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180 181 SESSIONE II: TRA STORIA ED ARCHEOLOGIA: METODOLOGIE DI RICERCA A CONFRONTO Numerosi sono stati i nomi che si sono avvicendati nella storia dei restauri del Castel del Monte e a tal proposito, si propone una breve sintesi che suddivida i lavori effettuati in diverse fasi: 1879/1885: Ing. Francesco Sarlo L’ ingegner Francesco Sarlo (Ispettore onorario dei monumenti e scavi dell’ antichità del mandamento di Trani, 1879-1906 1 ), incaricato dal Ministero dalla pubblica istruzione nel 1879, comincia i lavori di restauro, avendo come unico obiettivo quello di porre argine ai guasti esercitati dall’ audace mano del tempo” . 2 Il Sarlo, per poter preservare l’ immagine del Monumento, operò una serie di ricostruzioni, necessarie alla salvaguardia statica di porzioni dell’ edificio. Tra le lavorazioni eseguite di maggior importanza, si ricordano le operazioni di cuci-scuci di parte delle murature del cortile interno e delle pareti delle stanze n. 4 e n.5 del primo piano. Le integrazioni sono avvenute attraverso conci in pietra calcarea, delle stesse dimensioni di quelli originali, imitandone la fattura. Per poter conservare il castello, si avviarono una serie di interventi volti all’impermeabilizzazione dell’ edificio attraverso la posa in opera di malta e pozzolana lungo la sommità dei muri, regolarizzati a tal proposito con integrazioni in muratura incerta, sistemazione del cortile interno con un battuto analogo, svuotamento e sigillatura delle cisterne pensili e risanamento del sistema di smaltimento delle acque meteoriche. Riposizionò doccioni e riassettò gli antichi pluviali collegati sia alla cisterna magna, sotto il cortile interno, che alla grande cisterna fuori le mura. Venne sostituito il pavimento originario del 1 Ronchi, Guida del Museo diocesano di Trani, 1983, pag. 7 2 F. Sarlo, Castello del Monte, monumento medioevale nella Puglia e le riparazioni ora fatte dal ministero della Pubblica istruzione, tratto da Arte e Storia, 1885, vol IV, Fasc. 13, pagg 100-101 Giuseppe Fallacara Politecnico di Bari, DICAR Ubaldo Occhinegro Politecnico di Bari, DICAR Micaela Pignatelli Politecnico di Bari, Scuola di Specializzazione Keyword: restauro, canaliz- zazioni, cisterne. Abstact: I restauri di Castel del Mon- te ebbero inizio dopo l’ac- quisto del monumento da parte dello Stato Italiano nel 1876 . Cominciarono i pri- mi lavori di consolidamento ed impermeabilizzazione della struttura originaria. Dopo circa cinquant’anni si avviò la ricostruzione di gran parte delle cortine mu- rarie, fin troppo degradate, per restituire all’ immagi- nario collettivo il profilo, organico e completo del ce- lebre maniero federiciano. Il consistente restauro delle superfici lapidee fu attua- to utilizzando anche nuovi materiali, confondendo an- tico e ricostruito e perden- do alcune delle tracce che il castello custodiva all’ inter- no delle originarie cortine. Oltre alle fondamentali fasi di restauro, si riporta nel presente articolo una nuo- va, preziosa testimonianza, quella di chi ha lavorato al Castello, sin dal 1968, il Capo STORIA DEI RESTAURI A CASTEL DEL MONTE La testimonianza del capocantiere sui lavori effettuati dal 1965 al 1981. M.S.Rizzo, Insediamenti fortificati di età medievale nella valle del Platani, in “Sicilia Archeologica” , 73, 1990, pp. 41-63. M.S.Rizzo, Distribuzione degli insediamenti di età arabo-normanna da Agrigento al Belice, in Dagli scavi di Montevago, pp. 179-187. M.S. Rizzo, L’insediamento medievale nella valle del Platani, Roma 2004. Saba Malaspina, Rerum Sicularum libri VI ab anno Christi MCCL ad annum MCCLXXVI, Rerum Italicarum Scriptores, VII, Città di Castello 1938. D. Sack, Castel del Monte e l’Oriente, in Federico II. Immagine e potere 1995, pp. 294-303. Salimbene de Adam, Cronica, a c. di G. Scalia, 2 voll., Bari 1966. Ignoti monachi cisterciensis S.Mariae de Ferraria Chronica, ed. A. Gaudenzi, Napoli 1888. P.Sella, Rationes Decimarum Italiae. Sicilia, Città del Vaticano 1944. F.Spatafora, Monte Maranfusa (scavi 1986-87), in Gli Elimi e l’area elima fino all’inizio della prima guerra punica, Atti del Seminario di Studi (Palermo-Contessa Entellina 1989), Palermo 1990, pp. 293- 299. F.Spatafora, Testimonianze medievali a Monte Maranfusa, in Dagli scavi, pp. 127-140. F.Spatafora, Calatrasi. L’età medievale a Monte Maranfusa, in Federico e la Sicilia 1995, 1, pp. 163-168. F.Spatafora, A.M.G.Calascibetta, Monte Maranfusa, un insediamento nella media Valle del Belice, in “Sicilia Archeologica” , 62, 1986, pp. 13- 27. W. Stürner, Federico II. Il potere regio in Sicilia e in Germania 1194- 1220, Roma 1998 (trad. it. dell’or. tedesco, Friedrich II., I, Die Königsherrschaft in Sizilien und Deutschland 1194-10, Darmstadt 1992; Verbesserte Sonderausgabe, Darmstadt 2003). Id., Friedrich II., II, Der Kaiser 1220-1250, Damstadt 2003. J. Taylor, Lucera Sarracenorum. Una colonia musulmana nell’Europa cristiana, in “Archivio Storico Pugliese” , 52, 1999, pp. 227-242. S.Tramontana, La Sicilia dall’insediamento normanno al Vespro (1061- 1282), in Storia della Sicilia diretta da R.Romeo, III, Napoli 1980, pp. 177-304. S.Tramontana, La monarchia normanna e sveva, in Storia d’Italia, diretta da G.Galasso, III, Torino 1983, pp. 437-810. S.Tramontana, Ceti sociali, gruppi etnici e rivolte, in Potere società e popolo nell’età sveva, Atti delle Seste Giornate Normanno-Sveve (Bari- Castel del Monte-Melfi, 17-20 ott. 1983), Bari 1985, pp. 151-166. C.Trasselli, Schera-Corleone o Monte dei Cavalli ?, in “Sicilia Archeologica” , 7, 1969, pp. 19-28. T. C. Van Cleve, Markwakd of Anweiler and the sicilian regency, Princeton 1937. T.C.Van Cleve, The Emperor Frederick II, Oxford 1972. G.Villani, Cronica, II, Firenze 1823, rist. anast. Roma 1980. A.Vintaloro, A.Scuderi, Corleone archeologica, I, Studio storico- archeologico sul territorio corleonese, Corleone 1995. E.Winkelmann, Acta Imperii inedita Seculi XIII, I, Innsbruch 1880. L.T.White jr., Latin Monasticism in Norman Sicily, Cambridge Mass. 1938; trad. it., Il monachesimo latino nella Sicilia normanna, Catania 1984.

STORIA DEI RESTAURI A CASTEL DEL MONTE

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La testimonianza del capocantiere sui lavori effettuati dal 1965 al 1981 Giuseppe Fallacara Politecnico di Bari, DICAR Ubaldo Occhinegro Politecnico di Bari, DICAR Micaela Pignatelli Politecnico di Bari, Scuola di Specializzazione Keyword: restauro, canalizzazioni, cisterne.

