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Summa Hypermedialis (per una teoria dell’ipermedia) Francesco Antinucci 1. Introduzione Scopo di questo scritto e' delineare i fondamenti di una teoria di un nuovo oggetto comunicativo: "ipermedia". E' nostra convinzione, infatti, che proprio di nuovo oggetto si tratti, e non semplicemente di uno sviluppo tecnologico di mezzi gia' esistenti, anche se questa componente corrisponde senz'altro alla sua storia "esterna": per usare una vecchia metafora, si potrebbe dire che e' uno di quei casi in cui un incremento della "quantità" si tramuta in un mutamento della "qualita'". Di qui la necessita' di una teoria, e cioe', da una parte, di una spiegazione basata su principi generali di cosa sia questo oggetto e, dall'altra, di una deduzione di possibili conseguenze rilevanti basate sulla formulazione teorica, conseguenze che possono, come nel caso di ogni teoria scientifica, prevedere effetti fenomenici sottoponibili a verifica empirica. In particolare, visto il tipo di oggetto da analizzare, i principi non potranno provenire che dal campo della psicologia cognitiva, ovvero dalla teoria delle capacita' cognitive umane. Ovviamente molte e di vario

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Summa Hypermedialis

(per una teoria dell’ipermedia)

Francesco Antinucci

1. Introduzione

Scopo di questo scritto e' delineare i fondamenti di una teoria di un nuovo oggetto

comunicativo: "ipermedia". E' nostra convinzione, infatti, che proprio di nuovo

oggetto si tratti, e non semplicemente di uno sviluppo tecnologico di mezzi gia'

esistenti, anche se questa componente corrisponde senz'altro alla sua storia

"esterna": per usare una vecchia metafora, si potrebbe dire che e' uno di quei casi

in cui un incremento della "quantità" si tramuta in un mutamento della "qualita'".

Di qui la necessita' di una teoria, e cioe', da una parte, di una spiegazione basata

su principi generali di cosa sia questo oggetto e, dall'altra, di una deduzione di

possibili conseguenze rilevanti basate sulla formulazione teorica, conseguenze che

possono, come nel caso di ogni teoria scientifica, prevedere effetti fenomenici

sottoponibili a verifica empirica.

In particolare, visto il tipo di oggetto da analizzare, i principi non potranno

provenire che dal campo della psicologia cognitiva, ovvero dalla teoria delle

capacita' cognitive umane. Ovviamente molte e di vario tipo saranno le

conseguenze predittive deducibili, ma noi concentreremo la nostra attenzione su

un settore particolarmente importante: quello dei processi di apprendimento.

Cercheremo quindi di raggiungere due scopi: dare un fondamento teorico alla

nozione, oggi piuttosto vaga, confusa e intuitiva di "ipermedia" e derivarne alcune

conseguenze importanti, giacche' si tratta di un oggetto comunicativo,

relativamente ai suoi possibili effetti sui processi di apprendimento.

E' utile considerare "ipermedia" come un ibrido formato da due meta' ben

rappresentate dal nome stesso: la prima meta' "iper-" proviene da "ipertesto", un

idea teorica non particolarmente nuova che pero' solo recenti sviluppi tecnologici

hanno permesso di implementare; la seconda meta' "-media" proviene invece da

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"multimedia", che, al contrario della prima, non e' un'idea teorica, ma una

tecnologia molto recente basata sullo sviluppo dei calcolatori.

E' facile, come fanno molti, farsi trascinare da questa combinazione terminologica

e "sostanziarla" cosi' da considerare ipermedia la somma di ipertesto e multimedia

(quando addirittura non si consideri, come spesso accade anche in pubblicazioni

che aspirano ad essere scientifiche, di usare ipermedia semplicemente come

sinonimo di multimedia o come semplice variante di esso): di somma invece non

si tratta; ipermedia non e' semplicemente un ipertesto cui sono stati aggiunti altri

media, ne' un multimedia che presenta legami ipertestuali. E' qualcosa di piu' e

insieme di specifico rispetto a queste cose: l'ibrido e' una nuova specie, in cui le

parti componenti non si sommano ma (restando nella metafora aritmetica) si

moltiplicano:

non

IPER(TESTO) + (MULTI)MEDIA

ma

IPER(TESTO) x (MULTI)MEDIA

Vediamo perche', esaminando brevemente ciascuna delle parti componenti.

2. (Multi)media

Cominciamo con la seconda meta', vale a dire con i "media". Vi sono alcune

caratteristiche piuttosto generali che sono state, fino ad oggi, comuni all'uso dei

vari media nelle situazioni in cui essi si trovino ad interagire reciprocamente,

cioe', appunto, nelle situazioni "multimediali". Prendiamo il caso piu' ovvio e

sicuramente (almeno da un punto di vista storico) dominante: quello del medium

"testo scritto" usato come veicolo portante della comunicazione. Abbiamo un

testo scritto che oltre ad esprimere il contenuto della comunicazione ne organizza

interamente la forma (divisione in capitoli, successione degli argomenti, legami,

ecc.); gli altri mezzi (qualora esistano) sono secondari ed accessori: tipicamente le

immagini, le figure. Essi vengono "appesi", come aggiunte, al testo scritto:

abbiamo cosi' un "libro" piu' o meno "illustrato".

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Questo e' cosi' vero che nella tradizione educativa, fortemente "testocentrica", gli

altri mezzi, messi a disposizione dallo sviluppo tecnologico degli ultimi vent'anni,

vengono significativamente chiamati "sussidi audiovisivi".

Non e' difficile vedere come questa caratteristica si ripeta identica (sempre in

virtu' dell'avanzante tecnologia) anche laddove, mutatis mutandis, non sia piu' il

testo scritto ad essere il medium principale. Se prendiamo il cinema, ad esempio

nella forma di una videocassetta educativa, il discorso e' analogo: l'intera forma

comunicativa, oltre che il suo contenuto principale, e' costruita e veicolata nel

linguaggio proprio e specifico del cinema. Sequenze, tagli, montaggio

organizzano il "discorso" secondo lo specifico filmico: il linguaggio verbale che

eventualmente lo accompagna (quando questo posto non sia preso in larga misura

da una colonna sonora musicale) e' ad esso interamente subordinato.

Se poi si tratta di "immagini fisse" (in sequenza oppure no) la subordinazione

assume l'aspetto ben noto della "didascalia".

Due caratteristiche (correlate) sono quindi tipiche di questi usi "misti" di media:

(a) la separatezza, ciascun medium ha il suo specifico linguaggio costruttivo e

organizzativo e lo preserva rigidamente;

(b) la dominanza, in ciascun caso un medium domina sul/sugli altro/i come

organizzatore della comunicazione, mentre gli altri lo "sussidiano".

Cio' detto, va osservato che l'avvento dei multimedia non intacca affatto, di per

se', questa situazione. Multimedia, infatti, non e' altro che una tecnologia: una

tecnologia che consente la gestione simultanea e fisicamente integrata dell'insieme

dei media (parlato, testo scritto, immagini fisse, film, suono) su computer [1] (per

le note si veda a pag. 34). Vale a dire che anziche' dover ricorrere a strumenti e

supporti diversi per i vari media, posso averli "tutti insieme" e "nello stesso

formato".

Ne consegue sicuramente una facilita' di uso e di accesso impensabili con le

tecnologie precedenti e dunque una possibilita' di uso intensivo di questi insiemi

misti, ma nulla di piu': dietro questa tecnologia e queste possibilita' non vi e'

alcuna idea teorica. E di fatto si puo' agevolmente constatare come i primi usi cui

sono stati posti gli strumenti multimediali non sono altro che "traduzioni

tecnologiche" dei vecchi usi.

La situazione e', per molti versi, analoga a quella in cui i personal computer

cominciarono ad essere usati come word processor: si faceva su computer

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esattamente cio' che prima si faceva sulla macchina da scrivere. Ovviamente il

cambiamento di supporto e di tecnologia rendeva agevoli e accessibili operazioni

che prima richiedevano molto piu' sforzo e tempo, come editare un testo,

apportarvi correzioni, ritagliare, spostare e riincollare paragrafi, compilare un

indice o una bibliografia, e portava di conseguenza ad un uso intensivo di queste

possibilita'; ma non modificava affatto la natura e la forma del testo scritto

risultante.

Tutt'altra cosa e' invece ipermedia. Volendo dare una prima, approssimativa

definizione si potrebbe dire che

IPERMEDIA E' L'INTEGRAZIONE DEI MEDIA IN UN UNICO, NUOVO

OGGETTO COMUNICATIVO NON RIFERIBILE A, NE' COMPRENDIBILE

IN, NESSUNO DEI SINGOLI MEDIA SPECIFICI CONCORRENTI

Vengono cioe' negate le due caratteristiche di separatezza e dominanza che, come

abbiamo visto, sono tipiche di tutte le attuali forme comunicative plurimediali.

Ovviamente la parola chiave di questa definizione e' "integrazione", che non e' un

integrazione fisica, di supporto o di gestione, ma un'integrazione teorica

riguardante l'oggetto comunicativo che si viene cosi' a costruire; in altri termini, e'

un'integrazione concettuale non tecnologica. Questa integrazione e' resa possibile

da alcuni sviluppi della teoria (preesistente agli attuali sviluppi tecnologici)

dell'ipertesto. E' ad essa che dobbiamo quindi rivolgere ora la nostra attenzione.

3. (Iper)testo

Nel 1945 Vannevar Bush (considerato il progenitore del concetto di ipertesto)

propose un sistema di immagazzinamento e accesso dell'informazione da lui

denominato "Memex" (Memory Extender). Il sistema non fu mai implementato,

ne' era possibile farlo con la tecnologia dell'epoca, benche' Bush immaginasse un

congegno futuribile a base di apparecchiature microfilm collegate tra loro. Ma

l'idea teorica era chiara: permettere su vasta scala e con accessibilita' immediata

cio' che Bush stesso chiama "associative indexing": "a provision whereby any

item may be caused at will to select immediately and automatically another".

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Permettere cioe' legami "trasversali" che non seguono la struttura lineare del testo;

o, ancora, permettere legami tra porzioni di testo, veicolanti unita' di

informazione, di natura

non lineare, ma la cui struttura puo' essere determinata a piacere.

E' solo nella seconda meta' degli anni sessanta, e cioe' piu' di vent'anni dopo

l'articolo di Bush, che l'evoluzione tecnologica, comincia a rendere attuabili le sue

idee teoriche, per altro con strumenti tecnologici ben diversi da quelli immaginati

da Bush, vale a dire attraverso l'evoluzione della tecnologia del computer [2].

