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CURIA GENERALIS ORDINIS FRATRUM MINORUM CONVENTUALIUM SUSSIDI CEFID SUSSIDI DI FORMAZIONE PER I FRATI E LE COMUNITÀ “IN MEZZO AI MUSULMANI PER DIVINA ISPIRAZIONE” Atti del V Incontro “Pro dialogo” dei Frati Minori Conventuali Iskenderun (Turchia), 8-14 gennaio 2012 a cura del Centro Francescano Internazionale per il Dialogo (CEFID) Assisi Edizione in lingua italiana SEGRETERIA CIMP

SUSSIDI CEFID “IN MEZZO AI ... - Lo Spirito di Assisi ITALIANO 6.pdf · INTRODUZIONE di fr. Silvestro Bejan «Si racconta che nel lontano Oriente un giovane mercante di stoffe avevo

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CURIA GENERALIS ORDINIS FRATRUM MINORUM CONVENTUALIUM

SUSSIDI CEFID SUSSIDI DI FORMAZIONE PER I FRATI E LE COMUNITÀ

“IN MEZZO AI MUSULMANI PER DIVINA ISPIRAZIONE”

Atti del V Incontro “Pro dialogo” dei Frati Minori Conventuali

Iskenderun (Turchia), 8-14 gennaio 2012

a cura del Centro Francescano Internazionale per il Dialogo (CEFID)

Assisi

Edizione in lingua italiana SEGRETERIA CIMP

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CURIA GENERALIS ORDINIS FRATRUM MINORUM CONVENTUALIUM

“In mezzo ai musulmani per divina ispirazione”

Sussidi di formazione per i frati e le comunità

a cura del Centro Francescano Internazionale per il Dialogo (CEFID)

Assisi

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Coordinamento editoriale: fr. Silvestro Bejan, Delegato generale per l’ecumenismo e il dialogo interreligioso fr. Cesar Essayan, Custode Provinciale d’Oriente e Terra Santa fr. Martin Kmetec, Responsabile per l’ecumenismo e il dialogo interreligioso della Custodia Provinciale d’Oriente e Terra Santa SUSSIDI a cura del Centro Francescano Internazionale per il Dialogo (CEFID) Assisi Per richiesta di copie: Fr. Silvestro Bejan Delegato generale per l’Ecumenismo e il Dialogo interreligioso Centro Francescano Internazionale per il Dialogo Piazzetta Spagnoli, 1 06081 Assisi (PG) Italia Tel. (+39) 075 815193 [email protected] www.lospiritodiassisi.org

Stampa pro manoscritto a cura della Segreteria CIMP

© 2012

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INTRODUZIONE di fr. Silvestro Bejan

«Si racconta che nel lontano Oriente un giovane mercante di stoffe avevo perso la strada e

allora per chiedere delle indicazioni si avvicinò ad un vecchio seduto su un grosso masso di pietra. Questi, vedendolo venire verso di sé, gli chiese: “Chi sei?” Il giovane gli rispose: “Sono un mercante di stoffe”. “Questo è ciò che fai - gli disse il vecchio - Io ti ho domandato, chi sei?”. Il giovane si rattristò e se ne andò errando perché non sapeva rispondere». Rispondere alla domanda “chi sei?”, significa iniziare un cammino di crescita, di maturità, di autenticità. L’uomo non può fuggire sempre. Per raggiungere l’autenticità deve tornare a sé stesso e andare verso sé stessi.

I frati radunati ad Iskenderun per l’incontro intitolato “In mezzo ai musulmani per divina ispirazione” hanno voluto raccontare semplicemente le proprie esperienze e riflettere insieme non tanto su ciò che fanno nei paesi musulmani ma ciò che sono come frati francescani “in mezzo ai musulmani”.

All’inizio di ogni missione c’è la divina ispirazione. Nella vita di san Francesco, nella vita del cristiano e nella vita del frate minore, c’è sempre la divina ispirazione. Il fine della vita cristiana, diceva san Francesco, non è pregare, né fare penitenza. Il fine è «habere Spiritum Domini et sanctam eius operationem» (Rb 10), cioè, “avere lo Spirito del Signore e la sua vita in noi”. Una volta che abbiamo questo Spirito dentro di noi, allora nasce l’operare. D’altra parte l’adagio dice: «agitur sequitur esse», l’agire segue l’essere. Non vi è prima l’agire e poi l’essere. Se vi fosse prima l’agire e poi l’essere, sarebbe un problema, perché non si vivrebbe come si pensa, ma si finirebbe con il pensare come si vive. Ciò sarebbe drammatico. La divina ispirazione è dunque di grandissima importanza.

Il dialogo vero è sempre difficile. Nelle varie parti del mondo ci sono delle grandi difficoltà di trovare interlocutori disposti a dialogare e a trovare modi nuovi per stare insieme, accettando entrambi di cambiare qualcosa per venirsi incontro. Molti frati che vivono in mezzo ai musulmani, dopo aver pregato, dopo aver riflettuto, dopo aver chiesto consiglio e dopo aver anche sofferto molto, si sono dati un’unica risposta: a volte, l’unica missione possibile, è la missione di presenza. Esserci e basta! Essere una presenza. Una presenza, però, che sappia amare, che sappia rispettare, che sappia anche dialogare con i vicini senza tante parole.

Il dialogo del frate minore conventuale non è fatto solo di parole. Le parole hanno la forma del rivolgersi nel modo di un dialogo ma questo dialogo può essere vissuto anche senza parole. La strategia dialogica secondo lo spirito francescano è delle più semplici: guadagnare la benevolenza di tutti facendosi verso tutti umile e rispettoso servitore, cioè essere minore. Questo atteggiamento dovrà caratterizzare il modo di essere fra gli uomini che sarà quello dei frati: «per questo motivo sono detti “frati minori”, perché devono essere i più piccoli di tutti gli uomini del mondo, sia nel nome, sia nell’esempio e nel comportamento» (LegPer 15). Stare con gli altri, mai contro gli altri. Predicare Dio con la propria vita ed essere testimoni della Parola che si vive.

Le pagine di questo volume raccolgono numerose testimonianze dei frati che lavorarono nei paesi musulmani ma anche dove i musulmani sono diventati vicini (“l’Islam fra noi”). Le tre relazioni, (Commento al Capitolo XVI della Regola non bollata; L’Islam nella Turchia attuale; L’Islam in Europa) offrono poi una comprensione più profonda di una realtà vasta come l’Islam. Anche le due voci cristiane di Anatolia, suor Agnese Trabaldo di Tarso e abuna Dimitri Yıldırım, sacerdote della chiesa ortodossa di Iskenderun, e la voce musulmana di Hamdi Kavillioğlu, muftì di Iskenderun, contribuiscono a conoscere e a capire maggiormente la complessa realtà islamica dal punto di vista della coabitazione.

Un volumetto utilissimo dunque per una conoscenza di un problema ormai ineludibile; in particolare offre indicazioni preziose per un reciproco rapporto, soprattutto dal punto di vista della spiritualità francescana. Destinatari privilegiati: i frati.

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I. PROGRAMMA V INCONTRO “PRO DIALOGO” DEI FRATI MINORI CONVENTUALI

ISKENDERUN (TURCHIA), 08-14 gennaio 2012 “In mezzo ai musulmani per divina ispirazione”

DOMENICA 8 GENNAIO 2012 Arrivo e sistemazione LUNEDÌ 9 GENNAIO 2012 Mattino Ore 08.00: Colazione Ore 09.00: Saluto introduttivo, fr. Cesar Essayan, Custode Provinciale d’Oriente e Terra Santa

Saluto introduttivo, fr. Jerzy Norel, Vicario generale dell’O.F.M.Conv. Introduzione, fr. Silvestro Bejan, Delegato generale per il Dialogo Presentazione dei partecipanti Presentazione del programma Elezione del Segretario e della Commissione redazionale

Ore 10.00: Visita della città di Iskenderun Ore 11.45: Santa Messa (fr. Jerzy Norel, Vicario generale dell’O.F.M.Conv. ) Ore 12.30: Pranzo insieme al Vescovo e i parroci del Vicariato di Anatolia Pomeriggio Ore 14.30: Visita della città di Antiochia (Sinagoga, Chiesa cattolica, Chiesa ortodossa) Ore 20.00: Cena MARTEDÌ 10 GENNAIO 2012 Mattino Ore 07.30: Lodi mattutine Ore 08.00: Colazione Ore 09.00: Commento Cap. XVI della Regola non bollata, fr. Giancarlo Corsini, Presidente CIMP

Pausa caffè Condivisione

Ore 11.45: Santa Messa ( fr. Giancarlo Corsini, Presidente CIMP) Ore 12.30: Pranzo Pomeriggio Ore 15.00: Visita della Chiesa Ortodossa e l’incontro con p. Dimitri Yildirim, sacerdote ortodosso Ore 16.15: Testimonianza sull’Islam in Albania (fr. Jaroslaw Cár)

Testimonianza sull’Islam in Croazia (fr. Josip Blažević) Condivisione

Ore 19.15: Vespri Ore 19.30: Cena

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MERCOLEDÌ 11 GENNAIO 2012 Mattino Ore 07.15: Santa Messa e Lodi (fr. Emilian Cătălin, Provinciale della Romania) Ore 08.15: Colazione Ore 10.00: Incontro con il Muftì di Iskenderun Hamdi Kavillioğlu

Testimonianza sull’Islam in Indonesia (fr. Francesco Mardan Ginting) Testimonianza sull’Islam in Giappone (fr. Pietro Sonoda Yoshiaki)

Ore 12.30: Pranzo Pomeriggio Ore 15.00: Relazione: “Islam in Turchia”, p. Xavier Jacob, assunzionista, esperto in Islam turco

Condivisione Testimonianza sull’Islam in Turchia (fr. Martin Kmetec, fr. Anton Bulai e fr. Iosif Petrilă) Testimonianza sull’Islam in Libano (fr. Cesar Essayan )

Ore 19.00: Adorazione Eucaristica Ore 20.00: “Cena libera” GIOVEDÌ 12 GENNAIO 2011 Mattino e pomeriggio Ore 07.30: Lodi mattutine Ore 08.00: Colazione Ore 08.30: Visita della città di Adana

Santa Messa nella chiesa di Adana (Presiede fr. Cesar Essayan , Custode Provinciale) Pranzo ad Adana Visita della città di Tarso (Visita Chiesa di Tarso; incontro con le Suore di Tarso)

VENERDÌ 13 GENNAIO 2011 Mattina Ore 07.30: Lodi mattutine Ore 08.00: Colazione Ore 09.00: Relazione: Islam in Europa, fr. Dominique Mathieu, Delegato generale Belgio Pausa caffè Testimonianza sull’Islam in Francia (fr. Bernard Cerles) Testimonianza sull’Islam in Bulgaria (fr. Stanisław Ziemiński) Testimonianza sull’Islam in Romania (fr. Damian Patrașcu) Testimonianza sull’Islam in Polonia (fr. Jerzy Norel) Ore 11.45: Santa Messa (fr. Pietro Sonoda) Ore 12.30: Pranzo Pomeriggio Ore 15.00: Testimonianza sull’Islam in Uzbekistan (fr. Piotr Kawa) Testimonianza sull’Islam in Kazakistan (fr. Roberto Peretti) Pausa caffè Testimonianza sull’Islam in Burkina Faso (lettura del testo spedito dai frati di BF) Testimonianza dell’Islam in Nigeria (fr. Julius Ohanele)

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Condivisione Ore 19.15: Vespri Ore 19.30: Cena SABATO 14 GENNAIO 2011 Mattino Ore 07.30: Santa Messa e Lodi (fr. Silvestro Bejan, Delegato generale dialogo) Ore 08.30: Colazione Ore 09.00: Incontro conclusivo Lettura del verbale dell’incontro preparato dal Segretario e dalla Commissione redazionale) Ore 12.30: Pranzo Pomeriggio Partenze

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II. ELENCO DEI PARTECIPANTI (in ordine alfabetico)

1. Bejan fr. Silvestro (Delegato generale per l’ecumenismo e il dialogo interreligioso) 2. Blažević fr. Josip (Croazia) 3. Bulai fr. Anton (Turchia) 4. Cár fr. Jaroslaw (Albania) 5. Cărare Mihai fr. Eduard (Turchia) 6. Cătălin fr. Emilian (Provinciale della Provincia di Romania) 7. Cerles fr. Bernard (Francia) 8. Chilin fr. Massimiliano (Libano) 9. Corsini fr. Giancarlo (Italia-Presidente della CIMP) 10. Cvetko fr. Tomislav (Croazia) 11. Essayan fr. Cesar (Custode Provinciale d’Oriente e Terra Santa) 12. Ginting fr. Francesco (Bologna-Indonesia) 13. Kava fr. Piotr (Uzbekistan) 14. Kmetec fr. Martin (Turchia) 15. Misariu fr. Iulian (Romania) 16. Norel fr. Jerzy (Vicario generale dell’O.F.M.Conv.) 17. Ohanele fr. Julius (Turchia – Nigeria) 18. Patrașcu fr. Damian (Romania) 19. Peretti fr. Roberto (Kazakistan) 20. Petrilă fr. Iosif (Libano) 21. Sonoda Yoshiaki fr. Pietro (Giappone) 22. Sulik fr. Atanazy (Turchia) 23. Tamaș fr. Felician (Libano) 24. Tamaș fr. Gheorghe (Libano) 25. Tanizaki Shin-Ichiroh fr. Luca (Giappone) 26. Vereș fr. Maximilian (Turchia) 27. Wisniewski fr. Dariusz (Turchia) 28. Ziemiński fr. Stanisław (Bulgaria)

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III. INTRODUZIONE AI LAVORI

1. SALUTO INTRODUTTIVO fr. Cesar ESSAYAN, ofm.conv., Custode provinciale d’Oriente e Terra Santa

Questo incontro di condivisione fraterna è nato grazie alla lettura della realtà della nostra

Custodia d’Oriente e della riflessione fatta a questo riguardo con fr. Silvestro Bejan, il Delegato generale per il dialogo ecumenico ed interreligioso.

Nell’Assemblea fraterna in Argentina ho avuto l’occasione di ascoltare la testimonianza di fr. Piotr Kawa sulla presenza del nostro Ordine in Uzbekistan. Mi sono allora detto che sarebbe stato importante ritrovarci insieme, frati che vivono in mezzo ai musulmani, per parlare della nostra vita. Questo non è un congresso sull’Islam e non è un corso di aggiornamento ma una condivisione. Come Cristo ha radunato i suoi dopo averli mandati a due a due, come Francesco e i suoi primi compagni, anche noi ci ritroviamo per raccontarci le nostre esperienze, il nostro vissuto.

Cosa ci vogliamo dire? Vogliamo raccontarci gli uni agli altri quello che viviamo. Molto semplicemente. Ciò che

abbiamo sentito quando siamo stati chiamati per andare in mezzo ai musulmani, i sentimenti che proviamo oggi nei paesi della nostra missione, le riflessioni che mi sono fatto sulla mia vita religiosa e di fraternità, le domande sull’Islam e su come annunciare il Vangelo, le teorie che ho escogitato per capire una religione che, oggi più che mai, sta crescendo fortemente, il mio pensiero su Maometto e il Corano… E come riuscire a integrare tutte queste cose con la nostra vita?

Per esempio: una delle domande essenziali che l’Islam ci pone è la nostra fede. Cioè davanti a qualcuno che dice che la Trinità non esiste, ma esiste un Dio solo e solitario, come rendo conto della mia fede nella mia vita quotidiana nel credere nel Padre, nel Figlio e nello Spirito Santo? Davanti ad una religione dove la Madonna è veramente venerata e amata, come vivo l’amore della Madonna e la mia consacrazione all’Immacolata?

L’Islam ci fa porre molte domande. Un’altra domanda importante: abbiamo il desiderio di evangelizzare? L’evangelizzazione è nelle nostre prospettive oppure ci siamo fatti un’altra idea? Siamo partecipi di ciò che dice san Francesco nel capitolo XVI della Regola non bollata o ci accontentiamo, come si fa spesso, di servire soltanto i cristiani che ci sono affidati? Credo che anche i nostri cristiani siano in preda alle stesse domande nel loro quotidiano.

L’Islam si presenta con facce diverse in paesi diversi. In ogni parte del mondo l’Islam ha un volto diverso. Mi pongo la domanda fino a che punto oggi si può distinguere l’Islam nelle sue facce ma soprattutto dal suo utilizzo politico? Ci hanno insegnato nei vari corsi sull’Islam quanto era importante il Corano nell’immaginario del musulmano e nel discorso politico. Cioè come ogni capo di Stato - ogni movimento o corrente - usa il Corano per promuovere una sua politica o ideologia creando una molteplicità di interpretazioni contraddittorie dello stesso Corano. Questo atteggiamento è stato anche quello della Chiesa in un certo momento della sua storia. Riconosco alla laicità il merito di aver salvato la Chiesa dall’interpretare la Parola di Dio in vista di scopi politici che non hanno niente del Regno di Dio. Purtroppo, nei paesi del Medio Oriente, partiti politici cristiani continuano ancora oggi ad usare il Vangelo in modo demagogico.

Per questo, voglio con voi ringraziare il Signore per le opportunità che ci dà negli incontri con i musulmani che vengono da noi a cercare una parola di vita e di misericordia. Il nostro è un dialogo della vita e dell’amicizia che nasce tra chi si è dato senza riserva al Signore e chi lo sta cercando partendo dal suo bisogno quotidiano di relazioni di pace in famiglia e altrove. A Sant’Antonio in Istanbul abbiamo la fortuna di incontrare ogni giorno tante persone. Specialmente il martedì vengono tantissimi musulmani. C’è allora la possibilità di un incontro faccia a faccia. Un incontro semplice. Ricordano gli incontri quotidiani di Gesù di Nazareth con il cuore, la sete e le aspettative dell’uomo. Anche a noi il Signore ha dato questa possibilità di incontrare l’uomo come Gesù l’ha fatto e di amarlo come Gesù mi ha amato e lo ama.

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Ho cercato attraverso questa introduzione di dire semplicemente le ragioni per cui siamo qui. È bello vivere insieme questa fraternità che san Francesco ci offre. Insieme chiediamo al Signore di illuminare le tante tenebre che sono nei nostri cuori. Il Signore Dio ci dia la fede diritta, la speranza certa e la carità perfetta. Ci dia senno e discernimento per adorarlo in spirito e verità e servire nel suo nome ogni nostro fratello. Amen!

Grazie!

2. SALUTO INTRODUTTIVO fr. Jerzy NOREL, ofm.conv.,Vicario generale

Inizio aggiungendo anch’io parole di ringraziamento per questo incontro e per l’opportunità

di trovarci qui. Ringrazio il Buon Dio per la sua generosità di avervi chiamato ad andare a testimoniare il

suo amore. Ringrazio ciascuno di voi perché avete risposto alla vostra vocazione missionaria, vi ringrazio per il vostro impegno coraggioso nel realizzare la chiamata di Dio, a volte in condizioni molto difficili della vita, non rifugiandosi o chiudendosi nelle comodità ma cercando di accogliere questa chiamata e darne una pienezza.

Guardando agli obiettivi proposti per questo incontro possiamo tracciare le seguenti dinamiche: siamo venuti qui per incontrarci e per raccontarci; vogliamo raccontarci per confermarci nella nostra vocazione e nella nostra missione - diventare presenza per dare una testimonianza. Possiamo dire che le comunità che voi rappresentate sono numericamente una minoranza, una piccola particella di tutto il nostro Ordine. Ma non è il numero che conta. Quello che conta è la comprensione di sé stessi. Dare ragione alla propria esistenza e alla propria missione - è quello che è importante! E questo, a mio parere, è una cosa ancora da scoprire in tutto l’Ordine. Bisogna cercare di ragionare sul motivo della nostra chiamata: per quale motivo Dio ci ha chiamato? Perche siamo in terra di missione? Quali sono le attese di colui che ci ha chiamati?

Per questo motivo vengo qui non solo a nome mio personale ma a nome di tutto il Definitorio generale. Voglio sentire le vostre testimonianze per condividerle, poi, con i membri del Definitorio generale. Sappiamo infatti, quanto bisogno vi sia della riflessione e dello scambio delle esperienze sulla via francescana della missione e specialmente quella riguardante la missione della presenza e testimonianza.

Spero che il contenuto di questo nostro incontro sarà fatto conoscere a tutti i frati del nostro Ordine, cercando di mettere a fuoco questi elementi che possono essere utili a tutti, a prescindere dal contesto nel quale vivono o dal servizio che svolgono.

Auguro a tutti i noi di uscire da questo incontro più confermati, più convinti, più innamorati di Dio che ci ha dato questa opportunità di rendergli testimonianza, questa chiamata alla missione.

Ringrazio ancora una volta la Custodia di averci accolti. Speriamo che il nostro incontro prosegua bene e porti molto frutto.

3. INTRODUZIONE AI LAVORI fr. Silvestro BEJAN, ofm.conv., Delegato generale per l’ecumenismo e il dialogo interreligioso

Grazie a tutti voi che avete risposto all’invito di partecipare al quinto incontro “pro dialogo”

del nostro Ordine. Grazie anche a chi avrebbe voluto partecipare ma per vari motivi non è potuto venire.

Siamo per la quinta volta insieme per riflettere su un tema molto attuale del dialogo. Per chi partecipa per la prima volta vorrei presentare brevemente una sintesi dell’itinerario dei nostri precedenti incontri.

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Primo incontro “pro dialogo”: Assisi (Italia), 11-13 novembre 2008. Tema: “Come lavorare insieme nel settore del dialogo ecumenico ed interreligioso”. Partecipanti: 9 frati.

Secondo incontro “pro dialogo”: Bacău (Romania), 07-12 settembre 2009. Tema: “Il dialogo con la Chiesa ortodossa”. Partecipanti: 7 frati. Sono stati presentati anche i temi dei sussidi di formazione per tutto l’Ordine e sono stati affidati ad alcuni frati esperti i temi da sviluppare.

Terzo incontro “pro dialogo”: Lourdes (Francia), 22-27 novembre 2010. Tema: “Il dialogo con gli atei e con le culture”. Partecipanti: 12 frati. Oltre la riflessione sul tema, sono state analizzate, commentate e corrette le prime bozze dei sussidi di formazione sul dialogo.

Quarto incontro “pro dialogo”: Assisi (Italia), 05-10 settembre 2011. Tema: “Lo spirito di Assisi”. Partecipanti: 9 frati. Sono stati presentati i sussidi nello loro forma finale tradotti nelle quattro lingue dell’Ordine.

Quinto incontro “pro dialogo”: Iskenderun (Turchia), 08-14 gennaio 2012. Tema: “In mezzo ai musulmani per divina ispirazione”. Partecipanti: 25 frati da 16 nazioni (+ i tre frati della Comunità di Iskenderun).

Il rapporto con l’Islam è un argomento che coinvolge un numero sempre più crescente di persone e istituzioni. Anche il nostro ultimo Capitolo generale, celebrato ad Assisi nel 2007, “considera il Dialogo con l’Islam come impegno dell’Ordine”. Quindi questo incontrò è un’occasione per approfondire la nostra presenza tra i Musulmani; una presenza che fa parte da sempre del nostro carisma.

Dopo una lettura trasversale dei vari documenti, decreti, mozioni e dichiarazioni dell’Ordine degli ultimi 50 anni, più precisamente dal Concilio ecumenico Vaticano II in poi, si può osservare un crescente interesse nei confronti del dialogo con l’Islam con rilievo alle posizioni dell’Ordine in Libano e Turchia.

Nonostante i problemi legati alla crisi della vita consacrata e con tutto ciò che essi comportano non è mai mancata all’interno del nostro Ordine la preoccupazione di essere più significativi in un mondo che cambia e la consapevolezza dell’importanza del dialogo. L’apertura al dialogo, anche molto prima del 1986 quando nasce l’espressione “spirito di Assisi”, non è più una semplice opzione per la vita francescana. Essa fa parte ormai integrante del suo progetto ed è menzionato nella maggior parte dei documenti dell’Ordine. E forse sarà proprio questa apertura a dare un nuovo respiro alla nostra vita.

C’è chi crede e cerca di accrescere l’interesse e la consapevolezza della validità del lavoro nel campo del dialogo e c’è chi è critico verso il dialogo in generale e a volte forse polemico verso ciò che l’Ordine ha fatto finora per questo tema basilare. Bisogna trovare i criteri giusti per giudicare. Spesso si è troppo superficiali e si valutano le cose non nella loro finalità e nello loro sostanza, ma nella considerazione dei risultati immediati, nella valutazione delle persone, nella utilità pratica che si può avere. Bisogna invece risalire alla sorgente e cogliere l’onestà delle intenzioni e la consapevolezza di poter agire anche attraverso i limiti umani di ciascuno di noi. Serve uno sguardo più ampio e più positivo; una maggiore fiducia nell’attesa. Chi vuole risultati immediati e frutti tangibili deve attendere. Il frutto del dialogo non è forse il dialogo continuo e pacifico vale a dire capacità di parola e capacità di ascolto?

Gli obiettivi principali del nostro incontro ad Iskenderun sono i seguenti: riunire i frati che vivono in contatto diretto con i musulmani per una condivisione di esperienze e idee; riaffermare il nostro desiderio di vivere il Vangelo in mezzo ai musulmani e sostenerci a vicenda per una evangelizzazione sempre più viva ed efficace; far conoscere ai frati dell’Ordine alcuni aspetti dell’Islam non contemplati “nei libri”; riflettere sulle sfide poste dalla presenza dei musulmani in Europa, America, Africa, Asia…

Insieme al programma dell’incontro è stato inviato anche uno schema di presentazione delle testimonianza dei frati che operano nei paesi islamici, contenente due punti: tematiche da sviluppare e punti da condividere.

1. Tematiche da sviluppare:

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Come viene vissuto l’Islam dalla gente? Come sono i nostri rapporti con i musulmani – dialogo della vita? Come sono le nostre relazioni con i rappresentanti della religione o della vita pubblica e culturale? Che cosa vogliamo, che cosa sogniamo, quali sono i nostri progetti?

Che cosa mi ha spinto ad andare in mezzo ai musulmani? Come vivo la mia vocazione (la mia comunità vive la sua vocazione); riusciamo a vivere la fraternità, la preghiera, la pastorale? Come vedo la presenza della mia comunità tra i musulmani? Come vedo la mia presenza spirituale?

Quali sono le sfide dell’Islam per la Chiesa, per la nostra comunità, per la mia vita personale? A quale spiritualità ci invita, ci spinge l’Islam? Come ci (mi) interroga l’Islam?

Come penso l’evangelizzazione dei musulmani? È possibile? Quali sono le strade da percorrere? Come realizzare una presenza viva del nostro Ordine tra i musulmani? Qual è la qualità della nostra inculturazione? Ho fatto qualche studio sull’Islam?

Quali sono i problemi? Quali sono le esperienze positive?

2. Punti da condividere: Come vedo l’Islam e i musulmani, quali teorie mi sono fatto sulla nascita e sul perché

dell’esistenza dell’Islam? Quali domande mi spinge l’Islam a fare a me stesso: mi aiuta a crescere? Mi mette in crisi? L’immagine di Dio nell’Islam – la mia immagine, l’immagine della nostra fede. I musulmani valutano il cristianesimo solo attraverso le loro fonti. Quali sono i criteri attraverso i quali valutiamo l’Islam. Quali sono le possibilità per un dialogo, quali sono gli ostacoli: obiettivi, quelli nell’Islam e quelli in noi stessi.

Il Signore benedica il nostro incontro con i doni della Luce, Sapienza, Ispirazione, Creatività

e Coraggio.

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IV. SALUTI DI ACCOGLIENZA E ALCUNE TESTIMONIANZE DALL’ANATOLIA

1. INCONTRO CON LE SUORE DELLA CONGREGAZIONE “FIGLIE DELLA CHIESA” PRESENTE A TARSO

Saluto d’accoglienza e la testimonianza di suor Agnese Trabaldo

Il nostro è un Carisma molto speciale. È quello di conoscere, amare, testimoniare la Chiesa; farla conoscere e farla amare, fino a dare la propria vita, se il Signore ce la chiede… e non è tanto difficile, qui, in questa terra e l’abbiamo sperimentato.

Noi siamo qui da quasi diciotto anni e la domanda che ci viene sempre fatta è: “Cosa fate?”… “Nulla!” è la nostra risposta. Non facciamo nulla perché siamo considerate nulla!

La Chiesa stessa, qui in Turchia, non è riconosciuta e molto meno una piccola comunità di tre suore che, appena arrivate qui, hanno spaventato la gente di Tarso…

Siamo qui non per convertire qualcuno, lo diciamo sempre: prima di tutto dobbiamo convertire noi stesse. Noi siamo qui come una presenza.

Quando è arrivato qui Mons. Ruggero Franceschini, nel 1993, eletto vescovo dell’Anatolia, la prima cosa che si è chiesto è stato come portare avanti qui l’evangelizzazione: “Andate e predicate”.

Unico vescovo, aveva un gruppetto di Padri Cappuccini e poi non aveva altri in diocesi, nemmeno una suora, nulla.

Dopo aver chiesto consiglio, dopo aver pregato, dopo aver sofferto, si è dato un’unica risposta: l’unica missione possibile qui, in Anatolia, è la missione di presenza, esserci e basta! E se noi non ci mettiamo in testa questo, non riusciamo a fare niente! Perché non dobbiamo fare niente!

Essere una presenza. Una presenza, però, che sappia amare, che sappia rispettare, che sappia anche dialogare con i nostri vicini senza tante parole. Noi abbiamo creato questa presenza qui a Tarso, una presenza che saluta, che ama, che rispetta, che aiuta, ma che aiuta in una forma molto “criteriata”, diciamo noi. Quando vengono a chiederci qualcosa non diamo mai direttamente, non sappiamo l’intenzione di chi viene a chiedere – neanche quando ci vengono a chiedere un Vangelo non sappiamo perché ce lo chiedano – però aiutiamo attraverso il rappresentante del quartiere che sa chi ha bisogno nel quartiere. Tempo fa sono arrivate cinque famiglie da Van [città della Turchia orientale] nel nostro quartiere e lui subito è venuto a chiederci aiuto; e abbiamo aiutato comprando le coperte… Ci siamo arrangiate noi, come comunità, però nessuno ha saputo direttamente che sono state “le suore” ad aiutare queste cinque famiglie appena arrivate.

Ci sono i canali anche per fare queste opere di misericordia! La Provvidenza, i miracoli della Provvidenza!

Questa è la nostra presenza a Tarso. Senza chiasso. Qui riceviamo i pellegrini che arrivano da tutte le parti del mondo; nella chiesa-museo

prepariamo la celebrazione dell’Eucaristia, con decoro; facciamo la nostra testimonianza, poi il gruppo parte e noi ritorniamo nel silenzio… una presenza che cammina per le strade di Tarso!

Tutti ci chiamano “Maria”, ma nessuna di noi tre si chiama Maria, perché io sono Agnese, poi ci sono Giuseppina e Cornelia, eppure ci chiamano “Maria”. E ci vogliono bene, ci vuole bene chiunque…

Quanti cristiani ci sono a Tarso? Le tre suore! Non c’è nessun cristiano a Tarso, non c’è nessuna chiesa aperta al culto a Tarso, non c’è nessun sacerdote, non suonano mai le campane a Tarso! L’unica chiesa rimasta come tale – però è museo – ci viene prestata per la celebrazione e in quel momento “diventa” chiesa, poi ritorna ad essere museo. Non ci sono cristiani e perciò non abbiamo nessun diritto a Tarso! Ecco perché siamo “nulla” qui, per loro.

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Ogni giorno per andare a Messa andiamo a Mersin. Ogni giorno facciamo sessanta chilometri per andare a Messa. Siamo un po’ il “braccio lungo” del parroco (attualmente è un parroco giovane, prima c’era p. Roberto Ferrari, che ha 86 anni e sono sessant’anni che è in Turchia), e lì facciamo un po’ tutto: l’animazione liturgica, il sostegno alla catechesi, l’aiuto ai poveri… ma, a Tarso, “nulla”.

Però, a Tarso c’è l’Eucaristia perché ci siamo noi! L’unico tabernacolo in Tarso! Abbiamo tanto contemplato il nostro Gesù Bambino in cappella in questi giorni: l’unico presepe in Tarso! Però c’era! Si è vissuta l’Incarnazione! Si vive l’Eucaristia! Come questa mattina si è vissuta l’adorazione con il nostro piccolo ostensorio, nella nostra piccola cappella. Sono questi i momenti forti per noi: una piccola comunità, quasi insignificante, però, presenza!

Siamo qui con la Chiesa, per la Chiesa e viviamo questo mistero profondo dentro di noi! Questa Chiesa che è, praticamente, nel silenzio e dimenticata, anche. Dopo la morte del

nostro vescovo siamo nel silenzio, siamo rimaste le uniche suore in tutta l’Anatolia, tre suore che vogliono rimanere, non se ne vogliono andare. Vogliamo esserci. Vogliamo essere presenti di questa presenza silenziosa, questa presenza che prega, questa presenza che soffre perché sentiamo forte la mancanza di un pastore che, per noi, era veramente il buon pastore che ci sosteneva, veniva qui per i problemi che sorgevano, era sempre presente. E ci manca. Non bisogna pensare che un vescovo non sia necessario perché non ci sono Sacramenti da amministrare, non siamo qui per questo. La Chiesa non è qui solo per amministrare la Cresima, la presenza di un vescovo qui è per sostenere questo piccolo resto che ancora ha il coraggio di esistere. Noi preghiamo Pietro perché ci mandi un pastore, perché questa Chiesa muore, bisogna sostenere questo piccolo resto!

Non è che ci sentiamo abbandonate, cerchiamo di sostenere l’unione con Iskenderun, Adana, Mersin, soprattutto per dare questa testimonianza al popolo che abbiamo ancora e che dobbiamo veramente sostenere.

Sentiteci così: felici di essere qui, di essere qui come missione di presenza, senza pretendere nulla, senza avere in cambio nulla perché non chiediamo nulla, solo la possibilità di rimanere e di essere missionarie.

Tutte abbiamo fatto tanto: io sono stata trent’anni in America Latina, sr. Cornelia è stata vent’anni all’Università di Siena con la gioventù universitaria, sr. Giuseppina a Milano, ma ora siamo passate dal “fare” all’ “essere” e questo è importantissimo in questa terra. Non esigere nulla, non pretendere nulla, però, esserci.

E auguro a chi viene in Anatolia di vivere questa spiritualità: “Se il chicco di grano caduto in terra non muore, non porta frutto” (Gv 12, 24). Sorgerà un giorno la spiga? Lo auguriamo di cuore! E ricordatevi di pregare per noi: abbiamo bisogno di vocazioni. Però, sappiate che il nostro Istituto ci sostiene: ci hanno mandato la terza sorella, dopo la morte di suor Maria nel 2010.

Facciamo presenza anche per il nostro Istituto, qui, in questa terra. Qui a Tarso non abbiamo mai avuto nessuna difficoltà: le autorità, per Natale, sono venute a

farci gli auguri, hanno portato i fiori per la cappella e ci hanno chiesto preghiere. Non so cosa abbia suscitato in loro, ultimamente, la nostra presenza, perché, all’inizio,

veramente avevano paura: “I cristiani arrivano…!”. Poi, un po’ alla volta, hanno cominciato a comprendere che non siamo qui per convertire nessuno, siamo qui, invece, per dare una testimonianza e io penso che sia l’unica strada per arrivare a loro.

