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Marinella Lőrinczi, professore di Lingua e letteratura romena, Università degli Studi di Cagliari. Storia sociolinguistica della lingua sarda alla luce degli studi di linguistica sarda. * * Il testo costituisce la versione riveduta del materiale utilizzato per una lezione, tenuta all'Univeristà di Girona - Catalogna, Spagna - nel maggio del 1997, per i dottorandi di romanistica. La traduzione in gallego di questo testo è successivamente apparsa nel vol. Estudios de sociolingüística románica. Linguas e variedades minorizadas, a cura di F. Fernández Rei e A. Santamarina Fernández, Universidade de Santiago de Compostela, 1999, pp. 385 - 424. I dati bibliografici sono perciò anteriori all'anno di pubblicazione del summenzionato lavoro miscellaneo. Ogni riproduzione della versione italiana deve essere autorizzata dall'autrice. 1. In alcuni lavori il numero dei sardoparlanti viene valutato intorno al milione e mezzo [Telmon 1993: 943], che però corrisponde piuttosto al numero degli abitanti isolani. Altri lavori indicano come sardoparlanti il 50-70% della popolazione totale, senza ulteriori specificazioni [Blasco Ferrer 1994; inchiesta Doxa 1974 cfr. Còveri 1986]. Disponiamo di dati, non molto precisi, comunque abbastanza indicativi, anche per la metà del secolo scorso [Sotgiu 1984: 107]: dal censimento degli stati sardi risulta che circa 300.000 parlavano il campidanese, circa 200.000 il logudorese, circa 50.000 il gallurese, quasi 8.000 il catalano, 1.700 il corso (Tempio), 3.400 il genovese (nel sud-ovest); a livello ufficiale esisteva quasi soltanto l’italiano (oltre al francese delle classi colte). Non disponiamo per la Sardegna di inchieste sociolinguistiche estese e sofisticate (dunque su macroscala e su microscala) come quelle svolte dai linguisti siciliani [Lo Piparo 1990], sicuramente con l’aiuto di importanti aiuti finanziari. Non disponiamo nemmeno di indagini teoreticamente molto raffinate e penetranti simili a quelle delineate in Fishman [1991] o in Francescato-Solari [1994]. Tuttavia, anche se non si hanno quantificazioni più precise, certo è che oggi il numero dei monolingui sardi è in pratica uguale a zero, considerata in certi, pochi, casi almeno

Storia sociolinguistica della lingua sarda alla luce degli studi di linguistica sarda

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Il testo costituisce la versione riveduta del materiale utilizzato per una lezione,tenuta all'Univeristà di Girona - Catalogna, Spagna - nel maggio del 1997, per i dottorandi di romanistica

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  • Marinella Lrinczi, professore di Lingua e letteratura romena, Universit degli Studi di Cagliari.

    Storia sociolinguistica della lingua sarda alla luce degli studi di linguistica sarda. *

    * Il testo costituisce la versione riveduta del materiale utilizzato per una lezione, tenuta all'Univerist di Girona - Catalogna, Spagna - nel maggio del 1997, per i dottorandi di romanistica. La traduzione in gallego di questo testo successivamente apparsa nel vol. Estudios de sociolingstica romnica. Linguas e variedades minorizadas, a cura di F. Fernndez Rei e A. Santamarina Fernndez, Universidade de Santiago de Compostela, 1999, pp. 385 - 424. I dati bibliografici sono perci anteriori all'anno di pubblicazione del summenzionato lavoro miscellaneo. Ogni riproduzione della versione italiana deve essere autorizzata dall'autrice.

    1. In alcuni lavori il numero dei sardoparlanti viene valutato intorno al milione e mezzo [Telmon 1993: 943], che per corrisponde piuttosto al numero degli abitanti isolani. Altri lavori indicano come sardoparlanti il 50-70% della popolazione totale, senza ulteriori specificazioni [Blasco Ferrer 1994; inchiesta Doxa 1974 cfr. Cveri 1986]. Disponiamo di dati, non molto precisi, comunque abbastanza indicativi, anche per la met del secolo scorso [Sotgiu 1984: 107]: dal censimento degli stati sardi risulta che circa 300.000 parlavano il campidanese, circa 200.000 il logudorese, circa 50.000 il gallurese, quasi 8.000 il catalano, 1.700 il corso (Tempio), 3.400 il genovese (nel sud-ovest); a livello ufficiale esisteva quasi soltanto litaliano (oltre al francese delle classi colte). Non disponiamo per la Sardegna di inchieste sociolinguistiche estese e sofisticate (dunque su macroscala e su microscala) come quelle svolte dai linguisti siciliani [Lo Piparo 1990], sicuramente con laiuto di importanti aiuti finanziari. Non disponiamo nemmeno di indagini teoreticamente molto raffinate e penetranti simili a quelle delineate in Fishman [1991] o in Francescato-Solari [1994]. Tuttavia, anche se non si hanno quantificazioni pi precise, certo che oggi il numero dei monolingui sardi in pratica uguale a zero, considerata in certi, pochi, casi almeno

  • la competenza passiva dellitaliano.

    Come punto di partenza assumiamo, dunque, la situazione sociolinguistica attuale della Sardegna, cos come risulta dalle indagini pi recenti. In questo esame si proceder non tanto cronologicamente, quanto soprattuto per problemi, di cui verranno privilegiati quelli che sembrano avere un maggior peso oggettivo e che sembrano coinvolgere anche la soggettivit dellosservatore esperto. Trattandosi di problemi sociali e non di problemi delle scienze naturali o esatte, non si eviter, come si fa di norma in questi ultimi settori, di considerare lindagine linguistica nel suo farsi. Si cercher quindi anche di comprendere le ragioni che inducono gli studiosi ad operare determinate scelte, a scegliere determinate idee-guida, si cercher di misurare il peso delle preconcezioni, laddove siano evidenziabili [cfr. Holton 1984]. Insomma, il mio non sar un percorso cronologico o geografico, ma piuttosto un percorso intellettuale.

    Si proceder in parallelo anche a una presentazione storica a ritroso, dal presente verso il passato, che una pratica storiografica adottata dagli storici nellaffrontare problematiche legate a societ tradizionali, come ad esempio dallo lo storico francese Marc Bloch per lo studio del paesaggio agrario in Francia [Day 1994: 19]. Non inutile sottolineare che la lingua sarda e il suo uso sono legati essenzialmente alla storia di una societ tradizionale. Dal Medioevo in poi le funzioni pi alte e prestigiose sono state demandate soprattutto a lingue esogene come il catalano, lo spagnolo, litaliano e il latino; a quest'elenco, che non riflette un ordine cronologico, si dovrebbe aggiungere anche il greco bizantino, che nel primo e nell'alto medioevo ha svolto un certo ruolo, desumibile da tracce linguistiche superstite non troppo numerose ma importanti (v. oltre par.5). Il termine paesaggio sopra utilizzato pu essere utilmente adottato, come metafora, anche per descrivere situazioni linguistiche mosse e stratificate come quelle delle lingue in compresenza [cfr. Le paysage 1997], soprattutto quando si voglia operare anche in termini di ecologia linguistica, cio di ricognizione, cura e tutela di una realt linguistica da salvaguardare e da proteggere in relazione al suo

  • ambiente geografico, culturale e sociale. Infatti, come sostengono non soltanto i linguisti pi autorevoli nellambito della sociolinguistica internazionale (tra gli altri, Haugen o Mackey), ma anche gli studiosi di diritto in ambito linguistico [Pizzoruso 1993:188], "la lingua [pu essere] intesa come bene culturale, suscettibile di protezione secondo modalit simili a quelle comunemente impiegate in relazione a tutti gli altri beni culturali". Uno dei valori veicolati dal sardo il ricco contesto culturale-storico entro il quale tale lingua esistita e si sviluppata, contesto culturale-storico che ha profondamente segnato non soltanto la storia della lingua ma anche i modi di valutare tale storia. In quanto per la ricostruzione del passato si deve operare attraverso la documentazione sopravvissuta, si deve essere coscienti che i risultati saranno inevitabilmente delle approssimazioni alla realt. Leffetto maschera della documentazione lacunosa non soltanto nasconde una parte della realt, ma permette anche la sua distorsione, laddove si concede importanza di un certo tipo a dei documenti che possono essere valutati anche diversamente. In particolar modo questo discorso riguarda la valutazione dellinflusso catalano-spagnolo e di quello italiano sul sardo e in generale in Sardegna e sulla Sardegna. Linsegnamento che si pu trarre, in campo linguistico, a mio avviso identico a quello indicato dagli storici della storia sarda: la storiografia filospagnola sterile quanto quella filoitaliana [Manconi I/1992: 8-9]. Entrambe esaltano a detrimento dellaltra momenti e fenomeni il cui valore pu essere rimesso sempre in discussione sulla base di una documentazione diversa o utilizzata in maniera diversa.

    Ritengo sia pi aderente alla realt non soltanto linguistica dellisola ma anche a quella psicologica e linguistica dei parlanti, riflettere inizialmente sulla situazione attuale, e in primo luogo sulla compresenza per lo meno degli idiomi pi diffusi, cio dellitaliano e del sardo. Litaliano isolano e il sardo non sono monolitici, ma si presentano in variazione diastratica e diatopica. Non si deve dimenticare, anche se qui se ne parler poco, che leffettivo inventario linguistico della Sardegna molto pi esteso. Tale inventario comprende, oltre allitaliano e al sardo (suddivisibile - procedendo da Sud - in campidanese, arborense, logudorese comune, nuorese-

  • barbaricino, logudorese settentrionale), idiomi quali il sassarese nel nord-ovest e il gallurese nel nord-est, che garantiscono la continuit linguistica della Sardegna e del sardo non soltanto allinterno ma anche verso la Corsica e la Toscana. Il gallurese moderno si costituisce su base corsa importata dagli emigranti corsi meridionali a partire dalla fine del secolo XVI; il sassarese si forma dalle interferenze tra pisano, genovese e logudorese ed era considerato nel secolo scorso un dialetto plebeo cui contrapporre un logudorese pi 'aristocratico'. Limitatamente alla citt di Alghero nel nord-ovest dellisola si deve menzionare lalgherese-catalano; il tabarchino-ligure nel sud-ovest dellisola (Carloforte/Calasetta), importato dagli emigranti di origine ligure dellisola di Tabarca (Tunisia) nella prima met del secolo XVIII. Questi sono altrettanti ponti storico-linguistici verso altre parti del Mediterraneo. Ovviamente la compresenza che maggiormente condiziona oggi la situazione sociolinguistica della Sardegna quella italiano-sarda.

    2. Che il sardo si trovi in una situazione di bilinguismo o, meglio, di diglossia, non , come si diceva, un fatto postunitario, non cio posteriore alla unificazione politica nazionale dellItalia avvenuta nel 1861. Si pu constatare che in territorio sardo il pluralismo linguistico di tipo verticale, transclassista, una costante storica fin dallantichit ed dovuto alle vicissitudini politiche dellisola che lhanno collocata nei tempi storici in una situazione assimilabile a quella di una colonia [Day 1987: 13, 14], esposta alle mire espansionistiche delle talassocrazie mediterranee [Sestan 1951: 245]. Da qui il proverbio sardo: "ruba chi viene dal mare" e la cosiddetta 'diffidenza' dei Sardi verso il mare, che non naturale bens, chiaramente, storica. C chi sostiene che "pi intensamente e pi estesamente che in ogni altra regione italiana, il fenomeno del bilinguismo stato quello che ha segnato le sorti linguistiche della Sardegna." [Storia d. ling. it. III/1994: 943].