Tappe fondamentali sono l'NLS (oN-Line System) di Engelbart (1963) e lo

Xanadu di Nelson (1980). Quest'ultimo e' responsabile dell'invenzione della

parola "ipertesto": l'idea alla base e' sempre quella di legare in maniera trasversale

definibile a piacere unita' di testo anch'esse specificabili a piacere.

I primi veri sistemi ipertestuali costruiti e implementati non soltanto

sperimentalmente si devono al lavoro svolto a Brown University (van Dam, 1988)

e sono l'HES (Hypertext Editing System) e il FRESS (File Retrival and Editing

System), entrambi con lentezze e limitazioni spaventose se paragonati alla

tecnologia odierna. Si dovra' aspettare gli sviluppi tecnologici degli anni '80 per

vedere sistemi di un certo respiro e funzionalita', come KMS (Knowledge

Management System; Akscyn et al., 1988), Symbolic Document Examiner

(Walker, 1989), NoteCards (Halasz, 1988), Intermedia (Yankelovic et al., 1988),

Guide (Brown, 1989) fino ai sistemi piu' semplici per l'utente come HyperCard.

La caratteristica concettuale fondamentale dell' ipertesto e' quella di rompere la

linearita' del testo. Il testo e' un'organizzazione rigidamente unidimensionale e

unidirezionale: e' una linea percorribile in una sola direzione (e' questa

caratteristica che, per brevita', chiamiamo "linerarita'", anche se andrebbe piu'

correttamente detto "unidimensionalita' unidirezionale": non si puo' leggere un

testo all'"indietro"). Cio' avviene poiche' il testo e' non soltanto fondato (come e'

ovvio), ma anche modellato (e cio' non e' invece ovvio) sulla forma inerente del

medium fondamentale della comunicazione umana: il linguaggio verbale orale.

Quest'ultimo essendo mappato nel tempo (e non nello spazio) deve tradurre

linearmente tutti i livelli della sua strutturazione [3]: dai suoni che compongono le

parole, alla sintassi che le organizza nella frase, all'insieme di frasi che

costituiscono il discorso, tutti gli elementi vanno disposti in una sequenza prima-

poi.

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Naturalmente e' ovvio che ai suoi livelli piu' bassi ogni comunicazione basata sul

linguaggio deve necessariamente rispettare tale organizzazione: non si puo'

sconvolgere l'ordine dei suoni in una parola, ne' la sintassi di una frase, ed un

discorso deve essere una successione di frasi. Ma a partire da questo livello in su

cio' non e' necessariamente indispensabile: un argomento deve essere una

successione di discorsi in ordine sequenziale stabilito? Piu' argomenti devono

essere organizzati in capitoli costruiti inerentemente in modo da succedersi l'uno

all'altro? E i testi-libro risultanti devono anch'essi essere organizzati in una

sequenza del tipo "Parte I - Parte II - Parte III", etc.? E cosi' via. Attualmente e'

cosi'. Ed e' in questo senso che abbiamo usato precedentemente il termine

"modellato" (sull'organizzazione del linguaggio) in aggiunta a "fondato".

Che non debba essere necessariamente cosi' e' provato dall'esistenza di almeno un

altra forma, non lineare, ben conosciuta e diffusa nella tradizione testuale:

l'enciclopedia o il dizionario. In questo caso il materiale e' si' organizzato

linearmente al livello "micro" necessario (i testi lineari dei singoli lemmi o delle

singole voci), ma non al livello macro. A questo livello, anzi, non si ha alcuna

organizzazione intrinseca. Le voci e i lemmi possono essere disposti come si

vuole: potrebbero essere sparsi su un piano bidimensionale o flottare liberamente

nello spazio tridimensionale e nulla, assolutamente nulla, cambierebbe in cio' che

il dizionario o l'enciclopedia comunica.

Il fatto che dizionari ed enciclopedie siano poi di fatto ordinati linearmente non

contraddice affatto cio' che diciamo, anzi ne e' un ulteriore prova. Il criterio di

questo ordinamento e' infatti quanto di piu' estrinseco, arbitrario e casuale si possa

immaginare: l'ordine arbitrario in cui sono convenzionalmente enumerati i

simboli che trascrivono i suoni elementari del linguaggio nel sistema di

trascrizione conosciuto come "alfabeto latino"; e' evidente che e' difficile

immmaginare come questo ordinamente possa avere qualcosa a che fare con un

eventuale ordinamento del contenuto delle voci o dei lemmi. E' semmai

interessante osservare lo strano fenomeno per cui la tradizione occidentale ha

elaborato soltanto queste due forme di organizzazione del testo che si collocano

agli estremi opposti: o un organizzazione completamente lineare a tutti i livelli o

una completa assenza di organizzazione. Esamineremo poi le ragioni di cio'.

L'ipertesto e' invece schematizzato nella figura seguente.

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Ciascuno dei micro-testi (rappresentati dai rettangoli) prende il nome di "nodo".

Esso contiene uno o piu' "ancore" (o "hot-words") che hanno un "legame" con un

altro nodo: cio' significa che raggiunta l'ancora si puo' (ma non si deve) attivare il

legame e passare cosi' all'altro nodo. Un determinato ipertesto e' quindi definito

non soltanto dall'insieme dei nodi (quindi dei micro-testi che contiene), ma anche

dall'insieme delle ancore e dei legami.

E' facile constatare come questo tipo di struttura non sia lineare: i nodi non sono

ordinati lungo una singola dimensione prima-poi e non vi e' unidirezionalita.

Chiariamo bene questo punto: e' vero che una singola "lettura" (o "istanza"), o,

come si dice comunemente, un certo "percorso", di un ipertesto e' un percorso

lineare, ma e' proprio il fatto che nello stesso ipertesto sono possibili ("attuabili")

un elevato numero di questi percorsi, tutti diversi tra loro, che ne definisce la sua

struttura intrinseca come non lineare. Cio' infatti non e' possibile nel testo

tradizionale dove l'ordinamento dei nodi e' uno solo e uno solo e' il percorso. E

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infatti, come si puo' facilmente constatare, nell'ipertesto non vi sono ne' un punto

d'inizio ne' un punto di fine intrinseci.

Al tempo stesso l'ipertesto non e' cosi' destrutturato come il dizionario o

l'enciclopedia. In questi ultimi, come abbiamo appena visto, non vi e' alcun

ordinamento intrinseco dei nodi: e' possibile il passaggio da qualunque nodo a

qualunque altro nodo. Tra i due estremi, quello della strutturazione lineare

univoca del testo tradizionale e quello della completa assenza di strutturazione del

dizionario/enciclopedia, l'ipertesto si colloca in mezzo: vi e' una certa

strutturazione (non si puo' accedere da un nodo a qualunque altro nodo) ma essa

non e' linearmente univoca.

Le conseguenze di questa diversa possibilita' di strutturazione sono moltissime da

tutti i punti di vista: ne esamineremo alcune tra le piu' importanti nell'ultima

sezione [4].

Ora pero' vale la pena di proseguire e domandarsi subito: e' vero; sono possibili

molte strutture diverse, ma quali e soprattutto con quali criteri e a che scopo

costruirle? Qui ci avviciniamo invece al piu' grosso limite della attuale teoria

dell'ipertesto (e, di conseguenza, anche alla sua pratica). Diciamo semplicemente

che non e' stata a tutt'oggi formulata una base di principio che permetta di

rispondere, anche soltanto in via teorica, a queste domande. Le strutture

effettivamente costruite fino ad oggi appaiono empiriche e piu' che altro fondate

sul buon senso o su una non meglio specificata base intuitiva: si riconosce, il piu'

delle volte, "che cosa sembra andare meglio con che cosa".

Cio' che sembra catturare maggiormente l'attenzione sia dei teorici che dei

praticanti (e d'altra parte e' prevedibile, agli inizi) e' piu' che altro la "liberta'" che

il sistema permette (liberta' rispetto alla tradizionale organizzazione obbligata) e

l'enfasi e' conseguentemente posta su tutto cio' che si "puo' fare", sulle molteplici

possibilita' di costruzione, piu' che su quello che "e' opportuno" o "e' utile" fare.

Accade cosi' spesso che i vari sistemi si confrontino piu' che altro sul numero dei

features che offrono (piu' finestre, piu' tipi di legami, piu' flessibilita' di selezione,

ecc.) anziche' sulla adeguatezza di certe strutture e meccanismi per determinati

scopi.

Per avvicinarci invece al problema di dare un fondamento teorico alla costruzione

di strutture non lineari che il concetto di ipertesto rende possibili consideriamo di

nuovo la forma destrutturata dizionario/enciclopedia. Prendiamo i lemmi-nodi che

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lo costituiscono e aggiungiamo ad essi dei "legami": all'interno del lemma

scegliamo una parola "rilevante" del lemma stesso (in qualche senso di questo

termine) e mettiamola in corsivo o facciamola seguire da un "v." tra parentesi. Se

la parola prescelta corrisponde all'entrata di un altro lemma anch'esso nel

dizionario (e la si puo' chiamare allora "ancora") abbiamo stabilito un "legame"

con un altro "nodo". Se usiamo questo meccanismo con una certa frequenza,

costruiremo una fitta rete di legami tra ancore e nodi, proprio come nella

definizione dell'ipertesto.

Ma, si dira' a questo punto, questo e' il tradizionale meccanismo della cross-

reference! Allora dov'e' la novita'? E' presto detto: manca un solo passo:

eliminiamo ora completamente l'ordine alfabetico delle entrate, di modo che si

possano accedere i nodi solo attraverso i legami; abbiamo allora un vero ipertesto.

Ma se basta solo questo per ottenere un ipertesto non stiamo facendo passare per

nuovo, dandogli un altro nome, qualcosa che e' vecchio tanto quanto la "cultura

testuale", soprattutto visto che abbiamo gia' detto che l'ordine alfabetico non

rappresenta proprio nessun ordine intrinseco del testo dizionario/ enciclopedia?

Eppure, proprio quest'ultimo passo, apparentemente insignificante, rappresenta

tutta la differenza e tutto il problema dell'ipertesto. Il perche' e' facilmente

spiegato: il meccanismo della cross-reference, come dice il nome stesso ("cross")

rappresenta una trasgressione, un livello parassitario di struttura rispetto ad un

altro ordine e ad un'altra struttura di riferimento che organizza propriamente il

testo, ed ha ragione di essere solo in rapporto ad esso: esso "attraversa" appunto

(nel senso di far saltare) l'ordinamento principale precostituito del testo.

