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Storia dei metodi e delle forme di rappresentazione 4

Storia dei metodi e delle forme di rappresentazioneCollana di Storia dei metodi e delle forme di rappresentazione Direttore scientifico Agostino De Rosa, Università Iuav di Venezia

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Storia dei metodi e delle forme di rappresentazione

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Luce ed ombra nella rappresentazioneRilettura storica e sperimentazioni eidomatiche

Daniele Calisi

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Copyright © MMXVARACNE editrice S.r.l.

[email protected]

via Raffaele Garofalo, 133/A–B00173 Roma

(06) 93781065

isbn 978–88–548–8323–9

I diritti di traduzione, di memorizzazione elettronica,di riproduzione e di adattamento anche parziale,

con qualsiasi mezzo, sono riservati per tutti i Paesi.

Non sono assolutamente consentite le fotocopiesenza il permesso scritto dell’Editore.

I edizione: marzo 2015

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Collana di Storia dei metodi e delle forme di rappresentazione

Direttore scientifico Agostino De Rosa, Università Iuav di VeneziaComitato scientifico Vito Cardone, Università di Salerno; Andrea Giordano, Università degli Studi di Padova; RiccardoMigliari, Università degli Studi di Roma "La Sapienza"; Rossella Salerno, Politecnico di Milano.Comitato di redazione Giuseppe D’Acunto, Università Iuav di Venezia

La collana intende introdurre il lettore italiano nell'ambito degli studi storici dedicati ai metodi e alle forme di rappresentazio-ne, la cui evoluzione - dai primitivi approcci intuitivi fino alle rigorose elaborazioni incardinate su coerenti conoscenze di otti-ca e di geometria - esibisce i forti legami intercorrenti tra l'esperienza artistica e l'elaborazione scientifica del problema. I testiraccolti in questa collana offriranno un'ampia panoramica sullo 'stato dell'arte' relativo agli studi critici di settore condotti siain Italia che all'estero, sottolineando come le attuali tendenze della ricerca si stiano orientando verso un approccio multi-disci-plinare ai temi di indagine.

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Prefazione XILaura De Carlo

Parte I - La luce nelle teorie della visione

01.1. Le teorie della visione nel mondo classico 1601.1.1 Gli atomisti01.1.2 La teoria platonica01.1.3 Aristotele01.1.4 Galeno e gli Stoici

01.2. Euclide e Tolomeo 1801.2.1 I raggi visivi e la visione per angoli01.2.2 Tolomeo: il perfezionamento della teoria euclidea

01.3. Sviluppo orientale delle teorie della visione 2001.3.1 Al-Kindi e lo sviluppo delle teorie nel mondo islamico01.3.2 Lo sviluppo delle teorie visive nell’Islam01.3.3 Hunain ibn Ishaq 01.3.4 Avicenna e le critiche alle teorie visive01.3.5 Averroes e lo sviluppo della teoria aristotelica

01.4. Sviluppo orientale della teoria intromissiva: Abu ibn al-Hasan ibn al-Haitham 27

01.4.1 Alhazen e la teoria intromissiva complessiva

01.5. La rinascita culturale in occidente: Robert Grosseteste 30

01.6. La sintesi delle teorie ottiche orientali e occidentali nel XIII secolo 3101.6.1 Roger Bacon01.6.2 L’influenza teorica di Bacon: John Pecham e Vitellione01.6.3 L’arresto nello sviluppo di una teoria ottica valida del secolo XIV01.6.4 Henry di Langenstein01.6.5 John Buridian

01.7. Leonardo da Vinci e il Rinascimento 3701.7.1 Conclusioni

01.8. L’aspetto anatomico nella teoria della visione 4201.8.1 La perspectiva nel XVI sec.: Francesco Maurolico e Giovanni Battista della Porta

01.9. Johannes Kepler 44

Sommario

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Parte II - Fondamenti teorici e storici della teoria delle ombre e del chiaroscuro.

02.1. Il primo teorizzatore: Alhazen 55

02.2. I trattatisti rinascimentali 5702.2.1 Leonardo da Vinci: Il Codice C e il Trattato della Pittura02.2.2 Albrecht Dürer: la costruzione geometrica delle ombre 02.2.3 Il contributo d’oltralpe di alcuni minori trattatisti

02.3. Daniele Barbaro e la teoria delle ombre 69

02.4. La trattatistica alla fine del XVI secolo 72

02.5. Lo sviluppo della Teoria delle Ombre nel XVII secolo 76

02.6. La prospettiva pratica di Pietro Accolti 87

02.7. Interpretazioni della sorgente solare nel XVII secolo 89

02.8. Il consolidamento delle teoria nel XIX secolo 93

02.9. Conclusioni 96

Parte III - Approfondimenti storici ed analisi critiche

03.1. Alhazen: il primo teorizzatore 10103.1.1 Le opere03.1.2 L’ottica03.1.3 Conclusioni

03.2. Leonardo da Vinci: il Codice C e il Trattato di Pittura 11603.2.1 Il codice C e il trattato di pittura03.2.2 La teoria delle ombre nel codice C03.2.3 Alcune sperimentazioni sul Codice C03.2.4 Il trattato di pittura03.2.5 Il quinto libro: dell'ombra e lume e della prospettiva

Parte IV - Tecnologie avanzate e algoritmi di calcolo 04.1. Modelli locali di illuminazione 161

04.1.1 Modello di Lambert04.1.2 Modello di Phong04.1.3 Il modello locale completo

04.2. Lo smooth shading 16404.2.1 Ombreggiatura di Gouraud

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04.2.2 Ombreggiatura di Phong04.3. Le ombre portate e le sorgenti luminose 165

04.3.1 Metodi per il calcolo delle ombre portate04.3.2 Sorgenti Luminose

04.4. Modelli di illuminazione Globale 16904.4.1 Tracciamento dei raggi: Ray Tracing04.4.2 Metodo Radiosity

04.5. Illuminazione HDRI 17504.6. Come realizzare una immagine HDRI 17604.7. Metodo di illuminazione della scena: il Probe mapping 179

Parte V - Evoluzione degli studi sulle teorie della visione e della luce.Quadro sinottico. 183

Appendice A - L’indice completo, corredato da illustrazioni, dei primi sei libri del De Aspectibus di Alhazen, nella traduzione latina del Risnero. 191

Appendice B -L’indice completo, corredato dalle illustrazioni, delquinto libro del Trattato di Pittura di Leonardo da Vinci, nella edizione di Francesco Melzi 231

Appendice C - Sperimentazione ed applicazioni

C.1. Il modello di Lambert 253C.2. Modello fisico-fotografico e modello informatico 266

C.2.1 Modello fisicoC.2.2 Modello informaticoC.2.3 Analisi e comparazione dei risultati

C.3. Realizzazione di immagini HDRI e illuminazione della scena 277

Bibliografia 289

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L’importanza della storia nel corpus scienti-fico delle discipline del disegno gioca unruolo centrale per tutti coloro che usanol’immagine come strumento del propriolavoro. Che «le radici del presente affonda-no nel passato e quasi niente di quel passa-to è irrilevante per chi cerca di comprende-re come il presente sia diventato quello cheè», come sostiene Morris Kline nella prefa-zione al suo libro Storia del pensiero mate-matico nel lontano 1972, dovrebbe costitui-re un essenziale riferimento sia culturaleche tecnico-scientifico per tutti quei percor-si di studio che fanno capo a quella plurali-tà di indirizzi che trovano la loro ragionenella genesi storica e guidare qualsiasi stu-dio che indaga, con vecchie o nuove formedi conoscenza, le geometrie sulle quali sifonda la moderna scienza del disegno. Unascienza, quest’ultima, che si è storicamentesviluppata in una alternanza tra pensieroscientifico e artistico-estetico e separata-mente in diversi ambiti del sapere, dal-l’astronomia alla gnomonica, dall’otticaalla prospettiva, fino alle attuali tecnichedel disegno digitale e della simulazione fotorealistica e iperrealistica, in un lungo edampio processo evolutivo che si dimostraancora oggi aperto a nuove esplorazioni. In questo senso la componente scientificadel disegno nella sua dimensione storica sioffre come fecondo ambito di studi che,attingendo all’enorme patrimonio accumu-lato in più di duemila anni, permette diindagare all’interno dell’evoluzione delpensiero scientifico nelle sue diverseespressioni, ritrovando il piacere per unaricerca che consolida il sapere ritrovandonela radici.All’interno del costante intreccio tra scien-za e tecnica che culmina alla fine del seco-lo scorso con la nascita e lo sviluppo dellenuove tecnologie informatiche, occorreritrovare il progressivo affermarsi del valo-

re dell’oggettività scientifica, nella ricercadi tutto ciò che è capace di svelare il comee il perché la scienza di cui si ragiona possaessersi gradatamente formata e sviluppatasino al suo attuale stato di conoscenza.In questa linea di ricerca, ben vengano,quindi, studi come quello di Daniele Calisiin cui l’autore propone una rivisitazionedelle teorie della luce nella scienza dellarappresentazione e nelle sue applicazioni,attraverso un excursus storico che mette ingioco i principali attori, matematici, astro-nomi, filosofi, pittori, architetti, ecc., chehanno contribuito a questa avventura delpensiero. Un excursus che indaga teorie chehanno radici antiche che risalgono almondo ellenistico i cui protagonisti occu-pano con le loro opere uno spazio tempora-le che, dal mondo antico, arriva fino ainostri giorni. Ripercorrere questo lungocammino, secondo uno spaccato tematicodisciplinare, richiede innanzitutto un parti-colare atteggiamento nell’esame delleopere che ne sono state protagoniste percomprenderne gli indissolubili legami chene hanno determinato il processo evolutivo.Richiede, inoltre, un approccio sistematicoalle fonti originali, e un attento esercizio dirilettura per comprendere i diversi linguaggie per adeguarsi gradatamente, di volta involta, a diverse vie di pensiero, dalle quali lafisionomia culturale prospettata nelle diverseopere analizzate si delinea, acquista dimen-sioni nuove e delinea successivi sviluppi. Lo studio di Calisi traccia un originale eautonomo percorso all’interno dell’evolu-zione scientifica che ha portato alla nostraconoscenza della moderna ottica fisica con-centrandosi sugli aspetti geometrico mate-matici della scienza della visione e dellesue applicazioni alla rappresentazioneseguendo un lunghissimo processo che hale sue radici storiche nell'ottica greca. Lo sviluppo più recente delle teorie della

luce, a partire dal XVII secolo con la teoriacorpuscolare di Newton, attraversano lateoria ondulatoria di Christiaan Huygensdel 1678, quella elettromagnetica propostada James Clerk Maxwell alla metàdell’Ottocento, per approdare, alla fine delXIX secolo, alla teoria quantistica di MaxPlanck, ha portato ad una netta separazionetra la moderna ottica fisica che si occupaessenzialmente della natura della luce el'ottica antica che si occupava per lo piùdella visione e dell'interazione tra luce emateria. Rintracciare in questo lungo pro-cesso le teorie geometriche che hanno per-messo nel tempo di dare un “modello delmondo in cui vediamo il mondo” per dirlacon Francesca Incardona, è uno dei piùaffascinanti percorsi di conoscenza che simuove tra geometria, arte e scienza.Il legame tra l’ottica antica e le successiveteorie geometriche della luce si gioca prin-cipalmente sull’uso della geometria deiraggi luminosi. Che i raggi luminosi e iraggi visivi procedano per via dritta è il pre-supposto e l’assioma fondamentale non solodella tradizione euclideo-tolemaica e di tuttoil mondo antico, ma anche di tutte quelleteorie successive che, a partire dalRinascimento, hanno portato a definiremetodi e strumenti per poter pervenire aduna teoria scientifica e tecnico-operativadegli effetti della luce sui corpi che saràassunta come capitolo fondamentale nel-l’ambito di quella disciplina che sarà dellafine del Settecento in poi la Geometriadescrittiva. In quest’ambito, l'ottica studia lapropagazione della luce e non si occupa,quindi, della natura della luce né di comeessa è generata. Quindi, se lo studio dellapropagazione della luce tramite raggi è l'og-getto dell'ottica geometrica, in primaapprossimazione si osserva sperimentalmen-te che la luce si propaga, in mezzi omogenei,per raggi che non sono altro che linee rette.