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numerosi sono stati i nomi che si sono avvicendati nella storia dei restauri del Castel del Monte e a tal proposito, si propone una breve sintesi che suddivida i lavori effettuati in diverse fasi:

1879/1885: Ing. Francesco Sarlo

l’ ingegner Francesco sarlo (Ispettore onorario dei monumenti e scavi dell’ antichità del mandamento di Trani, 1879-19061), incaricato dal Ministero dalla pubblica istruzione nel 1879, comincia i lavori di restauro, avendo come unico obiettivo quello di “porre argine ai guasti esercitati dall’ audace mano del tempo” .2

Il sarlo, per poter preservare l’ immagine del Monumento, operò una serie di ricostruzioni, necessarie alla salvaguardia statica di porzioni dell’ edificio. tra le lavorazioni eseguite di maggior importanza, si ricordano le operazioni di cuci-scuci di parte delle murature del cortile interno e delle pareti delle stanze n. 4 e n.5 del primo piano. le integrazioni sono avvenute attraverso conci in pietra calcarea, delle stesse dimensioni di quelli originali, imitandone la fattura. Per poter conservare il castello, si avviarono una serie di interventi volti all’impermeabilizzazione dell’ edificio attraverso la posa in opera di malta e pozzolana lungo la sommità dei muri, regolarizzati a tal proposito con integrazioni in muratura incerta, sistemazione del cortile interno con un battuto analogo, svuotamento e sigillatura delle cisterne pensili e risanamento del sistema di smaltimento delle acque meteoriche. Riposizionò doccioni e riassettò gli antichi pluviali collegati sia alla cisterna magna, sotto il cortile interno, che alla grande cisterna fuori le mura.Venne sostituito il pavimento originario del

1 Ronchi, Guida del Museo diocesano di Trani, 1983, pag. 72 F. sarlo, Castello del Monte, monumento medioevale nella Puglia e le

riparazioni ora fatte dal ministero della Pubblica istruzione, tratto da Arte e Storia, 1885, vol IV, Fasc. 13, pagg 100-101

Giuseppe FallacaraPolitecnico di Bari,dICAR

Ubaldo Occhinegro Politecnico di Bari, dICAR

Micaela pignatelli Politecnico di Bari, scuola di specializzazione

Keyword: restauro, canaliz-zazioni, cisterne.

Abstact: I restauri di Castel del Mon-te ebbero inizio dopo l’ac-quisto del monumento da parte dello stato Italiano nel 1876. Cominciarono i pri-mi lavori di consolidamento ed impermeabilizzazione della struttura originaria. dopo circa cinquant’anni si avviò la ricostruzione di gran parte delle cortine mu-rarie, fin troppo degradate, per restituire all’ immagi-nario collettivo il profilo, organico e completo del ce-lebre maniero federiciano. Il consistente restauro delle superfici lapidee fu attua-to utilizzando anche nuovi materiali, confondendo an-tico e ricostruito e perden-do alcune delle tracce che il castello custodiva all’ inter-no delle originarie cortine.Oltre alle fondamentali fasi di restauro, si riporta nel presente articolo una nuo-va, preziosa testimonianza, quella di chi ha lavorato al Castello, sin dal 1968, il Capo

stOria dei restaUri a CasteL deL MOnteLa testimonianza del capocantiere sui lavori effettuati dal 1965 al 1981.

M.s.Rizzo, Insediamenti fortificati di età medievale nella valle del Platani, in “Sicilia Archeologica” , 73, 1990, pp. 41-63.M.s.Rizzo, Distribuzione degli insediamenti di età arabo-normanna da Agrigento al Belice, in Dagli scavi di Montevago, pp. 179-187.M.s. Rizzo, L’insediamento medievale nella valle del Platani, Roma 2004.saba Malaspina, Rerum Sicularum libri VI ab anno Christi MCCL ad annum MCCLXXVI, Rerum Italicarum Scriptores, VII, Città di Castello 1938.d. sack, Castel del Monte e l’Oriente, in Federico II. Immagine e potere 1995, pp. 294-303. Salimbene de Adam, Cronica, a c. di G. scalia, 2 voll., Bari 1966.Ignoti monachi cisterciensis S.Mariae de Ferraria Chronica, ed. A. Gaudenzi, napoli 1888.P.sella, Rationes Decimarum Italiae. Sicilia, Città del Vaticano 1944.F.spatafora, Monte Maranfusa (scavi 1986-87), in Gli Elimi e l’area elima fino all’inizio della prima guerra punica, Atti del Seminario di Studi (Palermo-Contessa entellina 1989), Palermo 1990, pp. 293-299.F.spatafora, Testimonianze medievali a Monte Maranfusa, in dagli scavi, pp. 127-140.F.spatafora, Calatrasi. L’età medievale a Monte Maranfusa, in Federico e la sicilia 1995, 1, pp. 163-168.F.spatafora, A.M.G.Calascibetta, Monte Maranfusa, un insediamento nella media Valle del Belice, in “Sicilia Archeologica” , 62, 1986, pp. 13-27.W. stürner, Federico II. Il potere regio in Sicilia e in Germania 1194-1220, Roma 1998 (trad. it. dell’or. tedesco, Friedrich II., I, die Königsherrschaft in sizilien und deutschland 1194-10, darmstadt 1992; Verbesserte sonderausgabe, darmstadt 2003).Id., Friedrich II., II, der Kaiser 1220-1250, damstadt 2003.J. taylor, Lucera Sarracenorum. Una colonia musulmana nell’Europa cristiana, in “Archivio Storico Pugliese” , 52, 1999, pp. 227-242.s.tramontana, La Sicilia dall’insediamento normanno al Vespro (1061-1282), in Storia della Sicilia diretta da R.Romeo, III, napoli 1980, pp. 177-304.s.tramontana, La monarchia normanna e sveva, in Storia d’Italia, diretta da G.Galasso, III, torino 1983, pp. 437-810.s.tramontana, Ceti sociali, gruppi etnici e rivolte, in Potere società e popolo nell’età sveva, Atti delle Seste Giornate Normanno-Sveve (Bari-Castel del Monte-Melfi, 17-20 ott. 1983), Bari 1985, pp. 151-166.C.trasselli, Schera-Corleone o Monte dei Cavalli ?, in “Sicilia Archeologica” , 7, 1969, pp. 19-28.t. C. Van Cleve, Markwakd of Anweiler and the sicilian regency, Princeton 1937.t.C.Van Cleve, The Emperor Frederick II, Oxford 1972.G.Villani, Cronica, II, Firenze 1823, rist. anast. Roma 1980. A.Vintaloro, A.scuderi, Corleone archeologica, I, Studio storico-archeologico sul territorio corleonese, Corleone 1995.e.Winkelmann, Acta Imperii inedita Seculi XIII, I, Innsbruch 1880.l.t.White jr., latin Monasticism in Norman Sicily, Cambridge Mass. 1938; trad. it., Il monachesimo latino nella Sicilia normanna, Catania 1984.

