare del Sole. Si intrattennero a lungo. Pnin lo chiamava col-lega e lui non sapeva come rispondergli, cercando di destreggiarsi come meglio pote-va. Il russo possedeva una fantastica collezione di fotografie, eseguite durante alcune scalate.

    Lui stesso, Ganscin, e un terzo compagno che in quel momento si trovava sulla Terra, nelle ore libere si dedicavano all'alpinismo.

    Alcuni cercavano di adottare il termine lunistica ma quel termine non attecch tanto pi che esistevano le Alpi lunari.

    Pirx, che ancora prima dell'iscrizione all'istituto era appassionato di ascensioni, scopr in Pnin un'anima gemella e incominci a interrogarlo sulle differenze tra le tecniche terrestri e lunari.

    Dovete ricordarvi di una cosa, collega disse Pnin di una cosa sola. Fate tutto come se foste a casa vostra, per tutto il tempo che vi possibile. Il ghiaccio qui si trova solamente nelle fessure molto profonde e anche questo in casi eccezionali. Naturalmente le nevi non esistono e perci tutto molto facilitato. Si pu anche cade-re da trenta metri ma questo non si deve neppure pensare.

    Pirx si meravigli: Perch? Perch qui non c' aria, spieg l'astrofisico. E potete camminare sulla Lu-

    na quanto volete, ma non imparerete mai a valutare le distanze. Neppure il telemetro molto di aiuto, e poi chi pu girare sempre con un telemetro? Salirete su di una sommit, guarderete nel precipizio sottostante e vi sembrer profondo cinquanta me-tri. Invece pu averne cinquanta o trecento o cinquecento. Mi capitato del resto voi stesso sapete com'. Se si ammette una sola volta la possibilit di cadere allora prima o dopo questo succeder. Sulla Terra ci si pu ferire alla testa, ma questa ferita si rimargina, qui invece sufficiente un colpo contro il casco, che rompa la visiera, e tutto finito. Quindi, tutto sommato, comportatevi come sulle montagne terrestri. Po-tete permettervi di fare qui le stesse cose che fareste l, eccetto saltare attraverso i crepacci. Anche se vi dovesse sembrare che ci sono solamente dieci metri, pari ad un

  • metro e mezzo sulla Terra, cercate un sasso e gettatelo dall'altra parte, osservandone il volo. In verit per, se volete un consiglio spassionato, vi sconsiglierei di saltare in ogni caso. Perch se si fa qualche salto di venti metri e tutto va liscio, si perde qual-siasi timore dei precipizi e le montagne sembrano cos piccole da scalare senza diffi-colt. allora che capitano gli incidenti. E qui il pronto soccorso alpino non esiste Perci, capirete da solo.

    Pirx chiese di Mendeleiev. Perch la stazione si trovava in alto e non in basso? Era difficile il percorso? Bisognava arrampicarsi?

    Non una vera scalata, ci sono alcune difficolt dovute ad una slavina di pietri-sco, caduta dal Cancello solare, che ha spazzato via la strada Per quanto concerne la posizione della stazione mi trovo un po' a disagio nel parlarne, particolarmente ora, dopo l'incidente Ma dovete averne letto, collega

    Pirx, molto confuso, disse a stento che in quel periodo aveva gli esami. Pnin sorri-se, ma subito dopo divenne molto serio.

    Beh la Luna stata internazionalizzata, ma ogni stato ha la sua zona di inve-stigazioni scientifiche, e noi abbiamo questo emisfero. Quando venne scoperto che le bande di van Allen disturbavano il percorso dei raggi cosmici diretti verso la Terra, gli inglesi si rivolsero a noi chiedendo il permesso di costruire una stazione dalla no-stra parte. Abbiamo accordato il permesso. Dato che stavamo per iniziare i lavori a Mendeleiev noi stessi, abbiamo proposto agli inglesi di proseguire con il nostro pro-getto, a patto che utilizzassero loro tutti i materiali di costruzione gi trasportati. I conti li avremmo fatti dopo. Gli inglesi accettarono, poi, per accordi interni alla co-munit britannica, il progetto fu ceduto ai canadesi. Per noi questo non faceva natu-ralmente nessuna differenza. Dato che gi in precedenza avevamo fatto una ricogni-zione del terreno, uno dei nostri scienziati, il professor Animtsev, bene informato sul-le condizioni locali, entr a far parte del gruppo canadese come consulente del pro-getto. Poi, all'improvviso, apprendemmo che gli inglesi avrebbero fatto parte dell'im-presa. Mandarono Shanner, il quale dichiar che nel fondo del cratere sarebbero potu-ti sorgere dei fasci secondari di radiazione che avrebbero potuto disturbare i risultati futuri. I nostri esperti lo considerarono improbabile, ma furono gli inglesi a decidere: in fondo si trattava della loro stazione. Decisero di trasferirla nei pressi della sommi-t. I costi naturalmente aumentarono spaventosamente e tutta l'eccedenza dovette es-sere finanziata dai canadesi. Ma lasciamo stare, non facciamo i conti in tasca agli al-tri. Venne deciso il punto esatto della stazione e si diede inizio alla progettazione del-la strada. Animtsev ci avvert che gli inglesi volevano attraversare con ponti in ce-mento armato due abissi che interrompevano il tracciato, ma i canadesi si o