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STORIA DELLA STORIOGRAFIA
Il XIX secolo ha visto l’elaborazione delle grandi periodizzazioni della storia dell’umanità
sulla base di precise “filosofie della storia”.
1) Il romanticismo
2) Il positivismo
3) Lo storicismo
4) Il materialismo storico
Il positivismo
Il positivismo è stato un movimento filosofico nato in Francia nella prima metà dell’Ottocento,
che si impose a livello europeo nella seconda metà del secolo. Influenzò il pensiero filosofico,
scientifico, storico e letterario. Alla sua base vi era la convinzione che fosse possibile raggiungere
una piena conoscenza sui fatti reali esclusivamente dall'osservazione propria alle scienze
sperimentali. La corrente positivista era favorita dal clima generale di fiducia entusiastica nelle
forze dell’uomo e nelle potenzialità della scienza e della tecnica.
“Positivismo", termine coniato per la prima volta da Saint-Simon nella sua opera Catechismo
degli industriali, deriva dal termine "positivo", inteso come ciò che è reale, effettivo,
sperimentale ed anche fecondo, pratico ed efficace, in opposizione a ciò che è astratto,
metafisico, inutile e ozioso.
Il pensiero positivista trovò un ambiente favorevole al suo sviluppo a partire dal 1830, col
progresso delle scienze naturali, con le prime applicazioni tecniche delle scoperte scientifiche e
con i loro riflessi in campo socio-economico. Principali esponenti del pensiero positivista furono:
A. Comte, John Stuart Mill, Charles Darwin, Herbert Spencer.
L'uso del termine "positivo" rivela un'ideologia o un programma d'azione economica, sociale,
politica che vede nella scienza e nella tecnica il fondamento dei suoi ideali e lo strumento per
realizzarli (ogni conoscenza riguardante questioni di fatto è basata, quindi, sui dati "positivi"
dell'esperienza). La sua fede assoluta e quasi mistica nella scienza lo fa diventare, in certi casi,
come la metafisica (infatti considera la scienza come unica conoscenza valida e efficace).
Caratteristiche del Positivismo
1. Reazione agli esiti irrazionalistici del romanticismo;
2. Connessione con alcune istanze della riflessione illuministica;
3. Fiducia nella ragione, nella scienza e concezione deterministica dell'agire umano: al
primo posto si trova la scienza e il suo metodo. La razionalità scientifica è unico
paradigma, criterio e modello del sapere; La scienza è l’unica conoscenza possibile e il
metodo della scienza è l’unico valido.
4. Il ricorso a cause o principi che non siano accessibili al metodo della scienza non dà
origine a conoscenza: la metafisica è dunque priva di valore.
5. Laicismo, insofferenza verso la dimensione metafisica e spirituale.
6. Estensione del metodo sperimentale a tutti i campi del sapere, compresi quelli in passato
di pertinenza della morale.
7. Il metodo della scienza va esteso anche all’uomo (psicologia) e alla società (sociologia)
8. La scienza può risolvere tutti i problemi umani e sociali: fede nel progresso e
nell’evoluzione.
9. la ricerca scientifica, vuoi in campo naturale, vuoi umano, serve a scoprire leggi generali e
per questa strada si può arrivare a ricostruire i meccanismi insiti nella realtà e a spiegare e
prevedere gli eventi (meccanicismo e esplicazionismo).
Positivismo e storicismo
Nella seconda metà del XIX secolo ci fu una vivace reazione al positivismo che ebbe il suo
centro nell’università tedesca. Il movimento antipositivista coinvolse storici, filosofi, politici,
filologi, letterati, presentandosi diversificato e articolato. Talvolta per indicarlo nel suo
complesso si è parlato di idealismo o di storicismo perché si sostiene il primato della storia,
considerata la realtà dell’uomo.
I positivisti consideravano le scienze naturali il modello cui adeguare quelle dell’uomo (primato
delle scienze esatte), erano dell’idea che il metodo scientifico fosse unico e che si dovesse
procedere allo stesso modo in fisica, in biologia, in sociologia e in storia (monismo
metodologico). Pensavano poi che la ricerca scientifica, vuoi in campo naturale, vuoi umano,
servisse a scoprire leggi generali e che per questa strada si arrivasse a ricostruire i meccanismi
insiti nella realtà e a spiegare e prevedere gli eventi (meccanicismo e esplicazionismo). Gli
storicisti tedeschi partivano dall’idea che, quando si intraprende lo studio delle vicende umane, si
entra in un campo completamente differente da quello del mondo naturale, che richiede tutt’altro
modo di porsi e procedere nello studio. A loro avviso, i positivisti facevano confusione, perché
in realtà si tratterebbe di due ordini di scienze diverse. Dilthey usò l’espressione scienze dello
spirito per indicare il dominio dei fatti umani, contrapposto a quello degli eventi fisici di
pertinenza delle scienze naturali. Perciò gli storicisti ritengono assurdo prendere a modello le
scienze esatte per studiare la vita sociale umana, come pure accanirsi a voler adoperare gli stessi
metodi e a cercare di ottenere lo stesso tipi di risultati.
Mentre nelle leggi naturali si va alla ricerca di leggi universali, quando si studia la storia umana
l’intento è cogliere i singoli eventi nella loro individualità, unicità e irripetibilità. Ogni fatto è un
evento completamente a sé e va capito come tale. Windelbald distingue tra scienze nomotetiche,
che individuano regole, e scienze idiografiche, che descrivono il fatto singolo. Visto che non ci
sono leggi e meccanismi da scoprire, le scienze dello spirito mirano, anziché a spiegare le cose, a
descriverle. Droysen distingue tra spiegare e comprendere. Lo scienziato che spiega guarda ai
fenomeni dall’esterno, nota gli eventi ripetitivi e inferisce connessioni causali. Invece chi è teso a
comprendere si sforza di cogliere le esperienze umane dall’interno, usa l’empatia, la tecnica di
mettersi nei panni degli altri, il rivivere, il riprodurre su di sé il vissuto degli altri, ed è
interessato a ricostruire il mondo mentale degli individui che studia, le loro percezioni, i pensieri
e, soprattutto, le intenzioni.
Leggi il testo di approfondimento sullo storicismo in appendice
Caratteristiche dello storicismo
Concetti come "fatto", "prova", l'idea che esistano strumenti appositi per le verifiche, la
concezione stessa di un'oggettività di fatto erano tutti elementi che derivavano dalla
strumentazione dell'epistemologia positivista. A parte questo, lo storicismo si distingue dal
positivismo: suppone che gli oggetti e gli strumenti della conoscenza storica abbiano un carattere
specifico che li distingue da quelli della conoscenza naturale.
1) I protagonisti della storia sono gli uomini concreti.
2) La storia è il risultato delle relazioni degli uomini in un determinato momento.
3) La storia va analizzata sui fatti concreti.
4) La distinzione tra storia e natura è fondamentale.
5) Bisogna trovare le regole di una scienza oggettiva per la storia diversa dalla scienza del
mondo naturale.
6) Mentre la natura è uniforme e ripetibile la storia è frutto dell’individualità e delle
diverse culture.
7) Le azioni umane tendono a dei fini, sono giudicate da dei valori.
8) La storia è l'unico orizzonte a cui fare riferimento per spiegare i fatti e il piano
temporale è l'unico piano dell'essere esistente: la storia diventa l'assoluto.