I nostri vicini, per esempio, non vogliono che ci spostiamo; quando tempo fa siamo andate via di qui (prima abitavamo qui), i vicini non volevano che ce ne andassimo e adesso sono loro che ci proteggono e vogliono che li avvisiamo se succede qualcosa. Questa mattina suor Giuseppina è uscita e quelli del negozietto qui vicino l’hanno avvisata di stare attenta, perché sono venuti ad abitare nelle vicinanze degli zingari… quasi ci proteggono.

Questa è la maniera per arrivare a loro. Non parliamo mai di religione, parliamo del volerci bene, del rispettarci, di vivere in profondità la nostra fede (noi, la nostra ed essi, la loro). Penso che l’unico cammino sia il rispetto.

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All’inizio il muezzin mi dava veramente fastidio, adesso ho capito che lui invita alla preghiera e allora io prego la Trinità: gloria al Padre, al Figlio e allo Spirito Santo… É stato un cammino spirituale interiore per me che mi ha aiutato ad avvicinarmi anche a questo momento: lui grida e io prego!

Domanda: È facile trovare all’interno del vostro Istituto sorelle disposte a fare questa esperienza? Risposta: Qualcuna sì, altre no. É stato difficile anche per me, all’inizio; venendo da un

contesto ben diverso ho fatto fatica… Il primo incontro che ho fatto è stato con don Andrea Santoro ad Iskenderun, dove ci si

ritrovava per l’apertura dell’anno, a fine settembre, con tutti gli operatori pastorali della diocesi. Io ero arrivata da poco e lui mi disse: “Ti vedo stravolta. Tra poco, però, mi dirai che cosa

vuol dire l’importanza di ‘essere’… lo scoprirai da sola”. Dopo tre mesi è venuto con un gruppo di giovani e mi ha chiesto come stesse andando. É lui che mi ha avviata a questo esserci, a scoprire l’importanza dell’esserci, del passaggio dal fare all’essere. E l’ho capito, il Signore me lo ha fatto capire veramente, ma è una spiritualità difficile da capire da parte di tutti.

Quando veniamo in Italia molte sorelle ce lo dicono apertamente: “Io non sarei capace”; ma se non sentiamo questo non vale la pena rimanere qui.

Domanda: Ma in questa presenza c’è una missionarietà. Voi siete consapevoli che, essendoci, fate una missione?

Risposta: Noi ne siamo convintissime, perché vediamo come siamo accolte quando andiamo alla Posta, quando andiamo al supermercato, quando andiamo dalle autorità a chiedere un permesso…

La nostra presenza, il nostro essere così come siamo, senza pretendere nulla, fa loro effetto e questa è la missione che si compie qui e basta.

Annunciamo il Signore Gesù senza dirlo. Loro sanno che siamo tre donne, tre suore, tre donne di Dio e cristiane: senza un segno si annuncia il Signore e questo è molto forte.

Io penso che il Signore non a caso ci ha messo qui: quello che succede diventa oggetto della nostra preghiera, questa gente noi la “portiamo” a Gesù Cristo, nel piccolo tabernacolo della nostra chiesa.

2. INCONTRO CON IL SACERDOTE ORTODOSSO DI ISKENDERUN ABUNA DIMITRI YıLDıRıM

Sono molto contento quando le persone vengono a visitare questa chiesa, perché qui ad

Iskenderun noi cristiani ortodossi, cattolici, armeni e siriaci siamo pochissimi. Qui ad Iskenderun i cristiani Protestanti non ci sono.

In verità noi qui viviamo bene. In questa regione siamo quasi 500 famiglie cristiane greco ortodosse: i cristiani presenti ad Iskenderun, altri provenienti da Antiochia, altri da Arsuz e altri dalle zone limitrofe. Un bel numero, quasi 35%, vengono da Suadiye (a 20 kilometri d'Antiochia).

Noi ortodossi abbiamo tre chiese. La prima è questa ed è dedicata a san Nicola, un’altra chiesa lontana da qui circa 1 kilometro dedicata a san Giorgio ed è la più antica chiesa in questa regione e costruita nell’anno 1520 e la terza Chiesa ad Arsuz dedicata a san Giovanni. Arsuz è una regione sulla costa, lontana da Iskenderun circa 30 kilometri.

L’80% / 85% della gente che abita qui a Iskenderun hanno delle case al mare. Durante l’estate dunque tutti vanno lì e anche noi li seguiamo e preghiamo nella nostra chiesa dedicata a San Giovanni. Ad Arsuz facciamo la messa durante i tre mesi estivi e quando si aprono le scuole si chiude la chiesa ad Arsuz e torniamo qua.

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Ogni martedì facciamo la messa nella chiesa di San Giorgio dalle 09.30 alle 10.30 e ogni domenica qui in questa chiesa dalle ore 09.00 alle 11.00. La maggior parte delle gente viene in questa chiesa.

In Turchia la relazione tra noi (religiosi) e il governo non esiste. Abbiamo nella parrocchia un gruppo di laici, eletti dalla nostra Religione, che sono responsabili presso il governo per tutti i beni della Chiesa Greca Ortodossa e della relazione tra loro. I membri di questo gruppo sono sette permanenti e sette di riserva, e sono loro che rappresentano la Chiesa presso il Governo. I cristiani di Iskenderun sono di buona volontà, non ci sono dei cristiani nelle prigioni e non prendono nemmeno la droga. Sono molto bravi.

Celebriamo la Divina Liturgia in arabo ma abbiamo cominciato di celebrarla anche in turco. Nell’anno 1988, dopo 47 anni, è venuto il vescovo Greco-Ortodosso d’Aleppo e nell’anno 1992 è venuto il Patriarca Greco Ortodosso Ignazio Hazim per la prima volta dopo 92 anni.

Siamo stati dunque 92 anni senza Patriarca e 47 anni senza vescovo. I cristiani di queste parti sono hanno sempre preservato la loro fede e nessuno ha cambiato la loro fede e erano sempre saldi nella loro fede e nessuno di loro ha cambiato il suo nome perche il nome indica l'appartenenza. Per esempio io mi chiamo Dimitri e quando ho fatto il servizio militare non ho cambiato il mio nome.

Il nostro vescovo è ad Aleppo e il Patriarca a Damasco tra noi e loro non c’è una relazione materiale ma una relazione spirituale perche la relazione materiale e legata allo stato.

Ad Antiochia ci sono i nostri preti ortodossi e c’è anche padre Domenico, sacerdote cattolico. Quasi ogni giorno sono insieme nella chiesa ortodossa e nessuno dice che quello è cattolico e l’altro ortodosso o armeno. Ad Antiochia quasi tutte le famiglie dei cristiani sono ortodosse. Le famiglie cattoliche sono poche.

Devo aggiungere ancora che ad Iskenderun ci sono altre due nuove chiese: la chiesa dei siro ortodossi e la chiesa dei greco cattolici. C’è una terza chiesa armena ortodossa che non aveva un sacerdote da 15 anni. È arrivato un nuovo sacerdote appena 10 giorni fa.

Qui noi tutti conviviamo bene. Io prima conoscevo gli altri padri per esempio padre Gregorio, Padre Martin anche Padre Roberto Ferrari e alla fine con Padre Iosif. Succede che i nostri bambini andarono nella chiesa cattolica per la catechesi, e poi e venuto Padre Max e noi lavoriamo con lui, anche noi non diciamo ai nostri bambini di non andare a questa chiesa.

Io sono molto contento oggi perché per la prima volto vedo così tanti religiosi nella nostra chiesa.

In questa chiesa quando si celebra un matrimonio viene anche un sacerdote cattolico e anche lui fa una preghiera durante la celebrazione. Anche quando c’è per esempio un funerale nella chiesa cattolica noi andiamo e facciamo una preghiera. Iodico al sacerdote di fare una preghiera se vuole, perché qui in zona famiglie sono miste tra cattolici e ortodossi.

Una volta, per esempio, c’era un funerale e il defunto era cattolico e sua moglie ortodossa. Allora sono andato al funerale e ho pregato con loro. Anche loro vengono da noi e pregano con noi. Questa cosa non credo che succede in Libano. Io credo che Gesù ha una sola chiesa e se noi cristiani non ci amiamo gli uni gli altri come Gesù ci ama, come possono amare noi i fedeli delle altre religioni? Se il sacerdote non ama l’altro sacerdote come la gente lo amano? Per esempio sono molto contento quando vedo uno dei vostri padri cattolici, quando vedo un sacerdote ortodosso, perché tutti siamo sacerdoti sull’esempio di Melchisedek.

Per quanto riguarda la relazione tra noi e gli altri religioni per esempio i musulmani o gli aleviti siamo bene ma non entriamo in discussione con loro perche noi siamo pochi e non vogliamo problemi con gli altri.

Alla fine voglio ringraziare tutti voi perche siete venuti qui in questa chiesa, e quando questa chiesa accoglie sacerdoti come voi, diventa più forte. Dio vi benedica e vi protegga.

Oggi purtroppo il nostro salone è occupato con un’agape dopo i tre giorni della morte di una persona. Per questo voglio offrire il tè a tutti qui in chiesa.

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3. INCONTRO CON IL MUFTÌ DI ISEKENDERUN HAMDI KAVILLIOĞLU

3.1. Saluto dei frati al Muftì di Iskenderun Hamdi Kavillioğlu Siamo una comunità di frati francescani venuti ad Iskenderun per condividere la nostra vita e

per rinnovare il nostro impegno di lavorare per la pace e per il bene del nostro mondo e del nostro pianeta.

La salutiamo con le parole del nostro fondatore Francesco d’Assisi: Pace e Bene! Veniamo da paesi diversi animati dal desiderio di conoscere meglio le vie di Dio. Due giorni

fa, siamo stati alla sinagoga di Antiochia e ieri abbiamo visitato i nostri fratelli ortodossi, greci e armeni.

Oggi, come san Francesco che si è recato dal Sultano Malik al Kamil nel 1219, anche noi vogliamo esprimere a Lei il nostro desiderio di dialogo e di pace in un mondo che vede ancora tante guerre fatte nel nome di Dio. Crediamo che solo la via dell’amicizia fondata sulla condivisione e la solidarietà, sulla pace e la sulla preghiera, sia l’unica via degna di coloro che Dio ha chiamato alla vita.

Oggi, nel Müftülüğü di Iskenderun, veniamo per ascoltare da Lei ciò che crede essere il cammino che Dio ci invita a fare insieme, noi che siamo di fedi diverse e La ringraziamo fin d’ora della sua gentile accoglienza.

3.2. Saluto del Muftì di Iskenderun Hamdi Kavillioğlu ai frati A nome di tutti quelli che lavorano per la religione musulmana nella regione di Iskenderun vi

saluto e vi porgo il ben venuto. Io credo che se tra le persone che sono responsabili per la religione nel mondo esiste dialogo

e tolleranza, questo si riflette su tutte le persone per le quali loro sono responsabili. Io personalmente credo che questo dialogo qui in questa nostra zona di Antiochia e di

Iskenderun tra diverse religioni esiste. Qui ad Iskenderun lavoro da tre anni e mezzo. In questa zona sono presenti sei chiese cristiane. Con tutti coloro che lavorano in queste chiese ogni tanto ci ritroviamo insieme.

Nel 2008, all’inizio del mio incarico qui ad Iskenderun tra altri responsabili delle varie religioni mi ha visitato Mons. Luigi Padovese, che poi abbiamo perso in un evento molto triste.

In quell’occasione ci siamo ritrovati tutti insieme, con lui ed altri amici. Abbiamo sempre lavorato per dare a tutta la gente di questa zona un messaggio positivo.

Ho un bel ricordo del vescovo Mons. Luigi Padovese. Ci siamo trovati una volta anche per la cena rituale musulmana. In quel momento, i giornalisti hanno chiesto come valutiamo questo incontro, questa cena. Io ho risposto se le persone che sono responsabili per la religione si possono trovare insieme ad una cena, per un tè, questo significa molto, che non ci deve essere conflitto nel mondo, soprattutto per gli altri che ci vedono, dà a loro il messaggio che anche loro possono vivere questo amore nella loro vita. Io penso che anche voi lo sapete questo dalla vostra vita.

Quando è venuto qui Mons. Luigi Padovese ha incominciato ad imparare il turco però all’inizio aveva difficoltà ad esprimersi in lingua turca. Ha detto a noi [in Turco]: “Fratelli continuerò il mio discorso in Italiano perché faccio fatica in Turco, ma se Dio vuole fra un anno parlerò Turco.”

In quell’occasione anche il prefetto del Municipio, all’inizio del suo discorso ha fatto la battuta: “Amici, perdonatemi se adesso parlerò in Turco, ma se Dio vuole l’anno prossimo parlerò in Italiano”. “Speriamo proprio di poter imparare la lingua italiana”.

Ad Iskenderun, noi e in tutte le istituzioni che esistono qui ci sforziamo per poter vivere nella tolleranza e nella comprensione vicendevole, e crediamo che qui si viva veramente questa bellezza. Voglio esprimere il mio desiderio e credo fortemente che tutte le persone del mondo potrebbero vivere secondo la loro coscienza e da ciò che Dio chiede da loro ed essere rispettosi verso tutti gli altri che vivono in modo diverso la loro religione.

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Se questo si realizzerà credo che il mondo diventerà migliore e ci sarà pace tra le religioni. Alla fine voglio ringraziarvi per la vostra visita con tutto il cuore, la nostra porta è sempre

aperta a voi, e vi saluto e vi auguro ogni bene e che Dio vi protegga. Mi auguro che questo dialogo possa continuare anche con i nuovi frati che sono arrivati nella Chiesa come il dialogo esistente con i sacerdoti delle altre chiese. Ho partecipato anche alla Messa dell’apertura della Chiesa siro-cattolica.

Grazie nuovamente per la vostra visita.

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V. RELAZIONI

1. COMMENTO AL CAPITOLO XVI DELLA REGOLA NON BOLLATA fr. Giancarlo CORSINI, ofm.conv., Ministro provinciale della Provincia Lauretana (Marche,

Italia)

Prima di leggere insieme, e di ragionare su questo Capitolo, che fr. Silvestro ha definito bellissimo, io vorrei non solo dire che è bellissimo, ma vorrei anche aiutarmi e aiutarvi a cogliere la novità di questo Capitolo.

Quando san Francesco venne in Oriente, noi sappiamo che venne in Oriente accompagnato da frate Illuminato da Rieti, ha un compagno con sé, dice san Bonaventura (FF 1173) e poi leggeremo il testo del Celano che narra l’incontro con il Sultano, probabilmente in un periodo di tregua. Voi sapete che dopo la battaglia c’era un periodo di tregua per permettere di raccogliere i feriti o in qualche modo seppellire i morti e poi, si riprendeva a guerreggiare.

Primo aspetto. La Crociata, è la V Crociata indetta da Papa Onorio III. Per capire il fatto andiamo a guardare, che cosa dice della Crociata un grande santo come san Bernardo di Chiaravalle che è il grande predicatore della crociata; egli motiva la predicazione con l’espressione evangelica “compelle [illos] intrare” (cf. Lc 14,23): La cosa importante è che entrino dentro la Chiesa, che ricevano il battesimo, si va per via pacifica o si fa la crociata, non si guardava a sottigliezze: compelle illos intrare, poiché la salvezza è la cosa più importante. Siamo pochi decenni dopo e ci troviamo di fronte a questo capitolo della Regola che è totalmente diverso, che ha una concezione della missio completamente diversa.

Secondo aspetto. Il Capitolo come si presenta ora è da collocare sicuramente dopo l’esperienza della missione e dopo l’incontro con il Sultano. La Regola non bollata, nella stesura attuale, è del 1221. Francesco è ormai al termine della sua vita, va verso l’esperienza della grande maturità. Anche dal punto di vista missionario.

Terzo aspetto. Un altro aspetto di novità è dato da una visione nuova dal punto di vista antropologico. Per capire questa nuova visione antropologica, mettiamo insieme due opere quasi contemporanee: una è l’opera di Innocenzo III, il trattato De contemptu mundi (sul disprezzo del mondo); qualche anno dopo, nel 1225, Francesco scrive non il de contemptu mundi, ma la Laudis creaturarum, il cantico delle creature. Ecco, noi ci troviamo di fronte a queste grandissime novità.

La Chiesa, ai tempi di Francesco, vive una situazione molto difficile. Una situazione che direi quasi drammatica, si trova davanti ad una svolta epocale e in tale svolta c’è il Concilio Lateranense IV celebrato nel 1215. Qualcuno sostiene che Francesco e Domenico siano stati presenti a questo Concilio. É difficile storicamente stabilirlo. Ma certamente di questo Concilio Francesco sarà un divulgatore, soprattutto per ciò che riguarda la dimensione eucaristica. Questo grande Concilio nasce in una chiesa che fatica a riformarsi, che fatica a ristrutturarsi, che fatica a cambiare.

È difficile che un cambiamento avvenga semplicemente per via giuridica. Già Gregorio VII aveva iniziato una grande riforma della Chiesa: […] in capite e in membris, alla testa e alla base della Chiesa. La grave situazione era una grande ignoranza del popolo di Dio, non solo, ma una grande ignoranza anche del clero. É difficile fratelli pensare che il Diritto segni la riforma della Chiesa. Quando in una società, forse anche in una chiesa, forse anche in un Ordine, aumentano i codici, significa che manca la vita. Perché quando c’è la vita, Tommaso da Celano scrive che Francesco scrisse la Regola prima con frasi del santo Vangelo e paucis verbis, poche parole per la vita ordinaria. Questa riforma non arriva, nonostante che questo Concilio sia un grandissimo Concilio. Questo Concilio ha davanti una cristianità sfrangiata, divisa, spaccata, lacerata, pensate un po’ in questa cristianità la predicazione eretica! L’eresia miete molto consenso perché è consegnata a dei predicatori che sono dei moralisti eccezionali, hanno una vita povera, sobria, ascetica… hanno tutte le carte in regola, mentre abbiamo una Chiesa che d’altra parte è piuttosto gaudente, piuttosto lassa.

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Non lo dico io, lo dice Giacomo da Vitry, che quando giunge a Perugia per ricevere la nomina episcopale e partire per venire a San Giovanni d’Acri, trova il corpo di Innocenzo III profanato e spogliato degli abiti pontificali in San Lorenzo a Perugia, trova una curia dove dice lui, a mala pena si poteva fare un qualche ragionamento di vita spirituale. Tutto il resto era consegnato a cariche, principati, prebende, possedimenti e rimane scandalizzato, lui che è un attento cercatore della riforma della Chiesa, viene dalle Fiandre e nelle Fiandre c’era il grande movimento, in auge in quel momento, delle Beghine. Le beghine ad Assisi avevano una loro casa. La casa dove santa Chiara si fermerà dopo il monastero delle benedettine di Bastia, Sant’Angelo in Panzo, è un beghinaggio, quindi Francesco non è assente da questi discorsi, ma è coinvolto in questo discorso.

Un altro aspetto voglio evidenziare con voi: la missione segna fin dall’inizio la vocazione francescana e questo contro oltre ogni tentativo di ridurre il francescanesimo o di riportare il francescanesimo dentro una visione eremitica o intimistica. Io, fratelli sono profondamente contrario non all’eremo, ma a un tipo di eremo. Gli eremi delle valli marchigiane non erano fuori dal mondo, erano collocati lungo le vie dove la gente si poteva fermare, perché eremo e strada, vocazione e missione, preghiera o contemplazione e annunzio dell’evangelo vanno sempre messi insieme. Non aut aut, ma et et. Su questo si gioca una grande partita, adesso, in questo momento, nella vita della Chiesa e anche, forse, non ne ho esperienze, ma credo anche nella vita interna del nostro Ordine.

Se Francesco avesse scelto di fare l’eremita i frati della prima generazione non avrebbero avuto nessun problema a seguirlo. Invece quando Francesco ha otto frati, traccia per terra una croce – Nord, Sud, Est, Ovest – e dice: avanti, andiamo alla conquista del mondo. E nasce la prima missione, il primo viaggio apostolico dei frati. Il Celano dice che dopo che i frati sono partiti, dopo un po’ di tempo Francesco ha la nostalgia di rivederli, ha la voglia di rivedere il volto dei suoi fratelli e prega il Signore, e il Signore li raduna. Il Signore li manda, il Signore li raduna. Nell’evangelo, tutte le azioni, soprattutto nel vangelo di Marco e nel vangelo di Luca, tutte le azioni di Cristo sono guidate dallo Spirito. Dallo Spirito fu condotto nel deserto, dallo Spirito fu condotto al Giordano, dallo Spirito; … come la Chiesa negli Atti del Apostoli è sotto l’azione dello Spirito, sempre.

Ora se Francesco non accoglie lo schema di Bernardo, e di fatto non lo accoglie, non è un crociato; se sente l’influsso della Chiesa che cerca una riforma, e non a caso il Crocifisso di San Damiano dirà che la sua vocazione è quella di riparare la Chiesa di Dio, diventa muratore ma il Signore si riferiva ad un’altra Chiesa. Francesco va in missione con una precisa identità che è l’identità della fraternità in minorità. Oggi noi stiamo riscoprendo alla luce del Vaticano II, la Chiesa come comunione, mentre il Tridentino e il Concilio Vaticano I sottolineavano soprattutto la dimensione gerarchica. Se c’è una cosa che il Vaticano II ha scoperto, non credo sia la Chiesa comunione, ma la Chiesa come strumento per la missione. La missione è costitutiva dell’identità della Chiesa: la Chiesa è per la missione. Così come l’Ordine è per la missione, che passa attraverso la strada privilegiata e significativa della comunione. Quindi Francesco porta nella Chiesa del tempo, e nella Chiesa di ogni tempo, la dimensione della comunione e la dimensione della evangelizzazione attraverso una strada che è la strada della minorità.

Raul Manselli, questo buon studioso di san Francesco, dice che Francesco nella Chiesa del tempo e nella Chiesa di ogni tempo fa la scelta della “marginalità”. Non di natura sociologica, ma di natura teologica, cioè la minorità dal punto di vista teologico è la scelta della chenosi. La cristologia di Francesco è una cristologia di tipo chenotico: «exinanivit semetípsum, factus obédiens usque ad mortem, mortem autem crucis» (Phil. 2,8). Francesco celebra il presepio e lo celebra dopo l’esperienza della missione, dopo che è stato probabilmente in Terra Santa. Se san Francesco sia stato o non sia stato in Terra Santa non mi sembra una cosa di capitale importanza, la cosa che mi interessa è che il Cristo della chenosi è profondamente radicato dentro la sua esperienza. E Francesco porta nella Chiesa questa dimensione, che poi vedremo, diventa nel Capitolo XVI, essere sottomessi a tutto e a tutti.

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Noi abbiamo pensato di convertire il mondo attraverso lo spettacolo delle nostre opere. Le nostre opere sono oggi delle gabbie in cui non sappiamo che cosa metterci. Il grande rischio che oggi abbiamo è quello di essere imprigionati dentro queste nostre strutture fantastiche.

Adesso andiamo al Capitolo. Lo leggo adagio chiosandolo, poi dopo lavoriamo insieme su questo capitolo.

Dice il Signore: «Ecco, io vi mando come pecore in mezzo ai lupi.Siate dunque prudenti come serpenti e semplici come colombe» (1-2: FF 42).

É il vangelo della missio che risuona nella chiesa della Porziuncola (cfr Mt 10). Quando Francesco dopo aver restaurato la chiesa chiama il prete che gli celebri la Messa e dopo la Messa si fa spiegare il Vangelo, e dopo la spiegazione del Vangelo Francesco dice: questo è quello che voglio, questo è quello che cerco. Francesco nel suo Testamento non fa memoria del Crocifisso di San Damiano; Non perché non c’è stato, ma quello che ha sentito come cangiante, come forte per la sua vita è stato quel vangelo. «Dominus rivelavi mihi», il Signore mi ha rivelato che…

I frati che vorranno andare tra i Saraceni e gli altri infedeli (FF 42)… Noi in questo momento siamo abituati a vedere i fondamentalisti che ci trattano da infedeli, questo testo non è che ci piaccia molto, ma noi non possiamo pretendere che Francesco non sia inserito nel contesto del suo tempo. Al suo tempo quelli che non avevano incontrato la Chiesa erano infedeli, non in senso moralistico dispregiativo, semplicemente quelli che non hanno la fede cattolica. Non hanno la fede di Francesco, in questo senso va letto: infideles.

«Vada con il permesso del suo ministro e servo. Il ministro poi dia loro il permesso e non li ostacoli se

vedrà che sono idonei ad essere mandati; infatti dovrà rendere ragione al Signore, se in queste come in altre cose avrà proceduto senza discrezione» (3b-4: FF 42).

All’inizio della missione cosa c’è? C’è la divina ispirazione. All’inizio della vocazione cosa c’è? La divina ispirazione. C’è sempre, nella vita di Francesco, nella vita del cristiano, nella vita del frate minore, c’è sempre la divina ispirazione. Questo ci permette di fare una brevissima digressione: qual è il fine della vita cristiana? Il fine della vita cristiana, dice Francesco, non è pregare, né fare penitenza: niente di tutto questo. Il fine è «habere Spiritum Domini et sanctam eius operationem» (Rb 10), avere lo Spirito del Signore e la sua vita in noi. Una volta che abbiamo questo, allora nasce l’operare. D’altra parte l’adagio dice: «agitur sequitur esse», l’agire segue l’essere. Non c’è prima l’agire e poi l’essere, se c’è prima l’agire e poi l’essere… è un problema perché se non si vive come si pensa, si finisce con il pensare come si vive, ed è drammatico. La divina ispirazione è dunque di grandissima importanza.

Sotto questa divina ispirazione c’è il frate ministro e il frate che chiede di andare in missione, che non può fare a meno della divina ispirazione. Se il ministro non agisce tenendo aperta la comunicazione con la divina ispirazione, rischia di scegliere in un modo diverso dalla ispirazione divina e Francesco dice con molta chiarezza che se in questa come in altre cose avrà proceduto senza discrezione dovrà renderne ragione al Signore.

Accolta la divina ispirazione, sottoposta al discernimento del Ministro e avuto il permesso di partire dal Ministro, il frate è pronto per la missione.

«I frati poi che vanno fra gli infedeli, possono comportarsi spiritualmente in mezzo a loro in due modi»(5: FF 43)

La traduzione antica delle fonti diceva: possono ordinare il loro comportamento in due modi. «Un modo è che non facciano liti o dispute, ma siano soggetti ad ogni creatura umana per amore

di Dio e confessino di essere cristiani. L’altro modo è che quando vedranno che piace al Signore, annunzino la parola di Dio perché essi credano in Dio onnipotente Padre e Figlio e Spirito Santo, Creatore di tutte le

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cose, e nel Figlio Redentore e Salvatore, e siano battezzati, e si facciano cristiani, poiché, se uno non sarà rinato per acqua e Spirito Santo non può entrare nel regno di Dio».

Ricapitolando: divina ispirazione, superiori e sudditi, missione, come comportarsi? Prima vivano evitando liti. Interessante! Vi ricordate da che cosa rimanevano affascinati i pagani della comunità di Gerusalemme?: «guardate come si amano». Non venivano affascinati dalle parole belle di Pietro. Certamente non erano affascinati dal bel carattere di san Paolo, che non ce l’aveva. Da come si amavano. Ma questi si amano davvero! Guardate che la conseguenza è subito tirata: la prima cosa che farà pensare il pagano, o l’infedele, o, se volete, l’uomo di poca fede, o apistia o non credente è questo: ma questi si vogliono bene, perché? La prima missione che i frati fanno non è quella di predicare, ma è quella di vivere secondo una logica di fraternità. Allora capite, il problema non è di andare a dire: bisogna per forza farli entrare nella Chiesa, bisogna per forza… Voi sapete che la rimozione di Giovanni XXIII dalla Bulgaria, quando venne mandato in Turchia non fu mica una promozione, fu una punizione, perché? perché… non aveva fatto battesimi, pochissime conversioni, quindi questo non funzionava. Cambiare aria. Anche noi rischiamo molte volte di pensare che una iniziativa apostolica ha funzionato in base al numero delle persone che c’erano, ma questa è una logica mondana. Il problema è quanto il cuore è stato ferito dalla predicazione.

Tenete presente, mentre parlo, sullo sfondo, un’esperienza che ci è molto più vicina, l’esperienza di fratel Carlo di Gesù. Ha scritto una Regola per un ordine che non è mai nato, finché lui era vivente, ed è morto nell’anonimato totale. Quindi una valutazione che non sia secondo criteri mondani. Interessante ancora un’altra cosa: Francesco è di una modernità sorprendente, tra gli interventi fatti durante il Sinodo della Vita consacrata, ci fu l’intervento dell’ex cardinale di Milano, il cardinale Dionigi Tettamanzi che lesse la vita religiosa nella categoria della confessio. La vita religiosa è confessio fidei. Non attraverso quello che dice o quello che fa, attraverso il suo esserci. Quindi se in una chiesa locale viene a mancare la confessione di fede della vita consacrata, quella chiesa locale è più povera. Quando c’è questa vita, confessio fidei, adesso può cominciare l’attività apostolica, stricte dicta, strettamente detta. Francesco dice che l’attività apostolica deve iniziare quando piace al Signore, cioè quando i frati raggiungono nella fede la chiarezza della divina ispirazione, allora possono annunciare la Parola: perché credano e diventino cristiani.

Vorrei tirare alcune conseguenze su questa prima parte. La prima conseguenza è questa: Francesco ci chiede prima di tutto di stare con gli altri, mai

contro gli altri. Questa affermazione interpella la Chiesa in modo estrinseco, cioè la chiesa che si pone in dialogo, si pone in una situazione di annuncio, nella presentazione della fede ai non credenti. In Italia abbiamo paura della immigrazione; c’è una ampia fetta di consacrati che simpatizzano per una mentalità leghista perché hanno paura di perdere la fede o di essere conquistati dal proselitismo degli altri gruppi di credenti.

La migrazione interpella fortemente la chiesa perché chiede ai cristiani di venire fuori allo scoperto e di confessare la loro fede, perché il pungolo del mussulmano, dell’induista o del buddista che arriva ci chiede: chi sei? tu cosa credi? tu cosa pensi? tu cosa vivi? É un’interpellazione indiretta che arriva al credente. Vi è un altro aspetto che chiamerei intrinseco, una sorta di appello ecclesiologico, un invito alla Chiesa a riscoprire una profonda significatività ed una valenza profetica vera. In Occidente il problema non è l’accoglienza di Gesù Cristo. Il problema non è cristologico, ma è ecclesiologico. Chi non è amato non è Gesù Cristo, ma è la Chiesa che non è amata.

In occidente noi abbiamo ancora la tentazione di pensare che possiamo imporre la fede. Nel mio paese… i miei nonni, quando vivevano nel paese, chi sapeva leggere e scrivere? il prete, il farmacista e il maestro, qualche volta nemmeno il sindaco, e allora quello che diceva il prete era vangelo, bastava semplicemente dire: l’ha detto il prete, l’ha detto il farmacista, era un’autorità. Oggi questo discorso non c’è più. Allora potevamo pensare di imporre la fede, oggi no. Perché nessuno ci ascolta. L’ascolto è condizionato dalla credibilità e dalla significatività della vita. Il che significa che siamo chiamati a riscoprire una valenza profetica dentro la nostra vita. Francesco è

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davvero un profeta, non perché ha previsto il futuro - questa è un’accezione molto secondaria – ma perché con la sua vita è stato un uomo di Dio.

Se andate ancora al Capitolo, seconda conseguenza, vi accorgete che c’è un primato: il primato della Parola. C’è un sondaggio, fatto alcuni anni fa, in una capitale europea sulle messe celebrate la Domenica: solo in una esigua percentuale la predicazione era attinente alla Parola, nella maggioranza dei casi non si parlava di Dio, ma di psicologia, sociologia, politica, etica. Il primato della Parola non c’era più.

Francesco, nella Regola Bollata ci chiede di predicare con parole che siano “examinata et casta eorum eloquia” (9,3; Sal 17). Francesco afferma il primato della Parola. Ciò significa che solo una ecclesia audiens può essere una ecclesia docens, lo aveva affermato chiaramente Paolo VI nella Evangeli nuntiandi che, a tutt’oggi, rimane un documento di una sorprendente attualità. Solo la Chiesa che si lascia evangelizzare può evangelizzare, solo un frate che è in ascolto della Parola può ridire la Parola. E credo che qui papa Benedetto dica una cosa molto seria. Una delle paure che papa Benedetto ha è quella della burocratizzazione della chiesa: il piano decennale, il piano triennale, il piano pastorale annuale… Alla fine c’è tutta una grande rete che è molto burocratica, ma uno si domanda: ma Gesù Cristo dov’è?

Quando Francesco parla i suoi occhi sono pieni di chi? Sono pieni di Dio. I suoi orecchi sono pieni di che cosa? Di parole, di Parola. Nel suo cuore che cos’è? É pieno di una presenza viva, vera, cara: Gesù Cristo. Io sono contento che il Papa abbia fatto un nuovo dicastero per la nuova evangelizzazione, ma non credo che il problema si risolverà con il nuovo dicastero. Non dico che non si doveva fare, non voglio insegnare al Papa a fare il Papa, ma non è questo il problema. C’è una paura che la Chiesa sia più una macchina per dei servizi che un corpo vivo, più un’azienda che una fraternità. Mentre la comunità francescana che il capitolo XVI descrive cos’è? È una fraternità che va in missione. E che porta in missione che cosa? Che porta in missione una vita. Poi potranno o non potranno predicare. Ci sono situazioni. C’è una bellissima testimonianza della chiesa bulgara ortodossa durante il regime – ma penso non solo in Bulgaria ma in tante altre parti – la Chiesa non poteva fare niente: ma voi cosa fate? Noi celebriamo la divina liturgia. Noi celebriamo la vita. Non possiamo fare altro, possiamo celebrare. Qui nessuno ci può venire ad impedire di celebrare e di cantare la nostra vita davanti al Signore, poi sarà il Signore che farà, quando c’è una impossibilità esterna.

Riprendo il tema della confessio. Questa vita che confessa, può essere anche una vita che sconfessa, non perché uno vuol fare della polemica o perché vuol fare una crociata, o vuol fare una campagna di moralizzazione; ma sconfessa perché è una vita che sconfessa attraverso una assenza di profezia che nasce dalla vita stessa. Specifico, anche in maniera molto critica, molto cruda. Alcune nostre missioni non hanno funzionato, e ce ne sono ancora alcune che non funzionano ancora perché? Perché è andato in missione non la fraternità, ma l’individuo. Il grande peccato che sconfessa anziché confessare la presenza di Dio è l’individualismo. Francesco lo aveva capito in maniera chiarissima: “non facciano liti, si amino come fratelli, siano domestici tra di loro” (Rb). La vita fraterna sconfessa l’individualismo. Anche dentro le nostre famiglie religiose, anche nelle nostre comunità è entrata una sorta di competizione per sapere chi è il più bravo, il più forte, il più intelligente, il primo. C’è una tentazione che già conosceva lo Specchio di perfezione. Un giorno chiesero a Francesco come doveva essere il vero frate minore? Francesco rispose facendo passare davanti all’interrogante le virtù e gli atteggiamenti virtuosi dei singoli frati. Se andate ad Assisi e ponete a Francesco ancora una volta la stessa domanda lui vi risponderebbe chiamando per nome i quattro frati che sono sepolti accanto a lui e ve ne presenterebbe gli aspetti virtuosi.

