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Summa Hypermedialis
(per una teoria dell’ipermedia)
Francesco Antinucci
1. Introduzione
Scopo di questo scritto e' delineare i fondamenti di una teoria di un nuovo oggetto
comunicativo: "ipermedia". E' nostra convinzione, infatti, che proprio di nuovo
oggetto si tratti, e non semplicemente di uno sviluppo tecnologico di mezzi gia'
esistenti, anche se questa componente corrisponde senz'altro alla sua storia
"esterna": per usare una vecchia metafora, si potrebbe dire che e' uno di quei casi
in cui un incremento della "quantità" si tramuta in un mutamento della "qualita'".
Di qui la necessita' di una teoria, e cioe', da una parte, di una spiegazione basata
su principi generali di cosa sia questo oggetto e, dall'altra, di una deduzione di
possibili conseguenze rilevanti basate sulla formulazione teorica, conseguenze che
possono, come nel caso di ogni teoria scientifica, prevedere effetti fenomenici
sottoponibili a verifica empirica.
In particolare, visto il tipo di oggetto da analizzare, i principi non potranno
provenire che dal campo della psicologia cognitiva, ovvero dalla teoria delle
capacita' cognitive umane. Ovviamente molte e di vario tipo saranno le
conseguenze predittive deducibili, ma noi concentreremo la nostra attenzione su
un settore particolarmente importante: quello dei processi di apprendimento.
Cercheremo quindi di raggiungere due scopi: dare un fondamento teorico alla
nozione, oggi piuttosto vaga, confusa e intuitiva di "ipermedia" e derivarne alcune
conseguenze importanti, giacche' si tratta di un oggetto comunicativo,
relativamente ai suoi possibili effetti sui processi di apprendimento.
E' utile considerare "ipermedia" come un ibrido formato da due meta' ben
rappresentate dal nome stesso: la prima meta' "iper-" proviene da "ipertesto", un
idea teorica non particolarmente nuova che pero' solo recenti sviluppi tecnologici
hanno permesso di implementare; la seconda meta' "-media" proviene invece da
"multimedia", che, al contrario della prima, non e' un'idea teorica, ma una
tecnologia molto recente basata sullo sviluppo dei calcolatori.
E' facile, come fanno molti, farsi trascinare da questa combinazione terminologica
e "sostanziarla" cosi' da considerare ipermedia la somma di ipertesto e multimedia
(quando addirittura non si consideri, come spesso accade anche in pubblicazioni
che aspirano ad essere scientifiche, di usare ipermedia semplicemente come
sinonimo di multimedia o come semplice variante di esso): di somma invece non
si tratta; ipermedia non e' semplicemente un ipertesto cui sono stati aggiunti altri
media, ne' un multimedia che presenta legami ipertestuali. E' qualcosa di piu' e
insieme di specifico rispetto a queste cose: l'ibrido e' una nuova specie, in cui le
parti componenti non si sommano ma (restando nella metafora aritmetica) si
moltiplicano:
non
IPER(TESTO) + (MULTI)MEDIA
ma
IPER(TESTO) x (MULTI)MEDIA
Vediamo perche', esaminando brevemente ciascuna delle parti componenti.
2. (Multi)media
Cominciamo con la seconda meta', vale a dire con i "media". Vi sono alcune
caratteristiche piuttosto generali che sono state, fino ad oggi, comuni all'uso dei
vari media nelle situazioni in cui essi si trovino ad interagire reciprocamente,
cioe', appunto, nelle situazioni "multimediali". Prendiamo il caso piu' ovvio e
sicuramente (almeno da un punto di vista storico) dominante: quello del medium
"testo scritto" usato come veicolo portante della comunicazione. Abbiamo un
testo scritto che oltre ad esprimere il contenuto della comunicazione ne organizza
interamente la forma (divisione in capitoli, successione degli argomenti, legami,
ecc.); gli altri mezzi (qualora esistano) sono secondari ed accessori: tipicamente le
immagini, le figure. Essi vengono "appesi", come aggiunte, al testo scritto:
abbiamo cosi' un "libro" piu' o meno "illustrato".
Questo e' cosi' vero che nella tradizione educativa, fortemente "testocentrica", gli
altri mezzi, messi a disposizione dallo sviluppo tecnologico degli ultimi vent'anni,
vengono significativamente chiamati "sussidi audiovisivi".
Non e' difficile vedere come questa caratteristica si ripeta identica (sempre in
virtu' dell'avanzante tecnologia) anche laddove, mutatis mutandis, non sia piu' il
testo scritto ad essere il medium principale. Se prendiamo il cinema, ad esempio
nella forma di una videocassetta educativa, il discorso e' analogo: l'intera forma
comunicativa, oltre che il suo contenuto principale, e' costruita e veicolata nel
linguaggio proprio e specifico del cinema. Sequenze, tagli, montaggio
organizzano il "discorso" secondo lo specifico filmico: il linguaggio verbale che
eventualmente lo accompagna (quando questo posto non sia preso in larga misura
da una colonna sonora musicale) e' ad esso interamente subordinato.
Se poi si tratta di "immagini fisse" (in sequenza oppure no) la subordinazione
assume l'aspetto ben noto della "didascalia".
Due caratteristiche (correlate) sono quindi tipiche di questi usi "misti" di media:
(a) la separatezza, ciascun medium ha il suo specifico linguaggio costruttivo e
organizzativo e lo preserva rigidamente;
(b) la dominanza, in ciascun caso un medium domina sul/sugli altro/i come
organizzatore della comunicazione, mentre gli altri lo "sussidiano".
Cio' detto, va osservato che l'avvento dei multimedia non intacca affatto, di per
se', questa situazione. Multimedia, infatti, non e' altro che una tecnologia: una
tecnologia che consente la gestione simultanea e fisicamente integrata dell'insieme
dei media (parlato, testo scritto, immagini fisse, film, suono) su computer [1] (per
le note si veda a pag. 34). Vale a dire che anziche' dover ricorrere a strumenti e
supporti diversi per i vari media, posso averli "tutti insieme" e "nello stesso
formato".
Ne consegue sicuramente una facilita' di uso e di accesso impensabili con le
tecnologie precedenti e dunque una possibilita' di uso intensivo di questi insiemi
misti, ma nulla di piu': dietro questa tecnologia e queste possibilita' non vi e'
alcuna idea teorica. E di fatto si puo' agevolmente constatare come i primi usi cui
sono stati posti gli strumenti multimediali non sono altro che "traduzioni
tecnologiche" dei vecchi usi.
La situazione e', per molti versi, analoga a quella in cui i personal computer
cominciarono ad essere usati come word processor: si faceva su computer
esattamente cio' che prima si faceva sulla macchina da scrivere. Ovviamente il
cambiamento di supporto e di tecnologia rendeva agevoli e accessibili operazioni
che prima richiedevano molto piu' sforzo e tempo, come editare un testo,
apportarvi correzioni, ritagliare, spostare e riincollare paragrafi, compilare un
indice o una bibliografia, e portava di conseguenza ad un uso intensivo di queste
possibilita'; ma non modificava affatto la natura e la forma del testo scritto
risultante.
Tutt'altra cosa e' invece ipermedia. Volendo dare una prima, approssimativa
definizione si potrebbe dire che
IPERMEDIA E' L'INTEGRAZIONE DEI MEDIA IN UN UNICO, NUOVO
OGGETTO COMUNICATIVO NON RIFERIBILE A, NE' COMPRENDIBILE
IN, NESSUNO DEI SINGOLI MEDIA SPECIFICI CONCORRENTI
Vengono cioe' negate le due caratteristiche di separatezza e dominanza che, come
abbiamo visto, sono tipiche di tutte le attuali forme comunicative plurimediali.
Ovviamente la parola chiave di questa definizione e' "integrazione", che non e' un
integrazione fisica, di supporto o di gestione, ma un'integrazione teorica
riguardante l'oggetto comunicativo che si viene cosi' a costruire; in altri termini, e'
un'integrazione concettuale non tecnologica. Questa integrazione e' resa possibile
da alcuni sviluppi della teoria (preesistente agli attuali sviluppi tecnologici)
dell'ipertesto. E' ad essa che dobbiamo quindi rivolgere ora la nostra attenzione.
3. (Iper)testo
Nel 1945 Vannevar Bush (considerato il progenitore del concetto di ipertesto)
propose un sistema di immagazzinamento e accesso dell'informazione da lui
denominato "Memex" (Memory Extender). Il sistema non fu mai implementato,
ne' era possibile farlo con la tecnologia dell'epoca, benche' Bush immaginasse un
congegno futuribile a base di apparecchiature microfilm collegate tra loro. Ma
l'idea teorica era chiara: permettere su vasta scala e con accessibilita' immediata
cio' che Bush stesso chiama "associative indexing": "a provision whereby any
item may be caused at will to select immediately and automatically another".
Permettere cioe' legami "trasversali" che non seguono la struttura lineare del testo;
o, ancora, permettere legami tra porzioni di testo, veicolanti unita' di
informazione, di natura
non lineare, ma la cui struttura puo' essere determinata a piacere.
E' solo nella seconda meta' degli anni sessanta, e cioe' piu' di vent'anni dopo
l'articolo di Bush, che l'evoluzione tecnologica, comincia a rendere attuabili le sue
idee teoriche, per altro con strumenti tecnologici ben diversi da quelli immaginati
da Bush, vale a dire attraverso l'evoluzione della tecnologia del computer [2].
Tappe fondamentali sono l'NLS (oN-Line System) di Engelbart (1963) e lo
Xanadu di Nelson (1980). Quest'ultimo e' responsabile dell'invenzione della
parola "ipertesto": l'idea alla base e' sempre quella di legare in maniera trasversale
definibile a piacere unita' di testo anch'esse specificabili a piacere.
I primi veri sistemi ipertestuali costruiti e implementati non soltanto
sperimentalmente si devono al lavoro svolto a Brown University (van Dam, 1988)
e sono l'HES (Hypertext Editing System) e il FRESS (File Retrival and Editing
System), entrambi con lentezze e limitazioni spaventose se paragonati alla
tecnologia odierna. Si dovra' aspettare gli sviluppi tecnologici degli anni '80 per
vedere sistemi di un certo respiro e funzionalita', come KMS (Knowledge
Management System; Akscyn et al., 1988), Symbolic Document Examiner
(Walker, 1989), NoteCards (Halasz, 1988), Intermedia (Yankelovic et al., 1988),
Guide (Brown, 1989) fino ai sistemi piu' semplici per l'utente come HyperCard.