Corollari:
particolare attenzione per le fonti
esigenza di una conoscenza oggettiva del mondo umano
tentativo di fondare in maniera rigorosa (epistemologica) tale conoscere
sviluppo delle discipline “filologiche”: diplomatica, paleografia, archivistica
l’identità della comunità è data solo dalla sua storia
la storiografia privilegia il taglio politico-istituzionale
ripresa e sviluppo di una tradizione erudita
grande impulso alle raccolte di fonti della storia nazionale
Grande impulso alle raccolte di Fonti della storia nazionale (monumenta)
Inizio XIX sec.- Germania. Promossa la sistematica edizione dei testi medievali “nazionali” con
l’esclusione dei documenti privati. I Monumenta Germaniae Historica (anni Venti) sancirono il
primato di due grandi categorie di fonti, quelle narrative (gli Scriptores) e quelle diplomatiche
pubbliche, cioè i diplomi regi e imperiali (Diplomata), cui si affiancarono le Leges. Su questa
triade si sarebbe imperniata fino ad epoca recentissima la grande maggioranza delle imprese
erudite ed editoriali.
Nell'Italia del Risorgimento si promossero diverse edizioni di fonti medievali da parte
dalle Deputazioni di Storia Patria concentrate sulla pubblicazione di codici diplomatici (di una
città, di una zona o di un ente ecclesiastico), di statuti (per lo più cittadini) e di fonti narrative.
Nel 1900 sotto la direzione di Giosuè Carducci venne ripresa ripresa l'opera muratoriana
dei Rerum Italicarum Scriptores.
Nel 1883 fu fondato l'Istituto Storico Italiano per il Medioevo
L'Istituto storico Italiano, fondato nel 1883 per dare «unità e sistema alla pubblicazione de'
Fonti di storia nazionale», assunse il titolo di Istituto Storico Italiano per il Medio Evo nel 1934.
All'Istituto storico Italiano per il medio evo vennero mantenuti tutti i compiti scientifici già
assegnatigli con l'aggiunta della direzione scientifica della ristampa nazionale dei Rerum
Italicarum Scriptores del Muratori, edita a spese della casa Zanichelli di Bologna.
A cura dell'Istituto sono pubblicate le collane: "Fonti per la storia d'Italia", "Fonti per la storia
dell'Italia medievale" [suddivise nelle seguenti sezioni: Antiquitates, Rerum Italicarum Scriptores
(terza serie), Regesta Chartarum, Subsidia, Storici italiani dal Cinquecento al Millecinquecento
ad uso delle scuole], Studi Storici, Nuovi Studi Storici nonché la rivista Bullettino dell'Istituto
Storico Italiano per il Medio Evo.
Il materialismo storico
Leggi l’approfondimento sul materialismo storico in appendice
La storia occidentale è una successione di “modi di produzione”:
Schiavistico
Feudale
Capitalistico
Dittatura del proletariato (futuro)
Caratteristiche principali della storiografia marxista
grande attenzione, in ogni tipo di indagine storica, è rivolta ai fattori
economici, alle tensioni sociali e alle lotte di classe
rottura definitiva del modello storiografico ottocentesco che vede nello stato
l'unico soggetto storico-politico che da dignità e legittimità storica alle forze
che agitano le società umane.
Crisi del positivismo
Nel periodo compreso tra la fine dell’800 e la prima guerra mondiale il clima culturale
caratterizzato dal Positivismo muta progressivamente: è un’età di decisivi cambiamenti in cui il
sistema di valori e di certezze precedentemente legato all’affermazione sociale della borghesia
va incontro a una crisi profonda
La societa' di massa e le lotte sociali: crisi dell'idea "progresso=benessere per
tutti"
Negli anni precedenti alla prima guerra mondiale, la radicalizzazione dello scontro sociale,
caratterizzato dalle dure lotte delle organizzazioni dei lavoratori, smentiva il facile ottimismo dei
positivisti i quali si erano sempre illusi che il progresso scientifico bastasse da solo a garantire
diffuso benessere e crescita culturale. Il modello interpretativo offerto dal positivismo appariva
sempre più inadeguato a spiegare i fenomeni politici, economici e sociali del periodo. Il
positivismo restò per molti un metodo di ricerca e di conoscenza della realtà, ma si smise di
accettarlo come una visione del mondo, perché legato all’idea di un progresso necessario e
costante che contrastava con la realtà.
Crisi delle scienze esatte
Nel 1905 Albert Einstein enunciava la sua teoria della relatività, che non metteva in
discussione i fondamenti della fisica classica, ma sconvolgeva alcuni pilastri della scienza
tradizionale, come la distinzione fra materia ed energia e il carattere "assoluto" dei concetti di
spazio e di tempo. Nella fisica di Newton il tempo era qualcosa di assoluto, qualcosa che scorre
per conto suo nell’universo, indipendentemente da noi, da quello che facciamo, da come ci
muoviamo. Secondo Einstein invece non è così, il tempo assoluto non esiste, e anche il concetto
di simultaneità è relativo, dipende da chi osserva gli eventi.
La crisi delle “Filosofie della storia”: il “peso” della storia
1. Elaborazione del Principio di Inderterminazione da parte di Werner
Heisenberg
Leggi il testo di approfondimento su Heisemberg in appendice
2. Trionfo dei sistemi politici totalitari: nazismo, fascismo, stalinismo,
franchismo.
3. Genocidi di massa (ad. Hiroshima, Olocausto).
Leggi il testo di approfondimento sull’idea di Progresso in appendice
Critiche allo storicismo:
impossibilità di individuare una verità unica ed esauriente
parzialità della fonte
casualità o intenzionalità della memoria
soggettività dell’interpretazione
inesistenza di un “tempo” comune di riferimento
Critiche allo storicismo - Karl R. Popper
1. Il corso della storia umana è fortemente influenzato dal sorgere della
conoscenza umana.
2. Noi non possiamo predire, mediante metodi razionali o scientifici, lo sviluppo
futuro della conoscenza scientifica.
3. Perciò, non possiamo predire il corso futuro della storia umana.
4. Ciò significa che dobbiamo escludere la possibilità di una storia teorica; cioè, di
una scienza sociale storica che corrisponda alla fisica teorica. Non vi può essere
alcuna teoria scientifica dello sviluppo storico che possa servire di base per la
previsione storica.
5. Lo scopo fondamentale dello storicismo è quindi infondato. E lo storicismo
crolla.
Ma può esserci una legge dell’evoluzione? …Io credo che la risposta a questa
domanda debba essere "no"… I miei argomenti sono semplicissimi. L’evoluzione
della vita sulla terra o della società umana, è un processo storico unico.
(Karl R. Popper, Miseria dello storicismo ,
Laterza, Roma - Bari, 1969, pp. 13-14, 101)
Les Annales. Economie, Societé, Civilization
Corrente di pensiero e di attività storica (secondo alcuni una vera e propria "scuola") nata dalla
rivista fondata nel 1929 da M. Bloch e L. Febvre, Annales d'histoire économique et sociale,
divenuta nel 1946 dopo vari mutamenti di titolo "Annales. Economies. Sociétés. Civilisation" e
dal 1994 "Annales. Histoire et sciences sociales".
Leggi i testi di approfondimento su Les Annales e su Marc Bloch in appendice
Caratteristiche essenziali
Critica alla storia événementielle
histoire événementielle: formula con la quale, spesso in forme caricaturali, gli antenati, i padri
fondatori e i gestori dell'ideologia storiografica delle "Annales" hanno presentato un filone di
ricerca storica non facilmente identificabile. Si potrebbe pensare a certa manualistica
universitaria tardottocentesca di storia politica e diplomatica, e in questo senso vanno alcune
indicazioni di Lucien Febvre. Ma in fondo non è questo il problema principale; quel che va
invece chiarito è la natura di oggetto costruito della cosiddetta histoire événementielle, di mito
polemico nel quale far confluire una serie di determinazioni negative per far meglio risaltare, in
positivo, i contenuti del nuovo indirizzo di ricerca che si cercava di legittimare. La formula
dispregiativa riguardava assieme il primato della storia politica, il presupposto dell'unicità, della
non ripetitività degli accadimenti storici, e il ruolo del fattore individuale, dell'elemento cosciente
nel processo storico.