PREFAZIONE

Laura De Carlo

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L’idea di questo libro nasce da tali presup-posti e propone una riflessione sulle evolu-zioni delle teorie geometriche della luce edelle ombre in un percorso di lettura paral-lelo tra scienza della visione e scienza dellarappresentazione.L’autore si è formato nell’ambito dellascuola romana del dottorato di ricerca.Attratto, fin dalla sua tesi di dottorato,dalle tematiche connesse alle teorie dellaluce e alla loro riconversione nell’ambitodella geometria della rappresentazione, conquesto lavoro sembra colmare una lacunaesistente nella letteratura scientifica. Sitratta di ripercorrere l’evoluzione delle teo-rie della luce che hanno portato alla defini-zione di una teoria delle ombre e del chia-roscuro e la loro applicazione alla rappre-sentazione nella geometria descrittiva clas-sica fino alle attuali applicazioni nel mondodell’informatica. Questo tema, affrontatonella letteratura critica sull’argomento inmodo saltuario e parziale, è riservatosoprattutto o agli studi dell’ottica nelmondo antico o alla gestione della luce nelmondo informatico. Proposta in rari testi diesclusiva competenza matematica o infor-matica, sono ben pochi gli studi che affron-tano con specificità disciplinare e suffi-ciente completezza questa problematica.I quattro capitoli del libro si snodano intor-no al tema della luce nella rappresentazioneper ricostruire, da una parte le teorie geo-metriche della visione a partire dal mondoantico, all’altra i fondamenti teorici dellateoria delle ombre e del chiaroscuro, rin-tracciabile nella trattatistica prospettica dalRinascimento all’Ottocento, per concluderecon la gestione della luce negli algoritmi dicalcolo alla base della costruzione dei ren-dering fotorealistici. Il primo capitolo ripercorre il lungo excur-sus della perspectiva naturalis a partiredalla teoria platonica per inoltrarsi fino alleteorie della visione che affiancano la per-spectiva artificialis nel Rinascimento.L'autore ricostruisce con metodo e sistema-ticità l'evoluzione dell’ottica cercando dicogliere nella contrapposizione tra le diver-se teorie intromissive e estromissive l’irri-ducibile aspirazione per la riduzione geo-metrica della complessità del reale. Il secondo capitolo è dedicato al tema dellacostruzione delle ombre e del chiaroscuroche l’autore rintraccia nella trattatisticaprospettica, a partire dal De Aspectibus diAlhazen, considerato un precursore di que-sta teoria, in cui si ritrovano specifiche pro-posizioni che riguardano le ombre, il chia-roscuro e la loro percezione proprie di una

teoria delle ombre. Per Calisi “il problemadel tracciamento delle ombre e della lororappresentazione chiaroscurale è una que-stione tutta interna alla teoria prospettica”all’interno della quale tuttavia la questioneresta marginale per un lungo periodo nono-stante la forma chiaroscurale sia applicatanella rappresentazione dello spazio sulpiano e rivesta una funzione centrale nel-l'ambito della rappresentazione artistica,come dimostra l’uso della luce nella pittu-ra, spesso enfatizzata al punto da farne laprotagonista di molti dipinti. Nel panoramadella letteratura scientifica l’evoluzionedella teoria delle ombre è saldamente legataal concetto di luce nelle sue accezioni pro-iettive e percettive e si sviluppa dal primoRinascimento in poi, rivelando lo sforzoimpiegato dagli studiosi del passato nelcomprendere gli effetti dei fenomeni lumi-nosi. Tale impegno si evolve gradualmentenella ricerca di regole costruttive tese ariprodurre tali effetti nel disegno tecnico eartistico. Queste regole, che si rintraccianoin diversi trattati dedicati alla prospettiva,si vanno determinando, non senza impreci-sioni ed errori, nel corso dei secoli fino aduna prima codificazione pressoché esausti-va, nella prima metà del Seicento, ad operadi Jean Francois Niceron nel suo De Lumineet Umbris; per poi trovare successivi svilup-pi incentrati sul tema del chiaroscuro conJohannes Heinrich Lambert e DomenicoTessari rispettivamente nel diciottesimo ediciannovesimo secolo.Il terzo capitolo è dedicato ad un approfon-dimento di studio sulle opere di Alhazen eLeonardo da Vinci: il De Aspectibus delloscienziato arabo e il Codice C e il quintocapitolo del Trattato di Pittura di Leonardo,nelle quali Calisi ravvisa i prodromi di unateoria delle ombre e delle quali enucleaquelle parti che considera alla base dei suc-cessivi sviluppi. Il primo considerato comeanello di congiunzione tra la grande produ-zione del mondo greco e il rinnovato inte-resse che, a partire dal tredicesimo secolo,si svilupperà sulle questioni dell’ottica; ilsecondo come epigone e principale inter-prete di molti fenomeni luminosi, come laprospettiva aerea, il chiaroscuro e lapenombra, dei quali, sebbene non si possariconoscere una vera e propria trattazionegeometrico-proiettiva, Calisi rivendica ilrigore metodologico e la consapevolezzascientifica.In realtà la raccolta di appunti leonardeschiche forma il Codice C, riguarda il modo diosservare e di rappresentare i corpi in unospazio, interno o esterno, dove ombra e

luce si mescolano rispetto a una o più sor-genti di luce. L’esigenza di Leonardo diintrodurre l’intensità dell’aria nella teoriaprospettico-pittorica lo porta a sostenereche "ogni corpo evidente sarà da ombra elume circondato" e a ritenere che questamescolanza di luce e d'ombra, si possacodificare scientificamente, approdando aun tipo di raffigurazione che, come affermaLucio Russo, supera la prospettiva geome-trica per immergere le figure in un’atmo-sfera. Dei presupposti teorici alla base deisuoi ragionamenti sono testimonianza lesue definizioni sulle diverse tipologie diombra: tenebre è privazione di luce, ombrae diminuzione di luce, ombra primitiva èquella che è appiccata ai corpi ombrosi,ombra derivativa è quella che si spicca daicorpi ombrosi e scorre per l'aria, ombraripercossa è quella che è circondata da illu-minata parete. Di particolare interesse l’aspetto sperimen-tale di questa parte del libro in cui l’autorericostruisce e verifica in ambiente virtualele proposizioni dei due trattati. Il metodoimpiegato è in realtà molto vicino a quellogià utilizzato da Alhazen al quale la criticacontemporanea riconosce una sostanzialeanalogia con il metodo scientifico moder-no. La possibilità di ragionare sulle variequestioni poste nelle opere analizzate privi-legiandone la diffusione scientifica attra-verso la loro interpretazione con gli stru-menti digitali, apre il campo ad una serie diimplicazioni grafico concettuali che contri-buiscono a fare chiarezza, non solo sugliaspetti specifici di questo studio, ma anchesul possibile utilizzo delle applicazionidigitali come strumenti di investigazione edi conoscenza. Il lavoro si conclude, nel quarto capitolodel volume, con una esposizione degli algo-ritmi di calcolo che in ambiente informati-co permettono di simulare l’interazioneluce-materia. È ben noto come gli attualimetodi digitali permettono di realizzare,attraverso l'esposizione dei modelli virtualialle più svariate condizioni di illuminazio-ne e ambientazione, la simulazione di granparte dei fenomeni luminosi che determina-no gli effetti della luce sui corpi ricostruen-do in ambiente virtuale, gli effetti della teo-ria delle ombre, del chiaroscuro, della pro-spettiva aerea, della penombra, della rifles-sione e rifrazione, dello scambio energeticodella luce, ecc.. Le elaborazioni digitali,risultato di un incessante evoluzione tecno-logica, sono viste dall’autore come natura-le evoluzione di quel processo più che mil-lenario ripercorso nel resto del volume è

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teso a dimostrare che gran parte degli stes-si sofisticati algoritmi di calcolo che per-mettono di realizzare immagini di sintesiiper-realistiche, non sono che la traduzionedigitale di problematiche classiche eredita-te dal mondo dell’informatica. Il volume è corredato da due appendici illu-strate che riportano: la prima, l’indice deiprimi sei libri del de Aspectibus di Alhazennella traduzione latina del Risnero; laseconda l’indice del quinto libro del tratta-to di pittura di Leonardo da Vinci, nellaedizione di Francesco Melzi. Utili indica-zioni che contribuiscono a determinarel’aspetto anche divulgativo del volumeaperto a chiunque voglia approfondire lequestioni poste dall’intera ricerca. Essa nonsi limita a ripercorrere “luce ed ombra” inuno spaccato di storia della rappresentazio-ne che segue una direzione evolutiva esequenziale, ma tenta di ricomporre un per-corso che indaga piuttosto sull’intima natu-ra geometrica dell’argomento analizzato,fornendone una lettura diacronica dallaquale enuclea i passaggi ritenuti più signi-ficativi che assume come modelli di studioin campo scientifico. Oltre a proporsi comeutile strumento di conoscenza su una tema-tica poco sviluppata nella sua specificitàdisciplinare, questo studio vale a conferma-re ancora una volta lo stretto e antico lega-me tra pensiero scientifico ed tecnica ope-rativa nello sviluppo di una ricerca che siesplica a mezzo e con l’ausilio di una con-sapevole e attualizzata chiave di lettura.

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La luce naturale non basta da sola affinché l’oc-chio possa vedere. La luce naturale si intrecciacon la “luce della mente” attraverso l’occhio.Se questa commistione non avvenisse ogni lucerimarrebbe misteriosa ed oscura e l’uomo nonsarebbe capace di vedere neanche una lucechiarissima.Il problema principale è che noi non vediamo inrealtà la luce, ma solo gli oggetti su cui essa siposa, riflette e rifrange. Senza gli oggetti nonsapremo riconoscere nulla, la luce in se sarebbeinvisibile. La luce è naturale se fornita dal sole, ma puòintendersi anche come luce che proviene dal-l’esterno, e quindi comprendere anche le varietipologie di luce artificiale scoperte dall’uomo.Alla luce esterna fa eco quella interiore, del-l’occhio. Solo dalla combinazione delle dueriusciamo a vedere. In assenza di una delle duesiamo ciechi.Sono molti i casi di persone non vedenti sotto-poste ad operazione per l’acquisizione dellavista; in tutti i casi sono sorti innumerevoli pro-blemi, non nell’operazione in se, ma nella edu-cazione alla vista che è un processo lungo e dif-ficile che il neonato sviluppa gradualmentedalla nascita. Ogni tipo di apprendimento avviene in manierapiù veloce, ma soprattutto più semplice, duran-te i primi mesi e anni di vita come il cammina-re o il parlare. Se questa opportunità viene amancare, tentare di sopperire a tale mancanzain seguito è enormemente più difficile e spessosenza buon esito.Le persone operate rimangono in riabilitazioneanche per anni, spesso entrando in fasi depres-sive fino al rigetto della vista stessa.La verità è che la vista richiede molto di più chenon un semplice organo fisiologico visivo:senza la “luce interiore”, cioè senza la capacitàdi una immaginazione visuale performativa,saremmo ciechi. Certamente l’occhio ha rice-vuto la capacità fisiologica di vedere ma essodeve implementare il proprio potere (fin dal-

l’inizio) proprio attraverso l’atto visivo e laconseguente conoscenza.Questo è il motivo per cui ridare la vista ad unnon vedente è un compito più che del chirurgo,dell’educatore predisposto ad insegnare a vede-re e a conoscere il mondo.Le teorie della visione hanno avuto grandi teo-rici fin dal periodo classico, distinti tra scien-ziati e filosofi che si domandavano quali princi-pi fossero alla base della vista umana.Inizialmente avviene la graduale conquista delconcetto di raggio luminoso e di raggio visivo. Nessuno ha mai messo in discussione la carat-teristica rettilinea dei raggi luminosi (dall’os-servazione delle ombre delle nuvole sulla terradalla sorgente impropria), ne tanto meno dellarettilinearità dei raggi visivi.Gli scritti probabilmente più importanti a noipervenuti sono l’optikè di Euclide (fine del IV– inizio del III sec. a.C.) e l’opera dallo stessotitolo di Tolomeo (II sec. d.C.), testi di caratte-re scientifico universalmente noti come base ditutte le moderne conoscenze.È noto anche un testo, commentato tra l’altro daR. Grosseteste (scuola di Oxford), gli Analiticidi Aristotele in cui la problematica dei fenome-ni visivi è ampiamente discussa.Ad essi vanno aggiunte le teorie sviluppatesiintorno all’argomento che possono sintetizzarsiin due grandi filoni: la teoria estromissiva, equella intromissiva.La teoria estromissiva venne formulata daPitagora (VI sec. a.C.) il quale immaginava iraggi visivi come un fluido emesso dagli occhi;differentemente la teoria intromissiva, del filo-sofo atomista Democrito (V sec a.C.), ipotizza-va che fossero i corpi ad emettere loro simula-cri o scorze (o meglio eidola in greco, speciesin latino), capaci di contrarsi ed attraversare lapupilla ed infine trasformarsi in immagini.In entrambi i casi, come già detto, tali raggivisibili erano rettilinei e derivabili per rifrazio-ne o riflessione. Tale distinzione provocò lanascita di due altri grandi filoni di ricerca

affiancati spesso all’ottica cioè diottrica e catot-trica.I riferimenti alle teorie estromissiva ed alla suaopposta si ripeterono per secoli e secoli finoalla totale accettazione di quella intromissiva,fortemente sostenuta, da Abu ibn al-Hasan ibnal-Haitham noto in occidente come Alhazen(965 – 1039) il quale, pur accettando tale dottri-na, confutò l’esistenza degli eidola deomicriteicontraibili sostituiti da infiniti punti di dimen-sione infinitesimale che non avevano bisognodi contrarsi per poter passare attraverso lapupilla. Tali ipotesi vennero accettate definiti-vamente e riprese anche dai successivi ricerca-tori che troviamo di nuovo in occidente, grazieal ritrovato interesse per le scienze e gli studidei testi classici e arabi, e precisamente in quel-la che viene definita la scuola di Oxford con isuoi maggiori esponenti: Robert Grosseteste(1168 – 1253), Roger Bacon (1214/15 – 1294ca), Johannes Peckham (1240 – 1292). Bisognaricordare dello stesso periodo anche il famosomonaco salesiano Witelo (Vitellione, 1220/20 –1300/1314).La scuola di Oxford sembrò, attraverso le teo-rie dei suoi esponenti, aver raggiunto la cono-scenza assoluta nel campo della visione. Bisogna dire che gli interessi per i principi fisi-co-percettivi, fisiologici, psicologici ed ottico-geometrici furono messi da parte con la scoper-ta della nuova scienza prospettica che provocòuna grande esaltazione ed interesse in tutti igrandi esponenti teorici del rinascimento; conl’eccezione di Leonardo da Vinci che in moltisuoi schizzi e appunti si cimenta sia nel disqui-sire delle ombre e del chiaroscuro (soprattuttoper la questione della prospettiva aerea), maanche delle teorie della visione sotto vari aspet-ti compreso quello fisiologico ed anatomico.L’interesse per la perspectiva, in fondo, era tal-mente forte che la maggior parte degli altriaspetti grafici vennero messi da parte; in segui-to ai trattati di tale periodo (possiamo diremonografici sul tema prospettico) seguirono