Un altro aspetto che sconfessa la nostra predicazione e la nostra missione è il narcisismo. Non siamo arrivati ancora ad essere come i nostri politici, ma probabilmente non è che ci mancherà molto se andiamo avanti così. Quella di mettersi davanti al camerino, passare per essere truccati, per poi apparire in pubblico. Questa dimensione scenografica che arriva anche nelle stesse liturgie. Ciò che convertirà il mondo sarà una vita che è esattamente l’opposto del narcisismo. Una vita che passa dalla filautia all’agape, dall’amore di sé alla vita donata.

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Un altro tema, un altro idolo da sconfessare è la omologazione, e generalmente una

omologazione al ribasso, non al rialzo. Abbiamo tolto molte cose, ad esempio il Capitolo delle colpe, perché così come veniva celebrato non era per nulla significativo. Ma non lo abbiamo sostituito con la correzione fraterna, come via per una significativa vita di comunione. Dovremo tendere ad un gioco al rialzo; è questo quello che ci chiede questo capitolo della Regola non Bollata. Questo alzare il tono della vita spirituale rimette in circolazione nei frati una passione. I frati della prima generazione non erano senza peccati, come i frati del XX e XXI secolo non sono senza peccato, ma avevano dentro la passione per il Regno.

E questo calo di passione determina che cosa? Determina una dimensione apostolica, abitudinaria. Io non so, mi auguro che questo non capiti nelle altre realtà, ma se io guardo la realtà della mia Provincia qual è il rischio? Il rischio è di mettere la fotocopiatrice e di ripetere sempre le stesse cose: quindi tutti gli anni a gennaio, il primo gennaio si fa questo, tutti gli anni il 6 di gennaio si fa quest’altro, tutti gli anni si comincia la Quaresima così, tutti gli anni… e il motto che regna sovrano nelle nostre antiche province, è questo: si è sempre fatto così; oppure: non si è mai fatto così. É una virtù? No. Ma pensate, Francesco, un uomo del Medioevo, che dice: secondo i tempi, i luoghi e le fredde regioni. Provate un po’ voi cosa significa. Non significa la fantasia al potere, ma significa la libertà dei figli di Dio dentro il cuore.

Un’altra eresia da sconfessare è la smania del tecnologico. Non sono i mezzi, pure importanti, che determineranno una nuova stagione di evangelizzazione, perché la tecnologia non sostituisce la mediazione interpersonale, quella che determina il “contagio”.

Questo capitolo ci fa fare un’ulteriore passo, che è secondo me molto importante: ci fa passare dalla demostratio fidei alla narratio fidei. Noi veniamo da una formazione in cui dovevamo dimostrare l’esistenza di Dio. Noi siamo chiamati oggi a narrare l’esistenza di Dio. E i vescovi in Italia in questo momento hanno detto - mi sembra una cosa molto bella -: narrare l’esistenza di Dio attraverso una vita bella, buona e beata. E io credo che Francesco qui ci stia dentro fino al collo. Una vita buona. Sì, la vita di Francesco è una vita buona. É una vita bella. Quando Bernardo, quando Egidio, quando Pietro di Cattaneo vedono la vita di Francesco, dicono: ma questa è bella. E decidono di seguirlo. Prendo da una espressione del nostro Padre Generale che disse in un incontro: i frati sono buoni, abbiamo dei buoni frati, ma non ci sono dei giovani che si fanno frati quando vedono i buoni frati. Occorre che la nostra vita sia bella. La categoria del bello non dal punto di vista estetico, ma dal punto di vista della pienezza di vita che offre.

Nel capitolo che stiamo esaminando vi è poi tutta una serie di citazioni prese prevalentemente dai sinottici. É interessante vedere queste citazioni. Il carisma di Francesco è la lettura che del Vangelo ha fatto Francesco. Lì è la dimensione carismatica e questo, secondo me, è un altro grande regalo, un grande dono che ci viene da questo testo. Voi vedete che uno dei grandi problemi almeno nel Nord della cristianità è quello di una identità cristiana che è sempre più labile. Una identità cristiana che non ha più dei punti di riferimento precisi, ma è una identità così, o esterna o di una appartenenza anagrafica o è semplicemente nel registro del Battesimo, della Cresima, ma nella vita non c’è più questa identità e non ci sono più quindi dei punti precisi, oggettivi, l’oggettività della fede, a favore di una soggettivazione della fede. Ma è la stesa cosa che secondo me viviamo come Ordine. L’identità carismatica non è data semplicemente dall’aver fatto il noviziato, dall’aver fatto la professione o dell’appartenere così giuridicamente o esternamente all’Ordine, non è data dal fatto che uno porta l’abito o le nostre chiese non sono francescane perché fanno il triduo di san Francesco o la novena dell’Immacolata, ma è data da una identità carismatica e da una appartenenza chiara. Quanto incide la Regola nella nostra vita? Per non parlare poi delle Costituzioni.

L’appartenenza è data da dei segni concreti, da dei gesti concreti, devono toccare la vita. Perché se non toccano la vita è semplicemente un cavalierato, ma non è un’appartenenza. Appartenenza ecclesiale, identità cristiana ecclesiale chiara, identità cristiana e carismatica chiara. E questa identità cristiana è data da questi testi che sono nella Regola. Qualcuno dice in maniera

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smaliziata: i testi evangelici sono stati aggiunti nella Regola da frate Cesario da Spira. Ma quei testi sono stati aggiunti non perché piaceva a Cesario da Spira, ma perché avevano segnato e segnavano la vita di Francesco. E trovate allora che il numero 44 delle Fonti è il numero della testimonianza. Quindi una evangelizzazione di stampo testimoniale o di una presenza testimoniante.

Quand’è che un frate è una presenza testimoniante? Quando si presenta come una persona realizzata, adulta, pacificata, integrata. Credo che questo sia un dato di fatto, non credo che sia una cosa così strana. Già nella prima generazione capitava che c’erano dei frati che non avevano requie, allora cambiavano. Io devo cambiare convento perché qui non posso realizzare la mia vocazione: Zingari per tutta la vita. Francesco nella prima generazione diceva: se il frate non ha pace nella cella che Dio gli ha dato, che è frate corpo, non troverà pace in nessuna cella di convento fatta dalle mani dell’uomo. Una verità così elementare. Quindi questa persona integrata che va in missione, che diventa, che fa missione. Nello stesso tempo una persona che ha dei punti di riferimento precisi, chiari. E questi testi, secondo me, esemplificando, potrebbero dirci, dal punto di vista dell’essere discepoli, potrebbero dirci che l’identità carismatica è data dal pensare come pensa un discepolo, quindi un pensare modellato secondo l’evangelo; dal vivere come vive un discepolo, quindi una vita che è condizionata dall’evangelo. Per esempio se due frati non hanno la capacità, dopo aver litigato, di perdonarsi nel Signore, che cosa vanno a raccontare? Il problema non è che due frati non possano avere una querelle, una bella litigata, il problema è che dopo aver litigato possono prendere tranquillamente il caffè insieme; dall’amare con cuore di discepolo. Perché questo è un orizzonte diverso dal mondo, perché questo fa la differenza.

Tiriamo alcune conclusioni da questo testo. Prima di tutto il testo chi chiede di avere chiaro il primato della fede. Guardate che oggi c’è molto religioso, ma non molta fede. Perché il fondamentalismo, l’integralismo, il turismo spirituale, l’esotico, sono religione, non sono fede. Guardate che quando parliamo di integralismo, non parliamo semplicemente di integralismo e fondamentalismo islamico, perché esiste anche un integralismo e fondamentalismo cattolico. E il papa lo ha detto nel discorso che ha fatto a Santa Maria degli Angeli e mi sembra in maniera abbastanza coraggiosa. Il primato della fede. E al centro della fede non c’è una teoria, ma c’è una persona. Le teorie sono tutte intercambiabili. Le persone occupano uno spazio fisico e affettivo. Allora si tratta di vivere in Cristo. E capite allora che il testo della Regola stimola che cosa? Stimola la fede come un atto di libertà. Quando dicevo che la fede non può imporsi: è un atto di libertà, è un’interpellazione alla mia libertà di uomo, perché io dica sì o no, ci sto o non ci sto. E questo non è una teoria.

Credo che il problema, che c’è anche dentro le nostre comunità, il problema oggi è il problema della oligopistia, cioè poca fede. Io non ho un altro motivo per voler bene al fratello se non quello di accoglierlo come un fratello che il Signore mi dà nella fede. Non è il fatto che lui sa parlare bene, oppure, no, è un dato, il fratello che io ho accanto mi è regalato dal Signore, e io non posso non costruire con lui una storia di fede. Esemplifico in maniera banale. Il primo Concilio, il Concilio di Gerusalemme, che cos’è? É una solenne litigata tra Pietro e Paolo. Una aveva una teoria, uno aveva una teoria opposta. Alla fine, alla fine arrivarono a un compromesso. Non è un compromesso deludente. Marco e Barnaba, che sono due apostoli, alla fine, dopo aver avuto una dimensione conflittuale arrivano a che cosa? Beh, io vado da una parte e tu dall’altra. Ma non nel senso che io con te non ci sto. Abbiamo due modi diversi di vedere. Questa dimensione della fede pone in atto che cosa? Pone in atto una parola fondamentale che è la parola non di una volta, ma di tutti i giorni. Ma c’è un discorso che determina un prima e un dopo, è l’esperienza della conversione. Nella vita di Francesco l’esperienza della conversione è scandita da un fatto che determina un prima e un dopo.

Il primato della fede, con questo appello alla conversione che fa vedere la differenza, ci fa entrare in un’altra conseguenza - è la seconda conseguenza – che è l’epifania dell’agape, dove epifania dell’agape significa, lo dico con un’espressione molto bella di un vescovo italiano che è morto qualche tempo fa, che secondo me era davvero un profeta, un certo Tonino Bello, che dice: l’epifania dell’agape che cos’è? È la convivialità delle differenze. Noi siamo differenti per cultura,

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provenienza, età, indole, formazione, non dobbiamo mortificare questa convivialità delle differenze, anche l’Ordine appare sempre più chiaramente davvero differente.

Qual è la legge di questa convivialità delle differenze? Ve la dico ancora con un’espressione di Tonino Bello: amare infinito del verbo morire. Non per una smania di patire, ma perché è la logica della vita che si fa dono. Allora l’evangelizzazione parte e ritorna nello stesso tempo a questa dimensione della koinonia. Parte dalla koinonia: io desidero che cosa? Desidero che l’altro sperimenti l’amore che io sto sperimentando, e lo annuncio; noi vi annunciamo, «ciò che era fin da principio, ciò che abbiamo visto, ciò che abbiamo udito, ciò che abbiamo toccato, ossia il Verbo della vita, noi lo annunciamo a voi perché anche voi siate in comunione con noi e la nostra comunione è col Padre e col Figlio suo Gesù Cristo» (1Gv 1). Questo è il movimento. É l’atteggiamento? L’atteggiamento che emerge da questo testo, secondo me, è l’atteggiamento dalla macrotimia, cioè della grandezza d’animo, macrotimia, cuore grande, la dimensione della misericordia. Io credo che su questo si gioca la dimensione della evangelizzazione, sia nei paesi di antica tradizione, sia nei paesi di nuova tradizione.

L’ultima parola. Il testo ci chiede di stare nella compagnia degli uomini. Di stare in maniera disarmata e di starci fino al martirio, fino al dono totale di noi stessi. Tutta l’ultima parte del testo della Regola è su queste parole della sequela e della sequela radicale. Fino ad essere disposti a donare la vita, non è martire soltanto colui che confessa la fede davanti alla spada, ma è martire anche chi espone la sua vita fino al dono totale di sé. Il martirio di san Massimiliano, il martirio di tanti altri, che è il martirio dell’agape, che è il dono totale di se stessi. Io credo che il mondo chieda questo, almeno secondo me: stare nella compagnia degli uomini senza mimetismo, ma anche senza arroganza. In questo noi siamo quotidianamente plasmati dall’eucaristia che è la logica che conclude tutto questo discorso.

Per approfondire vi segnalo alcuni testi: 1. Enzo Bianchi: Cristiani nella società, 2.Carlo Paolazzi: Lettura degli scritti di Francesco d’Assisi, 3. Antonio Merino, Umanesimo francescano.

Sono i testi che io ho tenuto come riferimento per prepararmi a questo incontro e per condividere con voi queste riflessione sul capitolo XVI della Regola non Bollata.

Ed infine concludiamo leggendo un brano dalle Fonti Francescane. Nello stesso tempo entrò nell’Ordine una nuova e ottima recluta, così il loro numero fu

portato a otto. Allora il beato Francesco li radunò tutti insieme, e dopo aver parlato loro a lungo del Regno di Dio, del disprezzo del mondo, del rinnegamento della propria volontà, del dominio che si deve esercitare sul proprio corpo, li divise in quattro gruppi, di due ciascuno e disse loro: «Andate, carissimi, a due a due per le varie parti del mondo e annunciate agli uomini la pace e la penitenza in remissione dei peccati; e siate pazienti nelle persecuzioni, sicuri che il Signore adempirà il suo disegno e manterrà le sue promesse. Rispondete con umiltà a chi vi interroga, benedite chi vi perseguita, ringraziate chi vi ingiuria e vi calunnia, perché in cambio ci viene preparato il regno eterno».

Ed essi, ricevendo con gaudio e letizia grande il precetto della santa obbedienza, si prostravano davanti al beato padre, che abbracciandoli con tenerezza e devozione diceva ad ognuno: «Riponi la tua fiducia nel Signore ed Egli avrà cura di te» (Sal 54,28). Era la frase che ripeteva ogni volta che mandava qualche frate ad eseguire l’obbedienza.

Allora frate Bernardo con frate Egidio partì per Compostella, al santuario di San Giacomo, in Galizia; san Francesco con un altro compagno si scelse la valle di Rieti; gli altri quattro, a due a due, si incamminarono verso le altre due direzioni.

Ma passato breve tempo, san Francesco, desiderando di rivederli tutti, pregò il Signore, il quale raccoglie i figli dispersi d’Israele (Is 11,12), che si degnasse nella sua misericordia di riunirli presto. É tosto, secondo il suo desiderio e senza che alcuno li chiamasse, si ritrovarono insieme e resero grazie a Dio. Prendendo il cibo insieme manifestano calorosamente la loro gioia nel rivedere il pio pastore e la loro meraviglia per aver avuto il medesimo pensiero. Raccontano poi i benefici

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ricevuti dal misericordioso Signore e chiedono e ottengono umilmente la correzione e la penitenza dal beato padre per le eventuali colpe di negligenza o di ingratitudine. (1Cel 29-30: FF 366-369)

Ecco, io credo che questo sia un po’ lo stile che debba sempre emergere nel nostro modo di

essere e di stare tra gli uomini e con gli uomini.

2. L’ISLAM NELLA TURCHIA ATTUALE p. Xavier JACOB, assunzionista

1. Un po’ di Storia Questa parte del globo terrestre che conosciamo con il nome Turchia non ha sempre avuto

questo stesso nome. L’ha ricevuto al tempo delle Crociate (1097), ed è stato dato da due stranieri: un cronista latino - Flubert de Chartres - e un viaggiatore arabo - Ibn Battuta. I turchi sono venuti in queste regioni verso la metà del XI secolo; in particolare dopo la battaglia di Malazgirt (Manzikert, al nord del lago di Van), nel mese di agosto 1071, che ha opposto l’esercito turco, sotto gli ordini di Alp Arslan, all’esercito bizantino sotto il comandamento dell’imperatore Romain IV. Questa battaglia ha aperto ai turchi le porte di questo paese. L’imperatore bizantino Romain IV Diogene è stato fatto prigioniero e l’esercito bizantino è stato ridotto a ben poco.

Dieci anni dopo, nel 1081, l’esercito turco era presente a Izmir (Smirne) e sulle rive del Bosforo; aveva dunque attraversato tutto il paese. Ma questo non vuole dire che l’aveva conquistato e nemmeno reso turco tutto il territorio. Ciò si realizzerà pian piano nel corso dei secoli. Nel 1097, l’impero Seldjoukita d’Anatolia farà di Konia la sua capitale. Nel XIII secolo, i Mongo (Genkis Khan) vinceranno contro i Seljoukiti. E poi, saranno i Mongoli ad essere vinti e dovettero cedere i loro posto a una tribù turca, sotto il comando di Osman, che si sceglierà Bursa come capitale (1326). È l’inizio dell’Impero Ottomano che conquisterà per primo Edime (Adrianopoli) e ne farà la sua capitale (1361) prima di conquistare la capitale bizantina che diventerà la nuova capitale dell’Impero, il 29 maggio 1453.

L’Impero Ottomano, tra vittorie e disfatte, tra progressi e decadenze, sopravvivrà fino al 1923 quando nascerà la Repubblica Turca.

2. La Repubblica e le sue riforme All’inizio del XXI secolo. L’Islam turco è ben diverso da quello della metà del XX secolo e

ancor di più rispetto a ciò che era negli ultimi anni dell’Impero Ottomano e agli inizi della Repubblica Turca che è nata il 29 ottobre 1923.

I primi anni di questa giovane Repubblica hanno conosciuto importanti sforzi di modernizzazione, e questo nell’industria, la tecnica, l’insegnamento... eccone i più importanti a livello della scuola e della cultura, quelle che avranno dunque anche un impatto sull’Islam.

3. Laicità In primo luogo, l’abolizione del Califfato il 3 marzo 1924 e l’espulsione dell’ultimo Califfo,

Abdul Medjit, morto a Parigi il 23 agosto 1944. Al posto del califfato, nello stesso giorno, nasce la Presidenza per gli Affari religiosi alle dipendenze dirette del governo. A prima sembrava solo un cambiamento di nome, ma era ben più di questo; l’autorità della Presidenza per gli Affari religiosi si stende soltanto sul territorio turco allora che il califfato aveva autorità - almeno in teoria - su tutto il mondo musulmano dal Maghreb fino al Pakistan.

Lo stesso giorno fu votata una legge sull’unificazione dell’Insegnamento e cioè, da questo stesso giorno tutte le istituzioni scolastiche, a qualsiasi livello, dipendono dal Ministero dell’Educazione Nazionale; vuol dire che le Scuole per gli Imam, le Medrese, i Corsi Coranici, le Facoltà di Teologia, come anche l’Insegnamento religioso nelle scuole pubbliche (primarie e secondarie) dipenderanno ugualmente da questo Ministero e non dalla Presidenza per gli Affari

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religiosi. Una delle prime decisioni prese da questo Ministero sarà la chiusura delle Medrese tradizionali in favore delle Scuole per gli Imam.

Poi venne la riforma vestiaria che vieta il fez, per il cappello o il berretto (novembre 1925). Durante questo stesso mese, furono vietate le Confraternite Religiose, i loro “conventi” vennero chiusi e, generalmente, confiscati. Il 30 novembre di questo stesso anno, viene appesa in Parlamento la scritta dichiarante “La Sovranità appartiene al popolo”. Qualche settimana più tardi, verso la fine del mese di dicembre 1925, vengono adottati l’ora e il calendario occidentale. Nel mese di febbraio 1926, viene adottato il nuovo Codice Civile, conforme a quello svizzero, e con lui è subentrata la monogamia, allora che secondo la Legge Coranica, era possibile avere quattro mogli.

Nel 1928, il 10 aprile, gli articoli riguardanti la religione sono cancellati dalla Costituzione e sempre nel 1928, nel mese di novembre, l’alfabeto arabo è sostituito da quello “turco”, cioè latino con qualche segno supplementare. Nel 1930, l’insegnamento religioso - che si trovava già assai ridotto - è soppresso nelle scuole primarie; non esisteva più in quelle secondarie da diversi anni. Nel 1930, le ultime Scuole per Imam - erano solo due con una trentina di studenti - sono chiuse. Nel 1933, all’occasione di una riforma generale delle Università, la Facoltà di Teologia di Istanbul – l’unica esistente - viene chiusa. Si può dunque affermare che dal 1933, non esiste più in Turchia nessun istituto religioso o teologico. Nel 1934, nel mese di dicembre, viene vietato portare qualsiasi segno religioso in pubblico. E infine, il 5 gennaio 1937, la laicità viene iscritta nella Costituzione. Si può notare che le Leggi per la laicizzazione sono state promulgate prima ancora che la laicità trovasse il suo posto nella legislazione. Questa è arrivata per ultima ad approvare e incoronare ciò che è già stato fatto.

Bisogna però aggiungere che se nel corso degli anni, non c’era più un insegnamento religioso “ufficiale”, c’era sempre quello privato, clandestino. In molti villaggi e in alcuni quartieri delle città, il popolo aveva organizzato un insegnamento religioso “popolare”, ma sempre clandestino, cercando soprattutto la pratica, cioè i riti della Preghiera rituale, il digiuno nel mese di Ramadan... Infatti il popolo non era per niente d'accordo con la laicizzazione a oltranza e si sforzava di mantenere viva la vita dell'Islam in Turchia. Molto spesso si stabilisce un parallelo tra la laicità francese e quella turca. È vero che Kemal Ataturk si è lasciato ispirare dalla laicità francese, ma esiste comunque una grande differenza. Viene spesso dimenticato che la laicità in Francia si è fatta lentamente. A tappe, mentre in Turchia la laicità è stata imposta dall'alto, e in soli pochi anni, ha raggiunto ambiti che la Rivoluzione francese ha ignorato. Ad esempio il vestito, il cappello, l'alfabeto, il calendario... Fu una rivoluzione, molto di più di una evoluzione.

4. Restauro Pochi anni dopo la Seconda Guerra Mondiale, le leggi della laicizzazione furono applicate in

modo meno rigoroso e molte istituzioni soppresse durante gli anni della laicizzazione poterono, una dopo l'altra, aprire di nuovo le loro porte in modo legale e ufficiale. Infatti, il partito dell'opposizione, il Partito Democratico ha percepito il sordo ma profondo scontento del popolo e ha concluso che se voleva che il popolo votasse per lui alle prossime elezioni, doveva promettere una importante liberalizzazione nell’ambito religioso. Ed è ciò che ha fatto. Ha calcolato bene, perché alle elezioni successive, nel mese di maggio del 1950, il Partito ha occupato più dell’80% in Parlamento. “Fu la vittoria degli scontenti” ha dichiarato un giornalista all'indomani dei risultati. Apparentemente, gli scontenti erano assai numerosi nel paese. Fedele alle sue promesse, il Partito, che aveva allora la maggioranza in Parlamento, ha cominciato a ristabilire l’Appello alla preghiera – l’Ezan - in arabo, il 16 giugno 1950. Altri “restauri” seguiranno nel corso degli anni.

È così che, nel 1949, l’insegnamento religioso, facoltativo, è introdotto nell’insegnamento primario; e alcuni anni dopo, nel 1956, entra a far parte del primo ciclo secondario, e nel 1967 nei licei. Nel 1949 anche, è inaugurata la Facoltà di Teologia di Ankara e attraverso il paese, nello stesso anno, hanno inizio sette corsi per Imam. Due anni dopo, questi “corsi” per Imam diventano Scuole per Imam - predicatori.

Notiamo che la revisione delle riforme non ha toccato tutte le riforme realizzate durante i

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primi anni della Repubblica. Non si è toccato l’alfabeto, né il calendario, né il vestiario... Le revisioni erano prima di tutto nell’ambito dell’insegnamento e soprattutto quello religioso. Però, malgrado le apparenze e l'identità di qualche denominazione, queste revisioni non sono un semplice “restauro”, un ritorno di ciò che esisteva negli ultimi anni dell'Impero Ottomano. Anche se hanno conservato le antiche denominazioni, le nuove istituzioni non hanno più le stesse caratteristiche né, soprattutto, lo stesso spirito di prima. Il contenuto del loro insegnamento non è più lo stesso: i programmi sono stati ampliati e, soprattutto, i metodi d’insegnamenti sono cambiati. Ormai, sono i metodi occidentali che scelgono di seguire. Le facoltà occidentali hanno esercitato la loro influenza, e dall’altro, una grande parte di insegnanti ha studiato in università occidentali, europee e americane.

Queste nuove istituzioni si sono dopo sviluppate e moltiplicate; lentamente ma costantemente, nel corso del decennio. Sarebbe fastidioso rintracciare l’evoluzione di ognuna delle nuove istituzioni: basta rilevare la situazione attuale che risulta da queste evoluzioni.

La Presidenza per gli Affari religiosi, nei primi decenni della Repubblica, aveva i suoi uffici in una piccola casa privata, in centro città; il numero degli impiegati si aggirava attorno a 400 persone. Oggi, dopo le estensioni successive, questa Presidenza dispone di grandi palazzi fuori della città di Ankara, sulla strada d’Eskisehir, e il numero degli impiegati raggiunge 100.000 persone. Il Presidente stesso è diventato una personalità importante, ufficiale, avendo da molto tempo, un suo posto nel protocollo. Inoltre, altre estensioni sono previste; queste, secondo il quotidiano Cumhuriyet, faranno sì che la Presidenza sarà paragonabile al Vaticano.

Il numero delle facoltà di teologia supera la ventina. Le Scuole per Imam contavano nel 1997 più di 500.000 allievi. Nel corso dello stesso anno, il Ministero dell’Educazione, spinto in questo dall’Esercito, ha chiuso il primo ciclo dell'insegnamento secondario e ciò ha ridotto di più della metà gli effettivi di queste Scuole. Nelle Scuole pubbliche, l’insegnamento religioso, ormai esistente da decenni, è reso obbligatorio a tutti i livelli, dalla Costituzione nel mese di novembre 1982.

Questo elenco può sembrare fastidioso, ma è importante menzionare questi fatti per rendersi conto delle diverse evoluzioni dell’Islam nel paese.

Bisogna aggiungere un dettaglio molto importante e cioè la legislazione riguardante la laicità. Quest’ultima è sempre iscritta nei testi legislativi ma non viene più applicata rigorosamente come nel passato.

5. Islam e politica Se dopo la Seconda Guerra Mondiale, le autorità governative hanno liberalizzato la

legislazione sulla laicità, era certamente per dare soddisfazione al popolo che, da tempo, soffriva queste innovazioni e restrizioni nell’ambito religioso come anche l’assenza dell'insegnamento religioso a qualsiasi livello. Nello stesso tempo, questa liberalizzazione sarà ugualmente un importante fattore per guadagnare la simpatia del popolo e, così, ottenere i voti del popolo. Abbiamo visto dalle elezioni legislative del mese di maggio 1950 che questo fu un mezzo i cui risultati sono stati più importanti dei pronostici più ottimisti.

Il partito di opposizione, il Partito Democratico, ha giocato questa carta promettendo una importante liberalizzazione delle leggi concernenti la laicità, il ritorno all’insegnamento religioso… Il risultato era oltre ogni previsione alle elezioni di maggio 1950. La religione è divenuta, da quel momento, un fattore importante nella vita politica. Gli altri partiti hanno capito e ritenuto la lezione. Ormai, tutti - e anche il partito che voleva rimanere il fedele guardiano della laicità, il Partito Repubblicano del Popolo - aggiungeranno nel loro programma un qualcosa, più o meno importante, sulla libertà religiosa.

Con il nuovo governo, scelto dalle elezioni di maggio nel 1950, si svilupperanno le istituzioni religiose sopra elencate; il budget della Presidenza per gli Affari religiosi aumenterà ugualmente di anno in anno; il numero delle moschee aumenterà ugualmente allo stesso ritmo a tal punto che il Presidente per gli Affari religiosi, Sig. Nuri Yilmaz, dichiarerà che non c’era più bisogno di costruire

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nuove moschee.

6. La pratica Mi sembra più difficile dare numeri precisi e sicuri quanto alla pratica religiosa nell’Islam

della Turchia. Meglio limitarsi a stime e proporzioni: distinguere tra i centri urbani e gli ambienti rurali. Bisogna però notare che la differenza tra questi due ambienti sta diminuendo grazie all'influsso della televisione onnipresente. Inoltre bisogna considerare come “praticante” chi è fedele alle cinque Preghiere quotidiane - visto che sono un precetto dell’Islam - o chi si accontenta di fare regolarmente la Preghiera del venerdì?

Riguardo alle cinque Preghiere quotidiane, i fedeli, sia negli ambienti rurali sia nei quartieri periferici delle grandi città, considerati essere tradizionalisti, sono una minoranza, particolarmente negli ambienti urbani. Riguardo alla Preghiera del venerdì, le moschee sono piene, è un fatto, e spesso sono stracolme. Bisogna mettere tappeti anche fuori, nella piazza della moschea e anche sui marciapiedi. Ma ciò non vuol dire che tutti gli uomini, neanche la maggioranza, partecipano alla preghiera. Basta vedere coloro che, nello stesso tempo, circolano nelle vie vicine. Anche in questo caso, bisogna distinguere tra ambiente urbano, quello rurale o un quartiere di periferia delle grandi città. Se nei villaggi e nei quartieri periferici delle grandi città, la pratica religiosa è più forte, non è come pretendono alcuni che è a causa della pressione sociale, ma è soprattutto a causa di una seria convinzione personale. Per il digiuno del Ramadan, è un fatto sorprendente costatare che chi non va, se non raramente, alla moschea, rimane fedele a questa pratica. La proporzione di coloro - maschi e femmine - che sono fedeli a questa pratica è più importante di quella che sono fedeli alla Preghiera del venerdì e soprattutto di quella che sono fedeli alle cinque Preghiere quotidiane.

Coloro che, per principio, non frequentano mai la moschea e che rifiutano ogni pratica religiosa sono piuttosto molto pochi. Le loro motivazioni sono varie. Il più spesso è perché giudicano questi riti come troppo “primitivi”. Hanno però la convinzione e la coscienza di far parte della comunità, della Grande Famiglia Musulmana-la Oumma-e di essere partecipi dei valori di questi Famiglia. In modo più largo- all’eccezione di qualche mente critica radicale che si dà a una critica corrosiva cercando piuttosto di distruggere l’Islam, minandolo alla base per instaurare un ateismo radicale militante - che si tratti di praticanti regolari o non, tutti, coscientemente o meno, partecipano di questa mentalità musulmana che è diffusa negli ambienti e nella mente della Turchia; ognuno è fedele a questi valori dell'Islam. Anche coloro che rifiutano ogni pratica non tollererebbero che qualcuno, soprattutto dall’esterno, critichi l’Islam, o Maometto, pur se loro criticano i loro imam, i loro “uomini di religione”. Vivono in un ambiente spirituale, una mentalità musulmana diffusa nel loro paese; le loro menti e i loro inconsci ne sono assorbite, anche a loro insaputa. L’Islam fa parte integrante della loro identità, della loro personalità.

7. L’Islam non-ufficiale o parallelo Ogni turco è musulmano, è un dato di fatto; anche se non pratica mai il suo Islam. Bisogna

ancora precisare di quale Islam si tratti. Fin ora, soprattutto nei paragrafi che parlano delle istituzioni musulmane, si trattava dell’Islam ufficiale come capito e insegnato nelle Scuole e Facoltà di teologia, e cioè, l’Islam sunnita di rito Hanefi. Questo Islam può essere qualificato “ufficiale” visto che viene insegnato nelle istituzioni ufficiali dello Stato. Ma c’è anche un’altro Islam che prende le sue distanze da quello ufficiale e che possiamo qualificare di “non-ufficiale”; alcuni preferiscono chiamarlo “Islam parallelo”.

Di fatto, un buon numero di cittadini turchi, che si dicono musulmani, non sono soddisfatti dell'Islam “ufficiale”, anzi lo rigettano. L’abbiamo notato sopra. Perché? Cosa rimproverano a questo Islam? Lo sospettano di essere eretico? No. Le ragioni sono multiple e varie. In genere, questi musulmani sono contrari al fatto che sia il Governo a gestire l’insieme delle istituzioni musulmane. In fatti, tutte le istituzioni di insegnamento religioso, le Facoltà di teologia, le Scuole per Imam, i corsi di religione nelle Scuole pubbliche dipendono dal Ministero dell’Educazione Nazionale; tutto è amministrato, gestito e finanziato dallo Stato. È il Governo che amministra l'Islam turco, che

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gestisce e finanzia tutto. Ma questo Governo onnipresente dice di se stesso “laïk”. Bisogna precisare qui che in Turchia, il termine “laïk” ha un senso molto più forte rispetto al francese; si tratta di non-religioso, anzi anti-religioso. Dunque, continuano gli oppositori, è questo Governo “laïk” che non solo fissa i programmi e redige i manuali dell'insegnamento religioso, ma che nomina anche tutti i “funzionari religiosi”, dal Presidente degli Affari Religiosi fino all'ultimo imam dei villaggi o i guardiani delle moschee.

E questo è vero; continuano dicendo che questo è un modo pratico per garantire la loro sottomissione alle direttive del Governo. È soprattutto il modo di pensare l’insegnamento che rigettano gli oppositori. Questo insegnamento è troppo teorico, liberale e indifferente, dicono. L’Islam è insegnato come si insegnano le mitologie egiziane o babilonesi. Non si insiste abbastanza sulla pratica. I giovani che finiscono il liceo, dove ogni settimana avevano avuto un’ora di insegnamento della religione, non sanno come fare la preghiera rituale. Per di più, accusano l'insegnamento di non essere “ortodosso”.

Non è inutile ne fuori luogo ricordare che molte confraternite musulmane - le tarikat - vietate o sciolte nel mese di novembre 1926, sono rinate dopo decenni di sopravvivenza nella clandestinità senza essere per altro riconosciute ufficialmente.

Bisogna aggiungere nel campo dell’Islam non-ufficiale l’importante gruppo degli Alevi, dei quali abitualmente non si parla molto. Sono abbastanza numerosi - dicono di essere almeno 5 milioni. Nel passato, gli specialisti della storia turca regolarmente dicevano che erano tra 20 a 25 %. Chi sono?

Quando i Turchi entrarono in Anatolia, dalla seconda metà del XI secolo, alcuni gruppi, i particolare dei pastori nomadi, dei taglialegna... hanno portato con loro le loro credenze e le pratiche religiose dei loro antenati, una specie di sciamanesimo animista; queste pratiche non erano conformi all’”ortodossia” musulmana. Hanno ricoperto queste pratiche particolari con una vernice d’Islam; potevano passare più facilmente inosservati, soprattutto nelle regioni dove erano una minoranza.

Non è facile presentare le loro credenze in modo conciso e preciso; non hanno un “catechismo” né un “manuale di teologia”. Le loro credenze sono trasmesse sia oralmente sia grazie a delle poesie piene di immagini; e ciò non favorisce per niente la precisione. La loro particolarità è in primo luogo una profonda venerazione per Ali, cugino e genero del Profeta e quarto califfo. Alcune espressioni loro tendono a divinizzare Ali, ad esempio: “venerare Ali è venerare Dio” oppure “pregare Dio è ugualmente pregare Ali”. Nelle loro credenze si trovano anche tracce di panteismo ... Quanto alle loro pratiche religiose, essi non frequentano le moschee; e se lo fanno, trovano anche tracce di panteismo... Quanto alle loro pratiche religiose, essi non frequentano le moschee; e se lo fanno, è soltanto per evitare di essere notati. Hanno le loro proprie “Case di incontro” (Cem evi) dove si ritrovano e fanno i loro riti e le loro preghiere. Sono spesso accompagnati da una certa danza che ricorda quella dei dervisci rotanti. Bevono vino o alcol, osservano giorni di digiuno ma non durante il mese di Ramadan. Hanno un certo numero di pratiche religiose che non sono compatibili con l’Islam ortodosso. Non solo non sono considerati come musulmani ma molti non li possono sopportare, anzi li disprezzano.