E' facile capire come cio' valga nel caso di un normale testo lineare: il legame di

cross-reference interrompe l'ordinamento lineare del testo e fa saltare direttamente

al punto cross-referenziato. Ma, anche se e' un po' piu' difficile da capire, cio' vale

ugualmente nel caso del dizionario/ enciclopedia: benche' perfettamente

estrinseco e' l'ordine alfabetico la struttura principale di ordinamento testuale cui

la cross-reference si oppone. Ovvero essa si oppone, e da cio' trae il suo valore

aggiunto specifico, al "disordine" alfabetico: non e' un paradosso se si riflette

sulla presupposizione che e' alla base del "disordine" alfabetico.

La presupposizione e' che chi "legge" un dizionario o un enciclopedia sappia

esattamente cosa vuole sapere, al punto che e' in grado di reperire l'informazione

che invece gli manca a partire da una sola parola rilevante. Se questo e' ovvio per

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i dizionari veri e propri (che informano proprio su parole) non lo e' per le forme

affini dell'enciclopedia o dizionario- enciclopedico. Il fatto e' che l'enciclopedia

(al contrario del manuale) e' fatta per chi ha gia' costruito nella sua mente la

strutturazione propria di un certo campo di conoscenze, e deve solo riempirne

alcuni "buchi", per cosi' dire, o "appendervi" altre informazioni di completamento

o espansione. A questo scopo puo' benissimo adoperare una ricerca per parole-

chiavi. Di qui il fatto che l'enciclopedia non si "legge" ma si "consulta".

Dunque il legame cross-referenziale si oppone in questo caso a questa

presupposizione: e infatti fornisce un accesso "guidato", "legato", "condizionato",

ecc. alla successiva informazione e non libero come quello dell'ordine alfabetico.

Se quindi togliamo l'ordine alfabetico, noi eliminiamo completamente questo

accesso libero e la presupposizione che ne e' alla base (si osservi che le voci non

legate da legame cross-referenziale sparirebbero: sarebbero cioe' inaccessibili):

non avremmo inoltre piu' nessun motivo per conservare le voci come sono, dato

che esse sono state pensate per una ricerca per parole-chiave.

Insomma il cambiamento sarebbe radicale. Ma cio' che piu' ci interessa in questo

momento e' che la cross-reference cesserebbe di essere quello che e': e cioe', un

ordine di struttura che si oppone (o, per essere piu' neutri, si sovrappone) ad una

struttura data. Ne consegue che essa stessa dovrebbe diventare invece la struttura

organizzativa portante.

Il limite della attuale teoria ipertestuale e' proprio qui: non si e' sviluppato alcuna

base di principio, teoricamente motivata, per costruire simili strutture portanti al

di fuori e al di la' dell'organizzazione lineare. Ragione per cui nella attuale pratica

degli ipertesti si confonde "liberta'" di organizzazione, che dovrebbe significare

"possibilita'", con semplice "licenza" [5].

E' qui che interviene, a nostro giudizio, in maniera cruciale il riferimento ad altri

media: esso consente di superare questo limite e poter cominciare a formulare una

teoria dell'organizzazione strutturale non dipendente da quella testuale. Questa e'

la ragione per cui la combinazione di ipertesto e multimedialita' non e'

semplicemente una somma dei due concetti, come si pensa comunemente; ed e'

qui la ragione per cui l'ipermedia non e' (banalmente) un ipertesto i cui nodi sono

costituiti da materiale di altri media. Vediamo perche'.

Innanzitutto e' molto difficile concepire organizzazioni strutturali della

comunicazione diverse, esplicite e motivate, rimanendo esclusivamente all'interno

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dell'organizzazione testuale (come di fatto cercano di fare gli ipertesti "puri") [6].

Il limite e' sempre lo stesso: la essenziale unidimensionalita' del modello

linguistico. Per uscire da questa unidimensionalita', non soltanto come "fuga" o

"opposizione" ma costruendo alternative motivate bisogna innanzitutto avere ben

chiare le opportunita' offerte dalle forme non unidimensionali.

Ora, i media non testuali conoscono bene e adoperano una serie di organizzazioni

simboliche spaziali e figurative (oggetti che vanno sotto i nomi di diagrammi,

schemi, grafici, mappe, piante, ecc.) la cui caratteristica comune e' proprio quella

di creare organizzazioni pluridimensionali. E' dunque a questo mondo che bisogna

guardare per avere innanzitutto un quadro delle possibilita' di organizzazioni

strutturali alternative. Ovviamente cio' non basta: abbiamo fatto un passo avanti,

in quanto possiamo ora avere un'idea precisa di possibili organizzazioni non

lineari, ma restiamo ancora, appunto, nel dominio delle possibilita': quali di

queste forme attuare a seconda dei compiti che la comunicazione deve svolgere?

Per rispondere a questo interrogativo in maniera generale e di principio dobbiamo

affrontare il problema del rapporto tra struttura della comunicazione e struttura

del contenuto da comunicare, che sara' appunto l'oggetto della prossima sezione.

Intanto tiriamo un po' le somme delle analisi fatte fino a questo punto proponendo

quest'altra approssimazione al concetto di ipermedia:

L'INTEGRAZIONE DEI MEDIA IN IPERMEDIA (di cui alla definizione

precedente) NON CONSISTE NELLA PRESENZA DI NODI IPERTESTUALI

APPARTENENTI A MEDIA DIVERSI (senso banale) MA NEL MUTUARE

DA ALTRI MEDIA NON TESTUALI PROPRIO L'ORGANIZZAZIONE

STRUTTURALE DELLA COMUNICAZIONE

Vedremo nella quinta sezione come possa avvenire questo.

4. Struttura delle conoscenze e struttura della comunicazione

Per introdurre questo discorso, partiamo di nuovo dalla forma piu' classica e

diffusa (perlomeno fino a tempi recentissimi) di strutturazione della

comunicazione, vale a dire quella testuale e dunque lineare (nel senso definito

sopra di unidimensionale e unidirezionale) e domandiamoci perche' e' cosi' fatta.

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Ricordiamo che abbiamo gia visto come la strutturazione lineare a tutti i livelli

(che per brevita' denomineremo panlineare) non sia necessaria: solo i microlivelli

di strutturazione del linguaggio verbale sono necessessariamente lineari.

Due risposte sono meritevoli di considerazione:

(a) la panlinearita' e' dovuta a fattori "intrinseci", vale a dire che essa pur non

essendo l'unica forma possibile e' la forma piu' "appropriata" a veicolare in genere

i suoi contenuti;

(b) la panlinearita' e' dovuta a fattori invece "estrinseci", di qualunque natura, vale

a dire fattori che non riguardano il rapporto tra cio' che si deve comunicare e la

forma in cui lo si comunica.

Ora, non vi e' dubbio che in alcuni casi la forma lineare e' "appropriata" al

contenuto da veicolare. Il caso prototipico puo' essere considerato quello del

"racconto". Se per racconto intendiamo la narrazione di avvenimenti che si

svolgono nel tempo, dove la struttura organizzante i contenuti e' quindi la

dimensione temporale, allora ovviamente una struttura della comunicazione

lineare e' appropriata: lo e' perche' i contenuti stessi sono intrinsecamente

organizzati unidimensionalmente e unidirezionalmente, dunque la forma che li

veicola non fa che riprodurre la medisima organizzazione. Domandiamoci pero'

cosa avviene per altri contenuti; ad esempio, quelli che rappresentano campi di

conoscenza piu' o meno strutturati teoricamente o fattualmente, quali ad esempio,

chimica, biologia, geografia, storia, fisica ecc. Appare chiaro che, anche a

prescindere da specifiche e precise proposte in merito, questi campi di conoscenza

non sono linearmente strutturati.

Quando si "conosce" la fisica non si ha certo a disposizione una successione di

capitoli nei quali andare a rintracciare il frammento lineare appropriato da

applicare al caso. Si ha invece a disposizione qualcosa di piu' simile ad una

struttura multidimesionale simultanea che connette le varie informazioni in modo

estremamente complesso. Ma anche quando si "conosce" la zoologia non si

accedono i capitoli successivi di un "libro" di zoologia immagazzinato nella

mente: la posizione tassonomica di una forma animale, la sua morfologia, le sue

relazioni filogenetiche, il suo comportamento sono informazioni organizzate

piuttosto in una rete di interconnessioni multiple; anche in questo caso, dunque,

una strutturazione simultanea, anche se presumibilmente di tipo piu' semplice (e

forse anche qualitativamente diverso) rispetto al caso precedente.

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E' evidente che la risposta al perche' della panlinearita' va cercata quindi in fattori

estrinseci.

Non e' difficile convincersi, esaminando il corso del processo storico, che essa e'

in particolare legata alla evoluzione tecnologica; e' questa, infatti, che determina

fondamentalmente la comparsa e i caratteri di quella che diventera', in

determinate culture e per un determinato periodo storico, la forma di gran lunga

dominante di trasmissione delle conoscenze, vale a dire la "forma-libro".

Essa e' il risultato di un lungo e tortuoso (e per molti apetti, accidentale) intreccio,

con molteplici influenze reciproche, tra scoperte "concettuali" (modi possibili di

trascivere il linguaggio verbale: pittografico, sillabico, alfabetico) e

implementazioni tecnologiche possibili di queste scoperte (la tecnologia dei mezzi

e dei supporti per trascrivere): "Lo sviluppo della scrittura e' sempre stato legato

alla natura del materiale a disposizione e dei mezzi per segnarla" scrivono due

studiosi di storia della tecnologia (Derry & Williams, 1968; p.253)

Non e' questo il luogo per esaminare in dettaglio questa lunga e complessa storia

(del resto ben nota e documentata); per averne un'idea bastera' questo passo tratto

dalla storia della tecnologia gia' citata:

"In origine, per i documenti lunghi si cucivano insieme fogli rettangolari di

pergamena in lunghe strisce che si potevano arrotolare, allo stesso modo come

erano stati ingommati i fogli di papiro [da parte degli egiziani]. Ma all'inizio del

secondo secolo d.C., si comincio' a piegare un grande foglio rettangolare, si' da

formare pagine di varie misure da rilegare insieme per ottenere un codice o libro

nel senso moderno. La parola "volume" - dal latino volumen, rotolo - cosi' come il

titolo del Capo dell'Archivio di Stato inglese (Master of Rolls), ricorda che il libro

era originariamente uno scritto che il lettore arrotolava, ma la nuova forma era

piu' facile da maneggiare; essa fu specialmente favorita dai primi cristiani, che

pare l'inventassero in Egitto per avere piu' d'una scrittura sacra nello stesso libro.

Un volume di proporzioni molto modeste, duecento pagine in quarto, in

pergamena, richiedeva pero' la pelle di non meno di dodici pecore, cosicche' per

molto tempo lo scrivere costo' assai meno del materiale"(p.270).