La caratteristica concettuale fondamentale dell' ipertesto e' quella di rompere la
linearita' del testo. Il testo e' un'organizzazione rigidamente unidimensionale e
unidirezionale: e' una linea percorribile in una sola direzione (e' questa
caratteristica che, per brevita', chiamiamo "linerarita'", anche se andrebbe piu'
correttamente detto "unidimensionalita' unidirezionale": non si puo' leggere un
testo all'"indietro"). Cio' avviene poiche' il testo e' non soltanto fondato (come e'
ovvio), ma anche modellato (e cio' non e' invece ovvio) sulla forma inerente del
medium fondamentale della comunicazione umana: il linguaggio verbale orale.
Quest'ultimo essendo mappato nel tempo (e non nello spazio) deve tradurre
linearmente tutti i livelli della sua strutturazione [3]: dai suoni che compongono le
parole, alla sintassi che le organizza nella frase, all'insieme di frasi che
costituiscono il discorso, tutti gli elementi vanno disposti in una sequenza prima-
poi.
Naturalmente e' ovvio che ai suoi livelli piu' bassi ogni comunicazione basata sul
linguaggio deve necessariamente rispettare tale organizzazione: non si puo'
sconvolgere l'ordine dei suoni in una parola, ne' la sintassi di una frase, ed un
discorso deve essere una successione di frasi. Ma a partire da questo livello in su
cio' non e' necessariamente indispensabile: un argomento deve essere una
successione di discorsi in ordine sequenziale stabilito? Piu' argomenti devono
essere organizzati in capitoli costruiti inerentemente in modo da succedersi l'uno
all'altro? E i testi-libro risultanti devono anch'essi essere organizzati in una
sequenza del tipo "Parte I - Parte II - Parte III", etc.? E cosi' via. Attualmente e'
cosi'. Ed e' in questo senso che abbiamo usato precedentemente il termine
"modellato" (sull'organizzazione del linguaggio) in aggiunta a "fondato".
Che non debba essere necessariamente cosi' e' provato dall'esistenza di almeno un
altra forma, non lineare, ben conosciuta e diffusa nella tradizione testuale:
l'enciclopedia o il dizionario. In questo caso il materiale e' si' organizzato
linearmente al livello "micro" necessario (i testi lineari dei singoli lemmi o delle
singole voci), ma non al livello macro. A questo livello, anzi, non si ha alcuna
organizzazione intrinseca. Le voci e i lemmi possono essere disposti come si
vuole: potrebbero essere sparsi su un piano bidimensionale o flottare liberamente
nello spazio tridimensionale e nulla, assolutamente nulla, cambierebbe in cio' che
il dizionario o l'enciclopedia comunica.
Il fatto che dizionari ed enciclopedie siano poi di fatto ordinati linearmente non
contraddice affatto cio' che diciamo, anzi ne e' un ulteriore prova. Il criterio di
questo ordinamento e' infatti quanto di piu' estrinseco, arbitrario e casuale si possa
immaginare: l'ordine arbitrario in cui sono convenzionalmente enumerati i
simboli che trascrivono i suoni elementari del linguaggio nel sistema di
trascrizione conosciuto come "alfabeto latino"; e' evidente che e' difficile
immmaginare come questo ordinamente possa avere qualcosa a che fare con un
eventuale ordinamento del contenuto delle voci o dei lemmi. E' semmai
interessante osservare lo strano fenomeno per cui la tradizione occidentale ha
elaborato soltanto queste due forme di organizzazione del testo che si collocano
agli estremi opposti: o un organizzazione completamente lineare a tutti i livelli o
una completa assenza di organizzazione. Esamineremo poi le ragioni di cio'.
L'ipertesto e' invece schematizzato nella figura seguente.
Ciascuno dei micro-testi (rappresentati dai rettangoli) prende il nome di "nodo".
Esso contiene uno o piu' "ancore" (o "hot-words") che hanno un "legame" con un
altro nodo: cio' significa che raggiunta l'ancora si puo' (ma non si deve) attivare il
legame e passare cosi' all'altro nodo. Un determinato ipertesto e' quindi definito
non soltanto dall'insieme dei nodi (quindi dei micro-testi che contiene), ma anche
dall'insieme delle ancore e dei legami.
E' facile constatare come questo tipo di struttura non sia lineare: i nodi non sono
ordinati lungo una singola dimensione prima-poi e non vi e' unidirezionalita.
Chiariamo bene questo punto: e' vero che una singola "lettura" (o "istanza"), o,
come si dice comunemente, un certo "percorso", di un ipertesto e' un percorso
lineare, ma e' proprio il fatto che nello stesso ipertesto sono possibili ("attuabili")
un elevato numero di questi percorsi, tutti diversi tra loro, che ne definisce la sua
struttura intrinseca come non lineare. Cio' infatti non e' possibile nel testo
tradizionale dove l'ordinamento dei nodi e' uno solo e uno solo e' il percorso. E
infatti, come si puo' facilmente constatare, nell'ipertesto non vi sono ne' un punto
d'inizio ne' un punto di fine intrinseci.
Al tempo stesso l'ipertesto non e' cosi' destrutturato come il dizionario o
l'enciclopedia. In questi ultimi, come abbiamo appena visto, non vi e' alcun
ordinamento intrinseco dei nodi: e' possibile il passaggio da qualunque nodo a
qualunque altro nodo. Tra i due estremi, quello della strutturazione lineare
univoca del testo tradizionale e quello della completa assenza di strutturazione del
dizionario/enciclopedia, l'ipertesto si colloca in mezzo: vi e' una certa
strutturazione (non si puo' accedere da un nodo a qualunque altro nodo) ma essa
non e' linearmente univoca.
Le conseguenze di questa diversa possibilita' di strutturazione sono moltissime da
tutti i punti di vista: ne esamineremo alcune tra le piu' importanti nell'ultima
sezione [4].
Ora pero' vale la pena di proseguire e domandarsi subito: e' vero; sono possibili
molte strutture diverse, ma quali e soprattutto con quali criteri e a che scopo
costruirle? Qui ci avviciniamo invece al piu' grosso limite della attuale teoria
dell'ipertesto (e, di conseguenza, anche alla sua pratica). Diciamo semplicemente
che non e' stata a tutt'oggi formulata una base di principio che permetta di
rispondere, anche soltanto in via teorica, a queste domande. Le strutture
effettivamente costruite fino ad oggi appaiono empiriche e piu' che altro fondate
sul buon senso o su una non meglio specificata base intuitiva: si riconosce, il piu'
delle volte, "che cosa sembra andare meglio con che cosa".
Cio' che sembra catturare maggiormente l'attenzione sia dei teorici che dei
praticanti (e d'altra parte e' prevedibile, agli inizi) e' piu' che altro la "liberta'" che
il sistema permette (liberta' rispetto alla tradizionale organizzazione obbligata) e
l'enfasi e' conseguentemente posta su tutto cio' che si "puo' fare", sulle molteplici
possibilita' di costruzione, piu' che su quello che "e' opportuno" o "e' utile" fare.
Accade cosi' spesso che i vari sistemi si confrontino piu' che altro sul numero dei
features che offrono (piu' finestre, piu' tipi di legami, piu' flessibilita' di selezione,
ecc.) anziche' sulla adeguatezza di certe strutture e meccanismi per determinati
scopi.
Per avvicinarci invece al problema di dare un fondamento teorico alla costruzione
di strutture non lineari che il concetto di ipertesto rende possibili consideriamo di
nuovo la forma destrutturata dizionario/enciclopedia. Prendiamo i lemmi-nodi che
lo costituiscono e aggiungiamo ad essi dei "legami": all'interno del lemma
scegliamo una parola "rilevante" del lemma stesso (in qualche senso di questo
termine) e mettiamola in corsivo o facciamola seguire da un "v." tra parentesi. Se
la parola prescelta corrisponde all'entrata di un altro lemma anch'esso nel
dizionario (e la si puo' chiamare allora "ancora") abbiamo stabilito un "legame"
con un altro "nodo". Se usiamo questo meccanismo con una certa frequenza,
costruiremo una fitta rete di legami tra ancore e nodi, proprio come nella
definizione dell'ipertesto.
Ma, si dira' a questo punto, questo e' il tradizionale meccanismo della cross-
reference! Allora dov'e' la novita'? E' presto detto: manca un solo passo:
eliminiamo ora completamente l'ordine alfabetico delle entrate, di modo che si
possano accedere i nodi solo attraverso i legami; abbiamo allora un vero ipertesto.
Ma se basta solo questo per ottenere un ipertesto non stiamo facendo passare per
nuovo, dandogli un altro nome, qualcosa che e' vecchio tanto quanto la "cultura
testuale", soprattutto visto che abbiamo gia' detto che l'ordine alfabetico non
rappresenta proprio nessun ordine intrinseco del testo dizionario/ enciclopedia?
Eppure, proprio quest'ultimo passo, apparentemente insignificante, rappresenta
tutta la differenza e tutto il problema dell'ipertesto. Il perche' e' facilmente
spiegato: il meccanismo della cross-reference, come dice il nome stesso ("cross")
rappresenta una trasgressione, un livello parassitario di struttura rispetto ad un
altro ordine e ad un'altra struttura di riferimento che organizza propriamente il
testo, ed ha ragione di essere solo in rapporto ad esso: esso "attraversa" appunto
(nel senso di far saltare) l'ordinamento principale precostituito del testo.
E' facile capire come cio' valga nel caso di un normale testo lineare: il legame di
cross-reference interrompe l'ordinamento lineare del testo e fa saltare direttamente
al punto cross-referenziato. Ma, anche se e' un po' piu' difficile da capire, cio' vale
ugualmente nel caso del dizionario/ enciclopedia: benche' perfettamente
estrinseco e' l'ordine alfabetico la struttura principale di ordinamento testuale cui
la cross-reference si oppone. Ovvero essa si oppone, e da cio' trae il suo valore
aggiunto specifico, al "disordine" alfabetico: non e' un paradosso se si riflette
sulla presupposizione che e' alla base del "disordine" alfabetico.