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terrazzo3 con una pavimentazione in pietra calcarea per salvaguardare le volte in tufo del primo piano da ulteriori infiltrazioni d’ acqua. tale copertura fu rifatta nel 1892, a due spioventi con canalizzazione perimetrale per un migliore smaltimento delle acque.4 Inserì portoni ed infissi, per proteggere gli interni della struttura dalle violenti piogge.si individuarono una serie di impianti e canalizzazioni, con funzioni che vanno oltre quelle della raccolta delle acque meteoriche, ma appartengono ad un sistema di approvvigionamento idrico interno al castello. Ritrovò canalizzazioni principali (o.5 m diametro) che partono dalla copertura e si diramano in tubazioni orizzontali a servizio dei vani posti nelle torri. la mancata perfetta corrispondenza dell’ apertura dei canali verticali in copertura con detti vani sottostanti fece presumere al sarlo, l’esistenza di ulteriori canalizzazioni verticali poste all’ interno della muratura. egli sottolineò la presenza di buchi alla quota pavimentale in corrispondenza delle finestre, collegati a canalizzazioni per lo scolo dell’ acqua all’ esterno dell’ edificio. suppose a tal proposito che tali sistemi potessero aver avuto la funzione di smaltimento delle acque piovane entrate dalle finestre.Infine, egli nel 1877 condusse una serie di scavi

3 A.Avena ipotizzava che la copertura del castello prevedesse una pavimentazione originaria in opus spinatum, con lastre di pietra poste a coltello, pur se durante i restauri del sarlo, si era ritrovata una impermeabilizzazione a cocciopesto, probabilmente attribuibile ad interventi di restauro precedenti Cfr. A. Avena, Monumenti dell’ Italia Meridionale, Roma 1902. G. Ruotolo scrive che anche sotto il pavimento delle stanze, alla profondità di m. 0,65 erano presenti pietre grezze, messe a coltello, ad imitazione dell’opus spinatum per impedire l’umidità. Cfr. Il volto antico di Andria Fidelis, di G. Ruotolo, 1945, pagg.43-46

4 C. Ceschi, relativamente all’ evidente problema di infiltrazione d’acqua presente all’ interno dei rinfianchi delle volte e nelle torri, fino alla formazione di stalattiti ed incrostazioni, che minavano la stessa statica delle coperture, racconta che nel 1892 il genio civile di Bari compì, per la prima volta un lavoro più radicale, ripavimentando l’ intera copertura con lastroni di pietra calcarea i quali, operò non resistettero al gelo e si sfaldarono in brevi anni, tanto che l’ Ufficio per i Monumenti di napoli, provvide nel 1897 a rifare nuovamente la copertura in pietra eseguendola a due spioventi poco inclinati e provvedendo ad una canalizzazione perimetrale in modo da smaltire le acque nel cortile mediante doccioni angolari. Cfr. C. Ceschi, Gli Ultimi restauri a Castel del Monte, Japigia, 1938.

Cantiere maestro Cataldo Mangione, che racconta con estrema perizia molte delle lavorazioni ed opera-zioni di restauro, introdu-cendo esclusivi dettagli, fino ad oggi mai riportati.

Figura 1

dipinto di Victor Baltrand, tratto da Recherches sur les monuments et l’ historie des normands et de la maison de souabe dans l’ Italie Mèridionale, 1844.si noti la presenza della costruzione sulla torre 8, il basamanto parzialmente interrato e le costruzioni addossate al portale.

Figura 2

Immagine di Castel del Monte, 1860.

Figura 3

Immagine di Castel del Monte, 1902.

Storia dei restauri a Castel del Monte, G. Fallacara, U. Occhinegro, M. pignatelli

Figura 1

Figura 2

Figura 3

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in diversi punti intorno al castello, ritrovando le fondazioni di tre diverse mura, di forma ottagonale che circondavano l’ edifico, che si interrompono a nord e a Ovest, dove il colle si inerpica. tali murature erano formate da pietrame calcareo e malta, tutti e tre equidistanti tra loro e discostate dal castello a partire da 4.50 metri fino a 18,50 metri.5

I restauri della prima fase furono costituiti da una serie di attività a tratti lontane dalla conservazione del monumento, e dai coevi principi di Camillo Boito6, nei quali era chiara la posizione di rispetto del Documento d’architettura, ovvero di un’ architettura documento di se stessa, e per questo, da curare, conservare e non manomettere. tra le operazioni invece effettuate dal sarlo in questi anni, maggior peso ebbero le integrazioni con nuovi conci lungo le cortine murarie. Gli elementi strutturali ammalorati (lesionati, disgregati o lacunosi) venivano rimossi e sostituiti con altri di materiale simile, proveniente da una cava vicina, presunta cava d’ origine dei blocchi antichi, e lavorati superficialmente in maniera analoga a quelli ancora integri. Allo stesso modo, ricostruì, come già visto, anche elementi e porzioni degli interni, senza distinguere l’ integrazione dall’ originale.Il Ceschi7 condannò tali operazioni di ricostruzione, definendole invasive e stridenti, in taluni casi sovrabbondanti e sproporzionate, pur se ritenute dal sarlo necessarie al consolidamento, elogiando al contrario i tentativi di impermeabilizzazione della struttura al fine di conservarla e proteggerla da ulteriori degradi.

5 F. sarlo, Castello del Monte, monumento medioevale nella Puglia e le riparazioni ora fatte dal ministero della Pubblica istruzione, tratto da Arte e storia, 1885, vol IV, Fasc. 13, pagg 100-101

6 Boito cercava di mediare tra la posizione ruskiniana del rudere e quella di Viollet le duc dei restauri in stile, orientandosi verso una posizione contemplativa. Condannava i restauri falsi ed ingannevoli poiché contribuivano alla falsificazione, ma allo stesso tempo rifiutava la morte del monumento. Il restauro, inteso come ricostruzione, secondo Boito era infatti l’ultimo estremo tentativo delle fasi di recupero di un monumento, e citando il didron, affermava che “era necessario cercare di consolidare invece di riparare e riparare invece di restaurare” . cfr.C. Boito, I restauri in architettura. Dialogo primo, tratto da Restaurare e conservare, in Questioni pratiche di Belle Arti, Milano, 1893

7 Carlo Ceschi, 1938 op. cit.

Figura 5

Castel del Monte in una foto dello studio Malgherini-Attimonelli, 1948

Figura 6

Castel del Monte, 1960

Figura 4

Incisione di Barchetta “Castel del Monte presso Andria” , 1920

Storia dei restauri a Castel del Monte, G. Fallacara, U. Occhinegro, M. pignatelli

Figura 4

Figura 5

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1928/1933: Archeol. Quintino Quagliati e Arch. Gino Chierici

nei primi anni del novecento, data l’ impossibilità economica di intraprendere nuovi restauri, se non attraverso opere di manutenzione ordinaria, si avviarono una serie di studi e rilievi più approfonditi, tra i quali quelli dell’ architetto ettore Bernich8. egli produsse una serie di disegni dell’ ipotetica cinta perimetrale, basandosi sui rilievi effettuati dal sarlo, e della scalinata di accesso al Castello. di quest’ultima si ritrovò successivamente l’ossatura ed alcune soglie in marmo, scartando quindi l’ ipotesi di fossati e ponti levatoi di accesso, e la stessa ipotesi ricostruttiva del Bernich, che descriveva un’ unica grande scalinata perpendicolare all’ ingresso. Altri studi specifici, furono condotti sulle varie canalizzazioni ritrovate all’interno delle murature e collegate al complesso sistema di cisterne appena ritrovato. l’architetto Cremona nel 1910 propose una serie di disegni per spiegarne il funzionamento.9 nel 1928 sopraggiunse il nuovo soprintendente ai Monumenti della Puglia e Basilicata, l’ archeologo e paleontologo Quintino Quagliati,10 che avviò un programma organico di restauri del Castello, cercando di ripropone l’originaria facies. Riportò da subito alla luce, il basamento delle torri, eliminando il riempimento di terra che lo sommergeva e le strutture di epoca successiva che vi si addossavano, creando un nuovo piano di calpestio, alla quota del primo gradino della scala d’ accesso.Cominciarono nuove importanti operazioni di cuci-scuci dei conci dei paramenti murari interni, esterni e soprattutto dei basamenti, oggetto principale di queste operazioni di restauro, fino alla modanatura, risagomati attraverso l’ uso di nuovi

8 A. Avena, Monumenti dell’ italia Meridionale, Roma 19029 U. Occhinegro, G. Fallacara, Castel del Monte, Nuova ipotesi comparata

sull’ identità del monumento, Bari 201110 Quintino Quagliati fu “archeologo del piccone” , come lo definì Paolo

Orsi nel suo necrologio, nel 1932: amava certamente più l’attività sul campo che le discussioni erudite degli accademici Cfr. s. settis, Magna Graecia. Archeologia di un sapere Collezioni, scavi, musei: precursori e protagonisti, Catalogo della mostra, Catanzaro 2005

Figura 7

lavori di rifacimento delle coperture e parziale rifacimento delle lastre calcaree (1930)

Figura 8

lavori di restauro delle volte delle sale a piano terra: prima e dopo (1934) Fototeca della soprintendenza, Bari.