Come si vede, e' il particolare supporto (papiro, pergamena) e mezzo (segni ad

inchiostro), usato originariamente dagli egiziani, per la trascrizione (anziche'

pietra o tavola con segni incisi) che origina il prototipo di questa forma. Ed essa si

evolvera' fino ad occupare il posto che tutt'oggi occupa grazie ad altre due

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innovazioni tecnologiche: l'adozione della carta come supporto e quello della

stampa a caratteri mobili.

"La produzione di libri nei primi cinquant'anni dopo questa scoperta [la stampa]

fu quasi certamente maggiore che non nei mille anni precedenti...Nel 1450 la

stampa era ancora agli inizi, ma verso il 1500 v'erano gia' 40000 edizioni

catalogate di libri" (p.272-278).

Nulla da meravigliarsi quindi, alla luce dello straordinario sviluppo della forma-

libro, se la strutturazione comunicativa che essa comporta, vale a dire la

panlinearita', si affermera' come il tipo di gran lunga dominante e pressoche'

esclusivo di organizzazione comunicativa [7].

L'esame storico e' utile soprattutto per cambiare prospettiva: le forme in cui siamo

immersi vengono troppo spesso considerate come date, immutabili, necessarie ed

invece si rivelano il prodotto di una serie improbabile o irripetibile di

innumerevoli accidenti. Siccome pero', perlomeno negli ultimi trentanni, abbiamo

assistito ad un'altra serie di straordinari sviluppi tecnologici, che investono,

guarda caso, proprio i medesimi fattori che hanno determinato l'apparire e il

dominio della forma libro (fattori come i canali della comunicazione e i suoi

stessi supporti che, come abbiamo visto, tanta importanza hanno avuto nel

passato), e che hanno determinato la possibilita' di un uscita dalla forma esclusiva

o, perlomeno di una competizione inter pares tra i vari canali e forme di

organizzazione della comunicazione, proviamo a porci in astratto, vale a dire

come se non esistessero condizionamente di storia e tradizione, il problema della

struttura della forma comunicativa in rapporto ai contenuti che essa veicola.

Possiamo schematizzare questo rapporto nel modo raffigurato nella figura

seguente:

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KS (Knowledge Structure) e' la struttura propria del campo di conoscenza;

diciamo, in prima approssimazione, che KS e' il modo in cui e' strutturato un certo

campo di conoscenze nella mente di chi lo conosce e lo puo' utilizzare.

Semplificando alll'osso per far cogliere il punto essenziale, trasmettere

conoscenza, dal punto di vista di chi conosce, o apprendere conoscenza, dal punto

di vista di chi non conosce, significa far si' che KS "passi" dalla mente di chi

conosce (in alto nella figura) alla mente di chi non conosce (in basso nella figura).

Siccome la tecnologia non ha ancora inventato nulla che consenta questo

passaggio "direttamente" (ad esempio, con una operazione di impianto nella

mente del ricevente), attualmente esso puo' avvenire solo attraverso il processo di

comunicazione.

Il processo di comunicazione dipende, tuttavia, dal/dai medium/media

comunicativo che si adopera, nel senso che, ciascun medium ha, a determinati

livelli, una propria strutturazione intrinseca; in altre parole, KS deve essere

"codificato" in base alle regole appunto del codice che si adopera per comunicare.

In questo senso possiamo dire che la struttura del campo di conoscenza, KS, deve

essere "tradotta" o, per usare un termine piu' appropriato, "proiettata", nella

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struttura della comunicazione, CS (Communication Structure). Siccome cio' che

"passa" fisicamente da un soggetto all'altro e' solo CS, questa proiezione deve

essere fatta in modo che, all'inverso, il ricevente possa ricostruire KS a partire da

CS, possa cioe' ritradurla indietro o eseguire il processo di mappatura inversa.

Proviamo ad illustrare questo processo con esempi concreti e familiari.

Se io conosco la tassonomia evoluzionistica della biologia e voglio farla

apprendere devo servirmi di uno strumento comunicativo: potrei pensare di

scrivere un libro (un "manuale") dal quale la si possa apprendere. Siccome la

forma testuale e' panlineare, cio' significa che io dovro' proiettare la struttura

propria del campo di conoscenza (qualunque essa sia) in una struttura

unidimensionale e unidirezionale; cio' significa, precisiamolo bene, che dovro' in

qualche modo tradurre i rapporti che definiscono la struttura del campo di

conoscenza in rapporti di prima-dopo, in modo che il destinatario possa,

possibilmente senza ambiguita' ed errori, ricostruire dai rapporti prima/dopo i

rapporti di qualunque tipo che costituiscono la struttura del campo di conoscenza.

In questa doppia opera di traduzione e ricostruzione sta tutta la difficolta' dello

"scrivere" adeguatamente (da parte di chi insegna) e del "capire" correttamente

(da parte di chi impara).

Chiunque abbia provato a scrivere un testo, un manuale, sa benissimo di cosa

stiamo parlando; non importa quanto bene si conosca e si domini il campo di

conoscenza, le difficolta' sono sempre notevoli, e, se si riflette, ci si rendera' conto

che esse sono soprattutto connesse alla forma lineare: cosa dire prima e cosa

dopo, e soprattutto, come "forzare" in questo prima/dopo qualcosa che di per se'

non ha questa forma in modo da essere sicuri che il lettore vi ricostruisca

correttamente proprio quei rapporti che abbiamo forzato. L'abilita' e la capacita' di

uno "scrittore" sta proprio nella bonta' di questa traduzione, vale a dire nel quanto

facilmente e adeguatamente riuscira' a consentire al lettore l'opera di ritraduzione.

D'altra parte, quando noi diciamo che il lettore "capisce" non intendiamo certo

dire che capisce cio' che e' scritto (il che e' ovvio, se conosce la lingua e il lessico

utilizzato nello scritto) ma piuttosto che e' riuscito a compiere l'operazione di

ricostruzione: e' riuscito cioe' a passare correttamente da CS a KS. La suggestiva

differenza che si fa tradizionalmente tra "capire" e "imparare a memoria" esprime

proprio lo scarto tra KS e CS: noi diciamo che qualcuno ha "imparato a memoria"

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proprio per sottolineare che cio' che ha appreso e' la forma comunicativa, vale a

dire CS, e che non e' stato capace di ricostruire da essa KS.

Se impostiamo il problema centrale del rapporto tra KS e CS in questo modo ne

possiamo ricavare alcune conseguenze molto importanti. Due in particolare ci

interessano in questo contesto:

CS sara' tanto piu' adeguata quanto piu' facilmente permettera' di ricostruire KS,

vale a dire quanto piu' semplice, trasparente e immediata sara' la relazione che la

lega a KS;

dunque:

LA STRUTTURA DELLA COMUNICAZIONE (CS) SARA' TANTO PIU'

ADEGUATA QUANTO PIU' ESSA RISULTERA' ISOMORFA ALLA

STRUTTURA DEL CAMPO DI CONOSCENZA (KS) CHE DEVE

VEICOLARE

L'isomorfismo (o l'approssimazione all'isomorfismo) tra CS e KS e' la chiave di

volta della efficacia del processo di comunicazione e del processo di

apprendimento, in quanto semplifica o rimuove la difficolta' fondamentale di

questi processi: la traduzione tra CS e KS.

Se potessimo strutturare la comunicazione in modo identico a come e' strutturato

il campo di conoscenza che essa veicola allora l'organizzazione propria di

quest'ultimo apparirebbe a prima vista, in superficie, dal solo "guardare" CS: la

trasparenza di CS renderebbe KS di immediata apprensione senza passare

attraverso una ricostruzione simbolico-mentale astratta, cognitivamente ben piu'

complessa [8].

Il problema diventa allora come costruire strutture comunicative che siano il piu'

possibile isomorfe alle strutture dei campi di conoscenza che esse devono

veicolare. E' a questo punto, come dovrebbe ormai essere evidente, che il concetto

di ipermedia, cosi' come siamo arrivati a definirlo nel paragrafo precedente,

diventa cruciale. E' ovvio infatti che finche' la nostra unica forma comunicativa

sara' quella testuale questo obbiettivo non solo non e' raggiungibile, ma non e'

neanche lontanamente approssimabile. La forma testuale ha infatti, come abbiamo

visto, una sua rigida struttura che e' quella panlineare, ragion per cui essa si adatta

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bene solo a quegli eventuali campi che abbiamo essi stessi una struttura lineare:

molto pochi, probabilmente [9].

Di contro la possibilita' di "mutuare da altri media non testuali proprio

l'organizzazione strutturale della comunicazione", come abbiamo scritto nella

definizione data nel paragrafo precedente, potrebbe permetterci di costruire

strutture della comunicazione "adattate", e cioe' tendenti all'isomorfismo, a quelle

del campo di conoscenza da veicolare. Il modo in cui questo puo' avvenire sara'

esaminato attraverso alcuni esempi nel paragrafo seguente.

5. Altre forme di strutturazione comunicativa

Si consideri il diagramma riportato qui di seguito.

0

20

40

60

80

100

120

140

160

80 81 82 83 84 85 86 87 88 89 90

Anni

Uni

tà p

rodo

tte

Un semplice sguardo alla figura ci permette di capire immediatamente i fatti

essenziali relativi al campo che il diagramma rappresenta, in questo caso

l'andamento della produzione nel corso degli anni. Apprendiamo istantaneamente

che la produzione di ciascun anno e' superiore a quella dell'anno precedente per

tutti gli anni indicati; capiamo, inoltre, che non soltanto la produzione aumenta di

anno in anno ma che gli incrementi stessi di produzione, vale a dire il quanto

aumenta ogni anno, aumentano essi stessi di anno in anno (se fossero uguali

vedremmo una linea retta); infine capiamo anche che questi stessi incrementi

diventano particolarmente notevoli nel corso degli ultimi tre anni (le linea subisce

un'impennata).

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Abbiamo volutamente scelto un "campo di conoscenza" molto semplice, sia come

contenuto che come struttura: l'andamento di una produzione nel corso degli anni.

Tuttavia si provi ora a "comunicare" questo stesso campo servendosi della

consueta forma linguistico-testuale. Si provi cioe' a verbalizzare in un testo gli

stessi fatti costituenti il campo in questione.