La presupposizione e' che chi "legge" un dizionario o un enciclopedia sappia
esattamente cosa vuole sapere, al punto che e' in grado di reperire l'informazione
che invece gli manca a partire da una sola parola rilevante. Se questo e' ovvio per
i dizionari veri e propri (che informano proprio su parole) non lo e' per le forme
affini dell'enciclopedia o dizionario- enciclopedico. Il fatto e' che l'enciclopedia
(al contrario del manuale) e' fatta per chi ha gia' costruito nella sua mente la
strutturazione propria di un certo campo di conoscenze, e deve solo riempirne
alcuni "buchi", per cosi' dire, o "appendervi" altre informazioni di completamento
o espansione. A questo scopo puo' benissimo adoperare una ricerca per parole-
chiavi. Di qui il fatto che l'enciclopedia non si "legge" ma si "consulta".
Dunque il legame cross-referenziale si oppone in questo caso a questa
presupposizione: e infatti fornisce un accesso "guidato", "legato", "condizionato",
ecc. alla successiva informazione e non libero come quello dell'ordine alfabetico.
Se quindi togliamo l'ordine alfabetico, noi eliminiamo completamente questo
accesso libero e la presupposizione che ne e' alla base (si osservi che le voci non
legate da legame cross-referenziale sparirebbero: sarebbero cioe' inaccessibili):
non avremmo inoltre piu' nessun motivo per conservare le voci come sono, dato
che esse sono state pensate per una ricerca per parole-chiave.
Insomma il cambiamento sarebbe radicale. Ma cio' che piu' ci interessa in questo
momento e' che la cross-reference cesserebbe di essere quello che e': e cioe', un
ordine di struttura che si oppone (o, per essere piu' neutri, si sovrappone) ad una
struttura data. Ne consegue che essa stessa dovrebbe diventare invece la struttura
organizzativa portante.
Il limite della attuale teoria ipertestuale e' proprio qui: non si e' sviluppato alcuna
base di principio, teoricamente motivata, per costruire simili strutture portanti al
di fuori e al di la' dell'organizzazione lineare. Ragione per cui nella attuale pratica
degli ipertesti si confonde "liberta'" di organizzazione, che dovrebbe significare
"possibilita'", con semplice "licenza" [5].
E' qui che interviene, a nostro giudizio, in maniera cruciale il riferimento ad altri
media: esso consente di superare questo limite e poter cominciare a formulare una
teoria dell'organizzazione strutturale non dipendente da quella testuale. Questa e'
la ragione per cui la combinazione di ipertesto e multimedialita' non e'
semplicemente una somma dei due concetti, come si pensa comunemente; ed e'
qui la ragione per cui l'ipermedia non e' (banalmente) un ipertesto i cui nodi sono
costituiti da materiale di altri media. Vediamo perche'.
Innanzitutto e' molto difficile concepire organizzazioni strutturali della
comunicazione diverse, esplicite e motivate, rimanendo esclusivamente all'interno
dell'organizzazione testuale (come di fatto cercano di fare gli ipertesti "puri") [6].
Il limite e' sempre lo stesso: la essenziale unidimensionalita' del modello
linguistico. Per uscire da questa unidimensionalita', non soltanto come "fuga" o
"opposizione" ma costruendo alternative motivate bisogna innanzitutto avere ben
chiare le opportunita' offerte dalle forme non unidimensionali.
Ora, i media non testuali conoscono bene e adoperano una serie di organizzazioni
simboliche spaziali e figurative (oggetti che vanno sotto i nomi di diagrammi,
schemi, grafici, mappe, piante, ecc.) la cui caratteristica comune e' proprio quella
di creare organizzazioni pluridimensionali. E' dunque a questo mondo che bisogna
guardare per avere innanzitutto un quadro delle possibilita' di organizzazioni
strutturali alternative. Ovviamente cio' non basta: abbiamo fatto un passo avanti,
in quanto possiamo ora avere un'idea precisa di possibili organizzazioni non
lineari, ma restiamo ancora, appunto, nel dominio delle possibilita': quali di
queste forme attuare a seconda dei compiti che la comunicazione deve svolgere?
Per rispondere a questo interrogativo in maniera generale e di principio dobbiamo
affrontare il problema del rapporto tra struttura della comunicazione e struttura
del contenuto da comunicare, che sara' appunto l'oggetto della prossima sezione.
Intanto tiriamo un po' le somme delle analisi fatte fino a questo punto proponendo
quest'altra approssimazione al concetto di ipermedia:
L'INTEGRAZIONE DEI MEDIA IN IPERMEDIA (di cui alla definizione
precedente) NON CONSISTE NELLA PRESENZA DI NODI IPERTESTUALI
APPARTENENTI A MEDIA DIVERSI (senso banale) MA NEL MUTUARE
DA ALTRI MEDIA NON TESTUALI PROPRIO L'ORGANIZZAZIONE
STRUTTURALE DELLA COMUNICAZIONE
Vedremo nella quinta sezione come possa avvenire questo.
4. Struttura delle conoscenze e struttura della comunicazione
Per introdurre questo discorso, partiamo di nuovo dalla forma piu' classica e
diffusa (perlomeno fino a tempi recentissimi) di strutturazione della
comunicazione, vale a dire quella testuale e dunque lineare (nel senso definito
sopra di unidimensionale e unidirezionale) e domandiamoci perche' e' cosi' fatta.
Ricordiamo che abbiamo gia visto come la strutturazione lineare a tutti i livelli
(che per brevita' denomineremo panlineare) non sia necessaria: solo i microlivelli
di strutturazione del linguaggio verbale sono necessessariamente lineari.
Due risposte sono meritevoli di considerazione:
(a) la panlinearita' e' dovuta a fattori "intrinseci", vale a dire che essa pur non
essendo l'unica forma possibile e' la forma piu' "appropriata" a veicolare in genere
i suoi contenuti;
(b) la panlinearita' e' dovuta a fattori invece "estrinseci", di qualunque natura, vale
a dire fattori che non riguardano il rapporto tra cio' che si deve comunicare e la
forma in cui lo si comunica.
Ora, non vi e' dubbio che in alcuni casi la forma lineare e' "appropriata" al
contenuto da veicolare. Il caso prototipico puo' essere considerato quello del
"racconto". Se per racconto intendiamo la narrazione di avvenimenti che si
svolgono nel tempo, dove la struttura organizzante i contenuti e' quindi la
dimensione temporale, allora ovviamente una struttura della comunicazione
lineare e' appropriata: lo e' perche' i contenuti stessi sono intrinsecamente
organizzati unidimensionalmente e unidirezionalmente, dunque la forma che li
veicola non fa che riprodurre la medisima organizzazione. Domandiamoci pero'
cosa avviene per altri contenuti; ad esempio, quelli che rappresentano campi di
conoscenza piu' o meno strutturati teoricamente o fattualmente, quali ad esempio,
chimica, biologia, geografia, storia, fisica ecc. Appare chiaro che, anche a
prescindere da specifiche e precise proposte in merito, questi campi di conoscenza
non sono linearmente strutturati.
Quando si "conosce" la fisica non si ha certo a disposizione una successione di
capitoli nei quali andare a rintracciare il frammento lineare appropriato da
applicare al caso. Si ha invece a disposizione qualcosa di piu' simile ad una
struttura multidimesionale simultanea che connette le varie informazioni in modo
estremamente complesso. Ma anche quando si "conosce" la zoologia non si
accedono i capitoli successivi di un "libro" di zoologia immagazzinato nella
mente: la posizione tassonomica di una forma animale, la sua morfologia, le sue
relazioni filogenetiche, il suo comportamento sono informazioni organizzate
piuttosto in una rete di interconnessioni multiple; anche in questo caso, dunque,
una strutturazione simultanea, anche se presumibilmente di tipo piu' semplice (e
forse anche qualitativamente diverso) rispetto al caso precedente.
E' evidente che la risposta al perche' della panlinearita' va cercata quindi in fattori
estrinseci.
Non e' difficile convincersi, esaminando il corso del processo storico, che essa e'
in particolare legata alla evoluzione tecnologica; e' questa, infatti, che determina
fondamentalmente la comparsa e i caratteri di quella che diventera', in
determinate culture e per un determinato periodo storico, la forma di gran lunga
dominante di trasmissione delle conoscenze, vale a dire la "forma-libro".
Essa e' il risultato di un lungo e tortuoso (e per molti apetti, accidentale) intreccio,
con molteplici influenze reciproche, tra scoperte "concettuali" (modi possibili di
trascivere il linguaggio verbale: pittografico, sillabico, alfabetico) e
implementazioni tecnologiche possibili di queste scoperte (la tecnologia dei mezzi
e dei supporti per trascrivere): "Lo sviluppo della scrittura e' sempre stato legato
alla natura del materiale a disposizione e dei mezzi per segnarla" scrivono due
studiosi di storia della tecnologia (Derry & Williams, 1968; p.253)
Non e' questo il luogo per esaminare in dettaglio questa lunga e complessa storia
(del resto ben nota e documentata); per averne un'idea bastera' questo passo tratto
dalla storia della tecnologia gia' citata:
"In origine, per i documenti lunghi si cucivano insieme fogli rettangolari di
pergamena in lunghe strisce che si potevano arrotolare, allo stesso modo come
erano stati ingommati i fogli di papiro [da parte degli egiziani]. Ma all'inizio del
secondo secolo d.C., si comincio' a piegare un grande foglio rettangolare, si' da
formare pagine di varie misure da rilegare insieme per ottenere un codice o libro
nel senso moderno. La parola "volume" - dal latino volumen, rotolo - cosi' come il
titolo del Capo dell'Archivio di Stato inglese (Master of Rolls), ricorda che il libro
era originariamente uno scritto che il lettore arrotolava, ma la nuova forma era
piu' facile da maneggiare; essa fu specialmente favorita dai primi cristiani, che
pare l'inventassero in Egitto per avere piu' d'una scrittura sacra nello stesso libro.
Un volume di proporzioni molto modeste, duecento pagine in quarto, in
pergamena, richiedeva pero' la pelle di non meno di dodici pecore, cosicche' per
molto tempo lo scrivere costo' assai meno del materiale"(p.270).
Come si vede, e' il particolare supporto (papiro, pergamena) e mezzo (segni ad
inchiostro), usato originariamente dagli egiziani, per la trascrizione (anziche'
pietra o tavola con segni incisi) che origina il prototipo di questa forma. Ed essa si
evolvera' fino ad occupare il posto che tutt'oggi occupa grazie ad altre due
innovazioni tecnologiche: l'adozione della carta come supporto e quello della
stampa a caratteri mobili.
"La produzione di libri nei primi cinquant'anni dopo questa scoperta [la stampa]
fu quasi certamente maggiore che non nei mille anni precedenti...Nel 1450 la
stampa era ancora agli inizi, ma verso il 1500 v'erano gia' 40000 edizioni
catalogate di libri" (p.272-278).
