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Storie di soldati di Pavia a cura di Andrea Pozzetta Storia di Angelo Nervetti Dati anagrafici: Nome e cognome: Angelo Nervetti Data di nascita: 9 aprile 1899 Luogo di nascita: Vellezzo Bellini Luogo di residenza: Pavia Professione: casaro Statura: 1,63 Capelli: castani Occhi: grigi Fondi di riferimento: Ruoli matricolari e taccuino personale di Angelo Nervetti conservato presso l’Archivio storico civico di Pavia. Angelo Nervetti, originario di un piccolo comune nel pavese nordoccidentale, viene chiamato alle armi il 15 febbraio 1917, a diciott’anni non ancora compiuti. Inquadrato nel 3° Battaglione di milizia territoriale di fanteria nel Distretto militare di Voghera, passa, nell’aprile dello stesso anno, nel Distretto militare di Pavia come soldato di terza categoria. Il 26 giugno viene trasferito al Deposito del 53° Reggimento Fanteria nella città di Vercelli, presso la caserma “Umberto I”. È proprio da Vercelli che Angelo Nervetti inizia ad appuntare su un piccolo taccuino le bozze delle lettere che invierà, in un italiano molto stentato, alla 273

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Storie di soldati di Pavia a cura di Andrea Pozzetta

Storia di Angelo Nervetti

Dati anagrafici: Nome e cognome: Angelo Nervetti

Data di nascita: 9 aprile 1899

Luogo di nascita: Vellezzo Bellini

Luogo di residenza: Pavia

Professione: casaro

Statura: 1,63

Capelli: castani

Occhi: grigi

Fondi di riferimento: Ruoli matricolari e taccuino personale di Angelo

Nervetti conservato presso l’Archivio storico civico di Pavia.

Angelo Nervetti, originario di un piccolo comune nel pavese nordoccidentale,

viene chiamato alle armi il 15 febbraio 1917, a diciott’anni non ancora compiuti.

Inquadrato nel 3° Battaglione di milizia territoriale di fanteria nel Distretto

militare di Voghera, passa, nell’aprile dello stesso anno, nel Distretto militare di

Pavia come soldato di terza categoria. Il 26 giugno viene trasferito al Deposito

del 53° Reggimento Fanteria nella città di Vercelli, presso la caserma “Umberto

I”.

È proprio da Vercelli che Angelo Nervetti inizia ad appuntare su un piccolo

taccuino le bozze delle lettere che invierà, in un italiano molto stentato, alla

273

274

madre e alla sorella Giuseppina. A metà tra esercitazioni di scrittura e

appunti personali, il taccuino di Nervetti è utile per comprendere le

preoccupazioni e gli stati d’animo di una giovane recluta che per la prima

volta si ritrova fuori casa, lontano dalla propria famiglia e alloggiato in città a

lui sconosciute. La sua principale preoccupazione è tranquillizzare i familiari

riguardo al proprio stato di salute e circa la qualità della vita nella caserma di

Vercelli, in particolare per quanto riguarda l’alimentazione: «qui a Vercelli si

sta molto bene in tutte le cose ciè il vino bommercato si paga 90 centesimi e

vino buono in caserma si sta molto bene che a Pavia ciè la carne tre volte alla

settimana […] per il vito non si può a lamentarsi». È significativo, tuttavia, che

in un successivo appunto, la recluta si lasci sfuggire: «sono molto stanco di

fare il soldato»; è difficile comprendere la motivazione che ha spinto Nervetti

a porre per iscritto un simile pensiero, giacché la pagina precedente del

quadernetto risulta strappata, ma anche in una successiva lettera indirizzata

a un amico scrive: «io qui a Vercelli no si sta bene è una città che non ce

gniente i non mi piace anche».

Il 1° agosto Angelo Nervetti è trasferito al reparto Mitraglieri Fiat di Brescia

del 37° Reggimento Fanteria. Appare sollevato della nuova collocazione tra i

mitraglieri perché, come scrive alla sorella, «non si va alla salto come la

fanteria noi stiamo in dietro»; subito dopo, quasi ad allontanare da sé ogni

sospetto di codardia, specifica che «non è per paura che noi si sta doppo» ma

allo stesso tempo confessa: «non pensare di me che io mi trovo tanto bene». Il

quadernetto s’interrompe e non contiene ulteriori appunti. Dal ruolo

matricolare si apprende tuttavia che nei mesi successivi verrà inviato in

territorio dichiarato in stato di guerra; dovrà ben presto rendersi conto che

anche nei reparti mitraglieri non è possibile, al fronte, godere di una

maggiore protezione. Muore sul Monte Grappa il 15 giugno 1918 per le ferite

riportate in combattimento.

Storia di Giuseppe Franchi Maggi

Dati anagrafici:

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Nome e cognome: Giuseppe Franchi Maggi

Data di nascita: 15 settembre 1890

Luogo di nascita: Pavia

Luogo di residenza: Pavia

Professione: ingegnere

Statura: 1,76 ½

Capelli: castani

Occhi: castani

Fondi di riferimento: presso il Museo del Risorgimento di Pavia (fondo

Grande Guerra) e presso l’Archivio storico civico di Pavia (fondo Prima

guerra mondiale) sono conservate due ricche raccolte di corrispondenza

tenute da Giuseppe Franchi Maggi con i famigliari, fotografie e documenti

ufficiali. Sono inoltre stati consultati i ruoli matricolari e, per quanto riguarda

i riferimenti sulla famiglia Franchi Maggi, si è fatto riferimento a

pubblicazioni di storia locale.

Giuseppe Franchi Maggi, soprannominato affettuosamente Peppino dagli

amici e dai parenti, nasce a Pavia in una tipica famiglia della borghesia

democratica cittadina, imbevuta di miti risorgimentali e garibaldini. Il padre,

l’ingegnere Emilio Franchi Maggi, è una figura di spicco della vita politica

pavese: è stato sindaco della città dal 1911 al 1915, guidando una giunta

composta da radicali, socialisti e repubblicani; la madre, Bianca Casorati, è

figlia del matematico e docente all’Università di Pavia Felice Casorati. Lo zio,

l’avvocato Giacomo Franchi, è anch’egli una personalità molto conosciuta a

Pavia, autore di numerosi volumi di storia locale e attivo nella vita politica e

culturale cittadina.

Peppino trascorre i suoi anni d’infanzia nella villa di famiglia, a San Pietro in

Verzolo, ma si lega soprattutto a zio Giacomo e a zia Carlotta; a ogni

vendemmia, assieme al fratello Felice, si reca nella loro tenuta di Casteggio,

vivendo quel periodo dell’anno come una festa gioiosa e spensierata.

Come il padre, anche Peppino viene avviato agli studi in ingegneria e,

studente presso il Politecnico di Milano, si laurea nel settembre 1912.

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Ammesso a ritardare nel 1911 il servizio militare, in quanto studente, viene

chiamato alle armi per istruzione il 20 luglio 1913 e inquadrato nel 1°

Reggimento Genio (zappatori) presso il Centro di mobilitazione di Pavia. Il 10

dicembre 1913 ottiene il congedo illimitato con dichiarazione di aver tenuto

«buona condotta» e di aver servito «con fedeltà ed onore».

Nel 1915, all’entrata in guerra da parte dell’Italia, condivide con lo zio gli

entusiasmi patriottici. Mentre Peppino viene richiamato con il grado di

Sottotenente di Complemento dell’arma del Genio per servizi tecnici e

inquadrato nel 1° Reggimento Zappatori, la sua famiglia si dedica con

passione all’opera di assistenza ai soldati e di mobilitazione civile: la madre

entra nell’esecutivo del Comitato Femminile di Preparazione, presieduto da

Maria Rampoldi Manzoli; lo zio diviene vice-presidente del Comitato

Provinciale di Preparazione, presieduto dall’amico Roberto Rampoldi,

deputato radicale al Parlamento.

Inviato in Trentino, con gli zappatori del Genio, Peppino si dedica a dirigere e

coordinare lavori campali come scavi e riassetti di trincee, posa di reticolati,

costruzione di camminamenti, trasporti di materiali. Nei momenti di pausa,

scrive ai famigliari, soprattutto alle zie Carlotta e Silvia e allo zio Giacomo,

producendo una copiosa corrispondenza e divenendo, come lui stesso

scherzosamente si definisce, «dispensario di cartoline guerresche».

Lo stretto rapporto di ammirazione e stima con zio Giacomo, sembra

rafforzarsi negli anni della guerra; allo zio confida le sue preoccupazioni, gli

stati d’animo e, sovente, gli affida il compito di mediare con i genitori le

notizie che man mano rivela sulle sue attività: il 10 giugno 1915, ad esempio,

Peppino riporta in una cartolina che «Ci è stato affidato (dillo ai miei e se

credi anche puoi non dir niente) un compito non facile per esecuzione ma

niente affatto pericoloso»; oppure, nell’agosto 1918, soltanto allo zio rivela di

aver ricevuto «un compito molto difficile e può essere che mi capiti qualche

guaio […] Nel caso di un guaio sarà a te che mi rivolgerò o si rivolgeranno. Ho

tanta stima di te che non occorre dica altro».

Il paesaggio ameno e incontaminato delle montagne trentine permette

talvolta al giovane sottotenente del Genio di estraniarsi dalla realtà della

guerra: «questo bel sito si presta a darmi l’illusione di essere in

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villeggiatura», affermerà più volte; ma allo stesso tempo, di fronte alla

stravolgente modernità bellica, alla soverchiante potenza delle macchine e

della tecnica in grado di trasformare radicalmente lo stesso paesaggio,

Peppino appare inebriato, abbandonandosi a descrizioni delle operazioni

belliche quasi fantascientifiche: «Si è lavorato giorno e notte, alla luce di

potenti fari acetilene, solo alla parte a cui sono addetto io e che ora è la più

importante. Una scena veramente fantastica! Genio e artiglieria in un lavoro

febbrile in mezzo a un bosco di abeti; comandi e ordini a destra e sinistra:

mostri di acciaio trainati da motori; un po’ di fracasso anche in alto per

gentile collaborazione degli amici austriaci: un mezzo finimondo! Avevamo

sentinelle da tutte le parti con ordini severissimi! Ti assicuro che mi sono

divertito molto».

Le zie Carlotta e Silvia, assieme alla mamma, si premurano sovente di

confortare il giovane con l’invio di pacchi di generi alimentari e abiti

invernali: giungono soprattutto dolci, che Peppino divide con i compagni, la

“torta paradiso” di Pavia, i “biscotti di Novara”, caramelle, cioccolatini.

Particolarmente gradite sono anche le copie della “Provincia pavese”, il

giornale cittadino di orientamento democratico-radicale: talvolta gli capita

anche di incontrare il suo ex direttore, Carlo Ridella, partito volontario in

guerra dopo aver condotto una battaglia interventista sulle colonne del

giornale.

Nell’agosto 1915 le operazioni militari portano Peppino in prima linea:

incominciano giorni «intensi di rischi e di avventure» come ufficiale

guastatore con l’incarico di far saltare reticolati e fortificazioni nemiche. Per

esorcizzare il pericolo scrive frasi scherzose alla famiglia descrivendosi «sano

ancora e senza buchi». Ma è proprio in una di queste giornate che il giovane

viene ferito gravemente al braccio sinistro. È sempre allo zio che affida le

notizie sulla sua salute: «ti avverto: credo che dato che non si tratta di roba

pericolosa puoi avvertire papà e mamma. Ad ogni modo fa tu, quello che tu

fai è ben fatto. Io domanderò di essere mandato a Pavia al più presto a casa

mia». Peppino rimane minorato all’arto e ottiene una medaglia di bronzo al

valor militare. Sebbene inabile al servizio di guerra, rifiuta il congedo e torna

al fronte.

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Con grande piacere suo e della famiglia, viene promosso tenente, assumendo

il comando della 100° compagnia del 1° reggimento Genio. Tornato in

territorio di guerra scrive allo zio: «siamo ora a posto attendati in un

bellissimo sito. Si sente di qui il rombo dei cannoni che infuriano sugli

altopiani e mi viene la nostalgia […] sono contento di essere qui e qualunque

fossero le conseguenze della mia decisione, non me ne pento certo».

Combatte in Carnia, sull’Isonzo, sulla Bainsizza, tra i suoi compiti di occupa

anche di istruire i soldati; mentre giungono le notizie della presa di Gorizia,

nell’estate 1916, si mostra beffardo contro i nemici: «ogni sera io ed altri ci

rechiamo nei posti più avanzati e con un megafono diciamo agli austriaci il

nostro bollettino in tedesco (sono io l’incaricato!). Quelli ci rispondono:

italiano vigliacco! Ma non mostrano neanche le punta del naso!». Non c’è

traccia di commiserazione o rimpianto nelle lettere dal fronte, anzi,

descrivendo le sue attività sembra elettrizzato, immerso in quella che gli

appare come una grande avventura: «ho una vita attiva e piacevole», scriverà

più volte agli zii. La stessa percezione del pericolo sembra del tutto assente o

ridimensionata: «domani mi reco in prima linea per fare alcuni rilievi: non

dirlo naturalmente: ma qui non vi è pericolo: la guerra si può dire che non si

sente».

Nel mese di agosto Peppino riceve l’offerta da parte del generale Maglietta, a

capo del Genio della 1° e 3° Armata, di seguirlo per lavorare con lui. Il giovane

è onorato, ma nei mesi successivi una malattia lo costringe al ricovero in

ospedale; avvertendo lo zio, il 29 novembre 1916, scrive: «sono da quindici

giorni a letto all’Ospedale Militare per un avvelenamento intestinale. Ora

miglioro (oggi non ho febbre) ma sono stato male assai ed è da 10 giorni che

non prendo che latte! Te ne avverto unicamente perché tu stia attento che i

miei non lo vengano a sapere».

Rimane inabilitato al servizio fino al marzo 1917, quando è inviato a San

Colombano, frazione del comune di Collio, in Val Trompia. La vita a San

Colombano, lontano dai combattimenti, è tranquilla, forse troppo placida per

Peppino; ha molto tempo libero, riesce persino a organizzare una piccola

fanfara militare (tra le sue carte è presente anche uno spartito della canzone

di guerra francese “Quand Madelon”) ma, come scrive il 25 agosto allo zio,

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«comincio […] ad arrabbiarmi per la mia eccessiva permanenza qui e ti

assicuro che credo che farò qualche grossa sciocchezza perché vedo che non

mi si vuole lasciar fare quello che voglio».

In seguito alle giornate di Caporetto sprona i suoi famigliari a non

demoralizzarsi: «a noi non manca la fede, occorre più di tutto che voi abbiate

a confermarcela». Dopo un periodo di riposo a Parma, viene inviato, nei primi

mesi del 1918, in Francia con il 2° Corpo d’Armata; partecipa alla Seconda

battaglia della Marna e ottiene due onorificenze militari, una francese e una

italiana. In Francia incontra «tutti i generi di truppe delle varie parti del

globo: neri, gialli, olivastri, bianchi, pellirosse, cinesi e nyam-nyam, fanno

però tutti schifo e io sono del parere che meglio del nostro soldato non ce ne

sono. Siamo noi i cretini che non sappiamo farci valere». Incontra anche

Peppino Garibaldi in visita ai soldati italiani: «fu veramente splendido, ci

hanno cinematografato e se vedete quella cinematografia lì mi vedete certo al

seguito del generale su di un focoso destriero (una paura)». È in questi mesi

che nella corrispondenza di Peppino sembrano accentuarsi i riferimenti

patriottici e militaristi; sembra anzi maturare un certo disagio nei confronti

della vita civile: «sono ritornato per qualche ora nei paesi civili. Mi han fatto

una impressione strana: non mi par vero di essere seduto a un caffè, dopo

tanti giorni in cui ho preso il caffè in una tazza di latta sotto la tenda alle

quattro di mattina».

La mattina del 29 settembre 1918, riceve l’ordine di recarsi presso un

reparto di fanteria di prima linea per prendere accordi riguardo le operazioni

di guerra. Peppino, a scopo di ricognizione, attraversa un guado sul fiume

Aisne assieme ad alcuni uomini; secondo un documento ufficiale, i soldati

intuiscono nell’insolita calma un tranello ma «Risoluto a voler condurre a

buon fine l’impresa iniziata per poter procurare notizie che giovassero

all’azione che stava per svolgersi, il Tenente Franchi Maggi cercò rassicurare

il manipolo di soldati con la parola e con l’esempio»: si drizza in piedi

sull’argine ma una scarica di mitragliatrice lo colpisce a morte, rivelando così

la presenza del nemico. Il 30 settembre ha luogo nel cimitero militare di La

Ferme de Chery-Chartreuve una solenne cerimonia funebre con largo stuolo

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di ufficiali italiani e francesi. Gli verrà assegnata la medaglia d’oro al valor

militare.

Storia di Angelo Mantovani

Dati anagrafici:

Nome e cognome: Angelo Mantovani

Data di nascita: 21 marzo 1895

Luogo di nascita: Porto Maurizio

Luogo di residenza: Pavia

Professione: studente

Statura: 1,63

Capelli: castani

Occhi: cerulei

Fondi di riferimento: fotografie di Angelo Mantovani con qualifica e note

biografiche presso il Museo del Risorgimento di Pavia (fondo Grande

Guerra); corrispondenza con la famiglia, biografia manoscritta, lettera

ricordo della madre, presso l’Archivio storico civico di Pavia (fondo Prima

guerra mondiale); ruoli matricolari.

Angelo Mantovani nasce in Liguria, a Porto Maurizio, da Francesco e da

Faustina Bertolini. Un anno dopo la sua nascita, il padre viene assunto a Pavia

nella Tesoreria Provinciale e anche il piccolo Angelo, assieme alla famiglia, si

trasferisce nella città lombarda.

Cresce in un ambiente piccolo borghese, di orientamento democratico ma

profondamente influenzato dalla retorica nazional-patriottica. Nella breve

biografia manoscritta, probabilmente opera dei suoi famigliari, viene

descritto come un appassionato sportivo e, il suo carattere energico, è

associato ai primi entusiasmi patriottici. Frequenta il liceo ginnasio “Ugo

Foscolo” di Pavia e diventa allievo del professor Archia Poderini, membro del

Partito radicale e acceso irredentista. Entra ben presto a far parte della

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Sezione Studentesca Pavese della società “Dante Alighieri” e,

successivamente, diventa animatore a Pavia del Corpo Nazionale dei

Volontari Ciclisti Automobilisti, organizzazione civile creata nel 1908

sottoposta al Ministero della Guerra.

Non è una sorpresa per i cari di Angelo la scelta, compiuta a diciott’anni, di

entrare volontario nell’esercito e frequentare il corso degli allievi ufficiali

all’8° Reggimento Fanteria di stanza a Milano; vi rimane fino alla nomina a

sottotenente, nell’aprile 1915, quanto viene assegnato al 43° Reggimento

Fanteria e inviato al deposito di Tortona.

Come molti suoi ex compagni liceali, è un acceso interventista e vede in una

guerra contro l’Austria la naturale prosecuzione e l’obbligato completamento

del Risorgimento nazionale. Le sue note biografiche danno una curiosa

narrazione della sua passione interventista: «Quando per qualche giorno

sembrò che il partito neutralista avesse il sopravvento, si avvilì e pianse!

Vedeva distrutto il suo sogno di marciare contro l’odiato straniero e di

entrare vittorioso in Trieste».

Nel maggio 1915, alla vigilia dell’entrata in guerra, viene inviato lungo il

confine con l’Austria. A Pavia saluta i genitori, la sorella e la fidanzata Franca.

Parte con una costosa macchina fotografica, con cui spera di immortalare i

momenti di vita al fronte e di inviare costantemente alla famiglia

testimonianze il più possibile vivide della sua vita quotidiana.

Giunto al confine descrive con emozione, nelle prime lettere ai famigliari, il

giuramento dei sottotenenti, «nulla di più bello, di più maestoso». Tenta

anche di incoraggiare i genitori, sia con la retorica patriottica – «Prima

bisogna amare la Patria, poi la famiglia» – sia con un atteggiamento di serena

imperturbabilità: «Sono felice che voi vogliate essere forti ma desidererei che

veramente lo foste. Bisogna essere fatalisti e poi possibile che accoppino

proprio me?».

Il 22 maggio invia alla famiglia una lettera contenente le sue ultime volontà in

caso di morte in combattimento. Angelo scrive il testo delle partecipazioni,

chiedendo che non siano listate a lutto e aggiungendo: «l’ultimo suo desiderio

è stato esaudito essendo morto sul campo»; chiede alla famiglia di non essere

dolenti per il suo destino e di non provare lutto, bensì gioia. I suoi pensieri

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sono anche per la fidanzata Franca, alla quale chiede di bruciare le lettere e le

cartoline a lei inviate e a cui dona il suo orologio da braccio.

Angelo descrive le prime giornate di guerra come tranquille scaramucce

contro un nemico perennemente nascosto nelle trincee. Un giorno, un

proiettile nemico gli perfora il tacco di una scarpa: racconta l’episodio con

estrema leggerezza alla famiglia e, il proiettile, diventa il suo cimelio

portafortuna.

Dopo nemmeno un mese di combattimento, tuttavia, la sera del 16 giugno

1915, viene ferito a Plava, sul monte Kuk, durante la prima battaglia

dell’Isonzo. Muore a vent’anni incitando i suoi soldati, secondo la

testimonianza del medico che lo cura sul campo di battaglia, a proseguire nei

combattimenti.

Il suo professore Archia Poderini scriverà una testimonianza in suo ricordo

sulla “Provincia Pavese” e, in una cerimonia organizzata in Piazza Castello, a

fianco del monumento a Garibaldi, verrà consegnata una medaglia d’argento

al valore alla famiglia Mantovani.

Storia di Enrico Preti

Dati anagrafici:

Nome e cognome: Enrico Preti

Data di nascita: 30 gennaio 1896

Luogo di nascita: La Maddalena (Sassari)

Luogo di residenza: Pavia

Professione: Contabile

Statura: 1,97

Capelli: castani

Occhi: bigi

Fondi di riferimento: articolo in suo ricordo pubblicato su “La Provincia

Pavese”, lettera dal fronte e diario di guerra (inedito) presenti presso

l’Archivio storico civico (fondo Prima guerra mondiale), fogli matricolari.

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Enrico Preti nasce a La Maddalena in Sardegna, dinanzi all’isola di Caprera:

un luogo simbolico che rimarrà una costante nella sua formazione e

maturazione politica, giacché, in famiglia, verrà educato nel mito di Garibaldi

e del Risorgimento nazionale. Suo padre, Roberto Preti, è insegnante di

scuole elementari; è anche poeta, autore di inni patriottici e di libri di testo

per le scuole elementari; tra le sue opere poetiche pubblicate, figurano un

Ricordo ai visitatori di Caprera e l’ode Per l’inaugurazione del monumento alla

famiglia Cairoli.

Il piccolo Enrico Preti, al seguito del padre, assunto alle scuole cittadine di

Pavia, e della madre Alberta Mariani, giunge nella cittadina lombarda nel

1897. Viene avviato alle scuole professionali, studia ragioneria ma, allo stesso

tempo, aderisce con convinzione ai movimenti e gruppi interventisti cittadini.

Pochissimi giorni dopo l’entrata in guerra dell’Italia, il 27 maggio 1915, a

diciannove anni, si iscrive al Corpo Nazionale Volontari ciclisti e

automobilisti come ciclista nel comitato di Alessandria. Esattamente un mese

dopo, il 27 giugno 1915, viene inviato in zona di guerra.