"La produzione del 1980 e' stata di 2 unita', mentre e' passata a 3 nel 1981, con un incremento di 1 unita'. E' poi passata a 5 nel 1982 con un incremento di 2unita' rispetto all'anno precedente, a 8 el 1983 con un incremento di 3 unita', a 13 nel 1984 con un incremento di 5 unità sempre rispetto all'anno precedente, a 26 . . . . si puo' quindi osservare che non soltanto la produzione e' costantemente aumentata ma i suoi incrementi annuali sono anch'essi sempre aumentati nel corso di questi dieci anni 10 anni e che infine lo stesso ritmo di aumento degli incrementi si e' sensibilmente elevato negli ultimi tre anni"

E' facile rendersi conto dello scarto esistente tra le due forme di comunicazione.

Se non si e' convinti, si provi ad offrire le due alternative a vari lettori e si

domandi loro quale delle due e' piu' comprensibile, chiara, accessibile, semplice,

immediata, ecc: insomma con quale delle due si capisce meglio e con maggiore

facilita'. Il diagramma comunica in forma molto piu' efficace e semplice i fatti del

campo in quanto ne rappresenta direttamente e in maniera trasparente la struttura,

le relazioni fondamentali che costituiscono la comprensione e la conoscenza del

campo stesso. Nella nostra terminologia, diremmo che il diagramma in questione,

e cioe' la struttura della comunicazione, e' isomorfa a quella del campo di

conoscenza.

Si osservi che, come predetto, questo rende sia piu' facile la traduzione da KS a

CS, sia enormemente piu' facile la ricostruzione di KS a partire da CS. Il primo

processo infatti si presenta come indeterminato e arbitrario, se scegliamo come

CS una struttura che non ha la possibilita' di essere isomorfa a KS, come quella

testuale. Al posto della verbalizzazione riportata sopra, infatti, se ne possono

scegliere molte altre; ad esempio:

"La produzione e' costantemente incrementata nel decennio 1980-90, passando da 2 a 3 a 5 a 8 . . . a 150 unita', rispettivamente in ciascun anno. Gli incrementi sono andati anch'essi costantemente aumentando nel corso dei dieci anni, passando da 1 unita' tra il primo e il secondo anno a 2 tra il secondo e il terzo, a 3 tra il terzo e il quarto . . . Particolarmente sensibili sono stati gli incrementi degli ultimi tre anni"

Non e' ovvio come scegliere tra queste alternative possibili in quanto cio' che si

guadagna con una si perde con l'altra e viceversa. Cio' e' dovuto al fatto di dover

forzare KS nella forma lineare: non vi e' modo di farlo non arbitrariamente e

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univocamente. Nel caso del diagramma invece la mappatura tra le due strutture e'

univoca e non arbitraria.

Dal punto di vista del secondo processo, poi (quello del ricevente), la forma

lineare impone una specie di "attesa": bisogna ricostruire dei pezzetti parziali

(l'incremento annuale), immagazzinarli in sospeso fino alla fine del testo e poi

operare su essi (confrontarli in successione) per ricostruire mentalmente la

struttura completa delle relazioni che costuiscono KS.

Nulla di tutto cio' avviene quando invece si usa il diagramma: la struttura delle

relazioni e' accessibile tutta insieme e simultaneamente, in quanto si lavora

contemporaneamente su piu' dimensioni, anziche' su una sola come nel caso del

testo.

Vi sono, inoltre, una serie di importanti conseguenze di questo altro modo di

decodificazione, cioe' di passaggio da CS a KS, sul cui significato torneremo in

seguito.

La prima e' che, essendo usciti dalla unidimensionalita' del testo, non vi sono piu'

un inizio e una fine di "lettura" univoci e prestabiliti, e dunque uguali per tutti i

lettori. Ciascun lettore puo' "spaziare" a piacere in qualunque direzione. La

seconda e' che, proprio per questo motivo di liberta' e di scelta, il processo di

lettura tende ad essere piu' "attivo": il lettore non viene piu' portato dall'ordine

lineare passivamente ma deve decidere dove e come muoversi. Vedremo poi

come queste caratteristiche abbiano un importanza capitale nell'ambito dei

processi di apprendimento.

Abbiamo dato un esempio per mostrare in concreto (ovviamente con casi minimi

di campi di conoscenza, ma l'operazione puo' compiersi per qualunque campo, a

condizione naturalmente di riuscire a determinarne con sufficiente chiarezza la

struttura) come si possa "mutuare da altri media l'organizzazione strutturale della

comunicazione" in modo da realizzare il piu' possibile l'isomorfismo tra KS e CS.

Questo fa nascere l'esigenza di esaminare un po piu' da vicino e in termini piu'

generali la natura intrinseca dei media dal punto di vista del loro poter prestarsi ad

offrire organizzazioni comunicative adeguate alle organizzazioni intrinseche dei

campi di conoscenza. E' cio' che faremo nella prossima sezione.

6. Breve analisi dei media

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Una classificazione convenzionale e diffusa dei media in base alle loro

caratteristiche e' quella riportata nella tabella 1.

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Tab.1________________________________________________________

· scritto (permanente)Linguaggio verbale:

· parlato (evanescente)

· fisseImmagini:

· in movimento________________________________________________________

Si divide innazitutto il linguaggio verbale dal "linguaggio" delle immagini e,

secondariamente, ciascuna di queste due categorie in due sottotipi. Il linguaggio

verbale puo' essere scritto o parlato, in cui la principale cartteristica distinguente

e' quella della permanenza, per lo scritto (vale a dire la possibilita' di "tornare

indietro", "rileggere", "fare pause", ecc), rispetto alla evanescenza del parlato (che

va invece processato immediatamente, e dunque immediatamente compreso, ed

eventualmente mentalmente immagazzinato e ricordato). Le immagini vengono

invece suddivise a seconda della loro natura temporale o meno: immagini fisse

(che possono quindi utilizzare una varieta' di supporti tra cui quello,

tradizionalmente importantissimo, cartaceo) e immagini in movimento che, fino a

poco tempo fa, necessitavano di un supporto speciale (la pellicola filmica); e'

interessante notare che il mezzo elettronico (sia analogico che digitale) ha

obliterato questa distinzione di supporto.

Questa classificazione e' del tutto "esterna" e quindi non e' adeguata per i nostri

scopi: essa non fornisce alcuna indicazione sulla funzione che i diversi media

possono ricoprire nella organizzazione comunicativa; dobbiamo quindi ripensarla

in termini piu' "intrinseci".

Cominciamo allora con una distinzione molto generale e consideriamo il rapporto

dei media, e cioe' dei "mezzi", con "cio' di cui sono mezzi", per cosi' dire, e cioe'

il contenuto che veicolano (o, equivalentemente, il rapporo dei mezzi con la

"realta'", se di quest'ultima si da' una definizione piuttosto ampia, includendo, ad

esempio, realta' immaginate o pensate). Vi sono due tipi fondamentali di rapporto:

alcuni mezzi "presentano", altri "codificano"; alternativamente (e

equivalentemente) alcuni mezzi "riproducono", altri "simbolizzano".

Esempi ne abbiamo gia' visti: una fotografia di un ambiente si rapporta

all'ambiente reale presentandolo o riproducendolo, una pianta, sul tipo di quella in

francesco, 03/01/-0001,
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fig. 5, vi si rapporta codificandolo o simbolizzandolo. Nella fotografia io vedo

l'immagine del divano, nella pianta io vedo un simbolo (un certo rettangolo

suddiviso in quadratini, ecc.) e, se conosco le convenzioni del codice, ricostruisco

che si tratta di un divano. Da questo punto di vista e' evidente che il linguaggio

verbale (parlato o scritto) e' un mezzo simbolico (per ricostruire cio' a cui si

riferisce devo conoscere le convenzioni del codice: lessico e sintassi della lingua),

mentre il filmato e' un mezzo non simbolico: esso riproduce la realta'. Divideremo

dunque i media innanzitutto in "simbolici" e "non-simbolici" (o "riproduttivi").

In secondo luogo ci interessa esaminare i media dal punto di vista della loro

organizzazione strutturale intrinseca. Vi sono dei media che sono intrinsecamente

organizzati in modo lineare, vale a dire che, indipendentemente dal modo in cui

comunicano, i loro componenti devono essere inerentemente disposti (ad uno o

piu' livelli) unidimensionalmente e unidirezionalmente. Chiameremo questi media

"lineari", e "non-lineari" quelli che invece permettono organizzazioni non

necessariamente unidimensionalmente e unidirezionalmente ordinate.

Appartengono al primo tipo tanto un medium simbolico come il linguaggio,

quanto un medium non simbolico come il filmato. Naturalmente esistono forme

comunicative che pur non essendo necessariamente lineari possono essere

linearmente organizzate (ad esempio, il "carosello" di diapositive), mentre non e'

vero il viceversa: forme comunicative intrinsecamente lineari non possono

(almeno ad alcuni livelli) non essere linearmente organizzate. Questa

classificazione, ben diversa da quella esterna vista precedentemente, puo' essere

riportata nella seguente tabella.

Tab. 2_______________________________________________________________________ Simbolico Non-simbolico

(pan)lineare linguaggio verbale filmato(scritto e parlato)

non-lineare diagrammi, mappe immagini riproduttivepiante, ecc. (diapositive, fotografie)

_______________________________________________________________________

Va detto che quello che abbiamo operato e', naturalmente, solo un embrione di

classificazione: vi sono molto altre forme che andrebbero analizzate e distinte,

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mentre le stesse specifiche categorie utilizzate nella tabella 2 sono ancora troppo

grossolane. Tuttavia riteniamo che le due dimensioni generali alla base della

nostra classificazione, e cioe' quella relativa alla simbolicita' o meno del mezzo

[10] e quella relativa alla sua organizzazione intrinseca, siano corrette e

significative e che possono non solo sistemare adeguatamente anche le altre

forme, ma che ne rivelino interessanti caratteristiche.

Ad esempio, lungo la dimensione della organizzazione interna, potremmo avere

una categoria "tridimensionale" (anziche' semplicemente "lineare" e "non-

lineare"): i modelli in plastica o legno, del tipo di quelli usati in architettura,

appartengono evidentemente alla categoria dei "non-simbolici". A questo punto la

nostra classificazione ci porta automaticamente a domandarci se esistano e quali

siano dei mezzi di questa classe "tridimensionale" che siano invece di tipo

"simbolico". La risposta e' affermativa e ci fa capire al tempo stesso una sottile

distinzione in questo generico insieme di modelli plastici: sono di tipo simbolico,

ad esempio, il modello di un atomo o quello della struttura di una proteina in

termini dei suoi componenti molecolari [11].

In questo modo si potrebbe altresi' analizzare una vasta fenomenologia di altri

oggetti comunicativi, quali il filmato di animazione, il modello tridimensionale

(animato e non) al CAD, ecc. il che pero' non rientra certamente nei limiti di

questa "breve analisi", ma richiede un lavoro ad hoc [12].