Un dettaglio importante merita di essere notato; dalle origini, questi Alevi fanno sempre le loro cerimonie religiose e le loro preghiere in lingua turca e non in arabo né in persiano. Si può affermare che hanno molto contribuito al mantenimento della lingua.

A causa delle loro numerose credenze e pratiche difficilmente compatibili con la dottrina musulmana classica, molti, soprattutto coloro che sono dell’osservanza stretta, non li considerano come veri musulmani, anche se loro dichiarano di appartenere alla grande famiglia musulmana -la Umma.

8. Islam e mondo moderno Quando si abborda il problema dell’adattamento dell’Islam al Mondo Moderno, quello dei

nostri giorni, si pensa molto spesso alla Crisi Modernista che aveva scosso seriamente la Chiesa

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cattolica negli ultimi anni del XIX secolo e nei primi del XX. In ambedue casi, si trattava di adattare la religione - cattolica o musulmana - al Mondo Moderno pur rimanendo fedeli ai valori tradizionali.

Nell’Islam, sono state provate alcune iniziative nel XIX secolo già: Al-Afgani, M. Iqbal, Abdouh ... Nella Turchia è stato creato verso la fine dell’Impero Ottomano, nel 1918, un "Centro della Saggezza Musulmana" - Dar-ul-hikmet-al-Islamiye - che doveva studiare le possibilità e le condizioni di un tale adattamento. Ma con la caduta dell'Impero Ottomano, anche questo Centro è passato alla storia. Un problema è comunque rimasto e aspetta una soluzione. Studi che avevano per oggetto di mostrare la possibilità e i limiti di tale adattamento furono fatti durante i primi anni della Repubblica. In particolare, la Facoltà di Teologia, creata nel 1924, doveva lavorare su questa questione e offrire soluzioni; ha pure pubblicato una Relazione in questo senso. Ma questa relazione, pubblicata “per sbaglio”, fu assai mal accolta e rimase senza seguito. Era troppo rivoluzionaria e fu rinviata agli archivi e presto dimenticata.

La questione dell’adattamento fu di nuovo e molto fortemente discussa quando, dopo la Seconda Guerra Mondiale, è stata considerata la questione della reintroduzione dell’insegnamento religioso nell’insegnamento pubblico; quale Islam si va a insegnare? La risposta fu semplice: “un Islam Moderno”. Ma quali sono le particolarità di questo “Islam Moderno” che dovrà essere moderno e rimanere fedele alla Legge dell’Islam? Le opinioni erano diverse e molte risposte furono proposte. Nelle scuole e nei manuali, fu insegnato un Islam moderno. Un islamologo occidentale ben conosciuto, Bernard Lewis, ha pur dichiarato che un musulmano della Mecca o anche di Damasco avrebbe molta difficoltà a ritrovarsi in quell’Islam... I dibattiti sulla questione non sono ancora finiti al giorno d’oggi. Molte pubblicazioni propongono regolarmente soluzioni. Uno dei corifei dell’Islam moderno è certamente il Sig. Yaşar Nuri Öztürk, decano della Facoltà di Teologia di Istanbul e poligrafo ben conosciuto in Turchia. Esporne le diverse proposte in modo anche poco dettagliato sarebbe troppo lungo. Citiamo soltanto alcuni argomenti precisi.

Un autore ha preconizzato un Islam “Atatilrkista”: ad esempio, la preghiera viene fatta in lingua turca al fine di eliminare le influenze arabe. Questo autore cerca di identificare Kemalismo e Islam; la Religione e la Nazione, un tutt’uno. Altri, della stessa scuola, avevano proposto di cambiare la direzione della Preghiera, non più verso la Mecca ma verso il fiume Sakarya (Sangarios), dove le truppe turche hanno sconfitto quelle greche durante la Guerra di Liberazione. Per l'interpretazione del Corano, pensa che basta tenersi a Atatilrk: “la guida migliore, egli scrive, sono le stesse parole di Atatilrk: se qualcosa è conforme alla ragione, alla logica, alla scienza e ai vantaggi della patria e della nazione e dell’Islam, lì è la religione”. Le dichiarazioni di questo autore in questo senso sono numerose. Hanno naturalmente provocato reazioni numerose quanto virulente.

Un’altra “riforma” abbastanza spesso proposta riguarda ancora il testo coranico; sarebbe di trascrivere il testo arabo in caratteri turchi moderni; così tutti potrebbero leggere il Corano nella sua lingua originale, senza dover imparare la lingua araba. Il progetto fu però respinto perché non è possibile rendere in un altro alfabeto tutti i fenomeni della lingua araba con tutte le loro sfumature. Tutto questo ha naturalmente provocato vive reazioni e in poco tempo non se n’è più parlato scegliendo di andare verso altri problemi più concreti e pratici. Ad esempio, il problema delle Preghiere quotidiane; fare cinque volte al giorno queste Preghiere sembra non compatibile con la vita attuale; l’autista che guida un autobus può fermarsi per fare la Preghiera? Oppure l’operaio nella fabbrica può fermare il suo lavoro? Alcuni autori hanno proposto di ridurre il numero delle preghiere a tre, o anche solo a due; non cancellando semplicemente alcune Preghiere, ma facendo sì che due o tre vengano fatte insieme, in un sola volta. Anche per quanto riguarda il digiuno del mese di ramadan, soprattutto in estate quando i giorni sono molto più lunghi e con il caldo che fa nei mesi di luglio-settembre. L’autista alle sette della sera non mette in pericolo la sua vita e quella dei viaggiatori quando non ha mangiato dalle cinque della mattina? La soluzione proposta da certuni è quella di praticare il digiuno i primi tre giorni del mese o durante i giorni festivi soltanto. Sono questi delle iniziative o delle soluzioni personali che non hanno ricevuto nessun appoggio dalle autorità religiose e gli adepti della stretta osservanza respingono queste interpretazioni. Per loro, se

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bevi per sbaglio alcune gocce d’acqua mentre fai il bagno, hai rotto illegalmente il digiuno. Anche i divieti alimentari sono messi in discussione. Ci sono autori che dichiarano che il divieto della carne di maiale non ha più ragione di essere; le malattie che questa carne poteva causare nel passato sono da molto tempo eliminate dalla medicina moderna. Quanto al velo delle donne, del quale si è scritto tanto, il testo coranico è piuttosto vago e ambiguo al suo riguardo, dichiarano alcuni autori. Ognuno può interpretarlo come vuole.

Sono questioni che riguardano la pratica. Sono quelle più spesso discusse, anche nella stampa. È la vita quotidiana dei fedeli. Ma le questioni dottrinali non mancano. Ad esempio il Darwinismo o l’Evoluzionismo. Negli anni 80, la questione fu fortemente discussa grazie all’intervento del Ministro dell’Educazione nazionale che aveva vietato di insegnarla.

Un altro argomento di discordia fu e rimane quello dell’interpretazione del Corano, cioè l’esegesi. Si deve e si può applicare al Corano e alle Tradizioni i metodi dell’esegesi che gli occidentali applicano alla Bibbia? Nel mese di maggio (15-18) 2002, si è riunita a Istanbul una “Assemblea Consultativa sui Problemi Religiosi Attuali”. I partecipanti erano più di 70, in maggioranza teologi. Furono discussi vari argomenti. I risultati di questi dibattiti furono pubblicati in una Relazione finale che ha fatto conoscere le Decisioni prese “all’unanimità”. Queste decisioni sono abbastanza fedeli alla tradizione: il mantenimento del digiuno del mese di Ramadan, le cinque Preghiere quotidiane, la lingua araba obbligatoria per l’Appello alla Preghiera e la Preghiera rituale raccomandata perla preghiera privata...

C’è però un punto per il quale sono state previste innovazioni abbastanza importanti durante la lunga consultazione, cioè l’applicazione delle scienze storiche e filologiche allo studio del Corano e delle Tradizioni; cosa che finora non era stata mai fatta e nemmeno considerata; una commissione fu creata e incaricata dello studio dei problemi esegetici.

Considerando questi dibattiti che riguardano l’adattamento dell’Islam al mondo moderno, dobbiamo costatare che anche se i dibattiti ricordano la “Crisi Modernista” della Chiesa Cattolica verso la fine del XIX secolo e nei primi anni del XX le differenze sono importanti. La Crisi Modernista concerne soprattutto questioni di dottrina e di fede; i dibattiti sui problemi di adattamento dell’Islam al mondo moderno hanno toccato questioni di pratica che sono le cinque Preghiere quotidiane, il digiuno del mese di Ramadan, il divieto della carne porcina, la trascrizione fonetica del Corano arabo nell’alfabeto turco, il velo delle donne... Tutti questi argomenti sono discussi da decenni e ritornano regolarmente all’ordine del giorno; il motivo, è l’importante difficoltà di una istanza suprema a chi appartiene in ultimo luogo il potere di decisione; che è e sarà l’autorità suprema che potrà decidere in ultimo luogo e in modo definitivo in tutti questi ambiti discussi, teorici e pratici, avallare definitivamente tale o tale altra decisione; ed è perché questa ultima istanza non esiste che gli stessi problemi sono sempre all’ordine del giorno; nessuna delle soluzioni proposte ha ricevuto l’incoraggiamento da parte di una autorità ultima, decisiva; la soluzione proposta dall’uno sarà rigettata dall’altro. Una senatrice, ex professoressa della Facoltà di Teologia di Ankara ha dichiarato riguardo a questo argomento che ognuno deve farsi la sua propria interpretazione, jatwa: cioè che ciascuno deve agire secondo coscienza.

Non è possibile mettere fine a questa chiacchierata senza almeno evocare un tema che è un po’ alla moda da qualche tempo, ciò che viene chiamato Dialogo Interreligioso oppure le relazioni islamo-cristiane.

Per il popolo autoctono, i cristiani sono da molto tempo integrati nella popolazione; ma non si può parlare di dialogo interreligioso; si tratta piuttosto di una convivialità pratica e quotidiana. Il problema religioso è messo tra parentesi. Si può parlare di una intesa tacita di non toccare un argomento che sembra molto difficile, sensibile e spinoso.

Se guardiamo verso l’Islam ufficiale, quello della Presidenza degli Affari Religiosi e delle Facoltà di teologia, troviamo delle dichiarazioni di intenti nel senso che si vuole creare relazioni e dialogo. Però la messa in pratica di queste buone intenzioni è lenta. C’è però una evoluzione in questo ambito e cioè l’attitudine delle autorità dell’Islam che si è rivelata riguardo a questo problema all’occasione della visita dei tre Papi, Paolo VI, Giovanni Paolo II e Benedetto XVI.

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Quando Paolo VI si recò in Turchia nei giorni 25 e 26 luglio 1967, l’Islam venne semplicemente ignorato, nessuno ne parlò. Durante la visita di Giovanni Paolo II nei giorni 28-30 novembre 1979, l’argomento è stato toccato dal Papa stesso: nella sua allocuzione ai cristiani di Ankara, ha citato e commentato le raccomandazioni di san Pietro ai cristiani di Anatolia (1Pt 3, 15-16) sul come comportarsi nei confronti dei non cristiani: “siate sempre pronti a rispondere a vostra difesa a chiunque vi domandi spiegazione della speranza che è in voi con mansuetudine e timore...”. Durante la visita di Benedetto XVI alla fine del mese di novembre 2006, sia il Papa sia il Presidente degli Affari Religiosi hanno espresso chiaramente la loro seria intenzione di stabilire un vero dialogo islamo-cristiano, e prima di tutto a un livello pratico.

Bisogna infine menzionare qualche raro piccolo gruppo di cristiani e musulmani che si incontrano a titolo privato e informale per pregare insieme; ciò che mi sembra essere il vero dialogo e dunque anche quello più utile.

3. ISLAM IN EUROPA Fr. Dominique MATHIEU, ofm.conv.

1. Premessa Ho accettato la preparazione di questa relazione sull’“Islam in Europa” come una sfida. Non

possiedo nessuna competenza accademica a proposito. Vengo da voi con la curiosità di chi ha vissuto poco più di vent’anni in mezzo agli immigrati marocchini di Bruxelles.

Forse sarebbe stato opportuno di sentire un musulmano a proposito, ma l’argomento è ampio eppure permette ad un cristiano di dare un suo contributo.

L’ampiezza dell’argomento richiede di precisare i termini; sia i sostantivi “Islam” che “Europa”, come anche la copula “in”.

1.1. «Islam» In quanto occidentale faccio una distinzione tra fede e l’istituto che raduna coloro che

professano questa fede. Quest’approccio può non essere condiviso dal nostro fratello musulmano proveniente da un paese cosiddetto ‘musulmano’ il quale per nascita è considerato musulmano. Distinguo dunque “Islam” (sottomissione a Dio) dall’organizzazione religiosa che collega coloro che la professano e che per convenienza chiameremo “Islam” (imperativo del verbo ‘salama’, che significa “diventi musulmano”).

Per esplicitare l’ambiguità dei nostri modi di avvicinarsi a vicenda seguono esempi tratti dal quotidiano.

Primo esempio: In quanto Europeo non musulmano mi dichiaro essere di tale nazionalità e poi solo in uno

secondo momento, dopo richiesta, esprimerò la mia appartenenza religiosa. Accosto invece direttamente un marocchino come musulmano. Il gran rabbino di Bruxelles è marocchino! Un giorno dopo essere stato aggredito si esprimeva: “Sono stato aggredito dai miei connazionali”. Per me, e senza dubbio anche per lui, il gran rabbino è prima di tutto ebreo, e poi marocchino. In Marocco il giudaismo è riconosciuto e beneficia uno statuto privilegiato. Però i giudei per causa della dominanza dell’”Islam” in nessun modo ne faranno accenno. Vicendevole per gli assalitori si trattava senza dubbio di un giudeo, dal cappello nero e la sua metà, la scuola ebrea. Ugualmente per l’Europeo non musulmano, ogni persona con velo o portando babbuccia o djelaba è senza dubbio musulmano. Ricordo essere stato avvicinato da una fedele irrequieta di vedere comunicare un musulmano, in realtà un cristiano marocchino. Per lui gli altri fedeli erano veramente cristiani ed una volta uscito dalla chiesa, visto la diversità etnica della gente, forse provenienti da altre aree.

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Secondo esempio: In fine si chiede oggi ai giovani nati in Europa da genitori immigrati, detti alloctoni, di essere

Europeo per lo Stato nel quale egli risiede e musulmano considerando le sue origini. Come combinare due visioni diametralmente opposte? L’appartenenza ad uno stato in Europa prevalendo sulla religione e dal lato musulmano la religione che include tutta la realtà di una società?

1.2. «Europa» D’altronde non è neanche facile definire quello che si intende per “Europa”.

Geograficamente si estende all’Ovest dall’Islanda alla Spania, ed all’Est l’Ural ed il Bosforo la confinano. Rappresenta il 7% della superficie della terra. Vi si contano 738 milioni di abitanti. Culturalmente è segnata dal pensiero elleno-cristiano. A livello razziale si suole dire che dovunque la pelle è bianca l’Europeo è presente.

1.3. «in» La copula «in», legando «Islam” e “Europa”, è sintomatica per il pensiero di quest’area, la

quale auspica la separazione di Stato e chiesa. Ora vi propongo di localizzare l’Islam nell’Europa contemporanea.

2. Islam e Europa L’Islam affascina l’Europa da parecchio tempo. Essa viene considerata come religione

profetica alternativa, cultura esotica, altro e reale modo di vita. Questo stimolava in senso positivo la fantasia, ma ha anche suscitato avversità. Le crociate, la riconquista spagnola, le guerre Turche, i pericoli coloniali, e di recente la reazione al risveglio islamico ne sono i momenti salienti. Tutto sommato per l’Europa ‘cristiana’ l’Islam da sempre ha suscitato fascino e paura. Ma l’Islam dei musulmani, il vero Islam, malgrado il progredire del sapere a proposito, non è quello come noi in occidente ce lo rappresentiamo e pensiamo.

2.1. Lo studio dell’Islam in Europa La necessità dello studio dell’Islam (lingua, testi e religione) in Europa inizia già nel

medioevo. Segue nel ‘500 lo studio scientifico delle grande lingue dell’Islam: arabo, perso e turco. Dopodiché si studieranno i suoi popoli e le sue culture, ed anche la sua storia. Così nasce lo studio dell’Islam, segnato dalla ricerca linguistica e storica. Poi la ricerca viene rilanciata dalle scienze sociali e le scienze religiose. Oggi si può capire meglio come si è giunti alle differente immagine sull’Islam.

Si può dire che la conoscenza effettiva dell’Islam in Europa cresce. Purtroppo l’islamologia vi ha conosciuto dei momenti d’unilateralità e di debolezza. Studiando l’Islam non si è praticato abbastanza la ‘Sitz im Leben’, non veniva considerato il pensare da musulmano, e l’approccio dei musulmani e la loro religione era quello della superiorità dell’Europ(a)(eo).

Per farsi un’idea dell’Islam e dei musulmani in Europa dobbiamo considerare accanto agli orientalisti anche i teologi. I primi si indirizzano ad un pubblico scelto ed i secondi propagano l’immagine delle altre religioni.

Malgrado il progresso istituzionale (pensiamo all’approccio positivo dell’Islam nelle espressioni del Concilio Vaticano II), il grande pubblico solo di rado è stato coinvolto. L’immagine dell’Islam nei libri scolastici rimane lacunare.

Nel punto seguente affrontiamo l’aspetto storico.

3. Breve storia dei rapporti Occidente-cristiano con l’Oriente-musulmano Considerare l’Islam contemporaneo in Europa richiede di rivisitare l’incontro di questo

continente con l’Islam. Quanto segue è solo una carrellata della storia generale dell’Europa del IV secolo ai nostri giorni. Segue poi la storia del popolamento dell’Europa dai musulmani. Poi

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consideriamo statistiche per quanto riguarda l’odierna situazione della distribuzione dei musulmani sul continente. Terminiamo il capitolo con alcune stime circa lo sviluppo demografico di questi popolazioni negli anni da venire.

3.1. La storia dell’Europa (secolo XV a XXI) Sorto dalla clandestinità nel secolo IV, il cristianesimo si stabilisce nell’Impero romano.

Dissensi a proposito del primato della Chiesa di Roma conducono alla scissione in Ovest ed Est, causando la nascita dell’impero bizantino e della chiesa ortodossa.

L’Occidente non è mai stato stabile (guerre) ne sicuro (disordini) del suo futuro. Invasioni di Scandinavi non ancora cristiani al Nord; al Sud le navi musulmane; all’Est gli Slavi in uno primo tempo e poi gli Ungari venuti dall’Asia.

Ne risulta che i paesi dell’occidente si richiudono in sé stessi. L’espansione riprende al secolo XI. All’Est Costantinopoli ritrova la sua autonomia alla fine del ‘200. Nel 1453 l’Impero Bizantino crolla sotto gli Ottomani.

L’espansione caratterizza la storia dello stato ottomano nel ‘500. Gli stati europei credono per un attimo con la vittoria di Lepanto (1571) di avere fermato l’espansione, ma i Turchi prenderanno ancora Cipro e Tunisi. Termina pero la loro conquista, eccetto Creta che passa nelle loro mani nella seconda meta del secolo XVII.

Mentre i poteri occidentali lanciano l’intrapresa “coloniale”, Austria e Russia esercitano pressione sulle province ottomane di Europa centrale e balcanica. Dalla fine del ‘600 l’impero turco campa sulle sue posizioni e nel secolo XVIII comincia a cedere territori.

Da tanti punti di vista la storia dell’occidente cristiano e l’oriente musulmano è stata conflittuale per oltre tredici secoli e mezzo. Non si può negare che l’immagine che si ha vicendevolmente porta ancora le tracce di questa lotta.

3.2. Storia dei musulmani nei confronti dell’Occidente L’espansione e la conquista armata sbocca velocemente fuori della penisola arabica. I

musulmani sono confrontati ad altre realtà intellettuali e ad altre civilizzazioni, come quella dei cristiani di Europa o dei Balcani. Durante un millennio la civilizzazione musulmana imporrà la sua impronta su un vasto territorio.

Gli storici hanno messo in evidenza il ribaltamento geopolitico provocato dall’apertura della via atlantica da parte di Cristoforo Colombo. L’Islam viene progressivamente marginalizzato. Nel frattempo l’occidente sta vivendo il Rinascimento. Nascono stati potenti, che formeranno alla fine del ‘800 uno nuovo potere: l’Occidente. Il mondo musulmano viene confrontato con la conquista coloniale.

Il confronto culturale e religioso e lo scontro delle civilizzazioni fa sorgere rivolte armate, dalla penisola indiana fino al Marocco, passando dall’Africa sub-sahariana. Comincia un’epoca di rinnovamento spirituale e intellettuale. Nasce anche il rinnovamento delle organizzazioni.

Di solito si tratta di ritornare alle radici dell’Islam. Si spera in questo modo ridare vigore alla religione, la quale si considera aggredita dalla modernità coloniale, dal secolarismo ed dal lavoro missionario cristiano. Si tenta anche alla fine dell‘800 di riformare le istituzioni ottomane. Allo stesso tempo si ha come scopo il rinnovamento spirituale e politico.

Il rinnovamento riguarda anche il pensiero. Su questa scia alcuni movimenti della fine del secolo XIX e inizio secolo XX affermano che l’Islam può riformarsi nel senso della ragione moderna, perché ha come fondamenta anche la ragione, il progresso e la solidarietà sociale.

Il rimbalzo dagli anni 1920 in poi. Con l’inaugurazione della giovane repubblica turca di Mustapha Kemal l’impero ottomano sparisce; ma scompare anche il simbolo di unità del passato glorioso della civiltà musulmana incarnata dal Califfato. Contemporaneamente la colonizzazione occidentale vive i suoi momenti di gloria: il confronto culturale è frontale.

Capire il perché del vertiginoso declino della civiltà musulmana occupa le menti musulmane.

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Sorge dunque la domanda come resistere all’Occidente e ristabilire la gloria passata? Due vie vengono seguite.

Una consiste nell’intraprendere un processo simile a quello della modernità occidentale, associando in modo indissolubile secolarizzazione e modernità. L’altra comporta l’affermazione della specificità della via musulmana.

3.3. Storia del popolamento musulmano in Europa L’Islam è arrivato in Europa in vari modi, anche con la conquista. Il recente impiantarsi di

popolazioni musulmane in Europa deve essere qualificato di “ritorno”.

3.3.1. Primo periodo – Conquista e islamizzazione: secoli VIII-XV Essa comincia in Europa occidentale poco tempo dopo la nascita dell’Islam.

Prima della conquista di Costantinopoli nel 1453 gli ottomani percorrevano già l’Europa; e strada facendo ingrandivano il loro impero con l’Europa del Sud-est.

3.3.2. Secondo periodo – L’impero ottomano: secoli XVI-XIX Già nella Pansebeia (1650) si parla dell’Islam come religione europea. Il declino dell’impero

ottomano incominciato alla fine dell’600 durerà due secoli. Nello stesso tempo la rivoluzione industriale in Europa inventa e produce cose (nave a vapore, ferrovia, ecc.) che rendono la vita più gradevole e pratica. Conduce a viaggi per motivi commerciali e politici, come anche di studio.

3.3.3. Terzo periodo – Il fatto coloniale: secoli XIX-XX La gestione dei paesi musulmani e il popolamento di essi non causa a quel momento

immigrazione; se non soldati stranieri in servizio al colonizzatore.

3.3.4. Quarto periodo – La decolonizzazione: dopo la seconda guerra mondiale Dopo l’indipendenza delle colonie si poteva pensare che l’interesse per l’Islam venisse meno,

il fascino per l’occidente diminuisse e che non ci sarebbe più stata nessuna crescita demografica in Europa occidentale. Tutto il contrario si è rivelato. Per causa della decolonizzazione i contatti con l’Islam si sono intensificati; in modo particolare quando i musulmani si sono stabiliti in Europa occidentale.

3.3.5. Quinto periodo - La migrazione economica e poi politica: 1960-2010 La costruzione della cortina di ferro nel 1961 chiude i confini tra l’Europa Ovest e quella

Est; e nello stesso tempo impedisce ogni forma di emigrazione. Negli anni Sessanta in Europa occidentale ditte sostenute dai loro rispettivi governi

cominciano a reclutare nel bacino mediterraneo mano d’opera poco qualificata. L’Occidente diventa terra promessa per quest’ultimi. All’inizio si pensava che sarebbero ritornati nei loro paesi. Ma dopo dieci anni solo una minoranza è ritornata a casa. Anche i governi si esprimono in questo senso dichiarando di non desiderare essere terre di immigrati.

L’arco musulmano ubicato in pieno Balcano, oggi chiamato Europa Sud-est, già popolata da musulmani non esercita in questo periodo nessuna attrazione per l’emigrazione, ma riveste in un primo tempo il ruolo di ingresso per l’emigrazione clandestina verso l’Europa occidentale. Durante la recessione economica degli anni Settanta i governi tentato d’incitare gli operai stranieri di ritornare da loro, ma con poco successo.

La ricomposizione delle famiglie e le nascita di nuovi figli negli anni Ottanta segnano l’inizio di una nuova fase di emigrazione legale con lo stabilirsi nella terra di accoglienza.

Per causa dei conflitti nei Balcani ed il Medio Oriente e recentemente la primavera araba, dagli anni ’90 fino ad oggi i paesi dell’Europa occidentale divengono la scena dell’afflusso di richiedenti di asilo per motivi politici. La regolarizzazione di extracomunitari ha fatto crescere il numero di musulmani.

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3.3.6. Sesto periodo : acquisto della nazionalità Le giovani popolazioni musulmane in Europa dispongono spesso della doppia nazionalità

(paese di origine e paese di accoglienza) senza pero sentirsi a casa in ambedue le nazioni.

3.4.1. Distribuzione dei musulmani nel mondo Nel 2003 su una popolazione di 6,3 miliardi abitanti si contava 1,3 miliardi di musulmani

(84% sunniti, 15% sciiti e 1% di kharidjiti. La stragrande maggioranza in Asia (690 milioni in Asia meridionale e 240 milioni al Medio-Oriente), un gran numero in Africa, 320 milioni (130 milioni in Africa del Nord e 190 milioni in Africa sub-sahariana). Sul continente americano si calcola poco più di 6,5 milioni abitanti (5 milioni per gli stati uniti e 1,5 milioni per l’America latina).

3.4.2. Distribuzione dei musulmani in Europa nei confronti della totalità della popolazione del paese

1% (Armenia, Bielorussia, Repubblica Ceca, Estonia, Finlandia, Ungheria, Islanda, Irlanda, Lettonia, Lituania, Malte, Moldavia, Monaco, Polonia, Portogallo, Romania, San Marino, Slovacchia, Ucraina)

1%-2% (Andorra, Croazia) 2%-4% (Italia, Lussemburgo, Norvegia, Serbia, Slovenia, Spagna) 4%-5% (Danimarca, Grecia, Liechtenstein, Regno Unito) 5%-10% (Austria, Belgio, Francia, Germania, Paesi Bassi, Svezia, Svizzera) 10%-20% (Bulgaria, Georgia, Montenegro, Russia) 20%-30% (Cipro) 30%-40% (Macedonia) 40%-50% (Bosnia Erzegovina) 80%-90% (Albania) 90%-95% (Kosovo) 95%-100% (Turchia, Azerbaigian) Per cifre più precise per ogni nazione europea consultare per favore le pagine 46-49 dello

studio di Stéphane Papi, opera citata nella bibliografia consultata.

3.4.3. Musulmani sul continente europeo Il continente europeo conta nel suo insieme pressappoco 32/53 milioni musulmani su una

popolazione di 466 milioni abitanti. La metà o un terzo di essi nell’Unione europea.

3.4.3.1. Musulmani di ceppo Nell’arco musulmano dell’Europa: 12 milioni. Se si tiene conto della Russia, altri 25 milioni;

la parte europea della Turchia, altri 5,9 milioni.

3.4.3.2. Musulmani di origine Dei 27 stati dell’Unione europea la Francia conta pressappoco 4 milioni di persone di

origine musulmana; la Germania 2,1 milioni di origine principalmente turca, un terzo con passaporto tedesco; la Gran Bretagna 1,6 milioni provenienti dal sottocontinente indiano; la Spagna 1 milione ed i Paesi-Bassi 850.000, sia 6% della sua popolazione.

3.4.3.3. Musulmani per conversione Non sono da sottovalutare, pur se difficile da cifrare.

3.4..4. Musulmani convertiti Sembra essere una tendenza, ma i motivi sono da verificare.

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4.4.4. Sviluppo demografico dei musulmani in Europa Nei prossimi 20 anni la popolazione musulmana mondiale crescerebbe del 35%, ossia di 1,6

miliardi a 2,2 miliardi in 2030. Per quanto riguarda l’Europa si stima una popolazione musulmana di 44 milioni di persone

nel 2010, ossia 2,7% della popolazione mondiale. Per il 2030 si mantiene la stessa percentuale, ma con 58 milioni di persone.

Nei confronti della popolazione musulmana mondiale essi rimangono una minoranza in Europa, ma ci si aspetta che in questi paesi crescano in numero nei confronti delle popolazioni locali.

In tutta l’Europa la popolazione musulmana dovrebbe crescere di un po’ di più di un terzo nei prossimi vent’anni, passando di 6% della popolazione del 2010 all’8% nel 2030. Nel caso di una migrazione continua la crescita sarebbe più alta in Europa e negli Stati Uniti. In molti paesi potrebbe raggiungere percentuale fino a due cifre. Nel 2030 la popolazione musulmana nei confronti della popolazione globale del paese raggiungerà l’8,2% per la Gran Bretagna, il 9,3% per l’Austria, il 9,9% per la Svezia, il 10,2% per il Belgio e il 10,3% per la Francia.

Fattori che spiegano questa crescita in Europa, anche se la crescita media del mondo cala: i musulmani più che i non musulmani hanno più figli per donna; la popolazione musulmana è giovane (più nei paesi dove sono minoritari che negli altri); una grande fascia delle popolazione sta raggiungendo l’età di riproduzione (15-29 anni); le condizioni sanitarie in occidente abbassano la mortalità infantile e le prospettive di vita aumentano.

I sunniti progrediscono numericamente nei confronti dei sciiti. La stragrande maggioranza dei musulmani vivono fuori dei paesi detti sviluppati.

Nell’Europa del 2030 10 paesi conteranno più del 10% di musulmani nella loro popolazione.

La Russia continuerà ad avere la più grande popolazione musulmana (in cifre assolute) in Europa nel 2030; cioè 18,6 milioni.

3.4.5. Riflessione L’arrivo dell’Islam in Europa occidentale coincide con un processo avanzato di

secolarizzazione, con un numero in crescita di gente senza convinzione religiosa. L’emancipazione della donna musulmana nel paese di origine permette che ella può viaggiare

da sola per andare a vivere liberamente nell’occidente, dove la sua presenza fa crescere il numero degli emigrati. Alcune divengono femministe ed altre vittime perché lasciato solo senza modo di provvedere ai propri bisogni.

In genere si trovano i musulmani immigrati nelle aree molto popolate e industrializzate, dove si richiedono operai poco qualificati. Ma fattori come legami di famiglia, provenienza, infrastrutture religiose disponibili giocano un ruolo nella scelta della nuova residenza.

Un altro fattore di crescita, che dà diritto di stabilirsi nel paese di accoglienza, sono matrimoni con un(a) compagn(o)(a) del paese di origine. D’altronde i demografi costatano che la crescita è stabile, ma che le popolazioni autoctone invecchiano e le alloctone aumentano.

4. Il culto musulmano Il fatto che le minoranze musulmane si trovino sul territorio di nazioni con un lunga

tradizione religiosa e delle leggi che garantiscono la libertà religiosa totale dovrebbe significare che i musulmani non dovrebbero incontrare ostacoli nell’esercizio della loro religione. Non è però così. Sia la società secolarizzata che la popolazione ecclesiale sono la causa di immagini negative. La diversità etnica, ideologica, teologica, linguistica contribuisce al fatto che i contatti tra autoctoni ed alloctoni siano limitati. La maggioranza dei musulmani in Europa appartengono alla classe degli operai manuali. L’assenza di una intellighenzia creativa rallenta il processo di sviluppo e auto-organizzazione, anche sul terreno religioso.

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Il culto musulmano viene misurato a seconda della partecipazione alla preghiera quotidiana ed a quella del venerdì nelle moschee e case di preghiera. Anche se sembra che l’Islam sia una religione per giovani, un numero crescente di musulmani sperimenta la difficoltà di praticare i precetti religiosi in Europa e se ne distanzia.

4.1. Gli imam Spesso mandati dai paesi che hanno sovvenzionato le moschée non parlano la lingua del

luogo in cui sono impegnati. Questa situazione non è comoda tanto più che accanto al loro mandato di insegnamento dovrebbero accompagnare i musulmani nel loro processo di integrazione.

Questa situazione sollecita a favore della creazione di una formazione di imam nella nazione di accoglienza stessa. A questo scopo è auspicabile cercare candidati tra i giovani che sono cresciuti nel paese di accoglienza e i quali conoscono ambedue le culture. In tal modo si spera evitare influssi stranieri, causa di numerosi conflitti.

4.2. Luoghi di culto e moschée Prima della riunificazione delle famiglie musulmane gli operai stranieri, non pensando

stabilirsi nella terra di lavoro, affittavano occasionalmente apposite sale (mese di ramadan, feste religiose…). In seguito il provvisorio diventa durevole. Maggiormente incoraggiati prendono in mano l’insegnamento e l’edificazione di luoghi di culto. Perdura però la resistenza degli autoctoni nei confronti della costruzione di moschée.

4.3. Segni religiosi esterni Nella cerchia musulmana europea vengono discusse certe codificazioni di abbigliamento

(come il velo per la donna) per sapere se garantiscono l’identità musulmana o invece se per causa loro viene indebolita la testimonianza islamica.

4.4. Cimiteri Pure se ormai uno spazio viene riservato ai musulmani nei cimiteri pubblici, ove possono

assicurare la sepoltura secondo i precetti islamici, si osserva che sono ancora numerosi quelli che preferiscono rimpatriare il defunto nel paese di origine; tanto più per gli anziani che hanno mantenuto stretti legami con il paese. Con le giovani generazioni la pratica cambia a favore di una sepoltura nel paese di accoglienza.

4.5. Circoncisione Essa viene praticata in ospedale per quei bambini nati in Europa; e in qualche raro caso si fa

nel paese di origine durante le ferie.

4.6. Cappellania L’accompagnamento spirituale dei musulmani viene assicurato secondo lo stato nell’esercito,

le carceri e gli ospedali.

4.7. Macellazione rituale In genere si riconosce agli ebrei ed ai musulmani il privilegio di deroga alle prescrizioni di

anestesia prima della macellazione quando si tratta di carne destinate al consumo. Le organizzazioni musulmane sembrano in genere soddisfatte. Sono piuttosto le organizzazioni per la protezione degli animali le quale insistono sull’anestesia prima di macellare l’animale.