Storia non événementielle
Gli eventi sono mutamenti di stato: qualunque mutamento è scomponibile in un numero
indefinito di altri eventi; sono una convenzione; fissano limiti e selezionano elmenti della realtà.
Non esiste l’evento isolato: casualità, causalità.
La selezione per eventi porta a privilegiare la storia politica e militare.
Strutturalismo
Le strutture sono un insieme coerente di elementi in relazione duratura. Guardando alle strutture
si verifica un mutamento di piani: dall’individualità alla collettività; dall’unicità alla ripetitività;
dalle cause all’interazione.Viene dato maggior valore alla durata e il CAMBIAMENTO si pone
al centro dell’indagine.
Aspetti di lunga durata
la breve durata riguara gli eventi, ad esempio la politica.
la media durata riguarda ad esempio i cicli dell’economia.
la lunga durata (privilegiata) riguarda invece i rapporti sociali, la
mentalità, la ricerca di una verità profonda e stabile.
Storia totale = storia sociale
Comparazione tra società diverseantistoricismo
Le comunità non si spiegano col loro passato ma con l’interazione con l’ambiente unitamente al
fattore tempo
Mentalità
Serialità = dal qualitativo al quantitativo
Gerarchia delle fonti
Si attua una vera e propria rivoluzione documentaria: dilatazione della nozione di fonte storica;
declassamento delle fonti scritte; importanza dell’archeologia; uso maggiore dei dati seriali e
numerici; attenzione maggiore alla cultura orale e materiale
Le storie parziali e la storia
Si sviluppano storie “specialistiche” che acquistano spessore e dignità di disciplina:
Archeologia
Storia economica
Storia demografica
Storia sociale ...
Critiche all’antistoricismo degli Annales
La storia strutturalista si rileva inadeguata a spiegare la contemporaneità. La dimensione
degli eventi e quella delle strutture NON hanno un andamento lineare ma si intersecano
l’una nell’altra modificandosi reciprocamente Si sente la necessità di ritornare
all’avvenimento.
Esempi:
1) Federico II
Personaggio e contesto in cui l’evento ha un’importanza ineludibile. Impossibile “narrare” la
storia del dominio federiciano senza considerare, ad esempio il suo albero genealogico e di
conseguenza gli eventi “puntuali” che hanno portato alla sua nascita e incoronazione:
Federico I Ruggero II di Svevia d’Altavilla re di Germania re di Sicilia imperatore SRI
| | | |
Enrico VI ∞ Costanza di Svevia d’Altavilla |
| Federico II (1194-1250) erede del trono normanno e di quello germanico imperatore del SRI
2) Scristianizzazzione nella Francia della metà del XVIII secolo
Si legga in proposito il testo di approfondimento in appendice
Fattori in gioco:
Mentalità collettiva
rapporto con la morte
devozione
trasmissione dei valori
Concause
avvento del capitalismo
allargamento dei sistemi politici
crisi dell’ancien régime
3) La donna alla fine del XX secolo
Aspetti investiti:
Relazioni sociali e famigliari
Mutamento di mentalità
Rapporto fra i sessi
Concause:
Democrazia e suffragio
Pillola anticoncezionale
Contestazione del ‘68
Spinte forti:
II Guerra Mondiale
Boom economico
Inoltre si deve ammettere la insopprimibilità della visione soggettiva anche nella storia “strutturalista” perché la soggettività si riconosce:
– emissione della fonte (anche se seriale) – conservazione della fonte – ricostruzione
» interpretazione » interpolazione » selezione » scelta » ipotesi
Microstoria come dimensione concreta della pratica sociale
A fronte dello storicismo degli Annales che privilegia le strutture, la lunga durata gli ampi
orizzonti geografici e la storia quantitativa, c’è stato in questi ultimi anni una ripresa della
microstoria.
Macrostoria e Microstoria: confronto ed esempi:
Macrostoria e storia quantitativa Produzione, lavoro, salari
Demografia, struttura famigliare
Insediamento e popolazione
Microstoria e storia qualitativa Coloni, servi e liberi nelle campagne dell’Italia centro-settentrionale
La famiglia nella Francia del Seicento
L’incastellamento in Lunigiana
Gli ospedali di strada nel medioevo
Bibliografia di riferimento:
A.Burguière, voce Annales in Dizionario di scienze storiche , Edizioni Paoline,
Milano 1992;
M. Mastrogregori, Il genio dello storico , Esi,Napoli 1987;
T. Stoianovich, La scuola storica francese. Il paradigma delle "Annales" , Isedi,
Milano 1978;
P. Burke, Una rivoluzione storiografica. La scuola delle Annales 1929-89 ,
Laterza, Roma-Bari 1992;
La storia delle "Annales" , n. speciale della "Rivista di storia della storiografia
moderna", 1-2, 1993, Gei, Roma 1994.
Angelo D'Orsi, Alla ricerca della storia : teoria metodo e storiografia, 1996
Mastrogregori, Massimo Il genio dello storico : le considerazioni sulla storia di
Marc Bloch e Lucien Febvre e la tradizione metodologica francese, Napoli 1987
http://www.unipa.it/~DSSA/rm/Memoria/Mem-diz-og.htm
Testi di approfondimento
Lo storicismo
a cura di E. Cutinelli-Rèndina tratto dal Dizionario della storiografia, Paravia Bruno Mondadori
http://www.pbmstoria.it/dizionari/storiografia/index.htm
Non sempre il passato e la conoscenza che se ne può avere hanno costituito un problema
specifico o un argomento di dibattito teorico nella cultura occidentale. Solo nel XVIII secolo la
storia trovò una collocazione gerarchica accanto alle altre forme di conoscenza ed è divenuta una
dimensione fondamentale nella cultura occidentale. In quella temperie, come ha chiarito F.
Meinecke (Le origini dello storicismo), va ricercata la genesi dello storicismo, inteso, prima
ancora che come dottrina consapevole, come scoperta del divenire storico e coscienza del senso
dell'individualità. Dopo la grande stagione romantica e idealistica, che dello storicismo moderno
costituì la premessa filosofica e culturale (insieme con la figura alquanto isolata di G.B. Vico), lo
storicismo assunse una veste teorica elaborata ed esplicita a partire dal dibattito sullo statuto
conoscitivo delle scienze storiche apertosi nella cultura tedesca nella seconda metà del XIX
secolo. In effetti, l'oggettività naturalistica che il positivismo pretendeva convenisse a qualsiasi
tipo di conoscenza sembrava sempre più inadatta a esprimere le reali condizioni della
comprensione storica. Grazie soprattutto a W. Dilthey e in genere al neokantismo con la sua
attenzione ai problemi della conoscenza, lo storicismo venne trasformandosi da aprioristica
filosofia della storia di stampo idealistico ed hegeliano in scienza della storia, volta a definire i
metodi e le possibilità del conoscere storico. E poiché in questa nuova prospettiva la storia
cessava di essere, come lo era in Hegel, espressione di un'idea trascendente, di un metafisico
«spirito del mondo», e si rivelava piuttosto opera di concreti individui, si chiariva anche come la
storiografia e le scienze dello spirito, usando la fortunata terminologia di Dilthey, siano di tipo
idiografico, ossia conoscenza di ciò che è individuale, mentre le scienze naturalistiche sono di
tipo nomotetico, ovvero mirano a ricondurre i fenomeni della natura sotto leggi generali. Su
questi fondamenti finì con il delinearsi una vera e propria Weltanschauung storicistica, secondo
la quale ogni realtà e ogni evento sono considerati come unici e irripetibili, e tali da non poter
essere realmente compresi in termini di leggi generali, ma solo situandoli nella loro individuale
collocazione cronologica e nel loro contesto specifico. Inoltre, essendo la storia l'autentico e non
trascendibile orizzonte dell'operosità e della conoscenza umana, essa è per lo storicismo l'unica
depositaria e portatrice dei valori elaborati dalla civiltà umana; valori che il progresso, che è il
poi corso stesso della storia, necessariamente tramanda e allarga con il passare delle generazioni.
