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diNatura

Storie di lupi estratto - TARKA · 2017. 7. 7. · Seton, che avevano dato vita al movimento Woodcraft (un po’ li-beramente, si potrebbe dire “delle conoscenze e delle abilità

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Nella stessa collana:

La coltivazione naturale della cannabis, di Ed Rosenthal, J.C. StitchLo Zen e l’arte di allevare galline, di Clea DanaanLibereso, il giardiniere di Calvino, di Libereso GuglielmiLa vita segreta dei pipistrelli, di Danilo RussoL’enigma delle pecore blu, di Sandro LovariPiante e fiori del terrazzo, di Ippolito PizzettiPiante medicinali nostre amiche, di Marina Giammetti Mamani Dottor Miele, di Eva CraneDoctor Dog, di Guy Quéinnec Guy, Gérard Gilbert101 cavalli d’autore, a cura di Alessandro ParonuzziGuida alle malattie delle piante e del bosco, di G. Hartmann, F. Nienhaus,

H. ButinVegetale sarai tu!, di Mirella Delfini, Eliana FerioliOrto facile per tutti, di Giancarlo BertinazziIl giardino naturale, di William Robinson Suoni bestiali, di Danilo RussoElogio del gatto d’autore, a cura di Alessandro ParonuzziE Dio aveva un cane, di Staley Coren

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Ernest Thompson Seton

Storie di lupi famosie di altri animali

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Titolo originale dell’opera:Mainly about Wolves© Ernest Thompson Seton 1937

Traduzione di Maria Albini

Prima edizione: luglio 2017

Tutti i diritti sono riservati

© 2017 Tarka edizioni srlPiazza Dante 2 - Mulazzo (MS)www.tarka.it

ISBN: 978-88-99898-72-4Impaginazione ed editing: Monica Sala

Finito di stampare nel mese di luglio 2017

presso Mediagraf SpA - Noventa Padovana (PD)

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V

Indice

Prefazione 1

Wosca e il suo lupacchiotto coraggioso 5

Il toro di Chillingham 23

La piccola Maria e i lupi 32

Il lupo sulla pedana dell’automobile 41

Padraic e l’ultimo lupo irlandese 44

Rincon o il richiamo notturno 52

Il lupo e la legge primitiva 62

La storia di Carota 69

Chicaree. Un’avventura dello scoiattolo rosso 78

Gli amanti e la creatura di luce. Storia del boscaiolo cantore 83

I topi e i serpenti. Studio della personalità di un animale 88

Dipo, spirito del deserto 94

Hank e Jeff 109

Courtaud, il re dei lupi di Francia 123

La bestia, ovvero il lupo di Gevaudan 142

Il leopardo innamorato 164

Chi furono gli eroi? 177

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VII

PRESENTAZIONE

Curiosa figura, quella di Ernest Thompson Seton (South Shields, Durham, Inghilterra, 14 agosto 1860 – Seton Village, New Me-xico, USA, 23 ottobre 1946): naturalista, artista (autore in parti-colare di pregevoli illustrazioni naturalistiche), conferenziere, or-ganizzatore, fondatore del movimento Woodcraft, difensore della cultura dei nativi americani, ma soprattutto narratore affascinante, autore di romanzi e racconti regolarmente di ispirazione naturali-stica che, in particolare nel mondo anglosassone, hanno goduto di un notevole successo editoriale nella prima metà del Novecen-to. Entrato in contatto con Robert Baden-Powell, fece parte del comitato fondatore dei Boy Scouts of America e per alcuni anni, dalla fondazione nel 1910 fino al 1915, fu “Chief Scout” – da qui uno dei soprannomi con cui era noto, “Chief”; l’altro era “Black Wolf”, lupo nero, legato al suo interesse per i lupi, di cui vari rac-conti in questo libro sono testimonianza.

La partecipazione di Seton all’organizzazione degli Scout di Baden-Powell non andò oltre quella data: Seton disapprovava l’at-teggiamento militarista di Baden-Powell, che si era accentuato con il primo conflitto mondiale, e d’altra parte gli Scout non gradivano molto l’interesse di Seton per i nativi americani. Alcuni scritti di Seton, che avevano dato vita al movimento Woodcraft (un po’ li-beramente, si potrebbe dire “delle conoscenze e delle abilità neces-sarie per la vita nei boschi”), erano stati l’occasione d’incontro con

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VIII STORIE DI LUPI FAMOSI

Baden-Powell; lasciata l’organizzazione degli Scout, Seton ritornò su quelle idee e fece rivivere il movimento, come organizzazione co-educativa per tutte le età, e non solo per ragazzi, con il nome di The Woodcraft League of America. Lo stesso Seton scriveva, in “The Woodcraft Idea”, nell’introduzione al Birch Bark Roll della Woodcraft League:

