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L’IRA DI UN TAVERNIERE nella Firenze dei tempi di Dante Il 17 gennaio 1321 il nobile e potente cavalie- re vicario regio della città, comitato e distretto di Firenze, Paolo del fu Guido Baglioni da Perugia, promulgò, al banco del palazzo del Comune, “tribunale sedente”, una condan- na particolare. Si trattava di un “delitto” perpetrato qualche settimana prima, al tempo del vicario prede- cessore Giovanni di Brodario da Sassoferra- to. Dotto di Ghisello taverniere del popolo di San Lorenzo aveva assalito dominus Se- gna della stessa parrocchia e usato delle pie- tre. Lanciandone una aveva colpito per erro- re Ripa, moglie di Caccino di Dino, ferendola nella guancia destra cum sanguinis effusio- nis. L’uomo inquisito dapprima aveva negato, ma era stato denunziato da Pacino Luti, Bini Cenni e Simone Cecchini cappellani della par- rocchia di san Lorenzo. Era stato quindi con- dannato alla sanzione di quattrocento lire più cento soldi per il diniego delle sue responsa- bilità e ora si trovava nel carcere del Comune detto volgarmente Stinche. La sentenza fu letta, data e confermata da ser Giovanni Corradi di Macerata, alla presenza dei testimoni ser Lorenzo di ser Cione nota- io della camera del Comune, un certo “He- nendo” di Iacobo (se leggiamo bene), Lippo di Geri e altri. Così riporta una pergamena in cattive condi- zioni scritta dal notaio Angelo del fu maestro Francesco di Nuto medico di Firenze. Fin qui nulla di eccezionale. Di certo i citta- dini della Firenze dei tempi di Dante non era- STORIA – RICORDI – ARCHIVI p.i.m.

STORIA – RICORDI – ARCHIVI L’IRA DI UN TAVERNIERE

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Page 1: STORIA – RICORDI – ARCHIVI L’IRA DI UN TAVERNIERE

L’IRA DI UN TAVERNIEREnella Firenze dei tempi di DanteIl 17 gennaio 1321 il nobile e potente cavalie-re vicario regio della città, comitato e distrettodi Firenze, Paolo del fu Guido Baglioni daPerugia, promulgò, al banco del palazzo delComune, “tribunale sedente”, una condan-na particolare.Si trattava di un “delitto” perpetrato qualchesettimana prima, al tempo del vicario prede-cessore Giovanni di Brodario da Sassoferra-to. Dotto di Ghisello taverniere del popolodi San Lorenzo aveva assalito dominus Se-gna della stessa parrocchia e usato delle pie-tre. Lanciandone una aveva colpito per erro-re Ripa, moglie di Caccino di Dino, ferendolanella guancia destra cum sanguinis effusio-nis.L’uomo inquisito dapprima aveva negato, maera stato denunziato da Pacino Luti, Bini

Cenni e Simone Cecchini cappellani della par-rocchia di san Lorenzo. Era stato quindi con-dannato alla sanzione di quattrocento lire piùcento soldi per il diniego delle sue responsa-bilità e ora si trovava nel carcere del Comunedetto volgarmente Stinche.La sentenza fu letta, data e confermata da serGiovanni Corradi di Macerata, alla presenzadei testimoni ser Lorenzo di ser Cione nota-io della camera del Comune, un certo “He-nendo” di Iacobo (se leggiamo bene), Lippodi Geri e altri.Così riporta una pergamena in cattive condi-zioni scritta dal notaio Angelo del fu maestroFrancesco di Nuto medico di Firenze.

Fin qui nulla di eccezionale. Di certo i citta-dini della Firenze dei tempi di Dante non era-

STORIA – RICORDI – ARCHIVI p.i.m.

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no immuni dall’ira e dalle suedisastrose conseguenze. Ilmotivo delle sassate tirate daDotto sarà stato uno dei tan-ti che similmente arricchisco-no le nostre cronache giudi-ziarie. Va detto come atte-nuante che quegli anni nonerano dei più quieti per Fi-renze perché il carico sull’ani-ma dei suoi cittadini era ap-pesantito dall’ennesimaguerra, questa volta condot-ta contro da Castruccio An-telminelli.Nell’autunno-inverno 1320 ilsignore di Lucca aveva tor-mentato Pistoia e il suo con-tado tanto da ottenere deivantaggi. Firenze aveva rea-gito inviando una spedizionenel Montalbano comandatadal vicario regio Giovanni daSassoferrato. L’impresa ave-va avuto successo.