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conci lapidei, di pietra bianca locale, a sostituzione dei numerosissimi danneggiati. Anche il progetto del Quagliati, portò ad una serie di polemiche, principalmente basate sull’atteggiamento radicale degli interventi di restauro, attuato attraverso una massiccia ricostruzione dei paramenti murari con materiale nuovo, lavorato e squadrato perfettamente alla maniera antica, producendo, se pur rigorosamente, una copia dell’ originale, “fedelissima ma inevitabilmente falsa” 11,includendo nella riproduzione anche le irrisolte problematiche, che già la pietra calcarea originaria aveva subito, ovvero lo sfaldamento della parte superficiale dei conci, dati i frequenti cicli di gelo-disgelo e il forte vento12.nel 1933 morto Quagliati13 i lavori ripresero sulla stessa linea dall’ architetto prof. Gino Chierici14, soprintendente della Campania, nominato direttamente dal consiglio superiore delle Belle arti. egli studiò il problema dell’ aspetto dell’ integrazione, fin troppo visibile, cercando di trovare una soluzione nell’ alleggerire i caratteri ‘cromatici’ dei conci nuovi rispetto agli originali. Propose la sostituzione attraverso elementi lapidei, ma provenienti da una cava diversa, rispetto a quella

11 Cit. Carlo Ceschi, 1938 op. cit12 “L’ azione degli agenti atmosferici per la particolare situazione topografica

di Castel del Monte, per la sua posizione elevata ed isolata di fronte al mare aperto ed ai monti della Lucania, è stata nei secoli fortemente deleteria per le sue muraglie. Quest’ azione della pioggia e del gelo, ma particolarmente del vento, non si è verificata con uguale intensità nelle varie parti dell’ edificio dove le pareti più efficacemente battute si presentavano smangiatissime mentre qualcuna più riparata è invece quasi perfettamente conservata. Queste parti conservate ci hanno documentato che le cortine di Castel del Monte erano state, in origine, edificate con la tecnica consueta delle maestranze pugliesi del tempo, a corsi, cioè, di pietra calcarea locale, squadrata, perfettamente connessa ed a faccia vista lavorata a pelle fina o levigata. Se Castel del Monte non avesse subito gli oltraggi prepotenti delle intemperie sarebbe quindi giunto a noi col carattere abituale dei coevi monumenti pugliesi e le sue cortine conserverebbero quell’ intonazione calda dell’ aspetto di levigatezza che abbiamo per esempio, nelle facciate delle vicine cattedrali di Trani, Ruvo, Bitonto, eccetera” . Cit. Carlo Ceschi, 1938 op. cit.

13 Purtroppo di questi restauri non ci sono giunte dettagliate ed accurate testimonianze, data la prematura scomparsa del Quagliati nel 1932. cfr. Ceschi, 1938, op.cit

14 G. Chierici, I monumenti Italiani.I rilievi della Reale Accademia d’ Italia, 1934. la pregevole pubblicazione promossa da Pasquale Cafaro era guidata dal consiglio di direzione, composto da: Piacentini, Giovannoni, Chierici, Fasolo, Forlati, Apollonj.

Figura 10

Ricostruzioni degli impianti idrici studiati dal Cremona (1910) Fototeca della soprintendenza, Bari.

Figura 11

Restauri delle cortine interne (1934) Fototeca della soprintendenza, Bari.

Figura 9

Pianta delle tubazioni di scarico dell’ acqua piovana studiata dal Cremona (1910) Fototeca della soprintendenza, Bari.

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Figura 9 Figura 10

Figura 11

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utilizzata dal Quagliati, posta a circa 12 km dal Castello, e posizionandoli in opera in ‘controcava’, ovvero scegliendo di presentare verso l’esterno la superficie glabra e naturalmente ossidata. In definitiva, posizionò quindi i conci già naturalmente “patinati” , ma che favorirono ancor più velocemente il degrado superficiale, data la minore consistenza del materiale.

1933/1938: Arch.Carlo Ceschi

Il nuovo soprintendente Carlo Ceschi, continuò le operazioni di restauro delle superfici lapidee cominciate dal Chierici, utilizzando la stessa tecnica ecompletando la torre ad est dell’ ingresso e i tre lati delle cortine murarie. All’interno, continuava a mancare una pavimentazione, dato che l’ originale in marmo, come attestato dal sarlo con il ritrovamento di pavimentazione medioevale nella sala 8, era stata quasi completamente rimossa. Inoltre, le volte in tufo andavano riviste, e data la forma delle volte gotiche a sesto acuto, i blocchetti cuneiformi, furono sostituiti dall’ alto, dopo aver svuotato i rinfianchi. Per dare alla volta maggiore compattezza e stabilità, i rinfianchi furono risarciti con pietre e malta di pozzolana, Il nuovo pavimento fu realizzato in battuto di cocciopesto e livellato, mantenendo una quota leggermente inferiore alla quota del pavimento originale (circa 4 cm), al fine di renderla più visibile, distinguendola da quella reintegrata (tecnica del sottosquadro). Come descritto dal Ceschi, poiché il battuto di cemento aveva una colorazione troppo grigia, prima della completa asciugatura, fu spazzolato, permettendo ai frammenti di pietra e cotto di emergere, donando alla pavimentazione un colore rossastro, in tinta con la breccia corallina presente. lo stesso fu fatto al piano terra dove, prima di procedere con la nuova pavimentazione, furono fatti numerosi saggi potendo appurare la mancanza di sotterranei.le sale cominciarono quindi a riconformarsi, grazie alle murature restaurate, ai nuovi infissi, cosi come il completamento di molte panche, disposte lungo le pareti. In questo periodo si rifecero le impermeabilizzazioni

Figura 12

svuotamento della volta per il restauro dei conci della sala 2 a piano terra(gennaio 1934) Fototeca della soprintendenza, Bari.

Figura 13

Restauro della volta della sala d’ ngresso a piano terra (gennaio 1934) Fototeca della soprintendenza, Bari.

Storia dei restauri a Castel del Monte, G. Fallacara, U. Occhinegro, M. pignatelli

Figura 12

Figura 13

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ai monumenti e gallerie della Puglia, Arch. Renato Chiurazzi17. A lui succedette l’ Architetto Riccardo Mola, intorno al 1973 che come il suo predecessore, dovette confrontarsi con una serie di problematiche legate al restauro dei paramenti murari, già consolidati e ricostruiti con Quagliati, Chierici,Ceschi e schettini, ma che purtroppo, data la natura della pietra stessa, fino a quel momento non protetta, presentavano già un ulteriore e nuovo degrado, insieme a quello dei conci originari, dovuto alla esfoliazione della materia.