Fin dai primi giorni di servizio, Enrico inizia ad appuntare un diario di guerra

in cui dà forma scritta ai suoi stati d’animo, alle sue impressioni, in cui

rielabora i principali eventi bellici cui partecipa ma anche semplici episodi di

vita quotidiana. Si tratta di un diario ben scritto, meditato, composto in un

linguaggio non privo di espedienti retorici ed evidentemente allenato

all’esercizio della scrittura. Nelle intenzioni del giovane, probabilmente, il

manoscritto è concepito come nucleo per una futura pubblicazione giacché,

come testimonia anche una sua lettera, invia a più riprese le note di guerra a

una non precisata “Signorina” (potrebbe trattarsi di Luisa Castoldi,

benemerita maestra cittadina, attiva nel volontariato a favore dei soldati al

fronte e destinataria di molte lettere di soldati pavesi) che lo incoraggia a

proseguire nel componimento.

Come si intuisce dalle sue annotazioni, Enrico era partito per il fronte con

un’idea tutta ottocentesca della guerra, dell’assalto al nemico,

dell’organizzazione militare; il diario, del resto, si apre con una frase

lapidaria: «Sono giunto in zona di guerra il 27 giugno 1915 e ho provato

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subito una disillusione. Quella la guerra?». Enrico condivide anche

l’impressione, comune a molti altri giovani soldati animati da spirito

attivistico ed esaltati dalla retorica bellicista, di ritrovarsi, immediatamente

giunti al fronte, in «una pacifica villeggiatura in montagna»; come scrive

anche nella già citata lettera, «I pericoli qui non sono poi grandi come

generalmente si crede». Sono tuttavia i rumori, i boati dei cannoni, le

macchine e i congegni bellici, le periodiche piogge «di ferro e di sassi sollevati

dallo scoppio delle granate» a far piombare Enrico nella dimensione della

guerra moderna: «udii il cannone. Era la voce calma del cannone italiano che

molestava le posizioni nemiche con periodici getti di fuoco e di ferro. […] Ed

io che credevo – quando partii – di andare subito a battermi!». Nei primi mesi

di guerra il giovane appare estraniato, quasi deluso: «Quanto orribile e

perfezionata è la guerra moderna! Macchine terribili di distruzione e di

morte sono celate su verdeggianti collinette, in ridenti vallate, in incantevoli

paesaggi». Proprio la tematica del rapporto conflittuale tra natura e

modernità bellica rimane una costante nel diario, sempre simboleggiata dalla

figura incombente del cannone: «La visione panoramica era magnifica. Ma

vicinissimo a me il cannone fece udire la sua voce baritonale».

Enrico non perde le sue convinzioni interventiste e introietta le parole

d’ordine della propaganda patriottica ma allo stesso tempo è cosciente di

trovarsi di fronte a un evento inedito, a un nuovo e terribile modo di fare la

guerra, su cui non può fare a meno di soffermarsi e ragionare: «La guerra

d’oggi è guerra d’insidia; i nemici si uccidono senza vederli. Se un uomo si

mostra è morto».

Le note di guerra si interrompono all’agosto 1915; oltre quella data, è

ragionevole supporre, Enrico entra nel vivo dei combattimenti in prima linea.

Ottiene la qualifica di Aspirante del 12° Reggimento Bersaglieri e, nel

dicembre 1915, si distingue nella difesa di una postazione sul monte

Javorcek: viene promosso al grado di Sottotenente di complemento il 26

dicembre.

Nel marzo 1916 è sul monte Pal Piccolo. Il 27 marzo, al comando di un

plotone, si ritrova improvvisamente sotto attacco; viene ripetutamente ferito

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dopo essersi più volto esposto fuori dai ripari per individuare gli

appostamenti nemici. Muore il 29 marzo nell’ospedale militare di Timau.

Gli vengono resi gli onori militari dagli ufficiali e da un battaglione di

bersaglieri e alla famiglia verrà consegnata la medaglia di bronzo al valor

militare. Un suo compagno d’armi, anch’egli pavese, lo ricorderà con affetto

sulla “Provincia Pavese” descrivendolo come ottimo soldato ed eroe di

guerra.

Storia di Pietro Boscaroli

Dati anagrafici:

Nome e cognome: Pietro Boscaroli

Data di nascita: 20 marzo 1892

Luogo di nascita: Vigevano

Luogo di residenza: Vigevano

Professione: Calzolaio

Statura: 1,59

Capelli: castani

Occhi: castani

Fondi di riferimento: Foglio matricolare conservato presso l’Archivio di

Stato di Pavia.

Pietro Boscaroli nasce a Vigevano nel 1892 e, come molti giovani della sua

città, viene impiegato nella locale industria calzaturiera. Probabilmente non

frequenta le scuole elementari dal momento che, come risulta dal suo foglio

matricolare, dichiara di non saper leggere e scrivere. Ciò che più di tutto

emerge dagli incartamenti militari è, tuttavia, la sua radicale resistenza

all’inquadramento militare e alla logica della guerra.

Nel 1912 è renitente alla leva, fugge probabilmente all’estero; nell’aprile

1914 è tuttavia arrestato e tradotto alle carceri giudiziarie di Milano. Il 30

giugno1914 è quindi costretto a presentarsi al Consiglio di leva di Pavia, dove

286

viene iscritto come soldato di leva di prima categoria per la classe 1894.

Inquadrato nel 36° Reggimento Fanteria, alla vigilia dell’entrata in guerra da

parte dell’Italia viene inviato al confine orientale e il 24 maggio 1915 si

ritrova in territorio dichiarato in stato di guerra.

Pietro combatte al fronte fino al novembre 1915 quando, colpito da malattia,

lascia il territorio di guerra per essere ricoverato in un ospedale. Coglie

l’opportunità per tentare, ancora una volta, di sottrarsi dall’esercito e

soprattutto dalla operazioni belliche: scappa nuovamente, a ridosso del

Natale 1915. Il 25 dicembre è infatti dichiarato disertore ma, nel febbraio

1916, viene arrestato dai carabinieri e tradotto nelle Carceri Preventive di

Firenze con una condanna a sei anni di reclusione militare.

Secondo la legislazione adottata per il tempo di guerra, la pena è

temporaneamente sospesa: esce dal reclusorio militare il 21 marzo 1917 e si

ricongiunge al 36° Reggimento Fanteria.

Pietro deve aver maturato una ancor più forte insofferenza per la vita

militare se, nel luglio 1917, viene imputato del reato di minacce e violenze

agli agenti della forza pubblica, di porto d’armi proibito e, inoltre, del

possesso di monete riconosciute false: viene nuovamente denunciato al

tribunale di guerra e condannato a una nuova pena alla reclusione militare

per sette anni, facendo cumulo con quella precedentemente inflittagli.

L’esecuzione della sentenza è sospesa fino al termine dello stato di guerra.

Il foglio matricolare non fornisce ulteriori notizie sulla sua vita militare, se

non che nel dicembre 1917 si ritrova dislocato presso il distretto militare di

Genova e che il 30 agosto 1919 è inviato in congedo illimitato. Pietro

Boscaroli potrà beneficiare dell’amnistia concessa nel dopoguerra ai soldati

ritenuti colpevoli di reati militari ma gli sarà rifiutata la dichiarazione di aver

tenuto buona condotta e di aver servito con fedeltà e onore.

Storia di Paride Pizzocaro

Dati anagrafici:

Nome e cognome: Paride Pizzocaro

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Data di nascita: 18 dicembre 1894

Luogo di nascita: Pavia

Luogo di residenza: Pavia

Professione: Studente

Statura: 1,67

Capelli: castani

Occhi: castani

Fondi di riferimento: Foglio matricolare conservato presso l’Archivio di

Stato di Pavia, fotografia e ritaglio di giornale con necrologio conservati

presso il Museo del Risorgimento di Pavia, fondo Grande guerra.

Paride Pizzocaro nasce a Pavia da «piissimi genitori» – come riporta un lungo

necrologio che delinea i tratti essenziali della sua biografia – e, fin da

ragazzino, si avvicina ai gruppi dell’associazionismo cattolico pavese.

Paride è descritto come «una delle gemme più fulgide, una delle più care

speranze del movimento giovanile cattolico di Pavia» e nella sua breve

esistenza alternerà sempre l’impegno e la passione per lo studio con l’attività

nell’associazionismo e nel volontariato locale. A Pavia è infatti animatore

dell’“Associazione giovani studenti della cattedrale” con cui dà vita al dopo-

scuola cattolico.

Studia presso l’Istituto tecnico di Pavia, divenendo ragioniere e ricevendo la

licenza d’onore; riceve anche un premio come miglior studente e vince una

borsa per un quadriennio di studi presso l’Università commerciale Bocconi di

Milano.

Gli studi universitari, tuttavia, si interrompono ben presto. Già ammesso a

ritardare il servizio di leva nell’agosto 1914, il 1 giugno 1915 anche Paride è

chiamato alle armi. Non si conoscono le sue posizioni personali a proposito

del dibattito tra interventisti e neutralisti; con tutta probabilità anche Paride

appartiene a quei gruppi di cattolici organizzati che avevano sperato in una

soluzione pacifica ai contrasti tra le potenze europee e che avevano sostenuto

la neutralità dell’Italia ma che, al momento dell’intervento, avevano risposto

aderendo al nazionalismo delle classi dirigenti. Paride viene inviato come

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allievo ufficiale di complemento alla Scuola Militare di Modena e, nel

settembre 1915, raggiunge la qualifica di Sottotenente di complemento

effettivo per la mobilitazione al 4° Reggimento alpini.

La sua vita militare è tuttavia molto breve. Raggiunta la destinazione al fronte

nel settembre 1915, con gli alpini del Reggimento “Val d’Orco”, Paride

partecipa, il 23 ottobre, a un’operazione che gli costa la vita; secondo il

racconto riportato nel suo necrologio su un giornale pavese, il sottotenente

Pizzocaro «compiva un’ardita esplorazione ritornando con preziosissime

informazioni, sulle quali il Comando si basava per l’avanzata. Fu uno dei

primi a slanciarsi all’assalto alla testa del suo drappello: ma fatalmente

incolse in una mina che lo stramazzò a terra fatalmente ferito»; trasportato

alla quarta Sezione di sanità, muore dopo due giorni, il 25 ottobre 1915. Sarà

decorato con medaglia d’argento al valor militare.

Storia di Achille Baroffio

Dati anagrafici:

Nome e cognome: Achille Baroffio

Data di nascita: 2 agosto 1890

Luogo di nascita: Pavia

Luogo di residenza: Pavia

Professione: Contabile

Statura: 1,68 ½

Capelli: castani

Occhi: castani

Fondi di riferimento: libretto commemorativo realizzato dai genitori in

memoria del figlio morto in guerra con note biografiche, trascrizioni di

alcune lettere di condoglianze, annunci mortuari e foglio manoscritto della

madre in ricordo del figlio, conservati presso l’Archivio storico civico; foglio

matricolare del soldato.

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Achille Baroffio nasce il 2 agosto 1890 in una famiglia della piccola borghesia

pavese. Un ruolo importante nella sua formazione ed educazione, è rivestito

da un suo prozio, Achille Maiocchi, vera e propria icona vivente, personaggio

centrale nella mitologia di famiglia, in quanto colonnello Garibaldino a

Calatafimi e deputato al Parlamento italiano per diverse legislature.

Stimolato dal padre Luigi e dalla madre Maria Troncori ad avviarsi alla

carriera degli studi, Achille frequenta l’Istituto tecnico di Pavia conseguendo

il diploma di Ragioniere; viene successivamente assunto, per svolgere un

tirocinio, alla Banca Popolare Agricola di Pavia e, in seguito, viene impiegato

come contabile alla sede del Credito Italiano di Milano.

Nel 1910 è soldato di leva, inquadrato nel 78° Reggimento Fanteria (passa

successivamente al 79° Fanteria); viene mandato in congedo il 6 novembre

1911 con concessione della dichiarazione di aver tenuto buona condotta e di

aver servito con fedeltà e onore.

Nel 1914, a ventitré anni, Achille è scelto dalla Direzione Generale del Credito

Italiano per dirigere la contabilità nella nuova sede di Catania, assumendo la

qualifica di capocontabile e, allo stesso tempo, ricevendo dalla Direzione

l’assicurazione che, entro due anni, sarebbe tornato a Milano e promosso

Procuratore della Banca. Scoppia invece la guerra: il 24 maggio 1915 si

presenta al 4° Reggimento Fanteria in seguito alla mobilitazione generale e,

immediatamente, parte per il fronte.

Achille viene aggregato alla VI Compagnia del 146° Fanteria e combatte in

Carnia, sul monte Cimone. Dopo otto mesi, trascorso l’inverno 1916, viene

inviato al Corso Allievi Ufficiali e, con il grado di Aspirante, è assegnato al

239° Fanteria, dislocato sul monte Sober. Iniziano i mesi più duri, trascorsi

nelle trincee del Carso. Dal fronte scrive spesso ai genitori, rassicurandoli per

la propria salute e dissimulando i frequenti pericoli della vita in trincea. Il 7

settembre 1917, mentre svolge una ricognizione con alcuni soldati, Achille

viene colpito all’addome e alle gambe dalle schegge provocate da una granata

nemica. Muore poche ore dopo, assistito dal cappellano militare, mentre un

suo superiore, il maggiore Giovanni Solentino, raccoglie i suoi oggetti

personali da inviare ai famigliari: il portafoglio, un orologio, un anello, una

penna, una lampadina elettrica, gli indumenti.

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A distanza di alcuni anni, i genitori realizzano un libretto commemorativo per

onorare la memoria del figlio, in cui rielaborano l’intera esistenza di Achille e,

in particolare, i suoi ultimi istanti di vita, in una narrazione accorata e

malinconica, inframmezzata da preghiere, necrologi, componimenti poetici,

brevi pensieri di amici e familiari. Il giovane soldato è ricordato dei suoi

genitori come «la luce, l’orgoglio, la gioia» che «ottenebrò per sempre colla

Sua dipartita il roseo sorriso del loro cielo che non avrà più sereno». Gli

ultimi momenti di vita vengono illustrati passo a passo; i resoconti inviati dai

commilitoni si confondono alle rappresentazioni elaborate dagli stessi

genitori: «con infinita sovrumana pietà non si lamentava per sé, non piangeva

la gioventù perduta ma si straziava al pensiero del dolore che avrebbe

provato la Mamma sua alla quale rivolse l’estremo pensiero».

In questo singolare componimento funebre realizzato dai genitori, sono

pressoché del tutto assenti i richiami nazionalistici e patriottici alla guerra

“redentrice” ma, quasi a connettere la vita di Achille con la generazione degli

avi eroi del Risorgimento, riecheggiano i miti e le memorie familiari: «Era il

Ragioniere Achille Baroffio, nipote del prode Colonnello Garibaldino Achille

Maiocchi, l’eroico mutilato di Calatafimi, che diè il suo braccio alla Patria e

cinque legislature al Parlamento Italiano, nipote del Generale Ingegnere

Zanzi e dell’insigne patriota Avv. Gerolamo Forni: era quindi naturale che se

egli nulla diceva di sé, di lui scrivessero i suoi Superiori le innate virtù».

Storia di Giulio Salaroli

Dati anagrafici:

Nome e cognome: Giulio Salaroli

Data di nascita: 16 giugno 1898

Luogo di nascita: Ferrara

Luogo di residenza: Pavia

Professione: Studente

Statura: /

Capelli: /

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Occhi: /

Fondi di riferimento: lettere a famigliari e amici conservate presso

l’Archivio storico civico; edizione del giornale pavese “Giovine Italia” in

commemorazione della sua morte, conservato presso l’Archivio storico

civico; fascicolo personale presso l’Archivio storico dell’Università degli Studi

di Pavia; note biografiche nell’annuario 1918-19 dell’Università degli Studi di

Pavia; diario di prigionia di Angelo Rognoni, pubblicato, in cui sono citati

episodi di prigionia assieme a Giulio Salaroli.

Giulio Salaroli nasce a Ferrara da Lamberto Salaroli e Elvira Bertelli. Il padre,

medico, cambia di frequente la sede del proprio lavoro e così, anche Giulio,

assieme alla madre, alle sorelle e ai fratelli minori, lo segue nei vari

spostamenti: prima a Como, dove Giulio inizia a frequentare il Ginnasio, poi

ad Ancona, dove consegue il diploma liceale nell’ottobre 1915.

A scuola, Giulio si distingue in particolar modo nelle materie letterarie ma

sono soprattutto la poesia e il teatro le sue vere passioni: con gli amici si

diverte a declamare le poesie di D’Annunzio e di Carducci e a organizzare

piccoli spettacoli teatrali. Nello stesso tempo matura anche una coscienza

politica che lo avvicina agli ideali repubblicani, al pensiero di Mazzini e che,

nei confronti della guerra, lo porta su posizioni di convinto interventismo.

Dopo il liceo, Giulio inizia gli studi in Legge all’Università di Macerata ma qui

trascorre soltanto il primo anno; nel 1916, infatti, si sposta con la famiglia a

Pavia, iscrivendosi al secondo anno di Giurisprudenza.

Nella città lombarda, Giulio si immerge subito nella vivace vita politica locale,

avvicinandosi ai movimenti studenteschi più ribelli e contestatari. Entra in

contatto con l’Associazione studentesca repubblicana “Giovine Italia”,

divenendone Consigliere nel 1916 e collaboratore nel suo giornale periodico.

All’interno del circolo repubblicano si fa anche promotore di varie iniziative

culturali fondando la “Sezione dilettanti Filodrammatici”, una compagnia

teatrale che si presenta al pubblico per la prima volta nel salone degli

Impiegati Civili nel febbraio 1917: vanno in scena “L’Assessore” e la

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“Stroncatura”, dramma in due atti dell’amico, futurista pavese, Angelo

Rognoni.

Anche con gli amici pavesi, Giulio si distingue come appassionato recitatore

di poesie: come verrà ricordato, dopo la sua morte, «non vi è alcuno che dopo

avere sentito la “Preghiera dei cittadini” di Gabriele D’Annunzio, o le Odi di

Carducci, o il Giuramento del “Romanticismo” di Rovetta, come Salaroli le

sapeva dire, potesse rimanere insensibile, senza sentirsi trascinato dal più

grande entusiasmo».

Con la chiamata alle armi della classe 1898, la Sezione Filodrammatica di

Salaroli si svuota ed è costretta a sciogliersi. Anche Giulio accorre a

partecipare alla guerra che aveva voluto e invocato. Prima di partire, incontra

i compagni della “Giovine Italia” per un’ultima volta; come commiato, gli

amici gli chiedono di declamare ancora una volta un verso, o una poesia e

Giulio recita il giuramento mazziniano della Giovine Italia: «Giuro di

consacrarmi tutto e sempre …».

Inquadrato nell’esercito, il giovane partecipa al corso alla Scuola Militare di

Parma e, prima di partire per il fronte, ritorna a Pavia, dove rimane ancora

per un mese. A metà ottobre 1917 parte definitivamente, con il grado di

Sottotenente, per raggiungere l’89° Fanteria (Brigata “Salerno”) sul Carso,

dove ritrova l’amico Angelo Rognoni. Giulio ha diciannove anni.

Trascorre tuttavia poche settimane al fronte; alla fine del 1917, infatti, nel

corso di un combattimento, è fatto prigioniero e inviato nel campo di

concentramento tedesco per ufficiali di Celle, nella Bassa Sassonia. Il viaggio

verso il campo è lungo e difficoltoso per Giulio che, colpito da un principio di

congelamento, è costretto a farsi trascinare dai compagni durante la marcia.

In pieno inverno, durante un periodo di internamento al campo di Crossen

am Oder, prima di giungere a Celle, Giulio si ammala gravemente; secondo le

memorie di Angelo Rognoni, «Salaroli soffre terribilmente e vorrebbe entrare

al lazarett. I suoi piedi si sono gonfiati; da più giorni non si alza dal

pagliericcio e noi gli portiamo la scodella con la sbobba. Sviene

frequentemente e delira. Ha attacchi di tosse che non riesce a frenare.

Brancola poi si accascia».

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È ancora inverno quando Salaroli e Rognoni vengono infine inviati a Celle.

Anche nel campo per ufficiali le condizioni di vita sono durissime e

colpiscono pesantemente Giulio nella salute e nel morale. Dalla prigionia

scrive lettere accorate alla madre e al padre, dai quali, a causa delle difficoltà

postali, non giungono che risposte molto saltuarie; Giulio attende pacchi di

vestiario e di alimenti, ma più di tutto invoca notizie da casa, che possano

idealmente accorciare la distanza con i genitori lontani.

Come scrive alla madre, nel febbraio 1918, «io passo i miei giorni in continuo

pensiero di voi. Mamma mia, come tutti i vostri cari volti mi stanno impressi

nel cuore e come mi è dolce rievocarle queste vostre immagini!». Sono

proprio i ricordi familiari a non far precipitare Giulio nella disperazione e

sovente, nelle sue lettere, si sofferma su episodi della propria infanzia che

rievoca e rivive quasi come una terapia alle sofferenze della prigionia: «Ti

ricordi, mamma, le dolcezze che provavamo nei nostri discorsi, in tutte le

nostre cose? Babbo! Mamma! Sorelle! Fratelli! Che nomi dolci; santi! Come mi

si velano gli occhi di commozione rievocandoli». Il pensiero di Giulio rimane

spesso rivolto all’attesa della liberazione e del ritorno a casa: «Quando io

penso che verrà un giorno, Dio volesse fosse vicino, da cui mi ritroverà in

seno agli adorati miei, è tale e tanta l’emozione che provo, che mi si velano gli

occhi e resto per ore immobile su tale pensiero».

Il 24 marzo 1918, domenica delle palme, scrive al padre rivolgendo un

pensiero di pace; l’occasione della festa e soprattutto l’arrivo della primavera

non leniscono però le sofferenze di Giulio: «La vita si rimodella coll’avanzare

della primavera ma pel prigioniero nulla è nuovo se non la crescente quantità

d’amore e forse anche di bontà, perché chi soffre è sempre buono». La

condizione di sofferenza e di prigionia spingono il giovanissimo ufficiale

Salaroli a riflettere anche sul passaggio, ormai sancito dall’esperienza di

guerra, alla vita adulta: «Come la mia mente vaga nel passato! L’anno scorso a

quest’ora inconsciamente godevo noncurante, oggi considero tutto; sono

diventato uomo».

Nonostante le assicurazioni ai famigliari sul buono stato della propria salute,

Giulio rimane gravemente ammalato. Nel mese di agosto viene portato nel

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lazzaretto del campo, il medico gli diagnostica una nefrite, un’infiammazione

renale. Muore dopo venti giorni di lazzaretto.

Durante l’inaugurazione dell’anno accademico 1918-1919, a Pavia, Giulio

Salaroli, assieme agli altri studenti dell’università pavese morti in guerra,

riceverà la laurea honoris causa e la sua fotografia, con alcune brevi note

biografiche, saranno inserite nell’annuario 1918-19.

Storia di Giuseppe Resegotti

Dati anagrafici:

Nome e cognome: Giuseppe Resegotti

Data di nascita: 25 agosto 1898

Luogo di nascita: Tromello

Luogo di residenza: Zerbolò (Pavia)

Professione: studente

Statura: 1,73

Capelli: neri

Occhi: castani

Fondi di riferimento: 2 cartoline dal lager di Celle, conservate presso

l’Archivio storico civico; 2 articoli di giornale commemorativi; fascicolo

personale presso l’Archivio storico dell’Università degli Studi di Pavia; note

biografiche realizzate dai famigliari all’interno della pratica per le lauree

honoris causa, Archivio storico dell’Università degli Studi di Pavia; diario di

guerra, pubblicato; note biografiche nell’annuario 1918-19 dell’Università

degli studi di Pavia; foglio matricolare.