    Ma parlare di presenza ininterrotta di sole due lingue su suolo sardo, lingua sarda pi unaltra (M.Pira cit. da Carbonell [1984]; Telmon [1993:943]: il repertorio dei sardi semplice, a livello alto si trova

  • litaliano, al livello basso il dialetto sardo locale) riduttivo rispetto a ci che documentato e pi recentemente studiato anche dai linguisti. Di questa compresenza/alternanza di idiomi gli storici e i letterati, che hanno a che fare con documenti scritti, sono stati sempre pi coscienti che non i linguisti (per il tardo Medioevo v. Casula; per i secoli XIV-XVI si vedano i lavori di storici sui cosiddetti Parlamenti [in bibliografia]; in ambito letterario vedi Alziator e Pirodda). Sono stati s coscienti ma anche indifferenti, il che fa capire che la mescolanza o alternanza di lingue che si nota nelle fonti scritte gli storici la recepiscono come del tutto normale. Invece i linguisti tradizionalmente, diciamo dal secolo XVIII in poi, considerano la storia linguistica della Sardegna in una prospettiva nazionale, dunque monolinguistica, cio dal punto di vista prevalente della lingua autoctona, del sardo, che per bene ricordare nasce esso pure da una lingua importata (il latino) che si impone per il suo prestigio politico e culturale. Le lingue di sostrato, le cui tracce lessicali e toponomastiche sono importanti nel sardo, vengono alle volte denominate cumulativamente lingua paleosarda (o anche lingua nuragica), denominazione che sottintende una visione del sardo abbastanza precisa: quella della sua continuit qualitativa ininterrotta a partire dai tempi preistorici (forse il modello quello della lingua greca). E come se per altre parti della Romnia si menzionassero le lingue di sostrato, cio le lingue prelatine, in termini di paleoitaliano o di paleoromeno eccetera. E chiaro che la continuit linguistica materiale dalle epoche arcaiche fino ad oggi sussiste; ci che problematico se lecito, se accettabile, dilatare in questa misura la sardit linguistica, cio se lecito associare una costante qualitativa al divenire storico, anche nel solo ambito linguistico. Il quesito non affatto nuovo, n originale, se si vuole ricordare che ancora nella prima met di questo secolo il celtista francese Jullian o lo storico Ferdinand Lot consideravano il Gallo Vercingetorige come il primo grande francese e si sforzavano di dimostrare lesistenza di una continuit nazionale franco-celtica che avrebbe avuto le sue origini nella Gallia preromana [in Sestan 1952, nota 1].

    Mettendo per da parte il problema del protosardo, che come si pu

  • intuire, non soltanto un problema terminologico linguistico, possiamo riprendere quello della compresenza linguistica ai giorni nostri. Diversamente, dunque, dagli storici e dai letterati, per i linguisti, cui parzialmente mi ispiro, molto recente [Loi Corvetto 1992-94, 1993; Dettori 1998] la piena acquisizione della consapevolezza che la storia linguistica della Sardegna va affrontata dal punto di vista del sociolinguista che riconosca il ruolo di tutti gli idiomi compresenti. Recente daltronde, anche se molto meno recente, linteresse per i fenomeni di interferenza tra italiano e sardo attuali (risale agli inizi degli anni Settanta la prima tesi di laurea di questo tipo assegnata all'Univ. di Cagliari da Antonio Sanna). I fenomeni di interferenza, bench osservati e descritti fin dallinizio di questo secolo [bibliogr. in De Mauro, Storia linguistica dellItalia unita o in Lavinio 1975], sono stati valutati per lo pi negativamente, anche perch contraddicevano un luogo comune diffusosi nel secolo scorso, secondo cui i Sardi (ma quali Sardi? certamente i meglio istruiti) avevano una buona padronanza dellitaliano; da un altro lato creavano spaccature campanilistiche o localpatriottiche nellisola, perch rafforzavano la convinzione che il Sud fosse in qualche modo pi servile rispetto allazione delle lingue forestiere che accompagnavano i dominatori di turno (Paulis ricorda ancora recentemente il fastidio di Wagner verso gli isolani meridionali che storpierebbero la lingua di Dante [Wagner 1996]). Non per niente negli anni Settanta si parla ancora, relativamente alle zone centrali dellisola, di reazione contro gli italianismi o di resistenza alla penetrazione degli italianismi, in quanto gli intervistati si autocorreggevano in presenza della studiosa [Nichita], sostituendo le inserzioni in italiano con gli equivalenti sardi. Comunque per lo pi, negli anni Settanta i fenomeni inerenti allinterferenza tra sardo e italiano o allitaliano regionale sardo erano comprensibilmente soprattutto problemi a livello scolastico [Lavinio 1975]; venivano, cio, trattati in termini di scarto dalla norma dellitaliano o di ipercorrezione o, come si dice oggi, di ipergeneralizzazione. Questo implica anche, secondo il mio modo di vedere, che chi si trova o crede di trovarsi ai vertici qualitativamente pi alti dellitalofonia isolana, si sente in qualche modo immune alle interferenze inconsapevoli

  • (eccettuate quelle di tipo fonetico, in primo luogo metafonia vocalica e incertezza sull'opposizione fonologica tra consonanti semplici/geminate). Ma questo contraddetto non soltanto dalla constatazione empirica che litaliano del corpo docente scolastico di vario grado contiene molti sardismi o regionalismi; invalidata anche da occorrenze di questo calibro, prodotte pubblicamente da raffinatissimi italianisti universitari in momenti di scarso automonitoraggio: Nanni (=Giovanni, dim.), smetti di fare lazzi (=scherzi, battute) tutta lora! (che una associazione di parole italiane appartenenti a diversi registri e di un sardismo macroscopico non perspicuo: tutta lora per tutto il tempo). Il che significa non soltanto che il regionalismo nellitaliano di Sardegna un fenomeno della massima capillarit, ma che linterferenza va oramai ricercata non soltanto tra sardo e italiano [Loi Corvetto 1983], ma anche tra italiano regionale e italiano colto o standard. Spesso il sostrato di molti sardismi nellitaliano regionale pi elevato non pi il sardo, ma litaliano regionale orientato pi verso il popolare. Per quanto concerne le interferenze tra sardo e italiano (o se vogliamo, tra italiano regionale e italiano standard) nelle persone a status sociale alto, la ricerca arrivata soltanto al linguaggio degli scrittori sardi [Lavinio 1991] che operano o hanno operato in italiano (ad. es. la Deledda), della cui spontaneit linguistica ovviamente nessuno pu e nessuno deve essere sicuro; si trascura in cambio lindagine approfondita, e comparativa a livello nazionale, sulla competenza parlata colta e spontanea, per esempio sulla conversazione colta, che produrrebbe certamente dati sorprendenti. Menziono questo aspetto non soltanto perch legata a una certa esperienza quotidiana, ma anche in quanto a mio avviso possiede rilevanti implicazioni metodologiche e didattiche non ancora sfruttate. Per il problema dellinterferenza linguistica nel caso di persone ad alto grado di istruzione, rimando bibliograficamente a Elwert e Coseriu [1977].

    La questione della competenza attiva peraltro fondamentale, sia per litaliano di Sardegna che per il sardo (per il problema della competenza linguistica in generale rimando a Coseriu [1988]). In questo settore ritengo che la sociolinguistica sarda debba uniformarsi

  • ai livelli o alla profondit di analisi raggiunti dalla sociolinguistica catalana (v. Grossmann per una sintesi non recentissima), corsa o occitana, le cui caratteristiche sono da mettere in relazione anche con il grado e con la qualit dellimpegno messo al servizio non soltanto della ricerca ma anche del problema dellemancipazione linguistica. Infatti, si pu sostenere che per il sardo la sociolinguistica militante e autoreferente di qualit sofisticata sia poco rappresentata, mentre prevale la sociolinguistica osservativa/descrittiva e quella eteroreferente. Tuttavia anche da questultima sede vengono e devono venire analisi e constatazioni utili per un eventuale atteggiamento pi impegnato.

    Ad esempio, utile commentare i dati contenuti in uno degli ultimi scritti della viennese Rosita Rindler Schjerve, che da numerosi anni si dedica allosservazione e allo studio dei fenomeni derivanti dal contatto tra sardo e italiano. Una delle constatazioni sia empiriche sia poi esplicitate analiticamente dalla studiosa che il sardo si trova in una situazione recessiva nel contesto di un contatto collitaliano di tipo diglossico instabile e penalizzante (cio che influisce negativamente, in maniera disgregante). Questa caratterizzazione sommaria ovviamente valida se rapportata al bilinguismo collettivo, in quanto nel caso dellindividuo la relazione e la qualit della relazione tra sardo e italiano pu variare (per limpostazione teorica delle differenze tra bilinguismo collettivo e bilinguismo individuale v. Sigun - Mackey [1992]). Tuttavia, sempre a livello collettivo, sorge il grave problema della vitalit del sardo e del suo futuro. La vitalit va misurata non soltanto sulla storica incompletezza funzionale del sardo, incompletezza sempre pi accentuata (si sta restringendo persino la funzione di socializzazione primaria-familiare). Il grado di vitalit si misura anche sullincapacit crescente di tenere separato a lungo il sardo dallitaliano (e di converso litaliano dal sardo) a determinati livelli socio-culturali medi e in determinati ambiti discorsivi informali contrassegnati da solidariet di gruppo. Ma proprio in virt di questi parametri, sostiene la studiosa, il mistilinguismo diventa un tipo di discorso non marcato, un discorso norma che risponde alle aspettative degli interlocutori che si considerano sardi; in altre parole il

  • mistilinguismo esprime e genera coesione e appaesamento (De Martino), crea cio senso di familiarit, di rilassattezza, provoca la sensazione di trovarsi a proprio agio nella lingua usata in quella situazione. Bisogna anche aggiungere che losservazione dallesterno (mi metto nei panni degli italofoni continentali) non produce lo stesso effetto in quanto si percepisce nettamente lalternanza di lingue, mentre gli utenti sono quasi inconsapevoli delle commutazioni.

    I modelli teorici e metodologici cui si ispira questo tipo di ricerca sono spesso legati a situazioni linguistiche non europee (africane, australiane, americane), in cui si sta verificando la scomparsa lenta ma progressiva di una serie di lingue minoritarie o di minor diffusione e di prestigio ridotto. Infatti nei titoli bibliografici citati dalla Rindler Schjerve figura spesso lespressione language death, morte linguistica, la quale, associata a una ricerca sul cambiamento di codice in ambiente sardofono, genera nel lettore, a mio avviso, malinconia. E chiara infatti lopinione, condivisibile peraltro, espressa indirettamente attraverso questi segnali bibliografici di origine anglosassone, e direttamente sia nelle premesse che nelle conclusioni del lavoro, che il sardo in s, cio anche al di fuori dei fenomeni di commutazione, sta iniziando a subire un processo di disintegrazione strutturale. Questo avviene per ora soprattutto sotto la forma dellitalianizzazione lessical-morfologica che paradossalmente gli garantisce ancora una buona vitalit. E comune constatare in certe zone rurali o suburbane, ad esempio, che persino nelle persone pi anziane, per le quali luso del sardo pi frequente se non addirittura esclusivo e sicuramente pi fluente, il sardo rilessicalizzato massicciamente su base italiana soprattutto nel settore nominale-verbale (per gli immigrati norvegesi in America, un fenomeno del genere stato descritto da Haugen). Questo un tipo di mistilinguismo diverso da quello della commutazione di codice (per lo meno da come esemplificato in Rindler Schjerve), in quanto la lingua matrice costantemente il sardo, e litaliano funge soltanto da lingua di inserimento sempre pi pervasiva, cio penetrante, insidiosa, fagocitante (sul problema teorico v. Romaine [1989], cap.4.6 Distinguishing borrowing from code-switching; si sostiene che a