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LA LUCE NELLE TEORIE DELLA VISIONE

“Certe persone arroganti potrebbero dire che a causa della mia defi-cienza nella cultura bibliografica non posso spiegare correttamentequello che desidero trattare. Non lo sanno costoro che i miei argo-menti richiedono, per la loro spiegazione, esperienza piuttosto cheparole di altri?”Leonardo da Vinci, Appunti

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pensiero venivano a contatto nel momento incui gli eidola penetravano dall’esterno;Leucippo e Democrito consideravano questieidola come delle immagini particolari, ugualiin forma agli oggetti visti, e che venivanoemessi continuamente imprimendosi poi nel-l’occhio1.Secondo Democrito (460 a.c. ca.) l’immaginevisuale non si forma direttamente nella pupilla,ma è l’aria stessa frapposta tra l’oggetto e chivede, ad avere quella determinata forma, sebbe-ne contratta, cosicché da ogni cosa vista provie-ne una specie di emanazione, cioè aria che èsolida e colorata e in questo modo essa apparenell’occhio2.Inoltre egli dava una importanza particolarealla immagine che si forma sulla pupilla, ossial’immagine del mondo esterno riflesso sullapupilla. Egli è convinto che l’occhio sia compo-sto di acqua, ma poi si contraddice quando va adiscutere sulla maniera di vedere attraverso lasemplice riflessione: Democrito sostiene chel’immagine che si forma nella pupilla è dovutaalla levigatezza del bulbo oculare (comepotrebbe essere levigato se è composto diacqua?), ed in realtà essa ha il proprio postonell’occhio che vede3. Allora la vista si traducein pura riflessione: l’occhio vede ciò che vieneriflesso sulla sua pupilla. In questo modoDemocrito non da una spiegazione scientificadel fenomeno perché se la vista avvenisse effet-tivamente per sola riflessione, per assurdo, tuttigli oggetti riflettenti vedrebbero.Lucrezio invece nel 55 a.C. ca. cerca di spiega-re i simulacra (cioè gli eidola democritei) attra-verso una serie di comparazioni con la natura.Egli considera i simulacra come fossero dellescorze rilasciate dagli oggetti e le immaginasimili per esempio alla pelle del serpente quan-do muta la stessa, a come alla corazza dellecicale.Ogni materiale, quindi, direziona radialmentegli eidola che entrano nell’occhio. Ma evidentisono i problemi di questa teoria: se ogni ogget-to emette queste immagini, come possono talisimulacra non interferire tra loro? Come puòl’immagine di un oggetto molto grande contrar-si per entrare nell’occhio? Come avviene lavista? E cioè qual è il processo che si instauratra chi vede e l’oggetto visto?

01.1.2 La teoria platonica

Platone (427 – 347 a.C.) studiò le dottrine diPitagora e il suo contributo alla visione è simi-le a quello di Empedocle, anch’egli profondoconoscitore del filosofo.La teoria platonica era però molto più appro-fondita e pose le basi di un filone che, attraver-

altri scritti spesso divisi in capitoli, in cui veni-vano trattati (oltre alle tematiche rinascimenta-li) anche i temi del colore, delle ombre e delchiaroscuro, della prospettiva aerea e, spesso,anche di scenografia.Gli interessi per gli aspetti foto-ottici ripreseropiù tardi con Francesco Mauriloco (1494 –1575) e il suo Photismi de lumine et umbra adperspectivam et radiorum incidentiam facientesdel 1521, in cui, riprendendo le teorie del gran-de scienziato musulmano Alhazen, affermò cheda ogni punto degli oggetti visibili vengonoemessi dei raggi rettilinei in tutte le direzioni.Seguirono gli studi innovativi di Johann Kepler(1571 – 1630) il quale per primo affermò che icorpi materiali sono costituiti da una infinità dielementi minuscoli tra i quali quelli visibiliemettono raggi luminosi in tutte le direzioni;tali raggi sono estesi all’infinito e nel momentoin cui intercettano altri corpi opachi e possonoessere riflessi o rifratti. Per primo Kepler teo-rizzò che tali raggi attraversano la pupilla cre-ando un cono opposto a quello visivo con verti-ce nella pupilla stessa.Nel 1637 venne pubblicato il testo sulla diottri-ca di Renè Descartes (1596 – 1650) nel qualeviene ipotizzata la teoria corpuscolare dellaluce (già in realtà accennata da Witelo) poi per-fezionata notevolmente da Isaac Newton (1642– 1727), a cui si oppose Christian Huygens(1629 – 1695) con la sua teoria ondulatoria.Ulteriori contributi vennero anche dagli scien-ziati P. Fermat e F. M. Grimaldi nel XVII sec.,da T. Young e A. Fresnel nel XIX sec.Alla fine del XIX secolo sembra ormai afferma-ta la teoria ondulatoria quando il famoso scien-ziato James Clark Maxwell iniziò i suoi studi suuna nuova e sconvolgente teoria che rivoluzio-nò tutti i fenomeni dell’ottica che si pensavaormai oggettivamente validi. Egli ipotizzò lanatura elettromagnetica dei raggi luminosi teo-rizzando così quella che venne definita la teoriaelettromagnetica basata sulle radiazioni.

01.1. Le teorie della visione nel mondo

classico

Teorie sulla visione vennero ipotizzate fin daquando la filosofia e la scienza divennero basiculturali per una élite di studiosi, i cui testi sonopervenuti fino a noi tramandati nei secoli,anche se, in molti casi, si tratta di frammenti diopere.Le motivazioni per cui le ipotesi sui motividella visione iniziarono ad essere fatte nelmondo greco non sono esplicite; sappiamo chetale interesse risale a culture anche anterioricome in quella egiziana, ma un tale sviluppo loottennero solo in epoca ellenistica. È certo che

la cecità e le malattie degli occhi hanno sempreriscontrato grande interesse tra scienziati emedici. Da questi interessi nacque la scienzadella oftalmologia e molti filosofi iniziarono adanalizzare il senso della vista anche sottol’aspetto fisico.Tre diversi approcci erano presenti nella cultu-ra greca: uno di tipo medico, concentrato sullaanatomia e sulla psicologia dell’occhio, nonchésulle cure per le malattie oculari; un secondo ditipo fisico e filosofico, che si concentrava sullequestioni epistemologiche, psicologiche e fisi-che; infine un approccio di tipo matematico,diretto principalmente alla spiegazione geome-trica della visione spaziale. Inizialmente queste teorie risentivano comun-que della religione politeista e spesso venivanospiegate attraverso una rappresentazione deifenomeni fisici per miti e storie epiche.Secondo Empedocle, Afrodite ha forgiato inostri occhi con i quattro elementi della culturagreca di terra, acqua, aria e fuoco, mettendoliinsieme grazie all’amore. Poi “come quando unuomo, pensando di fare una escursione di notte,prepara una lanterna”, accendendola dalla bril-lante fiamma del focolare e mettendogli intornodelle piastrine di vetro per ripararla dai venti,così Afrodite accese il fuoco dell’occhio dalprimordiale focolare dell’universo, confinando-lo con i tessuti (muscolari) della sfera del bulbooculare. Inoltre furono posti nell’occhio deivarchi sorprendenti che permettevano di tra-smettere il fuoco interiore, attraverso l’acquadell’occhio, verso il mondo esterno, dando cosìorigine alla vista. La vista procedeva dall’occhio all’oggettovisto; gli occhi irradiano la loro stessa luce.In tale teoria la luce del sole gioca un ruoloinferiore. Empedocle distingue l’esistenza dellaluce del sole, dice che è la terra a fare la nottequando si intromette sulla strada dei raggi sola-ri. La luce solare è solo una parte del processoe già intuì che serviva qualcosa di più affinchéavvenisse la visione, qualcosa di interioreall’uomo.

01.1.1 Gli atomisti

Non si può in realtà considerare tutti gli atomi-sti da Leucippo a Lucrezio come un unico filo-ne, perché all’interno della stessa scuola siriscontrano diverse opinioni rilevanti. Tuttaviaera pensiero comune considerare le sensazionicome causate dal contatto diretto tra organosensoriale e una specie di materiale emanantedagli oggetti esterni che convogliava nell’oc-chio. Leucippo, Democrito ed Epicuro erano d’ac-cordo nel considerare che la percezione e il

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so gli sviluppi successivi di Euclide da un lato,basati sugli aspetti geometrici della visione, edi Galeno dall’altro, basati sulla fisiologia del-l’occhio, persistette per circa 1500 anni. Egli presenta la sua teoria nel Timaeus.Secondo Platone l’occhio possiede un fuocoche ha la proprietà, non di bruciare, ma di pro-durre una luce fioca4.Questa luce interiore emanata dall’occhio sifonde con quella esterna naturale formando ununico corpo omogeneo che si allunga dall’oc-chio all’oggetto, un corpo capace di realizzareun legame tra gli oggetti esterni e l’anima, unaspecie di ponte attraverso cui possono passare imovimenti sottili dei corpi esterni, causando lavista5. Rispetto ad Empedocle, in Platone lavista avviene solo dopo l’unione della luce inte-riore e di quella esteriore, unione che fa damediatrice tra l’uomo e il mondo. L’importanza del processo non sta tanto nellaemissione di un efflusso, ma nella formazionedel corpo attraverso la fusione tra raggi visualie luce del giorno, che serve come una specie dimateriale intermediario tra occhio e oggetto.Bisogna però fare attenzione a non cadere inerrore: la vista avviene non nel momento in cuil’efflusso interiore incontra quello dell’oggetto,ma dalla unione tra efflusso dell’oggetto e ilsingolo corpo omogeneo già formato preceden-temente tra efflusso dell’occhio e luce esterna.Da questo incontro si producono dei movimen-ti che vengono trasmessi all’anima dove produ-cono le sensazioni. Questi moti possono esserecausati da particelle di differenti dimensioni,che Platone associa ai colori.I colori sono un ulteriore tipo di sensazione edhanno una diversificazione praticamente infini-ta in natura. Il colore è una fiamma (sfolgorio)che fluisce da corpi d’ogni tipo, ed ha le proprieparticelle così proporzionate al raggio visualeda permettere la sensazione. Le particelle, che provengono da corpi diversi epenetrano il raggio visuale quando lo incontra-no, possono avere diverse dimensioni: più gran-di, più piccole o uguali a quella del raggiovisuale stesso. Se esse sono della stessa dimen-sione allora sono impercettibili e dette “traspa-renti”; le particelle più grandi contraggono ilraggio, mentre quelle più piccole lo dilatano (faun parallelo con l’effetto del caldo e del freddosulla carne). Queste particelle sono rispettiva-mente nere e bianche, ma particelle di diversedimensioni provocano differenti movimenti(dilatazione e contrazione sono esempi diPlatone) e differenti movimenti portano la sen-sazione di differenti colori (quindi non solobianco e nero)6.In Platone come in Empedocle, la rappresenta-zione del meccanismo della visione avevaancora un’aurea mistica, mitizzata e poetica.