Giuseppe Resegotti nasce a Tromello, un piccolo paese nel cuore della

Lomellina, il 25 agosto 1898 da Annibale Resegotti, conduttore di Cascina

Boschetta a Zerbolò, e Francesca Valle.

Si iscrive al liceo “Ugo Foscolo” di Pavia, dove ottiene il diploma nel

settembre 1916: dai voti dello scrutinio finale, si deduce la sua predilezione

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per le materie letterarie, oltre a educazione fisica, e una certa difficoltà nelle

materie scientifiche. Dopo il liceo decide comunque di iscriversi alla facoltà di

Medicina e Chirurgia. La sua vita accademica si interrompe tuttavia ben

presto, appena il tempo di sostenere tre esami del primo anno di Medicina: il

2 gennaio 1917 è infatti chiamato alle armi e il 22 aprile 1917 è inviato alla

Scuola Militare di Parma come aspirante allievo ufficiale di complemento,

dove, fra le reclute pavesi, incontra anche l’amico Giulio Salaroli. Ne esce con

il grado di Aspirante all’inizio dell’ottobre 1917 ed è assegnato al 20°

Reggimento Bersaglieri. Avendo già superato alcuni esami di Medicina, gli

viene offerta l’opportunità di passare alla sezione di sanità e di svolgere

l’attività di medico sul campo: Giuseppe rifiuta; come ricorderanno i genitori

«Non volle per dare maggiore tributo, come ufficiale di arma combattente,

alla sacra causa per la quale aveva sempre entusiasticamente parteggiato».

La guerra aveva già sconvolto al suo interno la famiglia Resegotti: i tre fratelli

di Giuseppe, infatti, nel 1917 si trovavano al fronte; un fratello, Enrico, è

capitano medico e morirà il 14 marzo 1918 per malattia; un altro fratello è

sacerdote, arruolatosi all’entrata in guerra dell’Italia; un altro ancora si

trovava in America prima della guerra ed era tornato in Italia per rispondere

alla chiamata alle armi.

Il 13 ottobre 1917 anche Giuseppe giunge in territorio di guerra. È poco più

che un ragazzino, ha diciannove anni, e si ritrova a comandare soldati molto

più anziani di lui: «Se sarò prudente sarà per essi, perché ho cara la loro vita,

perché penso che hanno moglie e figli», appunta nel suo diario di guerra.

Il 24 ottobre Giuseppe raggiunge la linea del fuoco; è il giorno della battaglia

di Caporetto e Giuseppe, nel suo diario, descrive la disfatta con smarrimento

e sconcerto: «mi assale un po’ di scoraggiamento nel notare che nulla è

preparato per la difesa». Il giorno successivo, il 25 ottobre 1917, viene

catturato dai tedeschi assieme a tutto il reggimento. Nella marcia verso i

campi di concentramento, Giuseppe nota incredulo che molti soldati

prigionieri appaiono allegri e anzi scherniscono gli ufficiali: «è finita la

cuccagna».

Nel suo diario Giuseppe descrive il viaggio verso il campo alternando parole

di profonda amarezza a momenti di sconcerto: nella condizione di

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prigioniero, vede infatti crollare tutte le certezze che lo avevano

accompagnato al conflitto, i ruoli e le gerarchie si mescolano e lui, da ufficiale

addestrato alla disciplina di guerra, ritorna nei panni di un ragazzino lontano

da casa, impaurito e demoralizzato.

Dopo alcune soste in campi di prigionia intermedi, dove rivede anche l’amico

Salaroli gravemente malato, giunge alla destinazione finale, il lager di Celle. Il

suo diario si interrompe alla data dell’11 novembre 1917.

Nel campo di prigionia, Giuseppe si ammala gravemente. Come testimoniano

due sue cartoline all’amica Lina Cordone di Pavia anche il morale è abbattuto;

si tratta di cartoline non scritte di pugno dal prigioniero, come riporta un

tratto di testo nella cartolina stessa, ma probabilmente dettate a un altro

prigioniero a causa del suo grave stato di salute. Il 6 giugno 1918 scrive:

«Cosa vuole, mi trascino come una carretta rotta: lei si ricordi di me preghi

per me e cerchi di consolare i miei poveri vecchi e tutti i miei cari che sia per

l’Enrico sia per me chi sa in quali dolori saranno immersi. Io sono

perfettamente rassegnato alla volontà Diddio o almeno cerco di esserlo il più

possibile».

Un ultima cartolina, inviata l’11 luglio 1918, esprime ancora rassegnazione e

quasi apatia di fronte alla sua condizione di prigioniero gravemente malato:

«Anche a lei scrivo questa cartolina tanto perché conservi mio ricordo: di

nuovo non so cosa dirle, la mia salute continua sempre ugualmente».

Giuseppe Resegotti muore dopo venti giorni, il 31 luglio 1918. Anche lui

riceverà, durante l’inaugurazione dell’anno accademico 1918-19, la laurea

honoris causa in medicina.

Storia di Giuseppe Angelo Lodigiani

Dati anagrafici:

Nome e cognome: Giuseppe Angelo Lodigiani

Data di nascita: 22 settembre 1899

Luogo di nascita: Robbio

Luogo di residenza: Robbio

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Professione: contadino

Statura: 1,70

Capelli: castani

Occhi: castani

Fondi di riferimento: foglio matricolare.

La storia di Giuseppe Angelo Lodigiani è simile a quella di molti altri

giovanissimi ragazzi, strappati dagli affetti familiari e ritrovatisi

improvvisamente in trincea senza reali motivazioni o valide spiegazioni nei

confronti della guerra in corso.

Giuseppe Angelo nasce a Robbio, un centro agricolo della Lomellina

settentrionale disposto lungo il confine con il Piemonte. I genitori, Luigi

Lodigiani e Giulia Bertone sono contadini e lui stesso è un lavoratore della

terra. Al momento dell’entrata in guerra dell’Italia ha quindici anni e,

probabilmente, vive il conflitto bellico come un fatto lontano, che non lo

coinvolge direttamente.

Nel maggio 1917, tuttavia, anche Giuseppe Angelo viene iscritto nel Distretto

militare di Pavia come soldato di leva di terza categoria. Il 17 giugno 1917

viene chiamato alle armi per la mobilitazione generale: non ha ancora

compiuto diciotto anni.

Inizia dunque nell’estate 1917 la storia militare di Giuseppe Angelo: il 26

giugno 1917 viene collocato nel deposito del 53° Reggimento Fanteria ma,

dopo la disfatta di Caporetto, nel novembre, viene mandato in territorio di

guerra come soldato del 13° Battaglione di marcia, ovvero un reparto di

reclute sommariamente addestrate, che serve da rimpiazzo ad altri reparti.

Il 24 febbraio 1918 viene inquadrato nel 42° Reggimento fanteria ma, la

conoscenza diretta della morte di massa e della rigida disciplina di guerra,

deve avergli fatto maturare una viva repulsa verso le forme della gerarchia

militare. Il 24 luglio 1918 viene infatti rinchiuso nelle «camere di

punizione» in attesa di giudizio: è accusato di reati militari particolarmente

gravi e infamatori, tra cui il rifiuto di compiere un servizio di guerra in

presenza del nemico, di insubordinazione con insulti, minacce e vie di fatto

298

verso un caporale. Si tratta di reati puniti, secondo il codice penale

dell’esercito, con pene molto elevate, inasprite peraltro in quanto commessi

in stato di guerra; l’insubordinazione e la scelta della disobbedienza

compiute da Giuseppe Angelo mettono infatti in discussione la natura del

rapporto gerarchico e il rapporto di autorità tra ufficiali e soldati.

Il 3 agosto 1918 il giovane soldato viene condannato dal Tribunale Militare di

Guerra del 6° Corpo d’Armata alla pena complessiva di 25 anni di reclusione

militare «con ogni altra conseguenza di legge per il reato di rifiuto di

compiere un servizio di guerra in presenza del nemico». Il giorno successivo

parte dal territorio dichiarato in stato di guerra e viene rinchiuso nelle

carceri di Livorno: passerà gli anni della giovinezza in prigione.

Dopo la fine del conflitto, nel luglio 1919, la pena sarà ridotta a 22 anni di

reclusione e, successivamente, nel febbraio 1922, sarà ancora ridotta a 12

anni e 6 mesi con commutazione della condanna in condizionale.

Le ultime notizie sul conto di Giuseppe Angelo Lodigiani risalgono al periodo

della seconda guerra mondiale quando, il 10 febbraio 1943, viene iscritto nel

ruolo 115 della forza in congedo Fanteria del distretto militare di Pavia.

Storia di Francesco Domenico Albertario

Dati anagrafici:

Nome e cognome: Francesco Domenico Albertario

Data di nascita: 9 maggio 1891

Luogo di nascita: Bornasco

Luogo di residenza: Pavia

Professione: studente

Statura: 1,67

Capelli: biondi

Occhi: grigi

Fondi di riferimento: fotografia con ruolo militare presso il fondo Prima

guerra mondiale del Museo del Risorgimento di Pavia; note biografiche nel

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libretto commemorativo dei caduti in guerra del collegio “San Francesco” di

Lodi, nell’albo d’oro dei medici caduti e nell’annuario 1918-19 dell’Università

degli studi di Pavia; lettera dei famigliari al deputato pavese Roberto

Rampoldi con note biografiche di Albertario; “santino” in sua memoria

realizzato dopo la morte; fascicolo studente presso l’Archivio storico

dell’Università degli Studi di Pavia; note biografiche composte dai famigliari

nella pratica generale per il conferimento delle lauree honoris causa presso

l’Archivio storico dell’Università degli Studi di Pavia; foglio matricolare.

Francesco Albertario nasce in una famiglia di possidenti terrieri originaria di

Gualdrasco, frazione del comune di Bornasco, un piccolo centro a pochi

chilometri da Pavia. Il padre, Filippo Albertario, è sindaco di Bornasco,

mentre lo zio, il grand’ufficiale Ferdinando Albertario, è presidente della

Deputazione Provinciale.

Francesco compie gli studi liceali in un istituto privato, il collegio “San

Francesco” di Lodi, diretto dai Padri Barnabiti. Dai voti dello scrutinio finale

del novembre 1910, inclusi nel Diploma di licenza liceale, si deduce che

Francesco non è propriamente uno studente modello: italiano, latino, filosofia

non sembrano andargli a genio e, in queste materie, deve ripetere l’esame

nella sessione di ottobre 1910, mentre nelle discipline scientifiche ottiene la

sufficienza a luglio.

Ottenuto il diploma, Francesco si iscrive all’Università di Pavia

immatricolandosi il 2 novembre 1910 alla facoltà di Medicina e Chirurgia. Nel

settembre 1911 ottiene quindi la proroga per ritardare il servizio militare.

Secondo i registri dei corsi seguiti, partecipa a molte lezioni ma gli viene

negato l’attestato di diligenza per alcuni insegnamenti particolarmente ostici,

tra cui dissezione anatomica, tecnica delle dissezioni, anatomia applicata alla

chirurgia. Dagli incartamenti risultano pochi esami sostenuti e,

probabilmente anche a causa di queste difficoltà negli studi, nel dicembre

1913 presenta una domanda di trasferimento per il 4° anno di medicina

all’Università di Modena. La carriera universitaria, tuttavia, si interrompe a

causa della guerra.

300

Il 22 maggio 1915 Francesco è chiamato alle armi: come molti suoi compagni

studenti di medicina, le competenze acquisite negli studi universitari

dovranno ora essere messe in pratica prestando servizio in qualità di medico.

L’8 giugno 1915 viene inquadrato nella 2° Compagnia di Sanità; comincia

quindi, in un primo tempo, a svolgere l’attività di medico negli ospedali

militari di Pavia e Alessandria – dove vengono inviati i soldati bisognosi di

cure direttamente dal fronte – ottenendo prima il grado di caporale e,

successivamente, di sergente. Nel maggio 1916, infine, è Aspirante

sottotenente medico alla Direzione di Sanità di Alessandria ma, in questa

città, rimane soltanto fino agli inizi di giugno.

L’11 giugno 1916 giunge infatti in territorio dichiarato in stato di guerra e

viene aggregato al 141° Reggimento Fanteria (Brigata Catanzaro) comandato

dal colonnello Attilio Thermes. Appena raggiunta la sua Brigata, Francesco

non trova certamente una situazione distesa nei rapporti tra ufficiali e

truppa: soltanto poche settimane prima, alla fine del maggio 1916, lo stesso

colonnello Thermes aveva infatti ordinato l’esecuzione sommaria di 12

soldati della Brigata Catanzaro, accusati di sbandamento e diserzione.

Francesco inizia comunque a svolgere la sua mansione di addetto al servizio

medico di reggimento. Tra i suoi compiti, si occupa di soccorrere i soldati

feriti nelle trincee, agendo direttamente sul campo e sulla linea del fuoco. È

proprio mentre svolge il suo servizio che, l’11 agosto 1916, a soli due mesi

dal suo arrivo al fronte, viene colpito mortalmente da una pallottola nemica.

Francesco si trovava con la sua brigata, intenta alla conquista delle pendici

occidentali del monte Nad Logem, nei pressi di Gorizia.

Viene sepolto nel cimitero militare di Vallone Doberdò, sotto il Nad Logem e

il colonnello Thermes informa i famigliari del triste avvenimento: «Tra noi

che lo amavamo per la sua bontà e per l’amore con cui adempiva al Suo

pietoso ufficio, la sua perdita ha lasciato largo compianto».

Nel 1918, a guerra conclusa, riceve la laurea honoris causa in medicina

dall’Università di Pavia.

Storia di Enrico Petrella

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Dati anagrafici:

Nome e cognome: Enrico Petrella

Data di nascita: 18 agosto 1896

Luogo di nascita: Pavia

Luogo di residenza: Pavia

Professione: studente

Statura: /

Capelli: /

Occhi: /

Fondi di riferimento: fotografia con note biografiche presso il Museo del

Risorgimento di Pavia, fondo Grande guerra; lettera e cartoline di Petrella da

Mogadiscio, note biografiche dattiloscritte, lettera di lascito della madre

conservate presso l’Archivio storico civico, fondo Prima guerra mondiale.

La storia di vita di Enrico Petrella è la vicenda di un giovane pavese che ha

voluto concepire la guerra e l’azione militare come una grande avventura,

un’impresa eroica, intrinsecamente individualistica. Una simile visione si

inquadra pienamente nelle correnti culturali che in Italia si sono battute per

l’intervento, invocando la guerra come un’esperienza redentrice e

giovanilistica.

Enrico Petrella nasce a Pavia da Salvatore e da Erminia Broglia. Trascorre i

primi anni di vita nella città lombarda, dove vivranno sempre i famigliari e gli

amici, ma termina gli studi liceali a Forlì. Conseguito il diploma, si iscrive, nel

1915, all’Università di Perugia, alla facoltà di Ingegneria. Il 22 settembre

1915, Enrico è tuttavia chiamato alle armi e si presenta al Distretto militare

di Forlì. Nel gennaio 1916 entra nella Scuola militare di Modena come allievo

al corso accelerato per ufficiali; segue un corso per mitraglieri, ottenendo

ottime valutazioni: ne esce il 30 novembre 1916 con il grado di sottotenente.

Due settimane dopo è già in territorio in stato di guerra, aggregato presso il

12° Reggimento Bersaglieri. Al fronte è istruttore di Arditi, istruttore di

lancio di bombe a mano ed esploratore.

302

Trascorre in territorio di guerra tutto l’inverno e la primavera del 1917. Il 27

maggio, sul Monte Vodice, è al comando di un plotone d’Arditi: dopo aver

subito un violento bombardamento, si lancia con i suoi uomini attraverso le

difese avversarie; rimane ferito per lo scoppio di una bomba a mano ma non

rinuncia all’impresa e rimane, con pochi bersaglieri, sulla posizione

raggiunta. In seguito a questo episodio gli verrà conferita una medaglia

d’argento al valor militare.

A causa del ferimento, lascia il territorio di guerra e rientra al Deposito

Bersaglieri di Barletta: rimane in aspettativa per infermità per quattro mesi,

fino al dicembre 1917. Il 10 dicembre si ricongiunge al 12° Reggimento

Bersaglieri con una promozione al grado di tenente.

La propensione alla continua ricerca di esperienze avventurose ed eroiche,

già dimostrata dalle sue azioni con gli Arditi, spinge Enrico ad arruolarsi nel

Battaglione Scuola Aviatori, nel febbraio 1918: frequenta il corso di

pilotaggio e, il 28 giugno 1918. ottiene il brevetto di pilota militare su

apparecchio Farsan 122 1914. Sono gli ultimi mesi di guerra ed Enrico

compie le sue prime azioni aeree con la qualifica di Ufficiale capolinea

Aviatore.

Terminata la guerra, Enrico decide di rimanere nell’aviazione militare e di

gettarsi in una nuova avventura: quella coloniale. Nel novembre 1919, a

ventitré anni, raggiunge l’Eritrea, dove prende servizio al Campo di Aviazione

di Gioia del Colle. Si trasferisce in seguito al Nucleo di Aviazione della

Somalia, a Mogadiscio.

Alcune lettere inviate da Mogadiscio ad amici pavesi, testimoniano la sua

curiosità per gli spazi esotici della colonia italiana; il 16 maggio 1921 scrive

all’amica Noemi Morani: «Sono stato a caccia ed ho ucciso, credo per sbaglio,

qualche bestiaccia stanca della vita; qualche coccodrillo un ippopotamo e

altri insetti di calibro minore». Ed è lui stesso a destare curiosità tra le

popolazioni indigene: «Abbiamo cominciato a svolazzare anche qui fra la

grande meraviglia degli indigeni presso i quali sono diventato niente meno

che il tenente acimleer (tenente uccello), che roba!».

303

È proprio nel corso di un’esercitazione aerea che, il 17 giugno 1921, Enrico

Petrella, assieme al suo assistente, cade con il velivolo poco dopo aver preso

il volo, probabilmente per un guasto al motore. Enrico muore sul colpo.

Il funerale si svolge a Mogadiscio, con grande solennità: Enrico Petrella è

salutato come eroe di guerra e alla cerimonia partecipano anche il Duca degli

Abruzzi e il Governatore della Colonia. In sua memoria l’aeroporto

internazionale di Mogadiscio viene intitolato a “Enrico Petrella” e, ancora

oggi, quella è la sua denominazione.

Gli oggetti raccolti da Enrico in Somalia, testimonianze della presenza

coloniale italiana e manufatti locali, saranno donati dalla madre alla città di

Pavia, attualmente conservati nel Museo civico Robecchi Bricchetti.

Storia di Achille Malcovati

Dati anagrafici:

Nome e cognome: Achille Malcovati

Data di nascita: 21 gennaio 1897

Luogo di nascita: Pavia

Luogo di residenza: Pavia

Professione: commesso

Statura: 1,71

Capelli: castani

Occhi: castani

Fondi di riferimento: diplomi e attestati conservati presso l’Archivio storico

civico; articoli di Malcovati su stampa combattentistica locale; libretto in sua

memoria realizzato dalla famiglia dopo la sua morte; foglio matricolare.

Achille Malcovati nasce nel 1897 da Angelo Malcovati, panettiere con bottega

in Strada nuova e da Maria Lardera. Ha un fratello e una sorella: Enrica, più

grande di tre anni, diverrà insigne filologa e accademica, docente presso

l’Università pavese; Piero, il fratello più piccolo, sarà medico e celebre

304

studioso in campo ostetrico e ginecologico. La vocazione di Achille non si

orienta, come nei fratelli, verso gli studi, ma si manifesta sin da giovane in

un’indole più pratica e in un temperamento attivistico ed esuberante;

sviluppa, ancora ragazzino, una visione della vita come esperienza eroica, che

si concretizza, di conseguenza, nelle sue convinzioni irredentistiche e

interventiste.

Achille frequenta la Scuola Tecnica “Felice Casorati” e, nel 1911, si iscrive

all’Istituto Tecnico “Antonio Bordoni”. Come intere generazioni di pavesi di

quell’epoca, anche Achille viene educato dai maestri e dagli insegnanti nel

mito del garibaldinismo e del Risorgimento che, in una città come Pavia, si

identifica nella saga familiare e politica dei Cairoli. Achille, quasi

istintivamente, diventa repubblicano e, allo scoppio della guerra in Europa,

nel 1914, non ha alcuna intenzione di restare passivo a osservare gli eventi:

decide, a diciassette anni, di lasciare la scuola, di scappare di casa e, assieme

all’amico Luigi Maino, di raggiungere la Liguria e da lì la Francia, dove si

arruola nella Legione Garibaldina organizzata da Peppino Garibaldi. Il 3

novembre 1914 giunge una cartolina in casa Malcovati con la fotografia del

giovanissimo Achille, in uniforme garibaldina: «A Te mio caro Padre,

chiedendoti perdono, giurando di essere soldato e figlio, con tutto l’affetto del

mio cuore. Viva la libertà dei Popoli». Mario fa parte della 7° compagnia, con

il ruolo di tamburino e si avvia a combattere in difesa della Francia.

Nel gennaio 1915, dopo le sanguinose battaglie di Bois de Bolante e di Four

de Paris, nelle Argonne, Luigi Maino muore sul campo e Achille è dato per

disperso. Viene ritrovato, ferito, ma, con lo scioglimento della Legione

garibaldina, fa ritorno a Pavia, dove è accolto come un eroe.

Partecipe alle manifestazioni interventiste e il 5 maggio 1915 è allo scoglio di

Quarto, assieme ai garibaldini delle Argonne.

Il 27 maggio 1915 inizia il suo secondo volontariato: si arruola a Genova –

città a cui sarà successivamente molto legato – nel 90° Reggimento Fanteria

come soldato semplice volontario. Tre giorni dopo è in territorio dichiarato

in stato di guerra.

Nell’intera vicenda bellica di Achille Malcovati si susseguono azioni

temerarie, imprese e decorazioni militari; il 19 agosto 1915, sul monte Sleme,

305

è ferito all’addome e al ginocchio: dopo un intervento urgente nella Sezione

Chirurgica mobile della II Armata, viene inviato per le cure e la convalescenza

all’Ospedale militare allestito presso il collegio Ghislieri di Pavia. Dopo circa

sei mesi è già pronto per ritornare sul campo: aggregato nel 90° Reggimento

Fanteria giunge al fronte il 25 febbraio 1916; il 10 giugno è promosso

caporale ma, il 19 giugno è nuovamente ferito: viene colpito dalla scheggia di

una granata al braccio destro. Nuovamente inviato al Deposito del 90°

Fanteria, dopo un mese è ancora sul fronte con una promozione ad Aiutante

di Batteria. Il 22 agosto 1917, sul Carso, è ferito per la terza volta: una

pallottola gli trapassa la gamba sinistra. Rimane a riposo per due mesi e, il 1°

novembre 1917, è ancora al fronte con il grado di Sottotenente di

Complemento per merito di guerra.