  • livello dei costituenti e delle clausole problematico decidere se si tratta di commutazione di codice o di imprestiti). E una sorta di corrosione, di metamorfosi dallinterno che per comunicativamente funziona in maniera accettabile, in quanto produce una variante aggiornata, moderna del sardo; vitale funzionalmente, ma non vitale strutturalmente in quanto le innovazioni sono allogene. Si tratta di quello che viene indicato pi comunemente con italianizzazione lessicale del sardo o, in termini valutativi, imbastardimento del sardo. Infatti, per chi non comprenda il sardo, una simile variante pu apparire come sarda, soprattutto se lelocuzione veloce, in virt delladeguamento fonetico degli italianismi. Ma pu anche apparire, allopposto, come una mera, una semplice sardizzazione dellitaliano, un calco dellitaliano in sardo; questo implica anche una certa dose di europeizzazione o di internalizzazione lessical-terminologica che per un processo inevitabile e dominabile. In una certa qual misura si tratta di un sardo avanzato, anche se non nel senso del francese avanzato che conta sul sostegno e sulla storia del francese standard; piuttosto nel senso di involuto anzich evoluto, distinzione che prendo in prestito dai lavori di Xavier Lamuela e di altri. La generazione intermedia dallo status sociale pi elevato (in pratica i figli delle precedenti persone anziane, se diventati intellettuali), di dominanza italiana, che di norma usa meno frequentemente il sardo, tiene distinti sardo e italiano in misura maggiore, ma in compenso regredisce a livello della resistenza allo sforzo prolungato in solo sardo e ricorre a commutazioni di codice. La tipologia dei fenomeni di commutazione di codice molto varia, come ben illustrato dalla Rindler Schjerve anche nella sua tesi del 1987. A un livello immediatamente inferiore allitaliano regionale vero e proprio o anche allitaliano regionale popolare si colloca litaliano regionale con inserzioni di sardismi, peculiare di persone che del sardo hanno una competenza attiva ridottissima (come nel caso dei giovani cittadini o assimilabili), limitata per lappunto alluso di inserzioni connotate sul piano affettivo o espressivo. In questo contesto vorrei citare il seguente esempio: largomento del dialogo osservato la "Ape" (=sp.abeja), cio un famoso tipo di triciclo

  • furgoncino a motore italiano, con la cabina a due posti, di cui adesso esiste una versione elegante, a colori vivaci, con radio incorporata, e con il cassone posteriore munito di sostegni per chi viaggia dietro; questo mezzo di trasporto che sta tra il furgone da lavoro (camion piccolo) e la Cinquecento, e che dovrebbe essere la Ferrari di chi vive di espedienti, cos stato descritto ironicamente da un ragazzo: ah, la mitica Ape, con i sostegni per quando si trasportano gli amici nel cascione; dove cascione paronimo e sinonimo dellitaliano cassone, un sardismo da cas^a cassa (
  • Altri regionalismi importanti sono, nellitaliano di persone che parlano bene, male, poco, non affatto il sardo: linversione dellordine delle parole nelle proposizioni interrogative, e pi in genere nelle proposizioni a ordine marcato: comprato lo hai? per lo hai comprato?, leggendo stai? per stai leggendo; neanche vista lho per non lho neanche vista; il complemento oggetto personale preceduto dalla preposizione a: ho visto a Maria anzich Ho visto Maria; la locuzione dire cosa per sgridare, rimproverare reprender(e non per dire qualcosa, decir algo), brutta voglia (sardo. mala gana) per nausea; Bellodore per buon odore; invitare non soltanto col senso di invitare, ma anche per offrire: ti invito un caff ti offro un caff. Si possono ancora ricordare come specifici regionalismi lesclamazione di meraviglia o stupore C!, Cess! che provengono dal nome di Ges (con un rafforzamento molto interessante della consonante iniziale), e inoltre la forma esclamativa-modal-avverbiale allora!, e allora! eh s!, proprio cos! come no!, usata come risposta rafforzativa a una precedente asserzione o anche interrogazione (es. Non avrai mica mangiato di quella roba?! - E allora!). Questi peraltro sono fenomeni macroscopici che stanno tra il lessico, la grammatica e lorganizzazione testuale, gi studiati in relazione allitaliano regionale di Sardegna [Loi Corvetto 1983]. Essi si accompagnano a fenomeni molto pi complessi come lintonazione, il ritmo, la velocit elocutiva, la strutturazione della sillaba o delle catene sillabiche, lestensione e la distribuzione del repertorio diafasico, la ricchezza lessicale, dei quali soltanto alcuni sono stati finora studiati in s e comparativamente.

    Contiene un concentrato di sardismi questesclamazione di matrice anticentralista e antiromana fatta in campagna elettorale da un candidato sardista proveniente dalle zone centrali: noi avevamo gi i nuraghi quando loro (=i romani antichi) tagliavano la mandorla a pietra, cio noi avevamo gi i nuraghi quando loro spaccavano le mandorle con le pietre, che riflette a)lipodifferenziazione lessicale in tagliare di spaccare, rompere e tagliare, su modello sardo (segai = "tagliare, rompere"), b)luso del singolare collettivo per frutti ecc.(mandorla anzich mandorle), e c)lo strumentale con la

  • preposizione a anzich con con.

    Non mi risulta che esistano ricerche estese sugli atteggiamenti linguistici legati al bilinguismo sardo-italiano e sulla commutazione di codice [cfr.Romaine 1989, cap. Attitudes towards bilingualism], mentre semplice documentare lesistenza di battute di continentali sullitaliano dei sardi o lesistenza di valutazioni implicite, che in genere sono da considerare negative persino quando si elogia il buon italiano dei Sardi (e proprio per questo!).

    3. La presa di coscienza della differenziazione sociolinguistica della popolazione di Sardegna documentata gi nel sec. XVI in uno scritto di grande interesse e valore culturale. Lautore il cagliaritano Sigismondo Arquer, personaggio di taglia europea ed emblema di una certa situazione politico-culturale, nato nel 1530 e morto sul rogo a Toledo nel 1571 [Cocco 1987]. Arquer aveva collaborato alla celebre Cosmographia del tedesco e protestante Sabastian Mnster con uno scritto intitolato Sardiniae brevis historia et descriptio, in cui affronta anche questioni linguistiche. Qui ci interessa questo passo: "Sunt duae praecipuae in ea insula linguae, una qua utuntur in civitatibus, et altera qua extra civitates. Oppidani loquuntur fere (=in generale) lingua Hispanica, Tarraconensi seu Catalana, quam didicerunt (=appresero) ab Hispanis ... alii vero genuinam retinent Sardorum linguam." Coseriu [1980] considerava giustamente Arquer il primo sociolinguista ante litteram della Sardegna. Questo ci permette di riprendere nuovamente la questione della diglossia in Sardegna, che come si pu dedurre anche dalle poche parole di Arquer deve essere valutata in modo diverso a seconda delle epoche.

    Come ho gi indicato, il quadro sociolinguistico attuale della Sardegna si presenta molto vario e movimentato. Le linee di tendenze attuali fanno prevedere, sempre che le condizioni amministrative e culturali non cambino, la scomparsa del sardo come tale, la sua trasformazione in sola lingua di sostrato rispetto allitaliano regionale. Altrettanto varia si presenta e dobbiamo immaginare la situazione sociolinguistica delle epoche precedenti, anche se dobbiamo fare i

  • conti con la distorsione dovuta alla documentazione di tipo molto diverso rispetto alla documentazione esistente per i nostri giorni. Per i nostri tempi siamo ancora in grado di mettere a confronto la produzione scritta con quella orale per determinare entrambe quantitativamente. Le verifiche sono possibili. Per le epoche passate disponiamo ovviamente soltanto di documentazione scritta, oltre che di giudizi di tipo valutativo che per non danno indicazioni quantitative o statistiche (soltanto a met dellOttocento si hanno i primi dati derivanti da censimento linguistico; v. sopra Sotgiu [1984] cit.).

    Le vicende della situazione diglossica sardo-italiana, che si estende sullarco di un millennio, si ricostruiscono primariamente sulla base delle vicende storiche o culturali in senso ampio, come si evince sia dal Wagner [1952] sia dal recente lavoro, molto pi documentato e pi puntuale, di Loi Corvetto [1992-1994; 1993]. Questo lungo arco di tempo, che allestremit recente, a noi contemporanea, non ancora concluso, comunque delimitato da due estremi di intensa ma diversa italianizzazione dellisola. Nel periodo basso medievale, dopo la sconfitta degli arabi nel 1016 ad opera soprattutto delle flotte congiunte pisano-genovesi, inizia una forte penetrazione economica e culturale delle due potenze marinare che genera sul piano linguistico il fenomeno denominato dalla Loi Corvetto italianizzazione primaria della Sardegna e della lingua sarda.

    Le generazioni odierne si trovano invece nella fase avanzata di quella che la stessa studiosa chiama italianizzazione secondaria, che inizia nel secondo decennio del Settecento collannessione della Sardegna al Piemonte secondo il trattato di Londra. Si ritiene che, nellarco di questo millennio, la "lenta diffusione dellitaliano non riguarda tutti gli strati sociali per un lungo lasso di tempo, poich al pari di quel che avviene in altre aree anche in Sardegna si pu parlare di italianizzazione diffusa [sia orizzontalmente che verticalmente, n.m.] solamente nel Novecento". Dunque, se ne deve concludere che litalianizzazione primaria, medievale, stata meno penetrante dellitalianizzazione secondaria, i cui effetti sono sotto gli occhi di

  • tutti.

    Unaltra distinzione riguarda il tipo di italiano introdotto in Sardegna. Nella fase di italianizzazione primaria, che dura allincirca tre secoli a partire dal secolo XI, si diffondono il toscano (pisano) e, di meno, il ligure (genovese). Le comunit religiose, che si costituiscono numerose e potenti nellisola (favorite dalle donazioni e dai privilegi dei giudici) dopo lo scisma tra Chiesa occidentale e Chiesa orientale avvenuto a met del secolo XI, sono composte di frati provenienti da monasteri provenzali, toscani e da Montecassino; se queste comunit sono tramiti per lintroduzione di forme di cultura materiale, architettonica ecc. continentali, sul piano linguistico hanno contribuito sia alla difusione e al miglioramento delle conoscenza di latino, attraverso le scuole ad. es., sia alla diffusione del volgare non sardo; ma dobbiamo anche mettere in conto che per comunicare con le persone che lavoravano alle loro dipendenze, i monaci avranno dovuto imparare il sardo, e non soltanto a parlarlo ma anche a scriverlo.