1975 /1981: Ing.Giambattista De tommasi

nel 1975, venfono affidati al’ Ing. Giambattista de tommasi, il cui approccio al restauro fu all’ avanguardia, partendo da delle indagini chimiche dei conci di calcare, per poter verificare in maniera definitiva e scientifica quali fossero le cause di un degrado cosi inarrestabile. Accertata la permeabilità della roccia calcarea e della breccia corallina (anch’essa di origine calcarea e quindi predisposta al degrado dovuto all’ effetto degli agenti atmosferici) e le condizioni ambientali sfavorevoli esterne ed interne all’ edificio, l’ intervento di restauro delle cortine murarie si articolò attraverso il principale uso di resine epossidiche e resine siliconiche: gli interventi puntali per le fessurazioni ed i piccoli distacchi, furono affrontati con incollaggi con resina epossidica e/o ancoraggi con barre in accaio inox; la protezione generale di coperture e paramenti, si attuò attraverso un trattamento omogeneo di impermeabilizzazione con resine epossi-catrame18 e con resine siliconiche.l’ intervento attraverso l’ uso di queste nuove tecniche di restauro, permise il recupero di grandi quantità di materiale esistente, limitando la sostituzione con nuovi conci.Come nei precedenti restauri, inoltre, il tema dello smaltimento delle abbondanti acque meteoriche fu affrontato realizzando in parallelo a quelli già

17 P. Gazzola, Renato Chiurazzi, tratto da Archivio storico pigliese: organo della Società di storia patria per la puglia, lecce 1976

18 G. de tommasi, 1981, op. cit.

Storia dei restauri a Castel del Monte, G. Fallacara, U. Occhinegro, M. pignatelli

delle cisterne, furono restaurati stipiti e soprattutto il portale d’accesso, utilizzando tasselli di breccia corallina, ritrovata in una cava vicina, conservando però l’architrave originario, anche se spezzato in mezzeria, rinforzato e consolidato attraverso un architrave in ferro, integrato al nuovo portone in legno. Furono nuovamente accomodati gli infissi installati già nel 1889 e poi nel 1928, poiché non avevano resistito all’azione del vento, ed erano stati in parte divelti. Fu inserito un telaio ermetico fissando alla muratura, lungo gli stipiti e davanzali, al fine legare il più possibile alla struttura questi importanti ed essenziali elementi di protezione degli ambienti interni,Anche questi restauri tesi alla riconfigurazione di un’immagine iconica del Castello, per tramandarne l’originaria grandiosità delle forme e della fattura, sono stati compiuti sostituendo “la pelle” , troppo degradata, con una identica, ma nuova.

1960-1972: Arch. Francesco Schettini, Arch. renato Chiurazzi, Arch.riccardo Mola

dopo la seconda guerra mondiale, “… la ripresa dei lavori, risentì del “nuovo” clima culturale e di quella distrazione collettiva dell’ opinione pubblica che ha provocato non minori danni dell’ abbandono materiale …” 15 di quest’epoca sono carenti le fonti documentarie e fotografiche dei restauri compiuti, ma è ben noto che l’ atteggiamento di schettini, negli anni 60, seguì in maniera indiscriminata le orme dei suoi predecessori, nell’ intento di riprestinare ancor più fortemente le forme del Castello. l’operazione fu condotta attraverso massiccia sostituzione dei conci delle cortine lapidee, fino all’ ottenimento di una stereometria perfetta delle superfici, cancellando inevitabilmente parti della sua storia, “con un ringiovanimento della sua immagine tanto improvviso, quanto incongruo” .16 nel 1965, assunse la guida della soprintendenza

15 cit. de tommasi, Castel del Monte. I restauri e l’ immagine, in Federico II, Immagine e potere, 1995

16 cit. de tommasi, Castel del Monte. I restauri e l’ immagine, in Federico II, Immagine e potere, 1995

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esistenti, nuovi canali interni alla muratura ma foderati con pluviali in vetroresina, collegati ai pozzetti al si sotto del cortile interno.Preziosissime, sono le testimonianze edite dall’ Ing. de tommansi nel contributo “I restauri tra leggenda e realtà” , tratto da Castel del Monte, a cura di Giorgio saponaro, nel paragrafo intitolato “le indagini” , nel quale tratta con estremo dettaglio la descrizione critica di tutte le operazioni di ricerca effettuate durante i restauri, dedicate soprattutto alla comprensione del manufatto federiciano. egli effettò una serie di osservazioni sul carattere costruttivo del monumento,riconoscendo nei costoloni, una funzione puramente decorativa19. Inoltre, sopra la cornice che delimita la zona rivestita in marmo, ritrovò tracce di colore rosso scuro, probabile residuo di un motivo decorativo interno alle sale; allo stesso modo rinvenne tracce di colore e alcune tessere verdi sulle bifore esterne, ipotizzando una probabile decorazione a mosaico delle stesse. Analizzando l’apparato decorativo, de tommasi ricobbe anche una logica progettuale nel labirintico edificio, indicando un “percorso obbligato” riconosciuto attraverso l’ analisi dalla conformazione degli stipiti delle porte, che volgono al visitatore un prospetto principale ed un retro-prospetto da lasciarsi alle spalle. de tommasi nella sua pubblicazione, graficizzò per la prima volta, l’ ipotesi di tali percorsi, ma senza spingersi ad una spiegazione funzionale e progettuale di tale accorgimento.Analizzò gli impianti del Castello, già descritti dagli schizzi del Cremona, partendo dalle cisterne pensili, che egli stesso, fece ripulire e restaurare. Individuò i fori a pavimento nelle stanze dedicati allo smaltimento dell’acqua di condensa che probabilmente si formava all’interno, lungo le superfici marmoree.egli sottolineò la presenza, nelle torri, in particolare al primo piano, di bagni ancora in parte integri,

19 Gli architetti U. Occhinegro e G. Fallacara, ipotizzano che i costoloni non abbiano mai avuto una funzione strutturale, ma, oltre ad avere una funzione decorativa, fossero delle vere e proprie centine lapidee per la costruzione delle volte in tufo. cfr. G. Fallacara, U. Occhinegro, op. cit, 2012

Figura 14

Restauro delle coperure (ottobre 1975) Fototeca della soprintendenza, Bari.

Figura 15

dettaglio del restauro. Canalizzazioni in pietra (ottobre 1975) Fototeca della soprintendenza, Bari.

Figura 16

Cisterna pensile (aprile 1976) Fototeca della soprintendenza, Bari.

Figura 17

Cisterna pensile, ritrovamento della pavimentazione originaria(aprile 1976) Fototeca della soprintendenza, Bari.

Storia dei restauri a Castel del Monte, G. Fallacara, U. Occhinegro, M. pignatelli

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Figura 17

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con le sedute, resti di bacili, e con canalizzazioni verticali, identificate come canali di scarico, terminanti con pozzi.20 nessuna traccia delle condutture di alimentazione di questi bacili fu ritrovata in questi anni21, seppur, già il sarlo, avesse attestato presenza, all’ interno delle murature, di altre canalizzazioni verticali, data la visibile non corrispondenza tra le cisterne e i fecali22.lo stesso de tommasi ritenne ovvio il collegamento tra le cisterne pensili ed i vani sottostanti23, sebbene non ne abbia trovato testimonianza: “Malgrado i reiterati tentativi non è stato invece possibile comprendere se e come vi siano stati dei collegamenti diretti tra le cisterne e i servizi sottostanti; constatazione questa che, tenuto conto della perfezione e compiutezza di tutto il complesso, suscita non poche perplessità e resta per il momento inspiegabile, a meno di ipotizzare che tali collegamenti siano andati perduti con le volte sottostanti, al momento del loro probabile rifacimento.” Cit. G. De Tommasi, 1981, op.cit.

20 de tommasi nelle sue indagini, riferendosi ai lavori da lui condotti nel 1973, precisa che non tutti i pozzi neri sono stati ispezionati, ed in particolare quello della torre t6, perché impraticabile., ma si è proceduto con la pulizia, laddove possibile e successiva ispezione, non ritrovando, stranamente, fessurazioni o fori nella roccia, per le dispersione dei liquami. cfr. de tommasi 1981, op.cit. Questo può far presupporre ad un altro uso dei suddetti pozzi, o che non si sia potuto scavare per l’intera profondità degli stessi, rimuovendo tutto il materiale di risulta che li occupava.

21 nell’ intervista del Mangione, si riporta la testimonianza di tubature in piombo, poste all’ interno della muratura, che collegavano le cisterne ai bacili.