Alla fine del conflitto mondiale riceve sei medaglie al valor militare – quattro

d’argento e due di bronzo – oltre alla medaglia della Legion d’Onore conferita

dal governo francese. Soldato pluridecorato, martoriato nel corpo dalle

numerose ferite, Achille incarna il modello del veterano vittorioso ed eroico,

giovanissimo ma reso adulto dall’esperienza tragica della guerra. Tornato a

Pavia, nell’immediato dopoguerra diviene lui stesso uno dei punti di

riferimento del reducismo e del combattentismo cittadino. Nel frattempo

riprende gli studi interrotti e, nel 1920, riceve il diploma di agrimensore.

Nei suoi articoli sulla stampa pavese (risalenti agli anni 1923 e 1924)

emergono tutte le tematiche legate al mito della Grande guerra; l’esperienza

della trincea è descritta come prova generazionale che ha inesorabilmente

fatto da spartiacque tra un’Italia vecchia e un’Italia giovane, tra chi ha

combattuto e chi è rimasto a casa: «il XXIV maggio è la sagra della trincea, è la

sagra di coloro che alla guerra hanno dato non parole, adesioni, incitamenti

ma sangue, fatica, anima, cervello, di coloro che hanno vissuto della vita della

trincea tutta la brutale realtà, tutto il fango, tutto il freddo, tutto il sudiciume,

tutte le sofferenze, tutti gli sforzi, tutti gli entusiasmi e tutti gli sconforti tra i

fischi delle pallottole e gli scoppi e gli scrosci dei bombardamenti».

Ricorrente è anche l’idea di una rigenerazione nazionale fondata sul culto dei

morti, su una «religione dei ricordi», quale seconda e definitiva unificazione

nazionale raggiunta grazie al sacrificio dei soldati caduti: «La maestà e la

306

santità della Patria si manifestano, nelle sconosciute vibrazioni degli spiriti

nobili, attraverso la suggestione di una data», il 4 novembre.

La rivendicazione di un combattentismo politico e lo sdegno per la “vittoria

mutilata”, conducono Achille Malcovati ad accostarsi al movimento e al

partito fascista. Durante gli anni del regime rimane fedele all’interpretazione

fascista della Grande guerra e, al momento dell’entrata in guerra a fianco

della Germania, Achille decide nuovamente di arruolarsi volontario: nel 1940

è capitano nel 4° Reggimento Carristi della divisione Ariete, con cui partecipa

alla battaglia di El Alamein. Riceverà un nuovo encomio e una croce al valor

militare.

In seguito all’occupazione tedesca dell’Italia dopo l’8 settembre 1943,

tuttavia, sembra non aderire al fascismo repubblichino; come si evince dai

necrologi e dai ricordi degli amici, Achille dà anzi ospitalità nella sua casa

milanese a ebrei in fuga e combattenti nella Resistenza.

Nel secondo dopoguerra, Achille Malcovati continua la sua attività, iniziata

negli anni ’20, di commerciante e imprenditore a Genova. Si dedicherà infine

a opere di filantropia e di beneficienza. Muore a Nervi il 2 febbraio 1963.

Storia di Francesco Domenico Sacchi

Dati anagrafici:

Nome e cognome: Francesco Domenico Sacchi

Data di nascita: 6 luglio 1896

Luogo di nascita: Pavia

Luogo di residenza: Pavia

Professione: carrettiere

Statura: 1,58 ½

Capelli: castani

Occhi: neri

Fondi di riferimento: foglio matricolare e fascicolo personale presso

l’Archivio di Stato di Pavia.

307

Francesco Domenico Sacchi, giovane carrettiere domiciliato a Pavia, viene

riconosciuto abile di prima categoria il 19 novembre 1915. Chiamato alle

armi il 22 novembre, viene inquadrato nel 91° Reggimento Fanteria e inviato

al fronte.

Dopo poche settimane in territorio di guerra, il 22 gennaio 1916 Francesco

riceve una licenza straordinaria di convalescenza per 90 giorni, in seguito a

«lunga e grave malattia». Dopo il periodo di riposo, rientra al Corpo il 22

aprile.

In seguito al suo rientro, Francesco sembra maturare una crescente

insofferenza verso la disciplina militare. L’8 giugno 1916 è infatti punito a tre

giorni di carcere, come recidivo, per indisciplina e l’11 luglio è nuovamente

punito, a 10 giorni di carcere, perché «Si assentava dal distaccamento per 60

ore».

Nel 1917 Francesco è aggregato al 154° Reggimento Fanteria ma, nel mese di

settembre, viene colto da un nuovo e ben più grave provvedimento

disciplinare. Francesco è infatti denunciato al Tribunale di Guerra del 25°

Corpo d’Armata per il grave reato previsto dall’articolo 92 del Codice penale

dell’esercito: l’articolo prevede la pena di morte e intende colpire quei soldati

che, in faccia al nemico, si sbandino, abbandonino il posto, non compiano la

dovuta difesa o si rifiutino di marciare contro il nemico stesso. Francesco è

infatti accusato di essersi rifiutato, il 23 settembre 1917, di obbedire

all’ordine di raggiungere il proprio reparto che si trovava sulla linea del fuoco

e per questo è incarcerato nella prigione del Corpo in attesa di giudizio.

Tradotto alle carceri militari del Tribunale di Guerra del 25° Corpo d’Armata,

il 6 febbraio 1918, Francesco viene infine condannato, con sentenza dell’8

febbraio, alla pena di vent’anni di reclusione e al pagamento delle spese

processuali.

Rimane in carcere per quasi due anni: il 15 dicembre 1919 la pena viene

infatti sospesa e Francesco può lasciare il carcere, grazie all’amnistia

promulgata nel settembre 1919. Inviato a dicembre in congedo illimitato, gli

viene negata la dichiarazione di buona condotta.

308

Storia di Giuseppe Sozzani

Dati anagrafici:

Nome e cognome: Giuseppe Sozzani

Data di nascita: 27 febbraio 1899

Luogo di nascita: Garlasco

Luogo di residenza: Vistarino

Professione: studente

Statura: 1,73

Capelli: castani

Occhi: neri

Fondi di riferimento: lettere di Giuseppe Sozzani inviate dalla Scuola

Militare di Parma, conservate presso l’Archivio storico civico, fondo Prima

guerra mondiale; foglio matricolare.

Giuseppe Sozzani, al momento della chiamata alle armi, è un giovane

studente di Vistarino, piccolo centro nel Pavese nord-occidentale. Soldato di

leva di prima categoria richiamato il 16 febbraio 1917, viene destinato ai

corsi accelerati per Ufficiale di Complemento e inviato alla Scuola Militare di

Parma.

Dalla scuola di Parma invia alcune lettere agli amici pavesi e ai famigliari in

cui racconta la vita di un comune allievo ufficiale, commenta fatti di vita

quotidiana e, soprattutto, trasmette un quadro dell’educazione al

patriottismo e al principio di autorità impartita nelle scuole militari.

Come Giuseppe scrive a un’amica, il 12 giugno 1917, «Qui ci insegnano il

sacrificio: ci dicono i superiori che l’ufficiale di fanteria è la personificazione

del sacrificio. Tutto quello che stiamo imparando proviene da quella sacra

zona che si chiama frontiera della patria, a quella la nostra mente sempre è

rivolta».

Per il giovane, lontano da casa, è frequente il pensiero della famiglia: «alle

volte il ricordo in me suscita un po’ di malinconia»; tuttavia, Giuseppe è

309

anche cosciente di trovarsi a un fatidico punto di una svolta nella propria

formazione personale: «In due mesi la macchina guerresca mi ha trasformato

da pacifico principino borghese in aspirante, che se riuscirò, degli alpini». Si

coglie, in queste frasi, la sensazione di una sublimazione raggiunta attraverso

l’esperienza militare, una trasfigurazione non solo in uomo adulto, ma

nell’archetipo del soldato che si sacrifica per la patria.

Raggiunta la qualifica di Aspirante Ufficiale di Complemento, Giuseppe parte

per il fronte: viene aggregato al 61° Fanteria, 3° Battaglione. Come si evince

dalla sua corrispondenza, raggiunge il territorio di guerra nelle settimane

immediatamente precedenti i giorni caldi di Caporetto. Il 21 novembre, dopo

la disfatta, scrive alla mamma: «Sto riposandomi delle faticose marcie fatte, si

può dire coi tedeschi alle calcagna da Coseano in provincia di Udine fin qui.

Mi pare un sogno il rivedermi sul ponte del Tagliamento e del Piave, pallido»

senza «ne cibo ne bevande».

La descrizione della ritirata offre immagini di crudo realismo, descritte

tuttavia con distacco ed estrema freddezza; Giuseppe appare del resto

assuefatto alla presenza costante della morte di massa: «I cavalli morivano

per la strada, i soldati svenivano. Rivedo i portici di Sacile ove dormii una

notte sui sassi fulminato dalla fatica».

Una descrizione ancor più intensa della ritirata, Giuseppe la offre all’amica

pavese Lina Cardone, nel dicembre 1917: «Si passava tra cavalli stecchiti,

forme umane che non si sarebbero più mosse, fra camion rovesciati, colpiti,

contorti».

Il giovane trascorre gli ultimi mesi del 1917 a Casinalbo, in provincia di

Modena, dove, con i suoi soldati del 61° Fanteria, 3° Battaglione, è alloggiato

a villa Bonacini. Rifugge tuttavia la vita tranquilla delle retrovie e spera di

poter tornare al più presto al fronte: «Nutro speranze di passare negli Alpini;

se così sarà presto me ne andrò di nuovo in linea e saprò vendicare la

perduta libertà di molti miei fratelli d’arme fra i quali Peppino Resegotti».

Non si hanno notizie sulle destinazioni successive di Giuseppe Sozzani o sugli

eventi bellici cui partecipa. Come si evince dal foglio matricolare, dopo la

guerra ritorna a Pavia e viene pacificato il 29 agosto 1925.

310

Storia di Ettore Mariani

Dati anagrafici:

Nome e cognome: Ettore Mariani

Data di nascita: 2 dicembre 1890

Luogo di nascita: Pavia

Luogo di residenza: Pavia

Professione: tipografo

Statura: 1,67

Capelli: castani

Occhi: cerulei

Fondi di riferimento: documenti identificativi di Ettore Mariani dal campo

di prigionia di Mauthausen e fotografie del campo, conservati presso

l’Archivio storico civico, fondo Prima guerra mondiale; foglio matricolare.

Al momento dell’intervento dell’Italia in guerra, Ettore Mariani è un giovane

tipografo che svolge la sua attività a Pavia. Già soldato di leva di terza

categoria, arruolato con la classe 1892 e lasciato in congedo nel maggio 1912,

il 1° giugno 1915 viene chiamato alle armi e inquadrato nel 37° Reggimento

Fanteria. Quattro mesi dopo è sull’Isonzo, in territorio dichiarato in stato di

guerra.

Dopo un mese di combattimenti, Ettore viene ferito: partito dal fronte, è

ricoverato all’ospedale militare allestito all’interno di collegio Ghislieri di

Pavia. Riceve una licenza di convalescenza di due mesi e, il 6 marzo 1916,

rientra al corpo del 37° Fanteria.

Nuovamente in territorio in stato di guerra dal 20 luglio 1916, Ettore viene

aggregato all’87° Fanteria, presso cui riceve una promozione a Caporale.

Come registra il suo foglio matricolare, il 1° giugno 1917 è ancora una volta

infortunato: riporta infatti una contusione al malleolo interno del piede

sinistro nelle trincee di prima linea del Monte Santo.

311

Nell’ottobre 1917, Ettore vive in prima persona la rotta di Caporetto e lui

stesso è fatto prigioniero dagli austriaci. Viene destinato al campo di

prigionia austriaco di Mauthausen, nei pressi di Linz, campo che diverrà

tristemente famoso, anni dopo la conclusione della Prima guerra mondiale,

come lager di sterminio nazista.

Nel campo, Ettore si ammala gravemente ma riesce a scampare dalla

prigionia venendo rimpatriato con un treno della Croce Rossa il 22 giugno

1918, nel corso di uno scambio di prigionieri invalidi.

Tornato in Italia, viene ricoverato in ospedale: prima all’Ospedale Militare di

Saluzzo, dove gli viene concessa una licenza di convalescenza di sei mesi, poi

all’Ospedale militare di Savigliano.

Ettore viene infine inviato in congedo illimitato il 15 agosto 1919 con

concessione della dichiarazione di buona condotta e con il riconoscimento a

usufruire degli assegni di sussistenza per la durata di due anni, in quanto

riconosciuto inabile al servizio militare. Considerato come riformato, viene

collocato in congedo assoluto il 21 novembre 1919. Nel 1922 gli viene infine

concessa la Croce al Merito di Guerra.

La prigionia rimarrà probabilmente una traccia indelebile nella memoria di

Ettore. Anche per adempiere a uno spontaneo impulso di testimonianza,

dopo il suo ritorno in Italia Ettore conserverà alcuni cimeli della sua

esperienza di prigionia: si tratta di oggetti apparentemente insignificanti ma

che, nello stesso tempo, possiedono una valenza documentaria tale da

rendere vivida e concreta la connessione tra l’osservatore di oggi, distaccato

dai fatti del 1917-18, e l’esperienza di Ettore Mariani.

Gli oggetti, oggi conservati dall’Archivio storico civico, comprendono una

placca con il numero di matricola del prigioniero, applicato probabilmente al

berretto o alla giubba; una tessera per la riscossione della paga al campo

prigionieri; documenti di identificazione del prigioniero; vi è anche una

cartolina dove sono riprodotte due fotografie del campo, che stupiscono per

la crudezza delle immagini: una inquadra un prigioniero legato mani e piedi a

un palo, per punizione, sorvegliato dalle guardie; l’altra raffigura un soldato

che addenta voracemente una pagnotta ricevuta tramite un pacco,

312

probabilmente proveniente da casa; la didascalia riporta: «il pacco della

salvezza».

Storia di Agostino Setti

Dati anagrafici:

Nome e cognome: Agostino Setti

Data di nascita: 19 dicembre 1894

Luogo di nascita: Robecco Pavese

Luogo di residenza: Buenos Aires

Professione: falegname

Statura: /

Capelli: /

Occhi: /

Fondi di riferimento: Cartolina fotografica con motivazioni

dell’assegnazione della medaglia al valore ad Agostino Setti, conservata

presso il Museo del Risorgimento di Pavia, fondo Grande guerra; note

biografiche su pubblicazione dedicata ai decorati pavesi.

Agostino Setti nasce a Robecco Pavese, un piccolo paese dell’Oltrepò. È figlio

di due contadini, Luigi Setti e Rachele Poletti. Agostino rimane ben presto

orfano di padre e, per contribuire al sostentamento della famiglia, è costretto,

da giovanissimo, a emigrare: sbarca in America Latina, stabilendosi a Buenos

Aires, dove svolge il mestiere di falegname.

Nei mesi precedenti la dichiarazione di guerra all’Austria, anche Agostino

viene richiamato per la mobilitazione generale: ripercorre la lunga traversata

transoceanica e si presenta al distretto militare di Tortona, dove viene

arruolato nel 1° Reggimento Granatieri.

Nel maggio 1915 varca con il suo Reggimento il confine con l’Austria

raggiungendo il settore di Monfalcone. Ferito in combattimento, riceve, dopo

lunga convalescenza, l’incarico di ciclista porta-ordini per il 4° Battaglione.

313

Durante i combattimenti sul Monte Cengio, in Val Canaglia, a Cesuna, a

Magnaboschi della primavera 1916, Agostino attraversa zone scoperte e

battute dal nemico portando gli ordini tra i vari reparti. Nel settembre è sul

Carso, dove partecipa all’occupazione dell’altura di San Grado di Merna.

Alla fine dell’agosto 1917, il giovane è con i granatieri del 1° Reggimento alla

conquista dello Stari Lovka, sul Carso. Si tratta di una delle battaglie più

sanguinose cui partecipa il Reggimento: moriranno più di 1.500 soldati

italiani. Il 19 agosto, mentre infuriano i combattimenti, Agostino è incaricato

di consegnare un importante ordine, fondamentale per la sorte del suo

battaglione: per farlo, è costretto ad attraversare una porzione di terreno non

coperta da difese e, sotto il fuoco nemico, si lancia correndo nel mezzo del

campo di battaglia. Agostino viene colpito mortalmente, perde molto sangue,

ma raccoglie le ultime energie per proseguire; stringendo la lettera fra i denti,

striscia sul campo fino al comando cui è destinata e, esausto, muore.

Ricca di suggestioni e di valenze simboliche, la vicenda di Agostino Setti si

arricchisce, attraverso la propaganda di guerra, di elementi e particolari

quasi leggendari. Nella costruzione di un’epopea popolare della Grande

guerra, il giovane portalettere che muore compiendo il suo lavoro diviene la

trasfigurazione del soldato esemplare, pronto al sacrificio e al “martirio” per

la Patria: Agostino verrà esibito come il modesto contadino della bassa

pavese, volontariamente tornato dal Sud America per combattere l’Austria

morto valorosamente sotto il fuoco nemico consegnano, stretta fra i denti,

una lettera con importanti comunicazioni. La sua morte verrà raffigurata

dall’illustratore Vittorio Pisani in una cartolina di propaganda intitolata “Il

sacrificio sublime”.

Il 16 agosto 1918, alla memoria del giovane granatiere, verrà concessa la

medaglia d’oro al valor militare con la seguente motivazione:

Costante, fulgido esempio ai compagni di attività, zelo e fermezza, quale ciclista presso il

comando di un battaglione, disimpegnò sempre con infaticabile lena il proprio compito, sotto

furiosi bombardamenti avversari, sprezzante del pericolo e dei disagi, ed essendo di mirabile

esempio anche ai più arditi. Affidatogli in un momento critico dell’azione un ordine di tale

importanza da dover essere recapitato in modo assoluto, partì mentre più intenso era il

fuoco nemico. Colpito a morte durante il cammino e conscio della gravità del momento,

314

raccolte le sue ultime energie, volle trascinarsi fino al comando designato, e spirò mentre gli

recapitava l’ordine, assicurando, coll’eroico sacrificio della propria vita, il buon esito del

combattimento.

Ad Agostino Setti saranno dedicate vie a Pavia e nella sua provincia, mentre,

nel comune di Santa Giuletta, sorge oggi un piccolo museo dei combattenti e

reduci a lui intitolato.

Storia di Francesco Bermond

Dati anagrafici:

Nome e cognome: Francesco Bermond

Data di nascita: 26 marzo 1897

Luogo di nascita: Broni

Luogo di residenza: Pavia

Professione: studente

Statura: /

Capelli: /

Occhi: /

Fondi di riferimento: fascicolo personale presso l’Archivio storico

dell’Università degli Studi di Pavia; note biografiche all’interno della pratica

per le lauree honoris causa agli studenti caduti presso l’Archivio storico

dell’Università degli Studi di Pavia; note biografiche e lettera ai genitori

pubblicate su libretto commemorativo dei caduti in guerra del collegio “San

Francesco” di Lodi; note biografiche su Annuario 1918-19 dell’Università di

Pavia.

Francesco Bermond nasce in una ricca famiglia residente a Broni, nell’Oltrepò

Pavese. Il padre, Pietro Bermond, è notaio ed esercita la professione a Milano.

Il giovane Francesco viene avviato alla carriera degli studi: è iscritto prima al

collegio “San Francesco” di Lodi, successivamente si diploma come studente

privato presso il liceo “Cesare Beccaria” di Milano, durante la sessione di

315

ottobre del 1916. Francesco riporta buoni voti nelle materie scientifiche,

mentre sembra penare maggiormente per materie come Latino e Greco.

Ottenuto il diploma, si iscrive all’Università di Pavia, optando per

Giurisprudenza: una scelta quasi obbligata data la ben avviata professione

del padre.

Dalle carte presenti nel suo fascicolo personale conservato presso l’Archivio

storico dell’Università di Pavia, sembrerebbe che Francesco non frequenti

molte lezioni universitarie: il 23 ottobre 1916 risulta infatti già arruolato

volontario, aggregato al Reggimento artiglieria a cavallo nel deposito del 3°

Riparto.

Francesco non intende rinunciare alla carriera universitaria, nemmeno

durante gli addestramenti nelle retrovie. Nel marzo 1917, dal comando del

Reggimento artiglieria a cavallo di Milano, fa domanda al rettore

dell’Università di Pavia per sostenere i primi esami del corso di

Giurisprudenza: Statistica, Diritto Costituzionale, Istituzioni di Diritto Civile.

Non si hanno notizie sull’esito della domanda di ammissione agli esami e, dai

fascicoli universitari, non risultano prove sostenute. Del resto, nell’autunno

1917 è in trincea, aggregato al 45° Reggimento Artiglieria di campagna, sulle

montagne del Trentino.

Svolge la mansione di ufficiale di collegamento con il 5° Reggimento

Bersaglieri dal 1° al 18 ottobre e raggiunge una promozione al grado di

sottotenente.

L’8 ottobre 1917, questa volta dal fronte, il giovane invia al rettore

dell’Università di Pavia una nuova domanda di ammissione per gli esami a

Giurisprudenza: Istituzioni di Diritto Civile, Istituzioni di Diritto Romano,

Storia del Diritto Romano, Economia Politica. Francesco riesce a ottenere una

licenza e, il 20 ottobre, è a Pavia, appositamente per prendere parte alla

sessione di esami. Vi rimane poco più di una settimana: il 29, dopo la rotta di

Caporetto, è in partenza per il fronte.

Durante i difficili giorni dell’offensiva austriaca, Francesco invia ai genitori

una lettera che esprime tutta l’eccitazione di un giovane soldato che, quasi a

voler adombrare la tragedia che lo circonda, si vede protagonista di una

316

grande avventura bellica: «Sono momenti grandiosi per noi. Spero di sapervi

forti, come lo siamo noi, abbarbicati all’erbe, fusi coi macigni».

Il 10 novembre Francesco è ancora di collegamento con il 157° Reggimento

Fanteria (Brigata Liguria) rimanendovi fino ai primi di dicembre. Per la sua

condotta e dopo alcune azioni coraggiose sotto il fuoco nemico, il generale

Zamboni lo propone sul campo per la medaglia d’argento in quanto «esempio

di slancio, di fede e di virtù militare».

Il 19 dicembre 1917, mentre lascia la sua batteria per una comunicazione di

servizio al comando, viene colpito da un proiettile shrapnel a Malga

Costalunga, sull’Altopiano di Asiago. Francesco è gravemente ferito, in sei

parti del corpo; trasportato al più vicino posto di medicazione, saluta i

commilitoni e i superiori, consapevole di avere ormai poco da vivere. Viene

trasportato all’ospedaletto da campo, la sezione di sanità n. 51, ma ogni cura

si rivela inutile e il giovane stesso chiede i conforti religiosi. Muore lo stesso

19 dicembre. Francesco verrà sepolto nel piccolo cimitero di

Campomezzavia, sull’Altopiano, e alla sua memoria sarà conferita una

medaglia di bronzo. Nel 1919 gli sarà assegnata anche la laurea honoris

causa.

Storia di Daniele Cressini

Dati anagrafici:

Nome e cognome: Daniele Cressini

Data di nascita: 11 novembre 1895

Luogo di nascita: Milano

Luogo di residenza: Pavia

Professione: studente

Statura: /

Capelli: /

Occhi: /

317

Fondi di riferimento: notizie biografiche fornite dai famigliari al rettore

dell’Università di Pavia, libretto commemorativo realizzato a cura della

famiglia, articolo-necrologio del Corriere della Sera, presenti nella pratica per

il conseguimento delle lauree honoris causa agli studenti caduti in guerra

presso l’Archivio storico dell’Università degli Studi di Pavia.