Vogliamo invece ritornare al problema che ci eravamo posti all'inizio e che ci

aveva spinto ad intraprendere questa analisi, e cioe' quali media siano

potenzialmente suscettibili di offrire organizzazioni comunicative adeguate alle

organizzazioni intrinseche dei campi di conoscenza. La classificazione che

abbiamo operato ci offre una risposta del tutto generale e immediata. Sono infatti

le due dimensioni classificatorie che abbiamo isolato quelle su cui si basano i

principi generali, o, per essere piu' precisi, le condizioni necessarie che regolano

la possibilita' di questa adeguatezza (l'effettivo raggiungimento della adeguatezza,

e dunque le condizioni anche sufficienti, sono invece soggette, ovviamente, anche

ad altri parametri di natura empirica). Per la dimensione simbolica:

SOLO I MEDIA CHE ABBIAMO CHIAMATO "SIMBOLICI" POSSONO ESSERE IN

GRADO DI FORNIRE UNA STRUTTURA DELLA COMUNICAZIONE CHE SIA

ISOMORFA ALLA STRUTTURA DEL CAMPO DI CONOSCENZA DA VEICOLARE

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Per la dimensione di struttura intrinseca:

LA LORO ADEGUATEZZA POTENZIALE DIPENDERA', IN LINEA DI PRINCIPIO,

DA QUANTO LE PROPRIETA' DELLA LORO ORGANIZZAZIONE INTRINSECA

SIANO SUFFICIENTI E SI PRESTINO A MODELLARE LA STRUTTURA DEL

CAMPO DI CONOSCENZA

E' evidente la motivazione della prima affermazione. Se dobbiamo rendere

trasparente la struttura del campo di conoscenza, se dobbiamo cioe' farla apparire

in superfice attraverso la struttura della comunicazione, quest'ultima deve poter

fungere essa stessa da simbolo: vale a dire che le sue relazioni interne "staranno

per", "rappresenteranno", le relazioni del campo di conoscenza; dunque il mezzo

deve essere simbolico. Nel diagramma, ad esempio, le due dimensioni,

orizzontale e verticale, rappresentano le due quantita' produzione e tempo e la

linea che tracciamo i loro valori corrispondenti.

Ne consegue un corollario molto importante: mentre tutti i media possono

prestarsi a veicolare i contenuti specifici di un campo di conoscenza, solo quelli

simbolici possono essere in grado di veicolarne la struttura. Nella classica

terminologia ipertestuale cio' equivale ad affermare che mentre tutti i media

possono costituire i "nodi" di un ipertesto, solo quelli simbolici possono aspirare a

veicolare la struttura dei "legami" (quando questa non sia ovviamente concepita

come del tutto arbitraria, come spesso avviene, come abbiamo rilevato, nella

pratica e nella teoria ipertestuale). Come si vede siamo all'opposto della banale (e

corrente) definizione di ipermedia come "ipertesto i cui nodi appartengono a

media diversi": il contributo cruciale degli altri media e' sui "links" non sui

"nodes".

Quanto alla seconda affermazione, essa rappresenta solo una condizione

necessaria e minimale di "compatibilita'". Se il campo di conoscenza e'

fondamentalmente organizzato come una relazione tra due variabili (per restare

all'esempio precedente) e' evidente che il mezzo comunicativo che si utilizza per

rappresentarne la struttura deve consentire intrinsecamente almeno una

organizzazione bidimensionale della propria struttura. Cio' non vuol dire che

questo riguarda solo i casi semplici, come quelli degli esempi precedenti. Ad

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esempio, la tassonomia biologica e' un campo ben organizzato lungo due

dimensioni concettuali: le relazioni "verticali" del tipo genere-specie e le relazioni

"orizzontali" tra entita' dello stesso livello; e' quindi sufficiente a rappresentarne la

struttura un mezzo che permetta strutture bidimensionali (il cosiddetto "albero"

tassonomico e' infatti una struttura bidimensionale).

Piu' in generale, non e' indispensabile che vi siano sempre, meccanicamente, tante

dimensioni "fisiche" di CS quante sono le dimensioni concettuali di KS. In alcuni

casi una dimensione puo' essere trascurabile o irrilevante (come avviene, per

esempio, nel caso della pianta presentata sopra per la dimensione verticale). In

altri casi vi possono essere dimensioni "principali" che organizzano l'intero campo

e dimensioni "secondarie" che possono presentarsi solo in alcuni settori o essere

subordinate alle prime.

D'altra parte la struttura ipermediale puo' usare mezzi diversi combinati o

"incastrati" insieme, in maniera anche complessa, per adattarsi a queste

circostanze [13]: il punto fondamentale e' sempre che ne risulti trasparente

l'organizzazione concettuale sottostante. Vi saranno, ovviamente, casi in cui si

richiedono necessariamente piu' di due dimensioni: sara' allora interessante

osservare le potenzialita' di quei mezzi simbolici cui abbiamo appena accennato

(per citare un caso semplice, vi sono casi in cui e' indispensabile rappresentare tre

dimensioni contemporaneamente sullo stesso livello: i grafici tridimensionali "a

superficie ondulata" sono una delle possibilita', variamente estendibili). La

seconda affermazione ha dunque anche il valore di un "principio regolatore" nella

scelta dei vari mezzi [14].

Si faccia ben attenzione a non lasciarsi fuorviare dall'uso di termini come

"diagrammi", "mappe", ecc. ed essere portati a pensare che un sistema

ipermediale sia grosso modo equivalente ad un libro con molti schemi illustrativi

o belle e grandi tavole diagrammatiche. Se utilizzati nel modo che abbiamo

delineato, questi oggetti costituiscono la struttura portante e organizzatrice

dell'intero campo (cosi' come la successione dei capitoli, degli argomenti in fila

costituisce la struttura di un testo): al di fuori di essa non vi e' altro. Per campi

minimamente ricchi o completi (e non per i semplicissimi e limitatissimi campi

che abbiamo portato ad esempio) sono quindi delle "proiezioni in grande", molto

piu' articolate, vaste e complesse di quelle mostrate nella sezione precedente.

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Per fare un semplice esempio, il campo della tassonomia biologica con tutte le sue

informazioni dovrebbe essere riportato interamente nella forma di un gigantesco

albero tassonomico [15]. Cio' significa che i contenuti di svariati volumi attuali

dovrebbero essere riportati negli appropriati luoghi fisici dell'albero, riportando

altresi' in quei medesimi punti eventuali sottostrutture proprie degli argomenti

particolari (ad esempio, attraverso meccanismi di "zoom" elettronico,

"sovrapposizione", "apertura", ecc.). La struttura portante sarebbe dunque

concettualmente una semplice struttura bidimensionale, ma nella realta' essa si

articolerebbe su un vasto numero di dimensioni e sottostrutture: qualcosa di ben

lontano dal semplice schema o diagramma illustrativo di supporto che ci e' oggi

familiare.

Ci resta un ultimo, ma importante argomento da affrontare in questo "breviario"

di teoria ipermediale. Abbiamo mostrato come la caratteristica fondamentale e

definitoria dei sistemi ipermediali sia quella di permettere di (e aspirare a)

costruire strutture comunicative che rispecchino direttamente le strutture dei

campi di conoscenza che essi veicolano: al di la' dell'intuitiva facilitazione che

cio' comporta nel processo di comprensione, quali sono piu' specificamente i

vantaggi di un simile tipo di comunicazione nei confronti dei processi di

apprendimento? E' quanto cercheremo di delineare nella prossima sezione.

7. Ipermedia e processi di apprendimento

I punti essenziali che vogliamo esaminare in questa sezione contrastano (per

chiarezza espositiva) i sistemi ipermediali rispetto ai sistemi tradizionali nelle loro

piu' importanti conseguenze (e differenze) sulla strutturazione dei processi di

apprendimento. Essi sono elencati nella tabella 3.

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Tab. 3______________________________________________________________________________ SISTEMI TRADIZIONALI SISTEMI IPERMEDIALI

Apprendimento esplicito Apprendimento implicitoPassività AttivitàRigidità Flessibilità

______________________________________________________________________________

La prima di queste opposizioni e' anche la piu' importante. Riprendiamo la nostra

distinzione tra CS e KS. Osserviamo che KS a seconda del campo di conoscenza

puo' essere piu' o meno complessa, piu' o meno ricca: questa distinzione

corrisponde a quella tra campi "a strutturazione teorica relativamente debole" e

campi a "strutturazione teorica relativamente forte"; ovviamente l'aggettivo

"relativamente" chiarisce che si tratta piuttosto di un continuum. Esempi di questi

ultimi, in vario grado, possono essere considerati i settori della fisica, della

chimica, della biologia molecolare, dell'economia; dei primi, invece, campi come

la geografia, la biologia tassonomico- evoluzionistica, l'anatomia umana, la

patologia animale, ecc.

Un correlato interessante di questa distinzione (che, ripetiamo, e' in realta' una

tendenza lungo un continuum) e' il rapporto tendenzialmente inverso che esiste tra

"importanza", "peso specifico", per cosi' dire, della struttura rispetto ai contenuti

nozionali o fattuali: nei campi a forte strutturazione teorica la struttura del campo

e' prevalente sui contenuti specifici, viceversa nei campi a debole strutturazione

teorica (se si vogliono due esempi-limite, si consideri un settore della matematica

da una parte e uno della geografia "descrittiva" dall'altra). Cio' significa che ai fini

del possesso conoscitivo del campo ("sapere la materia") puo' risultare piu' o

meno preminente il ruolo della struttura rispetto ai contenuti.

Si badi bene, pero', che la relazione tra struttura e contenuti e' asimmetrica: e' al

limite possibile che un campo sia puramente strutturale (pensiamo di nuovo alla

matematica) o che i suoi contenuti siano minimi, sostituibili, o ricostruibili dalle

stesse relazioni strutturali in larga misura (si puo' pensare, ad esempio, alla

dinamica). Non sono invece concepibili campi "contenutistici" privi di struttura:

per quanto semplice, una qualche organizzazione strutturale deve essere presente

(il caso limite di questa bassa strutturazione sono, infatti, proprio quei campi che

solo estendendo il termine possiamo assimilare a campi di conoscenza: ad

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esempio, i racconti di serie di eventi. Comunque anche qui quel minimo di

organizzazione strutturale consistente nella sequenza ordinata del prima/dopo

deve esistere).