    Nella fase iniziale dellitalianizzazione secondaria, quando la Sardegna appartiene al Piemonte, si diffonde, secondo le formulazioni degli studiosi otto-novecenteschi, litaliano oppure ci che viene altre volte chiamata anche (nel secolo scorso) la "toscana favella" (che in realt toscana in senso stretto non poteva essere); questa vaghezza o confusione di termini riguardo allitaliano ci d indicazioni sul fatto che importante tener conto non soltanto del piemontese parlato, ma anche dellitaliano veicolato dalla scrittura, insegnato nelle scuole con laiuto dei testi scritti per lo meno a partire dal 1760. Il 1760 la data di un decreto regio che vieta luso ufficiale del castigliano e promuove con pi forza lufficializzazione dellitaliano nellisola. La Sardegna partecipa in questo modo a un avanzato e consapevole processo di diffusione dellitaliano comune, processo che caratterizza, ancor prima della Sardegna, il Piemonte. Qualche informazione su questo fenomeno, che considerato pionieristico per lepoca e in Italia: dal 1733-34 in Piemonte diventa obbligatorio nella scuola superiore, per la prima volta, linsegnamento dellitaliano, anche se limitatamente a

  • una sola ora settimanale [Marazzini 1994: 325]. Durante il secolo XVIII la convinzione di una politica linguistica unificante aumenta, tanto che nellultimo decennio del secolo si vuole dimostrare che la lingua sola e dominante del Piemonte dovr essere litaliano: la lingua uno dei pi forti vincoli che stringe alla patria dichiara il conte Galeani Napione nel 1791-92, in perfetta sintonia colle tendenze nascenti in Francia. Sul modello della riforma e dellideologia linguistica sabauda si pu pensare che litaliano che si diffonde in Sardegna, anche attraverso la scuola, sia gi un italiano comune, meno marcato regionalmente che non altrove, italiano che proprio per questo pu in seguito acquisire tratti regionali dal sostrato dialettale isolano. Tuttavia dal piemontese che un certo numero di lessemi, pochi, penetra nei dialetti sardi [Wagner 1952; Blasco Ferrer 1984: 168-9], ad es. bagna salsa. Il ravvicinamento politico sempre pi stretto della Sardegna al 'continente', cio alla penisola italica, prima collannessione al Piemonte, come regno allinterno del regno, poi con la fusione preunitaria sempre al Piemonte (che cancella la Sardegna come regno separato nel 1847), infine collingresso della Sardegna nellItalia unita (1861), accelera il processo di italianizzazione, aiutato dalla burocrazia e dalla scuola. Sintetizzato cos al massimo il rapporto tra diffusione dellitaliano in Sardegna e rapporti politici della Sardegna con le altre regioni italiane, si deve respingere una visione di naturalit della presenza dellitaliano nellisola. Litaliano penetrato nellisola non a causa delle sue qualit letterarie e culturali, o non solo per questo, ma in quanto lingua dei dominatori. La naturalit della diffusione consiste semmai nellinconsapevolezza del fenomeno di 'invasione' linguistica, per lo meno nelle fasi, diciamo, arcaiche e primarie.

    Nel momento invece in cui si pone il problema della lingua della scuola o della lingua ufficiale o burocratica, prima nel Settecento, poi della scolarizzazione obbligatoria ed elementare nellItalia postunitaria, o quando si pongono i problemi della lingua della legislazione scritta o in genere della comunicazione scritta, si instaurano fenomeni di vera e propria politica linguistica [v.Loddo Canepa 1975], con conseguenze, se questo il caso, oppressive e

  • glottofagiche o addirittura glotticide. E a dire il vero lantagonista linguistico in questo caso, cio nel Settecento, non il sardo, bens lo spagnolo, anzi nel Sette-Ottocento il sardo stato usato consapevolmente in funzione antispagnola. E su questo fenomeno conviene soffermarsi, utilizzando le analisi degli storici isolani [Sotgiu, Manconi], anche senza prendere in considerazione esplicitamente il pionieristico Arce [1960] ricco di informazioni che i linguisti di Sardegna non amano citare. Sostiene ad esempio Sotgiu [1984: 106-7]: nel Settecento si voleva imporre a una classe dirigente che parlava, scriveva e pensava in spagnolo di pensare, parlare e scrivere italiano; il che poi voleva dire imporre alla classe dirigente sarda di sposare la politica della classe dirigente piemontese, muoversi allunisono con essa, per la difesa di interessi che potevano non essere coincidenti con quelli della popolazione delle quali era espressione; la stragrande maggioranza degli abitanti rimase del tutto estranea a queste innovazioni e continu a parlare il sardo, come in parte fa anche oggi. Ancora nella prima met del secolo scorso si ricordano i forti legami con la Penisola Iberica: i vecchi sudditi di Spagna continuarono ad amare e usare la antica lingua e ne trasmettevano lamore ai figli [Siotto Pintor]. Si hanno esempi di atti notarili redatti ancora in spagnolo nei primi decenni del secolo XIX.

    Ho ritenuto di dover insistere su questo punto perch, ripeto, c chi vede nella diffusione dellitaliano in Sardegna un fenomeno quasi naturale e ineluttabile, e la presenza dellitaliano nellisola anche nei secoli di dominazione catalana o castigliana, vista quasi come segno di una naturale inclinazione dei Sardi o di forte attrazione verso la cultura italiana. In questo senso ad esempio presentata [Loi Corvetto 1992] la presenza in Sardegna di uno degli oltre seicento codici della dantesca Commedia, acquistato agli inizi del secolo XVII [Maninchedda 1990].

    Ma se vero che nel secondo millennio litalofonia attraversa la storia linguistica della Sardegna come un filo rosso (filo che certe volte molto tenue), sulla base dellesperienza storica europea si pu anche tranquillamente sostenere che se la Sardegna fosse stata annessa alla

  • Francia nel Settecento come la Corsica, ora la lingua dominante e ufficiale dellisola sarebbe il francese e non litaliano. In Corsica, dove il toscano lingua scritta fino al secolo XIX e dove il corso sentito per dieci secoli come idioma strettamente affine al toscano, il francese si impone decisamente soltanto a partire dal 1850; la lenta sostituzione del toscano col francese, che si accelera a met dellOttocento, inizia nel 1769, anno di annessione della Corsica alla Francia [Dalbera-Stefanaggi 1991:28]. Questa sarebbe potuta essere anche la sorte della Sardegna, anche se la storia non si fa con i se.

    4. La fase dellitalianizzazione primaria, medievale, importante in Sardegna per diverse ragioni. Rimanendo sul piano linguistico, nella fase dellitalianizzazione primaria vengono a coincidere diversi fenomeni che non sono sempre linguisticamente italiani. Occorre distinguere il tipo di scrittura, dalla lingua per la quale usata e da altri aspetti ancora. Per il periodo altomedievale, fino allXI-XII secolo, vi un permanere [Casula] o ripresa [Merci 1978] di scritture arcaiche, arcaiche in prospettiva europea, cio dellonciale e del semionciale - gi in uso nellisola nel secolo VI - accanto alluso dei caratteri greci di provenienza bizantina. In onciale-semionciale sono scritte, le due pi antiche carte arborensi [Merci 1978; Casula 1978: 51]. Ma i documenti superstiti appartenenti a questa categoria grafica sono talmente pochi e tardivi che coincidono con larrivo dei pisani-genovesi e dei monaci continentali: benedettini, vittorini ecc. Con il loro arrivo si ha ora una dilatazione improvvisa della documentazione scrittoria in cui la contaminazione grafica [Casula 1978: 49], cio limposizione di modelli grafici e anche documentari esterni, immediata. Si conserva invece la dicotomia linguistica, cio luso del sardo per i documenti cancellereschi interni e del latino per quelli esterni. Sul piano grafico si ha la scrittura beneventana dei monaci cassinesi (usata per la carta in sardo del giudice turritano Gonario, del 1153), si ha la carolina e soprattutto la gotica di tipo italiano [Casula: 41]. Le cosiddette carte volgari cagliaritane (donazioni ecc. fatte da giudici e dai loro famigliari, ecc.) sono scritte per lappunto con la gotica [Solmi 1905].

  • La cancelleria del giudice di Arborea ci interessa in modo particolare, perch il giudicato dArborea sopravvive politicamente ai Pisani e resiste ai Catalano-aragonesi fino al 1409 (da questa data fino alla fine del secolo XV sopravvive come marchesato). La cancelleria della corte di Oristano adotta modelli continentali: la figura del notaio, stili diversi di redazione dei documenti, adotta la datazione alla pisana (cio lo stile cronico dellincarnazione: calcolo dellanno a partire dal 25 marzo - dellanno precedente rispetto allo stile moderno -, anzich dalla nativit, 25 dic.). Lo stile pisano in uso presso la cancelleria dellArborea resta in vigore anche dopo il 1350, quando Pietro IV il Cerimonioso ordina che in tutti i territori della Corona ci si uniformi sulla stile della Nativit [Casula: 55]: in questo caso, secondo Casula, litalianit originaria, la pisanit, indica in realt sardit.

    Sul piano documentale litalianizzazione primaria ha prodotto, agli inizi del secolo XIV, nel 1304, cio nel momento finale dellitalianizzazione primaria, il Breve di Villa di Chiesa, lo statuto della citt dalle molte chiese, organizzata su modello toscano nella seconda met del secolo XIII e che oggi si chiama con nome spagnolo Iglesias, ma che ha avuto anche un nome catalano: Vila dEsglsies. Il testo del Breve di Villa di Chiesa fu redatto da subito in italiano (non dunque traduzione dal latino) ed importante anche per i capitoli che regolamentano il funzionamento delle miniere di piombo argentifero, dove lavoravano anche minatori tedeschi. E uno dei testi italiani antichi non letterari pi compiuti, uno dei pochi statuti italiani in volgare del Trecento che gli studiosi non sardi di solito si dimenticano di citare [v. Marazzini 1994: 232]. Con il ritardo che caratterizza la filologia isolana, lunica edizione di cui ha goduto finora quella del piemontese Carlo Baudi di Vesme del 1877. Lo statuto pi antico in volgare italiano, di cui si suppone che fosse per redatto in vista di una sua traduzione in latino, il Breve di Montieri, Toscana, 1219.

    Le altre testimonianze delluso scritto del toscano, bench importanti, non sono numerose, e risalgono anche esse alla seconda met del Duecento o ai primi decenni del Trecento, dunque al momento conclusivo, probabilmente anche linguisticamente maturo,

  • dellitalianizzazione primaria. Francesco Sabatini sintetizza le vicende dellitaliano in Sardegna dal Medioevo fino al 1764 secondo formulazioni che bene riportare per intero, perch solitamente vengono citate parzialmente e perci in modo distorto. Sostiene Sabatini: "tutti o quasi tutti gli eventi richiamati testimoniano un collegamento fra societ sarda e lingua italiana esclusivamente a livello di classe colta e dominante e sono quindi soltanto segni della sovrapposizione e oppressione compiuta dalle forze esterne.... la lingua toscana o italiana ebbe (nella misura e nei luoghi dove era accettata) il ruolo di lingua colta, adatta alle funzioni tipiche della lingua scritta. Inoltre, - conclude Sabatini - non si pu trascurare il fatto che proprio in Sardegna si verificato lunico episodio di estesa toscanizzazione a livello di lingua parlata fin dal medioevo" [Sabatini 1980:15], che , questultima, una constatazione ovvia nella misura in cui il toscano stato esportato-importato in un primo momento a seguito delle acquisizioni territoriali extrapeninsulari; la lingua ha seguito i padroni, secondo la nota formulazione di Nebrija (che per gi di S.Agostino - a proposito di Babilonia: poich la signoria di chi impera nella lingua). Queste considerazioni conclusive di Sabatini sono importanti, perch se litalianizzazione primaria deve essere vista quasi esclusivamente a livello dei ceti alti, coinvolgendo accanto ai forestieri toscano-genovesi i rappresentanti dellaristocrazia isolana, viene a mancare una delle colonne portanti della teoria sulla frantumazione dialettale del sardo in periodo, appunto bassomedioevale e per influsso toscano [Wagner 1951; Blasco Ferrer 1984: 135-9 ed altri].

    E fuori dubbio, secondo il Wagner [1951: 314], che alcuni esiti fonetici presenti in campidanese e assenti nel logudorese non sono autoctoni, ma "imitazioni e adattamenti della pronuncia toscana; cos ke,ki (latini) sono diventati ce,ci; ku,gu (latini) che anticamente si risolvevano in bb anche in campidanese e che si sono conservati in parole rustiche che non avevano nessuna corrispondenza toscana, hanno ceduto il passo a fonemi toscani: akwa invece di abba; sanguni invece di sambeni [...]". Pertanto, nonostante i forti dubbi manifestati da Virdis sullazione del superstrato toscano nella paltalizzazione

  • campidanese di ke,ki [1978: 46-7], Loi Corvetto mantiene la stessa posizione di Wagner [1992: 876]: "la dominazione pisana ha un ruolo fondamentale nel processo di diversificazione che si attua fra il campidanese, parlato nella parte meridionale della Sardegna, e il logudorese, variet diffusa nella zona settentrionale". Non possiamo entrare nei dettagli tecnici del problema, che ci obbligherebbero a ricapitolare tutte le ricerche. E utile indicare soltanto che a livello teorico ci troviamo sicuramente davanti a un dilemma.