Daniele Cressini nasce l’11 novembre in una conosciuta e facoltosa famiglia

milanese: il padre è Carlo Cressini, pittore paesaggista e divisionista; il nonno

paterno è l’avvocato Daniele Cressini, garibaldino e organizzatore logistico

della Spedizione dei Mille.

Daniele cresce in un ambiente famigliare di orientamento liberale e

democratico; è descritto come un ragazzo schivo, timido, circondato da pochi

amici, ma entusiasta per lo studio e la lettura, dotato di mirabile forza di

volontà. Negli anni del liceo, Daniele propende soprattutto per le scienze

fisiche e naturali e, ottenuto il diploma, decide, di conseguenza, di iscriversi

alla facoltà di Medicina dell’Università di Pavia. Come ricorderà il suo amico e

compagno di studi Carlo Rusca, il giovane Daniele si dà «agli aridi studi

dottrinali del primo triennio con una passione, direi con una avidità della

quale […] era prova sicura nel quotidiano estendersi del suo sapere, nella

convinzione quasi ostinata che egli portava in ogni discussione scientifica».

Diventa allievo dell’Istituto di Patologia generale appassionandosi alla

batteriologia e all’istologia. Sempre l’amico Carlo Rusca ricorderà «con

compiacenza pari al rammarico certe lettere voluminose, nelle quali il povero

Daniele dava relazione dei suoi studi durante le vacanze estive, tracciava

piani di lavoro per l’anno seguente, poneva questioni di scienza o di

letteratura». Divoratore di “dispense” e di letteratura scientifica, Daniele

impara da autodidatta l’inglese e il tedesco, ma approfondisce anche una

cultura letteraria, artistica e musicale: si appassiona a Wagner, partecipa a

mostre ed esposizioni d’arte.

Gli anni pavesi sono tuttavia anche gli anni delle passioni interventiste,

condivise e propagandate dalla gran parte degli studenti dell’Università.

Daniele, come tutta la sua famiglia, condivide le motivazioni irredentistiche e

nazionaliste e, nel 1915, al momento della mobilitazione generale, tronca gli

318

studi del terzo anno di Medicina. Impaziente nell’attesa della chiamata alle

armi, Daniele decide di arruolarsi volontario: gli viene proposta la

destinazione nei reparti di sanità ma lui declina, propendendo per gli alpini.

Rifiutato tuttavia dal corpo degli alpini a causa della sua miopia, entra alla

scuola per ufficiali di Modena, frequentando il corso accelerato e ottenendo,

nell’autunno 1915, il grado di sottotenente di fanteria.

Nell’inverno 1915-16 è inviato in territorio di guerra, in Carnia, aggregato al

146° Reggimento Fanteria. Si appassiona gradualmente alla vita militare,

superando la nostalgia per gli studi universitari e, quando i famigliari e gli

amici lo rivedono durante un permesso a Milano, all’inizio del 1916, lo

trovano profondamente cambiato: «robusto, tarchiato, bruciato dal sole e

dalle nevi, mutato l’imberbe volto adolescente in quello maschio rude e

barbuto dell’alpigiano».

Nella primavera del 1916 è inviato in val Lagarina, a fronteggiare l’offensiva

austriaca nel Trentino ma, durante l’estate, la corrispondenza ai famigliari

che prima era sempre stata frequente, si interrompe di colpo. Daniele muore

infatti il 3 agosto 1916 nella valle dell’Orsa, mentre incitava i suoi uomini a

mantenere le proprie posizioni sotto il fuoco delle mitragliatrici nemiche.

Alla sua memoria, il 9 dicembre 1916 verrà conferita una medaglia d’argento

al valor militare e, come agli altri studenti universitari caduti in guerra, la

laurea honoris causa.

Il padre di Daniele deciderà anch’egli di arruolarsi volontario, riprendendo il

grado di tenente d’artiglieria.

Storia di Edoardo Andreoni

Dati anagrafici:

Nome e cognome: Edoardo Andreoni

Data di nascita: 12 aprile 1897

Luogo di nascita: Pavia

Luogo di residenza: Pavia

Professione: parrucchiere

319

Statura: 1,66

Capelli: /

Occhi: /

Fondi di riferimento: foglio matricolare.

Edoardo Andreoni nasce a Pavia da Gaetano Andreoni e Lerario Celestina.

Frequenta le scuole elementari, impara a leggere e scrivere e, da ragazzo, si

avvia alla professione di parrucchiere.

Nel 1915, quando anche Pavia diviene un centro attivo di mobilitazione

interventista, Edoardo è diciottenne. Probabilmente si lascia sedurre dalle

convinzioni patriottiche dei suoi coetanei studenti giacché, il 7 giugno 1915,

non attende la chiamata alle armi ma si arruola volontario nel 12°

Reggimento Bersaglieri ciclisti. Verrà in seguito registrato nel Distretto

militare di Pavia come soldato di leva di prima categoria con l’obbligo di

compiere la ferma di leva. Il giorno successivo raggiunge la sede del

Reggimento a Milano.

Edoardo giunge in territorio di guerra il 31 agosto 1915, nell’alta valle

dell’Isonzo, ma, evidentemente, la realtà della guerra di trincea, le dure

condizioni di vita delle reclute, la rigida disciplina militare, minano

profondamente le convinzioni del giovane parrucchiere pavese: la guerra

reale non corrisponde alla guerra poetica ed eroica mitizzata dai fautori

dell’intervento. Dopo un mese e mezzo di combattimenti, Edoardo viene

infatti messo alla prigione del Reggimento, imputato del reato di codardia

con atti di mutilazione volontaria in faccia al nemico.

Tipica forma di rifiuto verso la guerra e di disperazione per le atrocità

vissute, l’autolesionismo commesso in stato di guerra è severamente colpito

dal codice penale dell’esercito. Inviato in osservazione all’ospedale militare,

Edoardo è riconosciuto colpevole di essersi provocato lesioni per rendersi

inabile alla guerra; il foglio matricolare riporta: «Mentre trovavasi in trincea

nella Conca di Plezzo in faccia al nemico si esplodeva per codardia un colpo di

fucile al braccio sinistro provocandosi così una lesione. Tale da rendersi

inabile alla difesa».

320

Nell’ottobre 1915 Edoardo è tradotto alle Carceri militari preventive del

Tribunale di Guerra del IV Corpo d’Armata; l’11 marzo 1916 viene

condannato alla pena di cinque anni di reclusione ordinaria previa

degradazione ed espulso dall’esercito.

Il 30 giugno 1921, per effetto di amnistia, sono dichiarati cessati l’esecuzione

e gli effetti penali ma non gli viene rilasciata la dichiarazione di buona

condotta.

Storia di Marco Billitz

Dati anagrafici:

Nome e cognome: Marco Billitz

Data di nascita: 29 settembre 1893

Luogo di nascita: Locate Triulzi

Luogo di residenza: Pavia

Professione: studente

Statura: /

Capelli: /

Occhi: /

Fondi di riferimento: note biografiche composte dai familiari raccolte nella

pratica per il conferimento delle lauree honoris causa agli studenti caduti,

presso l’Archivio storico dell’Università degli Studi di Pavia.

Marco Billitz nasce a Locate Triulzi, cittadina dislocata tra Pavia e Milano, da

genitori ungheresi naturalizzati italiani. Il padre, Solomon Géza Billitz, è un

chimico di famiglia ebraica proveniente da Pécs (Ungheria); si sposa a Vienna

con Helene Specht nel 1891 e, poco tempo dopo, emigra in Italia, dove svolge

attività scientifica di ricerca.

Come il padre, anche il giovane Marco Billitz viene avviato alla carriera degli

studi scientifici: terminate le scuole superiori, si iscrive infatti all’Università

321

di Pavia al corso di laurea in Chimica della facoltà di Scienze fisiche,

matematiche e naturali.

È ancora immerso negli studi universitari, frequentante il terzo anno,

quando, nel 1915, l’Italia dichiara guerra all’Austria. Marco si ritrova in una

posizione certamente singolare all’interno della comunità studentesca

pavese: egli, infatti, è non soltanto ebreo, appartenente quindi a una

comunità percepita come “separata” rispetto alla gran parte dei giovani

studenti pavesi, ma di origini austro-ungariche, dunque decisamente

suscettibile di inimicizie e avversioni. Del resto, come lo ricorderà un suo

docente universitario in un necrologio, «le sue doti di ingegno, di diligenza, di

fine distinzione […] gli avevano cattivata le simpatie di tutti».

La famiglia Billitz, tuttavia, si sforza di mostrarsi totalmente italiana,

patriottica e disposta al sacrifico. Il giovane Marco, pur avendo per legge i

diritti per entrare nel corpo sanitario dell’esercito, opta per l’arma

combattente e viene dunque inviato al corso accelerato della Scuola militare

di Modena. Ne esce sottotenente del 68° Fanteria il 28 settembre 1915.

Raggiunta la frontiera orientale, invia ai famigliari lettere da cui traspare il

suo pieno convincimento verso la causa patriottica: «Da qualche giorno

siamo in territorio redento, non molto lontano dal nemico. Aspettiamo con

ansia d’andare avanti. Ho spirito ed il morale è elevatissimo». Dopo le prime

azioni, per le sue qualità militari, viene nominato aiutante maggiore in

Seconda.

Marco condivide in pieno l’entusiasmo attivistico e combattivo dei giovani

che erano stati interventisti e irredentisti; dimostra anzi una sorprendente

esuberanza sul campo di battaglia, nella convinzione di essersi finalmente

risvegliato dal torpore degli anni universitari. Come scrive al padre, il 24

novembre, «Qui si combatte a tutto andare. Però sempre allegri […] Qui non

c’è molto tempo per scrivere, ma appena mi sarà data l’occasione vi

descriverò qualche squarcio di questo quadro di vita veramente vissuta».

Anche Marco appare dunque convinto di ritrovarsi in una fase elettrizzante

della sua vita e in un momento di passaggio: non solo verso la vita adulta, ma

anche verso un’esistenza pienamente vissuta.

322

La sublimazione e mitizzazione dell’atto bellico, tuttavia, non cancellano la

realtà fatta di sofferenze e supplizi. Il 28 novembre, sul monte S. Michele,

Marco viene colpito al torace da un proiettile mentre trasmette un ordine

attraversando una zona di terreno molto battuta dal fuoco nemico. Il

comandante del 3° Battaglione, tenente colonnello Gastone Avogadro di

Vigliano, invia la notizia al padre elogiando il comportamento esemplare,

financo esuberante («Già ieri, in altra azione del battaglione, io ebbi a

richiamarlo, perché, trascinato dall’entusiasmo, si esponeva troppo al fuoco

nemico»), sempre tenuto da Marco sul campo di battaglia e rassicurando la

famiglia sul suo stato di salute: «per quanto la ferita non sia leggera, spero,

come ho detto a lui stesso, di riaverlo presto a commilitone».

Trasportato all’ospedaletto da campo n. 76 a Romans, le cure si dimostrano

tuttavia difficoltose; rimane nell’ospedale per molti giorni finché, il 15

dicembre, muore.

Viene sepolto nel cimitero di Romans con gli onori militari e gli viene

conferita la medaglia di bronzo al valore militare con la seguente

motivazione: «Quale aiutante maggiore, portava ordini ai reparti impegnati,

percorrendo zone intensamente battute, e si spingeva poi, con i reparti stessi,

all’assalto, dando prova di slancio, ardimento e serena fermezza. Rimaneva

gravemente ferito. Monte San Michele, 29 novembre 1915».

Dopo la conclusione del conflitto, verrà conferita a Marco Billitz la laurea

honoris causa in chimica da parte dell’Università di Pavia; come scriverà il

padre Géza al rettore dell’Università, «Tale onorificenza reca grande conforto

alla mia famiglia e mi convince che l’entusiasmo giovanile, col quale egli

offerse la sua esistenza, piena di speranze, all’altare della patria, trova anche

l’assentimento di questo spettabile Consiglio Accademico».

Storia di Stefano Passoni

Dati anagrafici:

Nome e cognome: Stefano Passoni

Data di nascita: 13 febbraio 1892

323

Luogo di nascita: Vellezzo Bellini

Luogo di residenza: Pavia

Professione: seminarista

Statura: 1,65

Capelli: neri

Occhi: castani

Fondi di riferimento: lettere al rettore del seminario vescovile di Pavia

conservate presso l’archivio privato del rettore; fogli matricolari.

Stefano Passoni, figlio di Giuseppe e Giovanna Moro è, al momento della

dichiarazione di guerra all’Austria, studente presso il seminario vescovile di

Pavia.

Già iscritto e chiamato alle armi nel 1912 dal distretto militare di Pavia, era

stato riformato con determinazione della direzione dell’Ospedale Militare di

Piacenza e congedato.

Nel marzo 1916 viene tuttavia richiamato alle armi e dichiarato idoneo al

servizio militare. Stefano, il 29 aprile 1916, è assegnato alla Seconda

Compagnia di sanità e la raggiunge il 12 maggio. Tre giorni dopo viene

tuttavia messo alla prigione del Corpo in attesa di giudizio: è imputato di

«falso in foglio di viaggio» e, con sentenza del Tribunale militare di

Alessandria, viene condannato alla pena del carcere militare per due mesi,

oltre al pagamento delle spese processuali.

L’8 giugno invia una lettera al rettore del Seminario, don Edoardo Casiroli, in

cui si scusa per non aver dato sue frequenti notizie: «Il luogo più che mai

desolante in cui mi sono trovato nei primi venti giorni circa, luogo di cui il

solo nome “Campo contumaciale” ricorda qualche cosa di doloroso, non mi

pareva posto di permanenza»; riferisce di trovarsi ora all’ospedale militare di

riserva Salesiani di Alessandria ma appena giunto nella nuova destinazione,

scriverà in una lettera successiva, «dovetti […] subire la vergogna di vedere

ad una parete dell’osped. prima il mio atto processuale, in cui si diceva che,

applicate tutte le attenuanti, venivo punito a tre mesi di pena sofferta».

Stefano si rifiuta di dare precise spiegazioni su quanto è avvenuto ma non

324

tralascia di paragonare l’esperienza del carcere a una gravosa sofferenza:

«Dante sognò di essere passato per l’inferno e vi uscì ch’era tutto annerito, io

ci sono stato (tre mesi!) speriamo almeno che mi abbia a giovare per

l’avvenire».

Il servizio all’ospedale di Alessandria è descritto come una nuova spiacevole

circostanza. Nelle sue lettere, Stefano mette spesso a confronto la vita placida

e gradevole del Seminario con l’esperienza militare, sempre descritta come

una sgradevole parentesi da cui ritirarsi al più presto: «Se si vuole il servizio

che presto è un po’ umiliante: faccio di osservante (solo osservante) agli

epilettici: siamo addetti in quattro e prestiamo servizio per turno a due per

due […] Del resto è motivo per esercitare la rassegnazione cristiana e rendere

gloria a Dio».

Il giovane seminarista attende con crescente ansietà e preoccupazione il

momento della partenza per il fronte, descritto quasi come un fardello da cui

è impossibile scappare; chiede quindi al rettore di ricordarlo nelle sue

preghiere, «stante il pericoloso momento che sto per incontrare». Colpisce,

nelle parole del giovane, la profonda distanza di giudizio verso la guerra

rispetto ai suoi coetanei pavesi studenti universitari: per gran parte di

costoro, la guerra è un dovere etico e morale oltre che un’esperienza di per sé

bella e positiva; secondo il giovane seminarista, invece, la guerra aleggia

sempre come un angoscioso e incomprensibile pericolo.

Il 18 luglio 1917, Stefano è ancora collocato all’ospedale di Alessandria; come

scrive al rettore, «sono ancora in buona salute e, grazie a Dio, ad Alessandria,

sebbene nuvoloni minacciosi, di quando in quando, vengono a molestarmi»;

questi “nuvoloni” sono proprio le voci che si rincorrono di una prossima

partenza per il territorio di guerra.

Il giovane verrà infine inviato al fronte nel gennaio 1918: giunge in territorio

dichiarato in stato di guerra il 6 gennaio ed assegnato all’ospedaletto da

campo n. 25. Durante i mesi di permanenza al fronte, si limita a inviare poche

e concise notizie sul suo stato di salute e di morale, celando la realtà della vita

di trincea e della morte di massa.

L’armistizio e la cessazione delle attività belliche sono salutate con gioia da

Stefano, che invia al seminario di Pavia un messaggio di pace. Tuttavia, deve

325

attendere ancora molti mesi perché possa fare ritorno a Pavia. La domenica

di Pasqua del 1919 scrive ricordando ancora con nostalgia la vita del

seminario: «andando ora colla mente alle belle Pasque passate coi compagni

in Seminario alle dolci funzioni nella nostra Cattedrale, mi pare di sentire

pieno il tripudio della sacra Trinità».

Stefano verrà infine inviato in congedo il 3 settembre 1919 con la

dichiarazione di aver tenuto buona condotta e di aver servito con fedeltà e

onore. Diventerà negli anni successivi sacerdote e, come si evince dal suo

foglio matricolare, sarà dispensato dal rispondere al richiamo alle armi nel

luglio 1940 in applicazione del Concordato con la Santa Sede.

Storia di Angelo Bocchiola

Dati anagrafici:

Nome e cognome: Angelo Bocchiola

Data di nascita: 15 agosto 1894

Luogo di nascita: Villanterio

Luogo di residenza: Albuzzano

Professione: cuoco

Statura: 1,67

Capelli: biondi

Occhi: grigi

Fondi di riferimento: foglio matricolare.

Angelo Bocchiola nasce nel 1894 da Leopoldo e Amalia Mantovani. Lavora ad

Albuzzano, nel Pavese orientale, dove svolge l’attività di cuoco.

Il 20 aprile 1914, Angelo è iscritto al distretto militare di Pavia come soldato

di leva di seconda categoria; chiamato alle armi per istruzione, si presenta

agli uffici di leva il 10 novembre 1914 ed è aggregato al 7° Reggimento

artiglieria di Fortezza. Il 10 dicembre il giovane cuoco è tuttavia riformato in

326

seguito a rassegna medica da parte dell’Ospedale Militare di Alessandria.

Viene congedato il 13 dicembre.

Non si conoscono le motivazioni della dichiarazione di inidoneità al servizio

militare, tuttavia, nei mesi precedenti all’intervento in guerra dell’Italia e

durante i primi anni di scontro bellico, Angelo Bocchiola non immagina

certamente di dover tornare in caserma o di partire per il fronte. Eppure,

dopo il tragico inverno del 1917, giunge l’ordine di ripresentarsi all’Ospedale

Militare di Alessandria: ai sensi del decreto luogotenenziale n. 1230 del 12

agosto 1917, Angelo viene rivisitato e dichiarato abile al servizio militare;

vengono quindi annullati gli atti di rassegna e, il 25 febbraio 1918, il giovane

è incorporato nell’esercito come militare di prima categoria. Su giudizio del

direttore dell’Ospedale di Alessandria, Angelo è assegnato ai servizi sedentari

in modo permanente.

Chiamato alle armi, Angelo non si presenta in caserma. Viene dichiarato

disertore, e denunciato, il 5 marzo 1918 per non aver risposto alla chiamata.

Soltanto il 26 giugno 1918 il giovane decide di costituirsi al distretto militare:

rimane in carcere dal 27 giugno sino ai primi di agosto, quando viene avviato

al 34° Battaglione di Milizia territoriale di Pavia, pur rimanendo a

disposizione del Tribunale Militare di Guerra di Alessandria.

Angelo non incorrerà in ulteriori conseguenze carcerarie: il 6 agosto 1918

viene infatti assolto dal reato di diserzione per non provata reità.

Verrà inviato in licenza illimitata nel marzo 1919 con dichiarazione di aver

tenuto buona condotta e di aver servito con fedeltà e onore e con la

concessione degli assegni.

Storia di Michele Canevari

Dati anagrafici:

Nome e cognome: Michele Canevari

Data di nascita: 24 luglio 1894

Luogo di nascita: Cura Carpignago

Luogo di residenza: Pavia

Professione: seminarista

327

Statura: 1,61

Capelli: castani

Occhi: castani

Fondi di riferimento: lettere al rettore del seminario vescovile di Pavia

conservate presso l’archivio privato del rettore; fogli matricolari.

Il seminarista Michele Canevari, figlio di Pietro e di Lucia Sacchetti, viene

iscritto come soldato di leva di seconda categoria nel distretto militare di

Pavia e chiamato alle armi per istruzione il 13 gennaio 1915. Inquadrato nel

28° Reggimento Fanteria, viene rinviato alla successiva chiamata, perché

riconosciuto temporaneamente inabile, in seguito a rassegna del 3 febbraio

1915.

Con l’ingresso dell’Italia in guerra, il giovane seminarista viene nuovamente

chiamato alle armi, in seguito alla mobilitazione generale: il 7 giugno 1915 è

aggregato alla Seconda Compagnia Sanità.

All’interno delle strutture dell’esercito, dall’ospedale di Alessandria, Michele

rimpiange i tempi del seminario; a ridosso del Natale 1915, dopo sei mesi di

inquadramento militare, scrive una lettera malinconica al rettore, don

Edoardo Casiroli: «Oh venga presto questo giorno in cui potrò ritornare

ancora nel mio Seminario…!».

Viene inviato in territorio dichiarato in stato di guerra il 12 marzo 1916 ed

assegnato all’ospedaletto da campo numero 084. Come scrive al rettore, il 19

aprile 1916, «Qui non si sta tanto male, dato che siamo in guerra» ma, si

affretta a precisare, «è inutile, non è il mio ambiente e il pensiero ritorna

sempre con dolce nostalgia ai giorni di pace e di tranquillità passati nel

nostro caro Seminario». Alla placida vita del seminario, Michele contrappone

la violenza vertiginosa della guerra e della trincea: «qui tutto è turbinio, tutto

è pericolo di vita».

Al fronte Michele contribuisce ai lavori di allestimento degli ospedali da

campo e alla cura dei feriti; di notte dorme in tenda, all’aria aperta e al fresco:

«fresco un po’ troppo accentuato però. Nelle notti di tormenta il freddo è un

vero martirio: e se piove e la bufera infuria entra aria da tutte le parti». Il

328

giovane racconta le giornate trascorse a raccogliere i feriti dai campi di

battaglia, sotto il fuoco nemico, ma vorrebbe spingersi ancora oltre e

raccontare al suo rettore tutto quello che vede e che prova nella condizione

di soldato: «questo non è ancora nulla, appresso ad altre cose che le vorrei

narrare, se potessi parlare liberamente: gliele dirò quando ritornerò». Il

giovane seminarista, è evidente, non nutre alcun fascino per le

interpretazioni propagandistiche e patriottiche della guerra, tanto meno per

la sua mitizzazione estetizzante, fatta propria dai molti dei suoi coetanei

studenti pavesi; la guerra, piuttosto, è una calamità da accettare con docilità:

«Pazienza, Dio vede le nostre pene e ci provvederà: non siamo qui per

divertimento».

Nel maggio 1916, in occasione della Pasqua, invia gli auguri al suo rettore,

narrando delle sue sofferenze continue e delle più dure privazioni: «pensi Sig.

Rettore che è quasi una settimana che non posso dormire per il grande lavoro

e mi riduco sempre a far colazione verso le quattordici. Sono stanco, molto

stanco, specialmente ho sonno, tanto sonno!».