4.8. La «sharia» A livello rituale seguire la legge islamica non pone problema. Invece per quanto riguarda la

giurisprudenza i conflitti sono ancora numerosi nei confronti del diritto praticato e le leggi del paese di origine; specie per quanto riguarda i matrimoni e divorzi, la custodia dei fanciulli, ecc.

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4.9. Le feste musulmane In molti stati il fatto religioso è rilegato alla sfera privata e per conseguenza si vede là dove la

sensibilità non si oppone sopprimendo le feste religiose dal calendario; questo per un maggior rispetto di tutti.

4.10. Pellegrinaggio a Mècca Visto che la maggior parte dei musulmani appartiene alla classe di società inferiore, il

numero di pellegrinaggi alla Mècca sono limitati. In genere sono le persone anziane e benestanti che vi partecipano una volta sposati i figli.

4.11. Precetti ed educazione islamica In genere si osserva che per motivi di uguaglianza dei culti riconosciuti le regole e pratiche in

vigore sono rivedute a favore di una società pluralista. La paura dell’indomani nei confronti dei numerosi figli in età di scolarizzazione fa crescere la

domanda di educazione religiosa islamica, prodigata sia per mezzo dell’insegnamento coranico nelle proprie moschée, sia a scuola attraverso insegnanti di religione islamica.

5. Mass media musulmani in Europa I libri esposti nelle librerie musulmane ed il numero di testi prodotti sul web mostrano

l’abbondanza della produzione religiosa musulmana contemporanea.

5.1. Letteratura La maggior parte della letteratura proviene da fuori Europa ed è scritta in arabo o in altre

lingue usate nei paesi musulmani, ma esiste ugualmente un’abbondante produzione editoriale nelle lingue europee, con conseguente moltiplicazione di case editrici e librerie musulmane. Sono soprattutto le giovani generazioni scolarizzate, alle quali è destinata tale letteratura, che chiedono di capire maggiormente la loro religione.

5.2. Audio-visivo Vista la forte percentuale di analfabeti tra gli anziani, l’utilizzazione della radio e della TV si

rivela capitale. Dopo l’introduzione delle antenne paraboliche c’è stato un incremento di rete in lingua araba o con la diffusione di programmi per musulmani.

5.3. Internet La facilità di accedere in Occidente alla rete consente uno accesso illimitato ai siti concepiti

da e per i musulmani.

6. «Europa» e «Dialogo» L’Europa, in particolare quella occidentale, ha raggiunto un livello di secolarizzazione tale

che la separazione di stato e chiesa è chiamata a garantire il pluralismo e di conseguenza dovrebbe aprirsi a tutte le convinzioni. Tutte le nazioni che compongono l’Europa garantiscono nelle loro costituzioni la libertà di espressione e di culto. Questo modo di pensare si basa sul principio del dialogo in quanto apertura di mente nei confronti di tutti e del rispetto reciproco. Senza esplicitamente affermare le sue radici cristiane l’Europa ne pratica quotidianamente i principi. Se il cristiano ricerca per natura il dialogo come espressione del rispetto più totale, egli non trova quasi mai questo stesso approccio da parte del musulmano, per il quale la ricerca del dialogo significa dubbio e inferiorità.

6.1. Dialogo fra le convinzioni I responsabili civili dei culti se ne fanno talvolta promotori.

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6.2. Dialogo tra Chiesa e Moschea Quando uno cristiano si informa gentilmente su “jihad”, i musulmani gridano: crociata!

Questo soffoca ogni tentativo di dialogo tra Chiesa e Moschea. Anche se nella storia islamica le crociate non giocano un gran ruolo, si sentirà negli ambienti musulmani che “gli Europei (qua ‘cristiani’) dal tempo delle crociate tentano di sminuirci e di sottometterci”. Ma nel 1863, quando i turchi si trovavano di fronte a Vienna, era proprio il contrario. Le crociate erano un atto di legittima difesa: i musulmani impedivano il pellegrinaggio a Gerusalemme, progredivano del sud Italia verso il nord ed assediavano Costantinopoli. Secondo l’arabista olandese Hans Jansen i cristiani occidentali, cioè cattolici, hanno sviluppato ingiustamente negli ultimi trent’anni un senso di colpevolezza nei confronti delle crociate. Un’altra idea atta a demistificare contempla che la cultura europea si renderebbe colpevole di non riconoscere il suo debito nei confronti dell’Islam. Tuttavia la maggioranza degli occidentali è profondamente convinta che non ha nessuno debito nei suoi confronti.

Centri islamo-cristiani promuovano il dialogo attraverso conferenze e pubblicazioni. Purtroppo solo un numero ridotto li conosce. La maggioranza vi accederà solo di rado.

6.3. Dialogo tra cristiani e musulmani Certi autori, come Waardenburg, descrivono le relazioni tra musulmani e cristiani in tre

parole applicabili a ciascuna delle due comunità: combattere, evitare e collaborare. Qua e là esistono degli incontri di cortesia ove i luoghi di culto reciproci sono aperti per incoraggiare il mutuo incontro. Vengono scambiati auguri in occasione delle feste.

Il musulmano si considera semplicemente superiore a chiunque e non ha bisogno dell’altro. Il cristiano si considera anche lui superiore, ma desidera migliorare costantemente la sua situazione. L’assimilazione delle cose si opera dunque meglio per quest’ultimo.

Per esempio: Il musulmano ha poca stima per il cristianesimo quando vede che un cristiano non reagisce o reagisce in modo debole quando pubblicamente viene offeso Gesù, che il cristiano dice essere Dio, e che il musulmano difende a dispetto di tutti come profeta privilegiato dell’Islam.

Il dialogo comincia spesso là dove le infrastrutture musulmane mostrano lacune, come per esempio l’aiuto sociale ai musulmani sfavoriti (donne abbandonate dai loro marito che assicurano solo l’educazione dei figli; disoccupati di lunga data; ecc.). Ci si rivolge allora ad organizzazioni cristiano-cattoliche ben inserite nel tessuto sociale che offrono tali servizi. In questo modo viene dato un volto al cristianesimo.

Per il musulmano l’immagine che egli ha del cristiano è quella trasmessagli dal Corano: triteista, adoratore di immagini… Lo considera così anche perché egli non riconosce Muhammad come unico e ultimo profeta allo stesso modo che lui riconosce Gesù come profeta. Tali falsi concetti si sciolgono come ghiaccio al sole attraverso incontri personali. Ma dobbiamo ammettere che il comune cristiano, pur volendo capire, anche lui mantiene opinioni preconcette nei confronti dei musulmani: poligamia, inferiorità della donna...

Finché ci si ritiene superiori l’interesse per le convinzione dell’altro non si pone. É quando si vive insieme che nasce la curiosità nei confronti dell’altro e che si finisce per porre domande su se-stesso. Il dialogo non richiede di essere d’accordo bensì di accettare le differenze. Per raggiungere questo scopo è importante sapere «come» dire le differenze.

Nella premessa alla sua opera intitolata Che cosa rispondere ai musulmani Christian W. Troll, s.j., si pone la domanda se noi, cristiani, siamo effettivamente pronti a rendere conto della nostra fede con giustizia, tatto e rispetto. Disponiamo delle conoscenze generali sufficienti per quanto riguarda la visione di fede specifica e la sensibilità religiosa dei musulmani?

7. Islam in Europa

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Pur sapendo che di fatto la laicità caratterizza la maggioranza degli stati europei (da non confondere con l’UE) le religioni e/o confessioni che erano finora presenti ad in un momento o l’altro della storia hanno largamente contribuito e continuano a formare l’identità dei musulmani.

7.1. Come l’Islam, in quanto comunità musulmana, percepisce se stesso in Europa? In Europa occidentale la comunità musulmana è sorta principalmente dall’immigrazione

economica. Ripiegati su sé stessi non si sono preoccupati di integrarsi. Tutto quello che contava era provvedere ai bisogni di chi era rimasto in paese. Una volta arrivata la moglie la comunità ha dovuto organizzarsi. Sono nati luoghi di preghiera e scuole che offrivano l’insegnamento islamico. La comunità, come anche quella cristiana, lotta a favore di un mondo aperto al discorso religioso, anche nella sfera pubblica (velo integrale/crocifissi). Ma spesso non si capiscono vicendevolmente, confortando coloro che li vogliono abolire del tutto e anima numerosi dibattiti al parlamento e nei media dei paesi de l’Europa occidentale.

Una minoranza milita all’estremo e prone l’universalismo assoluto e proselito dell’Islam; quello che comporta la vocazione imperativa di conquistare la terra intera. Questa tesi viene utilizzata dai denigratori dell’Islam.

La maggioranza tenta di integrarsi senza negare la sua identità religiosa e per conseguenza culturale. Ma mentre che ne profittano, numerosi sono i musulmani i quali trovano che il mondo occidentale è decadente. Pur rigettandolo con le labbra ne assaggiano tutti i suoi frutti.

7.2. Come viene percepito l’Islam? Nella maggioranza degli stati europei occidentali i musulmani sono minoritari. Sorti per la

maggioranza dall’immigrazione formano fra le minoranze spesso una maggioranza.

7.2.1. Dagli stati Se gli stati abbisognavano prima di tutto di una mano d’opera a buon mercato, presto hanno

dovuto confrontati con l’aspetto collaterale delle migrazioni: la provenienza religiosa.

7.2.2. Dai partiti 7.2.2.1. L’estrema sinistra Nel suo libro intitolato “La colonizzazione dell’Europa” Guillaume Faye tratta dal proprio

punto di vista l’emigrazione e l’Islam in tre tappe: 1° La comunità musulmana, ancora minoritaria, stabilita in una terra straniera pratica il ‘Dar

al-Su1h’, la “pace momentanea”, perché l’infedele nel suo accecamento e ingenuità, permette il proselitismo islamico sul proprio suolo, senza pretendere alcuna reciprocità in terra musulmana. – É la tappa che viviamo attualmente in Europa e che fa credere che un “Islam laico e europeizzato” è possibile.

2° Quando l’istallazione della comunità islamica si conferma, l’imperativo della conquista e della violenza si sveglia. É il ‘Dar al-harb’, ove la terra dell’infedele diventa “zona di guerra”, sia perché si comincia a resistere all’installazione dell’Islam che deve essere interrotta, sia perché già sufficientemente numerosi, i musulmani non hanno più bisogno di pace e possono abbandonare la prudenza dei primi tempi della conquista. Vediamo già le premesse di questa tappa.

3° I musulmani cominciano a dominare. É il ‘Dar al-islam’, il “regno dell’Islam”. Gli ebrei e cristiani sono tollerati ma minimizzati, beneficiando al meglio di uno statuto inferiore, quello dei “dhimmis’ (protetti).

Per molti leader delle reti islamiche mondiali oggi, lo scopo è di imporre all’Europa la legge del Dar al-islam, per divina volontà.

Agli occhi di questo autore il proselitismo cristiano aveva come scopo di imporre una fede universale, mentre il proselitismo musulmano ha impiantato una civiltà, un modo di vita ed una sottomissione politica.

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7.2.2.2. La sinistra Per la sinistra l’Islam appare positivo. L’Islam pare essere un buono alleato, perché è

contrario alla rendita capitalistica e per l’uguaglianza e contro la gerarchia. La sinistra vede in lui un mezzo per rendere la società più giusta e onestà. Questa visione si spiega per il fatto che la sinistra in Occidente non ha saputo attivare una rivoluzione come in Europa dell’Est.

7.2.3. Dagli autoctoni Anche questa volta si deve distinguere tra Europa di Ovest o Est. Nell’Occidente c’è poca

comprensione dell’Islam da parte degli autoctoni. Gli alloctoni musulmani essendo concentrati nei centri urbani subiscono l’ultima grande onda migratoria per motivi economici, come conseguenza delle ripetute crisi economiche, ad esempio la disoccupazione. I giovani naufragano allora facilmente nella delinquenza ed offuscano ancora più l’immagine già troppo negativa che la loro presenza suscita a causa delle informazioni trasmesse nei mass media, come se tutti fossero dei criminali o terroristi potenziali. Il fatto che giovani senza diploma ne prospettive crescano nei ghetti comporta l’allontanamento dall’idea preconcetta “che l’altro è sempre colpevole”, perché non hanno imparato a vivere con l’altro. Tutto questo aumenta la lontananza con l’Islam e i musulmani: si parlerà così di Islamofobia.

7.3. Organizzazioni musulmane in Europa Nel 1973 veniva costituito l’“Islamic Council of Europe”, con sede a Londra. Solo una parte dei musulmani fa riferimento ad una associazione di moschea. Fattori che

legano di più i musulmani è la provenienza da uno stesso villaggio o città che fa che la gente rimane a prossimità gli uni degli altri.

I motivi per i quali in genere molti musulmani non sono membri di una moschea va ricercato cercato nel fatto che non si è membri di una moschea come si è membri di una chiesa/parrocchia. I musulmani comprendono che essere tali in Europa non è cosi ovvio come nel proprio paese. Organizzarsi risulta essere l’unico modo per raggiungere uno scopo. Per tale motivo si deve assumere la forma giuridica dell’associazione, mutuato dal modello occidentale.

7.3.1. Un Islam «ufficiale»? In alcuni paesi dell’Europa occidentale (Austria e Belgio) ove sono presenti chiese di stato

viene chiesto uno riconoscimento ufficiale della religione islamica su base di leggi che regolano la libertà di culto e l’uguaglianza di trattamento. Nei Paesi-Bassi tale riconoscimento è costituzionalmente impossibile ; nessuno chiesa ivi è ufficialmente riconosciuta. Gli stati desiderano avere un interlocutore, sul modello della gerarchia cattolica, ma non lo trovano quando si tratta dell’Islam. Perché tale struttura gerarchica contraddice il carattere ugualitario dell’Islam.

7.4. Correnti religiosi dell’Islam in Europa Si osserva dagli anni 1980 una tensione e polarizzazione tra “pii” i quali praticano nelle

moschee e coloro i quali per motivi politici o sociali non lo fanno. Il rinvio della vita religiosa nella sola sfera del privato, come lo vanta sempre più il mondo

secolarizzato, è inconciliabile con il carattere dell’Islam il quale abbraccia tutta la vita. Tensioni sono dunque inevitabili.

Coloro che non hanno raggiunto una organizzazione religiosa riconosciuta dal paese di origine, dicono che desiderano delle moschee non dominate o controllato da coloro.

Esistono delle correnti fondamentaliste fra i musulmani di Europa; come i salafisti e neo-salafisti. Ma dobbiamo anche segnalare le numerose confraternita sofiste.

7.5. Futuro dell’Islam in Europa

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Se l’Islam ha un futuro in Europa, e a che cosa assomiglierà, dipenderà – indipendentemente dalla creatività dei musulmani stessi – dal comportamento delle popolazioni autoctone in tutto l’estensione dello spettro religioso e datore di senso.

8. Islam europeo La comunità musulmana è ben presente in Europa. Da molto tempo presente e dominante

nell’arco musulmano dell’Europa e dopo gli anni sessanta del secolo scorso visibilmente presente in Europa occidentale e orientale in seguito alle migrazioni economiche essa è adesso discretamente presente nei paesi che hanno contribuito all’allargamento dell’UE come anche in Russia e suoi paesi satelliti.

Anche se si può già contemplare 50 anni di presenza musulmana in Europa dell’Ovest, non si può negare che altri sviluppi sono ancora possibili. I musulmani sono sempre più consci che la fede fa parte integrante della loro identità, ma che essa richiede di essere approfondita.

L’Islam européo prende sempre più forma: una sintesi dei valori europei ed il sistema di valori dell’Islam. Purtroppo i giovani musulmani sperimentano che pur se nati in Europa loro non sono sempre accettati come cittadini in tutto. E ciò malgrado il fatto che i musulmani europei contribuiscono enormemente alla società europea, tanto a livello economico, intellettuale ed artistico.

8.1. Islam ed unione Europea Il testo costituzionale de L’unione europea non ha voluto limitarsi alle solo radici cristiani

dell’Europa. Adesso fa riferimento alle “eredità culturale, religiose e umaniste dell’Europa, dai quali si sono sviluppati i valori universali che costituiscono i diritti inviolabili e inalienabili della persona umana, come la libertà, l’uguaglianza e lo Stato di diritto”.

L’articolo I-51 “sullo statuto delle chiese non confessionali” dice che l’Unione europea si trincera dietro i diritti nazionali e offre una posizione mediana tra una laicità aperta ed un riconoscimento delle religioni.

Nei paesi ove esiste una religione riconosciuta come dominante dallo stato (Inghilterra, Danimarca, Grecia) la libertà di culto è riconosciuta e la religione musulmana gode di un certo diritto: statuto associativo e collaborazione con lo stato in Inghilterra; non riconoscimento ufficiale e collaborazione con lo stato in Danimarca; in Grecia uno “Islam di Stato” in Trace occidentale.

In certi paesi lo stato è neutre ma riconosce diverse religioni, come l’Islam. É il modello il più sparso in Europa.

Dappertutto nell’UE il processo di istituzionalizzazione dell’Islam sembra canalizzare l’essenziale delle energie a scapito di una lettura più sociale del fenomeno d’integrazione.

8.2. L’Islam nell’UE La realtà dell’Islam europeo è molto diversificata. Le differenze sono legate ad aspetti

nazionali, culturali, religiosi e linguistici, i quali dimorano del tutto influenti. Solo un terzo dei 15 milioni di musulmani hanno, per cosi dire, conferito un carattere più

attivo alla loro esperienza personale della fede islamica. Vale anche riconoscere che la presenza musulmana in Europa è un processo non omogeneo e incompiuto.

L’integrazione dell’Islam in Europa viene considerato dall’UE sotto due angoli diversi dell’Islam: l’integrazione legale dell’Islam nelle realtà nazionali europee ne è il primo ed il secondo che tratta le questioni relative alla direzione interna delle comunità musulmane e a suo ruolo fondamentale – e come giungerci a traverso una educazione a lungo termine.

Il processo d’integrazione legale dovrebbe essere accompagnato, del punto di vista legale, di azioni appropriate permettendo alle comunità musulmane di integrarsi pienamente nel modello europeo di relazioni fra Stato e religioni.

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Concedere uno statuto legale soddisfacente all’Islam nei paesi dell’UE, significa dare delle soluzioni ad uno certo numero di questioni delicate poste dalla presenza musulmana in Europa, le quali in genere non suscitano difficoltà nuove o eccessive al piano legale.

In altri casi conviene prendere più precauzioni: moltiplicare le eccezioni alla legislazione generale è sempre una cosa fragile e necessità una analisi attenta nel quadro de la quale l’interesse generale e i bisogni particolari devono essere equilibrati.

Al-di-là delle forme di organizzazione si pone la domanda cruciale e urgente per quanto riguarda l’educazione e la leadership intellettuale. La più grande sfida è di costituire per il futuro una elite intellettuale, autonoma e originale, una condizione di base perché la dimensione dell’Islam sia rinforzata nello spazio pubblico.

Nelle loro conclusioni gli autori dello studio terminano dicendo che è solo guardando la realtà in faccia e mettendo in evidenza le evoluzioni positive che lo scontro delle civiltà, che non ha che vedere con il destino, può essere scansato.

Bibliografia ALUFFI B.P., ZINCONE G., The Legal Treatment of Islamic Minorities in Europe, Peeters,

Leuven, 2004. DASSETTO F., Discours musulmans contemporains, éd. Academia, Louvain-la-Neuve 2011. FERRARI S., DURHAM W.C., SEWELL E.A., Law and Religion in Post-communist Europe,

Peeters, Leuven, 2003. MANTRAN R., Les grandes dates de l’Islam, Larousse, 1990. MARÉCHAL B., L’Islam et les musulmans dans l’Europe élargie : radioscope/A Guidebook on Islam

and Muslims in the Wide Contemporary World, Peeters, Leuven, 2004. PAPI S., Les statuts juridiques de l’islam dans l’Union européenne (www.ie-

ei.fr/bibliotheque/PapiISLAM.pdf) Parlement européen – Étude, L’Islam dans l’Union européenne. Quel enjeu pour l’avenir?,

culture et éducation, mai 2007. (www.uclouvain.be/cps/ucl/doc/epl-corta/documents/Version_francaise.pdf).

POTZ R. , WIESHAIDER W., Islam and the European Union, Peeters, Leuven, 2004. ROBBERS G., State and Church in the European Union, Nomos, Baden-Baden, 2005. SHAHID W.A.R. & VAN KONINGSVELD P.S., Intercultural Relations and Religious Authorities:

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for Islamic Studies, Istanbul, 2006. WAARDENBURG J., Islam – Norm, ideaal en werkelijkheid, Nabije-Oostenreeks, 1987. YAZBECK HADDAD Y., Muslims in the West. From Sojourners to Citizens, Oxford University

Press, Oxford, 2002. Informations utiles sur la toile: Euro-Islam.info (www.euro-islam.info); European Muslim

Network (www.euromuslim.net) The Future of the Global Muslim Population – Projections for 2010-2030

(www.pewforum.org/Global-Muslim-Population.aspx)

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VI. TESTIMONIANZE DEI FRATI

1. L’ISLAM IN ALBANIA fr. Jaroslaw CÁR, ofm.conv.

«Se guardiamo al futuro, posso dire che la nostra presenza in Albania e tra i musulmani ha senso».

Premessa L’Islam si diffonde in Albania soprattutto con l’impero ottomano dal XV secolo e regna sul

popolo albanese quasi per 500 anni. Dopo la prima guerra mondiale diminuisce gradualmente e soprattutto a causa della proclamazione nel 1912 l’Albania come stato indipendente. Un’altra scossa per l’Islam albanese viene dopo la seconda guerra mondiale con il duro regime del dittatore Enver Hoxha, il quale, pur essendo lui stesso musulmano, vuole eliminare tutte le religioni in Albania e quindi anche l’Islam. Quando nel 1967 l’Albania viene proclamata ufficialmente come “Stato ateo” si cominciano le persecuzioni anche verso l’Islam.

Nell’epoca postcomunista, secondo alcuni musulmani, è avvenuto di nuovo un allontanamento dall’Islam sotto l’irresistibile attrazione per la “terra promessa” occidentale. Il fenomeno riguarda soprattutto il cosiddetto “musulmano sociologico”, vale a dire il non praticante o addirittura “ateo” che di musulmano conserva soltanto il nome e che, se interrogato sulla sua religiosità, risponde vagamente che la sua famiglia è di origine musulmana. Per di più, alcuni musulmani (scoraggiati) in Albania dicono: “Oggi bisogna prendere atto che, in Albania, la realtà islamica è ormai culturalmente esclusa. Lo dimostra il fatto che i politici (anche quelli musulmani) fanno giusto un paio di visite annuali presso la sede della Comunità islamica, in occasione delle principali festività, con tutta l’aria di chi è lì solo per rispettare la parità giuridica delle religioni, mentre rendono frequenti visite in chiesa e amano farsi riprendere mentre seguono la messa”. Poi, andrebbe notato che quando la capitale Tirana contava solo 20.000 abitanti aveva 19 moschee, mentre oggi che ha circa un milione di abitanti ne ha soltanto sei e non si parla di ricostruire le altre.

Alla fine se vogliamo parlare delle statistiche delle religioni in Albania, bisogna prendere in considerazione che gli albanesi oggi non vivono solo in Albania ma anche nei paesi vicini che circondano lo stato albanese. Molti musulmani, lamentandosi della divisione dell’Albania fatta cento anni fa dalla “Conferenza degli Ambasciatori” a Londra, dicono che se fossero stabiliti i confini politici dell’Albania secondo il territorio etnico albanese, l’Albania avrebbe forse più del 90% dei musulmani.

Alcune statistiche di oggi si appoggiano sull’ultimo censimento ufficiale fatto ancora prima della seconda guerra mondiale che dice: 70% musulmani, 20% ortodossi, 10% cattolici. Tuttavia, si trovano ormai anche le statistiche più reali che dicono che l’Islam d’oggi in Albania conta circa il 40%, mentre sta crescendo il numero dei cristiani.

1. Come viene vissuto l’Islam dalla gente? Come sono i nostri rapporti con i musulmani, le nostre relazioni con i rappresentanti della religione?

La religione “Islam” viene vissuta in Albania più o meno come le altre religioni – almeno per quanto riguarda la maggior parte degli albanesi. Possiamo dire che come “le altre religioni” perché a quanto pare non solo noi – i missionari cristiani - ma anche i preti ortodossi e i capi della religione musulmana in Albania combattono con una fede superficiale e soprattutto in base alle conseguenze del comunismo, o meglio dire con le conseguenze della dittatura di Enver Hoxha e il suo così detto “stato ateo”. Perciò molti musulmani in Albania sono solo di nome, di tradizione. Molti di loro non sono mai andati in moschea o non hanno mai letto il Corano o pregato le loro preghiere. Ciò che osservano magari di più sono le feste tipiche degli musulmani, perche l’ambiente un po’ spinge o invita a questo, ma è tutto qua.

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L’Islam in Albania – diciamo noi – meno male, non è pericoloso, si può dire moderato o tranquillo, pacifico. Quindi parlando dei rapporti – viviamo in pace e in una buona tolleranza. Ci si può evangelizzare, portare la tonaca anche in città – fuori del convento, fare un’intervista in TV sulla nostra fede…. E non ci sono problemi. Lo stato è laico, quindi cerca di riservare gli stessi diritti a tutti i rappresentanti delle fedi, e quindi nelle scuole è proibito parlare di una fede – le scuole devono essere universali, ma in realtà alla fine dipende dal direttore… Lo stato albanese è abbastanza – si può dire – favorevole nei nostri confronti, per quanto riguarda per esempio le nostre iniziative o attività.

Spesso si dice che in Albania c’è una grande tolleranza delle religioni. Su questo tema avevo già letto alcuni articoli scritti dalla gente che ha vissuto un po’in Albania, ma anche la mia propria esperienza quotidiana mi fa capire che a volte forse si tratta più dell’indifferenza che della tolleranza. Per molti albanesi è tutto uguale. Molti che vengono a chiederci un aiuto, dicono spesso: “Dio è solo uno, là su!” – per dire aiutami (materialmente), siamo amici – tutti crediamo in un dio solo… da una parte questa espressione permette di fare un dialogo inter-religioso, dall’altra parte uno si accorge che spesso si tratta dell’indifferenza o addirittura del sincretismo. C’è chi viene oggi da noi e dopo un anno va in moschea, poi ritorna… oppure alcuni nostri fedeli ci fanno anche i ricatti: “Se non mi fai questo, io lascio la chiesa e me ne vado in moschea!”.

D’altronde, per quanto riguarda le relazioni con i rappresentanti dell’Islam (muftì, imam) - sono buoni, almeno per adesso, voglio dire: per ogni festa di importanza (Pasqua e Natale) noi li invitiamo e loro vengono a farci gli auguri, così si crea uno spazio anche per scambiare a volte le nostre idee sulla fede e sul nostro concepire la divinità. Ugualmente ci invitano anche loro per le loro feste, e ci andiamo a fare loro gli auguri in moschea – anche se tutto in un clima abbastanza ufficiale, ma comunque si sente il clima di pace e di un rispetto reciproco.

2. Che cosa mi ha spinto ad andare in mezzo ai musulmani? Riusciamo a vivere la fraternità, la preghiera, la pastorale? Come vedo la presenza della mia comunità tra i Musulmani?

A dire la verità, prima di venire in Albania non mi sono posto questa domanda o non mi sono posto mai il problema dell’Islam. Semplicemente sono partito perché desideravo da tempo andare in missione ma anche perché ne c’era bisogno. L’Islam lo conosciuto parzialmente dagli studi ma ho cominciato a conoscerlo meglio sul posto ed anche durante il corso missionario a Bruxelles.

Come fraternità non troviamo nessuna difficoltà portare avanti la nostra vita francescana tra i musulmani, lo stesso vale anche per la pastorale. Finora, in genere, ciò che abbiamo voluto fare – l’abbiamo fatto senza alcuni ostacoli da parte dei musulmani. A volte purtroppo erano più i nostri cristiani o gli ortodossi che ci impedivano l’evangelizzazione, perché si erano creati un concetto sbagliato sulla nostra missione e sull’appartenenza alla chiesa cattolica.

Se guardiamo al futuro, posso dire che la nostra presenza in Albania e tra i musulmani ha senso. Il suo significato vedo nel dare soprattutto una vera e buona testimonianza cristiana. Partendo dalle cose semplici ed anche dai segni esteriori. È vero, si dice, che l’abito non fa il monaco, ma credo e ne sono convinto che è bello e giusto portarla finché non c’è nessuna legge che ci impedisce. La nostra esperienza dice che andando sempre vestiti in tonaca tra di loro, molti ci rispettano e fanno tante domande sulla nostra vita, sulla fede; e forse più facile fermare un frate sul marciapiede o in un negozio che incontrarlo in chiesa o nel convento. A volte, quindi la nostra evangelizzazione viene in modo spontaneo e inaspettato anche per noi, voglio dire che spesso Dio solo ci dà delle possibilità per parlare su di Lui ai musulmani senza aver pensato o preparato qualcosa prima… Mi è successo anche qualche volta che alcuni ragazzi musulmani fingevano di volersi battezzare e venendo nell’ufficio parrocchiale dopo la messa hanno cominciato evangelizzare loro me! … hanno cominciato a parlarmi sulla loro fede – Islam, si sono messi a spiegarmi che l’Islam è una religione pacifica, bella, ecc.

3. Quali sono le sfide dell’Islam per la Chiesa, per la nostra comunità, per la mia vita personale? A quale spiritualità ci invita – ci spinge Islam?

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Se vogliamo parlare delle sfide dell’Islam per noi, allora la sfida più grande riguarda secondo me di essere davvero un buon cristiano, un cristiano autentico che conosce molto bene la sua fede e gli insegnamenti, che è convinto della sua vocazione e la ama con tutto il cuore e tutto l’essere! Su questa scia potrei continuare ancora, ma credo che sia chiaro che in questi punti ci sfidano di più musulmani. Alcuni ragazzi preparatissimi nel campo della religione islamica, pur non essendo loro stessi guide spirituali, vengono a sfidarti parlando della loro fede con uno zelo e una conoscenza incredibile… potessimo noi trovare i fedeli cattolici così ben preparati a dare una testimonianza!

I musulmani sono poi attenti non solo a quello che diciamo, o predichiamo ma anche a come ci comportiamo e a che stiamo facendo. Molti albanesi ti osservano e ci vuole tempo per acquistare la loro fiducia.

Quindi, essendo nell’ambiente musulmano, la religione l’Islam ci spinge ad approfondire sempre di più la nostra fede, conoscerla molto bene e predicarla con convinzione, con gioia… non in modo indifferente ed essere sempre d’accordo quando loro dicono: “Dio è solo uno…!” perche dietro questa espressione si sente, come ho già detto, una comodità o una provocazione – tutto è uguale! - Però per noi no, per noi non è tutto uguale. E quindi tocca a noi, i missionari non a difendere ma a spiegare la bellezza della nostra fede e la diversità nei concetti cristiani e musulmani su Dio, sui nostri rapporti verso di Lui e verso gli altri.

4. Come penso l’evangelizzazione dei musulmani? È possibile? Quali sono le strade da percorrere?

L’evangelizzazione tra i musulmani in Albania è per ora possibile ed è molto reale. Credo che tra le religioni, escludendo le sette che non mancano neanche in Albania, la Chiesa cattolica è in crescita, nonostante tutte le difficoltà. Non si notano in Albania i casi di impedimenti forti per la conversione da una religione in altra, cioè gli ostacoli crudeli come altrove quando uno passa dall’Islam al cristianesimo.

La strada per evangelizzare i musulmani in Albania è soprattutto quella di una testimonianza molto semplice, umana e autenticamente cristiana. Bisogna far loro capire che noi siamo qui per loro e con loro. Apprezzano moltissimo le visite nelle famiglie, ed anche quando uno accetta i loro doni… Bisogna ascoltare ed imparare molto dagli altri missionari ma anche dal popolo stesso. Sentire a volte che pensano della loro chiesa, della nostra presenza e che cosa si aspettano.

L’evangelizzazione è legata strettamente ad un’inculturazione graduale. Si deve studiare ed imparare ancora molte cose basandoci anche sull’esperienza degli altri. Ad esempio possiamo dire che da noi:

- Si sbaglia quando si rifiuta un loro dono, dicendo: voi siete più poveri, io non ne ho bisogno… Si sbaglia anche quando si è troppo buoni e generosi (materialmente) e si creano poi quasi, senza volerlo, delle dipendenze, si lega la gente, ecc. Non si può sperare allora in una fede vere e sana…

- Si sbaglia forse anche quando si è troppo tolleranti con loro, vedendoli venire in chiesa e aspettando anche diversi anni quando loro stessi si lanciano e vengono a chiedere il battesimo… le mentalità dei popoli sono diverse, e qui tante volte noi aspettiamo e loro pure aspettano un invito o proposta da parte nostra.

- Si sbaglia, essendo così tolleranti, quando si ha paura di parlare di Gesù: si pensa - forse è troppo presto, meglio fare solo i corsi di educazione umana o qualche gioco… di fatti, i tempi passano e per molti albanesi la nostra fede non è un tabù, la conoscono un po’ tramite le telenovele, ecc., ma peccato che da noi non hanno sentito per primi la Buona Novella!

5. Quali sono i problemi? Quali sono le esperienze positive? Problemi: Per quanto riguarda l’Islam, e i nostri rapporti, non troviamo nessun problema, ma

per quanto riguarda la nostra evangelizzazione, uno dei problemi che incontriamo e che abbiamo ereditato venendo in Albania è l’immagine della Chiesa Cattolica. Nel passato, con la buona volontà, si è fatto tanto per questo popolo, e ciò che è rimasto nella mente sono più le cose materiali, gli aiuti materiali che quelli spirituali… Ricuperare oggi questa immagine della chiesa non

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è facile; non è semplice spiegare alla gente che la chiesa cattolica non è qui per distribuire soldi, costruire case, ecc.

A volte, infatti, non solo all’inizio, mi sono fatto tante domande: perche sono venuto qui? Solo per giocare con i bambini, per distribuire soldi o alimenti, per costruire case…? Le domande venivano e mi sono reso conto che ci vuole un ripensamento! Anche se non è facile, bisogna cominciare a dire alla gente sempre e di più la verità! Perché vengono i missionari, qual è la loro vera missione… forse si perde qualcosa, ma si comincia tuttavia a camminare finalmente nella luce vera.

Credo perciò che si debba rafforzare sempre di più le nostre comunità cristiane perché se insieme con loro non riusciamo a dare una buona testimonianza e dimostrare il senso e l’amore verso la nostra fede, la nostra evangelizzazione non può portare nessun frutto buono e stabile. Perché è vero, che diversi fedeli, già convertiti dall’Islam e affascinati dal cristianesimo, si sono allontanati dalla testimonianza non buona e convinta della nostra comunità di cattolici.

Esperienze positive: per quanto riguarda il paese e la gente albanese, molti ci rispettano e in genere parlando non troviamo da parte dell’Islam o da parte dello stato albanese difficoltà a portare avanti le nostre iniziative. Si poteva addirittura registrare ultimamente la parrocchia come persona giuridica e speriamo nel futuro anche il nostro Ordine. La gente è molto aperta al dialogo e non fa distinzioni su chi sei, di solito si preferisce non chiedere di che religione sei… Possiamo dire che in Albania si trova un clima pacifico e tranquillo, e con una “santa” pazienza si possono sperare anche i frutti del nostro lavoro nel futuro.