Un famoso educatore non molto tempo fa mi chiese di dirgli, in una frase, che cosa fosse la Woodcraft League. Io gli ho risposto così:“È uno schema per fare un uomo con uno sfondo di cielo blu.”“Questo va benissimo”, ha detto lui, “ma non spiega quali siano i suoi metodi.”Al che gli ho risposto: “È qualcosa da fare, qualcosa su cui pensare, qual-cosa di cui godere, qualcosa da ricordare, nei boschi, rendendosi conto costantemente che l’umanità, e non l’erudizione, è il fine di tutta la vera istruzione. Si basa sulla continua riaffermazione delle quattro vie lungo le quali ci si dovrebbe sviluppare – la via del corpo, la via della mente, la via dello spirito e la via del servizio. È, all’inizio, alla fine e sempre, ricreazione – ricreazione per vecchi e giovani, maschi e femmine. Mette l’accento sulla vita all’aperto, ma ha anche un programma alternativo per la vita urbana e per i momenti in cui si deve stare al chiuso.

Della “vita all’aria aperta” aveva fatto una prima conoscenza a sei anni quando la famiglia, originaria di South Shields, città por-tuale dell’Inghilterra, si era trasferita in Canada nel 1866: il padre, Joseph, commerciante marittimo e proprietario di navi mercantili, era incorso in difficoltà economiche e aveva deciso di cedere tut-ta l’attività e andare oltreoceano. La famiglia si stabilì a Lindsay, nell’Ontario, cittadina di frontiera fondata nel decennio preceden-te: un abitato circondato dai boschi, in cui Ernest amava stare e che furono il suo primo campo di osservazione. Il tentativo del padre di rifarsi una vita come agricoltore non diede i frutti sperati, e nel 1870 ci fu un nuovo trasferimento, nella città di Toronto,

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PRESENTAZIONE IX

dove Joseph trovò lavoro come contabile. L’ambiente urbano non si confaceva allo spirito di Ernest, come non vi si confacevano l’au-toritarismo del padre e il clima di ultra-conservatorismo calvinista che si respirava in casa. Contrastato dal padre nei suoi interessi naturalistici, ma appoggiato invece per le inclinazioni artistiche già mostrate da ragazzo, poté frequentare la Ontario Art School, da poco fondata, e poi ebbe modo di tornare il Inghilterra per fre-quentare la Royal Academy di Londra.

Nei circa trenta mesi passati a Londra fra la fine di giugno del 1879 e l’ottobre 1881, lontano dall’atmosfera oppressiva della famiglia, Ernest trovò modo di coniugare le sue capacità artistiche con gli interessi naturalistici, frequentando, ancor più che l’acca-demia, lo zoo londinese e la biblioteca del British Museum, dove ebbe modo di conoscere l’opera di John J. Audubon, di Henry David Thoreau, di John Burroughs e di altri autori. Rientrato in Canada, dopo la definitiva rottura con il padre, si trasferì in Ma-nitoba, dove la sua attività di naturalista cominciò a diventare se-ria: scrisse i suoi primi articoli, iniziò una corrispondenza con lo Smithsonian Institute e con altri naturalisti, canadesi e statunitensi (fra cui anche Theodore Roosevelt).

Dopo la prima visita a New York alla fine del 1883, comin-ciò a dividere il suo tempo fra Canada e Stati Uniti. Nel 1885 ottenne un contratto per l’esecuzione di 1000 disegni di mammi-feri per il Century Dictionary. Agli inizi del decennio successivo tornò in Europa, per approfondire le sue conoscenze artistiche a Parigi: nella capitale francese ebbe modo di conoscere molti gio-vani artisti americani che vi soggiornavano per motivi di studio e svolse la maggior parte delle ricerche per il suo primo libro, TheArt Anatomy of Animals (pubblicato nel 1896). Problemi di vista, conseguenti agli sforzi fatti per la realizzazione di quel volume, lo spinsero a tornare oltreoceano – finendo per trovare lavoro come cacciatore di lupi nel New Mexico. Il racconto di “Lobo”, deri-vante da quell’esperienza, fu pubblicato sullo Scribner’s Magazine

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X STORIE DI LUPI FAMOSI

e poco più tardi, con altri racconti, entrò a far parte del volume Wild Animals I Have Known (pubblicato nel 1898), che riscosse un immediato successo e lo fece diventare una celebrità. Sull’onda di quel successo, scrisse molti altri racconti, fra cui quelli raccolti in questo volume – ma la sua produzione fu enorme: migliaia di titoli, fra racconti, articoli scientifici e di divulgazione.