    Assimilando la lezione derivante dallattuale situazione sociolinguistica, si pu partire anche per il medioevo da presupposti di tipo sociolinguistico; si pu allora ammettere e si deve dimostrare che nella fase dellitalianizzazione primaria, bassomedievale, tra i secoli XI-XIV, il toscano si diffonde con tanta forza presso tutti i ceti, da intaccare alla base il sistema fonetico-fonologico e in parte anche morfosintattico [Blasco Ferrer 1984] del sardo meridionale. Questo significa che si deve considerare il toscano, nel basso medioevo sardo, come qualcosa di pi di una lingua di superstrato, con la conseguente capacit di trasmettere non soltanto materiale lessicale, come il germanico o larabo altrove; e quindi si deve ipotizzare che in qualit di lingua intimamente formativa il toscano abbia interferito attraverso un diffuso bilinguismo sviluppatosi su basi sociali non soltanto elitarie, fenomeno per il quale invece non disponiamo di nessuna prova diretta. Per questa ragione Sabatini, appoggiandosi anche alle tardive manifestazioni documentali italiane nellisola, sostiene che il toscano ha avuto soltanto la funzione, per i Sardi, di lingua colta e scritta.

    In questo secondo caso per, anche per rimanere in sintonia con il resto del mondo romanzo, si deve ammettere che nel medioevo, soprattutto nel basso medioevo, le varianti diatopiche sarde sono strutturalmente definite e classificabili come entit autonome, e si devono cercare le cause dei mutamenti nelle spinte e negli squilibri interni alla struttura. Questa seconda posizione offrirebbe spiegazioni alla comparsa quasi contemporanea e tardiva dei testi scritti in toscano nei primi anni del secolo XIV, che pertanto vengono prodotti nel

  • momento in cui litaliano si stabilizza saldamente, ma ancora soltanto come lingua dlite (non si dimentichi che contemporaneamente per iscritto veniva usato anche il latino e molto estesamente il sardo, gi precedentemente al toscano). Questo momento di consolidamento del toscano agli inizi del Trecento per anche il momento del canto del cigno, perch qualche decennio pi tardi, ufficialmente gi a partire dalla fine del secolo XIII, la Sardegna in mano ai Catalano-aragonesi.

    Un unico esempio lessicale illustrer forse la difficolt del problema. Dobbiamo fare per un passo indietro nellalto medioevo. Per lintero periodo altomedievale, dal 543, dopo la sconfitta dei Vandali, la Sardegna fa parte di Bisanzio, come provincia dellEsarcato di Africa. Linflusso bizantino, sul piano linguistico [Paulis 1983], ha portato, tra le altre cose, alluso dellalfabeto greco per il volgare sardo, documentato attraverso un testo importante come la cosiddetta carta marsigliese del 1089-1103, cos chiamata perch ritrovata nella seconda met del secolo scorso negli archivi di Marsiglia (ma il documento pi antico in assoluto un atto di donazione del giudice di Cagliari redatto nel 1070-80 [Solmi 1905]). La carta in caratteri greci consiste ugualmente in un atto di donazione da parte del giudice di Cagliari a favore di un convento. Il documento significativo anche perch stato redatto in un momento in cui il dominio bizantino non era pi nemmeno nominale, come nei secoli immediatamente precedenti, ma rispetto al quale si conservavano ancora legami simbolici; la carta marsigliese redatta in fondo in un momento in cui la Sardegna era gi nella sfera dinfluenza pisana e genovese. La carta in caratteri greci attesta quindi con ogni probabilit la raggiunta maturit di una prassi grafica che per il resto si deve quasi soltanto immaginare, dato che contemporaneamente si usavano anche i caratteri latini [Solmi 1905]. Comunque, considerata lufficialit e la solennit della circostanza che ha prodotto la carta greca, il documento non pu essere visto come testimonianza di una azione arbitraria e casuale. In questa carta in caratteri greci compare due volte la parola akoua [akwa] acqua (righi 11,12); allo steso modo nella carta volgare cagliaritana del 1070-80 viene scritto aquas [Solmi

  • 1905:14]. Secondo la teoria del Wagner, il lessema testimonierebbe lavvenuto influsso fonetico del toscano sul sardo meridionale, in cui la parola originaria sarebbe dovuta essere abba come nellarborense o nel logudorese. Vista lantichit dei documenti, emanati quando linflusso linguistico toscano deve essere considerato come ancora incipiente e debole, si deve invece pensare che lesito tradizionale nel sardo meridionale sia invece proprio akwa. Anzi si potrebbe anche supporre che un testo a forte valore giuridico conservi addirittura arcaismi, considerato che in genere i testi antichi sardi sono molto formulari.

    5. Il panorama scrittorio della Sardegna medioevale sorprendentemente ricco in documenti in volgare, che compaiono a partire dal secolo XI dopo e accanto ai documenti latini e poi accanto ai documenti in toscano e successivamente accanto a quelli in catalano. Ecco come gli studiosi continentali esprimono la loro meraviglia, che era anche del primo 'filologo sardo', del continentale Muratori nel Settecento: "Dallisola provengono diversi documenti risalenti al secolo XI e XII, con unabbondanza tale da stupire." [Marazzini 1994: 167-8]. Questi documenti in sardo sono o emanazioni delle cancellerie giudicali; o sono i cosiddetti condaghi (questa la parola che si usa in it.), registri di atti a valore legale in cui erano coinvolti o cointeressati vari monasteri [Fois 1994]; o sono ampie e preziose raccolte di leggi, come la famosa Carta de Logu, codice giuridico del Giudicato di Arborea (redatto verso la fine del Trecento), o gli Statuti della citt di Sassari, redatti in logudorese nel secondo decennio del Trecento [Merci 1982]. Mentre oggi si sa che il sardo condaghe, condaxi una parola di origine greca (da kontkion), ancora fino allOttocento [Tola, I:149] si pensava che fosse di origine latina, dal verbo condere porre insieme, fondare, comporre, descrivere o da recondere mettere a posto, riporre, mettere in serbo, nascondere. Tola cita a tal proposito il giurista cinquecentesco Geronimo Olives, famoso commentatore della Carta de Logu dArborea; ma la testimonianza dellOlives importante anche perch d indicazioni quantitative su un fenomeno oggi fortemente lacunoso: "condaces, in lingua materna sarda dicuntur libri antiqui, qui

  • utplurimum (=soprattutto) reperiuntur in ecclesiis, quarum saltus (=pascoli, terre) et redditus (=rendita) atque iura (=diritti, privilegi) sunt descripta in istis libris." Plurimum, infatti, perch accanto ai condaghi monastici esistevano anche condaghi laici, di cui ci noto un unico testimone, del giudice Barisone II di Torres (del XII secolo; quadernetto pergamenaceo ritrovato allArchivio Capitolare di Pisa [Meloni-Dess F. 1994]). Se nel Cinquecento i condaghi erano ancora abbastanza numerosi (oltre a Olives, ne parla anche Fara, cfr. Tola [I:149]), nel secolo successivo ce ne sono soltanto alcuni (se ne parla nella Storia di Vico e negli Annali di Vidal, entrambi redatti in spagnolo). Nel secolo XVII si crede che la parola condaghe significhi semplicemente "storia antica" (per questi cosiddetti condaghi oggi si usa il termine pseudo-condaghe): per esempio il racconto di fondazione, pubblicato in sardo nel 1620, che narra una leggenda sulla fondazione della basilica di Torres, chiamato condaghe (Historia muy antigua, llamada el Condaghe, Fundaghe: De la Fundacion ... del Milagroso Templo de Nuestros Illustriss. Martyres, y Patrones S.Gauino S.Proto, y S.Ianuario, en lengua Sarda Antigua ..., por. F.Rocca, Sacer [=Sassari], Gobetti, 1620). Tant che nellOttocento, come si diceva, si pensava che la parola condaghe fosse di origine latina.

    Le vicissitudini storiche dellisola hanno lasciato il segno sul patrimonio antico in lingua sarda, in quanto una sua parte si dispersa in archivi stranieri o comunque continentali (si ricordi il caso della carta marsigliese in caratteri greci). Ci che si conservato e il modo in cui il patrimonio si conservato fa per supporre che la quantit di documenti fosse molto maggiore e che la dominazione straniera plurisecolare abbia in parte contribuito s alla sua conservazione, ma che labbia anche dispersa o distrutta. Questi inizi di eccezionale ricchezza, prodotti in un angolo dellEuropa, o meglio in quel che da qualche secolo sembra essere un angolo dellEuropa, hanno suscitato molta curiosit negli studiosi, i quali hanno cercato di dare una spiegazione a questa produzione in volgare, ricca e precoce. Ultimamente si sostenuto, ma su questa tesi non mi soffermer, che siccome "la comparsa [dei primi documenti sardi] avviene

  • contemporaneamente in tutte le regioni sarde e coincide con lavvento di forze culturali nuove" (italiane, monastiche continentali), "la rinascita sarda medievale il frutto della riforma benedettina" [Blasco Ferrer 1993]. A questa tesi si risponder indirettamente attraverso quanto segue.

    In prospettiva europea, non solo romanza ma europea, le vicende sarde non sono del tutto eccezionali, o, meglio, sono eccezionali perch si legano ad altri pochi casi altrettanto speciali. Tutti gli angoli dEuropa hanno prodotto precocemente documenti importanti e di grandi dimensioni che bene ricordare in ordine cronologico: la Bibbia gotica, traduzione in gotico del Vecchio e del Nuovo testamento del secolo IV, scritta con segni inventati dal vescovo Ulfila che lautore della traduzione; la poesia lirica religiosa, la poesia laica e i cicli di saga irlandesi che si sviluppano, anche per iscritto, a partire dal VI secolo, succesivamente alla tradizione scrittoria in caratteri ogamici; i trattati grammaticali islandesi del secolo XII che segnano il passaggio dalla tradizione grafica runica a quella latina; la traduzione dal greco in paleoslavo (sec. X-XI) del testo apocrifo Il libro dei segreti di Enoc, traduzione redatta inizialmente in alfabeto glagolitico e poi copiata in caratteri cirillici [Sacchi 1990:496-7]; e infine i citati documenti sardi, di cui uno tra i pi antichi scritto con caratteri greci. Tutte le situazioni documentano degli sforzi importanti compiuti sul versante grafematico, e dunque lasciano intravvedere anche in questo modo delle motivazioni forti alla scrittura.

    Per quanto riguarda la genesi e questi primi secoli di prassi scrittoria che dobbiamo immaginare come abbastanza densa in Sardegna, gli studiosi si sono stupiti anche della compatta uniformit, diciamo stilistica, dei documenti. Sosteneva Tagliavini [p.516]: "la documentazione [...] assolutamente priva di valore letterario". In essa, infatti, non vi concessione allaspetto creativo cui abituato solitamente il filologo romanzo, non vi spazio allinventiva o alla trasfigurazione letteraria della realt, alla fantasia e al divertimento, allallusione. Sono tutti testi severi, aridi, formulari, con finalit pratiche e concrete che fanno intravedere aspetti di una societ

  • fortemente organizzata e regolamentata. John Day fa notare, appunto, una regolamentazione puntigliosa, minuziosa fino alla pignoleria, del lavoro ad es. agricolo in tutti i suoi aspetti [1987:12].