Nulla da meravigliarsi quindi, alla luce dello straordinario sviluppo della forma-
libro, se la strutturazione comunicativa che essa comporta, vale a dire la
panlinearita', si affermera' come il tipo di gran lunga dominante e pressoche'
esclusivo di organizzazione comunicativa [7].
L'esame storico e' utile soprattutto per cambiare prospettiva: le forme in cui siamo
immersi vengono troppo spesso considerate come date, immutabili, necessarie ed
invece si rivelano il prodotto di una serie improbabile o irripetibile di
innumerevoli accidenti. Siccome pero', perlomeno negli ultimi trentanni, abbiamo
assistito ad un'altra serie di straordinari sviluppi tecnologici, che investono,
guarda caso, proprio i medesimi fattori che hanno determinato l'apparire e il
dominio della forma libro (fattori come i canali della comunicazione e i suoi
stessi supporti che, come abbiamo visto, tanta importanza hanno avuto nel
passato), e che hanno determinato la possibilita' di un uscita dalla forma esclusiva
o, perlomeno di una competizione inter pares tra i vari canali e forme di
organizzazione della comunicazione, proviamo a porci in astratto, vale a dire
come se non esistessero condizionamente di storia e tradizione, il problema della
struttura della forma comunicativa in rapporto ai contenuti che essa veicola.
Possiamo schematizzare questo rapporto nel modo raffigurato nella figura
seguente:
KS (Knowledge Structure) e' la struttura propria del campo di conoscenza;
diciamo, in prima approssimazione, che KS e' il modo in cui e' strutturato un certo
campo di conoscenze nella mente di chi lo conosce e lo puo' utilizzare.
Semplificando alll'osso per far cogliere il punto essenziale, trasmettere
conoscenza, dal punto di vista di chi conosce, o apprendere conoscenza, dal punto
di vista di chi non conosce, significa far si' che KS "passi" dalla mente di chi
conosce (in alto nella figura) alla mente di chi non conosce (in basso nella figura).
Siccome la tecnologia non ha ancora inventato nulla che consenta questo
passaggio "direttamente" (ad esempio, con una operazione di impianto nella
mente del ricevente), attualmente esso puo' avvenire solo attraverso il processo di
comunicazione.
Il processo di comunicazione dipende, tuttavia, dal/dai medium/media
comunicativo che si adopera, nel senso che, ciascun medium ha, a determinati
livelli, una propria strutturazione intrinseca; in altre parole, KS deve essere
"codificato" in base alle regole appunto del codice che si adopera per comunicare.
In questo senso possiamo dire che la struttura del campo di conoscenza, KS, deve
essere "tradotta" o, per usare un termine piu' appropriato, "proiettata", nella
struttura della comunicazione, CS (Communication Structure). Siccome cio' che
"passa" fisicamente da un soggetto all'altro e' solo CS, questa proiezione deve
essere fatta in modo che, all'inverso, il ricevente possa ricostruire KS a partire da
CS, possa cioe' ritradurla indietro o eseguire il processo di mappatura inversa.
Proviamo ad illustrare questo processo con esempi concreti e familiari.
Se io conosco la tassonomia evoluzionistica della biologia e voglio farla
apprendere devo servirmi di uno strumento comunicativo: potrei pensare di
scrivere un libro (un "manuale") dal quale la si possa apprendere. Siccome la
forma testuale e' panlineare, cio' significa che io dovro' proiettare la struttura
propria del campo di conoscenza (qualunque essa sia) in una struttura
unidimensionale e unidirezionale; cio' significa, precisiamolo bene, che dovro' in
qualche modo tradurre i rapporti che definiscono la struttura del campo di
conoscenza in rapporti di prima-dopo, in modo che il destinatario possa,
possibilmente senza ambiguita' ed errori, ricostruire dai rapporti prima/dopo i
rapporti di qualunque tipo che costituiscono la struttura del campo di conoscenza.
In questa doppia opera di traduzione e ricostruzione sta tutta la difficolta' dello
"scrivere" adeguatamente (da parte di chi insegna) e del "capire" correttamente
(da parte di chi impara).
Chiunque abbia provato a scrivere un testo, un manuale, sa benissimo di cosa
stiamo parlando; non importa quanto bene si conosca e si domini il campo di
conoscenza, le difficolta' sono sempre notevoli, e, se si riflette, ci si rendera' conto
che esse sono soprattutto connesse alla forma lineare: cosa dire prima e cosa
dopo, e soprattutto, come "forzare" in questo prima/dopo qualcosa che di per se'
non ha questa forma in modo da essere sicuri che il lettore vi ricostruisca
correttamente proprio quei rapporti che abbiamo forzato. L'abilita' e la capacita' di
uno "scrittore" sta proprio nella bonta' di questa traduzione, vale a dire nel quanto
facilmente e adeguatamente riuscira' a consentire al lettore l'opera di ritraduzione.
D'altra parte, quando noi diciamo che il lettore "capisce" non intendiamo certo
dire che capisce cio' che e' scritto (il che e' ovvio, se conosce la lingua e il lessico
utilizzato nello scritto) ma piuttosto che e' riuscito a compiere l'operazione di
ricostruzione: e' riuscito cioe' a passare correttamente da CS a KS. La suggestiva
differenza che si fa tradizionalmente tra "capire" e "imparare a memoria" esprime
proprio lo scarto tra KS e CS: noi diciamo che qualcuno ha "imparato a memoria"
proprio per sottolineare che cio' che ha appreso e' la forma comunicativa, vale a
dire CS, e che non e' stato capace di ricostruire da essa KS.
Se impostiamo il problema centrale del rapporto tra KS e CS in questo modo ne
possiamo ricavare alcune conseguenze molto importanti. Due in particolare ci
interessano in questo contesto:
CS sara' tanto piu' adeguata quanto piu' facilmente permettera' di ricostruire KS,
vale a dire quanto piu' semplice, trasparente e immediata sara' la relazione che la
lega a KS;
dunque:
LA STRUTTURA DELLA COMUNICAZIONE (CS) SARA' TANTO PIU'
ADEGUATA QUANTO PIU' ESSA RISULTERA' ISOMORFA ALLA
STRUTTURA DEL CAMPO DI CONOSCENZA (KS) CHE DEVE
VEICOLARE
L'isomorfismo (o l'approssimazione all'isomorfismo) tra CS e KS e' la chiave di
volta della efficacia del processo di comunicazione e del processo di
apprendimento, in quanto semplifica o rimuove la difficolta' fondamentale di
questi processi: la traduzione tra CS e KS.
Se potessimo strutturare la comunicazione in modo identico a come e' strutturato
il campo di conoscenza che essa veicola allora l'organizzazione propria di
quest'ultimo apparirebbe a prima vista, in superficie, dal solo "guardare" CS: la
trasparenza di CS renderebbe KS di immediata apprensione senza passare
attraverso una ricostruzione simbolico-mentale astratta, cognitivamente ben piu'
complessa [8].
Il problema diventa allora come costruire strutture comunicative che siano il piu'
possibile isomorfe alle strutture dei campi di conoscenza che esse devono
veicolare. E' a questo punto, come dovrebbe ormai essere evidente, che il concetto
di ipermedia, cosi' come siamo arrivati a definirlo nel paragrafo precedente,
diventa cruciale. E' ovvio infatti che finche' la nostra unica forma comunicativa
sara' quella testuale questo obbiettivo non solo non e' raggiungibile, ma non e'
neanche lontanamente approssimabile. La forma testuale ha infatti, come abbiamo
visto, una sua rigida struttura che e' quella panlineare, ragion per cui essa si adatta
bene solo a quegli eventuali campi che abbiamo essi stessi una struttura lineare:
molto pochi, probabilmente [9].
Di contro la possibilita' di "mutuare da altri media non testuali proprio
l'organizzazione strutturale della comunicazione", come abbiamo scritto nella
definizione data nel paragrafo precedente, potrebbe permetterci di costruire
strutture della comunicazione "adattate", e cioe' tendenti all'isomorfismo, a quelle
del campo di conoscenza da veicolare. Il modo in cui questo puo' avvenire sara'
esaminato attraverso alcuni esempi nel paragrafo seguente.
5. Altre forme di strutturazione comunicativa
Si consideri il diagramma riportato qui di seguito.
0
20
40
60
80
100
120
140
160
80 81 82 83 84 85 86 87 88 89 90
Anni
Uni
tà p
rodo
tte
Un semplice sguardo alla figura ci permette di capire immediatamente i fatti
essenziali relativi al campo che il diagramma rappresenta, in questo caso
l'andamento della produzione nel corso degli anni. Apprendiamo istantaneamente
che la produzione di ciascun anno e' superiore a quella dell'anno precedente per
tutti gli anni indicati; capiamo, inoltre, che non soltanto la produzione aumenta di
anno in anno ma che gli incrementi stessi di produzione, vale a dire il quanto
aumenta ogni anno, aumentano essi stessi di anno in anno (se fossero uguali
vedremmo una linea retta); infine capiamo anche che questi stessi incrementi
diventano particolarmente notevoli nel corso degli ultimi tre anni (le linea subisce
un'impennata).
Abbiamo volutamente scelto un "campo di conoscenza" molto semplice, sia come
contenuto che come struttura: l'andamento di una produzione nel corso degli anni.
Tuttavia si provi ora a "comunicare" questo stesso campo servendosi della
consueta forma linguistico-testuale. Si provi cioe' a verbalizzare in un testo gli
stessi fatti costituenti il campo in questione.
"La produzione del 1980 e' stata di 2 unita', mentre e' passata a 3 nel 1981, con un incremento di 1 unita'. E' poi passata a 5 nel 1982 con un incremento di 2unita' rispetto all'anno precedente, a 8 el 1983 con un incremento di 3 unita', a 13 nel 1984 con un incremento di 5 unità sempre rispetto all'anno precedente, a 26 . . . . si puo' quindi osservare che non soltanto la produzione e' costantemente aumentata ma i suoi incrementi annuali sono anch'essi sempre aumentati nel corso di questi dieci anni 10 anni e che infine lo stesso ritmo di aumento degli incrementi si e' sensibilmente elevato negli ultimi tre anni"
E' facile rendersi conto dello scarto esistente tra le due forme di comunicazione.