In ogni modo la vicenda diDotto poteva finire solo conla condanna ma, per una ra-gione che settecento anni

dopo non è possibile appro-fondire di più, ebbe un segui-to. Il 23 maggio 1321 Bonafe-de di Geri del popolo di SanMichele Visdomini procura-tore (= avvocato) di Dotto –nominato tale con atto roga-to da ser Filippo Contucini diPupigliano –, in nome del suocliente da una parte e di Se-gna e di Ripa, con consensodel marito Caccino, dall’altraparte, promosse la “perpetuae vera” pace e concordia tra ilitiganti. Sulla carta furonoscritte le manifestazioni dibuona volontà di tutti e deisingoli per far dimenticare lepercosse, la malevolenza equalsiasi eccesso e delittocommessi.A maggio ovviamente il taver-niere stava sempre nelle Stin-che e non partecipò alla pace.Furono però presenti i testi-moni Cennino di Dino del po-polo di San Lorenzo, Sandrodi Geri del popolo di San Mi-chele Visdomini, Arrigo diGucetto del popolo di Santa

Reparata e Gano di Dino; ilnotaio rogatore fu GiovanniCiai “de Puliciano”.

Il fine di tale pace può esserechiarito da una terza carta del22 giugno 1321, quando fuconvocato il Consiglio specia-le del Capitano e del Popolofiorentino nel palazzo deiPriori delle Arti e del Vessil-lifero di Giustizia per delibe-rare l’oblazione ovvero il rila-scio di alcuni carcerati infer-mi per le feste patronali diSan Giovanni Battista. Tren-taquattro consiglieri visiona-rono le informazioni su 25 diloro e votarono a scrutino se-greto con le fave nere e bian-che.I detenuti il giorno dopo sa-rebbero stati condotti allachiesa di San Giovanni Batti-sta e qui, presso l’altare, inomaggio al patrono, offerti eliberati a nome del Comunedi Firenze, tramite frate Bo-navita converso del monaste-ro di San Salvatore a Settimo

Gli iracondi nel V cerchio dell’In-ferno.

Nella pagina accanto:

– la foto della mano con il sassoproviene dal sito “Il sasso nellamano e il dito nella sabbia” diMaddalena Negri, 2012.– la chiesa di San Lorenzo nelCodice Rustici (da Wikipedia).

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e camarlingo della Cameradelle Armi del palazzo.I due rilasciati furono un cer-to Arrigo di Ricco detto Cati-cella o Catticella di San Lo-renzo e Dotto di Ghisello.L’atto, che ripete il motivodella condanna di quest’ulti-mo, fu rogato in palazzo allapresenza di Loyno di Nardoe Nicoluccio di Tigo di Mon-te Alcino; notaio per il Comu-ne fu Fulco di ser Antonio.

Una quarta pergamena ripor-ta il lieto fine della storia. Hala data di martedì 23 giugno

1321, vigilia della festa patro-nale e ricorda come il vicarioBaglioni e frate Bonavita ce-lebrassero l’oblazione previ-sta.Testimoni furono frate Com-pagno converso di San Salva-tore a Settimo, prete Giovan-ni cappellano della chiesa diSan Giovanni Battista, serFrancesco Nuti di Assisi no-taio del Baglioni, ser Neri diAndrea Nuti di Poggibonsi,Ciato di Gherardo del popo-lo di San Lorenzo e Lapo diNiccola del popolo di SanPier Maggiore. Rogò l’obla-

zione il notaio deputato serMaffeo di Lapo di Raineri diFirenze e la pergamena serNeri di Andrea vocato Clavaz-za di Poggibonsi.

Che dire di più? Solo una nota sull’autorevo-le Giovanni da Sassoferrato. Il padre Broda-rio nel 1296 era stato podestà del Comune diLucca (Memorie e documenti, vol. II), nel1300 podestà di Parma e poi di Firenze, dove,gli ultimi giorni di settembre, assieme al ca-pitano Gherardo degli Opizoni da Tortona,aveva subito la pesante scomunica del cardi-nale Matteo d’Acquasparta favorevole ai Neri(Davidsohn). Aveva poi lasciato la città e nel1301 ottenuto l’incarico di Capitano del po-polo a Perugia e nel 1306 di quello di Came-rino (La Cronaca anni 1300-1325).Giovanni da parte sua fu podestà di Bolognanel luglio-dicembre 1313 e vicario regio di Fi-renze nel 1320, come già detto.Di carattere superbo e iracondo, Giovanni, nelgennaio 1326, a Siena, prese come un affron-to personale il fatto che due suoi uomini ar-mati fossero stati arrestati dal nuovo pode-stà Cecchino Manfredi da Faenza. Provocòquindi uno scontro, fu sconfitto, arrestato erilasciato dietro il pagamento di una forte am-menda. A fine mese, transitando nel Chianti,venne assalito e trucidato da un Tolomei se-nese suo nemico. L’accompagnava Paolo Ba-glioni che fu solo ferito.

Paola Ircani Menichini, 9 gennaio 2021Tutti i diritti riservati