Quel che caratterizza i racconti di Seton è l’atteggiamento sim-patetico nei confronti degli animali: anche quando narra di preda-tori, li vede sempre con una loro personalità individuale spiccata. Se eccede nell’umanizzazione (fu coinvolto a questo proposito an-che in una controversia con John Burroughs, che lo attaccò per il suo sentimentalismo), si riscatta per l’attenzione sincera al mondo naturale e per aver sollevato fra i primi i temi del rispetto e della conservazione dell’ambiente naturale, anticipando temi che sareb-bero diventati urgenti per le generazioni successive.

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Prefazione

Più di metà di questo libro è dedicato alla storia di lupi storici. Tra tutti gli animali feroci, il lupo suscitò più di ogni altro l’interesse dei nostri antenati, in quei tempi durante i quali l’uomo cercava, a tentoni, una luce e una guida per uscire dal suo stato selvaggio.

In tutta la storia primitiva dell’Europa, i lupi appaiono come un terrore notturno, tanto per gli uomini che per gli altri animali. Dovevano essercene a migliaia, forse a milioni; il loro enorme nu-mero, la loro forza e la loro astuzia li rendeva imbattibili e perico-losi per qualsiasi creatura vivente.

Gli uomini dovevano difendersi con alte barriere e fuochi not-turni. Gli animali selvaggi dovevano cercare riparo in forre, alberi alti, in cespugli impenetrabili, o su qualche isola o roccione inac-cessibile, dove la difesa fosse facile. Ma la minaccia continuò a esistere. Il timore dei lupi dilagava ovunque, non diminuiva mai. Eppure è raro che si parli del lupo, nella storia. Perché?

Eccone la spiegazione.Chicago ha, nei suoi tuguri sotterranei e nei suoi angoli più

oscuri, milioni e milioni di topi. Tuttavia, nelle cronache quoti-diane, questo fatto non viene neppure ricordato. È un danno co-nosciuto che ogni anno si prevede e si accetta. Ma quando i topi scappano dai loro nascondigli e escono per le strade a causa del fuoco o delle inondazioni, e assalgono in torme disperate i cani e gli uomini, e uccidono i bimbi e ogni creatura inerme, allora ci si accorge di loro. E ogni redazione di giornale riceve un articoletto pieno di particolari.

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2 STORIE DI LUPI FAMOSI

Accade la stessa cosa per i lupi. Essi erano accettati come un’i-nevitabile calamità, quando rimanevano entro i limiti di una nor-male forza di distruzione, ma quando un inverno rigido li costrin-geva a unirsi in branchi più crudeli e più numerosi che, scendendo all’aperto, devastavano le città, restava di loro un ricordo storico. O quando compariva un lupo gigantesco e dotato di un’astuzia eccezionale, allora si tesseva una stupenda storia, piena di terro-re, agghiacciante e indimenticabile; e un capitolo color sangue era bell’e scritto.

Sarebbe facile nominare una ventina di questi lupi eroici de-scrivendone l’esistenza. Almeno due hanno lasciato ricordi sor-prendenti e duraturi negli annali della storia, con le loro uniche, lunghe, sanguinose avventure delle quali narro abbastanza a lun-go: Courtaud, il re dei lupi di Francia (1430) e Il lupo del Gevau-dan nella Francia meridionale (1764). Entrambi appartenevano a questa stirpe divoratrice di uomini. Sebbene il nocciolo delle due storie sia storicamente esatto, mi sono permesso di colorirle e di svilupparle con la massima libertà.

Padraic e l’ultimo lupo irlandese è una storia contemporanea. Il fatto narrato è autentico, sebbene io ne abbia esteso un po’ la nar-razione. Ma pare veramente assodato che Rory Carragh, il famoso cacciatore di lupi, avesse ucciso, con l’aiuto di un ragazzino, i due grossi lupi di Tyrone, come narrerò, verso il 1658. (Si veda Sir James Ware The whole Works of Sir James Ware concerning Ireland,Dublino, 1764, e pure Biography of a Tyrone Family, Belfast, 1829, p. 74.)

La piccola Maria e i lupi è una storia narrata in breve dall’au-tore anonimo di Caccia ai lupi in Bretagna (1850). Egli la faceva passare per una storia contemporanea e, al contrario di Courtaud, mostra come in Francia i lupi moderni abbiano imparato a rispet-tare le vite umane.

Il nocciolo principale di Il lupo e la legge primitiva trae origine da molti racconti di cacciatori. Io non vidi mai nulla di simile ma udii parlare spesso di questi casi. L’epilogo mi fu dato tale e quale

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PREFAZIONE 3

da James R. Lowther di Vittoria B. C. Lui ne garantisce l’auten-ticità.

Rincon o il richiamo notturno è, nei suoi elementi essenziali, un’esperienza personale, ma ha subito degli sviluppi ulteriori, di tono romanzesco.