Se non si e' convinti, si provi ad offrire le due alternative a vari lettori e si
domandi loro quale delle due e' piu' comprensibile, chiara, accessibile, semplice,
immediata, ecc: insomma con quale delle due si capisce meglio e con maggiore
facilita'. Il diagramma comunica in forma molto piu' efficace e semplice i fatti del
campo in quanto ne rappresenta direttamente e in maniera trasparente la struttura,
le relazioni fondamentali che costituiscono la comprensione e la conoscenza del
campo stesso. Nella nostra terminologia, diremmo che il diagramma in questione,
e cioe' la struttura della comunicazione, e' isomorfa a quella del campo di
conoscenza.
Si osservi che, come predetto, questo rende sia piu' facile la traduzione da KS a
CS, sia enormemente piu' facile la ricostruzione di KS a partire da CS. Il primo
processo infatti si presenta come indeterminato e arbitrario, se scegliamo come
CS una struttura che non ha la possibilita' di essere isomorfa a KS, come quella
testuale. Al posto della verbalizzazione riportata sopra, infatti, se ne possono
scegliere molte altre; ad esempio:
"La produzione e' costantemente incrementata nel decennio 1980-90, passando da 2 a 3 a 5 a 8 . . . a 150 unita', rispettivamente in ciascun anno. Gli incrementi sono andati anch'essi costantemente aumentando nel corso dei dieci anni, passando da 1 unita' tra il primo e il secondo anno a 2 tra il secondo e il terzo, a 3 tra il terzo e il quarto . . . Particolarmente sensibili sono stati gli incrementi degli ultimi tre anni"
Non e' ovvio come scegliere tra queste alternative possibili in quanto cio' che si
guadagna con una si perde con l'altra e viceversa. Cio' e' dovuto al fatto di dover
forzare KS nella forma lineare: non vi e' modo di farlo non arbitrariamente e
univocamente. Nel caso del diagramma invece la mappatura tra le due strutture e'
univoca e non arbitraria.
Dal punto di vista del secondo processo, poi (quello del ricevente), la forma
lineare impone una specie di "attesa": bisogna ricostruire dei pezzetti parziali
(l'incremento annuale), immagazzinarli in sospeso fino alla fine del testo e poi
operare su essi (confrontarli in successione) per ricostruire mentalmente la
struttura completa delle relazioni che costuiscono KS.
Nulla di tutto cio' avviene quando invece si usa il diagramma: la struttura delle
relazioni e' accessibile tutta insieme e simultaneamente, in quanto si lavora
contemporaneamente su piu' dimensioni, anziche' su una sola come nel caso del
testo.
Vi sono, inoltre, una serie di importanti conseguenze di questo altro modo di
decodificazione, cioe' di passaggio da CS a KS, sul cui significato torneremo in
seguito.
La prima e' che, essendo usciti dalla unidimensionalita' del testo, non vi sono piu'
un inizio e una fine di "lettura" univoci e prestabiliti, e dunque uguali per tutti i
lettori. Ciascun lettore puo' "spaziare" a piacere in qualunque direzione. La
seconda e' che, proprio per questo motivo di liberta' e di scelta, il processo di
lettura tende ad essere piu' "attivo": il lettore non viene piu' portato dall'ordine
lineare passivamente ma deve decidere dove e come muoversi. Vedremo poi
come queste caratteristiche abbiano un importanza capitale nell'ambito dei
processi di apprendimento.
Abbiamo dato un esempio per mostrare in concreto (ovviamente con casi minimi
di campi di conoscenza, ma l'operazione puo' compiersi per qualunque campo, a
condizione naturalmente di riuscire a determinarne con sufficiente chiarezza la
struttura) come si possa "mutuare da altri media l'organizzazione strutturale della
comunicazione" in modo da realizzare il piu' possibile l'isomorfismo tra KS e CS.
Questo fa nascere l'esigenza di esaminare un po piu' da vicino e in termini piu'
generali la natura intrinseca dei media dal punto di vista del loro poter prestarsi ad
offrire organizzazioni comunicative adeguate alle organizzazioni intrinseche dei
campi di conoscenza. E' cio' che faremo nella prossima sezione.
6. Breve analisi dei media
Una classificazione convenzionale e diffusa dei media in base alle loro
caratteristiche e' quella riportata nella tabella 1.
Tab.1________________________________________________________
· scritto (permanente)Linguaggio verbale:
· parlato (evanescente)
· fisseImmagini:
· in movimento________________________________________________________
Si divide innazitutto il linguaggio verbale dal "linguaggio" delle immagini e,
secondariamente, ciascuna di queste due categorie in due sottotipi. Il linguaggio
verbale puo' essere scritto o parlato, in cui la principale cartteristica distinguente
e' quella della permanenza, per lo scritto (vale a dire la possibilita' di "tornare
indietro", "rileggere", "fare pause", ecc), rispetto alla evanescenza del parlato (che
va invece processato immediatamente, e dunque immediatamente compreso, ed
eventualmente mentalmente immagazzinato e ricordato). Le immagini vengono
invece suddivise a seconda della loro natura temporale o meno: immagini fisse
(che possono quindi utilizzare una varieta' di supporti tra cui quello,
tradizionalmente importantissimo, cartaceo) e immagini in movimento che, fino a
poco tempo fa, necessitavano di un supporto speciale (la pellicola filmica); e'
interessante notare che il mezzo elettronico (sia analogico che digitale) ha
obliterato questa distinzione di supporto.
Questa classificazione e' del tutto "esterna" e quindi non e' adeguata per i nostri
scopi: essa non fornisce alcuna indicazione sulla funzione che i diversi media
possono ricoprire nella organizzazione comunicativa; dobbiamo quindi ripensarla
in termini piu' "intrinseci".
Cominciamo allora con una distinzione molto generale e consideriamo il rapporto
dei media, e cioe' dei "mezzi", con "cio' di cui sono mezzi", per cosi' dire, e cioe'
il contenuto che veicolano (o, equivalentemente, il rapporo dei mezzi con la
"realta'", se di quest'ultima si da' una definizione piuttosto ampia, includendo, ad
esempio, realta' immaginate o pensate). Vi sono due tipi fondamentali di rapporto:
alcuni mezzi "presentano", altri "codificano"; alternativamente (e
equivalentemente) alcuni mezzi "riproducono", altri "simbolizzano".
Esempi ne abbiamo gia' visti: una fotografia di un ambiente si rapporta
all'ambiente reale presentandolo o riproducendolo, una pianta, sul tipo di quella in
fig. 5, vi si rapporta codificandolo o simbolizzandolo. Nella fotografia io vedo
l'immagine del divano, nella pianta io vedo un simbolo (un certo rettangolo
suddiviso in quadratini, ecc.) e, se conosco le convenzioni del codice, ricostruisco
che si tratta di un divano. Da questo punto di vista e' evidente che il linguaggio
verbale (parlato o scritto) e' un mezzo simbolico (per ricostruire cio' a cui si
riferisce devo conoscere le convenzioni del codice: lessico e sintassi della lingua),
mentre il filmato e' un mezzo non simbolico: esso riproduce la realta'. Divideremo
dunque i media innanzitutto in "simbolici" e "non-simbolici" (o "riproduttivi").
In secondo luogo ci interessa esaminare i media dal punto di vista della loro
organizzazione strutturale intrinseca. Vi sono dei media che sono intrinsecamente
organizzati in modo lineare, vale a dire che, indipendentemente dal modo in cui
comunicano, i loro componenti devono essere inerentemente disposti (ad uno o
piu' livelli) unidimensionalmente e unidirezionalmente. Chiameremo questi media
"lineari", e "non-lineari" quelli che invece permettono organizzazioni non
necessariamente unidimensionalmente e unidirezionalmente ordinate.
Appartengono al primo tipo tanto un medium simbolico come il linguaggio,
quanto un medium non simbolico come il filmato. Naturalmente esistono forme
comunicative che pur non essendo necessariamente lineari possono essere
linearmente organizzate (ad esempio, il "carosello" di diapositive), mentre non e'
vero il viceversa: forme comunicative intrinsecamente lineari non possono
(almeno ad alcuni livelli) non essere linearmente organizzate. Questa
classificazione, ben diversa da quella esterna vista precedentemente, puo' essere
riportata nella seguente tabella.
Tab. 2_______________________________________________________________________ Simbolico Non-simbolico
(pan)lineare linguaggio verbale filmato(scritto e parlato)
non-lineare diagrammi, mappe immagini riproduttivepiante, ecc. (diapositive, fotografie)
_______________________________________________________________________
Va detto che quello che abbiamo operato e', naturalmente, solo un embrione di
classificazione: vi sono molto altre forme che andrebbero analizzate e distinte,
mentre le stesse specifiche categorie utilizzate nella tabella 2 sono ancora troppo
grossolane. Tuttavia riteniamo che le due dimensioni generali alla base della
nostra classificazione, e cioe' quella relativa alla simbolicita' o meno del mezzo
[10] e quella relativa alla sua organizzazione intrinseca, siano corrette e
significative e che possono non solo sistemare adeguatamente anche le altre
forme, ma che ne rivelino interessanti caratteristiche.
Ad esempio, lungo la dimensione della organizzazione interna, potremmo avere
una categoria "tridimensionale" (anziche' semplicemente "lineare" e "non-
lineare"): i modelli in plastica o legno, del tipo di quelli usati in architettura,
appartengono evidentemente alla categoria dei "non-simbolici". A questo punto la
nostra classificazione ci porta automaticamente a domandarci se esistano e quali
siano dei mezzi di questa classe "tridimensionale" che siano invece di tipo
"simbolico". La risposta e' affermativa e ci fa capire al tempo stesso una sottile
distinzione in questo generico insieme di modelli plastici: sono di tipo simbolico,
ad esempio, il modello di un atomo o quello della struttura di una proteina in
termini dei suoi componenti molecolari [11].
In questo modo si potrebbe altresi' analizzare una vasta fenomenologia di altri
oggetti comunicativi, quali il filmato di animazione, il modello tridimensionale
(animato e non) al CAD, ecc. il che pero' non rientra certamente nei limiti di
questa "breve analisi", ma richiede un lavoro ad hoc [12].