Su questa linea una formulazione radicale di storicismo fu elaborata in Italia da B. Croce,
secondo il quale la realtà si risolve essenzialmente nella storia, no avendo le cosiddette scienze
naturali alcun valore autenticamente conoscitivo; e nella storiografia, quale atto di comprensione
della storia, risiede la comprensione più compiuta ed esauriente di ogni aspetto della realtà e
dell'attività umana. Il pericolo che molti videro intrinseco allo storicismo è quello del relativismo
etico: se ogni realtà e ogni individualità si spiegano unicamente in relazione al loro contesto
storico, se ogni valore è tale solo in quanto e per quanto si realizza nella storia, allora non esiste
nulla che sia valido in sé e per sé e che si sottragga al divenire storico, e la storiografia si risolve
in una giustificazione del fatto compiuto. All'interno della stessa cultura storicistica F. Meinecke
ed E. Troeltsch, pur convinti della superiorità ermeneutica dello storicismo, sentirono in
particolar modo la drammaticità di questo problema. Nella seconda metà del Novecento, eccetto
che nelle varianti di derivazione marxista (come quelle elaborate da A. Gramsci e da G. Lukács),
lo storicismo è andato incontro a una crisi profonda. Questa crisi, oltre che dal peso delle
problematiche etiche a cui si è accennato, è stata determinata in primo luogo dal venir meno della
fiducia nel progresso, che dello storicismo, se non vuol trasformarsi in negazione dei valori, in
nichilismo, è un corollario necessario. L'andamento concreto della storia del XX secolo, con le
sue immani tragedie umane, il rischio di una guerra nucleare, lo spettro della devastazione
ambientale, ha infatti generato scetticismo nei confronti delle possibilità che il corso della storia
avrebbe di metabolizzare in vista di una qualsiasi forma di progresso le tragedie e gli squilibri
prodotti dalla civiltà moderna. Per un altro verso, anche nel campo della storiografia un
atteggiamento più cauto e disincantato ha finito con il far prevalere diverse forme, meno
ambiziose e meno totalizzanti, di comprensione degli eventi storici.
• F. Meinecke, Le origini dello storicismo, Sansoni, Firenze 1954; C. Antoni, La lotta contro la
ragione, Sansoni, Firenze 1968; F. Tessitore, Introduzione allo storicismo, Laterza, Roma-Bari
1991.
Il materialismo storico a cura di E. Cutinelli-Rèndina tratto dal Dizionario della storiografia, Paravia Bruno Mondadori
http://www.pbmstoria.it/dizionari/storiografia/lemmi/253.htm
Nella cultura occidentale non sono mai mancate concezioni che scorgevano il fattore
determinante della storia nelle condizioni materiali di vita. Tuttavia si suole ormai chiamare
materialismo storico la concezione della storia fondata sulla dottrina di K. Marx. In parte
notevole già presente nell'opera di Marx stesso, il materialismo storico ricevette un'elaborazione
teorica fondamentale dal suo collaboratore e amico F. Engels e poi, tra Ottocento e Novecento, da
un dibattito che impegnò gran parte della cultura europea. Nella prefazione a Per la critica
dell'economia politica del 1859, Marx fornì sinteticamente ed efficacemente i lineamenti
essenziali della sua filosofia della storia: gli ordinamenti statuali e i vincoli legali non possono
essere spiegati soltanto con lo sviluppo generale dello spirito umano, ma bisogna piuttosto risalire
alle condizioni materiali di vita e di produzione. Dunque la vera struttura della società va cercata
nell'economia politica. In sostanza, per Marx nella produzione delle proprie condizioni materiali
di vita gli uomini costruiscono un insieme di relazioni che sono la vera struttura della società. La
storia, per chi la sappia guardare con occhi sgombri da ideologie (cioè falsi sistemi di pensiero),
non è che l'evoluzione di queste strutture economiche. Tutto il resto (diritto, religione, cultura,
arte ecc.) non è che sovrastruttura e dunque, in quanto tale, dipendente dalla struttura e senza
vera autonomia. Le varie fasi della storia umana sono pertanto intrinsecamente caratterizzate dai
differenti livelli raggiunti dalle società umane nell'organizzazione della produzione materiale e
dei suoi strumenti. Marx distingue nella storia una fase asiatica, una antica, una feudale e una
borghese. Peraltro il passaggio da una fase all'altra (e qui si coglie un lato del potente influsso
hegeliano su Marx) avviene per le contraddizioni insanabili che vengono a costituirsi in seno a
ciascuna forma di organizzazione produttiva. Marx ritiene che at traverso la contraddizione
estrema a cui inevitabilmente conduce la società borghese si giungerà, attraverso un
capovolgimento dialettico (ossia una rivoluzione), a una fase finale della storia in cui si attuerà un
sistema economico senza proprietà privata dei mezzi di produzione e quindi senza il conseguente
sfruttamento dell'uomo sull'uomo. Nel dibattito di fine Ottocento uno sviluppo originale lo si
ebbe proprio in Italia con la polemica accesasi tra Antonio Labriola, che cercava di attenuare il
carattere deterministico del materialismo storico mantenendone però il carattere di filosofia della
storia, e B. Croce, che negava contenuto di verità logico-filosofica alla dottrina marxista e al
materialismo storico vedendone tuttavia un potente stimolo all'allargamento degli orizzonti
storiografici grazie all'inclusione di fenomeni e temi prima trascurati. Intervenendo per suo conto
nella polemica, G. Gentile invece sottolineava l'aspetto volontaristico, di filosofia della prassi,
insito nel materialismo storico (di qui il convinto apprezzamento di Lenin agli studi gentiliani su
Marx). Al di là della sua immensa fortuna politica e culturale, in netto declino nella seconda metà
del Novecento, il materialismo storico ha in effetti costituito per gli studi storici un'esperienza o
un elemento di confronto fondamentale: non solo per l'attenzione che, in ogni tipo di indagine
storica, ha insegnato a rivolgere ai fattori economici, alle tensioni e alle lotte di classe, ma anche
perché ha contribuito a infrangere definitivamente il modello storiografico ottocentesco che
vedeva nello stato l'unico soggetto storico-politico che dava dignità e legittimità storica alle forze
che agitano le società umane.
Inoltre:
Lotta di classe e critica della prassi
Per comprendere realmente ciò che un uomo è in un determinato periodo della sua storia
non si può poggiare sulle opinioni che l'uomo ha di se stesso (che rappresentano la
sovrastruttura ideologica) ma occorre capire in che momento dello sviluppo delle forze
produttive si trova a vivere. In questo modo, per avere una conoscenza corretta dell'uomo,
non si parte dall'opinabile contenuto della sua coscienza, inevitabilmente soggettivo, ma
dall'oggettività dei dati di fatto, empirici e constatabili, che si esprimono nell'attività
economica che lo stesso uomo, necessariamente, pone in essere.
Il destino dell'uomo nella storia è quello di vivere una contraddizione che nasce nella
struttura economica. I rapporti di produzione in cui si è trovato l'uomo durante l'intero
sviluppo della sua storia si manifestano palesemente nei rapporti di proprietà, ovvero nel
modo in cui si possiedono i mezzi che servono a produrre le cose necessarie alla sua
sussistenza. Nella struttura economica vengono a crearsi due classi di uomini: una
che detiene i mezzi di produzione e una che rappresenta la forza lavoro, la classe che
produce i beni utilizzando mezzi di produzione che non sono di loro proprietà.