22 Il castello presenta, all’ interno delle otto torri, al piano terra, tre bagni, due camerini e tre scale per l accesso al piano superiore; al primo piano, tre bagni, di cui due non in corrispondenza di quelli sottostanti, un camerino e quattro scale. In copertura si ritrovano cinque cisterne pensili e tre accessi scalari(t3, t5, t8).

23 si può pensare che l’anomalia progettuale rappresentata dal non allineamento dei servizi posti ai vari livelli, e, talvolta, tra servizi e cisterne pensili presupponga la presenza di ulteriori sistemi di approvvigionamento e scarico, oltre a quelle già ritrovati, che giustifichino tali impostazioni planimetriche. Infatti, il servizio a piano terra nella torre 8, non presenta una cisterna pensile in corrispondenza, in quanto vi è una scala di accesso alla copertura. Al contrario la torre 7, pur essendo una torre scalare, possiede una cisterna pensile. dunque si può ipotizzare l’esistenza di due impianti distinti: pozzi e camerini del piano terra (ove non è stata trovata traccia di sedili/vasi) per la captazione delle acque dal sottosuolo, insieme alle cisterne pensili, servivano per all’approvvigionamento dell’ acqua. Altri corrispondevano agli impianti di scarico (acque nere).

Figura 18

servizi al primo piano all’ interno della torre t4 e t6 (febbraio 1976) Fototeca della soprintendenza, Bari.

Figura 19boccaglio della conduttura di scarico del lavabo

Figura 20tracce della canalizzazione orizzontale, che collega il baccaglio del lavabo allo scarico del fecale.

Storia dei restauri a Castel del Monte, G. Fallacara, U. Occhinegro, M. pignatelli

Figura 18

Figura 19 Figura 20

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“…-Maestro Mangione, in quali anni si è dedicato ai lavori di restauro del Castel del Monte? Dal 1965 fino agli anni ’80. I lavori in quegli anni, erano seguiti dal Soprintendente Chiurazzi (1965), a cui succedette il Soprintendente Mola (1973), dall’ ing. De Tommasi (1975-1981), e poi dal Soprintendente Di Paola (1991- 1997),

- Che tipo di lavorazioni avete effettuato al Castello?In primo luogo fu smontato il basolato di copertura, rifatto il manto con le malte di pozzolana, poi il nuovo massetto,ricollocata la pavimentazione ed impermeabilizzato il tutto con resine epossi-catrame.

- Perché furono stati effettuati questi lavori?Nel castello entrava moltissima acqua, le volte erano umidissime.

- Quali imprese lavoravano insieme alla vostra?C’erano due imprese: impresa Cataldo Quatela (io ero capocantiere di questa impresa) e l’ impresa dell’ ingegnere Giovanni Rodio. Quest’ultima si occupava del consolidamento (attraverso l’ uso di resine epossidiche), per tutte le opere murarie.

- Avete trovato dei pozzi all’ interno del castello?Si, ce ne erano 3. Il più profondo 62 m, gli altri di 28 e 40 m.

- Ma gli accessi ai pozzi, erano in corrispondenza dei fecali o si trovano a pavimento?L’ accesso avveniva sempre nei punti di servizio, nei bagni, ma non in corrispondenza dei water. Abbiamo sistemato delle griglie per chiuderli. Il più profondo aveva l’ accesso dal servizio, accanto alla stanza numero 8, quella con le tracce di mosaico.

- Quali lavorazioni avete effettuato all’ interno dei pozzi?I pozzi furono ripuliti poiché riempiti con grandi quantità di materiali di risulta e pattume. Avevano un diametro variabile tra gli 80 e i 120 cm ed erano profondi dai 14 metri a 62 metri

- c’erano pozzi così profondi?Certo. Inoltre,in questi profondi 62 metri, abbiamo trovato

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Conclusioni

Alla luce di tutte le operazioni che hanno accompagnato negli anni le diverse fasi di restauro del Castel del Monte, e del pensiero di coloro i quali le hanno dirette ognuno con la sensibilità del proprio tempo, risulta chiaro un intento comune, individuato sin dal principio dal sarlo. É quella metodologia di restauro che, nel lontano 1929, fu oggetto di dibattito tra Piacentini e Quagliati, il quale rispondendogli, scrisse: “…restauriamo le opere murarie per assicurare nuovi secoli di gloria e di ammirazione al monumento…” .ed oggi, con le nuove metodologie di intervento,le indagini approfondite e le nuove tecnologie, insieme ad una costante e attenta manutenzione, si tenta di garantire nel tempo il risultato di tutti questi restauri che si sono avvicendati, tramandando ai posteri l’ immagine del maniero federiciano, insieme alla sua storia e al racconto della sua conservazione.

Intervista al maestro Cataldo Mangione(Capocantiere dell’ Impresa Quatela 1965-1980)24

Per descrivere molte delle più interessanti ed inedite operazioni dei più recenti restauri effettuati al Castel del Monte, si riporta un estratto dell’ intervista condotta dagli autori nell’agosto del 2014, con il Prof. Giuseppe Fallacara e ripresa da ApuliaTV, al maestro Cataldo Mangione capocantiere dell’impresa edile di Cataldo Quatela (Corato), che insieme all’ impresa Rodio (Milano), eseguì i lavori di restauro del monumento.

24 l’ intervista prevede una serie di quesiti, dal restauro dei paramenti, ai ritrovamenti di canalizzazioni, ad aneddoti e ricordi. Rappresenta un tentativo di fornire nuovi spunti di riflessione alla ricerca, cercando di colmare talune lacune e carenze delle fonti documentarie sulla storia dei restauri, e soprattutto sulle tracce rinvenute sulla struttura originaria, indizi preziosi per lo studio del maniero. Molte delle affermazioni sono confermate dagli scritti dell’ing. de tommasi, nel suo testo del 1981, op.cit. Altre affermazioni sono inedite ed in parte comprovate dagli studi del prof. Quarto, in merito alle canalizzazioni presenti nella muratura e alla presenza di falde poste a circa 70 m (il Mangione descrive pozzi profondi fino a 62 m) come verificato dalle analisi Georadar effettuate dallo stesso, e pubblicate nel presente volume. Altre risposte invece, necessitano ancora di ulteriori approfondimenti per essere verificati.Maestro Cataldo Mangione

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vecchia intonacatura fatta con la pozzolana.

- Nella vasca centrale avete trovato dei frammenti?Abbiamo ritrovato alcuni frammenti di rivestimenti marmorei delle stanze oltre a resti di materiale di risulta e pattume. Ricordo che fu ritrovato un pezzo di marmo scolpito con un bassorilievo di un quadrifoglio.

- C’erano vasche nelle torri?Nelle torri con i servizi c’erano resti di marmi cipollini. Non abbiamo trovato vasche, ma solo la traccia di una fascia che rientrava nel muro lunga circa 160 cm.

- Ma cosa poteva essere?Forse proprio una vasca lunga di 160 cm, semi incassata nel muro, ma dalla profondità sconosciuta.

- In che torre si trovava?Al primo piano collegata ai servizio igienici.

- Arrivava l’acqua nei servizi igienici?Con delle tubazioni di piombo dalle cisterne pensili.

- Può spiegarci meglio.Sopra i servizi ci sono delle cisterne, che avevano delle tubazioni di piombo che approvvigionavano i servizi igienici, che ancora oggi sono nei muri.

- Quando avete fatto i restauri li avete sigillati?Da queste tubazioni non usciva acqua, Abbiamo provato a versare dell’ acqua dal capo superiore, ma non usciva nulla dall’ altra parte. Erano fuori uso, forse ormai totalmente intasate.

- Avete visto, quindi, i tubi di piombo? come erano fatti?Certo. erano cilindrici. Abbiamo scavato intorno al tubo, per controllare lo stato del piombo ed era perfetto.