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01.1.3 Aristotele

Come abbiamo visto, prima di Aristotele le teo-rie sulla visione erano ancora poco chiare eincomplete. Questo filosofo fu il primo a dareuna discussione sistematica sull’atto visivo condefinizioni accurate indispensabili per la com-prensione del processo.Aristotele naturalmente non accettò le teorie alui antecedenti sulla luce e sulla visione. Inprimo luogo egli credeva che la luce non potes-se essere un efflusso corpuscolare, né un fuoco,né un corpo in generale (come aveva affermatoPlatone) e nemmeno un’emanazione da unqualsiasi corpo.In seconda istanza, considera errata una visioneprodotta da una estromissione di un qualcosa ditale fattezza, tramite un raggio dall’occhio del-l’osservatore7.È assurdo supporre che la visione possa avveni-re per estromissione, e che un raggio visivopossa, con questo metodo, raggiungere ladistanza delle stelle.

“Del tutto assurdo è dire che la vista vede perqualche cosa ch’esce da lei e che il raggiovisuale si stende fino agli astri o che, uscitadall’occhio, si congiunge a una certa distanzacon la luce esterna, come pretendono alcuni”8.

Sarebbe stato più logico supporre che la fusio-ne dei due flussi avvenisse, non all’esterno, maall’interno dell’occhio. Ma egli considera que-sta ipotesi poco credibile, perché trova privo disenso il concetto di fusione di una luce conun’altra.La sua posizione è in disaccordo con gli atomi-sti e con Platone anche sul bisogno di avere unintermediario fisico tra l’oggetto visto e l’ani-ma-intelletto che invece lo guarda.In sostanza egli concentra la propria attenzionesu il medium tra l’osservatore e un oggetto,definendo la trasparenza, la luce e il coloredipendenti strettamente dal medium.Il medium della vista è diafano, trasparente, unacaratteristica che si trova in tutti i corpi, masoprattutto nell’aria, nell’acqua e in altri corpiparticolari9. Questo “trasparente” è ciò che èvisibile non per propria natura, ma a causa deicolori di qualsiasi altro oggetto e sostanza chesi trovano dall’altro lato di esso. In parole pove-re non è qualcosa che riusciamo a vedere, maqualcosa in cui vediamo attraverso.Il medium della luce (phos) è uno stato partico-lare del “trasparente”, e risulta dalla presenzanell’ambiente di una luce qualsiasi. Aristoteleparla di realizzazione del “trasparente”, del pas-saggio di esso da stato di sola potenzialità astato reale, in modo che gli oggetti distinti dal-l’osservatore diventano visibili attraverso ilmedium illuminato.

Non essendo il medium una sostanza, la luce sipropaga in esso svincolata dal tempo. Questaidea è evidentemente errata, ma d’altra parte lavelocità della luce fu introdotta molto più tardicon le scoperte pubblicate da Albert Einsteinnel suo famoso articolo del 1905 sulla relativi-tà ristretta.Terzo concetto della teoria di Aristotele è ilcolore (chroma). Secondo lui il colore è qualco-sa che ricopre gli oggetti visibili ed ha la capa-cità di innestare movimenti nel “trasparente”durante il suo stato reale. Questo è il motivo percui i colori non sono visibili senza luce, ma pro-vocano movimenti del “trasparente” solo inpresenza di essa, ed essendo inoltre continui,agiscono sull’organo sensoriale10.Il processo quindi è il seguente: innanzitutto ilmedium trasparente muta il suo stato da poten-ziale a reale quando si trova in presenza di unaqualsiasi luce, e poi viene scosso o intaccato dalcolore dei corpi che vengono in contatto conesso e i cambiamenti che questo contatto provo-ca vengono trasmessi all’osservatore, provo-cando la vista.Questa teoria viene sostenuta anche affermandoche l’occhio è composto soprattutto di acqua,capace di relazionarsi con il “trasparente” e direcepire sia la luce che i colori in modo da crea-re una continuità del medium dall’oggetto finoall’interno dell’occhio.In realtà una certa analogia con la teoria plato-nica esiste. In entrambi i casi, è chiaro, il pro-blema della visione viene risolto considerandoche l’occhio e lo spazio medio esterno diventa-no parti di un’unica e omogenea catena capacedi trasmettere i movimenti all’intelletto di chiguarda.

01.1.4 Galeno e gli Stoici

Le teorie della visione degli Stoici sono stretta-mente legate al concetto di pneuma (soffio)11, uncomposto di aria e fuoco a cui gli stoici attribui-scono la funzione di tenere insieme, compatti, idue elementi passivi, l’acqua e la terra: ciòdipende dalla tensione, che il pneuma stabiliscetra le singole parti. Esso fa, dunque, dell’uni-verso un continuum dinamico, una sorta diunico grande essere vivente, percorso incessan-temente da questo soffio caldo.Uno pneuma di tipo ottico fluisce dal centrodella coscienza, detto Hegemonicon, verso l’oc-chio, eccitando l’aria che si trova intorno adesso e provocando all’occhio uno stato di ten-sione e sollecitazione; la combinazione di que-sto status dell’occhio con la presenza della lucepermette la connessione con gli oggetti visibili.Per la corrente stoica l’aria eccitata intornoall’occhio è come una estensione della nostra

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anima e, una volta eccitata, si dispone a cono lacui base viene impressionata dall’oggetto dellavisione, come se fosse un’asta che tocca l’og-getto.Questa teoria venne accettata anche da ClaudioGaleno di Pergamo (131-201 d.C.), sebbeneampliata, conosciuto semplicemente comeGaleno, un medico greco. I suoi studi e le sueteorie hanno influenzato la medicina europeaper più di mille anni.Nato a Pergamo in Turchia da una famiglia diarchitetti, i suoi interessi erano molteplici: dal-l’agricoltura all’architettura, dall’astronomiaall’astrologia, si interesso anche di filosofia, maconcentrò le sue potenzialità sulla medicina.Dopo la morte di suo padre (148 o 149 d.C.) sitrasferisce per studiare a Smirne, poi a Corintoed infine ad Alessandria. Studia medicina perdodici anni e, tornato a Pergamo nel 157, lavo-ra come medico, facendo pratica per diversianni, fino al 162 quando si trasferisce a Romadove intraprnde una carriera eccellentissima nelcampo della medicina fino a diventare principa-le medico alla corte di Settimio Severo.Esegue vivisezioni di numerosi animali per stu-diare le funzioni dei diversi organi. La sua personale teoria della visione venne pro-posta nel suo testo De placitis Hippocratis etPlatonis12 dove analizza criticamente le teorieantecedenti. Un oggetto sottoposto alla visionepuò reagire in soli due modi: o emanare qualco-sa che raggiunge i nostri occhi e che ci fa per-cepire le sue caratteristiche intrinseche, o atten-dere passivo un potere sensoriale che provieneda noi stessi. La prima ipotesi non è accettabileperché, in primo luogo, sarebbe impossibiledeterminare la dimensione dell’oggetto dall’im-magine (o potere o efflusso) che esso ci invia:per esempio l’immagine di una montagnadovrebbe comunque contrarsi in maniera spro-positata per poter entrare nella nostra pupilla, ilché ne deformerebbe la dimensione reale.Inoltre sarebbe assurdo per Galeno che l’imma-gine di quella montagna possa raggiungeresimultaneamente più spettatori.Evidentemente il processo avviene per vieopposte: è l’osservatore ad avanzare il suo pote-re sensoriale verso la montagna. Galeno, piùche del pneuma della corrente stoica, discutedell’aria intermedia che diventa per l’osserva-tore uno strumento per vedere. Lo pneuma èinviato dal cervello stesso attraverso il nervoottico e fuoriesce dall’occhio incidendo sul-l’aria limitrofa, senza estendersi molto lontano.È l’aria stessa che si trova in questa zona ecci-tata a diventare percettiva.Galeno, essendo un medico, non poteva esclu-dere il cervello e il nervo ottico dalla trattazio-ne che interpreta come una parte importantissi-ma del processo. Il nervo ottico in particolar

modo viene assimilato al ramo più estremo diun albero, è parte del cervello stesso, ne ricevel’impulso, il potere, diventando capace di giudi-care e riconoscere le cose con cui viene a con-tatto. La stessa cosa avviene, più o meno inmaniera analoga, anche con l’aria intornoall’occhio.Galeno fu quindi il primo ad introdurre l’aspet-to fisiologico ed anatomico all’interno delleteorie della visione: egli suppone che la vistasia dovuta principalmente al cristallino, affer-mazione fondata sugli studi da lui eseguiti, inparticolar modo su alcune patologie della visio-ne, come la cataratta13 che, ponendosi tra il cri-stallino e la cornea, ostacola parzialmente lavisione. Inoltre il medico approfondì gli studisu tutte le parti dell’occhio, dalla retina alla cor-nea, dall’iride all’uvea, l’umore vitreo e quelloacqueo ed infine anche le palpebre14.La sua teoria avrebbe avuto probabilmente unaaccezione importantissima se Galeno non aves-se ceduto alla volontà di renderla comprensibi-le ai più, abbandonando quindi l’idea di spie-garla unitamente ad un aspetto geometrico pro-priamente euclideo.Fu Galeno stesso, nella prefazione, a chiarire divoler omettere l’aspetto geometrico, perchétroppo complicato e noioso cosicché i dueapprocci, quello matematico ed il suo opposto,rimasero distinti tra loro, senza punti di contat-to.

01.2. Euclide e Tolomeo

01.2.1 I raggi visivi e la visione per angoli

Euclide (III sec. a.C.) fu il primo a basare unateoria della visione totalmente di impostazio-ne matematica, escludendo tutti i fenomeni dicarattere mistico, ontologico e psicologico eaccettando solo ciò che poteva essere spiega-to geometricamente.Egli rappresenta un approccio completamen-te opposto sia agli atomisti, che a Platone,Aristotele e Galeno.Il suo libro sull’Ottica è composto di cin-quantotto proposizioni o Teoremi come li tra-duce Francesca Incardona, precedute da settedefinizioni sulle queli si fonda no le basi dellateoria visiva di Euclide.

1) Sia posto che i segmenti rettilinei a parti-re dall’occhio si portino a una distanza tra diloro di dimensioni sempre maggiori. 2) E che la figura formata dai raggi visualisia un cono avente il vertice nell’occhio e labase sui contorni delle cose viste.3) E che siano viste quelle cose sulle qualiincidono i raggi visuali, mentre non siano

viste quelle sulle quali i raggi visuali nonincidono.4) E che le cose viste sotto angoli più grandiappaiono più grandi, quelle viste sotto ango-li più piccoli più piccole, uguali quelle vistesotto angoli uguali.5) E che le cose viste sotto raggi più altiappaiono più in alto, quelle viste sotto raggipiù bassi più in basso6) E che le cose viste sotto raggi più a detraappaiono più a destra, quelle viste sottoraggi più a sinistra più a sinistra7) E che le cose viste sotto un maggior nume-ro di angoli appaiono con miglior risoluzio-ne15

La prima definizione riguarda la distribuzio-ne nello spazio dei raggi visivi: essi si distri-buiscono radialmente ma egli non aggiungenulla sul fatto che i raggi visivi possano esse-re discreti. Il fatto che si distanzino tra loronello spazio definisce solo una distribuzioneradiale, compatibile con la continuità. Ladivergenza angolare dei raggi visivi fa dedur-re che essi possano proseguire all’infinito(nel senso usato negli Elementi). Si può pen-sare che egli volesse postulare la possibilitàdel raggio visivo di arrivare a raggiungereoggetti lontanissimi, come le stelle. Questoproblema era stato già discusso da Aristotelein polemica con Empedocle e Platone.Il secondo postulato è naturalmente legato alprimo, perché se i raggi visivi hanno direzio-ne rettilinea e radiale nello spazio, ne conse-gue che la forma che essi generano è un conocon vertice nell’occhio.Il significato della terza definizione acquistasignificato se inserito nel contesto culturalepiù ampio di cui Euclide faceva parte.Abbiamo visto quali altre teorie erano stateformulate, divise in emissioniste ed estromis-sive. La scelta teorica da parte di Euclide,che accoglie la teoria emissionista, esclude lapossibilità che si possano vedere cose che ilraggio visivo non intercetti. La quarta premessa definisce che la visioneavviene necessariamente per angoli e che ladimensione apparente degli oggetti sia stret-tamente legata a tale angolo. La visione per-tanto avviene grazie a due raggi visivi cheformano tra loro un angolo e racchiudonopertanto uno spazio, mentre un solo raggionon basta affinché l’uomo possa vedere16.La quinta e la sesta definizione, piuttostointuitive, stabiliscono i criteri che regolano lapercezione della posizione di un oggettorispetto ad altri.Infine la settima chiarisce i criteri cheregolano la risoluzione della visione: glioggetti visti sotto più angoli, ovvero incon-trati da più raggi visuali e perciò visti sotto

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un numero maggiore di angoli formati daraggi visuali adiacenti, appaiono di risolu-zione maggiore. Euclide scrive un’ottica strettamente geome-trica, in cui ignora i fenomeni visivi dalpunto di vista della sensazione o della fisio-logia della visione, nonché gli aspetti psico-logici che influenzano la percezione e lalocalizzazione rispetto agli oggetti visibili.Nelle sue sperimentazioni deve constatareche esiste un limite al discernimento visivoma contemporaneamente, oggetti posti moltolontano sono ancora visibili a patto che sianoabbastanza grandi. L’esperienza evidenzial’esistenza di un limite alla visibilità di unoggetto, oltre il quale si perdono insiemerisoluzione visiva e visibilità; pertantoEuclide è portato ad accettare l’esistenza diun angolo visivo limite, oltre il quale non siapiù possibile la visione.La conseguenza immediata delle conclusionidel teorema è che le cose che sono più picco-le dell’angolo minimo non si vedono.Affinché un corpo possa essere visto è neces-sario che si possa costruire un angolo visualeche lo abbracci.Oltre a questa implicazione bisogna conside-rare il fatto che venga preso in considerazio-ne un angolo ben preciso: si suppone che lacosa sia vista abbracciata da un angolo mini-mo, cioè solo dai due raggi che formano i latidell’angolo stesso. È evidente che nell’ottica di Euclide si vedeper angoli, e non per raggi. Determinante perla visione euclidea è anche il numero di raggivisivi presenti all’interno dell’angolo, perchéquesto comporta una maggiore risoluzionecome espresso nella settima proposizione,dove per maggior risoluzione si intende unmaggior numero di particolari visibili del-l’oggetto guardato.