Durante il corso della storia, nel periodo schiavistico dell'antichità, le classi egemoni, i
cittadini e i patrizi rappresentavano la classe dominante, la classe che deteneva i mezzi di
produzione, mentre gli schiavi, e in diversa misura i plebei, erano la forza lavoro. Nel
periodo medioevale, allo stesso modo, i signori della nobiltà feudale detenevano la
proprietà di quei mezzi che i servi della gleba utilizzavano per produrre i beni di cui non
erano naturali possessori. Anche nel periodo contemporaneo a Marx, il periodo dello
sviluppo industriale, si assiste alla divisione in classi: da un lato i capitalisti, coloro che
detengono il capitale e le industrie, ovvero i mezzi di produzione, e dall'altro i proletari,
gli operai che lavorano nella fabbrica producendo i beni con mezzi di produzione in
possesso di altri.
Si assiste, dunque, e questa secondo Marx è una legge storica universale, ad uno scontro
perenne tra due classi, quella che detiene in proprietà i mezzi di produzione e quella che
produce beni utilizzando quegli stessi mezzi che non saranno mai di loro proprietà. La
prima classe sarà destinata inevitabilmente a dominare sulla seconda.
Per rimuovere questa ingiustizia, vera e propria contraddizione interna al sistema
economico di ogni epoca, secondo Marx, non è possibile intervenire per via puramente
mentale, ma occorre intervenire nella struttura stessa del sistema economico in modo da
rimuovere concretamente e materialmente le cause di tale contraddizione. Tale rimozione
avviene nella storia nei periodi di rivoluzione, ovvero in quelle epoche in cui gli uomini
delle classi sfruttate sono in grado di comprendere la loro situazione e di cambiare i
rapporti di forza all'interno della struttura economica. Questa è la critica della prassi,
ovvero il rivolgersi a una lettura critica dei fenomeni reali dell'esistenza (la prassi, la
pratica) e non agli sviluppi della critica teorica, la quale, come si è visto, viene
determinata dalla realtà pratica.
"A un certo punto del loro sviluppo le forze produttive materiali della società entrano in
contraddizione con l'organizzazione sociale del lavoro, cioè con i rapporti di produzione
esistenti e quindi con i rapporti di proprietà." (K. Marx). Ciò significa che le forze
produttive materiali, ovvero la forza lavoro, la classe che produce ma non detiene i mezzi
di produzione, non si trovano più in accordo con il sistema socio-economico esistente. Ad
un certo punto del divenire storico, le classi dominate non si riconoscono più in quel
sistema di lavoro che all'inizio aveva permesso la loro stessa esistenza. Il sistema di
lavoro e di produzione espressione della classe dominante tende a conservare lo stato di
cose, un cambiamento, infatti, comporterebbe uno sconvolgimento sociale tale che i
dominanti non sarebbero più sicuri di trovarsi nella posizione di dominio.
Queste fasi di rivoluzione, in cui una classe preme sull'altra per il cambiamento, si
riscontrano in tutti i periodi di passaggio da un modello di produzione all'altro: così fu nel
passaggio dalla società schiavista a quella feudale, e da quella feudale a quella industriale-
capitalista. Nel sistema capitalista i borghesi che detengono la proprietà dei mezzi di
produzione sono l'ultima forma che ha preso la classe dominante, la classe che intende
impedire lo sviluppo della storia conservando la struttura socio-economica esistente. Il
mutamento, nel sistema capitalistico, è rappresentato dai proletari, la forza lavoro delle
fabbriche, che, essendo in posizione di svantaggio, premono per un cambiamento dello
stato di cose esistente.
Sono i proletari che nel sistema di produzione moderno garantiscono la dialettica del
processo storico e tendono a distruggere il sistema di produzione borghese. Per Marx il
successivo sviluppo della società borghese porta a una forma socio-economica nuova e
definitiva, in cui la rivolta della classe dominata porterà alla definitiva eliminazione delle
classi e della stessa lotta di classe, annullando di fatto anche la proprietà privata (la
proprietà privata dei mezzi di produzione è infatti connaturata alla classe dominante).
Questo movimento reale e necessario della storia verso una società non più classista e
quindi egualitaria porta a quel nuovo sistema di vita e di produzione dei beni che Marx
chiama comunismo.
• K. Marx, Per la critica dell'economia politica, Editori riuniti, Roma 1973; A. Labriola, La
concezione materialistica della storia, Laterza, Roma-Bari 1976; B. Croce, Materialismo storico
ed economia marxistica, Laterza, Roma-Bari 1978.
WERNER HEISENBERG
Estratto dalla relazione di dottorato di Costanza Altavilla, Fisica, epistemologie e
filosofia nel pensiero di Werner Heisenberg
I primi due decenni del Novecento sono caratterizzati da grandi cambiamenti verificatesi
all’interno della scienza. Si tratta di vere e proprie rivoluzioni: i presupposti su cui la
fisica classica ha fondato per anni la sua apparente solida impalcatura, dalla continuità al
rapporto di causa-effetto, la reversibilità dei fenomeni, la precisione della misurazione e
quindi il postulato dell’osservabilità, vengono interamente smentiti da innovative
scoperte.
Colui il quale ha contribuito maggiormente a mettere in crisi l’ormai anacronistica
certezza della scienza classica è Werner Heisenberg che, con la teorizzazione del
principio di indeterminazione.
Werner Heisenberg ripensando alle affermazioni che nel 1913 Niels Bohr aveva fatto a
proposito della struttura dell’atomo, vi scopre come una lacuna, o meglio, una parte
mancante.
Uno dei primi modelli della struttura atomica risale a John Thomson che, come dice
Gamow, “allo stesso modo come i semi neri sono distribuiti nella polpa rossa di una
anguria”, immaginò l’atomo come costituito da una superficie sferica carica
positivamente nella quale si trovano gli elettroni che, essendo di carica negativa, rendono
l’atomo neutro. Questa staticità che caratterizza il modello della struttura atomica di
Thomson fu presto superata da Ernest Rutherford che, nel 1911, rappresentò, mettendo in
movimento l’immagine atomica precedente, il suo modello in maniera simile ad un vero e
proprio sistema planetario dove il centro, o meglio, il nucleo dell’atomo veniva
considerato come contenente tutta la carica positiva e la massa attorno alla quale gli
elettroni avrebbero dovuto ruotare velocemente.
Tenendo presente che tale modello contraddiceva la “stabilità” dell’atomo, presupposto
scientifico ormai provato sperimentalmente e legato alla constatazione del fatto che, in
base alle leggi dell’elettrodinamica di Maxwell, il ruotare da parte degli elettroni intorno
al nucleo implicherebbe una continua emissione di energia e, conseguentemente il loro
“collasso” nel nucleo, tenendo presente ciò Bohr farà delle riflessioni che lo porteranno,
dal 1915, alla elaborazione del cosiddetto principio di corrispondenza.
L’ambiguità della situazione appena descritta trovava infatti, secondo Bohr, una soluzione
ipotizzando una stretta corrispondenza fra le leggi della fisica classica e quelle della
meccanica quantistica all’interno della struttura atomica. Gli elettroni possono percorrere
intorno al nucleo soltanto alcune orbite, determinate da relazioni quantiche, e le definì
stati stazionari. Distinse, tra questi, uno stato normale, il più basso, nel quale l’elettrone si
trova quando non subisce perturbazioni esterne e nel quale torna sempre dopo la
cessazione di eventuali interferenze; e degli stati eccitati nei quali l’elettrone salta, in
seguito all’azione di altre forze, senza però obbedire più alle leggi classiche. Queste
ultime quindi valgono per gli elettroni in moto nelle varie orbite consentite, ma non hanno
più efficacia quando avviene il salto da un orbita all’altra. Le orbite consentite dalle
relazioni quantiche erano definite stati stazionari per indicare che quando si trova in essi
l’elettrone non emette alcun irragiamento, quindi non perde energia e per questa ragione
non collassa nel nucleo; l’emissione o irragiamento avviene quindi solo durante il salto da
un orbita all’altra.