Il lupo sulla pedana dell’automobile è narrato tale e quale accad-de, senza alcun abbellimento.

Un tempo, il lupo d’America era un animale eccezionalmente coraggioso e veloce. Viveva grazie a queste sue qualità e non teme-va nessun altro animale, per quanto rapido e ardito fosse.

Invece i lupi capaci di tener testa ai bufali mutarono profon-damente quando comparvero gli uomini bianchi, su cavalli veloci, armati di moderni fucili distruttori; queste due cose erano troppo pericolose anche per l’animale più coraggioso e trasformarono lo spavaldo lupo cacciatore di bufali in un animale tutto astuzia, che adesso vive nelle vaste e deserte regioni occidentali.

Chi conosce il lupo soltanto come un essere odioso, un distrut-tore, un brigante vagabondo, sarà sorpreso e colpito, leggendo la storia di “Wosca”, che trae origine da fatti reali autentici e provati.

In quanto alla mia personale conoscenza di quest’animale sel-vaggio, essa non va oltre una o due cacce nei pressi di Medora, nel Nord Dakota. Ma gli episodi che narro sono confermati da molti uomini, la cui testimonianza è piena di valore; tuttavia, le figure centrali dei miei racconti sono quasi il riassunto di diversi tipi di lupo.

È possibile comprendere questi animali, se consideriamo inoltre che un lupo non è che un grosso cane selvaggio, molto simile al cane, che si procura il cibo grazie al proprio coraggio e alla forza delle sue mandibole. I lupi, come qualsiasi animale ben sviluppato, mostrano un’infinita varietà di caratteristiche fisiche e mentali; molti hanno un coraggio eroico, mentre altri – ne ho conosciuti io stesso – sono vili e pavidi dinanzi ai pericoli. Le loro personalità sono diverse come quelle dei santi e dei demoni; alcuni sono di un’intelligenza così infima che ci paiono degli incapaci, altri sono dotati di una tale astuzia da farci pensare a una genialità eccezionale.

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4 STORIE DI LUPI FAMOSI

Insomma, questo è un libro di lupi famosi.Ed è tale perché le mie simpatie e i miei studi si sono rivolti in

modo particolare a loro. Però anche l’esistenza degli altri animali mi è stata svelata dalla vita reale.

La storia di Carota è un’invenzione, fondata su un fatto vero, su una mia esperienza.

La stessa osservazione vale per Chicaree.Hank e Jeff è la storia tradizionale dei boschi del Kentucky. La

udii narrare quando ero bambino, e la narrai spesso, seduto vicino al fuoco di un bivacco la sera; ma solo da poco tempo mi sono deciso a scriverla.

Il toro di Chillingham fu una mia esperienza personale nell’In-ghilterra del Nord, il 21 maggio 1913 ed è narrata senza alcun abbellimento.

E il discorso Chi furono gli eroi? fu scritto a memoria e non credo sia possibile trovarlo stampato in nessun luogo.

Chi di voi divide il mondo in emozioni umane e – su di un piano inferiore – in impulsi animali, non ha indagato molto a fon-do la verità, e ha appena sfiorato quelle acque stagnanti, quegli abissi di ignoranza, chiamati dizionari o enciclopedie.

Vorrei potervi condurre con me, e farvi sedere all’aria aperta, presso i fuochi da campo di un tempo, per udire dai vecchi le loro verità piene di bestemmie, per rendervi capaci di trovare l’oro en-tro tutti i loro rifiuti, perché possiate infine imparare le grandi cose che nascono da una comunione giornaliera e notturna con loro. Queste cose sono spesso completamente distrutte dai dogmi, dalle formule ortodosse, come la cosmogonia copernicana fu condanna-ta dai preti di un tempo…

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Wosca e il suo lupacchiotto coraggioso

Secondo la tradizione, ci immaginiamo il lupo come un animale odio-so, un mostro di crudeltà e di distruzione, mosso soltanto da un basso e ingordo stimolo di fame.

Eppure, io vidi dei lupi che, in fatto di cibi, erano raffinati come dei cerbiatti. E ne conobbi altri la cui caratteristica principale era una vera e propria saggezza.

Altri erano animati sopratutto dallo spirito di avventura, e altri ancora dal desiderio di vendetta.

E ne incontrai molti in cui il sentimento più vivo e lo stimolo all’azione era un infinito amore per i loro piccoli. Ne vidi io stesso, bruciati da un’appassionata dedizione al loro diletto compagno; e udii parlare di altri che strinsero con animali assolutamente diversi da loro dei patti di fratellanza.

Ma conobbi un lupo che nutrì durante tutta la sua vita una devo-zione profonda per la sua vecchia madre, cieca e indifesa.