2. L’ISLAM IN CROAZIA fr. Josip BLAŽEVIĆ, ofm.conv.

«Le celebrazioni nello “spirito di Assisi” … in Croazia funzionano bene».

Secondo il censimento del 2001 i musulmani in Croazia rappresentano una minoranza: sono l’1,28 % della popolazione croata. Godono uguaglianza giuridica e libertà religiosa come tutte le altre religioni presenti in Croazia compreso il sostentamento finanziario dello Stato che si distribuisce secondo la percentuale numerica di ogni religione. Ciascuna religione ha la libertà di confessare la propria fede, di vestire o indossare simboli secondo le proprie convinzioni religiose, compiere l’educazione religiosa nelle scuole pubbliche, elementari e intermedie, sul conto dello Stato, ed aprire le scuole religiose private.

L’Islam in Croazia è riconosciuto come religione dal 1916, mentre nel 2002 è stato sottoscritto il patto tra il governo della Repubblica di Croazia e la locale Comunità islamica in Croazia che regola il rapporto tra l’Islam e lo Stato.

I musulmani, in quantità numerosa, sono arrivati in Croazia dalla Bosnia durante la seconda guerra mondiale (dal 1942 al 1946) stabilendosi nei diversi luoghi del paese. La prima moschea in Zagabria fu costruita nel 1944, mentre la nuova è aperta dal 24 aprile 1987. Sullo stesso terreno della moschea si trova anche la scuola media musulmana (medresa) “dr. Ahmed Smajlović” che ha cominciato a funzionare dal 1992/93.

A Gunja hanno costruito la seconda moschea aperta dal 28 settembre 1969. Accanto alla moschea dal 1995 hanno cominciato a costruire il centro islamico. Sono in costruzione ancora tre altre moschee in Croazia: a Osijek, Rijeka e Bogovlje.

Le celebrazioni nello “spirito di Assisi” sono un’occasione annuale per un incontro tra i membri delle diverse religioni, incluso l’Islam. In Croazia questi incontri funzionano molto bene.

Nel 2011, in occasione del venticinquesimo anniversario della Preghiera mondiale di preghiera per la pace celebrata ad Assisi nel 1986, il Centro “Areopago Croato” per il dialogo interreligioso dei Frati Minori Conventuali in Zagabria ha organizzato una “Settimana del dialogo interreligioso” con la partecipazione alla cerimonia finale della preghiera anche del Presidente della Croazia.

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Ci sono anche altre occasioni, solennità sia cattoliche o musulmane, nelle quali ci invitiamo reciprocamente.

Come curiosità, oppure un tipo di dialogo regolare e permanente, posso ricordare che un imam musulmano ha studiato la teologia cattolica all’Università teologica cattolica di Zagabria. Oggi insegna il corso sull’Islam nella Facoltà filosofica dei gesuiti in Zagabria.

La vicinanza della Bosnia ed Erzegovina, dove i musulmani costituiscono la maggioranza della popolazione (possiedono 1.460 moschee), ci inspira meglio per conoscerci reciprocamente e approfondire i rapporti interpersonali particolarmente per superare i pregiudizi e le ferite sanguinose della recente guerra. * * *

La popolazione secondo l’appartenenza religiosa (il censimento del 2001): il numero degli abitanti: 4.437.460; Chiesa cattolica: 87,83 %; Chiesa greco cattolica: 0,14 %; Chiesa vecchia cattolica: 0,01 %; Chiesa ortodossa: 4,42 %; La Comunità Religiosa Islamica: 1,28 %; Comunità ebraica: 0,01 %; Altre credenze: 0,54 %; Agnostici e non dichiarati: 2,99 %; Non credenti: 2,22 %; Sconosciuti: 0,58 %.

3. L’ISLAM IN INDONESIA fr. Francesco Mardan GINTING, ofm.conv.

«Nello spiegare, chi è Gesù Cristo, lo chiamavo ‘Yesus Al-Masih’ e nel parlare del profeta, lo

chiamavo “nabi”».

L’Indonesia fino al secolo XV, tradizionalmente parlando, era un paese Indù. Indipendenza dagli Olandesi: 17 Agosto 1945. Motto: Bhinneka Tunggal Ika (“Uniti nella diversità” letteralmente “Molti, ma uno"). Popolazione: 240.000.000. Composto da circa 17.000 isole, è il più grande Stato-arcipelago del mondo. Il governo riconosce ufficialmente sei religioni: l'Islam, il Protestantesimo, il Cattolicesimo

Romano, Induismo, Buddhismo, Confucianesimo Ideologia nazionale: Panca Sila (5 principi/pilastri) 1. Credere in un solo Dio Supremo (Ketuhanan Yang Maha Esa). 2. L’umanità giusta e degna (Kemanusiaan yang adil dan beradab). 3. L’unità dell’Indonesia (Persatuan Indonesia). 4. Democrazia guidata dalla sapienza dell’assemblea (Demokrasi yang dipimpin oleh hikmah kebijaksanaan dalam perwakilan). 5. Giustizia sociale (Keadilan sosial).

Anche se non è uno stato islamico, l’Indonesia è il più popoloso paese a maggioranza

musulmana del mondo, con quasi l’86,1% della popolazione di fede musulmana secondo il censimento del 2000. Il 5,7% della popolazione è protestante, il 3% cattolico, il 1,8% indù, e il 3,4% altro.

L’Islam venne adottato per la prima volta nel nord dell’isola di Sumatra nel XIII secolo, attraverso l’influenza dei commercianti Arabi (Gujaraat), e divenne la religione dominante del paese nel XVI secolo a Giava.

La missione dei Cristiani comincia nel XVI secolo circa (anche se c’è una opinione che sostiene che nel IX secolo ci siano stati i Arganisti nell’isola di Sumatra). La Chiesa cattolica venne introdotta dai colonizzatori e dai missionari portoghesi, e il protestantesimo durante il periodo coloniale olandese (calvinismo e chiesa luterana).

La maggioranza dei musulmani è costituita dai sanniti (mazhab Syafii)

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I rami più numerosi: 1. Nahdatul Ulama (NU): circa 35.000.000. É molto moderato e vicino ai Cristiani,

amichevole e tradizionale. 2. Muhammadiah: circa 30.000.000. Un ramo moderato; progresso intellettuale –

tecnologico; un po’ più attento. Per loro, “jihaad” significa: combattere il male. Oltre a questi due rami, ultimamente (da circa 10 anni) sono arrivati purtroppo alcuni

gruppi più duri e chiusi che sono collegati strettamente ad Al-Qaedaah, tipo: JI (Jamaah Islamiah), i quali sottolineano il “Jihaad” per combattere tutti quelli che sono al di fuori dell’islam (i pagani e gli eretici).

La presenza francescana Secondo gli storici la presenza dei frati francescani in Indonesia (Giava) risale al secolo XV.

Probabilmente erano i frati Alcantarini, ma non vi sono tanti documenti a riguardo. I Minori (Osservanti o Recoletti) e i Cappuccini sono arrivati nelle varie isole dell’Indonesia sin dall’inizio del secolo scorso (prima della guerra mondiale).

I Francescani Conventuali, olandesi, arrivarono in questo paese solo nel 1937, in una città che si chiama Bogor (Buitenzorg) nell’isola di Giava. Purtroppo hanno dovuto chiudere la missione già nel 1962, perché erano troppo vecchi e non volevano prendere la cittadinanza indonesiana e le vocazioni indigene erano pochissime.

Nel 1967 è stata riaperta la missione Francescana Conventuale in Indonesia ma in un’altra isola (Sumatera) dai Frati della Provincia Bolognese. Il centro di questa missione si trova in periferia del capoluogo dell’isola, si chiama Medan (che tra l’altro è un centro del movimento islamico). Questa missione è cresciuta fortemente e velocemente, anche perché avevano cominciato subito con le scuole cattoliche (elementari – liceo) e una facoltà di scienze religiose.

Attorno al nostro Centro missionario ci sono molti musulmani che sono disponibilissimi per aiutarci; per preparare il cibo per le feste; i muratori per costruire le chiese o le cappelle; gli acquedotti, etc.

Una testimonianza vissuta Come si vive la spiritualità evangelica in modo francescano in questo paese? Bisogna ricordare e citare subito la Regola di san Francesco, soprattutto quella non bollata,

capitolo XVI. Prima di tutto i frati siano portatori della pace evangelica, che non creino situazioni di litigi;

la pace si crea nella relazione sociale praticando “la legge dell’amore del Signore”. E poi si vive la vita evangelica nella vita quotidiana senza fare predicazioni o atti di proselitismo.

Poi, in un secondo momento, quando arriva la possibilità di predicare, si può cominciare a annunciare il Vangelo e fare la catechesi; ma le prediche siano sempre radicate nel Vangelo. E così si irradia lo spirito del Vangelo.

Dalla mia esperienza, sia come frate francescano, sia come assistente del Vescovo per il dialogo interreligioso (per circa 8 anni), questo modo di vivere proposto da san Francesco, mi ha aiutato tanto. Nel parlare con i musulmani, sia con i loro “pastori” sia con i laici, cercavo sempre di utilizzare un “linguaggio” comprensibile da loro. Nello spiegare chi è Gesù Cristo, lo chiamavo “Yesus Al-Masih”; nel parlare del profeta, lo chiamavo “nabi”; nel spiegare il fatto che i sacerdoti cattolici non si sposano, cercavo di paragonarli con i loro “Sufi”, cioè i mistici musulmani, la cui maggioranza non è sposata. E così via…

In questo modo, siamo riusciti a costruire un rapporto amichevole e abbastanza buono. Nel periodo di Natale, i giovani musulmani vengono ad aiutare i giovani cristiani (cattolici)

nell’organizzare il parcheggio delle macchine davanti o accanto alla nostra chiesa. Mentre nella festa del “ramadhan” vanno i giovani cattolici ad aiutare loro nell’organizzare il loro parcheggio per le macchine. Capita spesso che dopo le feste vanno a prendere caffè o altre bevande insieme. Nelle varie feste, si scambiano tra di loro i dolci tipici.

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Purtroppo in questi ultimi 10 anni circa, sono arrivati anche quelli del gruppo dell’Al-Qaedaah, che cercano di rompere questa amicizia e collaborazione. Ma noi non perdiamo la speranza. Cerchiamo di continuare questo rapporto amichevole. Probabilmente dobbiamo cercare un modo nuovo. Comunque la spiritualità francescana, soprattutto quella vissuta nello “spirito di Assisi”, può irradiare strade percorribili e nuove.

6.4. L’AMBIENTE RELIGIOSO CULTURALE IN GIAPPONE fr. Pietro SONODA YOSHIAKI, ofm.conv.

«Va notato, inoltre, che non si ringrazia mai la divinità a mani vuote». Premessa L’Islam, come comunità religiosa, a livello nazionale giapponese non incide in maniera

particolare, tenendo presente che numericamente costituisce una piccola realtà.

1. L’Attualità 1. Dal 1968 in poi, anche in Giappone i giovani hanno perso gli ideali, la filosofia della vita e

il senso morale. Ora, questi “giovani” sono divenuti genitori. Nella scuola noi educatori abbiamo grandi difficoltà nel trattare con i figli (bambini e adolescenti) di questa generazione. Spesso, infatti, hanno seri problemi psicologici a causa dei rapporti conflittuali con i loro genitori. Non a caso, questa generazione è stata definita anche “parenti-mostri”.

2. Con l’inizio del 21° secolo, il fondamentalismo islamico da una parte e il capitalismo selvaggio che promuove una concorrenza spietata in ogni campo dall’altra, i veri valori umani stanno venendo meno.

3. L’esplosione della centrale nucleare di Fukushima, che ha fatto seguito al terremoto dello scorso 11 marzo, è stata paradossalmente un evento che ha portato molti a riflettere sui veri valori della vita per la sopravvivenza stessa del genere umano. Proprio in seguito al terremoto e in vita della ricostruzione delle zone colpite, in Giappone si è diffusa un’espressione che rivela il cuore dei giapponesi e le loro attese: “kizuna”, che significa legame, solidarietà. Questa espressione rivela anche il bisogno grande di rivitalizzare rapporti umani veri, solidali, di vera carità umana e cristiana.

Ora, per farvi capire un po’ quanto la cultura giapponese sia diversa da quella che probabilmente pensate, vi presento brevemente le due religioni tradizionali del Giappone: lo Shintoismo e il Buddhismo mahayana giapponese.

2. Lo Shintoismo 1. Shintoismo o Shinto che letteralmente significa “via degli dei” è essenzialmente un

“sistema rituale”, come disse il professor Mitsuhashi dell’Università shintoista Kokugakuin in occasione di una conferenza tenuta lo scorso anno al Gruppo inter-congregazionale Kakehashi (= Il Ponte); Gruppo formato da rappresentanti di diverse congregazioni religiose e Istituti missionari che si impegnano a promuovere il dialogo interreligioso in Giappone. Mi pare sia una definizione esatta. Coloro che visitano il tempio shintoista battono due volte le mani, fanno due inchini profondi e poi battono ancora le mani una volta per lodare la divinità.

2. Nel libro più antico di preghiere shintoiste, dette “Norito”, si trovano solo parole di lode e di gratitudine alla divinità per tutto ciò che essa ha donato e dona. Vengono elencati espressamente i nomi dei vari beni ricevuti: riso, pesce, frutti di monte e di mare, tessuti preziosi o di uso comune, ecc.

3. Mentre si ringrazia, si riconosce anche che tutti questi “beni ricevuti” (“yosase matsuri”) che il lavoro umano ha trasformato e adattato, restano pur sempre proprietà della divinità. Questo pensiero è abbastanza simile alla predica dei “talenti” nel Vangelo. Va notato, inoltre, che non si ringrazia mai la divinità a mani vuote.

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4. Il concetto e la pratica della purificazione dei peccati ha un significato speciale nello Shintoismo, ma questa volta non lo tocco.

3. Il Buddhismo mahayana giapponese 1. Il Buddhismo è la corrente religiosa nata dall’insegnamento di Siddharta Shakyamuni che

ha per scopo la liberazione dalle quattro sofferenze fondamentali: rinascita, malattia, vecchiaia, morte.

2. Chi vuole raggiungere la liberazione da questo ciclo, deve seguire il nobile ottuplice sentiero che conduce alla “retta visione” del mondo e delle cose.

3. La “retta visione” significa capire che tutto ciò che esiste è soggetto alla legge di “engi” (= causa interdipendente). Engi è, in altre parole, la struttura di tutto il reale, il modo di essere di tutto ciò che esiste. Niente e nessuno può sfuggire a questo Dharma (“legge”). Conseguentemente, la visione di engi non può accettare l’idea di un essere assoluto e soprattutto l’idea di Dio creatore.

Il “Sutta-nipata” (pali), uno dei testi buddhisti più antichi, inizia con il sūtra del serpente in cui viene descritto molto bene il nostro processo di pensare sbagliato: un uomo camminando per strada vede qualcosa che gli sembra un serpente, spaventato salta e scappa. Poi, voltatosi, si accorge che non è un serpente ma una corda. Allo stesso modo le nostre visioni del mondo e della realtà sono illusorie e quindi “false”.

4. Questo sūtra e i moltissimi altri (tra i 7.000 e i 10.000) che sono stati trasmessi contengono una varietà di insegnamenti che possono lasciare perplessi.

4. Alcuni concetti difficilmente traducibili e problematici 1. Creazione: nella cultura giapponese, non esiste il concetto di “creatio ex nihilo”. Da ciò la

difficoltà di riconoscere un Essere supremo in senso monoteistico e, conseguentemente, un Dio Creatore.

2. Causa interdipendente (“pratitya-samutpada”): secondo il Buddhismo, ogni essere è causa di un altro e simultaneamente dipende da un altro. In altre parole, tutto è con-causato. Tale assoluta interdipendenza è ontologicamente relativista ed esclude ogni senso di eternità e definitività.

3. Esperienza della divinità: secondo lo Shintoismo giapponese, l’esperienza religiosa è il percepire la forza divina, soprannaturale, numinosa presente negli esseri naturali ed umani. Per questo, alcune persone - considerate particolarmente eccellenti - o cose, particolarmente belle, come i monti, il mare e persino alcuni animali o pietre, alberi, ecc. possono diventare oggetti di culto in quanto portatori di questa forza divina/soprannaturale.

4. Tutti diventano Buddha: Questa percezione shintoista della natura ha influito sul Buddhismo giapponese che afferma: “tutti gli esseri, sia monte e mare o anche erbe e alberi, saranno salvi perché hanno in sé la natura buddha, possono cioè diventare buddha”. Per questo motivo lo Shintoismo e il Buddhismo hanno trovato una forma di coesistenza che dura da secoli. Il pensiero che vi soggiace è che tutte le religioni si equivalgano. Un detto comune è che “ci sono varie vie per arrivare il cima al monte”.

5. Alcune difficoltà nei riguardi della vita spirituale 1. Mancanza di comunione personale tra Dio e uomo: Sia nello Shintoismo che nel

Buddhismo non si trova l’idea di una comunione personale d’amore tra l’uomo e Dio, che invece è essenziale nella vita spirituale cristiana.

2. “Kizuna” (=legame, solidarietà): in seguito al terremoto dell’anno scorso, il popolo giapponese ha scelto la parola “kizuna” per esprimere la rinnovata coscienza comune del bisogno di una maggiore solidarietà soprattutto con chi ha sofferto e più soffre.

Ciò è certamente una cosa positiva, anche se, forse, questo forte legame nazionale può diventare un ostacolo all’assunzione di responsabilità personale.

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3. “Hikikomori” (=chiudersi): Autismo, disturbi dello sviluppo, depressione ecc. sono molto comuni nei Paesi cosiddetti sviluppati. Il Giappone è malato e povero spiritualmente. Perciò è necessario che le varie comunità religiose, cristiane, buddhiste, neo-buddhiste, shintoiste ecc. e le nuove religioni collaborino tra loro.

Ho spiegato con brevi parole l’ambiente religioso culturale del Giappone di oggi dove viviamo come Francescani secondo lo “spirito d’Assisi” che è quello di condividere il dono della pace attraverso la preghiera.

Ho cercato anche di evidenziare alcuni motivi che devono spingerci ad impegnarci nel dialogo interreligioso nel mondo attuale. Grazie.

6.5. L’ISLAM IN TURCHIA

6.5.1. LE ATTIVITÀ DI STAMPA IN TURCHIA Testimonianza di fr. Luigi IANNITTO, ofm.conv.

«Fare tutto adagio, con pazienza, costanza e prudenza e secondo le possibilità della nostra

situazione, nel rispetto della legge. E soprattutto nella umiltà e laboriosità francescana».

Inizio Una trentina di anni fa c’erano segni chiari di vecchiaia e fatiscenza nella chiesa di

Sant’Antonio, quasi sempre chiusa e aperta solo alla sparuta comunità cattolica Latina che andava spegnendosi giorno per giorno. La Chiesa era chiusa tutto il giorno tranne un’ora la mattina e alcune ore la domenica. Nessun musulmano entrava in una chiesa cristiana.

Ora la chiesa e aperta dalle ore otto del mattino alle ore otto di sera e una media di sette-otto mila persone entrano nella chiesa di Sant’Antonio per pregare. Quelli che vengono, dicono che sonno musulmani, che amano l'unico Dio comune...

Come si è arrivati al nuovo Sant’Antonio? Volendo analizzare i motivi che hanno creato questa nuova realtà, si può dire che tutto è

scaturito da più fattori concomitanti e collaterali, fattori nuovi nella storia della Turchia. Insieme alle condizioni generali e ambientali, ha avuto grande peso l’apertura della Comunità Francescana verso la lingua e la cultura turca; cosa che ha offerto la possibilità del’incontro. Un peso particolare, direi determinante, hanno esercitato i libri stampati in lingua turca e specialmente la rivista Sent Antuan Dostu (L’Amico di Sant’Antonio), la quale entrando mensilmente in circa duemila case alimentava e consolidava ciò che nasceva negli incontri personali. Non ultimo fattore è stata la preparazione culturale, teologica, artistica che i Turchi hanno riscontrato nei religiosi di questa comunità e che ha creato un alone di stima e di simpatia per la chiesa di Sant’Antonio.

Bisogna aggiungere le varie attività e iniziative culturali intraprese a Sant’Antonio, quali per es. concerti di organo e concerti corali, corsi di archeologia cristiana per le guide turistiche, tenuti da professori della Sorbona di Parigi, corsi di conferenze tenute anche da personalità turche e da professori di Scuole Coraniche.

La possibilità per i Turchi di parlare con i Padri nella loro lingua su argomenti di religione, di filosofia e di arte, di trovare a disposizione in chiesa libri scritti in turco, di poter conferire a richiesta con i religiosi e l'accoglienza gentile e rispettosa hanno favorito gli incontri vicendevoli. A tutti questi elementi va aggiunta la simpatia e l’affezione che i Turchi nutrono verso gli italiani, specialmente verso la musica, la canzone, lo sport e i prodotti italiani.

Apertura ai Musulmani: inizio di una nuova Chiesa?

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L’esperienza della Comunità di Sant’Antonio sull’apertura ai Turchi può essere considerata come un segno emblematico. L’iniziativa di introdurre la lingua turca, prima come mezzo di accoglienza e di incontro, poi nella liturgia, come strumento di preghiera, inizialmente il martedì – giorno di Sant’Antonio - poi in tutta la settimana, la stampa e l'annunzio kerigmatico, hanno dato inizio ad una vita nuova. Si è scoperto l’interesse dei Turchi verso la conoscenza del cristianesimo come cultura, come dottrina religiosa e per alcuni come una nuova regola di vita. La stampa soprattutto ha concorso in modo determinante alla nuova situazione di libertà e di rispetto verso il cristianesimo da parte degli intellettuali, degli organi di propaganda e di cultura.

Era sempre lontana dalle nostre intenzioni l’uso della stampa come strumento di propaganda interessata e inopportuna; volevamo solo annunziare il kerigma con discrezione e nel rispetto massimo della libertà di coscienza e della cultura delle persone. Ma nello stesso tempo non volevamo rinunziare all’annuncio, per timore o per una eccessiva prudenza; annunciare prudentemente, non per mania di convertire o di fare proselitismo, ma piuttosto per rispondere al bisogno universale, anche se inconscio, del Cristo che salva. Non è questione dunque di propaganda, ma di annuncio kerigmatico per chi, guidato dallo Spirito, volesse liberamente fare una scelta cosciente e personale. Questo criterio non è nuovo o di nostra invenzione; è di san Francesco, il quale ammoniva i Frati che andavano tra i Saraceni: Andate a testimoniare la vostra fede, e se qualcuno, guidato dallo Spirito Santo vorrà seguirvi accettatelo con amore. Partivamo dal principio che il Vangelo è per tutte le genti, e perlomeno è utile a tutti, anche ai turchi; quindi annunziare senza complessi, senza paura, nella prudenza e nel rispetto delle persone e delle leggi.

La Stampa Le attività di stampa cominciarono verso l’anno 1980, inizialmente in forma rudimentale

con semplici ciclostilati e poi gradualmente con mezzi più moderni. Lavoravamo con le nostre mani. Attualmente ci serviamo solo delle tipografie moderne; il progresso miracoloso dell'elettronica ci ha spinti a ricorrere ai mezzi moderni.

Anche se lo scopo ultimo della stampa era l’evangelizzazione, tuttavia scopo immediato era mettere alla portata dei cristiani sussidi di formazione religiosa per adulti e per giovani e mettere a disposizione dei non cristiani del materiale che esprimesse il pensiero e la cultura cristiana. Tutto questo è stato servizio culturale, del quale lo Spirito Santo può servirsi per parlare ai cuori e in tal caso si raggiunge lo scopo ultimo della stampa che e l’evangelizzazione.

L’esperienza comune insegna che i Turchi venuti alla fede hanno avuto un inizio di conversione o l’ispirazione attraverso la stampa di Sant’Antonio. É anche vero che la stampa è stata di grande vantaggio a tutti i cristiani delle Chiese locali di lingua turca. Questi fedeli dimostravano una grande fame e sete di conoscere la dottrina della loro fede e di farne una esperienza di vita cristiana e attualmente sono avidi compratori delle nostre pubblicazioni. Molte persone, specialmente le mamme di famiglia, preoccupate per la istruzione religiosa dei loro figli, vengono a ringraziarci per il servizio reso loro attraverso la stampa.

A questo proposito, in futuro, in un eventuale riordinamento del lavoro di stampa, si potrebbe pensare ad una collaborazione con tutte le comunità cristiane locali, le quali, anche se nella liturgia usano la loro lingua originaria, in effetti hanno grande bisogno di sussidi per far crescere nella vita cristiana i loro fedeli. Finora la stampa non è stata e non è un problema della chiesa locale; è un problema sentito da poche persone nella chiesa di Sant’Antonio. É venuto il tempo di aprirsi con larghe dimensioni ecclesiali a una nuova visione della evangelizzazione attraverso la stampa. Questo problema sarà sentito nella misura in cui la Chiesa prenderà coscienza della sua missione evangelizzatrice, non solo custode timida della fede di un esiguo gruppo che sta scomparendo. Se essa rinunzia ai mezzi moderni di evangelizzazione, rinunzia anche ad essere evangelizzatrice. Occorre quindi proporre l’organizzazione della stampa nelle iniziative pastorali della Chiesa in Turchia.

Il problema della stampa porta con sé un altro problema importante. Sono molti coloro che attraverso la stampa arrivano ad una conoscenza incompleta del cristianesimo, ma che nutrono il

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desiderio vivo di volerlo approfondire e chiedono ulteriori informazioni. Molti di questi abitano in città e possono conversare con sacerdoti pronti a riceverli; molti altri abitano lontano, dispersi qua e là; bisognerebbe organizzare un servizio di istruzione per corrispondenza.

Non dimentichiamo che i Protestanti ci sono di esempio. Partiti da noi e dopo di noi nell’evangelizzare, sono all’avanguardia in queste attività. Hanno tre case editrici, pubblicano edizioni di grande importanza, emettono dischi e cassette di film e canti cristiani; per l’anno duemila hanno distribuito sei milioni di copie di vangeli (Nuovo Testamento). Hanno servizi giornalieri di trasmissioni radio e recentemente hanno aperto un canale televisivo.

La nostra attuale struttura cattolica crea un grande ostacolo alla evangelizzazione moderna in Turchia. Le Chiese Cattoliche Orientali hanno l’interesse primario di conservare l’unità del patrimonio culturale, razziale e liturgico e sono tutti cittadini turchi; le autorità cattoliche latine sono cittadini stranieri e resta loro difficile psicologicamente e giuridicamente iniziare attività direttamente evangelizzatrici verso i non cristiani.

Bisognerebbe cercare e trovare una soluzione a queste difficoltà per sciogliere il problema dell’evangelizzazione. I protestanti, anche in questo campo ci sono di esempio. Anche per le chiese protestanti locali c’erano le stesse difficoltà; le hanno risolto intelligentemente. Hanno attirato i primi convertiti, li hanno mandati in Svizzera o Stati Uniti a studiare per una formazione teologica e pastorale, e questi, tornati in Turchia e assistiti moralmente e economicamente, hanno iniziato con molto zelo il movimento delle Chiese Protestanti Turche riconosciute ufficialmente dalla legge. La nostra Chiesa Latina non ha nessun riconoscimento giuridico.

Su questo argomento noi Francescani non dobbiamo dimenticare che le attività di stampa erano l’ideale di padre Kolbe, il quale pensava anche a una Città dell’Immacolata in Turchia.

Per attività di stampa non bisogna intendere una attività grandiosa come il Messaggero di Padova; deve essere un servizio umile, semplice, disinteressato, intelligente e moderno, coraggioso e adatto alla gente che frequenta la nostra chiesa. Non edizioni di alta teologia, ma di dottrina cristiana spicciola, come pane adatto a persone comuni. Così attraverso Sant’Antonio il beneficio della stampa arriverà fino agli ultimi confini della Turchia; fare tutto adagio, con pazienza, costanza e prudenza e secondo le possibilità della nostra situazione, nel rispetto della legge. E soprattutto nella umiltà e laboriosità francescana.

* * * P. Luigi è nato il 5 gennaio 1921, ha emesso i voti perpetui in 1942 ed è stato ordinato

sacerdote nel 1947. In Turchia è arrivato nell’anno 1973. Ha fondato l’attività della stampa a Sant’ Antonio a Istanbul e ha pubblicato innumerevoli traduzioni di testi cristiani in turco tra quali Dizionario della Teologia Biblica di Padre Xavier Léon-Dufour e il Breviario in quattro volumi. All’incontro di Iskenderun è stato letto il testo preso dal libretto pubblicato da p. Luigi Iannitto nel 2009, S. Antonio in Istanbul per gli Anni 2000.

6.5.2. RIFLESSIONE SULL'ESPERIENZA DELL'ISLAM Fr. Martin KMETEC, ofm.conv.

«Ho provato a cercare di avvicinarmi alla gente, alla cultura e capire come si potrebbe fare

l’annuncio del vangelo».

Che cosa mi ha spinto a vivere tra i musulmani? L’Oriente con le sue culture e la varietà delle lingue era sempre stato per me un mondo ricco di attrattiva. Quando, nel 1988, fu consacrata la nostra chiesa in Beirut, seppi per prima volta che esisteva una nostra fraternità in Libano. Seguì una riflessione, durata qualche tempo, per capire se la mia vocazione fosse quella di vivere come frate e sacerdote in Medio Oriente. La possibilità concreta arrivò qualche anno più tardi.

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1. Vita e avvicinamento La mia esperienza personale di contatto con l’Islam, meglio con i musulmani, è cominciata

nell'anno 1990 e terminata con la guerra in Libano. Alla fine di quell’anno, il 6 dicembre, sono arrivato a Beirut. Quando l’aereo è atterrato, era ormai sera. All’aeroporto mi ha accolto fr. Massimiliano Chilin. Dopo le formalità di frontiera, abbiamo lasciato l’aeroporto e percorso in auto le strade di Beirut. Quello che mi ha colpito, è stata la quantità di macerie ovunque, anche sulle strade. Ogni 100 metri, ci trovavamo di fronte un checking point: soldati libanesi, siriani e probabilmente membri di altre milizie, che non ero in grado di distinguere. Questo fu il mio primo contatto concreto con la realtà libanese, sopravvissuta al conflitto tra musulmani e cristiani e dal quale i cristiani uscirono perdenti. Dopo undici anni passati in Libano, posso affermare che una delle ragioni della violenza fu l’uso dell’Islam a scopo politico, Islam che certi gruppi volevano imporre con la forza.

Per anni ho visto, attraverso la porta a vetri della Chiesa di Sant’Antonio, un carro armato siriano sostare davanti alla chiesa. Ricordo benissimo la pena che provavo ogni volta, dopo la comunione e al termine della messa. Non posso dire che collegavo questa immagine direttamente all'Islam, ma certamente faceva parte di un mondo dove la pace sembrava molto fragile. Mi sia permesso ricordare che l’Islam è la religione che include non soltanto la fede, ma anche il potere sociale, politico ed economico. L’Islam si considera la religione che ha, in un certo senso, il dovere di instaurare il potere di Dio sugli uomini.

Successivamente, ho cominciato a frequentare i corsi all’Università dei Gesuiti di Saint Joseph: corsi di lingua araba, storia di letteratura araba e filosofia, storia dell’Islam e corso generale sulla religione Islamica. Questo mi ha permesso di essere in contatto con professori musulmani e capire che l’Islam non può essere ridotto alla violenza, ma c’è in esso una grande ricchezza umana e culturale. Così ho potuto scoprire un altro volto dell’Islam.

Nel 2001 ho cominciato la mia nuova esperienza in Turchia. In Izmir siamo stati totalmente immersi nel ‘milieu’ Islamico. Per me era tempo di nuovi sforzi per imparare la lingua turca. Ho frequentato il corso per un anno. Durante gli anni della presenza in Izmir, i frati hanno potuto instaurare legami di vicinanza con la gente del quartiere, che ci voleva bene. Alcuni visitavano la nostra chiesa, anche se le conversioni furono poche.

2. Riflessione e studio Portavo in me il desiderio di legare la mia vita in Turchia con lo studio della cultura e della

lingua turca. Così ho portato a termine la mia tesi di dottorato, che aveva come soggetto correnti periferiche nell'Islam in Turchia - cioè l’Islamismo. Questo mi ha permesso di approfondire la conoscenza della lingua e della situazione attuale, sociale della Turchia.

Le fonti utilizzate sono state principalmente fonti turche. Ho scoperto che anche in Turchia, tra i musulmani, ci sono stati pensatori che hanno coltivato il desiderio di riformare la religione. Tra loro vi furono martiri, uccisi in nome della verità di coscienza e di pensiero.

Negli ultimi cinquanta anni in Turchia, lo sviluppo dell'Islam ha portato un cambiamento nel linguaggio e nella strategia. Se nella prima fase l’Islamismo era concentrato sul potere politico, nella seconda fase e fino ad oggi si è concentrato soprattutto sull'economia, sul potere della finanza, per adattarsi ai mercati mondiali e infiltrare nel mondo la strategia che permette alle organizzazioni Islamiche, come OIC, e ai centri dell'espansione musulmana, di sviluppare la missione dell'Islam, non soltanto in Turchia, ma nel mondo intero.

I movimenti Islamici provengono dal mondo del sufismo, organizzato nelle tarikat (gruppi collegati a un luogo – simile al monastero, dove il capo principale, Sheih, trasmette la tradizione specifica della spiritualità musulmana), e più tardi nelle cemaat (comunità). Oggi il personaggio chiave di questo movimento è Fethullah Gülen, che vive negli Stati Uniti. Il suo movimento ha una struttura religiosa, politica, economica e culturale, basata sul centralismo assoluto del loro capo. La loro principale strategia è sviluppare le scuole nel mondo intero turcomanno o nei territori che appartenevano all’impero ottomano. Intanto fondano scuole e università negli altri paesi del mondo.

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Tutto è collegato allo sviluppo dell’economia, coordinata e sottomessa al progetto dell’Islam. Si proclamano portavoce del dialogo interreligioso.

Lo studio mi ha portato di nuovo a concludere che nell’Islam il potere divino è inseparabile da quello umano, nel campo della vita sociale, politica ed economica. Ho constatato anche una flessibilità straordinaria dei movimenti Islamici ad adattarsi alle condizioni del mondo postmoderno, prima di tutto nello sviluppo di una teoria sociale eclettica, nella quale si situa un Islam che sembra moderato, ma non riformato. Quello che mi fa riflettere è l’ideologia dell’Islamismo – che concepisce un Islam costituito come sistema chiuso – come una totalità, che è scopo a se stesso e al quale si sottomettono tante persone. L’immagine che mi sono fatto dell’Islam non può essere completa, perché non esiste un solo Islam.