Se un oggetto è visto sotto l’angolo minimo,è ovvio che nessuna delle sue particelle inter-ne potrà essere vista singolarmente e in mododettagliato perché sarebbe compresa tra dueraggi che formano un angolo troppo piccolo eminore rispetto a quello minimo. Ma l’ogget-to può essere visto comunque nella sua glo-balità. La visione per angoli minimi giustifi-ca il fatto di parlare di angoli più o menonumerosi nella settima proposizione, quandosi tratta di migliore o peggiore definizionevisiva: un segmento vicino viene visto piùnei suoi “particolari” che se fosse lontano.Supponiamo di avere due aste metriche sud-divise in segmenti uguali, e siano di differen-te dimensione. Le aste AB e CD sono vistesotto un numero di angoli minimi pari a quat-tro e lo stesso angolo visuale complessivo α(Fig. 1). Dal nostro punto di vista, quindi, laloro grandezza apparente è identica, mahanno una discriminazione (risoluzione)diversa: gli angoli minimi abbracciano singo-larmente ogni particella (segmento) di AB,mentre abbracciano 2 segmenti di CD. Di ABabbiamo una visione più dettagliata, mentreCD viene visto in maniera omogenea essendoi suoi particolari minori dell’angolo minimo. Nonostante questa intuizione, la teoria eucli-dea implica alcuni problemi, il primo deiquali riguarda il fatto che non è specificatoquale sia l’angolo minimo, sopratutto in vistadel fatto che l’angolo in figura diminuiscesempre più man mano che i segmenti si allon-tanano dal centro. Forse sarebbe utile stabili-re prima un campo visivo, poi determinarel’ultimo angolo laterale e considerare proba-bilmente esso come minimo angolo visivo.Certo è che, sia a causa dell’incertezza dellefonti (così lontane), sia a causa delle varieinterpretazioni che si possono dare al testo, lasoluzione non può essere generalizzata.

01.2.2 Tolomeo: il perfezionamento della teo-

ria euclidea

Il maggiore tra i teorici di ottica dell’antichità èsicuramente Claudio Tolomeo (II sec. d.C.), ilquale estende la teoria euclidea di caratterematematico fondendola con gli elementi fisici,fisiologici e psicologici che avevano unaimportanza fondamentale e imprescindibile inuna teoria della visione concettualmente com-pleta.Dell’Ottica di Tolomeo manca però il primolibro, andato perduto, a parte qualche piccoloframmento che trattava gli aspetti fisici dellavisione; anche gli altri quattro libri in effettinon sono propriamente attendibili, perché nondi prima mano: essi ci sono pervenuti grazie aduna traduzione latina spesso incoerente di unaedizione araba, già a sua volta tradotta dalgreco. Questo passaggio di mani, spesso provo-ca un rimaneggiamento del testo originale espesso il traduttore tende ad inserire qualcosadi personale ed interpretativo che altera i con-cetti originali. Nonostante ciò, non si può nega-re la grande importanza di Tolomeo nel campoOttico e il fatto che egli introduca, ampliandola teoria euclidea, innovazioni che rimarrannoinvariate per secoli. Il grande sforzo di Albert Lejeune17 (che peranni ha studiato l’ottica di Tolomeo) di rico-struire i lineamenti principali del primo libro diTolomeo ci ha permesso di capire più approfon-ditamente le caratteristiche principali della teo-ria della visione dello scienziato.Tolomeo credeva che la visione fosse dovutaall’azione di un flusso visuale emesso dall’oc-chio e di forma conica, geometricamente analo-go a quello supposto da Euclide. Ma egli nonrifiutò le teorie di Platone e degli stoici e seconsideriamo giuste le ipotesi fatte da Lejeunesul primo libro dell’Ottica, aggiunge alla tesi

Fig. 1: La visione per angoli secondo Euclide (Rielaborazione dell’au-tore).

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euclidea una interpretazione fisica della radia-zione visiva.Questa interpretazione data da Lejeune è fon-data mettendo insieme le osservazioni dei librisecondo e quinto dell’Ottica e un riassunto delprimo libro andato perduto, che lo stessoTolomeo inserisce come prefazione del secon-do libro. Il flusso della visione viene considera-to simile al flusso luminoso e per questo moti-vo Tolomeo attribuisce ad esso una concezionefisica.Sempre secondo Lejeune, Tolomeo concepivala radiazione visiva, quella luminosa e in gene-rale ogni tipo di radiazione, come una sorta dispostamento o trasferimento di energia che iltrasmettitore comunica e che diminuisce nelmomento che viene a contatto con altri oggetti,a causa della riflessione o della resistenza chegli oggetti più o meno trasparenti mostrano allapenetrazione del flusso.Ma esiste una differenza cruciale tra Tolomeoed Euclide per quello che concerne la concezio-ne dei raggi visivi. In Euclide tali raggi sonodiscreti, non esiste continuità tra essi, ma sonoseparati da spazi che diventano sempre piùgrandi a causa della loro distribuzione radiale.In Tolomeo invece i raggi visuali formano unfascio continuo e se così non fosse non riusci-remmo a vedere gli oggetti nella loro interezza. I raggi possono ben rappresentare la vista inmaniera geometrica, ma hanno poco a che farecon la vista reale basata su leggi fisiche e sonoconcepiti come energia continua emessa dal-l’occhio e capace di percepire gli oggetti cheincontra relativamente alla potenza della pro-pria radiazione.Questa è la principale critica mossa da Tolomeoad Euclide, tuttavia per molti storici questa cri-tica dipende da una errata lettura della terzaproposizione di Euclide. Questa premessa èinterpretata da Tolomeo nel modo ben cono-sciuto: la visione avviene per punti discreti.Tolomeo attribuisce ad Euclide una relazione,che egli in realtà non da, tra dimensione appa-rente di una grandezza e la quantità di raggi chevi incidono. Confonde dunque arbitrariamentedue concetti che Euclide, invece, tiene separatiper tutta la sua opera: la grandezza apparente ela risoluzione visiva. Nonostante Euclide dica chiaramente che ladimensione è data dall’angolo visuale e non dalnumero di raggi che incidono l’oggetto l’ideache egli imposti la sua ottica su una visione perangoli sembra non sfiorare in nessun modoTolomeo, il quale insiste sull’ipotesi, errata, diuna visione per raggi singoli e discreti, indipen-denti l’uno dall’altro. In realtà sarebbe statodifficile per Euclide costruire un castello mate-matico su tali basi18.Dalla teoria della visione di Tolomeo non pote-

va essere esclusa la radiazione luminosa prove-niente dalla sorgente (come il sole): solo graziead essa riusciamo a percepire i colori.Il colore, secondo Tolomeo, è una proprietàintrinseca degli oggetti, che riesce a produrreuna modificazione (passio) della radiazioneenergetica, grazie alla quale riusciamo a perce-pire gli oggetti nelle loro effettive caratteristi-che.Non sappiamo però come avvenga questo pro-cesso di passio, forse perché espone il mecca-nismo nel primo libro andato perso, né siamo aconoscenza del suo reale concetto del conovisivo, se esso è un qualcosa di sensibile o se loconcepisce come lo pneuma della teoria stoica,cioè un medium che trasmette le impressioniverso l’osservatore.Ma rispetto alla teoria tutta matematica diEuclide egli aggiunge due aspetti geometrici dinotevole importanza per lo sviluppo della teo-ria: innanzitutto arguisce che esiste un assevisivo principale e che rispetto a questo asseesistano delle variazioni di sensibilità dellavista, affermando che viene visto in manierapiù chiara ciò che è sopra l’asse piuttosto di ciòche si trova ai lati dello stesso. Dobbiamo aTolomeo l’osservazione che, in sostanza, lapercezione visuale diminuisce man mano che ilflusso visuale si allontana dall’asse del conoottico. In secondo luogo dobbiamo a Tolomeoanche l’aver fissato la posizione del vertice delcono ottico, asserendo che esso si trova proprionel centro della curvatura della cornea e anchenel centro della rotazione del bulbo oculare.

01.3. Sviluppo orientale delle teorie della

visione

01.3.1 Al-Kindi e lo sviluppo delle teorie nel

mondo islamico

L’Accademia Platonica rimane per secoli unsantuario nella quale le idee continuano a circo-lare e ad essere divulgate.L’impero romano eredita la grande cultura elle-nistica, la diffonde, la sviluppa, ma è anche lacausa del suo lento declino. Bisogna considera-re come eventi relazionati tra loro la decadenzagraduale dell’impero romano, la nascita dellacristianità e della sua cultura e l’affievolirsidell’interesse nella ricerca scientifica.Nel 389 d.C. gli insurrezzionisti Cristianidistrussero la Biblioteca di Alessandria checonteneva più di mezzo milione di testi.La cultura platonica, che ancora accettava glidei pagani, viene profondamente perseguitatadalla cristianità, fino alla chiusura dellaAccademia avvenuta nel 529 d.C. da parte diGiustiniano.

A tale “imbarbarimento” della cultura occiden-tale, fa fronte, per fortuna, un nuovo interesseper tutte le scienze da parte del mondo musul-mano. Quando i soldati di Giustiniano assalironol’Accademia Platonica, i discepoli dovetteroabbandonare Atene e i sette maggiori saggi par-tirono per la Persia, portando con loro una seriedi preziosi libri. Senza di essi lo sviluppo cul-turale probabilmente si sarebbe arrestato eavrebbe avuto altri corsi. Invece in Persia isette magnati furono accolti dall’imperatoreKhurso I, nel suo palazzo di Jundishapur inIran. Nella sua corte riprese il fermento per lescienze, le arti e la filosofia e divenne presto ilprincipale centro di ricerca scientifica con unosservatorio astronomico, una scuola medica epersino il primo ospedale.Questo fenomeno fu una vera fortuna per lasopravvivenza e la riscoperta delle conoscenzeantecedenti: gli studenti islamici divenneroestremamente fanatici nel collezionare e tradur-re testi e manoscritti greci. E questo permise ditramandare questi testi ai posteri, fino ad arri-vare anche ai giorni nostri.Anche Baghdad divenne presto un grande cen-tro di ricerca, sotto la guida, nel nono secolo diHunayn ibn Ishaq.Il primo grande filosofo del mondo islamico adoccuparsi di ottica in maniera sistematica eapprofondita, fu Abu Yusuf Ya’qub ibn Ishaq al– Kindi (801 ca-873), noto semplicemente colnome di Al-Kindi. Nato verso la fine del seco-lo VIII ad al-Kufa, si trasferisce per gli studiproprio a Baghdad. È probabilmente il miglio-re nel cercare di promulgare gli insegnamentidella Grecia classica, incoraggiando la tradu-zione dei testi e tentando in prima persona diintegrare le lacune della Filosofia antica, sem-pre naturalmente con il massimo rispetto pertale Filosofia e le scienze in generale che ave-vano apportato enormi passi evolutivi alla cul-tura umana.Egli scrisse moltissimi libri (circa 260) in mol-tissimi rami scientifici. Tra tutti però il piùimportante è sicuramente il De Aspectibus19,trattato di ottica nella cui prefazione l’autorerivela che il motivo per cui decise di scrivereuna tale opera dipendeva dal desiderio di cor-reggere e comunicare l’eredità culturale delmondo antico alla società islamica.L’ottica in Al-Kindi non è solo un ramo dellemolteplici scienze ereditate dalla Grecia, maassume una importanza particolare anche inaltri branche. Nel libro De radiis stellarum20, iltema principale trattato è l’attività della naturaa livello universale esercitata per mezzo di unaradiazione o forza. Questo concetto è evidenteperché ogni cosa al mondo, che sia una sostan-za o un incidente, produce raggi e azioni in una