Se qualcuno di voi vuol udire questa storia, come io la udii dai cacciatori del lontano Nord-Ovest, ascolti dunque il racconto di Wosca e del suo coraggioso lupacchiotto Shishoka.

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6 STORIE DI LUPI FAMOSI

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Verso il 1890 viveva nella valle del Little Mis-souri una lupa bianca, molto nota, vero flagello per gli armenti. Sebbene non fosse molto grossa e neppure molto veloce, possedeva un’astuzia

così fine che tutti la temevano, da Sentinel Butte a Palanata, da Deadwood, verso l’occidente, fino al Powder River, insomma in una zona di circa diecimila miglia quadrate, dove vivevano i mi-gliori armenti del West.

Non uccideva mai le pecore o i giovenchi ma aveva un debole molto evidente per gli animali più giovani, preferibilmente per quelli di un lignaggio nobile; a quell’epoca, la razza Herefords, dai musi bianchi, cominciava a prendere il posto della vecchia razza a lunghe corna.

La lupa veniva riconosciuta grazie al suo colore candido, all’o-recchia sinistra forata, e alla mancanza del dito esterno in ognuna delle zampe anteriori, dovuta non si sapeva se a una difformità naturale o a un incidente sconosciuto.

I lupi, in genere, non vivono da soli e si cercano un compagno; vanno a caccia sempre in coppia, dando un magnifico esempio di sport compiuto in perfetta collaborazione.

Il compagno della lupa bianca non fu mai identificato e forse, così si credeva, era stato ucciso quand’essa era ancora giovane; da allora in poi la belva aveva vissuto da sola, seguita soltanto dal suo ultimo nato.

Nelle regioni impenetrabili e ardue delle Badlands occidentali, sulle rive del piccolo Missouri, un giorno un cacciatore, Bud Dail-housie, scoprì una tana di giovani lupi. Scorse anche un grosso animale, evidentemente la madre, che appariva piena di timidezza e non osava avvicinarsi. Era candida come la neve. Il cacciatore, dopo aver esaminato le sue orme, si accorse che ogni zampa non lasciava il segno che di tre dita, e gli fu facile perciò identificarla.

Il cacciatore strisciò entro la tana, dove trovò cinque lupac-chiotti; ne uccise quattro, pensando ai premi che ne avrebbe rica-

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WOSCA E IL SUO LUPACCHIOTTO CORAGGIOSO 7

vato ma lasciò vivo un cucciolo vigoroso e audace, sarebbe servito da esca per attrarre la madre o, forse, i due genitori. Il lupacchiotto era grigio cenere come gli altri, con la testa e il muso color ocra rossiccia. Lo chiamò quindi “Cucciolo dalla testa rossa”. Risalendo dalla tana entro le rocce attraverso la fessura, che raggiunse stri-sciando, lasciò di proposito delle orme sanguinolente trascinando uno dei lupacchiotti uccisi. Infine, raggiunto il suo cavallo, sospese l’animale a una cinghia e lo trascinò fino alla fattoria, alcune miglia più lontano.

Quando giunse a casa, il corpo del lupacchiotto era ridotto a brandelli, ma ne restava abbastanza per reclamare la taglia di cin-que dollari.

Per l’inevitabile visita che la madre lupa avrebbe fatto quella notte, preparò la trappola, a un quarto di miglio dalla fattoria, in una radura, usando frammenti di baionette; mise al collo del lupacchiotto dalla testa rossa un collare con una grossa catena e la legò a un piolo solidamente piantato in terra. Poi, a poca distanza, seppellì quattro trappole da lupo, con l’arte consumata data dalla sua lunga esperienza, in modo che non fosse possibile cogliere il minimo segno del tranello. Gettò qua e là a casaccio dei pezzi di cactus, lasciando una zona pulita propria sopra le trappole. I lupi non camminano mai sui cactus e imparano a evitarli fin da piccoli.

Tutto era pronto per accogliere la madre derelitta che senza dubbio sarebbe venuta quella notte stessa a cercare il suo piccolo. Il cacciatore aveva usato tutte le precauzioni necessarie per la riuscita del suo piano, ma il lupo possiede un fiuto eccellente, difficile da ingannare; l’odore del ferro è per noi molto tenue, ma per il lupo è un odore intenso e temibile.

Anche se il ferro è sepolto e mascherato da altri forti odori, i vecchi lupi lo riconoscono comunque. Ciononostante, la vista e l’odore del piccolo avrebbero spinto la belva alle imprese più dispe-rate, anche a costo di rifiutare ogni precauzione. E, infatti, fu così.