Alla fine del maggio 1916, Michele lavora all’allestimento dell’ospedale da

campo 029; risiede e dorme in una cascina, «sotto ci sono le mucche che

fanno un concerto infernale giorno e notte: una puzza orribile». A luglio si

sposta nuovamente e le sue impressioni non migliorano: «si sta male… male.

Un caldo snervante che cuoce le cervella si fa sentire sotto le tende».

Mentre molti giovani borghesi vedono nelle violente esperienze della guerra,

nei sacrifici e nelle privazioni, un memorabile rito di passaggio, un’epica

transizione a una vita veramente vissuta, il giovane Michele rimpiange gli

anni felici del seminario e della vita pavese: «Oh come viene in mente il

nostro caro Seminario, asilo di pace e di tranquillità», ripeterà più volte nelle

sue lettere.

Con il trascorrere dei mesi, sempre più Michele invoca la pace e il ritorno a

casa. Il giovane appare frustrato e demoralizzato: «sorgerà presto quel giorno

tanto desiderato ed aspettato da tutti che ci ridia alle nostre famiglie […] in

cui cessino le ansie e ci possa aprire il cuore alla speranza? Preghi Sig.

Rettore che sorga presto questo giorno, ché io sono stufo, proprio stufo di

fare il soldato».

329

Nel febbraio 1917, il giovane è aggregato al 208° Reparto Fanteria e,

probabilmente per allontanarsi qualche tempo dalla zona di guerra, fa

domanda per essere ammesso al corso per allievi ufficiali: alla fine dell’estate

1917 è Aspirante ufficiale di complemento dell’Arma di fanteria.

Nel settembre 1917 Michele si trova nel Carso, sull’altipiano della Bainsizza:

«Giungemmo qui mentre ferveva la azione nella sua massiccia intensità; la

lotta nel più alto grado di accanimento». Appena giunto con il suo reparto alla

destinazione prestabilita, lavora tutta la notte per scavare una piccola trincea

in cui trovare riparo dal fuoco nemico che «ci sparava addosso con una

rabbia satanica». È una visione quasi infernale quella in cui si ritrova

immerso Michele, con i soldati trincerati nel fango rosso di sangue e con il

duro lavoro quotidiano: «tutto il giorno si lavora come bestie a ricavare

camminamenti sul monte su cui ci troviamo, a fortificare trincee, a trascinare

sassi su pel monte come i dannati di Dante».

Nelle trincee del Carso, un nuovo nauseante incubo tormenta il giovane

seminarista: la visione costante e continua della morte di massa e

l’indifferenza dei commilitoni nella convivenza quotidiana con i cadaveri:

«Trovammo cadaveri insepolti che emanavano un fetore insopportabile».

Una notte anche Michele è incaricato di rimare sdraiato, vicino alle postazioni

avversarie, in mezzo a due cadaveri in avanzato stato di putrefazione, per

spiare le mosse del nemico: «All’alba si ritornava in trincea, si aveva lo

stomaco rivoltato ed un male di testa. Anche ora, sebbene non vi sia più

nessun morto […] la terra si trova intrisa di sangue in putrefazione ed un po’

di odore di carne marcia esiste sempre».

Non si hanno più notizie sulla sorte di Michele dopo i terribili mesi

dell’autunno-inverno 1917. Si può solo dedurre che faccia infine ritorno sano

e salvo a Pavia, ponendo fine alla spaventosa esperienza della guerra.

Secondo il foglio matricolare, il giovane viene infatti pacificato a Pavia il 23

gennaio 1925.

Storia di Francesco Cavagnini

330

Dati anagrafici:

Nome e cognome: Francesco Cavagnini

Data di nascita: 23 agosto 1899

Luogo di nascita: Torre d’Isola

Luogo di residenza: Pavia

Professione: seminarista

Statura: 1,71

Capelli: castani

Occhi: castani

Fondi di riferimento: lettere al rettore del seminario vescovile di Pavia

conservate presso l’archivio privato del rettore; fogli matricolari.

Francesco Cavagnini nasce nel 1899 a Torre d’Isola, un piccolo centro nel

pavese orientale, da Giovanni Cavagnini e Emilia De Paoli. Si iscrive come

studente al seminario vescovile di Pavia ma, nell’infuriare della guerra, il 13

giugno 1917 viene chiamato alle armi, non ancora diciottenne, assieme ai

suoi coscritti del 1899.

Il 24 giugno è inviato al deposito del 91° Reggimento Fanteria ad Abbiate

Guarrone, nei pressi di Varese: «è un bel sito» scrive Francesco al suo rettore,

«ma sono in brutta compagnia. Quali ambienti ci procura la Patria che

dobbiamo, ci si dice, amare!». Come nelle lettere dei suoi compagni

seminaristi, anche nelle testimonianze di Francesco è del tutto assente

qualsiasi richiamo alla propaganda patriottica, se non in senso negativo e

deteriore. Anche per Francesco la guerra è una calamità, una sciagura cui,

tuttavia, non è possibile sottrarsi.

Nel mese di ottobre è promosso caporale e trasferito a Tradate, presso la

Terza Compagnia. Come si evince dalle sue lettere al rettore del seminario di

Pavia, viene probabilmente collocato nel servizio di sanità. Francesco teme

tuttavia il trasferimento al fronte: «l’aria che spira non è troppo buona,

speriamo di non partir presto!», scrive il 28 ottobre 1917, mentre dalla

frontiera giungevano le notizie di Caporetto.

331

Anche il giovane seminarista viene infine inviato in territorio dichiarato in

stato di guerra: raggiunge il fronte il 15 novembre 1917 e viene aggregato

all’82° Reggimento Fanteria. Dalla nuova collocazione non giungono che

saltuarie cartoline di saluti e ossequi al rettore del Seminario ma prive di

qualsiasi riferimento sulle sue occupazioni o sulle sue impressioni di fronte

alla guerra di trincea.

A poche settimane dalla firma dell’armistizio, il 9 ottobre 1918, parte dal

territorio di guerra per malattia: «sono all’ospedale» scrive al seminario, «ma

senza serio motivo, per semplice febbre malarica». Francesco riesce a

raggiungere Pavia in licenza e, dopo l’armistizio, è inviato ancora al deposito

dell’82° Reggimento Fanteria. Viene trasferito nel dicembre 1918 a Corneto

Tarquinia, presso un campo di concentramento di soldati prigionieri

austriaci, dove, presumibilmente, svolge attività di assistenza sanitaria.

Al termine del servizio militare, Francesco riceverà l’assegno di indennità di

150 lire e gli verrà concessa la dichiarazione di buona condotta. Il 28 gennaio

1925 gli verrà anche concessa la croce di guerra.

Storia di Achille Antonini

Dati anagrafici:

Nome e cognome: Achille Antonini

Data di nascita: 12 gennaio 1891

Luogo di nascita: Giussago

Luogo di residenza: Pavia

Professione: cocchiere

Statura: 1,67

Capelli: biondi

Occhi: grigi

Fondi di riferimento: foglio matricolare.

332

Achille Antonini nasce a Giussago, cittadina nel Pavese settentrionale al

confine con la provincia di Milano, da Antonio Antonini e Giuseppina Comotti.

Di professione è cocchiere e, all’ufficio di leva, dichiara di non saper né

leggere né scrivere.

Achille viene riconosciuto abile di prima categoria il 17 maggio 1911. Viene

chiamato alle armi nell’ottobre dello stesso anno e assegnato al 19°

Reggimento Cavalleggeri Guide, un reggimento di cavalleria e di esploratori

di stanza a Salerno.

Quando Achille viene inquadrato nell’esercito, era già scoppiata la guerra

Italo-Turca per la conquista coloniale della Tripolitania e della Cirenaica: è

proprio per combattere in questa campagna militare che il giovane ventenne

di Giussago viene imbarcato a Siracusa, il 23 luglio 1912, e inviato in

Tripolitania. Rientra tuttavia in Italia ad ottobre, pochi giorni prima della

firma del trattato di Losanna, in seguito a malattia: sbarca a Livorno l’11

ottobre.

Achille rimane in Italia e viene aggregato al Reggimento Cavalleggeri con

sede a Voghera. Viene mandato in congedo illimitato il primo dicembre 1913,

con concessione di dichiarazione di aver tenuto buona condotta e di aver

servito con fedeltà e onore.

Già veterano di una campagna bellica, Achille viene nuovamente chiamato

alle armi dopo la dichiarazione di guerra all’Austria: giunge al deposito del

Reggimento Cavalleggeri Guide il 7 febbraio 1916 ed entra in territorio

dichiarato in stato di guerra il 31 maggio 1916. Benché già la guerra per la

conquista della Libia si fosse rivelata ardua per i soldati italiani, ora, di fronte

alla guerra di posizione, alla vita di trincea e alla morte massificata, anche

veterani come Achille si ritrovano indubbiamente sconvolti per le sofferenze

e i sacrifici imposti.

Il giovane venticinquenne rimane al fronte pochi mesi; il 19 luglio è infatti

alla Scuola Bombardieri del Comando del Corpo d’Armata di Alessandria. Il

23 novembre, Achille decide tuttavia di allontanarsi dal Corpo e recarsi,

senza alcun permesso, a trovare i propri famigliari: viene arrestato e tradotto

alle prigioni del Corpo di Scandiano in attesa di giudizio. Il 5 febbraio viene

dichiarato disertore perché, invece di giungere alla destinazione ordinatagli,

333

si era arbitrariamente recato in famiglia. Achille viene rinchiuso nelle carceri

militari preventive di Mirandola e, l’11 febbraio 1918, è condannato dal

Tribunale militare di Guerra alla pena della reclusione per due anni.

La pena, secondo i regolamenti in uso per sopperire le esigenze belliche, non

è immediatamente eseguita: Achille viene infatti rimandato a combattere al

fronte nel mese stesso di febbraio assieme alla 231a Batteria bombardieri. La

nuova esperienza al fronte, tuttavia, è di breve durata: il 17 marzo 1918, sul

Piave, viene gravemente ferito; muore nella sezione di sanità il giorno stesso.

Storia di Gaetano Paolo Fiocchi

Dati anagrafici:

Nome e cognome: Gaetano Paolo Fiocchi

Data di nascita: 7 settembre 1898

Luogo di nascita: Chignolo Po

Luogo di residenza: Chignolo Po

Professione: carrettiere

Statura: 1,67

Capelli: castani

Occhi: castani

Fondi di riferimento: foglio matricolare.

Gaetano Paolo Fiocchi è un giovane carrettiere di Chignolo Po, una cittadina

del circondario di Pavia, dislocata tra il fiume Lambro e il Po.

Gaetano viene riconosciuto abile di prima categoria nel gennaio 1917 ma

aggregato alla classe di leva 1899. Il 1° marzo 1917 viene chiamato alle armi

e, due settimane dopo, raggiunge il deposito del 1° Reggimento Artiglieria

Campale Pesante.

334

Giunto in territorio di guerra, ottiene il 30 giugno 1917 una promozione al

grado di Caporale. Non si conoscono gli spostamenti e le destinazioni di

Gaetano lungo il fronte, tuttavia, come si evince dal suo foglio matricolare, un

grave atto accade il 30 marzo 1918, la vigilia del giorno di Pasqua: Gaetano

viene infatti dichiarato disertore per essersi allontanato arbitrariamente dal

Corpo e denunciato al Tribunale Militare di Alessandria. Il giovane

diciannovenne si costituisce spontaneamente al Deposito di Alessandria

soltanto due mesi dopo, il 23 maggio 1918. Messo alle prigioni del Corpo in

attesa di giudizio, viene infine condannato con sentenza del 26 giugno 1918 a

una pena particolarmente severa: ergastolo, pagamento delle spese

processuali, interdizione perpetua dai pubblici uffici, privazione della facoltà

di testare. La gravità di una simile pena suggerisce che, probabilmente, la

diserzione di Gaetano sia stata considerata “in presenza del nemico”, secondo

quanto previsto dal Codice penale dell’esercito che, del resto, per un simile

reato, contempla financo la pena di morte.

Il giovane viene retrocesso a soldato ed espulso dall’esercito il 13 agosto

1918. Il foglio matricolare non fornisce ulteriori informazioni e non si hanno

riferimenti a eventuali concessioni di amnistia.

Storia di Ettore Tibaldi

Dati anagrafici:

Nome e cognome: Ettore Tibaldi

Data di nascita: 19 dicembre 1887

Luogo di nascita: Bornasco

Luogo di residenza: Pavia

Professione: medico

Statura: /

Capelli: /

Occhi: /

335

Fondi di riferimento: corrispondenza e documenti personali di Ettore

Tibaldi conservati nel fondo “Tibaldi Ettore” dell’archivio dell’Istituto

nazionale per la storia del movimento di Liberazione in Italia (Istituto “Parri”

Milano); fascicolo personale studente presso l’Archivio storico dell’Università

degli Studi di Pavia; fascicolo personale docente presso l’Archivio storico

dell’Università degli Studi di Pavia.

Ettore Tibaldi nasce a Bornasco dall’ingegner Giacomo Tibaldi e da Irene

Morosini. Cresce in un ambiente familiare intriso di miti risorgimentali e

garibaldini che lo indirizzano, fin da giovane, ad abbracciare ideali

democratici e repubblicani. Ettore viene avviato alla carriera degli studi e

iscritto nel 1902 al Liceo “G. Baldessano” di Carmagnola; si diploma il 21

ottobre 1907 riportando una buona votazione agli esami finali.

Ritorna dal liceo con una ancor più agguerrita coscienza politica: si avvicina

infatti agli ideali socialisti, entrando in contatto con il circolo socialista

pavese. Nello stesso 1907 si iscrive all’Università di Pavia, dove inizia a

frequentare i corsi di Medicina e chirurgia.

Gli anni universitari sono scapigliati e turbolenti: Ettore si fa conoscere non

solo nell’ambiente socialista, ma anche in quello repubblicano, nelle

associazioni studentesche e nei circoli radicali. Collabora con il giornale

locale, di tendenza radicale, “La Provincia Pavese” ed è tra i fondatori del

circolo universitario “Carlo Marx”.

Negli esami del corso di Medicina, Ettore ottiene discreti risultati; è un

ragazzo diligente e costante, appassionato di scienze naturali. Frequenta il

quarto anno di studio (1910-1911) all’Università di Perugia, per terminare il

proprio percorso accademico nuovamente a Pavia: si laurea il 15 luglio 1913

con una votazione di 98/110 e presentando una tesi dal titolo “Tubercolosi

atipica delle ghiandole linfatiche dal punto di vista anatomopatologico”,

elaborata presso l’Istituto di Anatomia Patologica diretto dal professor

Achille Monti.

Ottenuta la laurea, Ettore rimane nell’Istituto anatomo-patologico quale

assistente volontario del professor Monti. Figura di spicco dell’Università,

irruento e passionale, in passato aspramente criticato per aver

336

pubblicamente difeso Anna Kuliscioff degli ostracismi postegli dall’ambiente

accademico pavese, Achille Monti riveste un ruolo fondamentale nella

formazione politica del giovane Ettore Tibaldi. È proprio presso l’Istituto

diretto da Monti che il giovane laureando diviene fervente irredentista e

cofondatore, assieme al maestro, dell’Associazione pavese “Pro Università

italiana a Trieste”.

Durante tutto il 1913 Ettore intrattiene corrispondenza con personalità

politiche e associazioni irredentistiche per la stesura di manifesti e appelli;

partecipa attivamente anche all’elaborazione del numero unico Per

l’Università italiana a Trieste, utilizzato poi dalle autorità austriache come

capo d’accusa rivolto contro Cesare Battisti.

Il 5 maggio 1913, Ettore è tra gli oratori, di fronte alla lapide di via Mazzini,

della commemorazione in ricordo di Muzio Mussi, giovane studente

repubblicano, figlio del deputato radicale Giuseppe Mussi, ucciso durante le

manifestazioni pavesi del maggio 1898. In questa occasione Ettore viene

denunciato per aver pronunciato, a conclusione del suo intervento, la frase

“Viva la Repubblica!” e processato in agosto: il fatto suscita un certo clamore

in città, ma il giovane medico viene prosciolto per inesistenza di reato.

All’inizio del 1914, Ettore parte per l’Università di Sassari, dove è assistente

della professoressa Rina Monti alla cattedra di Zoologia e anatomia

comparata. Nel frattempo, allo scoppio della guerra in Europa, matura la

scelta interventista, giudicata come naturale prosecuzione della lotta

democratica risorgimentale e come guerra in difesa dei popoli oppressi.

Nell’autunno del 1914, destando viva preoccupazione tra parenti e amici,

raggiunge Ventimiglia, intenzionato a congiungersi alla costituenda legione

repubblicana, la “Compagnia Mazzini”. L’avventura non avrà seguito,

l’iniziativa stessa verrà bloccata dal governo italiano, ma da questa

esperienza Ettore vedrà rafforzate le sue convinzioni interventistiche e sulla

base di queste si schiererà pubblicamente nelle associazioni democratiche e

sui giornali pavesi.

Tornato a Pavia, è tra i fondatori dei Fasci interventisti e vive l’intera stagione

del fermento patriottico e nazionalista interno all’ambiente universitario

337

pavese: dal balcone del caffè Demetrio, dai monumenti a Garibaldi e ai

Cairoli, Ettore è sempre tra gli oratori ai comizi interventisti.

Quando infine l’Italia dichiara guerra all’Austria, il giovane medico decide di

arruolarsi volontario: il 20 maggio 1915 è inquadrato nell’esercito quale

sottotenente medico; il 25 maggio si presenta all’Ospedale militare di

Alessandria e, cinque giorni dopo, è in territorio dichiarato in stato di guerra,

in Carnia, aggregato al 2° Battaglione Alpini. Dal fronte, invia continuamente

cartoline e lettere ai genitori e alla sorella, Maria, tranquillizzandoli per le

proprie condizioni di salute e sollecitandoli a inviare loro frequenti notizie:

«io sto sempre benone», ripete in quasi tutte le cartoline. Il 26 giugno,

tuttavia, è costretto a lasciare il territorio di guerra in seguito a una ferita alla

mano e all’avambraccio sinistro, provocata dalle schegge di una granata

nemica. Viene operato e rimane in licenza di convalescenza fino al 10

novembre 1915; nel frattempo ottiene una promozione al grado di Tenente

medico di complemento. Il 1° dicembre è assegnato all’Ospedale militare di

Voghera ma, un mese dopo, fa ritorno, su sua richiesta, al 2° Reggimento

Alpini. Nel gennaio 1916 entra nel corpo di spedizione organizzato per

l’occupazione dell’Albania continuando a prestare servizio medico-sanitario.

Rimane in Albania per 18 mesi, fino al settembre 1917, quando rientra in

Italia per aver contratto la malaria. Ettore viene quindi nuovamente inviato

in congedo, per due mesi ma, dopo Caporetto, decide di rinunciare al periodo

di riposo ed entra nel 2° Reggimento Fanteria di marcia con una promozione

a Capitano. Dal fronte, il giovane medico invita i famigliari a non demordere

dalla causa patriottica: «davanti a noi ci sono quei soldati che hanno in questi

giorni mostrato come ancora sanno battersi gli italiani […] Ho fede che siano

passate le ore di passione d’Italia e che siano per venire le ore di

resurrezione».

L’avventura militare di Ettore si conclude con il suo definitivo rientro e

collocamento in congedo nell’ottobre 1919: torna dalla guerra con una

medaglia di bronzo al valor militare, conferita il 3 novembre 1918, due croci

al merito e una pensione di guerra vitalizia per l’invalidità causata dal

ferimento.

338

Nelle numerosissime lettere e cartoline che Ettore spedisce dal fronte, sono

quasi del tutto assenti riferimenti precisi alle proprie mansioni, agli

spostamenti o riflessioni sulla conduzione della guerra in corso: si preoccupa

piuttosto di avere costantemente notizie dai propri cari, quasi a voler

sentirsi, pur nella lontananza, in continuo contatto ideale con essi.

Al ritorno a Pavia, Ettore è tra gli animatori dell’associazionismo reducistico,

rimanendo sulle posizioni di un patriottismo e di un interventismo

democratico, inteso come naturale prosecuzione dello spirito garibaldino e

risorgimentale; come scriverà nel 1923 su un giornale combattentistico «La

fede incrollabile nella missione dell’Italia e nell’avvenire della Patria, che

animò gli interventisti della prima ora, che tutti ci strinse dopo Caporetto è

tutt’ora viva e ardente più che mai». Nei suoi interventi è frequente il

richiamo alla «nobile missione» di «raggiungere l’unità spirituale fra gli

italiani», al di sopra delle divisioni politiche. Nel pesante clima politico degli

anni del dopoguerra, tuttavia, Ettore matura sentimenti antifascisti,

orientandosi piuttosto su posizioni socialiste riformiste.

Nel 1921, dopo aver frequentato una serie di corsi di perfezionamento

all’estero, Ettore è assunto all’Università di Pavia in qualità di assistente di

Anatomia Patologica, a fianco del professor Monti. Nel 1923, infine, supera un

concorso per l’incarico di Libero docente di Patologia medica, ruolo che

manterrà fino al 1926, quando gli verrà negato il rinnovo del contratto a

causa della sua attività antifascista all’interno dell’Università. Negli anni

seguenti, Ettore Tibaldi riuscirà a ottenere il ruolo di primario all’ospedale

“San Biagio” di Domodossola, città in cui, nel settembre-ottobre 1944, sarà

presidente della Giunta provvisoria di Governo della “Repubblica” partigiana

dell’Ossola. Nel secondo dopoguerra sarà eletto senatore per il Partito

Socialista e, dal 1964, per il PSIUP, ricoprendo anche l’incarico di Presidente

del Senato. Reintegrato come docente all’Università di Pavia, morirà nel 1968

a Certosa di Pavia.

Storia di Giuseppe Bianchi

339

Dati anagrafici:

Nome e cognome: Giuseppe Bianchi

Data di nascita: 31 gennaio 1899

Luogo di nascita: Albuzzano

Luogo di residenza: Albuzzano

Professione: contadino

Statura: 1,68 ½

Capelli: neri

Occhi: grigi

Fondi di riferimento: foglio matricolare.

Giuseppe Bianchi è figlio di due contadini di Albuzzano, paese dislocato alla

destra dell’Olona, nel Pavese orientale. Come i suoi coscritti della classe 1899,

viene chiamato alle armi nel 1917: riconosciuto abile di prima categoria il 16

febbraio, viene aggregato al 34° Battaglione di milizia territoriale di Fanteria

presso il Distretto militare di Voghera.

Il 17 aprile il giovane contadino di Albuzzano viene iscritto nella terza

categoria di leva e trattenuto alle armi. Inviato in territorio di guerra il 3

luglio 1917, viene successivamente trasferito al Deposito del 2° Reggimento

fanteria da Fortezza. Il 24 agosto, Giuseppe si allontana dal proprio reparto

senza permesso: viene immediatamente applicata la disciplina militare e

dichiarato disertore. Il 2 settembre 1917 è denunciato al Tribunale Militare

di Guerra di La Spezia.

Giuseppe si costituisce spontaneamente, ma è subito messo alle prigioni del

Corpo in attesa di giudizio. Mentre al fronte si fa più dura l’offensiva

austriaca, il giovane si vede sospeso il procedimento per diserzione l’8

settembre 1917 per essere inviato in territorio di guerra.

Il 26 gennaio 1918, tuttavia, il giovane contadino è nuovamente dichiarato

disertore: seconda la motivazione ufficiale, il soldato, «comandato di Scorta

rimaneva abusivamente assente dal 16 gennaio 1918 al 3 febbraio».