Esaminiamo ora alla luce di questa distinzione l'apprendimento, anziche' il

possesso della conoscenza: vale a dire, il processo che a questo possesso dovrebbe

portare. Se la componente fondamentale, o comunque imprescidibile, del possesso

del campo e' KS e' evidente che essa e' l'oggetto di primaria importanza del

processo di apprendimento; possiamo allora dire che apprendere consiste

innanzitutto nel costruire KS. Che questa sia una giusta impostazione (anche se

certamente non esaustiva) del problema dell'apprendimento e' provato da una

serie di considerazioni che da essa scaturiscono.

Innanzitutto la comune nozione di campi piu' o meno difficili da apprendere: se,

come abbiamo ipotizzato e' la costruzione di KS il processo essenziale

dell'apprendimento, allora esso risultera' (si badi bene, ceteris paribus) tanto piu'

difficile quanto piu' il campo e' a prevalenza strutturale, e quanto piu' KS e'

complessa e articolata; viceversa l'apprendimento sara' piu' facile quanto piu' il

campo e' a prevalenza contenutistica, e quanto piu' e' semplice la sua struttura.

Questo e' talmente vero che per campi pochissimo strutturati (prendiamo ancora

una volta il caso limite del racconto di eventi) si fa fatica a parlare di

"apprendimento": si parla semmai, piu' appropriatamente di "ricordo",

sottolineando in tal modo la prevalenza contenutistica e lo scarso ruolo di

costruzione strutturale da effettuare.

In secondo luogo, se l'obbiettivo primario dell'apprendimento e' KS, si spiega

anche l'esistenza di due forme testuali molto diverse comunemente usate nella

trasmissione tradizionale dei campi di conoscenza: il "manuale" e

l'"enciclopedia". E' evidente la loro differenza in base alla distinzione che

abbiamo fatto. Il manuale si rivolge a chi non possiede KS e deve costruirla: tutto

lo sforzo espositivo e di organizzazione e' volto a permettere la costruzione di KS

da parte di chi non la possiede. L'enciclopedia, al contrario, si rivolge a chi gia'

possiede KS e ha bisogno di reperire o completare conoscenze contenutistihe

specifiche del campo (questo e' tra l'altro il motivo per cui essa puo' essere, come

abbiamo osservato precedentemente, completamente destrutturata: la sua forma

sconta il fatto che chi la utilizza gia' possiede la conoscenza strutturale del campo

ed e' quindi in grado di utilizzare gli specifici frammanti contenutistici li'

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semplicemente elencati). E' quindi proprio il diverso presupposto e obiettivo

rispetto a KS che spiega la differenza tra queste due forme.

Se quanto abbiamo proposto fin qui e' plausibile, possiamo allora formulare il

nostro problema centrale nel modo seguente: in che modo avviene il processo di

costruzione di KS? Innanzitutto ricordiamo che KS va necessariamente costruito a

partire da CS (dal momento che non disponiamo ancora di mezzi di copia o

trasferimento diretto di strutture mentali); dunque, come abbiamo osservato nelle

sezioni precedenti, e' cruciale la relazione che lega CS a KS: quanto piu' questa

relazione e' diretta, immediata e trasparente (quanto piu', cioe', esiste isomorfismo

tra le due strutture) tanto piu' semplice sara', sempre ovviamente ceteris paribus, il

processo di costruzione di KS.

L'osservazione ulteriore che vogliamo fare ora e' che nei due casi estremi possibili

di questa relazione, e cioe', da una parte un isomorfismo quasi perfetto e dall'altra

una relazione di corrispondenza estremamente indiretta e astratta, la natura

cognitiva del processo ricostruttivo cambia sensibilmente.

Se la relazione e' molto indiretta, se cioe' nella forma di cio' che percepisco (CS)

non vi e' nulla che rassomigli a cio' che devo costruire e quindi essa si presenta

piuttosto come una "codificazione", come un insieme di istruzioni da eseguire

passo passo per decodificare la forma sosttostante, questo processo non puo' che

essere cosciente, esplicito e cognitivamente impegnativo (come del resto abbiamo

esemplificato nella sezione 5) in quanto implica una ricostruzione e combinazione

mentale astratta dei pezzi via via decodificati.

Se invece, al contrario la forma che percepisco (CS) rassomiglia fortemente (nel

caso limite dell'isomorfismo e' identica) a quella che devo costruire mi bastera',

per cosi' dire, semplicemente "osservarla", dove questo termine esprime appunto

lo scarto cognitivo esistente tra i due processi: la forma e' "esibita", "presentata" e

non va mentalmente ricostruita. Essa puo' essere direttamente "assorbita" senza

alcun lavoro esplicito di decodificazione e ricostruzione mentale; il processo

tende quindi a essere inconsapevole e non cosciente: in una parola, "implicito"

anziche' "esplicito". Si puo' dunque parlare nel primo caso di una modalita'

"esplicita" di apprendimento e nel secondo di una modalita' "implicita" o, piu'

brevemente, di "apprendimento esplicito" vs. "apprendimento implicito".

Il caso limite di apprendimento implicito e' l'apprendimento per "ostensione" (o

anche apprendimento "artigianale"). Ad esempio: un falegname mi insegna a

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tagliare un pezzo di legno mostrandomi come si fa. La successione delle

operazioni, la modalita' di ciascuna di esse (come tenere il legno, come inclinarlo,

come passarlo sotto la sega) i risultati delle varie opzioni, gli effetti dei

movimenti, ecc. vengono appresi senza ricostruirli esplicitamente e

coscientemente: il falegname non mi "dice", ne' io sono eplicitamente cosciente,

di quanti gradi va inclinato il pezzo di legno e da quale lato, e cosi' via [16]. Io

apprendo, ma puo' darsi che ne' io ne' lui saremmo mai in grado di formulare

esplicitamente cio' che sappiamo.

Dal punto di vista della nostra concettualizzazione e' chiaro perche' e' possibile

che questo apprendimento sia del tutto implicito. Come abbiamo detto, la

condizione necessaria affinche' cio' si verifichi e' che sussista un alto grado di

isomorfismo tra CS e KS; ora nel caso presente (come nella maggior parte dei

casi di "abilita") quest'isomorfismo e' cosi' elevato che si tratta addirittura di

coincidenza: la struttura di cio' che devo apprendere si fa segno di se stessa. E di

fatto l'unica cosa che permette di distinguere in questo caso KS [17] da CS,

materialmente identiche, e' l'intenzione del falegname: si tratta di KS se il

falegname sta tagliando il pezzo di legno allo scopo di eseguire un suo lavoro, di

CS se lo fa per mostrarmi come si fa [18]. Questo caso limite e un po' paradossale

ci serve solo a spiegare il concetto di "apprendimento implicito". D'altro canto, se

per apprendere la medesima cosa mi servo invece di un insieme di istruzioni,

appunto "esplicite" (scritte dal falegname o da chiunque altro), allora il lavoro

cognitivo che devo compiere e' evidentemente molto diverso: non potro' fare a

meno di ricostruire e assemblare mentalmente e coscientemente ogni particolare.

E' la condizione tipica dell'apprendimento esplicito.

Ma anche senza arrivare a quest'estremo, si possono dare esempi di come gran

parte dell'apprendimento possa passare al livello implicito quando CS si avvicina

sufficientemente a KS. Ad esempio, nel sistema ipermediale IPERMAPPA [19],

sviluppato per l'apprendimento delle conoscenze geografiche, vi sono sei diverse

mappe dell'intero pianeta, ciascuna ad una scala diversa. Ogni livello di scala

copre l'intera superficie terrestre ed e' continuamente e liberamente navigabile in

tutte le direzioni. Le rappresentazioni dei diversi paesi sono quindi, per ogni

livello, tutte rigorosamente alla stessa scala. Cio' rende immediatamente e

correttamente percepibili gradezze e rapporti fondamentali per la comprensione e

la conoscenza di questo campo come quelli di distanza e estensione relativa, senza

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correre il rischio di far pensare, come avviene purtroppo frequentemente con i

testi e gli atlanti tradizionali, che l' Arabia Saudita sia grande piu' o meno come la

Francia. Ora questi rapporti non hanno bisogno di essere "dichiarati", come

avviene comunemente nei libri di geografia, ne' vengono mai "studiati"

esplicitamente dal discente: il solo navigare su IPERMAPPA in maniera continua

alla stessa scala fa si' che essi vengano appresi inconsciamente e senza difficolta'.

Non c'e' bisogno di essere psicologi per capire che l'apprendimento implicito e' da

tutti i punti di vista preferibile (piu' semplice, meno faticoso, piu' alla portata di

tutti, piu' efficace, relativamente privo di precondizioni) a quello esplicito. Il

problema e' che fino ad oggi le condizioni in cui esso era praticabile sono state

molto limitate. Esso infatti dipende necessariamente, come si e' osservato, dal

raggiungimento di un alto grado di isomorfismo tra CS e KS. Proprio questa

condizione ha comportato numerose limitazioni di tipo estrinseco e intrinseco. Se,

ad esempio, l'unica condizione per raggiungere l'isomorfismo e' la presenza fisica

dell'azione del comunicante-esperto (come nel caso dell'esempio "artigianale")

nell'ambiente appropriato, l'accesso dei discenti e' molto difficoltoso, dispendioso

e limitato nel numero (e cioe', sostanzialmente ridotto a coloro che riescono ad

"andare a bottega" e al numero delle botteghe, per restare nel paragone). Di fatto,

questa limitazione e' stata storicamente la causa prima del passaggio che la nostra

cultura ha costantemente e strenuamente perseguito alla modalita' di

apprendimento esplicito nel corso degli ultimi cinque secoli; una volta, cioe', che

il supporto a questa modalita' e' stato reso largamente accessibile a costi limitati

(come e' avvenuto con l'invenzione della stampa a caratteri mobili).

D'altra parte e' solo recentemente che la tecnologia ha cominciato, invece, a

rendere possibile un supporto simile, e cioe' largamente accessibile a costi

limitati, alle strutture comunicative necessarie per un apprendimento implicito: la

riproduzione di immagini fisse a queste condizioni e' disponibile da non piu' di

trenta-quarant'anni e per quelle in movimento si e' dovuto aspettare l'avvento del

videoregistratore.

Sono esistite, inoltre, fino ad oggi delle limitazioni intrinseche al raggiungimento

dell'isomorfismo. Facciamo un solo esempio. Se ipotizziamo che la forma "ad

albero" unico e generalizzato sia davvero quella piu' adeguata a rappresentare il

campo della biologia tassonomica, e che tutte le altre informazioni vadano ad essa

"appese" nei luoghi appropriati, e' facile rendersi conto che nessuno strumento

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della tecnologia tradizionale permette la rappresentazione e la gestione di una

simile forma. E' indispensabile disporre innanzitutto delle capacita' di

immagazzinamento e accesso rapido dei computer e in secondo luogo di

sofisticate gestioni di grafica e immagini, del tipo di quelle che sta appunto

sviluppando la tecnologia multimediale. Di qui traiamo la conclusione piu'

importante

IPERMEDIA CONSENTE DI ESTENDERE LA CONDIZIONE DI APPRENDIMENTO

IMPLICITO A CAMPI DI CONOSCENZA PRIMA ACCESSIBILI SOLO

ALL'APPRENDIMENTO EPLICITO

Passiamo ora ad esaminare il secondo punto della tabella 3: attivita' vs. passivita'.