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8 STORIE DI LUPI FAMOSI

Il vento notturno soffiava aspro quando la madre disperata giunse correndo seguendo le tracce lasciate dal cacciatore. Questi aveva abilmente posto l’insidia in una zona aperta, per eludere qualsiasi sospetto. La lupa si avvicinò controvento; il suo galoppo leggero divenne un trotto, infine, a mano a mano che si avvici-nava, un passo lento; e il lupacchiotto prigioniero, fiutando l’av-vicinarsi della madre, levava la voce puerile, gettando dei gemiti lamentosi.

La lupa, trattenendo l’istinto materno che la spingeva a lan-ciarsi direttamente verso di lui, fece un giro attorno alla radura con le narici aperte a contatto con il terreno, per rendersi conto di ogni odore, di ogni oggetto. La catena del lupacchiotto era lunga appe-na poche spanne, in modo che, girando intorno al piolo, tracciava un cerchio largo pochi piedi; al di là di esso, le quattro trappole, dalle mascelle spalancate, ben nascoste, attendevano il momento in cui avrebbero potuto scattare, mettendo in atto la loro potenza.

Ma c’era l’odore di ferro; la lupa, andando su e giù, se ne ren-deva perfettamente conto. Non capiva perché il lupacchiotto non corresse verso di lei; ebbene, sarebbe andata lei, verso lui!

Con un balzo rapido e lungo, oltrepassò la distanza fra il terre-no sicuro, di là dal cerchio infido delle trappole, e la zona sicura, all’interno, dove si trovava il cucciolo.

Lo afferrò come qualsiasi lupo o gatta è abituato a fare, per la collottola. L’intenzione della lupa era di fare un salto, col piccolo in bocca, e allontanarsi al galoppo dalle cose celate che la minac-ciavano. Fu però arrestata, all’estremità della catena, da un urto formidabile che la gettò per terra, e che avrebbe potuto uccidere il lupacchiotto. Per fortuna la spinta fu sostenuta dalla catena e dal collare, il piolo fu divelto dal terreno dal secondo balzo della belva e la lupa poté fuggire col cucciolo fra i denti, trascinandosi dietro la catena e il piolo.

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WOSCA E IL SUO LUPACCHIOTTO CORAGGIOSO 9

Galoppò più rapidamente che poté per circa tre miglia, nella pianura brulla. Quando raggiunse le macchie e i cespugli, rallentò un po’ la corsa e si accucciò in un angolo riparato a coccolare il suo piccolo.

E ne aveva bisogno, il povero lupacchiotto; la gioia di succhia-re il latte, riempiendosi lo stomaco vuoto, era men che nulla in confronto alla felicità e alla consolazione della lupa! Dopo un po’ la madre lasciò il cucciolo per andar in cerca di nutrimento per la notte. All’alba, il cacciatore ritroverà il piccolo nello stesso posto in cui lo aveva lasciato la madre, arrotolato su se stesso, solo.

Al far del giorno, il cacciatore era andato a constatare i risultati delle sue tagliole; le orme gli fecero capire quanto era accaduto. Prese dei cani da caccia, balzò a cavallo e galoppò dietro le tracce lasciate dalla madre fuggitiva e dal suo cucciolo.

I cani si precipitarono immediatamente al nascondiglio del lu-pacchiotto. Nello stesso momento, la lupa stava ritornando con un coniglio tra i denti. Il cacciatore imbracciò il fucile e una palla fischiò proprio accanto alla testa della belva che, saltando oltre un greppo, scomparve. I lupi temono in modo particolare il fucile, il tuono che uccide da lontano; non sono in grado di affrontarlo.

I cani trovarono facilmente il lupacchiotto rosso che tentò di fuggire ma il collare e la catena ancora attaccata al pesante piolo, impigliato nei cespugli, gli impedirono di muoversi e così Bud Dalhousie poté facilmente riprenderlo.

Un’ora dopo, la bestiola era rinchiusa in una gabbia di ferro, alla fattoria; gli furono offerti del latte e delle teste di pollo ma rifiutò tristemente ogni cosa.

Ogni tentativo per catturare la lupa bianca fallì. Forse aveva perduto le tracce del suo lupacchiotto; o forse aveva rinunciato a qualsiasi piano per salvarlo, considerando il tentativo senza speran-za di riuscita.

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Le sue scorrerie, tuttavia, continuarono. Ovunque si trovavano giovenche con i garretti tagliati e la gola squarciata; ovunque si scorgevano le orme delle zampe anteriori, ognuna con un dito di meno; talvolta, in rarissime occasioni, si scorgeva alla luce dei fuo-chi di campo una lupa bianca con un’orecchia forata. I pastori sa-pevano che quel vecchio demonio bianco si aggirava nei dintorni.

Intanto, il lupacchiotto cresceva. Imparò a leccare il latte da una ciotola, a rimpinzarsi di teste di pollo, di pezzi di manzo, e cominciò a crescere a vista d’occhio.