Ultimamente mi sono soffermato sui diritti umani e sul problema della libertà religiosa nei paesi dove la sharia è la principale fonte della legislazione. Mi preoccupa la sofferenza di tanti cristiani perseguitati in Iraq, Pakistan, Egitto e altrove. Sembra che il dialogo nella vita sia più facile del dialogo interreligioso teorico – che è per molte ragioni quasi impossibile. Ma lo ritengo molto importante. Ho tentato di avvicinarmi alla gente, alla cultura e capire come si potrebbe fare l'annuncio del vangelo. Ho partecipato a qualche incontro di dialogo interreligioso ed anche a qualche incontro con le autorità locali - muftì. Sono state occasioni ufficiali ma, almeno per me, positive.

Ci sono valori positivi nell’Islam che mi hanno edificato: il primo è la trascendenza assoluta di Dio (unicità di Dio). Se questo principio è visto nella fede in Dio unico e onnipotente, possiamo trovare analogo concetto in san Francesco, nelle parole: “Dio sommo ed unico Bene”. Il monoteismo Islamico invita ad una continua purificazione dello sguardo su Dio, per avere la consapevolezza della dipendenza totale da Lui. Però può essere anche solo un principio, una idea pura che suggerisce una immagine di Dio sovrano – tiranno, il quale annienta la libertà dell’uomo. La prassi del digiuno di ramadan può essere per noi molto strana, ma, secondo me, significa esercitarsi nel bisogno dell'unica verità che può soddisfare l’esistenza umana, Dio. L’Islam sprona a realizzare una società sana, anche se la sola insistenza sull’ortoprassi può guidare alla superficialità e ad una forma di esteriorità pura. Ospitalità ed accoglienza sono caratteristiche di questa cultura, anche se amicizia vera non c'è o è molto rara.

3. A che cosa mi avvia l'Islam? Ho potuto incontrare la sete di felicità di tante persone. Quando contempliamo la

sofferenza umana, non esiste la questione dell'appartenenza religiosa. Nel mio lavoro, anche riguardo le poche conversioni che ho potuto seguire, ho sperimentato molte volte l’insuccesso. L'Islam mi pone la questione della mia fede, mi provoca sul perché della salvezza nel Cristo: se per me Cristo è tutto in questa vita, come spiegarlo agli altri? Sempre di più capisco la grandezza della grazia divina che è data a noi cristiani. L’Islam mi pone la questione della mia speranza - speranza legata strettamente a quella della Chiesa e del suo futuro. Come trasmettere la buona notizia, quali le principali vie da sviluppare?

L'Islam mi ricorda le mie (nostre) ferite - vivendo nel paese dove sono nate le prime comunità cristiane, dove san Paolo e san Giovanni hanno percorso un itinerario miracoloso, dove si è formata la professione della nostra fede attraverso i primi concili, e dove tanti martiri hanno dato la loro vita per Cristo, mi scopro molte volte deluso, triste e scoraggiato. Ho sempre cercato di trovare le vie che portano verso l'altro, verso colui che è 'il diverso', nel rispetto della libertà umana, anche se non sempre sono riuscito a trovare la presenza di Cristo risorto nelle persone, soprattutto in quelle che soffrono, ma almeno posso pregare per esse, rispettarle in questo mondo, nel quale siamo, in un certo modo, ospiti.

Ripensando la storia della Chiesa, le condizioni e anche gli errori che hanno contribuito alla caduta del cristianesimo in queste terre, si arriva alla conclusione che uno dei fattori principali era collegato al potere dello stato - criticato già da Giovanni Crisostomo, morto per questo in esilio sul

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Mar Nero. La divisione tra culture diverse alle quali appartenevano le diverse comunità cristiane di questo territorio, ha contribuito all'avanzata dell'Islam.

Oggi mi sembra triste e scoraggiante che una parte della Chiesa in Turchia veda il suo futuro basato sul denaro e sull'attivismo. La chiave di tutto è la Chiesa. Quale Chiesa vogliamo. E per noi frati, la questione essenziale è la fraternità - piccola Chiesa ed in essa la vita fraterna.

4. Questioni aperte È vero che l'Islam ci fa valutare positivamente tutto quello che nella sua civiltà esso ha

creato, ma è anche vero che la piccolissima minoranza di cristiani, dei quali alcuni vivevano fino ad oggi quasi in clandestinità, non è capace di superare le conseguenze della tragedia che portano nella loro memoria.

Le esperienze di vita sono molto diverse, così anche gli incontri con i musulmani. L'Islam vissuto dipende, in molti casi, dalle persone e non è vissuto nello stesso modo da tutti. Nella storia della Chiesa recente abbiamo casi straordinari di testimonianza nel mondo musulmano. Charles de Foucauld ha passato la sua vita tra i Tuareg del Sahara, trascorrendo grande parte della sua vita davanti al Santissimo o pregando davanti al tabernacolo vuoto. È anche per noi un invito a valorizzare il dono straordinario dell'Eucaristia. Christian de Cherge e i suoi monaci di Tibhirine sono un richiamo a ritornare in noi stessi e chiedere al Signore la grazia della fedeltà. È vero che la nostra testimonianza è molte volte messa alla prova, ma la situazione sembra comunque più facile per noi religiosi - pensando alla gente comune, povera, in confronto con le questioni non risolte della libertà religiosa nei paesi Islamici.

Questione aperta è soprattutto quella dell’evangelizzazione nel mondo musulmano. Riferendomi alla Turchia, si sente la mancanza di un’apologia positiva, lo sforzo di scoprire un linguaggio e una strategia più adatti alle circostanze. Si pone anche la questione di un rinnovato impegno nel costruire l’unità della Chiesa.

In Turchia era ed è ancora, per me, la sfida a fare di tutto - o almeno quello che posso - per aiutare a fare presente, attraverso la Chiesa, il regno di Dio in questo mondo. Penso che sia essenziale confrontarsi con il fatto che siamo minoranza - e questo richiede umiltà, una visione diversa del mondo. Evangelizzare il mondo musulmano può sembrare missione impossibile - ma prima di tutto, grazie a questo continuo confronto, possiamo evangelizzare noi stessi.

Vorrei approfittare di questa occasione ed esprimere la mia gratitudine al mio Ordine ed a ogni frate con il quale ho vissuto in queste terre del nostro esilio terreno.

6.5.5. DOPO 13 ANNI DI ESPERIENZA fr. Anton BULAI, ofm.conv. «E quando i musulmani passano, noi frati minori conventuali siamo presenti come sempre dal

1221».

Pensando al detto di Ippocrate “Vita brevis, ars longa, occasio praeceps, experimentum periculosum, iudicium difficile” (la vita è breve, l'arte è lunga, l'occasione fuggevole, l'esperimento pericoloso, il giudizio difficile) anch’io mi accorgo che la nostra vita è breve quando ci sono tante cose belle da fare, che questa occasione per testimoniare è fuggevole, che certi esperimenti possono essere pericolosi, e che il giudizio è difficile perche non è possibile descrivere in breve la storia o le storie dei frati conventuali che hanno cominciato vivere a Istanbul ancora Francesco di Bernardone vivente.

Infatti i frati di Francesco di Assisi si stabiliscono definitivamente a Costantinopoli nel 1221. La chiesa di Teotokos Kyriotissa diventa la loro prima residenza. Qualche anno dopo nel 1230 costruiscono un altra chiesa a Galata in onore di San Francesco d’Assisi, un tempio monumentale che diventa la santa Sofia dei Latini. Nel 1724 sorge nel quartiere di Pera (oggi Beyoğlu) una nuova

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chiesa in onore di Sant’Antonio di Padova e nel 1906 per ragioni di edilizia urbana la chiesa deve essere trasferita. É così che i frati per ragioni che solo Dio conosce costruiscono l’attuale solenne chiesa di Sant’Antonio che ogni giorno è visitata da migliaia di persone.

Quindi, dopo 13 anni di esperienza qui in questo convento di “Sant’Antonio” a Beyoğlu – İstanbul, vorrei mettere alcune righe per scritto per lodare il Signore per tutto ciò che sta facendo qui a Istanbul, nella nostra chiesa di “Sant’Antonio di Padova”.

Prima di raccontare giorno per giorno le nostre attività, vorrei brevemente dire qualche cosa sui gruppi parrocchiali. Per noi qui sono molto importanti. La nostra parrocchia non è una parrocchia cosiddetta “classica”, secondo un certo tipo di pastorale ormai secolare. La definirei un santuario con le attività pastorali proprie ai grandi santuari, dislocati nelle grandi metropoli del mondo. La nostra chiesa, quindi, accoglie: immigrati, specialmente Africani e Filippini, i professori che insegnano nelle diverse scuole, come quella italiana e inglese, più il personale dei diversi consolati (ungherese, croato, italiano, americano, rumeno, polacco, inglese… che sono esigenti nell’ascolto) e, non per ultimo, rispondiamo alle necessità di 90 famiglie di levantini iscritti nei registri della nostra parrocchia, più le famiglie polacche che formano una seconda parrocchia, affidataci in cura ormai da una decina di anni. Infatti abbiamo in cura tre chiese: “Sant’Antonio” a Beyoğlu, “La Natività della B.V. Maria” a Büyükdere e “N.D. di Czestochowa” a Polonezköy. Non mancano poi i gruppi dei pellegrini. Qui sotto c’è la lista dei gruppi in pellegrinaggio che visitano la nostra chiesa: non corrisponde perfettamente alla realtà, perché ci sono sempre gruppi che non si prenotano e, quando vengono, molte volte dimenticano di firmare il registro degli ospiti; in più, almeno nei mesi che vanno da marzo fino ad ottobre, ogni sabato sera e la domenica potremmo contare un centinaio di persone che partecipano alle Messe previste in orario parrocchiale. Quindi, contando le domeniche dell’anno e le solennità, tranquillamente si possono raggiungere circa 6500 persone. Generalmente sono facilmente riconoscibili, perché si siedono insieme a gruppo.

Nella colonna di sinistra, in lingua turca, ci sono i 12 mesi dell’anno. Grup=Gruppo, Kişiler =persone.

I gruppi ufficiali (cioè prenotati) e gli altri non prenotati molte volte chiedono assistenza per

le confessioni e una breve testimonianza di qualche frate. Purtroppo spesso non possiamo essere disponibili, perché carichi di attività più urgenti. Quando arrivano i pellegrini, un frate deve aspettarli e preparare tutto affinché venendo possano trovare tutto pronto per la celebrazione, perché tutti hanno sempre fretta. Se non siamo disponibili, li perdiamo perché preferiscono rinunciare al gusto di celebrare in un santuario bello, piuttosto che guadagnare 10 minuti in un’altra chiesa. In questi anni, infatti, si è fatta una bellissima accoglienza e ciò si capisce dalla tabella qui sopra. Questo apostolato non è da trascurare e penso che l’Ordine debba sostenere questa attività che chiede molta disponibilità, gentilezza e flessibilità per i loro orari. Molte volte ci sono gruppi molto numerosi guidati da vescovi e perciò il servizio diventa doppio. Quando arrivano, vogliono i libri liturgici nelle loro lingue, camici, stole, confessioni, organo, chitarra, lavabo...

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Ma insieme a questi gruppi cristiani, ci sono anche dei gruppi non cristiani. Si tengono tanti tipi di conferenze nella metropoli di Istanbul. E capita spesso che vengono in gruppo per visitare la nostra chiesa, chiedendo a qualche frate di offrire loro non tanto una guida a livello artistico, quanto una testimonianza sulle nostre attività. A loro si aggiungono i gruppi delle scuole della città di Istanbul. Durante quest’anno scolastico, ad esempio, il comune di Istanbul ha organizzato che ogni giorno una classe venga a visitare la nostra chiesa.

Purtroppo non possiamo rispondere a tutte le necessità. Non tutti conosciamo il turco o l’inglese o l’italiano... Servono frati preparati.

Nella nostra parrocchia attualmente ci sono i seguenti gruppi cristiani: 1. I Neocatecumenali. Sono dal 1986 nella nostra parrocchia. Attualmente ci sono 5

comunità di Neocatecumenali, per un totale di un centinaio di membri, più una cinquantina di figli e figlie. Per chi li conosce, sa che ogni gruppo si incontra separatamente, una volta alla settimana per la liturgia della Parola, una volta al mese (la domenica) per la convivenza per tutta la giornata e purtroppo non sempre, anzi quasi mai, possiamo partecipare per sostenerli; inoltre si vedono ogni sabato sera per la Celebrazione dell’Eucarestia. I loro statuti sono stati approvati e firmati dal Pontificio Consiglio per i laici l’11 maggio 2008, perciò come pastori siamo tenuti ad aiutarli, secondo i loro tempi di crescita specifica all’età del gruppo. Hanno anche altre esigenze di celebrazioni che chiedono la nostra disponibilità, come ad esempio le celebrazioni mensili della liturgia penitenziale oppure l’ufficio delle letture e le lodi in chiesa nei tempi forti di quaresima e avvento. É un’esperienza molto forte vedere come arrivano in chiesa per cominciare le preghiere alle 6.15 e poi, alle 7.10, se ne vanno in fretta per accompagnare i figli a scuola oppure per recarsi al lavoro.

2. La Legio Mariae. Anni fa è stata chiusa, ma il seme non era morto e negli ultimi anni è rifiorita. Attualmente ci sono 4 gruppi, di cui due sono nella nostra chiesa. Ognuno dei quattro “Praesidium” si incontra ogni domenica dopo la Messa in inglese. I nostri due praesidium sono seguiti da fr Anton Bulai, il quale è anche il Direttore Spirituale della Curia “Nostra Madre di Efeso”. La Curia si incontra una volta al mese nella nostra chiesa di domenica alle ore 8.30, perchè non c’è altra possibilità, tenendo conto che lavorano e non possono venire un altro giorno. Una volta all’anno si celebrano gli Acies (rinnovazione della consacrazione) nella nostra chiesa. Una celebrazione molto commovente. Vederli tutti vestiti in bianco portare un fiore bianco alla Madonna e, inginocchiati, rinnovare la consacrazione dicendo: “O Maria e madre mia, io sono tutta tua e tutto quello che ho è tuo” è molto toccante. È un incorraggiamento vederli poi ogni settimana, impegnati nella chiesa in adorazione, oppure a fare il cosiddetto, “lavoro apostolico settimanale” costituito da diverse attività: dal visitare famiglie o anziani o malati nell’ospedale al fare la cathechesi a qualche bambino o invitando qualche “anima persa” in chiesa.

3. Il Couples for Christ Foundation for Family and Life (CFC FFL). É un gruppo sostanzioso di una cinquantina di membri costituito solo da Filippini. Sono di derivazione carismatica, anche se loro non si riconoscono così. Fanno seminari una o due volte all’anno per evangelizzare e poi ogni domenica si incontrano e pregano per un’oretta. Sono molto organizzati. Hanna chitarre, batteria, canti proiettati sullo schermo. Le preghiere sono molto fervorose. E delle quattro domeniche del mese, due sono solo di preghiera, una domenica è dedicata all’Assemblea Generale dove pregano e poi parlano di alcuni problemi e fanno la condivisione e una volta al mese hanno sia preghiera che insegnamento. È fr. Anton che li sta seguendo da 7 anni. L’anno scorso hanno celebrato l’11mo anniversario di presenza nella nostra chiesa.

4. Il FILCOM. É la Comunità Filippina che raccoglie tutti i loro connazionali. Non è un gruppo a interesse cristiano, ma la maggioranza è formata dai nostri parrocchiani che ne “approfittano” per svolgere un’opera di evangelizzazione. Indicono elezioni e sono riconosciuti in qualche modo dal loro consolato che li sostiene, affinchè possano aiutarsi tra di loro. Sempre, quando si incontrano in diverse occasioni nella nostra chiesa, invitano il parrocco per fare la preghiera di apertura dell’incontro. Di questi incontri “approfittano”, come detto sopra, sia la

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“Legio Mariae” sia il “CFC FFL” per evangelizzare e riportare alla chiesa coloro che se ne sono allontanati.

5. Victorious Prayer Grup. È la versione africana carismatica. Sei anni fa erano tre o quattro ragazzi che pregavano il rosario in ginocchio ogni sera nel salone di Santa Chiara. Ora sono una quarantina che si incontrano ogni mercoledì e venerdì per la preghiera, per l’insegnamento, per la condivisione, per diversi tipi di seminari. Devo dire che prima che nascesse questo gruppo di preghiera, ogni giorno qualche fratello aveva problemi. Ogni mattina dopo la Messa avrei voluto scappare, perché sapevo che qualche fratello sarebbe venuto a chiedere soldi. E c’erano sempre dei motivi che ci sembravano validi e ci credevamo quasi sempre. Come fai a mandare via un fratello che non ha nessuno ed è senza il minimo aiuto? Da quando è nato il gruppo carismatico sembra che quasi tutti i problemi si siano risolti. Anche loro hanno bisogno di un sacerdote e nell’ultimo anno sono stati seguiti da fr. Julius Ohanele e fr. Anton.

6. AFCOM. Questa è la comunità africana che, a differenza della comunità filippina, cerca di raccogliere i ragazzi cattolici per aiutarli a non andare nelle chiese protestanti o anglicana come è capitato. Oltre ai loro incontri, hanno una volta al mese una Messa africana, celebrata da p. Julius nella cripta, secondo le loro tradizioni. Una Messa ben animata: dopo la loro celebrazione noi non dobbiamo comprare frutta, vino e uova per una settimana almeno.

7. Yahuda Karizmatik Oymağı. Sono due piccoli gruppi di carismatici di nazionalità turca, nati 5 anni fa e seguiti nel loro cammino dalla Comunità “Magnificat” dall’Italia. Si incontrano due volte alla settimana, il mercoledì e il venerdì sera dopo la Messa e poi la domenica un’ora e mezzo prima della Messa serale. Proprio la domenica possono partecipare tutti coloro che lo desiderano, mentre durante la settimana solo coloro che hanno ricevuto l’effusione e che vogliono fare un cammino serio di conversione e di vita comunitaria. Seguiti da fr. Anton, partecipano agli insegnamenti e poi alle condivisioni sugli insegnamenti; inoltre seguono, come uno strumento potente di evangelizzazione, diversi tipi di seminario: “I quattro evangelisti” oppure il pre-seminario al “Seminario di Vita Nuova nello Spirito” che prepara i candidati per la preghiera per l’effusione dello Spirito Santo. Sono, al contempo, gli animatori fedeli della Messa in turco della domenica sera. Ogni anno fanno 2 o 3 campi a Büyükdere nella nostra chiesa. Da questo gruppo proviene anche il nostro chierico Andrew Hochstedler, che ora è nel chiericato di Assisi al “Franciscanum”. Preghiamo affinché il Signore lo guidi all’altare dell’offerta del sacrificio della Santa Messa.

Generalmente in tutti questi gruppi ci sono pre-catecumeni e catecumeni. Secondo la nostra esperienza, se non sono legati ad un gruppo, è difficile conoscerli. I gruppi di preghiera aiutano sia ad inserirsi, sia ad offrire un clima più sereno di famiglia, sia per conoscerli meglio durante la condivisione nei gruppi. Il pre-catecumenato preso insieme con il catecumenato è un cammino speciale e personalizzato di non meno di tre anni. Sempre la nostra comunità ha una cura speciale per loro, sia offrendo lezioni di catechesi, sia accogliendogli nelle loro difficoltà o quando non capiscono qualche cosa che capita intorno a loro nella chiesa. Devo dire che in tutti questi anni la Messa in turco durante la settimana è stata partecipata e animata da loro. Incredibile, ma vero. Non leggono le letture, ma animano le antifone ai vespri, la preghiera dei fedeli, la recita uno a uno dei misteri del rosario nei mesi di maggio e ottobre…

E generalmente sono i più fervorosi, perché sono all’inizio del cammino. In tutti questi anni non ci sono mai mancati i catecumeni e perciò nemmeno il lavoro con loro, che richiede molto più tempo ed attenzione degli altri parrocchiani. Purtroppo, in questi anni, non siamo riusciti a seguirli molto bene, perché era solo fr. Anton a seguirli, mentre gli altri padri erano impegnati in altre attività. Speriamo che i pre-catecumeni e i catecumeni abbiano ciò che chiedono da noi, di conoscere Gesù e la nostra fede. La prima cosa da fare sarebbe dividere le classi.

8. S. Vincenzo di Paoli. Sono alcune donne pie che raccolgono dei soldi e, una volta al mese, chiamano i poveri per dare qualcosa per l’affitto, il cibo, le medicine o altro, secondo le loro esigenze e necessità, dopo aver fatto bene le necessarie ricerche. Anche loro vogliono la nostra

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assistenza quando vengono, almeno per fare una breve preghiera e una breve riflessione su qualche argomento come: la povertà, l’aiuto, la condivisione… Organizzano tombole e pranzi dove invitano delle persone benestanti e così riescono a raccogliere fondi per i poveri. Ci sono sempre dei momenti quando hanno bisogno del nostro sostegno e della nostra presenza.

9. I levantini sono i nostri parrocchiani abbastanza freddi verso la chiesa, che vivono il cristianesimo più nel passato che nel presente: purtroppo… non ci disturbano molto. Se andiamo a visitarli, ci accolgono gentilmente e poi cominciano a raccontarci che bello era 40 anni fa. Sempre la stessa cosa. La nostra visita nelle loro case strappa, al limite, qualche promessa, ma in genere non cambia niente. Qualche levantino dice di non venire alla Messa perché noi celebriamo in turco, ma non sa che la Messa domenicale in italiano non è stata mai interrotta dai tempi della costruzione della chiesa. Qualche altro dice di essere un cristiano fanatico che difende la sua fede apertamente anche al lavoro, ma non l’ho mai visto in chiesa e lo incontro solo quando vado a visitarlo a casa sua. Ricordano con nostalgia solo la bellezza dei tempi passati, senza sapere quanto c’è di bello ora con tutti i gruppi, le celebrazioni in quattro lingue diverse: polacco, inglese, italiano e turco. Non sanno che ogni Messa ha il proprio coro con chitarre, cembali, batteria, organo… e il coro più preparato è quello Filippino alla messa domenicale in inglese, con il loro abito bianco con un omerale che corrisponde al colore liturgico del giorno. E quest’ultimo gruppo è speciale, perché sr. Susanna delle Suore dell’Immacolata Concezione d’Ivrea ogni sabato fa le prove di canto con loro.

10. Il gruppo del rosario. Sono i ragazzi africani di passaggio, che vengono e vanno, mentre continuano il loro viaggio verso l’Europa. Ormai sono anni che ogni mattina, dopo la Messa in Inglese, pregano il rosario e poi vanno al lavoro (chi c’è l’ha).

Le messe quotidiane. Mi ricordo quando arrivai in Istanbul 14 anni fa c’era solo la messa in italiano la mattina. Eravamo quattro sacerdoti a celebrare con un fedele più un frate nostro della comunità. Qualche volta veniva qualche focolarino e allora era festa. Ora, da quando abbiamo introdotto la messa in inglese al mattino e in turco la sera, con l’Adorazione eucaristica alla mattina e alla sera dopo la messa del venerdì, possiamo contare una media di venti persone al giorno. Sia lodato il nome del Signore.

Ecco la lista che indica il posto, l’ora, la lingua e il giorno della celebrazione delle messe da parte dei frati della nostra comunità. Luogo Giorno

Chiesa di S. Antonio Büyükdere Polonezköy Suore d’İvrea Ankara

Lunedi 08.00 Messa in Inglese 19.00 Messa in Turco

18.30 Messa in Italiano

Martedi 08.00 Messa in Inglese 11.30 Messa in Turco 19.00 Messa in Turco 20.00 Lit. Parola neocatecumeni

18.30 Messa in Italiano

Mercoledì

8.00 Messa in Inglese 18.00 İncontro Carismatici affricani 19.00 Messa in Turco 20.00 Lit. Parola neocatecumeni

18.30 Messa in Italiano

Giovedi 8.00 Messa in Inglese 19.00 Messa in Turco 20.00 İncontro Carismatici turchi

18.30 Messa in İtaliano

Venerdi 8.00 Messa in Inglese 18.00 İncontro Carismatici affricani 19.00 Messa in Turco 20.00 İncontro Carismatici turchi

18.30 Messa in İtaliano

Sabato 8.00 Messa in Inglese 17.00 2 volte al mese catechesi per i precatecumeni e i catecumeni. 18.30 M.Turco (per i neocatecumeni) 19.00 Messa in Turco

18 Messa in Polacco

8.00 Messa in İtaliano

Domenic 8.30 Curia Legio Maria (una volta al

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a mese) 10.00 Messa in Inglese 11.00 AFFCOM 11.00 Messa in polacco 11.30 2 gruppi di Legio Mariae 11.30 Messa in İtaliano 12.00 M. Affricana (una volta al mese) 12.30 Catechesi per i cresimandi it. 12.30 CFCFFL 16.15 İncontro Carismatici turchi 18.00 Messa in Turco

11.00 Messa in İtaliano 12.00 Messa in Polacco (due volte al mese per i cresimandi)

18.00 Messa in Polacco (una volta al mese)

Battesimi, Prime comunioni, Cresime e Matrimoni. È vero che non abbiamo grandi numeri, ma il lavoro è molto. Preparare 100 ragazzi con l’aiuto dei catechisti è molto più facile che prepare quattro adolescenti che sanno solo l’italiano, due giovani che sanno solo l’inglese, sette bambini che sanno solo il polacco e tre adulti che sanno solo il turco. E tutte queste attività di catechesi siamo noi a farle, eccetto un piccolo aiuto per i matrimoni da parte dei Neocatecumenali e la preparazione alla prima comunione per gli italiani, fatta dalle suore d’Ivrea. Anche per i matrimoni è la stessa cosa. Abbiamo coppie da tutte le parti del mondo. Basta vedere nei registri.

Tutto ciò che qui sopra abbiamo presentato fa parte del nostro programma settimanale, che è organizzato giorno per giorno .

Lunedì: è il giorno dedicato al Capitolo Conventuale, al ritiro comunitario o alla giornata fraterna. Sembra che sia una giornata più tranquilla in cui proviamo ad organizzare la settimana preparando gli incontri, le catechesi, si va in banca... E certo, stiamo anche in chiesa per accogliere la gente e i gruppi.

Martedì: è la giornata più impegnativa della settimana. La chiesa si apre alle 7 e si chiude alle ore 20 e, senza interruzione, c’è un frate disponibile in chiesa alle candele, per indirizzare la gente, per offrire un saluto di benvenuto, per prendere il pane o altri beni portati per i poveri, distribuzione che viene fatta alle 17. Un altro frate, dalle 10.00 fino alle 12.30 e poi dalle 14.30 fino alle 18.00

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separatamente accoglie la gente per pregare per loro e con loro per le loro necessità. Un altro, alle 11.30, celebra una Messa speciale con canti, accompagnati da fr. Luigi Iannitto. Dopo la Messa non mancano le pie donne che vogliono ancora una benedizione speciale, in un luogo a parte, in cappellina. Infatti il martedì non riusciamo nemmeno a pregare insieme l’Ora media.

Mercoledì: è la giornata nella quale si cerca di fare attenzione speciale alla portineria. I poveri non mancano. Essendo il centro della città tutti vengono qui. Chi per comprare, chi per vendere, chi per girare, chi per elemosinare. Quindi non bisogna meravigliarsi se vengono a noi coloro che vogliono pregare, coloro che vogliono aiuto, coloro che vogliono semplicemente conoscere un sacerdote o fare, sempre più o meno, le stesse domande sul cristianesimo. Poveri, stranieri, immigrati, ammalati, senza tetto, derubati e molte volte non sappiamo a chi dobbiamo credere. È difficile discernere chi e come aiutare. Sono presenti in questa chiesa metropolitana tutte le religioni, le culture, le razze, le età…

Una volta al mese vengono i poveri “San Vincenzo” per ricevere il loro mensile, come prima accennato.

Giovedì: il lavoro è abbondante tenendo conto anche dei metri quadrati di cui siamo responsabili. Tre chiese importanti (“Sant’Antonio” – Beyoğlu, “La Natività della B.V. Maria” – Büyükdere e “N.D. di Czestochowa” - Polonezköy), di conseguenza anche tre case collegate con le rispettive chiese e poi tre palazzi, di qui due vicino alla chiesa di “Sant’Antonio” e uno a Büyükdere. Tutti noi sappiamo che servirebbe un frate per ogni immobile. Tutti questi fabbricati ci portano anche soldi (e non pochi), insieme però a problemi causati dagli inquilini; inoltre c’è sempre qualcosa da ripare, da sistemare, da controllare…

Venerdì: Giornata di digiuno, di silenzio, di contemplazione e dello stare più con Gesù. Abbiamo l’Adorazione Eucaristica al mattino e alla sera dopo la Celebrazione dell’Eucarestia. É anche il giorno in cui ci prendiamo cura dei nostri malati, specialmente il primo venerdì del mese.

Sabato: É una giornata corta, perché finisce presto a causa degli impegni. In mattinata ci si prepara per la Messa vespertina e per la domenica, si fa pulizia delle stanze, si sistema la camera…. Nel pomeriggio abbiamo il coro, le lezioni con i pre-catecumeni o i catecumeni, a volte qualche battesimo, matrimonio; accogliamo la gente che durante la settimana non è potuta venire. Dobbiamo tener conto anche del fatto che a Istanbul le distanze sono grandi. Ci sono persone che fanno 10 o 20 chilometri di strada per venire o che abitano nel continente asiatico. Dobbiamo renderci disponibili per loro. Molti di loro, per venire in chiesa e tornare a casa, impiegano 5 ore. Per chi conosce un po’ il traffico di Istanbul e il fatto che non ci sono chiese vicino a dove abitano gli interessati, come nelle città cristiane, capisce anche il fatto della necessità di essere disponibili, anche quando dobbiamo cominciare la Messa e non siamo preparati, fosse solo per dare una benedizione a chi lo richiede.

Domenica: qui non voglio aggiungere niente, basta vedere sopra la lista delle celebrazioni. È capitato che si sono celebrate anche 8 messe nella stessa domenica. Non è a causa di mancanza di organizzazione, quanto all’amore pastorale che ci spinge a non lasciare coloro che richiedono il nostro servizio sacerdotale. E purtroppo siamo solo quattro sacerdoti.

Un altro fenomeno è la visita della chiesa da parte dei musulmani: alcuni accendono una candela, altri si siedono e pregano silenziosamente e tanti entrano solo per curiosità. Molti però escono edificati, non dalla chiesa, ma sono certo che il Signore tocca i loro cuori e questo lo posso affermare grazie alle innumerevoli testimonianze raccontate a noi padri oppure scritte sul quaderno che ogni martedì lasciamo a loro disposizione per preghiere e ringraziamenti; dal 1986 si sono raccolti volumi e volumi interi.

La visita dei fratelli musulmani non è un fenomeno trascurabile, tenendo conto che, durante le loro due feste principali che durano 3 – 4 giorni (di solito poi il governo provvede a prolungarle fino ad una settimana) la chiesa à piena, da mattina fino a sera, di visitatori. Sono le giornate più impegnative dei frati, insieme alle domeniche. Infatti di domenica l’afflusso dei musulmani è notevole, soprattutto al pomeriggio. Non solo di domenica, ma in tutte le altre giornate i frati a

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turno devono stare in chiesa al pomeriggio. La gente chiede la nostra presenza. É importante che anche i superiori abbiano questo interesse verso questo afflusso quotidiano di gente che scorre verso di noi per ricevere la grazia desiderata.

Bisogna tener conto che i fratelli musulmani imparano a pregare dagli altri cristiani, siriaci, armeni, greci, ortodossi o cattolici che siano. Molti di loro ormai si sentono molto di casa nella nostra chiesa e noi li accogliamo come loro ci chiedono. Sono loro che ci fanno delle offerte, che portano il pane e che, quando vengono, ci chiedono come stiamo. Come non ringraziare il Signore per loro e come trascurarli? Oggi stiamo lottando proprio per servirli di più e accoglierli meglio, ma come fare quando la nostra presenza è così ridotta? Come far capire ai superiori questa grazia di condivisione che il Signore ci sta donando , alla quale non riusciamo a rispondere appieno?

La posizione centrale della nostra chiesa e l’importanza di Istanbul e della Turchia attira anche frati e altri visitatori con i quali abbiamo una certa affinità. Certo cominciano a venire nei primissimi mesi di primavera fino in inverno e quasi sempre dobbiamo prodigarci a preparare non solo una bella e calda accoglienza, ma anche stare con loro, andare a far vedere i luoghi da visitare e fare un po’ da cicerone. È un bel servizio di carità per chi passa da noi per qualche giorno o settimana. Nessuno dei nostri si deve sentire straniero nella grande metropoli di Istanbul. Ma questo amore fraterno ha un certo prezzo per la comunità, che deve sacrificare tempo permettendo a un frate che faccia da guida di turno per qualche ora, per mezza giornata o per tutto il giorno.

Parliamo ora della stampa. Anche se padre Luigi Iannitto è il pioniere in questo campo, oggi più o meno tutti siamo impegnati in questo lavoro con le pubblicazioni di libretti, sia per la nostra comunità sia per la liturgia; con pubblicazioni brevi come la preghiera dei fedeli, libri dei canti, oppure libretti che si distribuiscono liberamente alla gente, per esempio la Devozione al Sacro Cuore o la diffusione della Milizia Immacolata oppure libri che riguardano direttamente i gruppi, come la Legio Mariae. Ci sono poi altri libri, sempre in stampa, che arrichiscono la nostra libreria nella chiesa. E in questo campo è compresa anche la grande biblioteca che stiamo preparando per il pubblico, di cui un terzo è già inserito sulla nostra pagina web www.sentantuan.com: il sito funziona in turco da ormai 8 anni e ha una frequenza di 2000 visitatori ogni mese, soprattutto nei mesi in cui ci sono delle feste liturgiche.

Per concludere riprendo il discorso dei tre palazzi (due nel cortile di entrata della chiesa di “Sant’Antonio” a Beyoğlu e uno vicino alla Chiesa della Natività a Büyükdere) che appartengono alla nostra comunità. Interessarsi di queste realtà non è facile. Significa occuparsi degli inquilini, parlare con loro, rispondere loro quando chiedono soluzioni per problemi che sorti negli appartamenti riguardo all’acqua, all’elettricità o altro...

Vale come conclusione perché ci sarebbero tante cose da raccontare ancora... Si dovrebbe scrivere ciò che Dio ha realizzato con i frati conventuali a Istanbul. È la storia

della presenza dei frati di San Francesco in mezzo alla gente. La gente è tanto cambiata in tutti questi secoli ma i frati sono rimasti sia con i greci sia con i musulmani. Sono rimasti perche accolti e amati sia dai cristiani che dai musulmani. Oggi, intorno a noi, la quasi totale percentuale sono evidentemente i fratelli musulmani che ci fanno sentire a casa in mezzo a loro. E infatti questa loro accoglienza è benedetta dal Signore che impartisce abbondantemente grazie (tramite sant’Antonio di Padova) a tutti.