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La rettilinearità dei raggi luminosi è dimostratanelle prime tre proposizioni grazie all’osserva-zione delle ombre formate dagli oggetti opachicolpiti da tali raggi.Innanzitutto egli osserva quali e quanti tipi diombre esistono, schematizzando nello stessomodo che utilizzerà Leonardo da Vinci tra ilXV e XVI sec.: se il corpo luminoso e l’ogget-to hanno la stessa dimensione la proiezioneombrosa sarà cilindrica; se il corpo luminoso èmaggiore dell’oggetto l’ombra sarà conica convertice verso il corpo opaco; viceversa se èl’oggetto ad avere dimensione maggiore delcorpo luminoso, il cono ombroso avrà il verticedalla parte della luce.Già per Al-Kindi, nel IX sec., le ombre si con-formano in linee rette tangenti al corpo lumino-so e a quello opaco: ne consegue la propagazio-ne rettilinea della luce22.Nei postulati 5 e 6 continua la dimostrazione diquesto concetto: prende in esame l’ombra di uncorpo opaco generata da una candela più altadel corpo stesso.Sia AB il corpo opaco e DE la candela, tale cheDE proietti l’ombra GB di AB sul piano oriz-zontale. Conoscendo le basi matematiche suitriangoli simili, Al-Kindi conclude dicendo cheGB è nella stessa proporzione con AB comeGE, distanza dalla candela allo spigolo piùesterno dell’ombra, sta a DE: questa proporzio-ne è possibile solo se i punti D, A e G sono alli-neati a formare una retta. La retta DAG è il rag-gio luminoso (fig. 2).Nella proposizione successiva egli espone unsecondo esperimento. Sottopone ad una sorgen-

te luminosa grande quanto ABG (che supponeessere una candela) una specie di scatola conun foro, forse proprio una camera oscura, oforse semplicemente due muri contrapposti.Unendo il punto illuminato più estremo su HT,per esempio K, con il suo corrispondente delforo, cioè U, e prolungando l’asta essa lambi-sce in maniera tangenziale la sorgente di luce.La stessa cosa naturalmente avviene per LZG, ilche dimostra di nuovo la rettilinearità dei raggiluminosi (fig. 3).Dopo aver dimostrato che i raggi luminosi sonorettilinei, si concentra sui raggi visivi, senzaperò spiegare quale filo logico unisce gli uniagli altri e perché se i primi sono rettilinei lodebbano essere anche i secondi. Al-Kindi analizza, nelle successive proposizio-ni (dalla 7 alla 10), la teoria visiva di Euclide,che egli accetta pienamente e che cerca anzi disviluppare ed elaborare: i raggi visivi non pro-vengono dall’oggetto, ma è dall’occhio dell’os-servatore che essi escono in modo radiale. Eglirifiuta ogni tipo di teoria intromissiva adducen-do una serie di argomentazioni, che però sono avolte contraddittorie.Prima tra tutte le motivazioni, egli pone la stes-sa anatomia e fisionomia dell’occhio: l’orec-chio ha una forma concava perché deve riceve-re i suoni provenienti dall’esterno; per contra-rio l’occhio, che ha forma convessa e sferica,deve necessariamente avere funzione di emet-tere raggi visivi. Inoltre l’occhio è dotato dimobilità affinché egli possa ruotare su se stes-so e poter individuare gli oggetti su cui inviarei raggi visivi.

propria maniera ma comunque radialmente;questi raggi riempiono e colmano il mondointero, trasformando il mondo stesso in unasorta di immensa rete nella quale ogni cosa agi-sce su un’altra per produrre gli effetti naturali.Le stelle agiscono sulla terra; il fuoco, la luce,i suoni e i colori stessi agiscono sugli oggetti aloro prossimi; questa filosofia naturale influen-zerà successivamente anche Grosseteste eBacon.Le leggi radiative sono le leggi della natura eper questo l’ottica rientra in una filosofia piùampia che si basa su questo concetto.Nel De Aspectibus, Al-Kindi riprende l’Opticadi Euclide, ma non copiandola, né recensendo-la, piuttosto criticando in maniera puntigliosala teoria della visione euclidea, tentando indefinitiva di sopperire ad alcune lacune e cor-reggere l’opera del Filosofo greco.La critica mossa da Al-Kindi ad Euclide è cheegli aveva introdotto una serie di assunzionisenza però giustificarle. Per esempio la primaproposizione di Euclide asserisce che i raggivisivi sono rettilinei ed escono dall’occhio edAl-Kindi cerca di dimostrare in pratica questoassunto dedicando alla dimostrazione i primisei postulati del De Aspectibus.Ma la dimostrazione del musulmano è alquantostravagante, perché egli tenta di dimostrare larettilinearità dei raggi visivi attraverso i raggiluminosi21: essi sono in pratica alla base delladimostrazione ma poco vengono presi in consi-derazione invece nella teoria visiva; i raggivisivi rimangono di priorità assoluta nel pro-cesso visivo.

Fig. 2: Già per Al-Kindi, nel IX sec., le ombre si conformano in linee rette tangenti al corpo luminoso e aquello opaco: ne consegue la propagazione rettilinea della luce. La dimostrazione di questo concetto è neipostulati 5 e 6. (Rielaborazione dell’autore).

Fig. 3: In un secondo esperimento, Al-Kindi sottopone ad una sorgente luminosa grande quanto ABG(che egli suppone essere una candela) una specie di scatola con un foro, forse proprio una cameraoscura. (Rielaborazione dell’autore).

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Inoltre solo grazie alla teoria estromissiva,secondo Al-Kindi, si può spiegare la capacitàselettiva dell’occhio e il motivo per cui l’acui-tà visiva dipenda dalla posizione dell’oggettoall’interno del campo visivo. In effetti l’uomoriesce a vedere in modo definito solo pochecose alla volta, come quando leggiamo unlibro, mettendo a fuoco alcune lettere e muo-vendo l’occhio per leggerne delle altre: quindiriusciamo a vedere gli oggetti, all’interno delcampo visivo, solo in sequenza temporale e nontutti insieme. Inoltre l’occhio non è capace diavere una visione definita di tutti quegli ogget-ti che si trovano o nella parte più esterna delcampo visivo o comunque molto lontani dal-l’osservatore. Secondo Al-Kindi queste testi-monianze sono la prova concreta che la verateoria visiva è quella estromissiva. Egli sostie-ne che se realmente fossero gli oggetti ad emet-tere raggi che penetrano nell’occhio, e se lavisione avvenisse grazie a queste immaginiimpressionabili nel bulbo oculare, allora l’uo-mo avrebbe una visione chiara, nitida e dibuona risoluzione di tutto il campo visivo e diogni oggetto all’interno di esso comunque essosia disposto (senza problematiche di elevatadistanza o di posizione estrema).Tra l’altro lo scienziato fornisce la prova incon-futabile della sua teoria proprio sul frontematematico e geometrico, analizzando la visio-ne di una circonferenza posta di taglio rispettoall’osservatore. Se sono gli oggetti ad emettereinformazioni sulla propria forma, dimensione ecolore l’occhio umano riuscirebbe a percepirela forma pienamente circolare sebbene la cir-

conferenza sia posta di taglio. In realtà quelloche l’uomo vede è un segmento e non riesce ariconoscere la vera forma dell’oggetto. Ne con-segue che è l’occhio ad emettere raggi visivi inmaniera rettilinea e radiale, cosicché essi colpi-scono l’oggetto solo nella parte rivolta versol’osservatore, il quale in maniera inconfutabilepercepisce la circonferenza come un segmen-to23.È chiaro che Al-Kindi consideri l’emissione diraggi da parte degli oggetti esterni comeun’unità informativa e l’orientamento spazialedi essi è del tutto indifferente da tali informa-zioni, cosicché egli pensa la teoria intromissivadel tutto disgiunta dalle leggi prospettiche.Nel De Aspectibus, Al-Kindi espone, comeabbiamo già visto, in maniera pedissequa lateoria estromissiva di Euclide, inserendo peròuna serie di approfondimenti e proprie teorieche si discostano in parte dai concetti euclidei.Per esempio anche per il musulmano i raggisono spediti dall’occhio all’ambiente in modorettilineo e radiale a formare un cono ottico, maesso è concepito come un corpo radiante conti-nuo24, cioè non è formato da raggi discreti comeerano quelli euclidei.I raggi per il filosofo greco in effetti erano rettegeometriche senza spessore e non avendo unadimensione non potevano formare un conoomogeneo e tra essi si creavano naturalmentedegli spazi vuoti. Al-Kindi ritiene assurda que-sta ipotesi, perché se così fosse, la nostra visio-ne sarebbe incompleta con una serie di zoned’ombra relazionate agli spazi vacanti tra raggicontigui ma divergenti. Inoltre essendo tali

raggi senza dimensione, essi terminerebbero inpunti anch’essi adimensionali e se non hannoné ampiezza, né profondità, allora non possonoessere visti. La teoria di Euclide perde validità. Per Al-Kindi, poiché i corpi reali hanno tredimensioni, anche i raggi dovranno caratteriz-zarsi per lunghezza, ampiezza e profondità, eanzi essi sono in realtà parte di un unico, omo-geneo e radiante cono ottico, e rappresentabilida rette geometriche per semplicità espositiva25.All’interno del cono gli oggetti sono visti inmaniera più o meno chiara secondo la loroposizione spaziale centrale o periferica, e dellalontananza: Euclide, come molti altri filosofi,imputava la causa alla diversa lunghezza deiraggi visivi dal centro (il più corto) alle genera-trici del cono.Al-Kindi contesta quest’ipotesi con una sem-plice constatazione26: il raggio AD è il minore ditutti mentre invece AB è il maggiore ed è accet-tabile, in questo caso, che il punto D sia piùnitido di B, secondo la teoria euclidea.Ma basta prendere in esame il punto E per capi-re che tale processo non può avere fondamento:Il punto E è nella mezzeria di AB tale che AE =AB/2, mentre AD è il cateto maggiore deltriangolo ABD, ossia AB = √AD2+BD2. AE èsicuramente più piccolo di AD, ma sebbene ilraggio sia minore la visione di E è meno chiararispetto a D (Fig. 4).Questo dimostra che la perdita di risoluzionenon dipende dalla distanza, ma dipende piutto-sto dalla maggiore o minore forza o potenza delraggio. Al-Kindi paragona di nuovo i raggiluminosi e i raggi visivi; così come un punto

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Fig. 4: All’interno del cono gli oggetti sono visti in maniera più o meno chiara secondo laloro posizione spaziale centrale o periferica, e della lontananza. La diversa lunghezza deiraggi visivi dal centro (il più corto) alle generatrici del cono non è determinante della niti-dezza. (Rielaborazione dell’autore).

Fig. 5: Dalla proposizione 14, inoltre, si deduce che la risoluzione delle cose viste dipende anche dallaquantità di radiazioni che colpiscono un oggetto, che può variare proprio a causa della forma dell’oc-chio. (Rielaborazione dell’autore).