A tre mesi, prometteva di diventare lui pure un bestione.Un giorno giunse a cavallo un certo Colonnello Cody, cono-

sciuto soprattutto col nomignolo di Buffalo Bill. Quando scorse il grosso lupo infingardo, dal pelo fulvo, volle averlo a ogni costo e il cacciatore riuscì a venderglielo a un prezzo due volte superiore a quello normale. Così Bill se ne andò col lupacchiotto, che visse per un anno alla fattoria di Cody. Un esploratore indiano lo sopranno-minò Shishoka (Testa rossa).

Lì il lupacchiotto imparò molte cose che in seguito gli furono utili, e che non avrebbe potuto mai imparare in un’esistenza di libero vagabondaggio; per esempio, quale pericolo rappresentino l’uomo, la donna e il bambino; la spiacevole costrizione della ca-tena, l’utilità di sdraiarsi in una buca, quando è meglio vigilare e osservare piuttosto che fuggire; che significato avesse il volo di un avvoltoio in cerca di cibo; quale messaggio recava il suono del corno dei mandriani e, soprattutto, la minaccia mortale dell’odore di stricnina.

Durante questo periodo, il lupo rosso era stato tenuto alla ca-tena vicino alla sua cuccia ma era talmente simile a un cane do-mestico che Buffalo Bill decise di lasciargli più libertà. Un giorno sganciò la catena dal collare e lo lasciò correre a suo piacimento. L’ebbrezza della libertà pervase il grosso animale. Dapprima sgam-bettò qua e là come un cucciolo ormai adulto, ma fu facilmente sedotto a tornare indietro quando, all’ora del pasto, gli venne of-

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ferto un grosso osso di bue. Quell’esperimento fu ripetuto due o tre volte e ogni volta diventava sempre più difficile riprenderlo. Finché un giorno, durante l’assenza del padrone, il cuoco liberò il lupo, che se ne andò cheto cheto, malgrado i fischi di richiamo e le offerte di cibi succulenti, e in quelle regioni del West il lupo di Cody non fu mai più visto.

Si diresse lentamente verso il Nord, seguendo il suggerimento di un impulso ereditario, fermandosi talvolta tutta una giornata, fino a quando arrivò in una zona dove sentì di essere arrivato a casa: infatti era tornato di nuovo nella Contea di Butte, nel Mon-tana, dove c’erano dei fiumi e delle colline che ricordava vagamen-te, e degli odori di cui si ricordava invece benissimo…

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Tutti i cacciatori o gli studiosi di lupi sanno che questi animali marcano il territorio lasciando di miglio in miglio gocce di urina su qualche sporgenza del terreno: un grosso sasso, la carogna di un bufalo, l’angolo di una palizzata o anche una zolla. Sopra queste sporgenze, viene deposto il prodotto specifico di ogni individuo, che serve da punto di riferimento. L’odore varia da individuo a individuo ed è assolutamente distinto e indica in modo chiaro agli altri animali, che vengono a rendergli visita, da dove viene e dove va il nuovo ospite.

Con un tale sistema di segnala-zioni, non c’è da stupirsi che Shishoka, il lupo di Cody, tro-vasse subito una buona com-pagna. È improbabile che avesse riconosciuto la vecchia madre, ma certamente la ac-

cettò come compagna di caccia e poco tempo dopo i pastori si accorsero che la diavolessa bianca, chiamata nel linguaggio indiano “Wosca”, si aggirava di notte assieme a un altro lupo, un gigante

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dalla testa rossiccia con qualcosa al collo che sembrava un grosso collare.

Fu una nuova e più forte alleanza: la lunga esperienza e l’infi-nita astuzia di lei si abbinavano alla giovinezza, alla forza, alla rapi-dità e alla conoscenza dei tranelli umani che il lupacchiotto aveva imparato durante la sua vita in fattoria.

Di notte, attorno al fuoco, gli uomini si raccontavano le storie della sopraffina abilità di quei due lupi. Uno dei loro “colpi” però rimase per lungo tempo sconosciuto ai pastori. Il lupo più giovane sgusciava fino al pollaio, afferrava un animale, un porcellino o un pollo, e lo teneva fra i denti, urlante e schiamazzante, fino a che tutti i cani e gli uomini accorrevano in cerca del malvivente.

Quando il pericolo era vicino, il lupo lasciava andare la vitti-ma e spariva nella notte, seguito da una muta urlante di cani. Nel frattempo, il lupo più vecchio si intrufolava nel recinto dei vitelli, assalendo le bestie che, nel tentativo di fuggire, si disperdevano, così i lupi potevano far man bassa a loro piacimento.