    Ultimamente stata pi volte ricordata [Fois 1994; Dettori 1995] la scheda 25 del Condaghe di S.Maria di Bonarcado (Oristano), condaghe iniziato tra lXI-XII secolo. La scheda 25 una scheda lunga in quanto registra gli atti di un processo (kertu) promosso dal priore del monastero per riavere come servi del monastero i due figli maschi di una coppia di concubini (Bera [=Vera] de Zori e Erradore Pisanu). Dei due conviventi lei era libera e maiorale (notabile) e lui servo. Ai figli si vuole applicare la legge della condizione pi bassa (deterior condicio), quella cio del padre, per farli diventare servi. La legge della deterior condicio non era applicata sempre, come si desume dal Condaghe di S.Michele di Salvenor, pervenuto in una tarda trascrizione castigliana [ed.R.Di Tucci 1912], scheda 24 (inizi del sec. XIII): "... porqu casavan las esclavas de la Yglesia con libres y los esclavos con libres, y la Yglesia de San Miguel no tenia de los hijos." Probabilmente per influenza della famiglia della madre i due giovani figli di Bera e di Erradore per parecchi anni sono stati sottratti al destino di diventar servi del monastero. Questa situazione dura fino al momento del processo, quando i due figli dovrebbero essere intorno ai 18 anni, dunque utili produttivamente. Il difensore della donna, di Bera, vuole dimostrare che non essendo la madre legalmente sposata, i figli sono soltanto di lei (custos serbos, ki kertadis, fiios de libera sunt et impare non furunt coiuados). Il rappresentante del priore sostiene che i figli sono anche delluomo che viveva con la donna da ventanni, cio come se fossero sposati (fiios dessu serbu de sanctu Jorgi sunt et impare sunt istetidos dessus annos XX). Replica il difensore della donna: s, ma lui era servo di lei, lei era la padrona, per questo stavano insieme (viviat [cun illu] ca llu podestava); e inoltre lei ancella del giudice, facendo cos capire che allora i figli di lei, se proprio devono diventare servi, sono servi del giudice. Tuttavia la donna perde la causa e le vengono tolti i figli; in pi il priore vuole obbligarla ad abbandonare anche il suo compagno (non boio kistis plus cun su serbu de sanctu Jorgi). Al che lei si ribella e risponde

  • (questa lunica volta che le sue parole vengono registrate): poich perdo i miei figli, io non mi separo/stacco da lui (pusco perdu ad fiios meos, non mi bolio bogare de llu). E cos fu: con laccordo delle parti in causa i due vennero riconosciuti come marito e moglie, collobbligo che anche i figli futuri sarebbero diventati servi del monastero. Visto lo spazio ampio che si d a questo processo, si deve supporre che si tratti anche di un caso esemplare: la chiesa vuole non soltanto riavere la sua propriet, ma vuole scoraggiare il concubinaggio; prassi che per rimane diffusa, tra i ceti medio-bassi rurali, fino agli inizi di questo secolo.

    Dunque lantico sardo non romanzo come gli altri volgari neolatini, in quanto il suo uso non si situa a un registro popolare ma a un registro solenne, ufficiale (per romanzo v. Curtius [1995: 38 sgg.], Roncaglia [1988]). I testi sardi appartengono a una categoria la cui redazione, nel resto dellEuropa occidentale, stata affidata per lungo tempo al latino, lingua la cui conoscenza sullisola risulta invece essere fino allarrivo dei monaci benedettini di livello vario, ma nel complesso abbastanza ridotta. Il latino isolano viene anche paragonato, da Benvenuto Terracini, nelle sue realizzazioni pi vicine al volgare, al latino merovingico [1957: 190]: rozzo, di lessico limitato, pieno di ipercorrettismi, contaminato dalla fonetica del sardo (betacismo ad esempio) [Merci 1982]. Come esempio, si veda il testo seguente:

    Donazione delle Chiese di S.Maria de Bubalis e di S.Elia di Montesanto fatta nel 1064 da Barisone I re di Torres alla basilica e monastero di S.Benedetto di Montecassino, pubblic. prima dal Muratori, poi dal Gattola. Da Tola [I, p.153]:

    In nomine Dei eterni, et misericors et pii, rennante domino Barasone, et nepote ejus donno Marianus, in renno, quo dicitur ore: deinde donnicelo Mariane, et donnicelo Petru, et donnicelo Comita simul cum omnibus fratres et parentes eorum considerabimus, et memorabimus nobis de omnibus peccatis nostris, et pro mercede et redemptione animae

  • nostrae iudic. et in eternum d.ni requie, et misericordia imbenire baleamus, sic tradimus et concedimus basilica S.Mariae Dei genitricis Domini de loco, quod dicitur Bubalis. Deinde S.Elias de Monte Santo cum omnibus quae modo abent, et antea jubente Deo, dare potuerimus illis cum charitate perfecta, sic tradimus illos monasterios nostros a basilica, et monasterio S.Benedictus, qui dicitur castro Caxinom, et da domno Desiderio gratia domini abbas, et a suos successores ad abendu, tenendu, atque possidendu, et faciendu omnia quidquid, ut dillis necessaria in isos monasterios, et nullus rege post obito nostro rennabit ihc non beat comiato retrahere abbas in bita, et sit migrabit de istius seculi ihc et nunque avet alius quod sacret adabas. Dirigat misos agere S.Benedicti, et dacipiat alius abbas. [iniziano le barbare maledizioni, scritte in barbarissimo latino - parole di Tola -, cio le formule comminatorie e le imprecazioni formulari] Et xi quista cartula, quod nos josi fueri, extruere, aut exterminare boluerit sive judice, sibe donnu estrumet Deus nomen suu de libro bibenziu, et carnes eius dirupiat bolatilibus celi, et bestias terre, et fiat maledicti de S.Benedicto, et duodecim apostoli, et sexdecim prophetae et aveat maledictione de quatuor evangelistas Marcus, Maczeus, Lucas et Johannes, et novem ordines angelorum,et decem arcangelorum, ed depiriat illis terra, et deglutiat eos bibos, sicut deglutibit Datan, Coren et Abiron [v. nota], et fiat maledicti de omnes sancti et sanctas Dei amen, fiat, amen fiat fiat: et xi quista breve audire ea boluerit et disserit quia bene est abeat benedictione de domino nosto Jesu Christo et de sancta gloriosa matre eius Maria, et de benedictione de sanctu Benedictu, de S.tu Elias confessor, et dabeat benedictione de omnes sanctos et sanctas Dei quod superius diximus, amen fiat fiat. Nicita lebita iscribanus in palactio regis iscrisi quod in illa ora fuit tenebra, et paucu lumine abit inci illa ora, et grande presse erat mihi, domno abbate de Cassinensis Mons quod setis in serbiziu Dei et S.Benedictum nomichi tenentis, inde superiu si imbennietis litera edificata

  • male vos qui sapies estis demandate in corde bestro, et donate pro me misero et gulpabile quo ego so testimoniu.

    [nota] Dathan, Abiram e Korah. V. Antico testamento, Numeri, 16: Sommossa di Core, Datan e Abiram; 26; Deuteronomio, 11; Salmi, 106 (105); Esodo, 6. Ribellatisi contro Mos, furono inghiottiti dalla terra. K. e D. diventarono i prototipi dei fomentatori di disordini [Encyclop. Judaica, s.vv.].

    Il latino isolano tradizionale, fluttuante, si contrappone alla solidit duso del volgare scritto e, come si direbbe, controllato (mi riferisco al termine scrittura controllata che indica un testo ad alta consapevolezza compositiva; ovviamente la qualit del controllo va rapportata allepoca specifica). Direi che i Sardi non avevano necessit di usare il latino, se non per i rapporti con Roma, con la Santa Sede, in seguito anche con Pisa e Genova, poich usavano benissimo, benissimo rispetto agli obiettivi e alle necessit interne, la lingua sarda. E inoltre la usavano, anche per iscritto, con la massima naturalezza, pur essendo lingua materna, con quella naturalezza che impressiona Dante tanto da pargonare il sardo a un latino scimmiesco. E con questa naturalezza, con questa tranquillit inconsapevole che viene redatto negli ultimi decenni dellXI secolo il testo logudorese pi antico [Tagliavini: 517-9; Monaci; Wolf 1990 vuole dimostrarne la non genuinit; Blasco Ferrer 1993], un privilegio giudicale a favore di commercianti continentali o "terramagnesi", pisani per lesattezza. La questione che questo privilegio solleva la discordanza linguistica tra competenza dellemittente e competenza del ricevente, in quanto il sardo al di fuori dellisola - per usare le parole di Fazio degli Uberti (Dittamondo, secolo XIV) - niuno lo intendeva (nessuno lo capiva). Il sardo appare, fin dalla sua comparsa, dice Merci, privo di incertezze sullintero territorio della Sardegna, o, meglio, in tutte le cancellerie giudicali; ma io direi non dalla sua comparsa ma fin dalle sue pi antiche sopravvivenze perch sulle origini effettive nulla sappiamo. Anche qui si presentano coincidenze temporali sorprendenti: i documenti sardi pi antichi che si sono conservati coincidono con la fase iniziale dellinflusso pisano, come per significare che nel

  • momento in cui inizia un rapporto scrittorio pi stabile col mondo occidentale, oppure "nel momento in cui la Sardegna riprende i legami con lItalia" [Terracini 1957: 190], la Sardegna era gi attrezzata a gestirli, ovviamente a modo suo, secondo una sua tradizione e secondo le sue convenzioni.

    Il testo sardo scritto non un testo di carattere subalterno, si rapporta direttamente al mondo, incide sul mondo, come testimonia tra le altre cose lelaborato anatema terminale della carta arborense del 1102 [Merci 1978]. Nellanatema, secondo una formula diplomatistica bizantina recepita nellisola, si maledice chi non avesse rispettato la volont registrata nel documento: et qui dea istruminare boluberit e dixerit quiia non sit, istruminet Deus magine isoro in istu seculu cizo; e deleantur nomen eius de libro bite; et dapant anazema [ecc. ecc.] "e chi la volesse distruggere (la carta) e dicesse quello che non vero, distrugga Dio la loro immagine immediatamente in questo mondo, e venga cancellato il suo/loro nome dal libro della vita; e abbiano/ricevano anatema ecc.". E attribuibile questa sicurezza duso al fatto che vi era contemporaneamente ignoranza del buon latino, come hanno sostenuto alcuni? Diamo la parola a Tagliavini [p.517] che continua riflessioni del Wagner: "Come mai proprio la Sardegna offre una quantit cos grande di documenti volgari? Io credo che la ragione sia da ricercarsi nella cultura arretrata dellisola, nella scarsa diffusione della conoscenza del latino (e ancor minore del greco [e l'influsso bizantino?]). Fu cos inevitabile che anche i documenti giuridici ufficiali, per essere compresi, fossero redatti in volgare." Terracini respinge questo tipo di spiegazione o di ragionamento in uno scritto come al solito molto raffinato [1957/1931]. Rintraccia nei documenti sardi formule e calchi dal greco bizantino, formule ad esempio che si manifestano anche nei documenti latino-sardi pi o meno contemporanei, come testimonianze bilingui di una stessa matrice culturale. Ora, pi in generale, il problema dellinflusso bizantino in Sardegna caratterizzato dal fatto che i singoli studiosi lo situano a vari livelli di interazione con la cultura indigena. La presentazione della questione si trova in Paulis [1983]. Mentre alcuni, come Wagner, Blasco Ferrer [1986], situano linflusso bizantino a un livello elitario,

  • colto, altri, come Terracini e Paulis stesso, evidenziano la profondit dellinflusso pur nella non grande quantit di testimonianze materiali e linguistiche sopravvisute. Chiese, santi orientali (Costantino ed Elena ad es.: Gosantine e Elene, Alene compaiono anche nei documenti antichi; Quartu SantElena una citt vicino a Cagliari; a Santu Antine dedicato un famoso santuario a Sdilo - prov. di Nuoro, dove si svolge una corsa festiva a cavallo; vi una via a Cagliari che si chiama SantAlenixedda, dim.), iscrizioni, sigilli, termilogia legata allorganizzazione amministrativa e sociale, vocaboli come kondage, kondaxi da kontkion, antroponomastica (nomi ad. esempio, che compaiono nei documenti sardi antichi come Comita, Barisone/Parasone (
  • mondo dellEuropa occidentale, a differenza di quello dellet pre-classica o dellImpero Bizantino, era un mondo chiuso di grandi forme."