La rottura del dominio quasi esclusivo della linearita' nella struttura comunicativa

produce una conseguenza importante sulla natura dell'azione conoscitiva del

lettore-discente. Essendo la forma lineare unidimensionale e unidirezionale, il

lettore puo' percorrela soltanto in un modo, in cui sono ben definiti inizio e fine:

egli e' sostanzialmente passivo e il suo compito e' quello di seguirla lasciandosi

completamente guidare. Una forma non lineare invece, e cioe' pluridimensionale,

non soltanto permette scelte al lettore ma anzi le esige. In queste forme infatti non

sono definiti ne' un inizio ne' una fine intrinseci, ed inoltre ad ogni passo e'

necessario decidere dove dirigersi. Questo e' vero sia nel semplicissimo caso del

diagramma o della pianta visti precedentemente, dove e' il lettore a decidere i

punti successivi di fissazione della sua attenzione, sia, a maggior ragione, nei casi

piu' complessi e ricchi (come l'albero tassonomico o IPERMAPPA) dove ogni

passo comporta continue possibilita' di "aperture", approfondimenti e ritorni.

Il risultato e' che il lettore da passivo esecutore diviene attivo "decisore". Questo

cambiamento di ruolo e' molto importante per i fattori motivazionali che, come e'

noto, hanno un estrema importanza nell'apprendimento: un ruolo attivo mantiene

elevata l'attenzione evitandone la caduta, responsabilizza il lettore dandogli la

scelta, mantiene una costante sensazione di autocontrollo, stimola un attivita'

costruttiva anziche' semplicemente esecutiva.

D'altra parte la componente attiva e' anche un ingrediente essenziale

dell'apprendimento implicito. Spesso infatti si definisce quest'ultimo come

"apprendimento nel fare", e non e' un caso che gli esempi piu' noti ed evidenti di

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quest'apprendimento, quelli che abbiamo chiamato "artigianali", abbiano nel fare

in prima persona del discente, forse ancor piu' che nell'osservare, una componente

essenziale.

Infine il terzo punto: rigidita' vs. flessibilita'. Questo e' praticamente un corollario

del secondo punto. L'organizzazione lineare e' per sua natura rigida: vi e' un

inizio, una fine e una ben determinata sequenza, che non puo' essere alterata in

quanto e' essa stessa che determina la corrispondenza tra CS e KS. al contrario se

CS e' pluridimensionale vi e' liberta' a vari livelli. Non soltanto infatti posso

scegliere in che direzione andare ma posso anche scegliere a che livello stare:

aprire o meno approfondimenti. Posso limitarmi a percorrere i livelli strutturali

piu' alti, o puntare in profondita' su un punto. Posso anche, ovviamente,

"esplorare" scegliendo se soffermarmi o no.

Questa elevato grado di intrinseca flessibilita' e' di nuovo notevolmente

vantaggioso nel processo di apprendimento: essa permette infatti un adattamento

spontaneo alle esigenze individuali. La rigidita', al contrario, mal si adatta alla

variabilita' individuale (in alcuni casi molto forte), dovuta alle diverse

provenienze, esperienze formative precedenti, curricula, attitudini personali, ecc.:

il risultato e' che lo stesso materiale puo' risultare troppo difficile per qualcuno e

troppo facile (fino alla noia) per altri, oppure permettere tempi piu' rapidi di

apprendimento in alcuni e richiedere tempi piu' lunghi per altri. A qualunque

livello ci si assesti nel disegnarlo e approntarlo si svantaggia e penalizza

comunque una porzione dei destinatari.

Il risultato complessivo di queste ultime due caratteristiche e' per il discente un

feeling di controllo e di autogestione, un incoraggiamento a fare in proprio, una

facilita' di seguire e collegare propri fili, la' dove la particolare storia individuale

determina, a mano a mano, esigenze e bisogni. In ultima analisi, si viene, quindi,

anche a determinare un processo di apprendimento piu' "naturalistico" e

autodiretto, rispetto a quello tradizionanale, fondamentalmente eterodiretto.

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Note

[1] Sarebbe meglio utilizzare, tuttavia, la parola "consentira'", dal momento che,

al di la' di esperienze ancora prototipali, da una parte l'integrazione fisica e'

ancora di la' da venire e dall'altra vi sono ancora innumerevoli ostacoli (memoria,

software, tempi di accesso, ecc.) ad una reale e paritetica gestione .

[2] Vale la pena tuttavia di ricordare che Bush fu uno degli artefici dello sviluppo

della tecnologia del calcolo automatizzato, partecipando alla realizzazione del

Differential Analyzer del MIT.

[3] E di proiezione si tratta: il linguaggio di per se' non e' strutturato linearmente,

ma gerarchicamente.

[4] Considerazioni sulla natura dell'"oggetto" logico che si viene cosi' a costruire

in Antinucci (1991).

[5] Da questa assenza di basi chiare per la strutturazione dei legami deriva il

disorientamento che si prova moltissime volte nel percorrere gli ipertesti, cosi'

comune da far parlare della sindrome del "lost in hyperspace".

[6] L'unico vero esempio di testo non strutturato linearmente e', a mia

conoscenza, il Tractatus Logico-Philosophicus di L. Wittgenstein.

[7] Sviluppo e dominanza dovuti anche alla mancanza di alternative

"concorrenziali": la tecnologia per riprodurre immagini e', fino a tempi recenti,

infinitamente piu' arretrata (dal punto di vista dei costi, dei tempi e delle abilita'

richieste e dunque delle possibilita' di diffusione) di quella per riprodurre testi.

[8] Sulla notevole differenza tra questi due modi di assunzione della conoscenza

si veda Antinucci (in corso di stampa).

[9] Di qui la spiegazione teorica della adeguatezza di questa forma a campi tipo il

"racconto di eventi", gia' notata precedentemente: in questo caso (uno dei pochi)

esiste infatti isomorfismo tra struttura della forma comunicativa e struttura del

contenuto.

[10] La dimensione simbolico/non-simbolico e' ovviamente "funzionale" e di

sistema, non inerente alla natura intrinseca degli oggetti impiegati nella

comunicazione. Vale a dire che uno stesso oggetto fisico (ad esempio un insieme i

segni e colori su una carta) puo' essere di per se' tanto un oggetto riproduttivo

quanto un oggetto simbolico. Cio' fa si che vi siano casi in cui si possa essere

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incerti sull'appartenza a questa dimensione; ovviamente questo accade quando,

per qualunque motivo, non si conosca il codice o quando esso non sia esplicito.

Uno di questi casi e', ad esempio, quello di alcuni insiemi di pitture o graffiti

rupestri.

[11] Si osservi che questi modelli non sono simbolici per via della scala

(rappresentano in grande oggetti piccoli e invisibili), ma per via del fatto che gli

elementi del modello e le loro relazioni non riproducono elementi della realta' e le

loro relazioni cosi' come sono, ma ne "simboleggiano" appunto alcune proprieta':

a nessun livello di magnificazione l'atomo o la proteina osservati realmente

attraverso un microscopio apparirebbero fisicamente come il modello. Cio' non e'

vero, ovviamente, per i modelli architettonici, la cui bonta' risiede proprio nel

fatto di essere fisicamente il piu' uguale possibile alla realta'.

[12] Lavoro che, per altro, ci riproponiamo di fare prossimamenete e che e' altresi'

di importanza cruciale per un problema molto piu' generale dell'ipermedia: il

disegno delle interfacce dei sistemi in genere.

[13] Un esempio di queste possibili combinazioni e' il sistema IPERMAPPA,

descritto in Antinucci, 1992.

[14] Resta inteso che il fattore di importanza primaria per sperare di conseguire

l'adeguatezza, sul quale pero' non ci soffermiamo affatto in quanto esula

completamente dall'oggetto di questo scritto, e' l'analisi corretta ed esplicita della

struttura intrinseca del campo di conoscenza.

[15] Struttura che sarebbe ovviamente impossibile costruire e gestire con supporti

e strumenti tradizionali (carta, stampa, ecc.) ma che e' invece realizzabile con

appropriati mezzi computeristici (anche se ancora con notevoli difficolta': v.n.1):

di qui la necessarieta' degli sviluppi tecnologici recenti, che non rappresentano in

questo caso un semplice miglioramento dell'esistente, ma una condizione

indispensabile per dare corpo a cio' che altrimenti puo' essere solo teoricamente

concepito.

[16] Siamo perfettamente consapevoli che convenzionalmente si tende a fare una

netta distinzione tra apprendimento di "abilita'" e apprendimento di "conoscenze".

Cio' non toglie alcun valore al nostro esempio. Innanzitutto perche' possiamo

opportunamente modificarlo in modo che cio' che viene ostensivamente appreso

sia piu' simile ad una conoscenza che ad una abilita', senza che questo cambi

affatto la validita' di cio' che abbiamo detto: ad esempio, nel caso si apprenda a

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"costruire una casa, un ponte o un acquedotto"; ricordiamo, infatti, che la maggior

parte degli architetti di eta' romana erano analfabeti (cfr. Harris, 1991). In

secondo luogo, riteniamo vi siano buoni motivi per considerare, al livello teorico,

una simile distinzione inutile o fuorviante: non e' la natura di cio' che si apprende

che e' rilevante, ma quella del processo cognitivo che si mette in atto, e

quest'ultima non e' determinata (o, quantomeno, non lo e' necessariamente) dalla

prima.

[17] Piu' precisamente: "una istanziazione (o una attuazione) di KS".

[18] Il fatto che si tratti di una struttura comunicativa e' anche mostrato dal fatto

che in questo secondo caso (ma, si badi bene, non nel primo) il falegname puo'

adoperare un "sostituto simbolico" del pezzo di legno e/o un della sega, purche' le

sue caratteristiche figurali siano sufficienti a mostrare correttamente e

adeguatamente. Cio' conferma indipendentemente quanto abbiamo detto nella

sezione 6, e cioe' che CS e' sempre "simbolica" indipendentemente dalla sua

natura fisica (v. anche n. 11).

[19] Una descrizione del sistema e dei principi su cui si basa si trova in Antinucci

(1992).

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