Vogliamo invece ritornare al problema che ci eravamo posti all'inizio e che ci
aveva spinto ad intraprendere questa analisi, e cioe' quali media siano
potenzialmente suscettibili di offrire organizzazioni comunicative adeguate alle
organizzazioni intrinseche dei campi di conoscenza. La classificazione che
abbiamo operato ci offre una risposta del tutto generale e immediata. Sono infatti
le due dimensioni classificatorie che abbiamo isolato quelle su cui si basano i
principi generali, o, per essere piu' precisi, le condizioni necessarie che regolano
la possibilita' di questa adeguatezza (l'effettivo raggiungimento della adeguatezza,
e dunque le condizioni anche sufficienti, sono invece soggette, ovviamente, anche
ad altri parametri di natura empirica). Per la dimensione simbolica:
SOLO I MEDIA CHE ABBIAMO CHIAMATO "SIMBOLICI" POSSONO ESSERE IN
GRADO DI FORNIRE UNA STRUTTURA DELLA COMUNICAZIONE CHE SIA
ISOMORFA ALLA STRUTTURA DEL CAMPO DI CONOSCENZA DA VEICOLARE
Per la dimensione di struttura intrinseca:
LA LORO ADEGUATEZZA POTENZIALE DIPENDERA', IN LINEA DI PRINCIPIO,
DA QUANTO LE PROPRIETA' DELLA LORO ORGANIZZAZIONE INTRINSECA
SIANO SUFFICIENTI E SI PRESTINO A MODELLARE LA STRUTTURA DEL
CAMPO DI CONOSCENZA
E' evidente la motivazione della prima affermazione. Se dobbiamo rendere
trasparente la struttura del campo di conoscenza, se dobbiamo cioe' farla apparire
in superfice attraverso la struttura della comunicazione, quest'ultima deve poter
fungere essa stessa da simbolo: vale a dire che le sue relazioni interne "staranno
per", "rappresenteranno", le relazioni del campo di conoscenza; dunque il mezzo
deve essere simbolico. Nel diagramma, ad esempio, le due dimensioni,
orizzontale e verticale, rappresentano le due quantita' produzione e tempo e la
linea che tracciamo i loro valori corrispondenti.
Ne consegue un corollario molto importante: mentre tutti i media possono
prestarsi a veicolare i contenuti specifici di un campo di conoscenza, solo quelli
simbolici possono essere in grado di veicolarne la struttura. Nella classica
terminologia ipertestuale cio' equivale ad affermare che mentre tutti i media
possono costituire i "nodi" di un ipertesto, solo quelli simbolici possono aspirare a
veicolare la struttura dei "legami" (quando questa non sia ovviamente concepita
come del tutto arbitraria, come spesso avviene, come abbiamo rilevato, nella
pratica e nella teoria ipertestuale). Come si vede siamo all'opposto della banale (e
corrente) definizione di ipermedia come "ipertesto i cui nodi appartengono a
media diversi": il contributo cruciale degli altri media e' sui "links" non sui
"nodes".
Quanto alla seconda affermazione, essa rappresenta solo una condizione
necessaria e minimale di "compatibilita'". Se il campo di conoscenza e'
fondamentalmente organizzato come una relazione tra due variabili (per restare
all'esempio precedente) e' evidente che il mezzo comunicativo che si utilizza per
rappresentarne la struttura deve consentire intrinsecamente almeno una
organizzazione bidimensionale della propria struttura. Cio' non vuol dire che
questo riguarda solo i casi semplici, come quelli degli esempi precedenti. Ad
esempio, la tassonomia biologica e' un campo ben organizzato lungo due
dimensioni concettuali: le relazioni "verticali" del tipo genere-specie e le relazioni
"orizzontali" tra entita' dello stesso livello; e' quindi sufficiente a rappresentarne la
struttura un mezzo che permetta strutture bidimensionali (il cosiddetto "albero"
tassonomico e' infatti una struttura bidimensionale).
Piu' in generale, non e' indispensabile che vi siano sempre, meccanicamente, tante
dimensioni "fisiche" di CS quante sono le dimensioni concettuali di KS. In alcuni
casi una dimensione puo' essere trascurabile o irrilevante (come avviene, per
esempio, nel caso della pianta presentata sopra per la dimensione verticale). In
altri casi vi possono essere dimensioni "principali" che organizzano l'intero campo
e dimensioni "secondarie" che possono presentarsi solo in alcuni settori o essere
subordinate alle prime.
D'altra parte la struttura ipermediale puo' usare mezzi diversi combinati o
"incastrati" insieme, in maniera anche complessa, per adattarsi a queste
circostanze [13]: il punto fondamentale e' sempre che ne risulti trasparente
l'organizzazione concettuale sottostante. Vi saranno, ovviamente, casi in cui si
richiedono necessariamente piu' di due dimensioni: sara' allora interessante
osservare le potenzialita' di quei mezzi simbolici cui abbiamo appena accennato
(per citare un caso semplice, vi sono casi in cui e' indispensabile rappresentare tre
dimensioni contemporaneamente sullo stesso livello: i grafici tridimensionali "a
superficie ondulata" sono una delle possibilita', variamente estendibili). La
seconda affermazione ha dunque anche il valore di un "principio regolatore" nella
scelta dei vari mezzi [14].
Si faccia ben attenzione a non lasciarsi fuorviare dall'uso di termini come
"diagrammi", "mappe", ecc. ed essere portati a pensare che un sistema
ipermediale sia grosso modo equivalente ad un libro con molti schemi illustrativi
o belle e grandi tavole diagrammatiche. Se utilizzati nel modo che abbiamo
delineato, questi oggetti costituiscono la struttura portante e organizzatrice
dell'intero campo (cosi' come la successione dei capitoli, degli argomenti in fila
costituisce la struttura di un testo): al di fuori di essa non vi e' altro. Per campi
minimamente ricchi o completi (e non per i semplicissimi e limitatissimi campi
che abbiamo portato ad esempio) sono quindi delle "proiezioni in grande", molto
piu' articolate, vaste e complesse di quelle mostrate nella sezione precedente.
Per fare un semplice esempio, il campo della tassonomia biologica con tutte le sue
informazioni dovrebbe essere riportato interamente nella forma di un gigantesco
albero tassonomico [15]. Cio' significa che i contenuti di svariati volumi attuali
dovrebbero essere riportati negli appropriati luoghi fisici dell'albero, riportando
altresi' in quei medesimi punti eventuali sottostrutture proprie degli argomenti
particolari (ad esempio, attraverso meccanismi di "zoom" elettronico,
"sovrapposizione", "apertura", ecc.). La struttura portante sarebbe dunque
concettualmente una semplice struttura bidimensionale, ma nella realta' essa si
articolerebbe su un vasto numero di dimensioni e sottostrutture: qualcosa di ben
lontano dal semplice schema o diagramma illustrativo di supporto che ci e' oggi
familiare.
Ci resta un ultimo, ma importante argomento da affrontare in questo "breviario"
di teoria ipermediale. Abbiamo mostrato come la caratteristica fondamentale e
definitoria dei sistemi ipermediali sia quella di permettere di (e aspirare a)
costruire strutture comunicative che rispecchino direttamente le strutture dei
campi di conoscenza che essi veicolano: al di la' dell'intuitiva facilitazione che
cio' comporta nel processo di comprensione, quali sono piu' specificamente i
vantaggi di un simile tipo di comunicazione nei confronti dei processi di
apprendimento? E' quanto cercheremo di delineare nella prossima sezione.
7. Ipermedia e processi di apprendimento
I punti essenziali che vogliamo esaminare in questa sezione contrastano (per
chiarezza espositiva) i sistemi ipermediali rispetto ai sistemi tradizionali nelle loro
piu' importanti conseguenze (e differenze) sulla strutturazione dei processi di
apprendimento. Essi sono elencati nella tabella 3.
Tab. 3______________________________________________________________________________ SISTEMI TRADIZIONALI SISTEMI IPERMEDIALI
Apprendimento esplicito Apprendimento implicitoPassività AttivitàRigidità Flessibilità
______________________________________________________________________________
La prima di queste opposizioni e' anche la piu' importante. Riprendiamo la nostra
distinzione tra CS e KS. Osserviamo che KS a seconda del campo di conoscenza
puo' essere piu' o meno complessa, piu' o meno ricca: questa distinzione
corrisponde a quella tra campi "a strutturazione teorica relativamente debole" e
campi a "strutturazione teorica relativamente forte"; ovviamente l'aggettivo
"relativamente" chiarisce che si tratta piuttosto di un continuum. Esempi di questi
ultimi, in vario grado, possono essere considerati i settori della fisica, della
chimica, della biologia molecolare, dell'economia; dei primi, invece, campi come
la geografia, la biologia tassonomico- evoluzionistica, l'anatomia umana, la
patologia animale, ecc.
Un correlato interessante di questa distinzione (che, ripetiamo, e' in realta' una
tendenza lungo un continuum) e' il rapporto tendenzialmente inverso che esiste tra
"importanza", "peso specifico", per cosi' dire, della struttura rispetto ai contenuti
nozionali o fattuali: nei campi a forte strutturazione teorica la struttura del campo
e' prevalente sui contenuti specifici, viceversa nei campi a debole strutturazione
teorica (se si vogliono due esempi-limite, si consideri un settore della matematica
da una parte e uno della geografia "descrittiva" dall'altra). Cio' significa che ai fini
del possesso conoscitivo del campo ("sapere la materia") puo' risultare piu' o
meno preminente il ruolo della struttura rispetto ai contenuti.
Si badi bene, pero', che la relazione tra struttura e contenuti e' asimmetrica: e' al
limite possibile che un campo sia puramente strutturale (pensiamo di nuovo alla
matematica) o che i suoi contenuti siano minimi, sostituibili, o ricostruibili dalle
stesse relazioni strutturali in larga misura (si puo' pensare, ad esempio, alla
dinamica). Non sono invece concepibili campi "contenutistici" privi di struttura:
per quanto semplice, una qualche organizzazione strutturale deve essere presente
(il caso limite di questa bassa strutturazione sono, infatti, proprio quei campi che
solo estendendo il termine possiamo assimilare a campi di conoscenza: ad
esempio, i racconti di serie di eventi. Comunque anche qui quel minimo di
organizzazione strutturale consistente nella sequenza ordinata del prima/dopo
deve esistere).
Esaminiamo ora alla luce di questa distinzione l'apprendimento, anziche' il
possesso della conoscenza: vale a dire, il processo che a questo possesso dovrebbe
portare. Se la componente fondamentale, o comunque imprescidibile, del possesso
del campo e' KS e' evidente che essa e' l'oggetto di primaria importanza del
processo di apprendimento; possiamo allora dire che apprendere consiste
innanzitutto nel costruire KS. Che questa sia una giusta impostazione (anche se
certamente non esaustiva) del problema dell'apprendimento e' provato da una
serie di considerazioni che da essa scaturiscono.