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maggiormente illuminato da un raggio lumino-so più forte viene percepito in maniera piùchiara dall’osservatore, allo stesso modo unraggio visivo più forte produrrà punti di mag-gior risoluzione.Per Al-Kindi un raggio visivo più forte è capa-ce di produrre in maniera più incisiva una tra-sformazione del medium che lo circonda; seinvece la trasformazione è incompleta o imper-fetta, allora il raggio è più debole.Dalla proposizione 1427, però, si deduce che larisoluzione delle cose viste dipende anche dallaquantità di radiazioni che colpiscono un ogget-to, che può variare proprio a causa della formadell’occhio. In questo postulato Al-Kindi trattadi nuovo in modo analogo i raggi luminosi equelli visivi. Analizziamo la dimostrazione(fig. 5).Sia ABG il bulbo oculare con centro in D, e siconsideri l’intorno come la circonferenzaHEILTZK. Del bulbo oculare si prendano inesame solamente i punti A, B, e G che riprodu-cono la cornea, e che egli chiama la gobbaesterna dell’occhio.Dai tre punti si mandino le tangenti alla circon-ferenza dell’occhio, rispettivamente TH, EZ eIK, e si tracci anche la retta ortogonale ad EZpassante per B detta BL.Ogni parte di HT è illuminata da A, ogni partedi IK è illuminata da G, ed infine ogni parte diEZ è illuminata da B; ne consegue che L è illu-minato da ognuno dei tre punti.Però l’arco EI appartiene sia ad HT che EZ edè quindi illuminato nello stesso istante sia da Ache da B; allo stesso modo l’arco TZ, simmetri-co al precedente, è invece illuminato sia da Bche da G; gli archi EH e ZK sono invece illu-minati solo da singoli punti, rispettivamente Ae G.Conseguentemente L è più illuminato di unpunto dell’arco IE o TZ, e l’illuminazione diquesti archi è superiore di quella degli archi EHe ZK. Per illuminazione naturalmente Al-Kindiintende la radiazione. Egli arriva alla conclusione che la parte centra-le, cui appartiene anche l’asse del cono ottico,è quella più nitida perché riceve una maggiorquantità di radiazione visiva, e anche che talequantità diminuisce man mano che ci si allon-tana dall’asse. Questa spiegazione però crea anche una serie dicontraddizioni. Innanzitutto è chiaro dal testoche per Al-Kindi la visione avviene grazie allagobba esterna dell’occhio ovvero la cornea:egli pertanto non accetta le teorie di Euclide eTolomeo che invece localizzavano il centro delcono ottico all’interno dell’occhio.In secondo luogo questa dimostrazione sembracontraddire a pieno la teoria dello scienziatonel supporre un cono ottico unico, e nel consi-

derare ogni parte del campo visivo illuminatadalle radiazioni provenienti in linea retta daogni parte dell’occhio.Seguendo la dimostrazione invece è chiaro chegli archi EH e ZK sono colpiti dalle radiazionisolo di A o solo di G, escludendo le radiazioniprovenienti da B.In sostanza gli oggetti periferici vengono per-cepiti dalle parti periferiche dell’occhio, men-tre quelli centrali sono percepiti da tutti.Questo concetto entra in conflitto con la visio-ne per cono ottico singolo, e può essere coeren-te con la teoria di Al-Kindi solo se si ammetto-no molteplici coni ottici emanati da ogni puntodell’occhio28, ma egli non fa cenno a questa ipo-tesi e probabilmente nemmeno pensò a questaconseguenza, essendo lo scopo della dimostra-zione solamente determinare il perché dellavariazione di nitidezza nel campo visivo.Ultima riflessione da fare sulla teoria di Al-Kindi è che egli aveva tutte le nozioni per poterarrivare ad una soluzione più coerente, ma allafine rimase legato alla storia e alle teorie gre-che, lasciando così ad Alhazen la possibilità dirivoluzionare le teorie della visione. Nella proposizione 1329 egli tratta i raggi lumi-nosi, affermando chiaramente che essi si dif-fondono radialmente in tutte le direzioni daogni punto di una superficie illuminata: questoè un concetto implicitamente riscontrabile findalle teorie classiche, ma Al-Kindi fu il primoa renderlo chiaramente ed in maniera esplicitaper iscritto.Questo concetto è di enorme importanza, per-ché fu proprio grazie ad esso che Alhazen riu-scì a fondare una nuova teoria della visione dif-ferente dalle teorie fino a quel momento avvia-te. Fu Al-Kindi a fornire le basi ad Alhazen perla sua teoria intromissiva che soppiantò quelladi Al-Kindi.Egli sfruttò tali basi concettuali diventando cer-tamente più importante del suo predecessore,ma d’altra parte l’evoluzione culturale e ideolo-gica non può che avere il suo corso naturale.

01.3.2 Lo sviluppo delle teorie visive

nell’Islam

Nel mondo islamico le teorie classiche furonoriprese e discusse ampiamente ma seguendofiloni di pensiero differenti.Da una parte l’evoluzione della teoria estromis-siva, sia quella euclidea estesa a Tolomeo e adAl-Kindi, ma soprattutto quella di Galeno. Lagrande influenza che questa ultima teoria ebbenel mondo arabo si deve a Hunain ibn Ishaq,uno dei maggiori fisici del periodo, che seppeanche unire le conoscenze di Galeno con nuovenozioni di anatomia e fisiologia. Per questo

motivo Hunain, che in occidente è conosciutocome Johannitius, fu particolarmente apprezza-to nell’ambito dei circoli medici.Ma oltre alle teorie estromissiva citate, si svi-luppò anche un altro grande filone teorico apartire soprattutto dal X sec., che affondava leradici nella teoria intromissiva aristotelica eche ebbe come massimi rappresentantiAvicenna e Averroes.

01.3.3 Hunain ibn Ishaq

Gli studi di Hunain ibn Ishaq (877 d.c. - nc)orbitano principalmente intorno alla sfera del-l’oftalmologia30, ramo della medicina che sioccupa dei difetti e malattie dell’occhio.Johannitius, questo è il nome con cui è cono-sciuto in occidente, fu contemporaneo di Al-Kindi, ma a differenza di lui egli accettò unateoria estromissiva basata sulle tesi di Galeno.Gli stessi scritti di Hunain rivelano l’interesseper l’oftalmologia dello scienziato: il primo è Idieci trattati sull’occhio31, il secondo è il Librodelle questioni sull’occhio.Ne’ I dieci trattati sull’occhio egli presenta unoschema esplicativo della struttura dell’occhiodal punto di vista anatomico e fisiologico (fig.6).Al centro dell’occhio si trova il cristallino cheè incolore, trasparente e luminoso, ma non èsferico piuttosto leggermente appiattito32.Dietro di esso si trova l’umore vitreo che ha lafunzione di alimentare il cristallino mediandoquesto ultimo con i vasi sanguigni della retina.Infatti è indubbio che una lente debba essereperfettamente trasparente, ma deve anche rice-vere nutrimento, che non può avvenire diretta-mente perché se no si macchierebbe del rossodel sangue. Il cristallino pertanto ha bisognodel vitreo, ed anzi è immerso per metà nel-l’umore.Dietro il vitreo ci sono ulteriori tre strati: laretina, la coroide o secundina e la sclera.La retina ha origine dal nervo ottico e circondail vitreo ed è essa, grazie alle vene e le arterie,a nutrirlo. Essa inoltre provenendo dal nervoottico, ha il compito di portare lo spirito visivoal cristallino. La coroide copre e nutre la retina.Infine la sclera è rigida ed ha il compito di pro-teggere l’occhio da eventuali lesioni33.Anche davanti al cristallino ci sono tre strati:l’albuminoide, l’uvea e la cornea.L’albuminoide, così chiamato perché somigliaall’albume dell’uovo, si trova nell’apertura del-l’iride (pupilla) e separa il cristallino dalla cor-nea. L’uvea è in pratica il proseguimento dellacoroide. Essa nutre la cornea e la separa dal cri-stallino cosicché non lo danneggi per frizione.Inoltre l’uvea ha un’apertura frontale per per-

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mettere il passaggio dello spirito visivo versol’esterno.La cornea è il proseguimento della sclera, ed ètrasparente per permettere il passaggio dellospirito visivo e della luce, ed ha una consisten-za rigida per proteggere l’occhio da eventualiurti dall’esterno34.Infine esiste un ultimo strato chiamato con-giuntiva che copre il tutto35.Nel terzo dei dieci trattati, Hunain discuteanche dei nervi ottici che hanno origine nellaparte posteriore del cervello e sono uniti nelchiasma ottico36. Essi però sono invertiti, vale adire che il nervo il quale ha origine nel ventri-colo sinistro del cervello è collegato con l’oc-chio destro, mentre il secondo ha origine nelventricolo destro ed è collegato all’occhio sini-stro.Gli occhi secondo Hunain possono funzionareanche separatamente: egli crede che, nelmomento in cui un occhio sia ferito perdendo lafunzione ottica, l’altro occhio automaticamentediventa più attento e brillante. Ed infatti, eglispiega, non appena un occhio viene per esempiochiuso o coperto, la pupilla del secondo si allar-ga immediatamente perché l’uvea deve permet-tere il passaggio di una quantità maggiore dispirito visivo, naturalmente verso l’esterno.Questa dottrina muove i passi dalla teoria diGaleno, di cui Hunain fu un profondo sostenito-re e di cui egli parla soprattutto nella secondaparte del terzo trattato37.Egli riassume inizialmente le teorie visive delpassato per poi andarle a sfatare una per voltafino alla constatazione che solo quella di

Galeno poteva avere fondamenti oggettivamen-te validi.I metodi riassunti da Hunain sono tre: a) l’og-getto può inviare qualcosa verso di noi che ciindica la sua presenza; b) l’oggetto non invianessuna informazione ma è immobile e staticonel suo posto, e la visione avviene grazie aqualcosa che proviene dai nostri occhi che cipermette di percepirlo e vederlo; c) la visioneavviene grazie ad un medium tra l’osservatore el’oggetto38.La prima teoria include sia la teoria atomistadegli eidola o simulacra, sia la teoria aristoteli-ca. Hunain, come avevano arguito altri sui pre-decessori, considera impossibile quest’ipotesiperché non è possibile che le immagini dioggetti maestosi come per esempio le monta-gne, possano contrarsi tanto da poter penetrarenell’occhio, e soprattutto la stessa immaginenon è possibile che possa penetrare negli occhidi più osservatori contemporaneamente.La seconda teoria, estromissiva, di Euclide,Tolomeo e Al-Kindi, non ha comunque ragioned’esistere perché è impossibile che la spiritovisivo che esce dall’occhio possa espandersi intutto lo spazio che divide l’osservatore dall’og-getto (anche una stella) e che possa anche dif-fondersi tutto intorno ad esso fino a inglobarlocompletamente.Infine la terza teoria è quella veritiera, fondatada Galeno e gli Stoici.L’aria che naturalmente si frappone tra l’osser-vatore e l’oggetto diventa uno strumento del-l’occhio per poter vedere e mette in contatto isoggetti senza necessità di un qualsivoglia flus-

so tra loro. Devono però, affinché il processo siavvii, coesistere due condizioni: l’aria deveessere trasformata dalla presenza della luce edeve essere trasformata anche dallo spirito visi-vo che proviene dalla pupilla dell’occhio. Lospirito visivo penetra l’aria anche per lunghedistanze, anche se in ciò Hunain si contraddiceandando a riprendere un concetto analizzato escartato nella seconda teoria. Quando lo spiritoesce dalla pupilla colpisce l’aria come se avve-nisse una collisione, la trasforma rendendolasimile a se stesso. L’aria diventa pertanto unvero e proprio organo visivo, un prolungamen-to dell’occhio39.Hunain spiega che tale fenomeno è del tuttosimile a quello che avviene nel passaggiodello spirito visivo dal cervello all’occhio.In maniera particolare è trattata anche la pro-blematica della visione dei colori: secondo loscienziato, i colori producono nell’aria un’ul-teriore trasformazione, successiva comunquea quella che produce lo spirito visivo. Anzi letrasformazioni dell’aria in tal senso sono bentre: l’aria viene completamente trasformatadalla luce fino a diventare luminosa, vienetrasformata dai colori e, nello stesso istante,anche dallo spirito visivo. In pratica quelloche vuole dimostrare Hunain è che le trasfor-mazioni avvengono in maniera simultanea,motivo per il quale esiste una specie di rela-zione tra gli oggetti che fa sì che il colore diuno influenzi anche gli altri intorno40 (quelloche oggi sarebbe perfettamente spiegato insostanza con la radiosity e l’emissione radia-tiva degli oggetti).

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Fig. 6: Hunain ibn Ishaq ne I dieci trattati presenta uno schema espli-cativo della struttura dell’occhio dal punto di vista anatomico e fisio-logico.