- Ma il piombo era colato nella pietra?Non lo sappiamo. posso dire che al momento delle costruzioni, in antichità si colava il piombo per creare tali tubazioni.

- Come si faceva?Si metteva un’asticciola nel foro e si colava, come si faceva anche con la ghisa.

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una “croce” di cunicoli. Ovvero, arrivati al manto di fermo, c’era un cunicolo a destra, uno a sinistra ed un altro davanti.

- Come avete fatto a scendere? Abbiamo utilizzato scale alla marinara

- un uomo quindi poteva scendere fino a 62 m?Si, due operai scendevano nel cunicolo, muniti di machere a gas, data la difficoltà di respirazione a quelle profondità.

- Questi cunicoli orizzontali erano accessibili?In alcuni ci si poteva affacciare. Li abbiamo puliti e svuotati per circa 3 metri.

- Quando avete pulito questi pozzi cosa avete trovato?C’erano frammenti di ossa di animali, che hanno anche analizzato per controllarne la provenienza. Nel periodo della seconda guerra mondiale, avevano buttato dei dispositivi a gas per illuminare i cunicoli, come identificati dagli artificieri di Trani.

- Questi pozzi erano scavati nella roccia?Erano scavati tra le fenditure della roccia, in una situazione irregolare., come visto nella cisterna.Il pozzo più profondo aveva dei cunicoli orizzontali, poiché oltre quel punto non si poteva più scavare e l’ unica opportunità era scavare cunicoli laterali. Questo è quello che all’ epoca si pensò insieme l’ arch. Mola.

- Da una torre partiva un canale obliquo, non verticale, per andare all’ esterno delle mura?Un solo passaggio era obliquo, con una pendenza circa del 20%.

- In questo passaggio un uomo poteva entrarci?Il cunicolo aveva un diametro di 40/50 cm e non era regolare. Si procedeva scavando un po’ alla volta.

- Ci parli della cisterna presente sotto l’ atrio interno. Cosa avete trovato?Era piena fino 2 m dalla quota del cortile.

- Questa vasca aveva un condotto, un collegamento?Aveva un troppo pieno, e aveva delle tubazioni forse utilizzate con congegno per tirare l’ acqua ai servizi, visibili ancora nella parete laterale, dove c’è il boccaglio. Lo scavo della vasca non era regolare e presentava una

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- Quando avete deciso di fare la messa a terra?Dopo la caduta della torre, si decise di fare la messa a terra. Si fece un foro cercando un disperdente, scavando fino a 300 m, fino ad intercettare dell’acqua.Fino a quegli anni si lavorava con il gruppo elettrogeno. L’architetto Mola, decise di mettere la corrente con un contatore direttamente nella casa del custode. Allora si fece una perforazione, partendo dalla torre a sinistra dell’ ingresso, creando un pozzetto e proseguendo, a circa 6 metri di profondità lungo la montagna, fin la casa del custode, dove l’ altro estremo del foro con la cassetta.

- A che altezza avete cominciato a trovare l’ acqua, durante la messa a terra?Abbiamo trovato l’acqua a varie altezze, ma non era efficiente per l’ assorbimento della corrente. Abbiamo continuato a scavare fino a grandi profondità ed abbiamo trovato una grossa umidità, fino ad intercettare l’ acqua in una falda.

- A 70 m c’erano?Si, in piccole quantità, ma non sufficienti al nostro scopo.

- Può parlarci delle volte? Le avete ricostruite? e i costoloni?Si ne abbiamo ricostruita una, al primo piano, perché era rovinatissima. L’abbiamo ricostruita con conci di carparo, cosi come per i costoloni, che abbiamo ancorato alla volta con barre di acciaio e resina epossidica. All’ epoca c’era l ing. De Tommasi, il quale mi chiese di finire una stanza come si deve, ovvero cosi come doveva essere originariamente. Ricordo,che abbiamo rivestito in parte alcune pareti, poiché, come detto prima si voleva creare una stanza finita. Le lastre erano sorrette da perni in acciaio inox 316, non 304. Non abbiamo continuato, perché costava troppo!

- E come avete fatto per le integrazioni di breccia corallina?Abbiamo trovato una cava vicino Minervino Murge.

- Cosa avete restaurato di breccia corallina?Abbiamo fatto dei tasselli alle colonne del primo piano, vicino il parlatoio.

Storia dei restauri a Castel del Monte, G. Fallacara, U. Occhinegro, M. pignatelli

- Avete trovato altre canalizzazioni di acqua all’ interno del castello, dentro i muri?Si, nei servizi.

- Ci sa dire qualcosa in merito alle panche?Quelle originali erano in marmo cipollino e le abbiamo integrate con quelle in pietra.

- Le panche originali avevano una modanatura?Si, probabilmente serviva a raccogliere l’acqua dalle pareti, come delle canaline.

- All’ origine erano tutti di marmo fatte in unico pezzo, come avete prodotto quelle in pietra?Per le copie abbiamo utilizzando più pezzi, uno per la panca, uno per lo schienale e l’ altro per la modanatura.

- nelle stanze, vicino le panche c’erano dei fori a pavimento?Si, sotto al pavimento. Nella stanza 3, si è lasciata la testimonianza di un foro dal quale l’ acqua poteva scorrere fuori dall’ edificio.

- Ma erano presenti in tutte le stanze?ne ricordo uno, ogni 2 stanze.

- Cosa può dirci dei pavimenti?C’era un pavimento molto lavorato, ma probabilmente è stato trafugato. Era lavoratissimo! Al piano terra c’è un pezzo di pavimento che abbiamo lasciato visibile di forma ottagonale. Nella stessa stanze si sono ricreati dei cerchi in pietra calcarea, all’ interno dl nuovo battuto di cemento, citando una probabile decorazione dell’ antico pavimento in marmo.

- Ha qualche episodio particolare da raccontarci?Certo. Intorno al 75/76, un giorno cominciò a piovere. Stavamo lavorando alla copertura. Eravamo circa una ventina di operai. Data la pioggia ci rifugiammo nella torre dove c’è la scala per salire al terrazzo. Alcuni stavano sulla piattaforma di ferro, alcuni sui gradini, io con altri 5/6 operai stavamo sul pianerottolo. Ad un certo punto è arrivato un fulmine, una gran luce ha girato intorno e poi dritta, è caduta sul ristorante vicino. Poi un secondo fulmine ha tagliato quasi mezza torre! (che poi abbiamo ricostruito)

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Giuseppe FallacaraPolitecnico di Bari,dICAR

UbaldoOcchinegroPolitecnico di Bari,dICAR

vincenzode Muro FioccoPolitecnico di Bari,scuola di specializza-zione

Keyword: Vasca, Acqua, labrum, thermarium

Abstract: Analizzare l’e-voluzione della forma e della tecnologia nella storia dell’architettura delle vasche e fontane che adornavano i palazzi e le strutture pubbliche dall’età romana sino al medioevo, può rappresentare impor-tanti spunti di riflessione sulla possibile presenza, all’interno dell’atrio di Castel del Monte. le archi-tetture legate all’acqua, assumono ben presto dei caratteri paradigmatici propri, utilizzando, per motivi simbolici ed a volte funzionali, la pianta cen-trale e la figura ottagonale. Il presente contributo, non di certo esaustivo, offre un rapido excursus architetto-nico sulle casistiche note, partendo dall’architettura dei balnea romani, sino alle