Denunciato per la seconda volta al Tribunale Militare di La Spezia, viene

imprigionato il 18 febbraio.

340

Uscito dalle carceri militari per sospensione del procedimento il 30 marzo

1918, viene infine aggregato al 16° Reggimento Artiglieria da campagna. Nel

marzo 1919, beneficiando dell’amnistia in favore dei soldati dichiarati

disertori, verrà dichiarato il non farsi luogo a procedimento penale e

Giuseppe viene lasciato in congedo.

Come attesta il suo foglio matricolare, Giuseppe verrà richiamato alle armi il

15 maggio 1941 giungendo in territorio dichiarato zona di operazioni

belliche il 6 giugno 1941.

Storia di Giulio Cesare Bonfanti

Dati anagrafici:

Nome e cognome: Giulio Cesare Bonfanti

Data di nascita: 19 settembre 1894

Luogo di nascita: Como

Luogo di residenza: Pavia

Professione: studente

Statura: /

Capelli: /

Occhi: /

Fondi di riferimento: note biografiche composte dai familiari e necrologio

raccolte nella pratica per il conferimento delle lauree honoris causa agli

studenti caduti presso l’Archivio storico dell’Università degli Studi di Pavia.

Cesare Bonfanti, appartenente a famiglia di origine nobiliare, nasce a Como

da Oreste Bonfanti e Jeanne Lampugnani. Studente di legge all’Università di

Pavia, viene chiamato alle armi nel 1915, durante il primo anno di studi

universitari. Licenziato a settembre dal corso accelerato per ufficiali della

Scuola Militare di Modena, viene aggregato con il grado di Sottotenente di

complemento al 156° Reggimento Fanteria.

341

Come riporta la memoria realizzata dai genitori «Con serena tranquillità

aveva salutato parenti ed amici il giorno della partenza per il campo

dell’onore e con eguale tranquillità affrontò il suo destino». Per due volte, per

intercessione della madre, aveva ottenuto di poter passare al Corpo Sanitario

dell’esercito ed evitare dunque lo scontro diretto con il nemico, ma entrambe

le volte Cesare aveva «energicamente e recisamente rifiutato».

Il giovane vive con serena accettazione il passaggio brusco dal comodo status

di studente universitario, alla dura vita di trincea e alla rigida disciplina

militare. Sempre secondo la biografia scritta dai famigliari, «Partito senza

conoscere il Reggimento al quale sarebbe stato aggregato, ebbe la ventura

(che forse altri avrebbero ritenuta fortunata) di vedere al campo un cugino

colonnello comandante il Reggimento che formava brigata col suo»; il

giovane studente, tuttavia, «nella sua semplicità, nel suo orgoglio, ben

ammirevole, non credette opportuno di presentarglisi, affinché né collega né

superiori dubitassero che invocasse aiuti o mendicasse privilegi ed il cugino

seppe della sua presenza al Reggimento, solo quando il suo bel corpo giaceva

esanime sul campo dell’onore».

Inviato in territorio di guerra, fin dai primi giorni Cesare è inviato in prima

linea, sul monte San Michele. Tiene tuttavia nascosto alla sua famiglia e, in

particolare, alla mamma, di trovarsi in tale pericolo, tranquillizzando parenti

e amici nelle lettere e cartoline.

Il 10 ottobre 1915, dopo solo 13 giorni dal suo arrivo al fronte, Cesare viene

colpito da una granata nemica. Muore il giorno stesso. È il primo studente

dell’Università di Pavia e il primo degli allievi ufficiali licenziati dalla Scuola

Militare di Modena a cadere sul campo di battaglia.

Ricordato dai genitori come un martire della causa patriottica che

«generosamente immolò la sua giovane e balda esistenza per un grande

ideale», Cesare verrà commemorato l’11 novembre 1915, durante la solenne

inaugurazione dell’Anno Accademico, nell’orazione ufficiale del nuovo rettore

Oreste Ranelletti. Nel 1919 gli verrà conferita la laurea honoris causa in

Giurisprudenza.

342

Esempi di storie di vita

1-Generale Achille Papa

Il 23 febbraio del 1863 nasceva a Desenzano del Garda Achille Papa, il futuro

eroe, caduto sulla Bainsizza all’alba del 5 ottobre 1917. Il padre del futuro

condottiero amava raccontare ai figli le vicende delle guerre del

Risorgimento, esaltando il valore del giovane esercito che aveva saputo

condurre all’unità la patria divisa. Nel piccolo Achille nacque così la

vocazione per la carriera militare, vocazione in quanto fu portato all’esercito

per compiervi un’azione di apostolato educativo. Uscito sottotenente degli

alpini dalla scuola di Modena nel 1882, tenente al Battaglione Morbegno,

capitano al battaglione Susa con suo immenso dolore è trasferito nella

fanteria. Sarà la sua croce perché amava la montagna di un amore grande,

viveva per la montagna. Con gli uomini delle Alpi e sulle Alpi si sentiva a

posto. Il 24 maggio 1915 entra in linea nella zona del col di Lana. L’ufficiale,

riformato dagli alpini, combatterà ventotto mesi in montagna; si coprirà di

gloria nella difesa di uno dei più alti massicci del fronte, il Pasubio; sarà dopo

il generale Cantore il generale più popolare tra gli alpini. Nel novembre del

1915 è promosso maggior generale e assume il comando della brigata Liguria

(157-158 regg fanteria) operante nel settore di Monte Nero, Mrzli, Vodil,

Santa Lucia, quanto sangue, quante morti eroiche. Achille Papa amava i

soldati fraternamente; faceva si che non mancasse nulla, presente sempre

nelle prime linee. Esplorava e studiava sul posto il terreno prima di ogni

azione : Divideva con l’ultimo fante le asprezze della trincea, la povertà della

menza, il pericolo del ricovero. Teneva insomma in considerazionel’opera dei

cappellani militari perché senza la fede non si può combattere. Scriveva di

proprio pugno alle famiglie dei Caduti e numerose lettere sono sparse per

343

l’Italia, segno del suo amore per i soldati. Comandante di presidio a Caporetto

nella primavera del 1916, oltre che educatore di soldati diviene educatore di

bimbi. Lo spettacolo di bimbi abbandonati che si aggiravano tra gli

accampamenti, toccarono il cuore al generale. Egli che si era fatto militare per

un’opera di educazione, capì che era giunto il momento di provvedere

all’educazione, alla formazione dei piccoli che erano ormai fi figli dell’Italia

nuova. Fondò così un ricreatorio che oltre alla refezione forniva gli indumenti

per i più poveri e abbandonati. Con una scuola di fortuna, iniziava quella

conquista spirituale delle popolazioni alloglotte che le nostre maestre di

confine conducevano ancora con ardore ammirevole. Alle cure del ricreatorio

dedicava tempo ed amore. Dava indirizzi si intratteneva coi piccoli che

sgranavano gli occhioni alla vista di quel militare alto, dai lunghi baffi dal fare

paterno che arrivava sempre con pacchi e distribuiva giocattoli, indumenti e

ghiottonerie. Divenne così il signor Ispettore. L’arrivo suo era segnalato da un

solo grido dei bambini “il signor Ispettore”, “il signor Ispettore”, “il signor

Ispettore”. Fu così il primo ispettore scolastico nelle terre redente. Ecco

alcune osservazioni del generale fatte nelle lettere alla famiglia che parlavano

del ricreatorio: …Tra una cannonata e l’altra io sto costituendo un ricreatorio

per cercare di raccogliere un centinaio di creature e toglierle così dalla strada,

dove stanno con gravi pericoli di tutti i generi Per quanto diffidenti questi

sloveni, credo di essere riuscito ad ammansirli e l’idea del ricreatorio è bene

accolta. Oggi ho già potuto raccogliere 30 bambine, molte purtroppo orfane e

quegli occhioni azzurri come il loro Isonzo che mi sorridevano, erano per me

una grande ricompensa al poco che faccio per loro. Noi dobbiamo penetrare tra

queste popolazioni senza urtarle nei loro sentimenti, nella loro lingua cui

tengono moltissimo. Sarà un lavoro lungo, difficile, ma che dobbiamo

cominciare fin fa ora dimostrando che la guerra attuale era per noi una dura

necessità e che dove possiamo tendiamo al bene, ad alleviare i danni orribili che

la guerra arreca. Questi erano i suoi principi etici. Ecco alcuni ricordi di Luigi

Regazzola: Si aggirava giorno e notte nelle trincee a spronare, ad incoraggiare,

a correggere, a punire. La bontà d’animo non gli impedì mai di essere un

severissimo capo. Sopraffatto. Era oratore poco felice, ma quando parlava ai

soldati di guerra, di giustizia, di dovere, di Patria, tanto si infiammava e dagli

344

occhi miti uscivano tale fuoco di intima convinzione che soggiogava. Il soldato

l’amava e lo seguiva perché egli era giusto, perché

Era il primo a pagare nel pericolo, perché lo difendeva. Tra un periodo e

l’altro di trincea, tra un combattimento e l’altro, per cui ebbe sempre elogi

aperti ed encomi ed alta stima di superiori e caldo affetto dei soldati Con

coraggio e tenacia seguiva i suoi soldati nei combattimenti del Zovetto e sul

Magnaposchi. Dallo Zovetto(in cui la Brigata guadagna una medaglia d’oro) Il

generale Papa passa al Pasubio a mietere altre vittorie. All’alba del 29

settembre il massiccio montuoso della Bainsizza, che portava il nome di

Quota 800 (oggi quota Papa) era stato preso di slancio dalle sue truppe.

Rimase accanto ai suoi soldati durante i massicci bombardamenti austriaci.

Quando la sera del 4 ottobre voleva scendere a ispezionare i reticolati ed il

terreno, fu fermato e avvertito del pericolo. Ma all’alba del giorno, dopo il 5

ottobre volle ugualmente visionare la zona incurante del pericolo che poteva

colpirlo. Come avevano previsto i suoi soltati il cecchino nemico lo colpì a

morte. Il generale diceva “ il soldato si porta avanti con l’esempio”. Era il 5

ottobre 1917.

Fonti di riferimento: ASBs, (Archivio di Stato di Brescia), Nastro Azzurro, b.

3. M. ANNIBALE MARCHINA, Gli aspetti umani della Grande Guerra-Il

cardinale Giulio Bevilacqua e il generale Achille Papa, IX Settimana della

Cultura, convegno e mostra, Brescia, maggio 2009.

2-Comunicazione della promozione a Generale, 28 novembre 1915.

Caro…Generale, mentre sono spiacente di perderLa, ho il piacere di essere il

primo ad annunciarle che ella deve partire per Caporetto per prendere il

comando della Brigata Liguria quale colonnello incaricato. Congratulazioni

vivissime ed una cordiale stretta di mano. Affezionatissimo Ferrari

3-Don Francesco Galloni-Cappellano militare

Dati anagrafici

Nome e cognome Galloni Francesco.

Data di nascita 8 febbraio 1890

Luogo di nascita Lodetto di Rovato

345

Luogo di residenza Lodetto di Rovato

Professione sacerdote-cappellano

Statura 1,64

Capelli castani

Occhi castani

Il 28 novembre 1915 fu chiamato alle armi e giunto in territorio in stato di

guerra e il di dicembre dello stesso anno si uni al Terzo battaglione di Sanità.

Le figure dei cappellani della Grande Guerra, furono importantissime

indispensabili ed ineguagliabili, che pur essendo soldati di Cristo, furono

anche eroici soldati. La loro presenza al fronte alleviò di non poco la

drammatica situazione dei soldati. Furono consiglieri fraterni, scrivani per

coloro che non sapevano scrivere, confidenti, psicologi, padri, cioè diedero sia

conforto spirituale che quello umano. Tutto ciò che i cappellani fecero per i

nostri soldati non basterebbero vari tomi per descriverli. Uno di questi fu

Francesco Galloni del Lodetto di Rovato che fu cappellano del V Reggimento

Alpini. Con questo reggimento combatté sul Pasubio, sul Dente italiano di

fronte al Dente austriaco dove la battaglia era caratterizzata da enormi

quantità d’esplosivo. Conobbe e apprezzò l’umanità del generale Achille Papa.

Dopo la morte del generale e terminata la guerra mantenne una fitta

corrispondenza con la vedova e i suoi figli. Ecco un esempio di una lettera

scritta da don Galloni il 31 dicembre 19177:Venerata Signora Eugenia, ieri

sera abbiamo parlato a lungo del generale con un Maggiore del Genio che lo

ebbe vicino tutto il luglio e per diversi giorni anche nel carso;è statauna

commemorazione di…che mai potremo dimenticare, è stato un caro ritorno a

ricordi che ci stanno nel cuore come parte della nostra vita e delle nostre

speranze. E mi parveche della nostra tenera riconoscenza ci venisse suggerito

un augurio per Lei e le sue creature, un augurio cheè promessa di letizia e di

conforto perché viene raccolto dalla capanna dove è esultato il Natale del

Redentore…don Francesco Galloni.

Don Galloni fu decorato nel 1916 con la medaglia di Bronzo per il Trincerone

di Zugna, nel 1917 altra medaglia d’oro e d’argento. Fu amicissimo del futuro

cardinale Giulio Bevilacqua, che durante la Guerra era anche lui cappellano

346

militare. Finito il conflitto il suo apostolato continuò con la fondazione

dell’Istituto Santa Maria dell’Opera “Pro Oriente” a Velo d’Astico (Vi).

Fonti di riferimento: ASBs, Nastro Azzurro, b.3.

4-

Nome e cognome Mario Fusetti

Data di nascita

Luogo di nascita Milano

Luogo di residenza

Professione

Il testo è stato redatto da uno studente di origine milanese, il sottotenente

Mario Fusetti, di 22 anni, due giorni prima della sua morte, avvenuta il 18

ottobre, all’assalto di una contrastata vetta alla quale bisognava inerpicarsi,

come scrive un suo commilitone con un lavoro improbo di mani, di funi di

piedi di ginocchi. Mario, che era figlio di un ispettore principale delle Ferrovie

dello Stato, ha dettato così il suo testamento spirituale, con raccomandazione

di comunicarlo a una ristrettissima cerchia di persone, prima di tutti al suo

colonnello. Questa lettera esprime in modo chiaro la retorica patriottica che

aleggiava tra gli animi dei giovani soldati.

Con mano sicura esprimo colle parole che seguono non le mie ultime volontà,

ma quei miei pensieri che desidero sopravvivano, per quelli che mi amano, alla

mia morte. Sono alla vigilia d’una azione d’ardimento, dal cui esito dipendono

in gran parte, le sorti di una vittoria A me, ai miei compagni d’arme, non manca

gran copia di fede: l’esito, con la vita, con la bella morte, sarà degno del nostro

imperturbabile amore per la Patria. Se cadrò, Papà, Gina, Angiolo mio, amici e

parenti che mi amate, non abbiate lagrime per me: io la morte, la bella morte,

l’ho amata. Non pensatemi, col petto squarciato nell’ultimo spasimo, ma da

fervore d’un impeto eroico, svanire in una beatitudine suprema. Io ho sognato,

nelle peregrinazioni del pensiero, nelle grandi questioni umane e cosmiche, un

avvenire di perfezione nelle cose, morali e fisiche. Ho amato la Patria mia

nell’intimo delle sue divine bellezze, delle sue tradizioni. Ho amato sopra ogni

cosa l’uman Genere, campo ove è possibile e necessario la lotta, dov’è

desiderabile e probabile il pacifico trionfo delle idealità non sacrileghe. E

347

appunto perché ho stimato necessaria la lotta io mi sono volenterosamente,

serenamente battuto. Che il mio povero corpo riposi semplicemente dove sono

caduto, io desidero: inumato coll’onore delle armi, fra i miei commilitoni. Che il

sacrificio mio, umile fra tanta gloria, sproni, se c’è, l’ignavo e dia sangue al

codardo.“Babbo mio, Gina mia, parenti, amici, voi che tanta parte siete

dell’anima mia, colla memoria adorata della Mamma, in alto i cuori!.

Fonti di riferimento: ASBs, Nastro Azzurro, b.3, c. n. 174.

5-

Nome e cognome Franco

Data di nascita

Luogo di nascita Milano

Luogo di residenza

Professione

Lettera del 14.1.1916 del maggiore Franco, già attendente del Generale

Papa all’81 Fanteria.

…. Il reggimento non potrà mai obliare che il colonnello Papa l’ha condotto fin

dall’inizio della guerra, l’81 Fanteria non potrà obliare che il Colonnello Papa

aveva trovato, oltre che il condottiero, il vero padre. La sua eccezionale e rara

bontà d’animo ha migliorato tutti noi, me per primo che quotidianamente ebbi

ad imparare da Lei quello che in 20 anni di spalline, non avevo imparato e cioè

“la dolcezza dell’animo pur nell’adempimento del proprio dovere” e ciò non è

poco. Quando un uomo lascia una scia d’affetto e di devozione come Ella ha

lasciato, può ben dirsi fortunato e può andare orgoglioso dell’opera sua.

Quanto io le esprimo non è servo encomio, poiché l’animo mio rifugge dal

convenzionale servilismo, ma è la genuina espressione di una collettività,

pensante, operante, vibrante qual è l’ufficialità e la truppa dell’81. Il

reggimento è sempre in via di trasformazione, partono i vecchi, giungono dei

giovani, la fisionomia iniziale è cambiati. Resta solo sovrana nei nostri cuori la

sua personalità Le auguro sig. colonnello, ogni bene, anzi il bene che auguro a

me stesso e che si compendia nel felice avvenire dei nostri figli. Le accludo due

numeri della tribuna, uno è per la sua buona cara signora. Se non ha tempo di

348

scrivermi, a me basta di tanto in tanto una sua cartolina con le notizie sulla sua

salute. Io le scriverò lo stesso. Con immutabile e costante affetto mi creda

sempre suo affezionatissimo Maggiore Franco

Fonti di riferimento: ASBs, Nastro Azzurro, b.3.

6)

Nome e cognome Ettore Bussi

Data di nascita

Luogo di nascita

Luogo di residenza

Professione

Questa lettera (14 ottobre 1917) mette in evidenza l’affetto e la

riconoscenza degli uomini della Brigata Liguria, quando in occasione della

promozione del colonnello Papa a Generale, decisero di offrire ad esso una

spada. Quelli della Brigata non ebbero la possibilità di consegnarla perché il

generale mori per un colpo sparato da un cecchino austriaco, durante una

perlustrazione prima che i suoi alpini andassero all’assalto.

La spada d’onore che noi facemmo eseguire per offrirla al nostro Generale, il

Generale della Brigata Liguria per antonomasia, al nostro Padre, Fratello,

Amico, che tutti senza distinzione di grado amavamo col lo stesso intenso

affetto. La spada giunse qui il giorno 9 ed ora è in giro ai vari battaglioni

dislocati in diverse località, perché gli Ufficiali possano vederla: Il Battaglione

del Maggiore Re e quello del Maggiore Montemaro si recheranno a riposo a R…

fra qualche giorno, e allora, non appena si saranno sistemati, i due maggiori e il

Tenente Ferrero si onoreranno di presentare a Lei, la Spada che noi volevamo

offrire in segno della nostra grande stima, della nostra ammirazione, ma

soprattutto del nostro grande affetto al nostro Generale, suo degnissimo

compagno affettuoso della vita. Tuttora che scrivo a lui, o Distintissima

Signora, mi sento commuovere, e ad un nodo di pianto sento stringermi la gola.

Dall’Alto dei cieli dove la sua Grande Anima è salita per ottenere

dall’Onnipotente Iddio la ricompensa alle sue grandi virtù. Egli guarderà a Lei,

alle Figliole e al Figlio suo, a noi anche della Brigata che tanto l’amammo,

mentre si conforterà di tanto affetto sincero e profondo, pregherà e otterrà dal

Sommo Iddio quel conforto all’anima di Lei, quel conforto che solo Lui, sa e può

349

darLe, in tanta sventura. Ho qui le lettere di Ufficiali lontani, che di Lui mi

scrivono con tutto quell’affetto che solo Lui può scrivere. Quando le avrò

raccolte gliele invierò perchè restino a attestare ai Figli le grandi virtù del

Padre. Se Ella mi credesse utile in qualche cosa, La prego vivamente non mi

risparmi, gliene sarò grato. Devotissimamente Ettore Bussi Colonnello, 14.X.917

Fonti di riferimento: ASBs, Nastro Azzurro, b.3.

7

Giovanni Pacchi, Felice Venturi, Paolo Lancini, durante la loro vita militare,

sviluppatasi nella tremenda esperienza della Grande Guerra intraprese un

fittissimo carteggio con i loro parroci e curati, in cui descrissero in modo

semplice e spontaneo la vita che trascorrevano in trincea, tra pidocchi,

freddo, fame e sotto il bombardamento continuo di cannoni e mitraglie.

Lettera di Giovanni Pacchi al reverendo Don Lusardi Giovanni, Rovato

per Pedrocca Brescia

Nervi 5 giugno 1916

Vengo da lei con questa mia cartolina a portargli le mie notizie ne o spedito

anche altra due credo che le avrà ricevute. Ora gli dico che io sono comodato

molto bene e ce dell’aria buona qui sulla spiaggia del mare e a piè delle

montagne e mi trovo di ottima salute e così spero anche di lei: intanto gli

mando molti saluti e presto verrò a trovarla si mi do la licenza e sono il suo

patriota

Pacchi Giovanni.Riguardo alla mia salute va bene. Saluti alla sig. Maria

Fonti di riferimento: ASBs, Carteggi Prima guerra Mondiale, b. 26, Cartolina

postale n. 1462

8-Lettera di Paolo Lancini, Dal fronte, 1/11/1916

Egregio Signor Rettore

Vengo da lei con questa mia cartolina per dargli una volta le mie notissie.

Dunque io al presente gli posso dire che mi trovo molto bene colla mia salute e

posso dire che sono a comodato bene e si troviamo in un piccolo paesello

aquestato col nostro sangue e siamo dentro noi in riposo. Io credo che sarà di

350

ottima salute lei e la S. Maria. Intanto io ad avere più nulla da dirgli ho da

inviargli i miei saluti. Saluti anche alla mia famiglia e alla sig. Maria.