Innanzitutto la comune nozione di campi piu' o meno difficili da apprendere: se,
come abbiamo ipotizzato e' la costruzione di KS il processo essenziale
dell'apprendimento, allora esso risultera' (si badi bene, ceteris paribus) tanto piu'
difficile quanto piu' il campo e' a prevalenza strutturale, e quanto piu' KS e'
complessa e articolata; viceversa l'apprendimento sara' piu' facile quanto piu' il
campo e' a prevalenza contenutistica, e quanto piu' e' semplice la sua struttura.
Questo e' talmente vero che per campi pochissimo strutturati (prendiamo ancora
una volta il caso limite del racconto di eventi) si fa fatica a parlare di
"apprendimento": si parla semmai, piu' appropriatamente di "ricordo",
sottolineando in tal modo la prevalenza contenutistica e lo scarso ruolo di
costruzione strutturale da effettuare.
In secondo luogo, se l'obbiettivo primario dell'apprendimento e' KS, si spiega
anche l'esistenza di due forme testuali molto diverse comunemente usate nella
trasmissione tradizionale dei campi di conoscenza: il "manuale" e
l'"enciclopedia". E' evidente la loro differenza in base alla distinzione che
abbiamo fatto. Il manuale si rivolge a chi non possiede KS e deve costruirla: tutto
lo sforzo espositivo e di organizzazione e' volto a permettere la costruzione di KS
da parte di chi non la possiede. L'enciclopedia, al contrario, si rivolge a chi gia'
possiede KS e ha bisogno di reperire o completare conoscenze contenutistihe
specifiche del campo (questo e' tra l'altro il motivo per cui essa puo' essere, come
abbiamo osservato precedentemente, completamente destrutturata: la sua forma
sconta il fatto che chi la utilizza gia' possiede la conoscenza strutturale del campo
ed e' quindi in grado di utilizzare gli specifici frammanti contenutistici li'
semplicemente elencati). E' quindi proprio il diverso presupposto e obiettivo
rispetto a KS che spiega la differenza tra queste due forme.
Se quanto abbiamo proposto fin qui e' plausibile, possiamo allora formulare il
nostro problema centrale nel modo seguente: in che modo avviene il processo di
costruzione di KS? Innanzitutto ricordiamo che KS va necessariamente costruito a
partire da CS (dal momento che non disponiamo ancora di mezzi di copia o
trasferimento diretto di strutture mentali); dunque, come abbiamo osservato nelle
sezioni precedenti, e' cruciale la relazione che lega CS a KS: quanto piu' questa
relazione e' diretta, immediata e trasparente (quanto piu', cioe', esiste isomorfismo
tra le due strutture) tanto piu' semplice sara', sempre ovviamente ceteris paribus, il
processo di costruzione di KS.
L'osservazione ulteriore che vogliamo fare ora e' che nei due casi estremi possibili
di questa relazione, e cioe', da una parte un isomorfismo quasi perfetto e dall'altra
una relazione di corrispondenza estremamente indiretta e astratta, la natura
cognitiva del processo ricostruttivo cambia sensibilmente.
Se la relazione e' molto indiretta, se cioe' nella forma di cio' che percepisco (CS)
non vi e' nulla che rassomigli a cio' che devo costruire e quindi essa si presenta
piuttosto come una "codificazione", come un insieme di istruzioni da eseguire
passo passo per decodificare la forma sosttostante, questo processo non puo' che
essere cosciente, esplicito e cognitivamente impegnativo (come del resto abbiamo
esemplificato nella sezione 5) in quanto implica una ricostruzione e combinazione
mentale astratta dei pezzi via via decodificati.
Se invece, al contrario la forma che percepisco (CS) rassomiglia fortemente (nel
caso limite dell'isomorfismo e' identica) a quella che devo costruire mi bastera',
per cosi' dire, semplicemente "osservarla", dove questo termine esprime appunto
lo scarto cognitivo esistente tra i due processi: la forma e' "esibita", "presentata" e
non va mentalmente ricostruita. Essa puo' essere direttamente "assorbita" senza
alcun lavoro esplicito di decodificazione e ricostruzione mentale; il processo
tende quindi a essere inconsapevole e non cosciente: in una parola, "implicito"
anziche' "esplicito". Si puo' dunque parlare nel primo caso di una modalita'
"esplicita" di apprendimento e nel secondo di una modalita' "implicita" o, piu'
brevemente, di "apprendimento esplicito" vs. "apprendimento implicito".
Il caso limite di apprendimento implicito e' l'apprendimento per "ostensione" (o
anche apprendimento "artigianale"). Ad esempio: un falegname mi insegna a
tagliare un pezzo di legno mostrandomi come si fa. La successione delle
operazioni, la modalita' di ciascuna di esse (come tenere il legno, come inclinarlo,
come passarlo sotto la sega) i risultati delle varie opzioni, gli effetti dei
movimenti, ecc. vengono appresi senza ricostruirli esplicitamente e
coscientemente: il falegname non mi "dice", ne' io sono eplicitamente cosciente,
di quanti gradi va inclinato il pezzo di legno e da quale lato, e cosi' via [16]. Io
apprendo, ma puo' darsi che ne' io ne' lui saremmo mai in grado di formulare
esplicitamente cio' che sappiamo.
Dal punto di vista della nostra concettualizzazione e' chiaro perche' e' possibile
che questo apprendimento sia del tutto implicito. Come abbiamo detto, la
condizione necessaria affinche' cio' si verifichi e' che sussista un alto grado di
isomorfismo tra CS e KS; ora nel caso presente (come nella maggior parte dei
casi di "abilita") quest'isomorfismo e' cosi' elevato che si tratta addirittura di
coincidenza: la struttura di cio' che devo apprendere si fa segno di se stessa. E di
fatto l'unica cosa che permette di distinguere in questo caso KS [17] da CS,
materialmente identiche, e' l'intenzione del falegname: si tratta di KS se il
falegname sta tagliando il pezzo di legno allo scopo di eseguire un suo lavoro, di
CS se lo fa per mostrarmi come si fa [18]. Questo caso limite e un po' paradossale
ci serve solo a spiegare il concetto di "apprendimento implicito". D'altro canto, se
per apprendere la medesima cosa mi servo invece di un insieme di istruzioni,
appunto "esplicite" (scritte dal falegname o da chiunque altro), allora il lavoro
cognitivo che devo compiere e' evidentemente molto diverso: non potro' fare a
meno di ricostruire e assemblare mentalmente e coscientemente ogni particolare.
E' la condizione tipica dell'apprendimento esplicito.
Ma anche senza arrivare a quest'estremo, si possono dare esempi di come gran
parte dell'apprendimento possa passare al livello implicito quando CS si avvicina
sufficientemente a KS. Ad esempio, nel sistema ipermediale IPERMAPPA [19],
sviluppato per l'apprendimento delle conoscenze geografiche, vi sono sei diverse
mappe dell'intero pianeta, ciascuna ad una scala diversa. Ogni livello di scala
copre l'intera superficie terrestre ed e' continuamente e liberamente navigabile in
tutte le direzioni. Le rappresentazioni dei diversi paesi sono quindi, per ogni
livello, tutte rigorosamente alla stessa scala. Cio' rende immediatamente e
correttamente percepibili gradezze e rapporti fondamentali per la comprensione e
la conoscenza di questo campo come quelli di distanza e estensione relativa, senza
correre il rischio di far pensare, come avviene purtroppo frequentemente con i
testi e gli atlanti tradizionali, che l' Arabia Saudita sia grande piu' o meno come la
Francia. Ora questi rapporti non hanno bisogno di essere "dichiarati", come
avviene comunemente nei libri di geografia, ne' vengono mai "studiati"
esplicitamente dal discente: il solo navigare su IPERMAPPA in maniera continua
alla stessa scala fa si' che essi vengano appresi inconsciamente e senza difficolta'.
Non c'e' bisogno di essere psicologi per capire che l'apprendimento implicito e' da
tutti i punti di vista preferibile (piu' semplice, meno faticoso, piu' alla portata di
tutti, piu' efficace, relativamente privo di precondizioni) a quello esplicito. Il
problema e' che fino ad oggi le condizioni in cui esso era praticabile sono state
molto limitate. Esso infatti dipende necessariamente, come si e' osservato, dal
raggiungimento di un alto grado di isomorfismo tra CS e KS. Proprio questa
condizione ha comportato numerose limitazioni di tipo estrinseco e intrinseco. Se,
ad esempio, l'unica condizione per raggiungere l'isomorfismo e' la presenza fisica
dell'azione del comunicante-esperto (come nel caso dell'esempio "artigianale")
nell'ambiente appropriato, l'accesso dei discenti e' molto difficoltoso, dispendioso
e limitato nel numero (e cioe', sostanzialmente ridotto a coloro che riescono ad
"andare a bottega" e al numero delle botteghe, per restare nel paragone). Di fatto,
questa limitazione e' stata storicamente la causa prima del passaggio che la nostra
cultura ha costantemente e strenuamente perseguito alla modalita' di
apprendimento esplicito nel corso degli ultimi cinque secoli; una volta, cioe', che
il supporto a questa modalita' e' stato reso largamente accessibile a costi limitati
(come e' avvenuto con l'invenzione della stampa a caratteri mobili).
D'altra parte e' solo recentemente che la tecnologia ha cominciato, invece, a
rendere possibile un supporto simile, e cioe' largamente accessibile a costi
limitati, alle strutture comunicative necessarie per un apprendimento implicito: la
riproduzione di immagini fisse a queste condizioni e' disponibile da non piu' di
trenta-quarant'anni e per quelle in movimento si e' dovuto aspettare l'avvento del
videoregistratore.
Sono esistite, inoltre, fino ad oggi delle limitazioni intrinseche al raggiungimento
dell'isomorfismo. Facciamo un solo esempio. Se ipotizziamo che la forma "ad
albero" unico e generalizzato sia davvero quella piu' adeguata a rappresentare il
campo della biologia tassonomica, e che tutte le altre informazioni vadano ad essa
"appese" nei luoghi appropriati, e' facile rendersi conto che nessuno strumento
della tecnologia tradizionale permette la rappresentazione e la gestione di una
simile forma. E' indispensabile disporre innanzitutto delle capacita' di
immagazzinamento e accesso rapido dei computer e in secondo luogo di
sofisticate gestioni di grafica e immagini, del tipo di quelle che sta appunto
sviluppando la tecnologia multimediale. Di qui traiamo la conclusione piu'
importante
IPERMEDIA CONSENTE DI ESTENDERE LA CONDIZIONE DI APPRENDIMENTO
IMPLICITO A CAMPI DI CONOSCENZA PRIMA ACCESSIBILI SOLO
ALL'APPRENDIMENTO EPLICITO
Passiamo ora ad esaminare il secondo punto della tabella 3: attivita' vs. passivita'.