    Sono questi una constatazione e un tipo di ragionamento che, a prescindere da chi li formula, non vengono tenuti in considerazione quando si cercano le causa dellaffermazione del volgare in Sardegna. Questi confronti su larga scala o su scala europea indicano una certa vocazione al monolinguismo ufficiale nellEuropa occidentale, e una vocazione al plurilinguismo sempre a livello di ufficialit nellEuropa orientale e tengono conto di diversi sottofondi storici e di diverse tradizioni linguistiche imperniate, basate, appunto, sul monolinguismo da una parte e sul plurilinguismo da unaltra parte, o, detto diversamente, a tendenza monolinguistica oppure a tendenza plurilinguistica. In questo macropanorama scompare la specificit del sardo, che nella seconda met del primo millennio si muove nellorbita dellImpero Bizantino, anche se allontanandosene sempre di pi (a causa della pirateria saracena e delloccupazione araba della Sicilia). E diventano in qualche modo evidenti, oppure se non altro si possono ipotizzare le ragioni culturali dellanomalo comportamento della Sardegna per quanto riguarda lemancipazione del volgare. Se c uneredit o una conseguenza del dominio bizantino, daltronde esercitato da un certo momento in poi a distanza e attraverso i simboli del potere, quella proprio il trionfo del volgare sardo, fenomeno che tipologicamente da considerarsi di tipo orientale nonostante la sua collocazione geograficamente occidentale. Ed un vero trionfo, tanto maggiore quanto si verifica dopo lunghi secoli di silenzio documentario interno. La storia isolana dal VII allXI secolo infatti frutto di deduzioni, riscontri (confronti), analogie e notizie esterne [Casula 1978: 23] e a questo vuoto documentario interno vorranno rispondere in maniera esagerata nel secolo XIX le false e nazionalistiche carte dArborea [Marrocu 1997].

    6. Collaffermarsi del volgare e ancor prima collaffermarsi di istituzioni sociali e politiche proprie, la Sardegna sarebbe stata sul punto di disporre di un fondamento sul quale edificare

  • successivamente la propria identit nazionale [Sestan 1951: 258]. Le nuove dominazioni intervengono e si instaurano per proprio in questa fase di definizione della propria identit, prima la dominazione pisana e pi debolmente quella genovese, successivamente quella catalano-aragonese e infine quella spagnola precedente litalianizzazione secondaria. Ho collocato volutamente il lungo periodo dellinflusso anche linguistico catalano e castigliano tra le parentesi costituite dallitalianizzazione primaria e secondaria. Da un lato perch litaliano continua a manifestarsi parallelamente alla presenza del catalano e castigliano [Loi Corvetto 1983, 1992-93, 1993, 1996], vale a dire litaliano continua a essere usato anche quando lisola politicamente suddita prima della Catalogna poi della Spagna. Da un altro lato perch la separazione del periodo in cui si usa il catalano, oralmente e per iscritto, dal periodo in cui si usa lo spagnolo, oralmente e per iscritto, arbitrario rispetto alla testimonianza dei fatti [Carbonell 1983; Paulis 1984, 1993]. Quantificare la presenza dellitaliano, per quei secoli di vita parallela al catalano e allo spagnolo, unimpresa difficile; c' chi la minimizza, c' chi lenfatizza. Nella citt di Sassari la presenza dellitaliano (genovese, corso) accanto al sardo generer a partire dal XVII secolo lidioma peculiare della regione. Pi in generale la permanenza dellitaliano legata alle citt. Ma quali sono le circostanze storiche concrete che la permettono? Nonostante il Regnum Sardiniae facesse parte dellimpero spagnolo, il Cinquecento sardo, sul piano del commercio e del traffico marittimo, il secolo dei Genovesi [Aa.Vv. 1989: 17], i cui effetti linguistici non sembrano essere tuttavia molto rilevanti al di fuori della citt e del territorio di Sassari. Nel 1565 si chiede ufficialmente, da parte dello stamento militare del Parlamento, la traduzione in sardo o in catalano (!) degli statuti cittadini di Iglesias, Bosa e Sassari e labolizione del pisano-italiano e del genovese-italiano. Parallelamente vi qualche autore che usa litaliano per poetare (Pietro Delitala, bosano, secolo XVI, il primo poeta sardo che usa litaliano).

    Per quanto riguarda la situazione linguistica della Sardegna in et catalano-spagnola, siamo meglio documentati per il periodo spagnolo,

  • anche se limitatamente ai settori che producono documenti scritti. E unanime il parere che la lingua parlata nelle zone rurali fosse il sardo. I registri parrocchiali (i quinque librorum) testimoniano per di una compresenza di lingue (sardo, latino, catalano, spagnolo), da cui litaliano sembra essere escluso fino al secolo XVIII [Carbonell 1984]. Nei quinque librorum del villaggio di Locoj (localit vicino a Nuoro, non pi esistente), conservati per gli anni 1578-1689, gli atti tra il 1578-1642 sono redatti in sardo, catalano e latino, tra il 1643-89 sono invece redatti in castigliano [Murru Corriga 1993: 58]. Come lingua dei documenti lo spagnolo penetra, a seconda dei posti, tra fine Cinquecento-inizio Seicento e inizi del Settecento (Alghero), sostituendo molto lentamente il catalano [Blasco Ferrer 1984: 162]. Diversa la situazione della scuola, retta da religiosi, soprattutto della scuola pi prestigiosa, affidata dalla met del secolo XVI ai gesuiti [Turtas 1981]. Dallo studio di Turtas si comprende come, sul piano linguistico, la scuola fosse sottoposta a due forze contrarie, provenienti e dirette verso Roma e provenienti e dirette verso la Spagna. Essendo la comunit dei gesuiti multietnica, questo comporta dei problemi linguistici in cui si mescolano quelli legati alla provenienza dei religiosi, alla provenienza dei superiori, alla politica linguistica adottata da questi superiori, e alla necessit di imparare la lingua naturale del posto, cio il sardo come imponeva la regola dellordine. Infatti lattivit dei gesuiti si svolge in diversi ambiti e a diversi livelli, che impongono una diversificazione linguistica: una la lingua della confessione (che presuppone competenze attive comuni da entrambe le parti), altra la lingua della predicazione, dove dalluditorio si richiede soltanto una competenza passiva ma dove comunque i fedeli dovevano essere messi nella situazione di comprendere, altra ancora la lingua della scuola, dove oggetto dellinsegnamento linguistico erano per latino e greco e i volgari erano usati a livello metalinguistico e interattivo. Nelle ville, cio negli insediamenti rurali, litaliano e il castigliano non potevano essere usati nella predicazione, soprattutto il castigliano no (anno 1583, relazione del padre Fabbi, visitatore dei collegi sardi [Turtas: 79 sgg.]), mentre diversa la situazione della citt di Sassari, dove litaliano era una delle lingue pi usate. E ancora diversa la situazione

  • dellinsegnamento universitario che fino al secolo XVII (1617 per Sassari, 1626 per Cagliari) non poteva svolgersi in Sardegna, per mancanza di universit. Sotto gli spagnoli continua la tradizione di andare a compiere studi universitari sulla penisola (a Pisa, Bolgna ecc.), prassi che per viene vietata, con leccezione di qualche universit, per timore della contaminazione protestante (v. il caso di Arquer). Le difficolt insite nel viaggio verso la Spagna fanno per preferire a molti, nonostante i divieti, la frequentazione delle universit italiane (a Pisa, nel Cinquecento, vi sono diversi studenti registrati sotto natio sarda, il numero dei graduati di circa 150 nella seconda met del secolo XVI e oltre 270 nella prima met del sec. XVII). E abbastanza evidente come la castiglianizzazione nellisola sia operata non soltanto dal potere laico, ma forse soprattutto dal potere religioso, che rafforza i propri ranghi con personale proveniente dalla Spagna. Turtas parla di una debole concorrenza dellitaliano in questa lotta e daltronde tutti gli storici, isolani e non (v. la nota 93 in Turtas, v. Sestan e Sotgiu) sono unanimi nel sottolineare la profonda castiglianizzazione dei ceti alti, che legata a sua volta a fenomeni di acquisizione di prestigio, di ascesa sociale, di accesso a varie possibilit occupazionali ecc. Qualche esempio di castiglianismi entrati in sardo [Paulis 1993]: feu che logudorese contro leg^g^u camp. di origine cat., tondidade, -i in entrambi i dialetti, camp. abogau, bottas, carapia, flan, camp. enfermedadi e tantissimi altri cui bisogna aggiungere una serie di suffissi come -za, -ra, -ura.

    Nel Cinquecento il profilo linguistico di una persona ad elevata istruzione pu essere di questo tipo (lesempio lo costituisce Sigismondo Arquer): usa per iscritto latino, spagnolo e italiano, ma indubbio, sottolinea Cocco [1987:417], che la lingua nella quale Sigismondo si esprime nel modo pi felice il latino; in famiglia apprende il sardo e il catalano. Il poeta trilingue Girolamo Araolla, consapevole e fiero di essere poeta trilingue, usa il sardo, lo spagnolo e litaliano [Pirodda; Wagner 1915].

    ... nuestro Idioma Sardo /... es lengua entre otras muy hermosa / Y tiene el curso della grave inchado ...

  • Hara Olla. Soneto.Hara Olla. Y que tal? De consumado?Podrida? - No. Mas de lengua preciosa.De plata? Aljfar? De oro? - Ms costosa.En vario Idioma y lengua has guisado.

    Nellambito della letteratura creativa alta, alta socialmente ma non esteticamente, domina a quanto pare lo spagnolo: v. il caso di Antonio Lo Frasso, anchegli peraltro plurilingue [Rossich 1995], e gli autori citati nellantologia di Pirodda. Se si guardano altri tipi di documenti, il quadro cambia. Per quanto riguarda gli statuti dei gremi, cio delle corporazioni di artigiani, per la loro redazione si usano queste lingue [Loddo Canepa 1961]: per il gremio dei sarti di Cagliari (1622) il catalano, per il gremio dei carratori (trasportatori coi carri) di Cagliari (1699) il catalano, con aggiunte/aggiornamenti successivi in sp. e lat., per il gremio "de los boteros" di Cagliari (1638) il catalano, con aggiunte in lat.; per il gremio dei muratori di Oristano (1615), lo spagnolo, con aggiunte in cat. e lat. La mescolanza catalano-spagnola caratterizza anche gli atti dei parlamenti sardi; se nel 1553-4 gli atti sono ancora soltanto in catalano, successivamente vengono usate entrambe le lingue, a seconda dellemittente, il che significa di nuovo che anche ai vertici la societ sarda rimane per lo meno bilingue. Questi aspetti sono ancora poco studiati, ma nei lavori degli storici, che come ho detto sono ingenuamente indifferenti al problema linguistico, si nota, in relazione ai documenti ufficiali, una continua alternanza di termini ora catalani ora spagnoli, a seconda di quale fosse la lingua del documento da loro usato in quel momento.