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01.3.4 Avicenna e le critiche alle teorie

visive

Abu ‘Ali al-Husain ibn ‘Abdullah ibn Sina(980 – 1037), conosciuto in occidente comeAvicenna, fu uno dei maggiori critici della teo-ria estromissiva41. Egli accettava la teoria ari-stotelica, ma non si confrontò con essa svilup-pandola e ampliandola, piuttosto si cimentò inuna serie di accese critiche contro tutte le altreteorie anteriori. La sua produzione scritta èvastissima42, ma i principali testi che trattanol’ottica sono lo Shifa e il Danishnama (Livrede science) .La teoria estromissiva di Euclide viene analiz-zata da Avicenna il quale ipotizza che i raggivisivi non possono essere una entità astratta,ma devono essere una specie di sostanza chepermette di trasportare le sensazioni. Egli perminare la teoria euclidea la suddivide in quat-tro categorie, ognuna sfatata. Egli considera iraggi euclidei come una sostanza omogeneache si estende dall’occhio in forma conica eche mette in contatto l’occhio con gli oggetti;la sostanza che proviene dagli occhi è sempreomogenea e continua, ma quando esce dall’oc-chio per raggiungere gli oggetti, perde il con-tatto col bulbo oculare; la sostanza non è omo-genea né continua ed è anzi formata da raggiseparati tra loro, i quali però riescono a venirea contatto solo con alcune parti dell’oggetto; lasostanza che esce dall’occhio non crea un con-tatto con l’oggetto43.La prima possibilità è assurda perché dovreb-be innanzitutto ammettere l’esistenza di un

cono ottico immenso, esteso infinitamente,proveniente da un organo così piccolo. Inoltreogni volta che si aprono gli occhi si avviereb-be il processo della visione e un immenso conoottico dovrebbe, in un tempo infinitamentepiccolo, diffondersi nell’universo. Inoltre perAvicenna era implicito nelle teorie estromissi-ve che la visione avvenisse grazie al contattodella sostanza con l’oggetto. Se così fosseveramente, egli rileva, allora noi riusciremmoimmediatamente a percepire la vera grandezzadegli oggetti grazie al contatto tra la base delcono ottico e l’oggetto stesso e nulla seguireb-be le leggi della prospettiva (perché allora dueoggetti di eguale misura, posti a distanzediverse dall’osservatore, sembrano essereanche di dimensioni differenti?)44.Le ipotesi due e quattro non possono esserevalide perché in esse manca il fondamentoprimo della visione: a cosa servirebbe l’emis-sione di questa sostanza se poi il contatto -viene perso, quando per la teoria estromissivaè il contatto tra occhio e oggetto a permetterela visione? Potrebbe essere che sia l’aria a fare da inter-mediaria e trasmettere le impressioni e leforme, ma se essa avesse questa proprietà, acosa servirebbe la sostanza emessa dall’occhioa distanze così lontane? Sarebbe uno sforzoinutile per l’occhio, quando già esisterebbel’aria a portare le informazioni all’occhio45.Infine rimane la terza possibilità. La visioneavviene effettivamente per raggi discreti cheescono dall’occhio colpendo gli oggetti cheincontrano. Ma esiterebbero in ogni modo dei

problemi, primo fra tutti il fatto che la visioneavverrebbe per punti corrispondenti a quelliintercettati dai raggi sugli oggetti.Quello che avremmo percepito era di conse-guenza una specie di nuvola di punti (propriocome gli attuali laser scanner) e anche suppo-nendo la percezione di un numero elevato dipunti, non avremmo avuto ugualmente la pos-sibilità di percepire tutto quello che era com-preso negli spazi bui46.Potrebbe essere però che i raggi sfruttino ilmedium che è tra gli stessi, che lo trasforminodotandolo della capacità di percepire anche ciòche esiste tra punto e punto, trasferendo l’in-formazione all’occhio. Ma perché, se questatrasformazione avviene immediatamente alcontatto del raggio con l’aria, i raggi devonoestendersi fino a toccare l’oggetto? Sarebbepiù logico supporre che è qualcosa dell’occhioa trasformare subito il medium circostante epermettendo grazie ad esso la visione.Avicenna così ha dimostrato l’assurdità di ognipossibilità di lettura della teoria euclidea.Egli passa al vaglio, nello scritto Shifa, la teo-ria estromissiva di Galeno, basata proprio sullatrasformazione del medium interposto tra l’oc-chio e l’oggetto47.Avicenna è consapevole che l’aria per poteressere strumento nella visione, deve o diventa-re un medium ottico capace di trasmettereinformazioni all’occhio stesso, o diventareesso stesso un organo visivo capace di perce-pire in maniera individuale le sensazioni.Entrambe queste ipotesi però non possonoavere senso, perché non è possibile che l’ariapossa ottenere, per effetto di una trasformazio-ne per mezzo dell’occhio, una propria qualitào proprietà di trasferire informazioni. È impos-sibile per il semplice fatto che potrebberoavvenire nello stesso momento molteplici tra-sformazioni in relazione al numero di osserva-tori, e ogni individuo sarebbe influenzato dalletrasformazioni degli altri spettatori, ma essen-do la visione un fenomeno soggettivo è chiaroche questa ipotesi è da scartare. L’aria pertan-to non può trasformare il proprio stato in modidiversi ma nello stesso istante. Potrebbe alloraaccadere che la trasformazione sia dello stesso tipo per ogni osservatore e che tale trasforma-zione sia semplicemente più o meno intensasecondo il numero. Avicenna inserisce neltesto un passo ironico sulla questione: le per-sone che hanno problemi di vista, non vedonomeglio se si aggregano tra loro, né vedrebberomeglio se si avvicinassero ad una persona cheinvece ha una vista perfetta e migliore dellaloro48. Ma se l’aria avesse questa capacità, non servi-rebbe comunque che l’occhio inviasse deiraggi nell’ambiente, perché essa è già in con-

Fig. 7: Angoli più piccoli formano proiezioni minori sulla cornea. Dati due oggetti uguali in dimensioni HD e KZ, si dispongano a distanze dif-ferenti dall’occhio, in modo che gli estremi dei due segmenti appartengano a due rette parallele ed ortogonali ai segmenti stessi. Proiettando gliestremi dal cristallino (centro dell’occhio) si creano due immagini sulla cornea AB di HD e YT di KZ, con YT più piccolo di AB sebbene i seg-menti originali abbiano stessa lunghezza. (Rielaborazione dell’autore).

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Page 26: Storia dei metodi e delle forme di rappresentazioneCollana di Storia dei metodi e delle forme di rappresentazione Direttore scientifico Agostino De Rosa, Università Iuav di Venezia

tatto con l’occhio e gli trasmetterebbe automa-ticamente le immagini. È chiaro che anchequest’ipotesi non abbia supposto scientifico.La seconda ipotesi è che il medium, per effet-to della trasformazione, diventi un vero e pro-prio organo visivo: Avicenna ironicamenteafferma che se così fosse, avremmo grossi pro-blemi di vista per ogni disturbo dell’aria pro-vocato dal vento.L’unica teoria possibile è quella di Aristotele,secondo cui le immagini degli oggetti arrivanoall’occhio trasmessi dal medium trasparente49.Ma Avicenna considera la visione con un’ana-logia differente rispetto al filosofo greco; egliparagona la vista all’immagine che si forma suuno specchio. Infatti nel Danishnama (Livrede science) afferma che l’occhio è come unospecchio e che l’oggetto visibile è come l’im-magine riflessa nello specchio grazie allamediazione dell’aria o altro medium trasparen-te50. Quando la luce colpisce gli oggetti, ilmedium permette che l’immagine di essi siproietti nell’occhio. Se lo specchio avesseun’anima, anch’esso sarebbe in grado di vede-re.L’immagine specchiata giunge all’occhio eviene recepita dal cristallino che a sua volta latrasmette al nervo ottico.Secondo Avicenna la teoria intromissiva era lasola che permetteva di spiegare il motivo percui gli oggetti appaiono più piccoli man manoche li allontaniamo dall’osservatore.Sempre nel Danishnama dimostra geometrica-mente la motivazione della veridicità di questateoria (fig. 7).Dati due oggetti uguali in dimensioni HD eKZ, si dispongano a distanze differenti dal-l’occhio, in modo che gli estremi dei due seg-menti appartengano a due rette parallele edortogonali ai segmenti stessi. Proiettando gliestremi dal cristallino (centro dell’occhio) sicreano due immagini sulla cornea AB di HD eYT di KZ, con YT più piccolo di AB sebbenei segmenti originali abbiano stessa lunghezza51.Angoli più piccoli formano proiezioni minorisulla cornea, ma d’altra parte questo concettoera stato già elaborato da Euclide nella suateoria della visione per angoli, scartata però daAvicenna per i motivi suddetti. Questo dimo-stra che le critiche fatte ad Euclide riguardanole lacune fisiologiche e anatomiche della suateoria, ma non possono comunque togliere glo-ria alle innovazioni tutte geometriche chehanno invece un fondamento scientifico e unaimportanza notevole.Avicenna dimostra pertanto con l’ultimo teore-ma e con tutte le disquisizioni nei suoi scritti,che le teorie del passato sono tutte false, ecce-zion fatta per quella aristotelica che inveceAvicenna accetta e difende.

01.3.5 Averroes e lo sviluppo della teoria

aristotelica

Abu-I-Walid Muhammad ibn Rushd (1126 –1198), conosciuto in occidente col nome diAverroes52, fu uno dei maggiori sostenitoridella teoria visiva di Aristotele, anche se ilgrande scienziato Alhazen aveva già introdot-to la sua nuova teoria visiva decenni prima,ed essa stava prendendo gradualmente piedein tutti i circoli scientifici.Averroes tratta i problemi della visionesoprattutto in due suoi testi, l’Epitome deiParva naturalia53 e il Kitab al-Kulliyat che èin pratica un’enciclopedia medica.Ma la teoria aristotelica viene rielaborata daAverroes secondo le teorie più prettamenteanatomiche e fisiologiche di influenza galeni-ca: l’esistenza di uno pneuma che trasmette ilpotere della visione dal cervello all’occhio ela consapevolezza che il senso visivo non ènel cuore come credeva Aristotele, ma è loca-lizzato dietro la retina54.L’aria, per mezzo della luce, riceve le formedegli oggetti e le convoglia allo strato piùesterno dell’occhio il quale a sua volta dirigequeste forme verso gli strati interni, fino aquando colpiscono quello più interiore in cuirisiede il senso visivo55. Questa sintesi della teoria di Averroes si ritro-va nell’Epitome sopra citata ed è ancheaccompagnata da una serie di critiche verso lealtre teorie visive.La teoria di Platone non era possibile, perchése le forme degli oggetti già esistevano nel-l’anima ed erano richiamate alla vista nelmomento in cui l’occhio veniva stimolatodagli oggetti esterni, allora l’anima potevarichiamarle quando voleva senza aver bisognodello stimolo esterno. Questo però avrebbenegato la funzione degli organi visivi, chenaturalmente non avrebbero più avuto ragionedi esistere56.Gli atomisti avevano supposto una visionefatta per piccolissime particelle che impres-sionavano l’anima. Come potevano questicorpuscoli contrarsi per entrare tutti contem-poraneamente nell’occhio?57

La teoria estromissiva è tutta inglobata inun’unica critica, incorporando quindiEuclide, Tolomeo, Galeno e Al-Kindi. Se que-sta teoria fosse vera, l’uomo sarebbe capacedi vedere anche al buio emettendo raggi oflussi visivi verso l’esterno; inoltre saremmocapaci di distinguere chiaramente tanto glioggetti vicini quanto quelli lontani senza per-dita di risoluzione, contrariamente alla real-tà58. Secondo la teoria estromissiva qualcosa vieneemanato dall’occhio verso l’esterno e, per

Averroes, potrebbe essere solo o un corpo oluce: se fosse un corpo esso sarebbe sottopo-sto alle regole del tempo, e tale corpo impie-gherebbe un determinato tempo per raggiun-gere un oggetto esterno, assurdamente ampiose l’oggetto da raggiungere è per esempio unastella; se tale sostanza fosse luce essa nonpotrebbe trasportare l’anima o spirito visivocon se, perché caratteristica afferente solo aicorpi59.Lo spirito deve pertanto essere situato dietrol’occhio, e un medium esterno (che non puòessere ancora una volta luce) deve inviare leinformazioni all’occhio e allo spirito dietroesso. Questa è però la teoria aristotelica, enon quella di Euclide.Averroes accetta tale teoria e ne sviluppa gliaspetti del processo visivo, che Aristotele nontratta, come per esempio il modo in cui leforme passano dall’occhio alla parte coscien-te del cervello.In alcuni passi egli identifica nella retina, enon nel cristallino, la sede del senso visivo, omeglio l’organo fotosensibile dell’occhio,anticipando quindi di secoli Platter e Keplero.Secondo Averroes è lo strato più interno, equindi la retina, ad avere il compito di riceve-re la luce dagli altri strati dell’occhio. Nonpoteva essere diversamente, perché la funzio-ne fotosensibile doveva trovarsi nello stratopiù vicino al nervo ottico connesso con il cer-vello, e non nella parte a contatto con l’aria;il cristallino è l’ultimo strato dell’occhio etrasmette al senso visivo le forme che proven-gono dall’esterno.Il cristallino è come uno specchio in partepartecipe della natura dell’aria e in parte del-l’acqua e quando essa riceve le forme dal-l’aria le convoglia verso l’umore vitreo60.In realtà egli, in altri passaggi, consideracomunque il cristallino come principale orga-no fotosensibile, ossia il principale strumentoper ricevere le informazioni dall’esterno,assegnando alla retina la funzione principaledi trasportare lo spirito visivo dai nervi otticiall’occhio61.Probabilmente la soluzione sta nelle diverseinterpretazioni dei testi. È normale cheAverroes come anche Galeno, trattano la reti-na come organo di grande importanza, perchéè solo grazie a lei che avviene il passaggio alcervello delle forme per mezzo dei nervi otti-ci, questo però non toglie importanza al cri-stallino che in ogni modo può rimanere l’or-gano con funzione fotosensibile.Così Averroes e i seguaci di Galeno poteronoparlare nei secoli successivi di sensibilità reti-nica a testimoniare che, oltre alla sensibilitàdel cristallino, esisteva quella della retina neltrasmettere le impressioni al cervello.

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