Fonti di riferimento: ASBs, Carteggi Prima guerra Mondiale, b. 26, Cartolina

postale n. 1463

9-Lettera di Felice Venturi, Dal fronte 16.1.17

Riverendo Signor Rettore,

Dopo un lungo tempo vengo con questa mia cartolina portandoli mia ottima

salute sperando simile di lei, Sono molto contento perché da parecchi giorni che

sono in riposo e siamo molto indietro, che sa forse cambieremo fronte, spererei

in questo riposo venite in licenza, ora ne mandano più numerosi, ma siamo

ancora in molti di andare, avrei molto piacere trovarsi a casa prima che il

fratello Giuseppe venga via, almeno potete rivedere sto sempre in quella buona

spettanza, e anche se potrà combinarsi con mio fratello Paolo ma sarà una

grande combinazione. Io la ringrazio della Voce del Popolo che mi a mandato

alle feste e anche contraccambio lei suoi saluti e auguri che vi stava. Sono suo

soldato Venturi Felice

Fonti di riferimento: ASBs, Carteggi Prima guerra Mondiale, b. 41, Cartolina

postale n. 4365

10-Lettera di Angelo Zamboni di Passirano -Zona di Guerra Lì 10-1915

Cari miei

Oggi che sono di servizio di vedetta che ho di riposo questo tempo ne approfitto

per darvi mie più precise notizie. E ancora dal giorno 13 che siamo su queste

alpi di e rocciose vette, mantenendosi la posizione che abbiamo occupato. Il

nemico, dacche fu respinto, non è venuto più a disturbarci solo che i primi

giorni ci mandavano qualche cannonata per disturbarci ma vedendo che era

tutto fiato sprecato indarno, ora ci lascia quieti: E’ 12 giorni che siamo qui al

ciel sereno e appena colla mantellina, di giorni si sta ancora bene, intanto che è

tempo bello, ma di notte in questa stagione trovarsi all’aperto su queste vette,

quel poco che si ha di riposo si balla dal freddo, e si desidera che venga giorno

per riscaldarsi col sole. Ah cari miei la vita che si passa in questi luoghi non è

considerevole, ci portano il rancio una volta al giorno, la sera per non farsi

351

vedere dal nemico, il pane, una razionaria di carne e due cucchiai di pasta che

tutto il giorno è sbattuta sui muli, e questo è il rancio per 24 ore; mangiare

sempre di freddo e poco dormire al duro, in mezzo alle rocce e per guanciale

adopero un sasso con pochi rami o erba. Ah se provassero certuni che cosa sia

la guerra e la vita del soldato senza i pericoli… e non direbbero vogliamo la

guerra. In mezzo a tanti sacrifici e fatiche però non posso lamentarmi che Dio

mi conserva sano e salvo, godo proprio una salute di ferro, avrei bisogno

proprio di un po’ di borghese per rimettermi, e chi sa che presto mi si conceda

una breve licenza. Otto dei miei compagni per premio perché hanno fatto

saltare i reticolati con tubi di gelatina, ieri sono andati in licenza per 6 giorni,

ma presto il mese venturo forse chi sa che possa venire anch’io, già è arrivata

una circolare del Comando supremo di concedere brevi licenze ai soldati al

fronte. Speriamo che il momento di potersi abbracciare non sia tanto

lontano,ho come sono contento! E queste cose ho da darvi. E questo tanto

sospirato e desiderato giorno che ci porti la pace che non venga. Ah che Dio

faccia cessare questo flagello, che mi pare una vita da brigante quello che

faccio, e faccia ritornare un aurora di pace, per riposare tanta gioventù

sacrificata. Anche questi testoni dovrebbero bene intenderla una buona volta

che tutte le parti hanno perdite, anche noi li mettiamo un po’ alle strette

adesso, e sottomessi. Speriamo che presto sia finita anche questa guerra, e se

Dio mi conserverà sano e salvo possa di nuovo ritornare in seno alla mia figlia.

Vi giungla come un eco di queste nostre amate alpi i miei più caldi affettuosi

saluti a tutti parenti e amici e conoscenti. Cara mamma, ti mando tanti baci e

abbracci, stai allegra che benché sia lontano il mio pensiero e sempre a te con

quella speranza di rivederti mi passano i giorni. Caro fratello quando sarò che

potremo di nuovo abbracciarsi e fatti coraggio e scrivi di sovente, se sapesti

come mi sono di sollevo e conforto le tue cartoline, così pure te cara sorella

scrivimi, che avrai più tempo, e termino col mandarvi tanti baci e una stretta di

mano ricevete dal vostro datemi notizie del paese, addio amato fratello Angelo.

Ciao ciao ciao.

Fonti di riferimento: ASBs, Carteggi Prima guerra Mondiale, b. 42, lettera n.

4434.

352

11- Lettera di Angelo Zamboni

Al signor Zamboni Giovanni Cazzago S.M, Provincia di Brescia-Zona di

guerra lì 12-6-1916

Carissimi genitori. Ora vi scrivo di nuovo per darvi le mie notizie, la mia salute è

ottima come spero di tutti voi in famiglia, ora vi faccio sapere che la sera del

giorno 9 sono andato in trincea e per ora mi trovo in terza linea. Voi non

pensate a pensare male di me che io sono comodato bene sono al sicuro per ora.

Vi o’ scritto una lettera e una cartolina fatemi sapere con questa cartolina se

l’avete ricevuta, se ricevi questa datemi subito la risposta che avete l’indirizzo e

o’ voglia di sapere le vostre notizie. Basta non vi dico altro perché spero che

avete letto le altre che vi o’ mandato. Vi prego di mandarmi la carta e cartoline

tutte le volte che mi scrivete perche’ qui non ce ne carta ne cartoline ne

francobolli fatemi sapere colla lettera se avete pagato la tassa, qui siamo in

mezzo alle montagne che non si vede nessuno e non ce niente di comperare

qualche cosa da mangiare però di mangiare ne danno abbastanza danno di

fumare di tutto danno, e i soldi non so che farne qui, Quel che vi dico di nuovo di

andare almeno alla festa, ascoltare una messa per me voi che avete tempo, che

qui non ce ne festa gne niente: i giorni sono tutti uguali: Dunque pregate il

signore che abbia di tornare a casa presto sano e salvo in mezzo a voi, fatevi

coraggio anche voi genitori non state a mettere dei pensieri nella testa che mi

faccio coraggio anch’io ciao addio. Saluti a tutti i ziii i parenti e speriamo

sempre che si finisca presto. Intanto vi saluto caramente tutti in famiglia:

Vostro caro figlio Angelo vi mando tanti baci a tutti, addio. Pronta risposta

Fonti di riferimento: ASBs, Carteggi Prima guerra Mondiale, b. 42, Cartolina

postale n. 4432, lettera di Zamboni Angelo di Cazzago San Martino.

12-Dati anagrafici

Nome e cognome Milesi Giovanni

Data di nascita 12 ottobre 1895

Luogo di nascita Cellatica

Luogo di residenza Cellatica

Professione contadino

Statura 1,62

353

Capelli castani

Occhi castani

Giovanni Milesi (1895-1957), soldato di leva di prima categoria del

Distretto di Brescia, si presentò alla leva il 17 novembre del 1914 e poi

lasciato in congedo illimitato dal 10 gennaio 1915 a causa della ferma del

fratello maggiore Vincenzo della classe 1892. Fu poi chiamato alle armi per

mobilitazione il 22 maggio 1915. Si presentò il 1 giugno 1915, al 50

Reggimento Fanteria. Passato poi il 6 settembre, dello stesso anno, nel 49

Fanteria Mobilitato. Il 6 novembre 1917 risultò prigioniero di guerra, in

conseguenza della disastrosa disfatta di Caporetto dell’ottobre del 1917.

Giovanni la prigionia la subì in un campo di concentramento in Germania.

Liberato, con la fine del conflitto, rientrò in Italia il 18 novembre 1918, ma fu

mandato nel campo di raccolta di Pistoia. Il 19 marzo 1919 risulta aggregato

al deposito del 77 Reggimento di Fanteria. In quell’anno esattamente il 12

settembre, il comandante Gabriele d’Annunzio, insieme ai suoi Legionari, con

un colpo di mano, occupa Fiume. Tra questi ultimi si trova anche Giovanni

Milesi, che pur essendo stato messo in congedo illimitato il 18 novembre del

1919, rimase al fianco di Gabriele d’Annunzio. fino alla conclusione del

sanguinoso Natale dell’anno successivo.

Dopo avere combattuto la prima Guerra Mondiale, si immerse con fervido

entusiasmo agli avvenimenti fiumani. A Gabriele d‘Annunzio restò sempre

legato rendendogli visita di tanto in tanto al Vittoriale, unitamente ai nipoti.

In occasione di una di queste visite il poeta staccò da una parete un quadro

con un suo ritratto fotografico, appose di pugno una dedica al mio prozio al

quale lo donò. Alla morte di Giovanni il ritratto passò al nipote Luigi che lo

conserva. Giovanni era coniugato con Teresa Uberti che gli sopravvisse di un

anno e morì in conseguenza della gotta di cui soffriva. Non ebbero figli. Era

l’esperto cantiniere della famiglia e la sua eredità fu raccolta dal nipote

Giovanni che ha fatto rivivere e che continua, con il figlio Alessandro, le

tradizioni vitivinicole dei Milesi.

Fonti di riferimento: ASBs, Ruoli Matricolari Distretto di Brescia, classe

1895- C. BERTULLI, Storia della famiglia Bertulli, Cellatica, 2007.

354

13

Nome e cognome Giusepppe Giavarini

Data di nascita 6 giugno 1900

Luogo di nascita Pontoglio

Luogo di residenza

Professione sacerdote

don Giuseppe Giavarini, figlio di Angelo e Teresa Lamera, partecipa

giovanissimo all’ultima fase della Grande. Viene consacrato sacerdote il 26

maggio 1923. I primi anni da sacerdote li passa nella natia Pontoglio sotto la

guida di don Giovan Battista Orizio, scrupoloso sacerdote e inflessibile

antifascista. Da don Orizio assimilò una passione vivace per il Movimento

cattolico e per la pastorale fra il popolo. Personaggio di spicco nella comunità

bresciana per il suo particolare temperamento vissuto con atteggiamenti per

il periodo eterodossi. Dopo aver partecipato attivamente nella Resistenza

venne nominato parroco dal Vescovo Giacinto Tredici il 15.12.1946 e

prendendo possesso della parrocchia il 6.1.1947. Sacerdote di grande

personalità, pietà, dottrina e cultura oltre che gran predicatore, il suo ricordo

è ancora vivissimo. Prende parte attivamente alla Resistenza e viene

condannato a morte dai nazifascisti, ma riesce fortunosamente a salvarsi

fuggendo in Svizzera. Per la sua attività durante la Resistenza viene decorato

dal Comando Inter-Alleato. Muore improvvisamente il 20 gennaio 1977, a 77

anni. Fu grande amico del comandante partigiano Tarzan con il quale si

ritrovava spesso malgrado da diversa fede politica.

Fonti di riferimento: A. FAPPANI, Enciclopedia bresciana, V, Ed. “La Voce del

Popolo”, Brescia, 1982, p. 275.

14-Lettera del Tenente farmacista dott. Giuseppe Cappelli

Costa di Tiè, 3 agosto 1915

Illustrissimo signor Colonnello, io sono l’Ufficiale che già una volta, Le inviò dei

passamontagna per i suoi sodati. Ma sono semplicemente organo di

trasmissione, fra alcune mie colleghe del laboratorio di Chimica Pura della Real

Università di Roma, ed i soldati combattenti. Sono spiacente di trovarmi

attualmente sprovvisto di oggetti di lana, perché quelli che avevo, li ho

355

distribuiti ad un battaglione di bersaglieri, che è rimasto per alcuni giorni in

riposo a Villagrande. Non mi è rimasto che questo corredo completo per uno,

giuntomi dalla dott.ssa Irma Greco d’Alceo via….ieri mattina, e son ben felice di

poterglielo inviare. So che ella ha avuto, la cortesia di comunicare alla detta

signora alcuni suggerimenti, che sono stati senz’altro accolti. Perdoni, la libertà

presami nello scrivere questo biglietto, che però ha procurato a me l’ambito

onore di una relazione epistolare col Colonnello Papa, il cui nome avevo

ripetutamente sentito ricordare con ammirazione dai soldati dell’81 di

passaggio, perché feriti o malati dall’ospedaletto mio in Andrai e Collaz.

Distintamente Ossequiando, devoto dr. Giuseppe Cappelli, Tenente farmacista,

61 Ospedaletto da 50 letti, 9° Corpo d’Armata, 4^ Armata. In basso alla missiva

il colonnello Papa scrive a matita un commento: Vedi i miei soldatini, mandala

ad Ulisse5.

Fonti di riferimento: ASBs, Nastro Azzurro,b. 3, Carteggio gen. Achille Papa.

15- Lettera di Riccardo Giustacchini alla madre

Questa lettera dimostra la spontaneità e l’immediatezza delle forme dialettali.

La situazione familiare di Riccardo, da come estende la lettera alla sola madre

che non fa riferimento al padre, in quanto deceduto tre anni prima. Riccardo

Giustacchini apparteneva alla famiglia di Cartai e commercianti di Nave, che

nel risorgimento ebbe Carlo come protagonista nella lotta contro gli

Austriaci. Condannato a morte per alto tradimento, fu graziato grazie

all’intercessione di sua moglie e di alcuni nobili lombardi.

Li 2 luglio 1916

Ricevetti il pacco dal Velo, ancora intatto, che mi sente caro per cambiarmi, mi

ha detto Aristide a venirti ad avisarti come mi scrissi. Si è imprestato poveretto

ringrazialo e salutamelo. Ricevetti anche una cartolina di Pinello e una di

Giovanni e non mi dicono che hanno ricevuto le mie; si vede che non ci arrivano

come mi disse Pinello che è un mese che non riceve nemmeno le tue. Adesso che

c’è qui Mini bevo qualche bottiglia di vermut Marsala con cioccolatta, anzi è

andato a Caporetto a lavorare la biancheria a suo padrone, cioè tenente

medico e si trova con Menech e fece una mangiata di pasta asciutta, mi avrebbe 5 L’appunto a matita era rivolto alla mogliie Eugenia Federici, affinché facesse vedere la lettera al cugino Ulisse. ASBs, Nastro Azzurro, b. 3.

356

piaciuto essere anch’io, invece porto qualche cosa, pazienza. E’ stato qui anche

il parroco e disse la santa messa in baracca; era dietro ancora che metteva via i

suoi libri che sente bestemmiare uno da parte e uno dell’altra, fece una morale

e scappò via rabbiato, e disse che è una sporcheria. Pare che stiamo ancora c’è

di lavorare ma non siamo così al pericolo. Adesso mi hanno cambiato la

pagnocca e non mi fa più male. Io sto bene e spero anche di te, e guarda di

andare alle acque e non pensarci se vuoi star bene. Salutami fratelli sorelle a

zia Angela a tutti un bacio dal tuo figlio Riccardo. Spero che si finisce…

ASBs, Carteggi I Guerra Mondiale, b. 30.

16-Il Cittadino di Brescia Il 23 luglio, appena tre settimane dopo aver scritto

alla madre, veniva colpito alla fronte da una scheggia nemica. La madre e i

fratelli annunciarono la morte del loro congiunto sul quotidiano“Il Cittadino”

mentre su “La Sentinella” altro quotidiano di Brescia, annunciava: E’ caduto

valorosamente al fronte il 23 luglio il soldato Riccardo Giustacchini, di Nave,

appartenente a famiglia di commercianti assai nota nella nostra città. Inviamo

alla sua memoria un pensiero di gratitudine e sentite condoglianze alla

famiglia.

17- Cartolina del 26 luglio 1915 di Alberto Godi di Villanuova sul Clisi.

Ho l’onore ancora di inviarvi le mie notizie e della mia ottima salute che tanto

mi piangeva il cuore a non aver potuto darvi una notizia dopo tanti giorni che

da voi tanto mi avrete pensato. In questi giorni di vittoriosi combattimenti che

a avuto il nostro vittorioso 18° Fanteria, che io ne provai di tutte per ottenere

sopra le colline la vittoria. State tranquilla che il vostro Alberto farà di tutto

per darvi sempre notizie, sempre se esisterò. Addio mamma mi dichiaro vostro

Alberto. Tanti saluti. Ricevete un bacio e distinti saluti dal vostro figlio Alberto.

Speditemi denaro urgente.

Fonti di riferimento: ASBs, Carteggi Prima guerra Mondiale, b.30

18-Dati anagrafici

Nome e cognome Lauro Giuseppe….

Data di nascita 12 dicembre 1895

Luogo di nascita Moscoline

357

Luogo di residenza Moscoline

Professione contadino

Statura m 1,62

Capelli castani

Occhi neri

Segni particolari cicatrice tempia destra

Leggere-scrivere poco

Assegnato al V Reggimento Alpini, Battaglione Vestone

Richiamato il 23 maggio 1915 in territorio dichiarato in stato di guerra.

Dichiarato disertore, il 15 luglio 1917, per non essere rientrato al proprio

reparto alla scadenza di una breve licenza. Tale denunziato al Tribunale di

Guerra per l’Intendenza di Finanza per diserzione. Arrestato dai Reali

Carabinieri il 29 luglio 1917. Condannato a anni tre di reclusione Militare con

sentenza del Tribunale di Guerra della 6^ Armata in data 23 agosto 1917.

Sospesa poi l’esecuzione della pena fino alla fine della guerra. Tale nel 3°

Reggimento, Battaglione Val Dora, dal 10 settembre 1917.

Fu fatto prigioniero il 17. 1. 1918. Morto in prigionia a Tolmezzo per malattia

di cuore, come da elenco Ministero della Guerra 3 giugno 1918.

Fonti di riferimento : ASBs, Ruoli Matricolari Militari classe 1895.

19-Dati anagrafici

Nome e cognome Tonali Pietro ….

Data di nascita 21 gennaio 1895

Luogo di nascita Manerba

Luogo di residenza Manerba

Professione pescatore

Statura m 1,59

Capelli neri

Occhi neri

Segni particolari cicatrice sulla fronte

Leggere-scrivere poco

Chiamato alle armi l’11 gennaio 1915, assegnato al 26° Reggimento Genio,

richiamato in territorio dichiarato in stato di guerra si presentò il 23 maggio

358

1915. Morto in combattimento sulla collina Santa Lucia, come da atto di

morte inscritto al 146 del registro degli atti di morte del 26° Reggimento

Fanteria, il 21 agosto 1915.

Fonti di riferimento: ASBs, Ruoli Matricolari Militari, classe 1895.

20-Lettera del sottotenente Magazzino degli alpini al generale Papa,

Monte nero 19 marzo 1916

Illustrissimo sig. Generale

Mi prendo la libertà di pregarla di assegnare due fettine del prosciutto che la

direzione dei Servizi Alpini distribuisce alle truppe alpine alle quali Vostra

Signoria Illustrissima appartenne per molto tempo ed ove la ricordano con

devotissimo affetto. Lo scrivente quando il sig. Generale Achille Papa era

capitano, copriva il posto di furiere della 34^ Compagnia ossequiando e

chiedendo venia della presami libertà. Auguro buon appetito ed ottima fortuna.

Il sottotenete Consegnatario del Magazzino degli Alpini in Iderotto Ge Monte

Nero.

Fonti di riferimento: ASBs, Nastro Azzurro, b. 3

21-Dati anagrafici

Nome e cognome Zandonini Angelo….

Data di nascita 15.7.1897

Luogo di nascita Bagnolo Mella

Luogo di residenza Bagnolo Mella

Professione contadino

Statura m 1,67

Capelli castani

Occhi castani

Fu fatto prigioniero di guerra a Caporetto il 15 novembre 1917. Dopo la

guerra fino al 1937 fu Camicia Nera.

Fonti di riferimento: ASBs, Ruoli Matricolari Militari, classe 1897.

22-Dati anagrafici

Nome e cognome Odelli Abramo….

359

Data di nascita 24 settembre 1895

Luogo di nascita Ono san Pietro

Luogo di residenza Ono san Pietro

Professione contadino

Statura m 1,71

Capelli castani

Occhi castani

Arruolato nel V Reggimento artiglieria di campagna si presentò il 25 maggio

1915 in territorio dichiarato in stato di guerra. Denunciato dal Comando

della Fortezza di Verona, perché colpevole del reato di cui all’articolo 95 del

C.P.E (Codice di Procedura Penale Esercito). Condannato a anni tre di

reclusione militare conseguenze di legge, tale nelle carceri di Verona:Sospesa

la pena il 23 ottobre 1917 fu inviato nel Deposito Scuola Bombardierei.

Mandato in congedo illimitato il 10. 11. 1919 con rifiuto di rilasciare la

dichiarazione di aver servito con fedeltà ed onore la patria.

Fonti di riferimento: ASBs, Ruoli Matricolari Militari, classe 1897.

23-Dati anagrafici

Nome e cognome Donati Arcangelo….

Data di nascita 21 giugno del 1894

Luogo di nascita Ceto

Luogo di residenza Ceto

Professione Studente

Statura m 1,78

Capelli castani

Occhi grigi

Chiamato alle armi il 7 febbraio 1915 nel V reggimento Alpini Battaglione

Edolo, trattenuto alle armi in territorio dichiarato in stato di guerra,

aspirante ufficiale di complemento, in detto con anzianità 15 maggio 1917.

Sotto tenete di Complemento in detto con anzianità 15 giugno 1917. Fatte le

campagne di guerra negli anni 1915, 1916, 1917.

Fonti di riferimento: ASBs, Ruoli Matricolari Militari, classe 1894

360

24-Dati anagrafici

Nome e cognome Borghetti Angelo….

Data di nascita 4 ottobre 1897

Luogo di nascita Cellatica

Luogo di residenza Brescia

Professione Operaio

Statura m 1,65

Capelli castani

Occhi castani

E’ stato insignito della Croce di Guerra per la Campagna Libera del 1919. Il 17

agosto gli fu rilasciato il passaporto per la Francia.

Fonti di riferimento: ASBs, Ruoli Matricolari Militari, classe 1897.

25-Dati anagrafici

Nome e cognome Gualla Eugenio Bartolomeo

Data di nascita 28.5.1897

Luogo di nascita Inzino di Gardone

Luogo di residenza Inzino

Professione armaiolo

Statura m 1,62

Capelli castani

Occhi castani

Nel 1917 fu fatto prigioniero a Caporetto

Fonti di riferimento ASBs, Ruoli Matricolari Militari, classe 1897i

26-Dati anagrafici

Nome e cognome Racchi Giovanni….

Data di nascita 4 maggio 1897

Luogo di nascita Peeomotore (Pola)

Luogo di residenza

Professione Carabiniere

Statura 1,71

361

Capelli Neri

Occhi neri

Si arruolo nei nell’arma dei carabinieri e tale rimase.

Fonti di riferimento: ASBs, Ruoli Matricolari Militari, classe1897

27-Dati anagrafici

Nome e cognome Bullesi Michele….

Data di nascita 3 marzo 1897

Luogo di nascita Pola

Luogo di residenza Pola

Professione militare

Statura m 178

Capelli castani

Occhi castani

Bullesi fece parte dell’esercito Austro-ungarico fino al 8.9.1915 quando passò

nell’esercito italiano fino alla fine dell’armistizio.

Fonti di riferimento: ASBs, Ruoli Matricolari Militari, classe1897.

28-Dati anagrafici

Nome e cognome Agosto Giuliano….

Data di nascita 31.1.1897

Luogo di nascita Pola

Luogo di residenza Pola

Professione già militare

Statura m 1,67

Capelli biondi

Occhi grigi

Già militare nell’esercito Austro-ungarico, dal 15.1.1916 passò nell’esercito

italiano col grado di soldato semplice

Fonti di riferimento: ASBs, Ruoli Matricolari Militari, classe1897

29-Dati anagrafici

362

Nome e cognome Androli Giacomo ….

Data di nascita 29.9.1895

Luogo di nascita Borno

Luogo di residenza Borno

Professione contadino

Statura m 1,63

Capelli castani

Occhi castani

Disertore

Fonti di riferimento: ASBs, Ruoli Matricolari Militari, classe1895.

30-Dati anagrafici

Nome e cognome Piccinotti Luigi….

Data di nascita 21.8.1895

Luogo di nascita Botticino Mattina

Luogo di residenza Botticino Mattina

Professione scalpellino

Statura m 1,65

Capelli castani

Occhi neri

Dichiarato disertore 18.4.1918 ed anche denunciato di furto di £ 60, sottratte

dalla giubba della persona che lo ospitava. Rifiutata la dichiarazione di

fedeltà e onore.

Fonti di riferimento: ASBs, Ruoli Matricolari Militari, classe1895.