    E abbastanza emblematico il caso di un testo stampato a Cagliari nel 1738 (dunque gi in periodo sabaudo). Esso contiene i capitoli di grazia, cio le convenzioni e gli accordi stipulati tra i baroni di Ogliastra e la comunit rurale di Tortol tra il 1455-1621 e raccolti in un volume dopo il 1655. I capitoli sono redatti in catalano (con interferenze sintattiche sarde secondo Maninchedda [1996:73]), mentre il sommario in sardo, e in sardo sono gli atti che registrano i

  • giuramenti prestati dai capitani, dai luogotenenti e dagli scrivani della regione.

    7. Come si colloca il sardo in questo quadro, oltre a quanto appena detto? Come si diceva, a livello del parlato dei ceti bassi e rurali, o nella qualit di registro basso, il sardo si deve supporre come una costante. Anche il clero rurale, assai povero, tra i secoli XV-XVI era probabilmente quasi esclusivamente sardoparlante [Maninchedda 1996]. Vi sono tuttavia una serie di testimonianze scritte importanti delluso del sardo ad un registro pi elevato ma sempre popolare/divulgativo. Si fatta menzione dei quinque librorum, cio dei libri parrocchiali. Il dominio pi o meno questo, infatti, per luso scritto letterario del sardo in epoca spagnola: quello ecclesiastico-paraecclesiastico dove quantitativamente sembra dominare il logudorese, che nel secolo XX anche la lingua delle gare poetiche di improvvisazione, anche in area campidanese. E per questo che si parla dellesistenza di un logudorese illustre. Si tratta, per il passato, di catechismi (es. Declarassione de su symbolu apostolicu De su Illustrissimu, & Reuerendissimu Seor Cardinale Bellarminu, voltada dei Limba italiana in Sarda, Sassari, Gobetti, 1616; per il secolo successivo v. A.Virdis [1975]), di testi teatrali ad argomento sacro, di testi agiografici, o scritti per le processioni, addirittura di scomuniche (Sanna [1975]: Una inedita scomunica sarda del 700, inflitta dal vescovo di Bosa nel 1707) i cui autori sono quasi sempre uomini di chiesa. La destinazione popolare-pubblica abbastanza evidente, ma sulla utilizzazione effettiva dei testi destinati alla lettura o alla rappresentazione difficile pronunciarsi (per il teatro cfr. Bullegas [1976]). E forse interessante notare in questo contesto che il filone del teatro popolare stato ripreso dagli inizi di questo secolo sotto la forma della commedia laica, soprattutto in area campidanese-arborense (cfr. il teatro di Efisio Melis e di Antonio Garau). E pi o meno cronologicamente parallela a questa produzione quellaltra dei fogli volanti contenenti poesie di fattura tradizionale su fatti di cronaca [Delitala 1982]. Limpressione che si poteva avere fino a dieci anni fa delluso scritto del sardo a partire dal Medioevo [Haarmann 1988: 42], secondo cui si avrebbe uno sviluppo in due fasi (I: dal medioevo

  • fino al secolo XVII; II: a partire dagli anni 60 di questo secolo) del tutto inadeguata rispetto ai dati disponibili gi allora ma ancor di pi attualmente. Il sardo si mantiene come lingua scritta ininterrottamente per lo meno fino alla fine del secolo XVIII, mantenendosi dopo lepoca dei condaghi e dei codici giuridici al livello dei registri parrocchiali, degli atti notarili, dei testi paraecclesisatici, dei sermoni e delle ordinanze amministrative (e anche questa volta sono gli storici a documentare meglio la situazione): oltre allordinanza bilingue sardo-italiana sui censori o ad altri scritti regolamentativi sempre bilingui [Loi Corvetto 1994], ricordo anche un regolamento italiano-sardo sulle torri costiere antipirata, che ci testimonia di nuovo, come nel caso dei baroni dOgliastra, luso del sardo tra i militari di grado medio-basso. Ricordo inoltre, nellambito della letteratura didascalica, il trattato bilingue sardo-italiano, in due volumi, in forma dialogica, sulla coltivazione dei gelsi e sullallevamento dei bachi da seta, di Giuseppe Cossu, 1788-9; Il tesoro della Sardegna [...] (sullo stesso argomento), 1779, di Antonio Porqueddu, poema scritto in sardo e tradotto in italiano; lanonimo Discorso sopra lutilit delle piante e della loro coltivazione per uso della Diocesi di Ales, e Terralba / Discursu asuba de sutilidadi de is plantas e de su cultivu de issas (Cagliari, Stamperia Reale, 1779), tradotto anche in sassarese: Discursu sobbra lutilidadi di li planti traduziddu in Sassaresu a comunintelligenzia di tutti li di chissa patria, li quali innorani lu cultu linguaggiu Italianu [Marci 1990]. Da questo trattato cito questa incitazione che aspetta ancora oggigiorno la sua applicazione:

    Boleus nosatrus aduncas in sa sciutta Sardigna multiplicai is acquas? multiplicheus is plantas.

    In questi scritti parascientifici/divulgativi si usa di norma il campidanese.

    E su questa tradizione scrittoria, abbastanza robusta in fondo, che si innestano le poesie colte e artificiose del Madao alla fine del secolo XVIII, e le trattazioni grammaticali ottocentesche: prima del Porru (1811) e poi del Rossi (1842) e dello Spano (1840) [Dettori 1998 e

  • bibliogr.].

    Per la situazione linguistica nel dominio dei testi regolamentativi (leggi, ordinanze) del Settecento vedi anche le notizie ricavabili da Sanna Lecca: coesistenza dello spagnolo, italiano, latino. A proposito del latino, occorre far notare che nei registri parrocchiali dellOttocento vi un recupero quasi totale del latino.

    8. La catalanofonia isolana inizia nei primi decenni del secolo XIV, dunque in un periodo anteriore allespansionismo coloniale di tipo moderno che ha implicazioni linguistiche rilevanti ed esplicite, e si protrae, come si visto, parallelamente allispanizzazione dei secoli XVI-XVII. Questi due influssi iberici sono insieme di notevole importanza lessicale per il sardo, come dimostrano i lunghi elenchi di catalanismi e di ispanismi elaborati dal Wagner [v. anche Paulis 1984 e 1993].

    Nei secoli XIV-XV il catalano coesiste col sardo, italiano e latino, per lo meno a livello di lingua ufficiale e scritta. Blasco Ferrer [1984: 143 sgg., cita anche altri] sostiene che: "il catalano simpone, in qualit di lingua cancelleresca, ma anche (almeno nelle regioni maggiormente colonizzate) come registro popolare. [...] Larrivo dei Catalani rappresent, nei primi decenni almeno, la speranza di liberazione dagli oppressori pisani, i quali con la loro politica fiscale e militare spinsero il popolo sardo verso una posizione negativa nei loro confronti. I segni di recepimento attivo che denunciano i dialetti sardi manifestano palesemente quellatteggiamento positivo di fronte ai Catalani." Niente possiamo affermare a proposito degli atteggiamenti linguistici popolari nei confronti della lingua catalana durante il periodo di influsso di questa lingua. Possiamo soltanto notare la lunga sopravvivenza del catalano in ambiente urbano (ma la stessa cosa avverr successivamente anche con lo spagnolo), tanto per dimostrare ancora una volta che i confini della politica non coincidono con quelli delle lingue, n spazialmente n cronologicamente; possiamo notare la grande quantit di imprestiti iberici, in cui alle volte non si pu distinguere il catalanismo dallispanismo. La resistenza al

  • cambiamento dal catalano allo spagnolo probabilmente frutto dellinerzia prodotta da abitudini linguistiche secolari, conclude Carbonell, per cui ancora nei secoli XVI-XVII i quinque librorum attestano un uso diffuso del catalano; inoltre vengono stampati testi in catalano, e i pregoni viceregi o le raccolte di leggi (capitols de cort) sono redatte tra il 1572-1725 anche in catalano accanto alle leyes y prammaticas reales raccolte in spagnolo. Se il documento catalano isolano pi antico il pregone del veguer (vicer) di Cagliari del 1337, per i secoli XV-XVII si devono menzionare il Llibre groch e il Llibre vermell del comune di Cagliari. E ancora nel 1738, come si diceva, i feudatari dellOgliastra fanno stampare grcies, concessions i captols in catalano. Si ricordi, inoltre, che Cadelano sopravvissuto anche come cognome frequente; in questo simile alla sorte di Pisano.

    Lunica testimonianza sicura dellinflusso catalano sul sardo resta la grande massa di vocaboli imprestati soprattutto nei dialetti meridionali della Sardegna: budu vuoto, kumbidare, kumbidai invitare, offrire; il settore dei mestieri e degli strumenti da lavoro particolarmente ricco in catalanismi [Blasco Ferrer 1984: 153 sgg.; Paulis 1984]: bga trave, burumballa truciolo, karnitsri macellaio, ferrri fabbro, mulinri mugnaio, sabatri calzolaio; e ancora grgu giallo, buffai bere, kallnte, kallnti caldo, jaju nonno, padrina madrina, kas^ale, -i molare, lgg^u brutto, affbika basilico ecc. ecc.; molti i nomi propri, cognomi (Aymerich, Amat, Fois, Garau, Loi < Eloi, Rojch < Roig), il nome Bchis (poi anche italianizzato in Bachisio) da Bachs.

    9. Lo slittamento di codice allinterno dello stesso testo, slittamento che avviene quando si in presenza di influssi culturali esogeni multipli, documentato molto bene anche nei condaghi pi recenti, alla cui serie appartiene il Condaghe del monastero di S.Chiara di Oristano (XV-XVI secolo). Questo condaghe scritto in sardo arborense documenta influssi italiani e catalani, di cui lultimo riguarda ad esempio anche gli aggiornamenti pi recenti che sono scritti in catalano [Maninchedda 1987].

  • Presenta un quadro interessante del plurilinguismo esistente in una cancelleria giudicale di periodo catalano il libro di Casula [1978]. Mariano IV, giudice di Arborea dal 1346, parlava il catalano e aveva sposato una Catalana [p.55]; conosceva inoltre il latino, litaliano e il sardo [p.60]. Ai suoi comandanti inviava ordini scritti in italiano o in sardo, secondo la loro nazionalit [p.57 sgg.]; tuttavia adotta usi documentari aragonesi, tipo di sigillatura ad es. [p.59]. Suo genero, Brancaleone Doria, di origine genovese, marito di Eleonora (cfr. Carta de Logu), continua ad agire allo stesso modo: fa scrivere in latino, catalano, italiano o sardo a seconda del destinatario [p.64 sgg.]. Infine ricordiamo che il codice giuridico chiamato Carta de logu, promulgato da Eleonora verso la fine del secolo XIV, redatto in sardo, sulla base di un pi antico codice rurale ugualmente sardo, ed emesso nella stessa cancelleria. Di questo codice si conservata una sola copia manoscritta quattrocentesca e sono note otto edizioni a stampa. La Carta de logu resta in vigore fino al 1827, eccetto che nei comuni a statuto proprio; questo per sottolineare che il codice legislativo sardo conosce oltre quattro secoli di esistenza ufficiale, in parallelo alle leggi emanate in italiano, in catalano, in spagnolo e nuovamente in italiano.

    10. Ho ritenuto di dover concludere con la zona arborense, in quanto in essa si presenta oggi, come nel Medioevo (anche se la distribuzione sar cambiata), quel fascio concentrato di isoglosse per cui la zona arborense (e soprattutto la parte settentrionale) pu considerarsi una zona di transizione o, meglio, una ter