La lacuna, insita in questo principio, che Heisenberg si prefisse di colmare consisteva nel
tentativo di verificare, attraverso l’osservazione dell’esperimento, ciò che accade durante
il salto dell’elettrone.
L’osservazione era, cioè, limitata al fatto che l’elettrone, una volta eccitato, compiva un
salto, ma lo sperimentatore non era in grado di definire né la posizione dell’elettrone
prima di compiere il salto né il punto di arrivo di quest’ultimo dopo aver compiuto il
salto; poteva, più semplicemente, osservare esclusivamente gli “effetti”.
Alla luce di ciò Heisenberg, ai fini del rispetto dei parametri tradizionali del principio di
osservabilità, principio a cui egli non intende rinunciare, si rende conto del fatto che è
necessario cambiare il calcolo numerico a cui finora si è fatto riferimento. Anzicchè
quantificare con un numero ben definito la posizione iniziale e quella finale dell’elettrone,
Heisenberg sceglie quella che lui stesso ha definito una “famiglia di numeri”
paragonabile, sotto certi aspetti, al noto concetto di insieme.
Questa operazione, apparentemente semplice, ha una forte valenza tanto in ambito
scientifico quanto in quello epistemologico e filosofico.
Dal punto di vista scientifico, la scelta di fare riferimento non più al singolo numero ma
ad un gruppo di numeri ha una importante implicazione principalmente per due motivi.
Innanzi tutto la precisione e la certezza che la matematica tradizionale garantiva lasciano
il posto ad un calcolo di tipo essenzialmente probabilistico: è cioè possibile calcolare solo
statisticamente la posizione iniziale e finale dell’elettrone la cui individuazione è, in un
certo senso, legata all’interno del margine del gruppo numerico ed inoltre, cosa ancora più
importante, tale calcolo matriciale ha una caratteristica ben precisa: il prodotto fra le due
quantità non è commutativo.
Mentre precedentemente dire che A x B era lo stesso che dire B x A con questo tipo di
meccanica simili affermazioni non possono più essere ritenute valide.
La constatazione di ciò mette in crisi, con ripercussioni anche in ambito epistemologico,
tre presupposti scientifici ritenuti fondamentali dalla fisica classica: il concetto di identità,
la reversibilità dei fenomeni e la causalità intesa in termini di rigoroso determinismo.
La consapevolezza da parte del fisico di poter identificare con certezza l’elettrone trova,
nella statistica della meccanica matriciale, un limite insuperabile, come anche
ineliminabile risulta essere l’osservazione del fatto che i fenomeni fisici, lungi dall’essere
reversibili e senza direzione, come per molto tempo si è creduto, caratteristica questa che
consentiva allo scienziato classico di poter tornare esattamente indietro una volta ottenuto
il risultato di un esperimento, attraverso i medesimi procedimenti meccanici che lo
avevano
portato a quel risultato; i fenomeni fisici, dicevo, sono, piuttosto, irreversibili, o meglio,
unidirezionali e non lasciano spazio ad alcuna possibilità di poter tornare indietro o di
invertire i fattori.
Alla luce di ciò si comprende anche che il vacillare della causalità, un tempo rigorosa,
non è altro che una stretta conseguenza di quanto è stato appena detto: se la probabilità
viene a sostituire la certezza caratteristica della fisica classica e se i fenomeni sono
irreversibili, allora non è più neanche possibile fare riferimento al principio secondo cui
ad ogni effetto deve necessariamente essere collegata una causa e dunque che dall’effetto
si possa risalire alla causa e viceversa.
Si ha quindi la crisi della causalità definitivamente messa in discussione dal principio di
indeterminazione.
La non ripetitività dell’esperimento e quindi di fatto l’irreversibilità dei fenomeni, il
conseguente passaggio dalla certezza alla probabilità e l’enunciazione stessa del principio
di indeterminazione, inducono Heisenberg a ripensare il concetto di causa-effetto in
termini diversi rispetto al senso riduttivamente deterministico tipico del meccanicismo
galileianonewtoniano.
Il dibattito epistemologico nel XX secolo
Estratto da Gualberto Gismondi, Progresso, in Documentazione Interdisciplinare di Scienza e
Fede, http://www.disf.org/Voci/97.asp
Nel secolo XX, gli sconvolgenti mutamenti nelle scienze fisiche, i tragici interrogativi sollevati
dagli “inutili massacri” delle guerre mondiali e locali, l'olocausto ebraico e nucleare, il ricorrere
di devastanti crisi economiche, il susseguirsi di barbare e tiranniche dittature ed infine la guerra
fredda, distrussero ogni residuo d'ingenua fiducia nel progresso. Il dibattito generale si spense.
Ciò avrebbe consentito di concentrare l'attenzione sul progresso delle e nelle scienze, in
condizioni storiche e contesti socioculturali assai diversi dall'epoca precedente. Ormai il mondo
appariva trascinato da eventi incontrollabili che ispiravano sgomento e pessimismo. Razionalità
scientifica, tecnica, economica o industriale, erano criticate e accusate di opprimere le persone,
violare la natura, imporre la tirannia delle macchine. Ai temi del progresso subentravano,
sempre più, quelli dell'alienazione, emarginazione, restrizione e soppressione della libertà,
perdita di valori, fini e significati, sopravvivenza. La modernità era accusata di portare a una
“nuova barbarie”. La vecchia identificazione razionalista-positivista della scienza con il
progresso sopravviveva nei media, nella scuola e, in parte, nel linguaggio comune. Si
moltiplicavano le critiche alle attività e imprese tecnoscientifiche, ritenute negative per il
pianeta e “regressive” per la specie umana.
I rapporti fra progresso delle scienze e condizione umana focalizzavano l'interrogativo se la
scienza possa dirsi un progresso in se stessa o solo rispetto a un generale progresso umano. Di
fronte a conoscenze scientifiche più numerose, ampie e rigorose rispetto al passato, ci si
chiedeva in che consisteva il loro progresso e come valutarlo. Il dibattito si spostava da un
generico e ipotetico progresso delle scienze, a un più concreto e specifico progresso nelle
scienze. Questa discussione, assai più interessante e complessa, è tuttora in pieno svolgimento e
verrà esaminata nelle prossime sezioni. Il capovolgimento di mentalità, idee, temi e problemi,
dovuto a più di un secolo e mezzo di dibattito sul progresso, lo si può ricavare confrontando due
significative affermazioni. La prima è del filosofo illuminista M.J. de Condorcet nella sua opera
Esquisse d'un tableau historique des progrès de l'esprit humain (1792-1793): «verrà il tempo in
cui sulla terra il sole splenderà solo su uomini liberi, i quali non riconoscono sopra di sé altro
signore se non la ragione, giacché tiranni e schiavi, preti e loro strumenti ottusi e ipocriti
esisteranno solo nei libri di storia o sulle scene dei teatri» (Paris 1963, p. 345). La seconda è del
fisico contemporaneo M. Born, Nobel per la fisica nel 1954, secondo il quale «le scienze della
natura hanno distrutto, forse per sempre, i fondamenti etici della civiltà» (Erinnerung und
Gedanken ein Physikers, “Universitas” 23 (1968), p. 273). Entrambe si commentano da sole.