sULLe vasChe OttaGOnaLi: daLLe terMe rOMane ai FOnti battesiMaLi

i luoghi dell’acqua in età romana

le architetture legate all’utilizzo delle acque rivestono, nella storia, un ruolo di primaria importanza, non solo per la loro iniziale funzione di luogo in cui ricercare la salus per aquam e la sanitas per aquam attraverso bagni a differenti temperature e di vapori. ma, soprattutto, per la loro valenza simbolica di purificazione spirituale. tale componente, già presente nella cultura romana, assunse, con l’avvento del cristianesimo e, con l’assorbimento islamico delle usanze bizantine nel vicino oriente, un significato sempre più alto di purificazione dai peccati e di tensione verso l’infinito. A ben vedere tutte le grandi religioni fanno dell’acqua l’elemento salvifico per eccellenza, declinando il suo costante utilizzo in disparati riti e funzioni che spesso prevedono l’abluzione parziale o totale del fedele, all’interno di grandi vasche d’acqua. I romani in primis utilizzarono le vasche per abluzioni all’interno dei thermarium, antesignani dei centri benessere odierni, per lavarsi e purificarsi. tali strutture andarono perfezionandosi nel corso dei secoli, sviluppandosi in maniera sempre più articolata, ma rispettando sempre un percorso prestabilito, che partiva dal laconicum e attraversava varie sale con diverse vasche di acque a differenti temperature: tiepidarium, calidarium e frigidarium. durante questi percorsi si affrontava un rito di purificazione, inteso non solo in senso corporeo, ma anche spirituale. I thermarium erano luoghi di pace e tranquillità interiore, in penombra, per questo venivano, inizialmente costruiti lontano dai centri urbani.nella Roma Imperiale le terme assunsero un carattere di monumentalità ed un’importanza strategica nella vita sociale delle città, al pari dei fori, delle basiliche e degli anfiteatri. tra le più grandi della Roma imperiale, si ricordano le terme di diocleziano, che furono costruite per servire

- Avete qualche altro particolare ricordo di quell’ epoca?Quando fu ripulito il piazzale, mi disse di procedere con la realizzazione di un campione di pavimentazione in pietra locale ad opera incerta. Successivamente, tornato l’ architetto, mi disse che aveva cambiato idea, e di procedere con un altro campione di pavimentazione in blocchetti di porfido, a disegno radiale. Ancora dopo, fu ripavimentato tutto con una pietra, indicata dall’ impresa Rodio, di una cava di Castellana Grotte, appena scalpellata. Gli studiosi tedeschi, vista una foto aerea del Castel del Monte, notarono che la pietra era troppo chiara. Allora si coprì tutto con uno strato di resina e sabbiolino, rendendo il piazzale, cosi come appare oggi.Ricordo che mentre restauravamo le cisterne pensili, dopo aver smantellato il pavimento in pietra, e ritrovato l’intonaco di pozzolana, messo nei restauri precedenti, portammo alla luce il pavimento originario, e notammo che i giunti erano sottilissimi, meno di un millimetro. Allora con l’ ing, de Tommasi, abbiamo deciso di lasciarlo cosi. Dimenticavo, sul lastrico solare, sono stati fatti tre fori per ogni doccione, in modo che l’ acqua non andasse più nel doccione, ma ini fori che portano l acqua dal lastrico al cortile. Poi arrivato al cortile, attraverso dei pozzetti e canalizzazioni l’acqua viene portata alla cisterna, che presenta anche una tubazione di troppo pieno, diretta all’ esterno della cisterna…” 25

25 si ringrazia il maestro Cataldo Mangione, Cataldo Mangione ed Apulia tv,per la collaborazione e disponibilità.

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Sulle vasche ottagonali: dalle terme romane ai fonti battesimali, G. Fallacara, U. Occhinegro, v. de Muro Fiocco

trasfigurazioni architetto-niche e riutilizzo delle pre-esistenti strutture termali in ambito paleocristiano ed islamico, sottolineando la persistenza di caratteri for-mali, compositivi e costrut-tivi legati alla simbologia del numero otto, che si trasmetteranno, con mu-tati significati e rinnovate valenze, sino adi giorni nostri.

Augustana, ed è applicato negli impianti termali di Agnano e Pisa, coperto da cupola, così come lo si ritrova nelle già nel primo sec. d.C. in varie sale delle terme di Antonino a Cartagine (146-160) e nel frigidarium di dehar Jdid, esempio unico in Mauretania tingitana.1

le vasche monolitiche: i labra e le origini

Con il termine labrum, i Romani indicavano bacini e vasche circolari per contenere acqua, realizzati in terracotta, pietra, marmo o porfido, generalmente su piede. le fontane erano anche bacini ornamentali di residenze private, vasche d’acqua lustrale, recipienti vari ed urne funerarie. I labra avevano anche forma emisferica, lineare sul fondo e nel resto arcuata, variando solo in profondità e in ampiezza. le numerose fontane che ornano Roma, per la maggior parte utilizzano vasche e bacini che in tempi remoti adornavano i fiori, le strade e i giardini di Roma e delle altre città dell’Impero. Molte di queste vasche sono state reimpiegate nelle Chiese, come basi di altari o fonti battesimali. dalle testimonianze archeologiche, letterarie ed epigrafiche, è possibile comprenderne il funzionamento: l’approvvigionamento dell’acqua avveniva attraverso una conduttura fittile o plumbea (fistula aquaria), dotata di rubinetti e valvole di arresto (epitonium), la quale entrava all’interno del piede e terminava in un boccaglio posto al centro della vasca, nel mezzo del disco rilevato. Questo sbocco era in genere costituito da un tubo di bronzo o di piombo, da cui fuoriusciva a pressione uno zampillo d’acqua verticale (saliens) scenografico, come mostrano diverse pitture parietali. A volte il foro di uscita del tubo di alimentazione sul fondo poteva essere decentrato, come testimoniano due esemplari ostiensi: le due

1 Cfr. V. de nittis, La Villa romana di Casignana in Polis. Studi interdisciplinari sul mondo antico 2/2006

di F. Costabile e. lenoir, thermes Romains de Mauretaine Tingitaine, in Les Thermes romains; artes de la table ronde organisie par l’Ecole francaise de Rome, pp. 159-160

i popolosi quartieri del Quirinale, Viminale ed esquilino. Ispirate alle terme di traiano, il corpo centrale delle terme di diocleziano poteva accogliere fino a tremila persone contemporaneamente. erano rinomate per la loro maestosità ed erano alimentate da un ramo dell’Acqua Marcia, alimentato direttamente da una delle sorgenti dall’alto bacino dell’Aniene, e con acqua di ottima qualità e purezza, tanto da essere considerata la migliore tra quelle che arrivavano a Roma. esso si dipartiva da Porta tiburtina conducendo l’acqua in una cisterna lunga più di 90 metri, detta la botte di termini. Il complesso era orientato a sud-ovest affinché l’energia solare riscaldasse il calidarium senza interessare il frigidarium. l’ultima sala era quella della natatio, dove ci si immergeva completamente in una grande piscina rettangolare. le vasche presenti nelle varie sale delle terme romane erano di forma inizialmente rettangolare o circolare, ma si declinarono ben presto nella forma ottagonale o complessa, con nicchie circolari incavate negli angoli. tutte le vasche del periodo romani erano realizzate con porfidi o basalti e lavorate con grande maestria, ma sono i graniti i prediletti per l’esecuzione delle vasche. Alcuni esemplari testimoniano l’uso del giallo antico, del rosso antico, portasanta o verde antico, e raro è l’uso del marmo bianco. le vasche venivano sbozzate in cava, con una lavorazione solo sommaria degli elementi ornamentali, e terminate nei luoghi di destinazione finale. lo schema planimetrico ottagonale appare probabilmente per la prima volta, nell’architettura romana, con l’elaborata composizione dell’Aula neroniana della Domus Aurea, ma diviene ben presto una componente peculiare delle planimetrie monumentali di epoca imperiale, con articolazioni anche complesse della plastica muraria grazie alla presenza di nicchie e fornici rettangolari e semicircolari e coperture voltate a padiglione e, a cupola. l’ottagono nelle architetture d’acqua, invece, è già presente nei ninfei della domus