Erano abilissimi a eludere qualsiasi rappresaglia: non ritorna-vano mai due volte a far strage nello stesso posto.

Fu osservato anche un altro tiro birbonesco che i narratori garantirono essere assolutamente autentico. Un cacciatore stava scrutando la pianura con un binocolo nascosto dietro un greppo quando lontano scorse un lupo molto grosso che giaceva morto. Qualche centinaio di metri più in là, nascosto nell’erba, un più piccolo lupo bianco stava spiando…

Un uccellaccio, intento a cercare carogne di animali, si avvici-nò svolazzando alla carcassa, accostandosi alla testa per puntare gli occhi, che sono un cibo tenero. In un attimo il cadavere resuscitò, acchiappò l’uccellaccio e il lupo bianco, che stava di vedetta, si accostò al trotto per prender parte all’inconsueto festino.

Ma il complotto più diabolico ideato dai due lupi fu trionfal-mente messo in atto una sera, dopo il calare del sole. Un cacciatore dell’Anglebar si era procurato un’enorme cagna danese, Juno, al-levata e addestrata in particolare per la ricerca e per la lotta con le lupe. Un cane maschio spesso rifiuta d’inseguire con accanimento

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una lupa, mentre le cagne danesi provano una particolare ostilità per le lupe, perché ne sono gelose.

La lupa bianca aveva girato attorno al recinto, lasciando volu-tamente un segno del suo disprezzo su una sella che penzolava dal cancello: poi aveva fatto udire l’ululato leggero e acuto delle lupe. Il cacciatore afferrò il fucile, sciogliendo nel medesimo tempo la furente Juno. Entrambi si lanciarono in piena corsa: il cane filava a tutta velocità, abbaiando forte.

La lupa si dileguò rapidamente e si diresse in silenzio verso il tranello preparato dal cacciatore, composto da quattro pesanti trappole sistemate attorno a una testa di bue. Con abilità le sfiorò senza toccarle, perché il suo fiuto sapeva indicarle il posto esatto di ognuna; la focosa cagna danese invece non riuscì a evitarle, fu ferita dalle prime due e, mentre si stava trascinando qua e là, scat-tarono le altre trappole e la povera bestia fu gettata nell’erba in uno stato d’impotenza assoluta e alla mercé del grosso lupo grigio dalla testa rossiccia. Decisamente non aveva avuto fortuna! Il suo urlo di terrore fu subito soffocato. Il mattino successivo il cacciatore scorse lo scheletro della cagna e studiò le orme lasciate nel terreno polveroso. Un grosso lupo, e un altro più piccolo e con una zampa mutilata, erano stati in quel posto… tuttavia…

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La razzia di bestiame continuò per dieci anni. Alla fine tutti i pro-prietari di mandrie si riunirono per preparare una battuta sistema-tica al lupo. Gli Eaton, i Ferris, i Myers, i Roosevelt e i Peterson arrivarono con mute di cani e un numero considerevole di cavalli e batterono tutta la larga pianura del Little Missouri, uccidendo alcuni coyote e uno o due lupi grigi.

Ma le Badlands erano impenetrabili all’invasione armata. I ca-valli e i conducenti dovettero ripiegare e i loro cani, che spesso si allontanavano senza protezione, ritornavano subito indietro o non ritornavano per nulla.

I cacciatori non scorsero il grosso lupo, ma quella stessa mat-tina i figli degli Eaton, mentre si recavano a scuola, scorsero in lontananza la testa ben nota e il collo ornato da un collare, del lupo di Cody, che li guardò con muta simpatia, senza muoversi né fare alcun cenno di minaccia. Quei ragazzi sapevano maneggiare i fucili e il giorno appresso erano pronti a usarli. Purtroppo però del lupo non c’era più alcuna traccia, e non se ne vide una per molte settimane.

Così un giorno i cacciatori decisero di deporre i fucili, che era-no più utili altrove. Il giorno successivo il lupo ricomparve.

Da dove gli veniva una simile conoscenza? Da dove traggono informazioni così perfette gli animali selvaggi?

Nessuno lo sa. Come spiegazione si è perfino favoleggiato dell’esistenza di un Angelo degli animali selvaggi… Chi lo sa? L’u-nica certezza è che sanno cogliere ogni avvertimento e porvi atten-zione. Il grosso lupo mantenne sempre i suoi nervi percettivi in stato di perfetta efficienza.

Dopo qualche tempo i mandriani si accorsero che il lupo era solo: lo scaltro compagno bianco era scomparso e nessuno sapeva come e quando.

La taglia, ormai triplicata e offerta a chi avesse recato la testa della lupa, non fu mai data a nessuno. Tutti sapevano che la lupa non c’era più. E allora fu osservato nella vita del lupo superstite

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