Les Annales
Approfondimento a cura di M. Mastrogregori tratto dal Dizionario della storiografia, Paravia
Bruno Mondadori
http://www.pbmstoria.it/dizionari/storiografia/lemmi/011.htm
Corrente di pensiero e di attività storica (secondo alcuni una vera e propria "scuola") nata dalla
rivista fondata nel 1929 da M. Bloch e L. Febvre, Annales d'histoire économique et sociale,
divenuta nel 1946 dopo vari mutamenti di titolo "Annales. Economies. Sociétés. Civilisation" e
dal 1994 "Annales. Histoire et sciences sociales". Il movimento consiste prima di tutto nei
contributi dei direttori e dei collaboratori, ma vi rientrano le opere che la rivista ha suscitato con
il suo progetto storiografico, e anche l'attività (dopo la fondazione nel 1947 della VI sezione
dell'Ecole pratique des hautes études), di una potente istituzione francese di ricerca. La storia
delle "Annales" si può dividere in tre periodi (1929-1944; 1945-1968; dal 1968 in poi). Nel 1929
esse si presentano come la rivista di una storiografia economica concepita in modo nuovo. Il fatto
però che né Bloch né Febvre fossero a quella data degli storici dell'economia in senso stretto ci fa
pensare che scegliessero strategicamente quel terreno come il più adatto per far valere un
concetto nuovo della storiografia in generale: per la possibilità d'una cooperazione internazionale,
per le maggiori opportunità editoriali (la rivista avrebbe potuto occuparsi del tempo presente e
raggiungere un pubblico formato non solo da storici, ma anche da professionisti e imprenditori),
ma soprattutto per la necessità d'un lavoro comune con le scienze sociali, dalla geografia alla
statistica, dall'economia politica alla psicologia e alla sociologia. La struttura della rivista, con la
prevalenza delle recensioni critiche, richiama quella dell'"Année sociologique" di E. Durkheim, e
si è ipotizzato che Bloch e Febvre volessero riprendere, a favore della storiografia, il disegno
durkheimiano di un'egemonia della sociologia tra le scienze sociali, elaborato all'inizio del secolo
proprio contro la storiografia. Nelle recensioni i direttori fanno valere l'esigenza d'una
storiografia concreta, priva di condizionamenti schematici, una storia critica che pone problemi.
Non veniva tracciata una linea precisa tra storia e non storia. Venivano discussi i fenomeni più
distanti nello spazio e nel tempo: il primo fascicolo abbracciava quasi duemila anni di storia, con
articoli sul prezzo del papiro nell'antico Egitto, sull'istruzione dei mercanti nel Medioevo,
sull'economia tedesca del primo dopoguerra e sulla popolazione nell'Urss. Si trattavano anche
avvenimenti contemporanei, e si svolgevano inchieste sulla crisi delle banche (1932-1934), sulla
riforma agraria in Spagna (1933), sul nazismo (1937). Nello stesso tempo si promuovevano gli
studi di storia regionale e locale (l'eredità di P. Vidal de la Blache), ma è indubbio che
l'ampliamento della nozione di storia si verificò con il porre problemi insoliti per la tradizione
storiografica: questioni di storia rurale e stradale, di storia monetaria e dei prezzi, di popolazione
e colonizzazione, di storia delle industrie, di archeologia agraria, di storia dei mestieri, della vita
materiale, del libro e della tipografia; problemi di iconografia economica, di storia delle tecniche,
del lavoro, dei trasporti, dei nomi di persona, delle poste, di archeologia botanica, di storia
dell'alimentazione e delle famiglie, di geografia e storia delle fonti documentarie: il tutto
affrontato con taglio sociale e su scala geografica mondiale. La linea tra storia e non storia è
tracciata dalla capacità di porre nuove domande alle fonti e di rispondere in modo scientifico. La
scienza a cui pensano Bloch e Febvre è nello stesso tempo la sociologia dei durkheimiani, la
ricerca geografica sul campo di Vidal, la psicologia storica di H. Berr, la comparazione
linguistica di A. Meillet. Lo storico assume un compito creativo: «I documenti», scriveva Bloch
nel 1929, «restano monotoni ed esangui fino al momento in cui il colpo di bacchetta
dell'intuizione storica rende loro l'anima». Febvre avvertiva ancora più forte questo ruolo quasi
magico dello storico, perché era sensibile, a differenza di Bloch, alla tradizione della
«résurrection du passé» di Michelet. La distanza di temperamento e di formazione tra i due
direttori aumentò progressivamente a partire dal 1936. Dopo la morte di Bloch (1944) si ebbe una
prima svolta nella storia del movimento: Febvre e F. Braudel, abili politici accademici, portarono
al successo il nuovo modello di storiografia, assicurandogli nel 1947 il sostegno di un'istituzione:
la VI sezione dell'École Pratique. All'attenzione per lo spazio geografico, il milieu , che aveva
ispirato l'inchiesta sui plans parcellaires , i lavori di storia rurale di Bloch, ma anche la tesi di
Braudel sul Mediterraneo (1949), si sostituirono, soprattutto per opera di quest'ultimo, l'economia
di lunga durata, l'analisi quantitativa delle fonti, il dialogo con la sociologia di G. Gurvitch, il
marxismo di C.E. Labrousse, l'antropologia di Lévi-Strauss. Nelle prime "Annales" soggetto della
storia erano gli uomini; con le "Annales" di Braudel prevalsero strutture e condizionamenti. Dopo
il 1968 il movimento assunse una fisionomia policentrica difficile da disegnare. In generale si
reagì al "determinismo" di Braudel con ricerche di storia della mentalità (P. Ariès, A. Dupront),
di antropologia storica (J. Le Goff, G. Duby), di microstoria narrativa (E. Le Roy Ladurie), con
studi di storia sociale della cultura (M. Chartier) e ricerche sulla trasmissione delle immagini
collettive del potere e del passato nazionale (M. Agulhon, P. Nora). Nell'attuale movimento delle
Annales la serie dei problemi nuovi si è arricchita rispetto alle proposte di Bloch e Febvre, ma
l'impronta del loro esprit si scorge ancora. L'analisi scientifica del movimento, benché esistano
studi particolari, è ancora da fare. L'elemento comune a tutto il percorso è la pratica di una
storiografia scientifica che adoperi i metodi delle scienze sociali. Rispetto alla Histoire de France
di E. Lavisse è questa la novità, e rispetto alle forme contemporanee di storiografia scientifica
(per esempio tedesche) è questa l'originalità specifica. Nel movimento si riflettono però anche
temi largamente europei, come quello del "genio" dello storico che dà vita ai documenti (si pensi
al neokantismo o a Croce), e si ritrovano motivi della tradizione romantica francese, col suo gusto
per la narrazione, che contrasta con l'analisi della storia-scienza, e s'avvicina all'antico concetto
dell'arte storica e al senso storicistico dell'individualità. Il risultato concreto del movimento delle
Annales è tuttavia l'invenzione di problemi storici nuovi, per mezzo d'una combinazione, unica
del nostro secolo, di personalità creative, monografie classiche, lavoro collettivo e istituzioni di
ricerca. Del contenuto delle "Annales" esistono tre indici bibliografici completi.
Bloch, Marc Approfondimento a cura di M. Mastrogregori tratto dal Dizionario della storiografia, Paravia
Bruno Mondadori
http://www.pbmstoria.it/dizionari/storiografia/lemmi/033.htm
Marc Bloch (Lione 1886 - Trévoux 1944). Storico francese. Figlio dell'antichista Gustave,
professore all'École normale supérieure e discendente d'una famiglia d'ebrei alsaziani, fu allievo
della scuola (1904-1908) di C. Pfister, G. Monod, A. Meillet, C. Langlois e C. Seignobos.
Borsista della Fondation Thiers (1909-1912) insieme con L. Gernet e M. Granet, fu poi
professore nei licei (1912-1913) e dal1919, dopo aver combattuto nella prima guerra mondiale,
nell'università di Strasburgo riconquistata alla Francia. Nel 1936 ottenne la cattedra di storia
economica alla Sorbona. Arruolatosi volontario nell'esercito francese all'inizio della seconda
guerra mondiale, scampato alla prigionia dopo la disfatta, si dedicò nuovamente
all'insegnamento. Entrato nella resistenza antinazista nel marzo 1943, fu catturato dalla Gestapo a
Lione un anno dopo e fucilato il 16 giugno 1944.