La rottura del dominio quasi esclusivo della linearita' nella struttura comunicativa
produce una conseguenza importante sulla natura dell'azione conoscitiva del
lettore-discente. Essendo la forma lineare unidimensionale e unidirezionale, il
lettore puo' percorrela soltanto in un modo, in cui sono ben definiti inizio e fine:
egli e' sostanzialmente passivo e il suo compito e' quello di seguirla lasciandosi
completamente guidare. Una forma non lineare invece, e cioe' pluridimensionale,
non soltanto permette scelte al lettore ma anzi le esige. In queste forme infatti non
sono definiti ne' un inizio ne' una fine intrinseci, ed inoltre ad ogni passo e'
necessario decidere dove dirigersi. Questo e' vero sia nel semplicissimo caso del
diagramma o della pianta visti precedentemente, dove e' il lettore a decidere i
punti successivi di fissazione della sua attenzione, sia, a maggior ragione, nei casi
piu' complessi e ricchi (come l'albero tassonomico o IPERMAPPA) dove ogni
passo comporta continue possibilita' di "aperture", approfondimenti e ritorni.
Il risultato e' che il lettore da passivo esecutore diviene attivo "decisore". Questo
cambiamento di ruolo e' molto importante per i fattori motivazionali che, come e'
noto, hanno un estrema importanza nell'apprendimento: un ruolo attivo mantiene
elevata l'attenzione evitandone la caduta, responsabilizza il lettore dandogli la
scelta, mantiene una costante sensazione di autocontrollo, stimola un attivita'
costruttiva anziche' semplicemente esecutiva.
D'altra parte la componente attiva e' anche un ingrediente essenziale
dell'apprendimento implicito. Spesso infatti si definisce quest'ultimo come
"apprendimento nel fare", e non e' un caso che gli esempi piu' noti ed evidenti di
quest'apprendimento, quelli che abbiamo chiamato "artigianali", abbiano nel fare
in prima persona del discente, forse ancor piu' che nell'osservare, una componente
essenziale.
Infine il terzo punto: rigidita' vs. flessibilita'. Questo e' praticamente un corollario
del secondo punto. L'organizzazione lineare e' per sua natura rigida: vi e' un
inizio, una fine e una ben determinata sequenza, che non puo' essere alterata in
quanto e' essa stessa che determina la corrispondenza tra CS e KS. al contrario se
CS e' pluridimensionale vi e' liberta' a vari livelli. Non soltanto infatti posso
scegliere in che direzione andare ma posso anche scegliere a che livello stare:
aprire o meno approfondimenti. Posso limitarmi a percorrere i livelli strutturali
piu' alti, o puntare in profondita' su un punto. Posso anche, ovviamente,
"esplorare" scegliendo se soffermarmi o no.
Questa elevato grado di intrinseca flessibilita' e' di nuovo notevolmente
vantaggioso nel processo di apprendimento: essa permette infatti un adattamento
spontaneo alle esigenze individuali. La rigidita', al contrario, mal si adatta alla
variabilita' individuale (in alcuni casi molto forte), dovuta alle diverse
provenienze, esperienze formative precedenti, curricula, attitudini personali, ecc.:
il risultato e' che lo stesso materiale puo' risultare troppo difficile per qualcuno e
troppo facile (fino alla noia) per altri, oppure permettere tempi piu' rapidi di
apprendimento in alcuni e richiedere tempi piu' lunghi per altri. A qualunque
livello ci si assesti nel disegnarlo e approntarlo si svantaggia e penalizza
comunque una porzione dei destinatari.
Il risultato complessivo di queste ultime due caratteristiche e' per il discente un
feeling di controllo e di autogestione, un incoraggiamento a fare in proprio, una
facilita' di seguire e collegare propri fili, la' dove la particolare storia individuale
determina, a mano a mano, esigenze e bisogni. In ultima analisi, si viene, quindi,
anche a determinare un processo di apprendimento piu' "naturalistico" e
autodiretto, rispetto a quello tradizionanale, fondamentalmente eterodiretto.
Note
[1] Sarebbe meglio utilizzare, tuttavia, la parola "consentira'", dal momento che,
al di la' di esperienze ancora prototipali, da una parte l'integrazione fisica e'
ancora di la' da venire e dall'altra vi sono ancora innumerevoli ostacoli (memoria,
software, tempi di accesso, ecc.) ad una reale e paritetica gestione .
[2] Vale la pena tuttavia di ricordare che Bush fu uno degli artefici dello sviluppo
della tecnologia del calcolo automatizzato, partecipando alla realizzazione del
Differential Analyzer del MIT.
[3] E di proiezione si tratta: il linguaggio di per se' non e' strutturato linearmente,
ma gerarchicamente.
[4] Considerazioni sulla natura dell'"oggetto" logico che si viene cosi' a costruire
in Antinucci (1991).
[5] Da questa assenza di basi chiare per la strutturazione dei legami deriva il
disorientamento che si prova moltissime volte nel percorrere gli ipertesti, cosi'
comune da far parlare della sindrome del "lost in hyperspace".
[6] L'unico vero esempio di testo non strutturato linearmente e', a mia
conoscenza, il Tractatus Logico-Philosophicus di L. Wittgenstein.
[7] Sviluppo e dominanza dovuti anche alla mancanza di alternative
"concorrenziali": la tecnologia per riprodurre immagini e', fino a tempi recenti,
infinitamente piu' arretrata (dal punto di vista dei costi, dei tempi e delle abilita'
richieste e dunque delle possibilita' di diffusione) di quella per riprodurre testi.
[8] Sulla notevole differenza tra questi due modi di assunzione della conoscenza
si veda Antinucci (in corso di stampa).
[9] Di qui la spiegazione teorica della adeguatezza di questa forma a campi tipo il
"racconto di eventi", gia' notata precedentemente: in questo caso (uno dei pochi)
esiste infatti isomorfismo tra struttura della forma comunicativa e struttura del
contenuto.
[10] La dimensione simbolico/non-simbolico e' ovviamente "funzionale" e di
sistema, non inerente alla natura intrinseca degli oggetti impiegati nella
comunicazione. Vale a dire che uno stesso oggetto fisico (ad esempio un insieme i
segni e colori su una carta) puo' essere di per se' tanto un oggetto riproduttivo
quanto un oggetto simbolico. Cio' fa si che vi siano casi in cui si possa essere
incerti sull'appartenza a questa dimensione; ovviamente questo accade quando,
per qualunque motivo, non si conosca il codice o quando esso non sia esplicito.
Uno di questi casi e', ad esempio, quello di alcuni insiemi di pitture o graffiti
rupestri.
[11] Si osservi che questi modelli non sono simbolici per via della scala
(rappresentano in grande oggetti piccoli e invisibili), ma per via del fatto che gli
elementi del modello e le loro relazioni non riproducono elementi della realta' e le
loro relazioni cosi' come sono, ma ne "simboleggiano" appunto alcune proprieta':
a nessun livello di magnificazione l'atomo o la proteina osservati realmente
attraverso un microscopio apparirebbero fisicamente come il modello. Cio' non e'
vero, ovviamente, per i modelli architettonici, la cui bonta' risiede proprio nel
fatto di essere fisicamente il piu' uguale possibile alla realta'.
[12] Lavoro che, per altro, ci riproponiamo di fare prossimamenete e che e' altresi'
di importanza cruciale per un problema molto piu' generale dell'ipermedia: il
disegno delle interfacce dei sistemi in genere.
[13] Un esempio di queste possibili combinazioni e' il sistema IPERMAPPA,
descritto in Antinucci, 1992.
[14] Resta inteso che il fattore di importanza primaria per sperare di conseguire
l'adeguatezza, sul quale pero' non ci soffermiamo affatto in quanto esula
completamente dall'oggetto di questo scritto, e' l'analisi corretta ed esplicita della
struttura intrinseca del campo di conoscenza.
[15] Struttura che sarebbe ovviamente impossibile costruire e gestire con supporti
e strumenti tradizionali (carta, stampa, ecc.) ma che e' invece realizzabile con
appropriati mezzi computeristici (anche se ancora con notevoli difficolta': v.n.1):
di qui la necessarieta' degli sviluppi tecnologici recenti, che non rappresentano in
questo caso un semplice miglioramento dell'esistente, ma una condizione
indispensabile per dare corpo a cio' che altrimenti puo' essere solo teoricamente
concepito.
[16] Siamo perfettamente consapevoli che convenzionalmente si tende a fare una
netta distinzione tra apprendimento di "abilita'" e apprendimento di "conoscenze".
Cio' non toglie alcun valore al nostro esempio. Innanzitutto perche' possiamo
opportunamente modificarlo in modo che cio' che viene ostensivamente appreso
sia piu' simile ad una conoscenza che ad una abilita', senza che questo cambi
affatto la validita' di cio' che abbiamo detto: ad esempio, nel caso si apprenda a
"costruire una casa, un ponte o un acquedotto"; ricordiamo, infatti, che la maggior
parte degli architetti di eta' romana erano analfabeti (cfr. Harris, 1991). In
secondo luogo, riteniamo vi siano buoni motivi per considerare, al livello teorico,
una simile distinzione inutile o fuorviante: non e' la natura di cio' che si apprende
che e' rilevante, ma quella del processo cognitivo che si mette in atto, e
quest'ultima non e' determinata (o, quantomeno, non lo e' necessariamente) dalla
prima.
[17] Piu' precisamente: "una istanziazione (o una attuazione) di KS".
[18] Il fatto che si tratti di una struttura comunicativa e' anche mostrato dal fatto
che in questo secondo caso (ma, si badi bene, non nel primo) il falegname puo'
adoperare un "sostituto simbolico" del pezzo di legno e/o un della sega, purche' le
sue caratteristiche figurali siano sufficienti a mostrare correttamente e
adeguatamente. Cio' conferma indipendentemente quanto abbiamo detto nella
sezione 6, e cioe' che CS e' sempre "simbolica" indipendentemente dalla sua
natura fisica (v. anche n. 11).
[19] Una descrizione del sistema e dei principi su cui si basa si trova in Antinucci
(1992).
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