LA FORMAZIONE. Durante gli anni della sua formazione integrò l'insegnamento tecnico della
storiografia "positivista" con tre esperienze fondamentali: l'attenzione per la sintesi storica
proposta da H. Berr, nel quadro della disputa di risonanza europea sull'oggetto e il metodo della
conoscenza storica; l'importanza riconosciuta alla geografia umana di P. Vidal de la Blache, di
cui è traccia la sua monografia sulla regione dell'Île-de-France (1913); l'interesse accentuato,
come è testimoniato dallo scritto Méthodologie historique (1906-1907), per la sociologia di E.
Durkheim e di F. Simiand, dai quali trasse il concetto dell'analyse storica contrapposta alla
semplice description; alla luce di esso poté affermare che la storia tradizionale «non ha esistenza
scientifica» e che lo studio degli eventi deve essere sostituito da quello dei fenomeni storici,
«prodotto dell'analisi degli eventi». Appartengono alla formazione di Bloch i primi studi sulla
storia economica e rurale e la ripresa programmatica dell'eredità di N.D. Fustel de Coulanges,
come tradizione di storiografia "difficile", analitica e centrata sullo studio delle institutions.
Bloch respinse fin dall'inizio il filone romantico della storiografia francese; criticando la Histoire
de Franche-Comté di L. Febvre (1912), rimproverava al suo futuro collaboratore «d'aver
praticato più assiduamente Michelet che Fustel de Coulanges».
LE FALSE NOTIZIE. Dopo l'esperienza della guerra concentrò la sua attenzione sul problema
delle "false notizie", che costituisce una maturazione del suo interesse per la trasmissione delle
testimonianze, e l'argomento del suo primo libro importante, I re taumaturghi, è una "falsa
notizia" di lungo periodo: la credenza nel potere sovrannaturale dei re di Francia e d'Inghilterra di
guarire gli scrofolosi. L'interesse per i rituali, che Bloch nutriva dai tempi della Fondation Thiers,
si univa qui all'attenzione per i fenomeni di psicologia collettiva (psicostoria) e di mentalità,
studiati dai durkheimiani all'università di Strasburgo. Ne risultò un'opera ancora oggi
affascinante, che nelle intenzioni dell'autore voleva essere «essenzialmente un contributo alla
storia politica dell'Europa, nel senso esatto del termine», ma, centrata com'era non sulla regalità
come istituzione, bensì sull'immagine collettiva della regalità, si rivelò come il primo esempio di
una storia antropologica del potere. Nell'atmosfera di collaborazione tra le discipline che s'era
creata a Strasburgo egli trovò un ambiente favorevole alle sue ricerche innovative: dagli studi
sulle invenzioni medievali alla proposta del metodo comparativo, fino ai rivoluzionari Caratteri
originali della storia rurale francese, una sintesi che non ha, come voleva Fustel, lunghi anni di
analisi alle spalle, ma che cercava di caratterizzare il sistema agrario francese spiegando i criteri
di rotazione delle colture, la forma dei campi, le norme giuridiche e gli strumenti tecnici con i
principi e gli eventi dell'organizzazione sociale. Le ipotesi qui formulate furono il punto di
partenza della storiografia agraria europea successiva.
DALLE "ANNALES" ALL'OPERA NON SCRITTA. Nel 1928 Bloch riprendeva insieme con
Febvre, anche lui docente a Strasburgo, un progetto elaborato con H. Pirenne nei primi anni Venti
per la creazione d'una rivista internazionale di storia economica e sociale. L'impresa diveniva ora
solo francese e nascevano, il 15 gennaio 1929, le "Annales". Iniziava così la collaborazione con
Febvre. «Né Bloch né Febvre», scrisse in seguito F. Braudel, «presi separatamente erano il più
grande storico francese del tempo, ma insieme lo erano tutt'e due». Progettavano insieme i
fascicoli della rivista, sceglievano i collaboratori, scrivevano, soprattutto, decine di recensioni che
esprimevano il punto di vista della rivista: l'esprit des Annales. Nello stesso tempo Bloch
svolgeva per la "Revue historique" un compito importante di presentazione della storiografia
tedesca in Francia. Con il trasferimento di Febvre a Parigi (1933) il peso della rivista venne
assunto maggiormente da Bloch. Questo non impedì l'elaborazione, accanto a molti altri studi, di
Società feudale, il grande affresco della società medievale che realizzava il progetto blochiano
dell'analisi storica di una struttura sociale: dalla formazione dei legami di dipendenza alle
condizioni di vita e alla mentalità, ai rapporti tra uomo e uomo, fino all'osservazione delle classi e
delle forme di governo. La sfida alla storia "positivistica", che s'esprimeva nel racconto di eventi
militari e diplomatici, non poteva essere più articolata. L'osservazione della società feudale, che
Bloch compiva sulla base di una conoscenza straordinaria delle principali fonti documentarie,
archeologiche e artistiche, si traduceva tuttavia in ragionato racconto, e la comprensione che ne
risulta è pienamente storica e non sociologica, come la definì Febvre. Ma quando comparve il
secondo volume della Société féodale l'Europa era di nuovo in guerra e da questo momento la
riflessione storica e l'azione diretta di Bloch s'intersecarono più volte: dopo la sconfitta e
l'occupazione nazista della Francia egli ne riassunse i motivi in un limpido scritto, La strana
disfatta (comparso postumo nel 1946, in Italia nel 1970): «Il mondo appartiene a coloro che
amano il nuovo» e lo stato maggiore francese, espressione d'una società e d'una intelligenza
profondamente vecchie, non poteva che soccombere; la sconfitta era stata morale e educativa,
prima che tecnica e militare. Vanno viste in questa chiave di intersezione tra azione e conoscenza
tanto la disputa aspra che oppose Bloch a Febvre nel 1941 sull'opportunità di pubblicare le
"Annales" in zona occupata, con l'autorizzazione dei nazisti (Bloch avrebbe voluto interrompere
la pubblicazione, che invece continuò senza la sua firma, tolta a causa delle leggi razziali), quanto
la genesi tormentata dell'Apologia della storia, un libro che avrebbe voluto rispondere al quesito
«a che serve la storia?» e che restò incompiuto, dopo aver conosciuto diverse redazioni, per il
passaggio di Bloch dalla riflessione all'azione nella resistenza clandestina. L'opera di Bloch, che
costituisce il risultato originale dell'innesto della sociologia durkheimiana sulla tradizione
fusteliana, si caratterizza per l'ideale d'una scienza analitica della storiografia e per la sua geniale
originalità nell'invenzione di nuovi problemi storici, cui fu sempre connessa una riflessione
profonda sul metodo della ricerca. Nei progetti di Bloch la storia sociale poteva convivere con la
storia politica, come risulta dalle Réflexions pour un lecteur curieux de méthode (1939) preposte
a una storia della civiltà francese mai scritta.
• Bibliografia delle opere in Mélanges historiques, vol. II, École des hautes études en sciences
sociales, Parigi 1963; gli scritti Méthodologie historique e Réflexions in "Rivista di storia della
storiografia moderna", n. 2-3, Pisa 1988; C. Fink, Marc Bloch: A Life in History, Cambridge
University Press, Cambridge 1989; M. Mastrogregori, Il genio dello storico, Esi, Napoli 1987;
Id., Le manuscrit interrompu, in "Annales. Economies. Sociétés. Civilisations", n. 1, Parigi 1989;
H. Atsma, A. Burguière (a c. di), Marc Bloch aujourd'hui. Histoire comparée et sciences
sociales, École des hautes études en sciences sociales, Parigi 1990.