Del nostro passato qui in mezzo a questa bella gente si potrebbe fare uno studio approfondito non tanto per scrivere storia ma per passare in rassegna e con calma le meraviglie che il Signore ha fatto tramite i frati conventuali e per lodare solo Lui che fedelmente ha sempre accompagnato i francescani. Il Signore ama stare tra la gente; per questo che ci ha stabilito tra di loro. Anche topograficamente la nostra chiesa è sempre bagnata dalle onde della gente che passa. E queste onde sono i nostri cristiani: levantini, africani o filippini o altri dai consolati, dalle scuole o intraprendenti. Ci sono dei turisti e pellegrini, singoli o gruppi, ci sono dei semplici curiosi o i lavoratori affrettati che accendono una candela e fanno una preghiera breve prima di andare al lavoro oppure tornare a casa, ci sono degli ebrei, cristiani o mussulmani che vengono a dire il loro

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grazie ad Allah per i doni ricevuti. Ci sono dei poveri che cercano un pezzo di pane oppure ci sono dei ricchi che cercano la pace. Ci sono dei ragazzi di scuola o giovani che cercano lavoro, casa o la volontà del Signore nella loro vita privata. Ci sono di coloro che vogliono semplicemente parlare con un sacerdote per chiedere preghiere o consigli oppure lasciare il peso di qualche peccato nelle mani del Signore tramite un sacerdote cattolico.

Tutti costoro passano. Che passino poco tempo ringraziando Allah oppure piangendo pregano per ore intere, tutti si sentono accolti nella nostra chiesa ma soprattutto da Allah. E quando loro passano noi, Frati Minori Conventuali, siamo presenti come sempre dal 1221.

6.5.4. “VADO A CERCARE LA PACE” fr. Iosif PETRILĂ, ofm.conv.

«Non è una garanzia che non saremo “mangiati” oppure non avremo dei guai, però è l’unico modo

per poter testimoniare la nostra fede in Gesù Cristo, Figlio del Dio vivente».

Prima di tutto, voglio ringraziare gli organizzatori, specialmente fr. Silvestro Bejan, Delegato generale per l’ecumenismo e il dialogo interreligioso, fr. Cesar Essayan, Custode provinciale di Oriente e di Terra Santa e tutti quelli che hanno lavorato per rendere possibile questo bellissimo incontro di condivisione fraterna in Medio Oriente, nella terra santa dei nostri Padri e culla del cristianesimo, che oggi si chiama Turchia.

Nella mia brevissima testimonianza, vorrei parlare della mia esperienza vissuta ad Iskenderun, nei cinque anni, dove ho lavorato come parroco della chiesa-cattedrale del Vicariato Apostolico di Anatolia. Luogo dove viene ucciso in modo crudele il nostro vescovo Mons. Luigi Padovese, il 3 giugno 2010.

Voglio specificare che attualmente sono iscritto alla Custodia provinciale di Oriente e di Terra Santa, e da un anno sono in Libano, nel nuovo Convento dedicato a San Francesco d’Assisi e anche casa di postulandato, essendo incaricato come Segretario della Custodia provinciale di Oriente e di Terra Santa.

Sono arrivato dalla Romania in Turchia, subito dopo l’ordinazione sacerdotale, nel mese di giugno del 2004, nel Convento di Sant’Antonio a Istanbul, dove ho incominciato a studiare la lingua turca e dove ho avuto i primi contatti con la gente musulmana e con la cultura orientale. Dopo sei mesi, sono stato mandato nel sud della Turchia, per aiutare un nostro frate che rimaneva da solo a lavorare per il Vicariato Apostolico di Anatolia, a Iskenderun. Praticamente qui, ad Iskenderun, ho iniziato l’apostolato per i cristiani di diversi riti (cattolici latini, ortodossi, armeni-ortodossi, melchiti, siro-cattolici e siro-ortodossi) che si trovano in questa piccola città, non molto lontana dalla frontiera con la Siria. É vero che, la Turchia, essendo un paese laico, il clero e tutte le persone religiose non possono manifestarsi in pubblico indossando l’abito religioso, però nella chiesa c’è la piena liberta di lavorare su tutti i piani pastorali. Una grande difficoltà con la quale si confronta la Chiesa cattolica dalla Turchia è quella che non essendo riconosciuta dallo Stato, non può avere nessuna autorità giuridica in questo territorio, e non può aprire case di formazione per i giovani, seminari etc.

In poche parole voglio dire che i cristiani e i musulmani vivono insieme senza grossi problemi a causa della religione. Tante volte, negli incontri ufficiali con le autorità religiose musulmane, in occasione della Festa del Sacrificio (Kurban Bayram), e nelle diverse feste nazionali o locali, mi piaceva sentire una frase molto bella per esprimere l’unità tra i cristiani e i musulmani: “Hatay (Antiochia e Iskenderun) è come un bellissimo mosaico”. É vero che si poteva vivere in pace e in armonia in questa città, in mezzo ai musulmani, perché nella zona di Hatay, la maggior parte sono musulmani aleviti che sono molto più aperti e vicini ai cristiani, rispetto ai musulmani sciiti oppure suniti. Se nella chiesa di Iskenderun ci sono state delle conversioni, vengono tutte dai musulmani aleviti, e tutti quelli che io ho conosciuto avevano grande rispetto e amavano tanto la

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Vergine Maria. La Vergine Maria della chiesa di Iskenderun ha fatto dei miracoli di guarigione per una donna musulmana e per la sua famiglia, che rimaneva a lungo davanti alla statua, nella preghiera. (Questa è la sua testimonianza, e io non ho nessuna prova per confermare, però la conoscevo molto bene). Io ho vissuto per cinque anni in mezzo a loro, e voglio essere onesto quando dico che ho avuto dei buoni rapporti con tutte le autorità locali della città, certamente non avendo le dispute religiose e soltanto rispettandoci a vicenda, come figli dello stesso Dio, e questo essendo un argomento su quale si può dialogare con i musulmani.

Quello che è triste, lo devo dire, le più grandi difficoltà vissute ad Iskenderun sono state create proprio dai nostri cristiani, dai nostri collaboratori e dai nostri religiosi. Voglio toccare un solo argomento, quello della testimonianza, che il nostro padre san Francesco d’Assisi ci ha proposto di vivere, nella Regola non bollata al capitolo XVII, sopratutto per i frati, che per divina ispirazione, vogliono andare tra i saraceni e gli altri infedeli: prima di tutto devono dare una testimonianza di una vera comunione fraterna, e poi annunziare la Parola di Dio, perché un fruttuoso annunzio non può venire se non da una vera comunione di vita vissuta in fraternità.

Fino ad ora ho parlato un po’ della mia esperienza vissuta tra i musulmani e adesso, in poche parole, cercherò di parlare del più tragico momento della mia vita vissuto ad Iskenderun con l’uccisione del vescovo Mons. Luigi Padovese. Morte tragica e crudele, venuta all’improvviso, che a sconvolto tutto il mondo. Egli è rimasto per me come un grande mistero di quello che noi chiamiamo amore universale, senza fare nessuna discriminazione per le persone che confessano un’altra religione, in questo caso l’Islam. Ho vissuto per cinque anni vicino a questo vescovo e al suo killer, un kurdo musulmano, originario da Mardin, un ragazzo molto giovane, cresciuto nella nostra chiesa, insieme con la sua famiglia, sostenuta finanziariamente dal vescovo, dai sacerdoti e dalle suore che erano prima di noi a Iskenderun. Per esempio, il papà di Murat, l’assassino del vescovo, è andato in pensione, dalla nostra chiesa, e così al suo posto è subentrato Murat, che era il figlio più grande. Un altro fratello di Murat e il proprio cognato, abitavano con sua famiglia, in una casetta nel cortile della chiesa. Si mostravano persone molto brave, rispettose e affidabili, soprattutto Murat, il quale in pochi anni, da semplice giardiniere, venne assunto dal vescovo come il suo autista e persona più affidabile tra tutti gli impiegati (erano una decina).

Quello che io non posso capire, e non potrei mai accettare, è proprio questo cambiamento radicale di Murat, il quale, tante volte, non molto prima di uccidere il vescovo, mi confessava che non aveva mai visto una persona così brava come il vescovo Luigi, che gli voleva un sacco di bene e che sarebbe stato pronto a morire per lui, perché negli ultimi sei mesi, il vescovo ha rinunciato alla guardia personale offerta dallo Stato turco, dopo l’uccisione di Don Andrea Santoro a Trabzon. Allora Murat faceva la guardia personale del vescovo (uscivano sempre insieme). É vero che, un mese prima della tragedia, Murat si mostrava molto cambiato: diceva di avere forti dolori alla testa e non riesce a dormire la notte. Il vescovo era molto preoccupato per lui, anche perché qualche giorno prima Murat aveva rifiutato di bere l’acqua dal vescovo, quando erano in viaggio, dicendo che era avvelenata (questo fatto me l’ha detto il vescovo) e anche per questo il vescovo ha preso un appuntamento con uno psicologo di Adana, dove avrebbe mandato Murat per capire che cosa gli era successo. La visita dallo psicologo è andata bene, nel senso che non doveva fare nessuna cura speciale, soltanto gli ha prescritto dei calmanti, che io ho comprato con lui in farmacia. Gli dissi inoltre che avrebbe potuto venire a riposare in una camera del nostro convento, perché nella sua casa veniva disturbato dai suoi fratelli più piccoli. Per tre giorni ha accettato di rimanere in convento, soprattutto la notte, però anche la sua famiglia era preoccupata per lui, specialmente la sua mamma la quale era sempre nel cortile della chiesa (da sua figlia) per seguirlo. Sicuramente loro (la famiglia di Murat) sapevano che sarebbe successo qualcosa di male nella chiesa, perché due giorni prima, nella casa di Murat dove era radunata tutta la famiglia, vi fu un litigio molto forte tra i famigliari stessi. Il giorno seguente, il cognato di Murat, ha dato le dimissioni e voleva trasferissi con la sua famiglia a Mardin, presso i suoi parenti; però, alle insistenze del vescovo, rimase a lavorare nella chiesa. Sono tanti i dettagli, che allora nessuno di noi poteva interpretare come precauzione contro un pericolo imminente, se quello che per primo era in grado di farlo, cioè il vescovo, non lo

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fece. Per di più, nel giorno in cui venne ucciso il vescovo, nella mattinata io ero nel cortile e ho visto il vescovo uscire da solo con la sua macchina. Andai da lui e in modo amichevole gli chiesi dove andasse così da solo, e che avrei voluto venire anche io con lui. Mi disse: “vado a trovare la pace” e poi sorridendo, mi ha detto che potevo venire, però non adesso ma nel pomeriggio, per nuotare insieme perché lui andava alla sua casa estiva, a cinque chilometri fuori Iskenderun. Infatti, è passato alla casa di Murat, l’ha preso e sono andati insieme in questa casa vicino al mare. Prima di pranzare, il vescovo ha telefonato alla sua segretaria per annullare il biglietto aereo per Cipro, dove doveva andare il giorno seguente per la visita del Santo Padre, insieme con Murat, dicendo che non si sentiva bene. Un’ora dopo il vescovo venne preso a coltellate da Murat, nella camera da letto, con un coltello che si usava per mangiare la frutta. Dopo una decina di coltellate, il coltello si rompe e il killer va in cucina per prendere un coltello più robusto: in quel momento il vescovo riuscì a uscire fuori dalla casa, però venne raggiunto e questa volta praticamente decapitato... Murat non scappò dal luogo del delitto, gridava dicendo che lui aveva compiuto il suo lavoro, e aspettava l’arrivo della polizia.

Certamente, sono tante cose da scoprire da questa tragedia accaduta alla nostra chiesa, però a me fa molto pensare e riflettere sulle ultime parole del vescovo: “vado a cercare la pace”. Queste parole possono dire molto, per una persona che non può trovare la pace nella propria casa e in compagnia dei suoi collaboratori. Tutto quello che è accaduto in questa storia, posso dire che è stato “creato” dai mille problemi che il vescovo non sapeva più come gestire. E quello che è molto triste, che tutti i problemi venivano da quelle persone che si confessavano come cristiani (non voglio parlare di più, per non essere interpretato male). Alla fine, io penso che Murat è stato soltanto il “coltello” che ha ucciso il vescovo, però rimane da vedere qual è la mano che ha armato questo killer. Forse rimane un mistero, come tutti gli altri che hanno colpito la chiesa uccidendo sacerdoti, suore etc. San Francesco ci ha insegnato bene come dobbiamo comportarci. Non è una garanzia che non saremo “mangiati” oppure non avremo dei guai, però è l’unico modo per poter testimoniare la nostra fede in Gesù Cristo, Figlio del Dio vivente.

Grazie per la vostra attenzione, e auguro a tutti voi un fruttuoso lavoro nei paesi musulmani e il Signore benedica il vostro lavoro e il vostro sacrificio.

Pace e bene!

6.6. L’ISLAM IN LIBANO fr. Cesar ESSAYAN, ofm.conv.

«Qual è il ruolo dell’Islam nella storia della salvezza? Come mai facciamo tanta fatica ad annunciare il Vangelo?».

Repubblica Libanese: 10452 km2 Capitale: Beirut Frontiere: Nord e Est: Siria; Sud: Israele; Ovest: Mare Mediterraneo Abitanti: 4 milioni (tra cui 600 mila palestinesi profughi) Lingua ufficiale: arabo Lingue insegnate a scuola: arabo, francese, inglese. Il Libano è un paese confessionale che comprende diciotto comunità religiose. Lo statuto

personale (matrimoni, divorzi, eredità…) è gestito dalla comunità religiosa alla quale uno appartiene.

Il presidente della Repubblica è cristiano Maronita. Il presidente del Parlamento è musulmano Sciita. Il presidente del Consiglio è musulmano Sunnita. La percentuale di cristiani prima della guerra era del 50% della popolazione, oggi conta

meno del 27%. Non ci sono dati ufficiali.

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* * *

Il mio primo contatto con l’Islam è stato grazie a un ragazzo musulmano che aveva aderito al

movimento eucaristico dei giovani del quale ero membro. Ero allora a scuola e la guerra civile libanese era al suo inizio. E la prima domanda che mi sono fatto: come accogliere un musulmano e perché è venuto tra noi? Domanda superflua allora perché molte famiglie libanesi sono miste. La mamma di questo ragazzo era cristiana ed egli era cresciuto nei valori evangelici e l’amore della Madonna.

La guerra civile iniziata tra cristiani e palestinesi si è estesa in poco tempo per coinvolgere tutte le confessioni presenti sul territorio libanese. Ha diviso la capitale e poi tutte le altre regioni in luoghi, una parte sotto il dominio delle milizie cristiane e l’altra sotto quelle musulmane. Solo chi ha avuto buoni rapporti con “il nemico” è rimasto nella zona “nemica” testimoniando che la convivenza è sempre possibile anche se, alcune volte, ad alto prezzo. Dal 1975 dunque fino al 1990, c’erano pochi contatti tra cristiani e musulmani. Malgrado questo, molte famiglie miste sono nate e il loro numero è aumentato dopo la fine ufficiale della guerra.

Sono state fondate associazioni con lo scopo di favorire il dialogo tra le diverse parti e favorire l’unità dei libanesi. Tra queste, una si è occupata di organizzare campi scuola estivi per giovani cristiani e musulmani. Durante il primo incontro è sorta la domanda: come fare per la preghiera del venerdì e la messa domenicale? È bene mettere in risalto le nostre differenze o far tacere le nostre religioni per una visione puramente umanistica – anche se ci sarebbe ancora da definire cosa vuol dir questo termine e cioè definire chi è l’uomo. Quale sguardo possono avere gli organizzatori e sarebbero capaci di uscire dalla loro esperienza della guerra per una visione più libera?

Il corso di due anni d’Islamistica che ho fatto al PISAI (Pontificio Istituto di Studi Arabi e d'Islamistica) durante gli anni della specializzazione in Cristologia al Seraphicum mi ha spinto a farmi altre domande tra cui: qual è il ruolo dell’Islam nella storia della salvezza? Che cosa pensare di Maometto, come leggere la sua ricerca di Dio e la sua vita così contraddittoria con gli insegnamenti dei dieci comandamenti e del Vangelo?

Rientrato in Libano, ho insegnato per tre anni all’Università san Giuseppe, all’Istituto delle Scienze Religiose, un corso di introduzione all’Islam. Lì, mi sono ancora più reso conto quanto il confronto con un’altra religione mette in questione la nostra costringendoci a dover rispondere a ogni momento della fede che professiamo. A una religiosa che rideva di Maometto, ho dovuto chiedere che vada a fare un corso di esercizi spirituali. Molti giovani cristiani sono incapaci di dire il contenuto della loro fede.

Ho battezzato più di una ventina di musulmani, libanesi e no. E ho preparato alla cresima un giovane marocchino che era stato battezzato nel suo paese. Era venuto in Libano per studiare teologia prima di rientrare per annunciare il Signore nella sua terra. Ascoltando lui e altri, ho potuto notare quanto è importante la coerenza della vita dei cristiani con la loro fede per la credibilità nel testimoniare Cristo, l’unico salvatore dell’uomo. Il Signore fa il resto suscitando interrogazioni e conversione, usando pure quanto è affermato nel Corano. Una domanda tra quelle che hanno portato Giovanni (questo è il suo nome di battesimo) a cercare di avere un Vangelo e leggerlo: come mai – se Maometto è l’ultimo dei profeti – è Gesù colui che verrà alla fine dei tempi per il giudizio? Oggi però, mi chiedo: come mai facciamo tanta fatica ad annunciare il Vangelo? Perché, come Chiesa Cattolica, siamo poco propositivi nell’offrire Cristo quale Parola incarnata o il Vangelo come parola di Vita? Sembra che scegliendo la via del dialogo abbiamo rinunciato all’annuncio! Quando guardo con quale zelo e con che mezzi i protestanti cercano di fare arrivare la Buona Novella ad ogni musulmano dei paesi arabi (anche se non siamo d’accordo con alcuni dei loro metodi), mi chiedo perché siamo così in ritardo, così chiusi su noi stessi ad dover fermarci sui tanti “stupidi” problemi che avvelenano la nostra vita…!

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6.7. L’ISLAM IN FRANCIA fr. Bernard Cerles, ofm.conv. «Non c’è soltanto “un’Islam in Francia”, ma una maniera ben particolare di essere musulmano e

francese. Possiamo parlare di un “Islam di Francia”». L’Islam si colloca in Francia come la seconda religione del paese dopo il cattolicesimo.

Una lunga storia Siamo solo a poco più di cento anni dopo l’egira, quando nel 731, Charles Martel ferma gli

arabi a Poitiers. Ma si tratta di una semplice battuta d'arresto, perché essi non cesseranno di essere presenti nella storia della Francia. Pochi anni più tardi, durante il Regno di Carlo Magno, li ritroviamo alle porte dei Pirenei con Rolando a Roncisvalle. In realtà essi operano un constante va e vieni nel sud del paese, lungo le strade commerciali e sono chiamati “Saraceni”. Numerosi paesini portano i loro nomi e alcune città attestano la loro influenza come Castelsarrasin, vicino a Tolosa. Contrariamente alla Spagna, non si impongono politicamente: non c’è dunque una riconquista. La lingua francese stessa usa delle parole arabe come: algèbre, abricot, chimie o génie...

Il rapporto con l’Islam si intensificherà quando la Francia costituirà il suo impero coloniale che include il nord Africa: Marocco, Tunisia, Algeria (quest’ultimo fu anche un dipartimento francese).

Questo rapporto sarà a volte conflittuale, e l’indipendenza di questi paesi sarà conflittuale o addirittura guerra sanguinosa (Algeria).

Ciononostante, la presenza musulmana in Francia si amplificherà a causa di questi due eventi nella metà del ventesimo secolo (ovvero di una migrazione di due tipi): il primo riguarda gli algerini harki, sostenitori della Francia durante la guerra d'indipendenza, che si aggiungono alla metropoli con i coloni espulsi. L’accoglienza nel territorio non è sempre adeguata al loro impegno. Il secondo è di ordine economico. Centinaia di algerini, marocchini, tunisini vengono in Francia a causa del bisogno di manodopera (sopratutto nel settore delle opere di costruzione e infrastrutture). Le generazioni nate da questa immigrazione costituiscono oggi la gioventù delle periferie che copre regolarmente i notiziari.

L’Islam di Francia Questa lunga presenza ci fa pensare che non c’è soltanto “un Islam in Francia”, ma una

maniera ben particolare di essere musulmano e francese. Possiamo parlare di un “Islam di Francia”. La laicità, che si era radicalizzata nel XIX secolo nel contatto unico con la religione

cattolica, deve ora confrontarsi con l’Islam. Il suo problema, come quello del dialogo inter-religioso, è di trovare all’interno della comunità musulmana, degli interlocutori rappresentativi, da cui la recente costituzione della CFCM (Consiglio Francese del Culto Musulmano). Si tratta per lo Stato di sorvegliare l’esercizio della laicità a livello dell’Islam: luoghi di culto, formazione di imam...

La costituzione di un Islam di Francia, a questo proposito è per emancipare le comunità musulmane di Francia dalle influenze dei paesi stranieri, sia dal punto di vista economico sia a livello delle tendenze fondamentaliste in cui la maggior parte dei musulmani di Francia non si riconoscono.

La pratica dell’Islam in Francia Ogni città oggi, si impegna a fornire delle strutture in modo da dare all’Islam i mezzi per

esercitare il suo culto. Il problema è che le comunità non sono geografiche ma nazionali: bisogna dunque pensare per ogni entità a un luogo di culto, gestito da un’associazione che corrisponda non al luogo dove si abita, ma al paese di origine. Così in alcune città, una moschea (ben visibile) è costruita... ma c’è anche la moschea algerina, la moschea marocchina...

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Contiamo, secondo i dati più recenti, 6 milioni di musulmani in Francia. Va detto che il 20% si reca regolarmente alla moschea, mentre la maggioranza osserva il ramadan.

Lo Stato francese si è anche interessato alla gestione delle fonti di finanziamento per la costruzione delle moschee, desiderando che i musulmani stessi finanzino i loro luoghi di culto per i motivi indicati sopra. Lo stesso vale per la formazione degli imam: essa dovrebbe avere luogo in Francia...

Per il resto, possiamo fare riferimento all’intervento di Fra Dominique Mathieu sull’Islam in Europa.

La Chiesa di Francia e l’Islam L’episcopato francese si è dotato di una particolare struttura di dialogo con l’Islam: il SRI

(Servizio di Relazione con l’Islam). La missione del SRI è data dalla conferenza dei vescovi di Francia che ne ha definito gli assi

principali: • Promuovere il dialogo tra cattolici e musulmani, • Formare i cattolici per un collegamento con i musulmani sul piano teologico, pastorale e

spirituale, • Aiutare le commissioni che portino avanti il dialogo islamo-cristiano, • Sviluppare i legami con i responsabili, le associazioni e i luoghi del culto musulmano, • Partecipare alla riflessione sul punto dell’Islam oggi e il dialogo islamico-cristiano, • Elaborare e mettere a disposizione delle diocesi i documenti riguardanti le questioni

pastorali legate agli incontri dei musulmani. Le iniziative dei diversi ambiti si ritrovano. La presenza francescana è ordinaria, perché

l’animatore di questo servizio è stato spesso un frate del primo ordine (OFM). Attualmente, questo capitolo della missione del SRI sul sito web, è rappresentato da

un’icona dell’incontro tra Francesco e il Sultano. D’altra parte, c’è un accordo tra la facoltà di scienze sociali ed economiche dell’Istituto

cattolico di Parigi e l’Istituto musulmano della grande moschea di Parigi, che hanno aperto dal gennaio 2008, la prima formazione universitaria in Francia per imam, inerente lo studio dei rapporti tra lo Stato e i culti, e lo studio della laicità nella società francese.

Inutile dire che tra il cattolicesimo francese e il culto musulmano, i rapporti sono più di amicizia che di dialogo, ma gli scambi sono apprezzati da tutti. Nel contesto della laicità francese, l’unione fa la forza. Soprattutto nella zona dell’influenza sulla società delle due religioni, esse si considerano tutte e due minoritarie.

6.8. L’ISLAN IN BULGARIA fr. Stanisław ZIEMIŃSKI, ofm.conv. «Abbiamo anche un rapporto più vicino con i musulmani perché lavorano da noi nella costruzione

delle chiese». Le prime notizie che riguardano l’arrivo dei primi missionari musulmani sul territorio

bulgaro risalgono al IX secolo. Di questo parla anche papa Nicolò I in una lettera allo zar Borys in cui bisogna fare attenzione ai saraceni. Dopo tanti anni possiamo notare una particolare apertura di uno Zar al “soffio” dell’Islam in Bulgaria. Aspettando certi vantaggi personali chiude gli occhi sull’influenza musulmana nel suo paese.

Nei secoli XI e XII una parte dei nomadi dalla Turchia si insediò in Bulgaria. In seguito nel XIII secolo un gruppo di Musulmani di così detti Turchi (Seldeuckich) si è

spostata nella regione Dobrudzia in Bulgaria.. La seguente emigrazione ebbe luogo nel 1360 circa.

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Venivano dalla città di Adrianpad (oggi Edirne). Nell’arco di due anni sono arrivati a Plovdiv e poi, nel 1385 a Sofia.

La presenza dei credenti dell’Islam sul territorio bulgaro è aumentata notevolmente nel periodo di cinque secoli dopo l’assedio dei Balcani da parte dei Turchi (Osrnarislcich) nel XIV secolo, dopo la caduta del Principato wielko Tyrnowskiego e in seguito di quello Widyriskiego. In questo periodo, sul territorio bulgaro, secondo le notizie dell’ufficio del Grande Mustafa, sono state fatte 2356 moschee e circa 700 altre costruzioni othenistich per i credenti dell’Islam.

Diverse fonti storiche parlano della presenza di diversi gruppi o di nomi dell’Islam. Tra essi: Alians, Kizilbashi e Bektashi.

Un gruppo particolare, che ha sofferto tanto, sono i Pomaci. Nonostante la loro presenza in diversi paesi balcanici, in Bulgaria sono più numerosi. Il termine significa: con aiuto, quelli che sono stati islamizzati, oppure attraverso la persecuzione.

La loro storia inizia durante l’occupazione della Turchia nel XIII secolo. Questo riguarda in modo particolare la regione di Rodop, al sud, ai confini con la Grecia. Si

sono verificate le forzate conversioni dei cristiani all’islam. Questo modo di fare si può constatare nel secolo XVI, nei tempi del sultano Schima II, poi nel XVII secolo. Così anche nel XIX secolo come testimonia Costantino Jirevrek, c’erano circa 500.000 musulmani.

Dopo la liberazione della Bulgaria, la maggior parte del musulmani è emigrata nel territorio di Osmaviskie. Di là sono stati trasferiti nei paesi dell’Anatolia. Per quelli che sono rimasti in Bulgaria iniziava un nuovo percorso di cambiamenti, in quanto sono stati costretti a rientrare alla confessione cristiana ortodossa.

Un’altra esperienza dei musulmani in Bulgaria risale all’anno 1984, ai tempi del comunismo. Venivano forzati a cambiare i nomi per farli somigliare ai nomi bulgari. Dopo la caduta del comunismo cominciarono i problemi su chi doveva essere il capo del gruppo, perché quando veniva cambiato il capo pubblico nello stesso momento cambiava il capo Mufì.

Anche oggi, prendendo in considerazione diversi gruppi di musulmani, le persecuzioni, la distruzione della loro identità, la situazione dei musulmani in Bulgaria non è facile.

Essi sono presenti nella parte nord-orientale del paese, nei pressi di Silistra, vicino al Danubio e Rodopa al confine con la Grecia. Questi non si lasciano influenzare dal di fuori. Nelle altre regioni invece sono meno numerosi, ed anche si nota minore consapevolezza religiosa o appartenenza ad un gruppo, e bassa percentuale di praticanti. Nella nostra città c’è una sola moschea, invece ai tempi dell’occupazione turca ce ne erano 15. Parlando con il loro capo religioso, questo mi disse che soltanto 15 persone partecipano in modo regolare e assiduo alla preghiera.

In base alla mia esperienza Nei dintorni di Sylitra e Rodopa si trovano dei paesi di una certa importanza. Si nota che

essi si distinguono nel loro modo di vestire ma anche c’è una specie di isolamento dagli altri gruppi sociali. Attraversando i loro villaggi questo si nota facilmente.

Abbiamo anche un rapporto più vicino con i musulmani perché lavorano da noi nella costruzione delle chiese. Hanno grande rispetto nei nostri confronti, dato che siamo per loro datori di lavoro, sono sinceri e molto si impegnano nel lavoro.

Come già ho detto nella mia città c’è una sola moschea. Prima, nei tempi dell’occupazione turca, ce ne erano tante ma ora non ci sono i credenti per riempire la struttura. Dai pochi incontri che abbiamo con il capo religioso dei musulmani non possiamo conoscere molto circa il loro atteggiamento nei nostri confronti. Generalmente sono gentili e amichevoli. Noi non organizziamo degli incontri formali con loro, ed anche essi non ci invitano da loro a partecipare.

Sporadicamente capita di partecipare insieme con i musulmani a qualche riunione. La maggior parte di essi non sono credenti. Ma si nota una apertura amichevole nei confronti nostri e nei confronti degli altri cristiani.

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Lo scorso anno abbiamo avuto un battesimo di un musulmano e ce ne è un altro che si sta preparando. Ma questi non sono segni di una conversione di massa, solo un’esperienza molto interessante

6.9. I MUSULMANI IN ROMANIA fr. Damian PATRAȘCU, ofm.conv.

«Le cause della mancanza del loro aumento: il loro vivere in mezzo a gente in maggioranza

ortodossa, molto attaccati alla loro religione, soprattutto dal punto della vista della tradizione…».

In Romania svolgono la loro attività 15 culti religiosi riconosciuti ufficialmente, tra i quali anche il culto mussulmano, il quale conta circa 70 000 fedeli (0, 3% dalla totalità della popolazione della Romania). Accanto agli altri culti, i fedeli musulmani esercitano liberamente il loro culto, conforme alla fede contenuto nel libro sacro del Corano.

La pratica dell’Islam in Romania è legata allo stabilirsi sul territorio, ancora nel secolo XIII della popolazione turco-tartara. Le comunità mussulmane stabili si sono costituite appena nei secoli XIV-XV, in seguito all’instaurazione della sovranità della Porta Ottomana nei Principati Romeni, ma queste si sono sviluppate soprattutto in Dobrogea e in alcune località lungo il Danubio (sud della Romania). L’attività religiosa dei mussulmani in Romania è guidata da un muftì, con residenza nel municipio di Constanța. Il muftì viene eletto con voto segreto tra il clero da parte del Sura Islam. Questa scelta viene ulteriormente confermata con un decreto a firma del presidente della Romania. Accanto al muftì esiste un Collegio Sinodale composto da 23 membri, i quali si incontrano periodicamente per risolvere i problemi amministrativi e disciplinari riguardanti il culto musulmano.

L’unità base è la comunità, la quale comprende tutti i fedeli musulmani di una località. L’organo di guida della comunità forma il comitato, composto da 5-9 membri eletti per un periodo di 4 anni.

I circa 70000 fedeli musulmani (turchi, tartari, albanesi, etc.) vivono raggruppati in circa 80 comunità religiose territoriali, rurale e urbane. La maggioranza di loro si trova nelle città di Constanța (85%) e Tulcea (12%), il resto di 3% risiedendo in diversi centri urbani come: Bucarest, Brăila, Călărași, Galați, Giurgiu, Turnu Severin e altre località. Le case di preghiera sono 80, dette geamie.

I principali edifici di culto sono la Moschea e geamia detta "Hunchiar" il quale si trova nella città di Constanța, la geamia detta "Esma han Sultan" di Mangalia, la quale è anche la più antica della Romania, le geamie di Medgidia, Cenavodă, Hărșova, Tulcea, Babadag, Macin e Isaccea; questi edifici di culto sono dichiarati monumenti storici protetti dallo stato e dalle leggi internazionali. A queste aggiungiamo le tombe di “Gazi Ali Pasa” e di “Saru Saltik Dede” di Babadag.

La moschea di Constanța - monumento di architettura della città, il principale edificio del culto mussulmano - è stata costruita dallo Stato romeno nel 1910. Il progetto della moschea appartiene all’ingegnere romeno Gogu Constantinescu e all’architetto Victor Ștefănescu. Lo stile è una combinazione tra l’egizio-bizantino con alcuni motivi di architettura romena, concezione architetturale che non si trova in nessuna delle altre moschee della Romania. All’interno si trova il tappeto portato nel 1965 dall’isola Ada-Kaleh, essendo una donazione del sultano Abdul Hamid (1876-1909), e lavorato nel celebre centro di artigianato Hereke di Turchia, avendo un peso di 490 chilogrammi.

Per quanto riguarda gli studi teologici, questi sono stati assicurati dal seminario teologico musulmano fondato già nel 1610 a Babadag, questa essendo chiusa nel 1967 a causa della mancanza delle condizioni. Dopo la Rivoluzione del 1989, nel 1992, è stato aperto un Liceo Teologico Mussulmano e Pedagogico nella città di Medgidia.

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Il personale clericale musulmano è formato da hatipi, imami, hagi e muesini. Attualmente il culto mussulmano funziona tramite contributi benevoli dei fedeli, donazioni e

sovvenzioni accordate dallo Stato Romeno, dalle tasse religiose e da quelle delle visite dei monumenti storici, ecc. Il culto mussulmano ha in proprietà 108 cimiteri.

Il culto mussulmano di Romania intrattiene buone relazioni con tutta la comunità islamica internazionale. Queste relazioni si concretizzano in scambi reciproci di delegazioni, partecipazioni a incontri e congressi su diversi argomenti, organizzazioni di pellegrinaggi alla Mecca, ecc.

Il capo attuale del culto musulmano è Muurat Iusuf (nato nel 1977), dal 2005 muftì di Romania.

Per quanto riguarda la sua preparazione, il muftì Muurat Iusuf ha fatto il liceo teologico e la Facoltà Teologica Islamica in Turchia. Ha seguito anche il master in Missione Pastorale alla Facoltà di Teologia Ortodossa di Târgoviște e i corsi del dottorato alla Facoltà di Teologia Ortodossa "Ovidius" di Constanța. Conosce le lingue romeno, arabo, inglese e turco.

Non esistono problemi di nessuna natura con i musulmani, dato il loro orientamento molto moderato e anche il loro numero alquanto esiguo. Nel parlamento dello Stato ogni minoranza etnica ha un rappresentante, quindi anche loro.

Le cause della mancanza del loro aumento: Il loro insediamento vicino al mare, al porto, posti tradizionalmente pieni di genti di fedi

diverse, eclettiche, meno religiose, non molto attaccate alla loro religione Il loro vivere in mezzo a gente in maggioranza ortodossa, molto attaccati alla loro religione,

soprattutto dal punto della vista della tradizione (dove ancora oggi la tradizione, ritualità, costumi prevale sulla fede, o Scrittura).

La mancanza di leadership tra di loro. Il disinteressamento di altri paesi con forte presenza musulmana, a rafforzare e incrementare

i musulmani in Romania. Qualche problema si riscontra all’interno dei musulmani stessi, in quanto uomini d’affari

arabi finanziano studi per i giovani musulmani nei paesi fondamentalisti e al loro ritorno questi causano problemi ai musulmani stessi.

6.10. ISLAM IN POLONIA fr. Jerzy NOREL, ofm.conv. «Nonostante il piccolo numero dei musulmani in Polonia esistono varie iniziative per il dialogo tra

l’Islam e la Chiesa cattolica». L’Islam, come comunità religiosa, al livello nazionale polacco non incide in maniera

particolare, tenendo presente che numericamente costituisce una piccola realtà.

Religioni in Polonia – quadro statistico La comunità religiosa più grande è la chiesa cattolica con ca. 34 milioni appartenenti; nel

rito romano sono battezzati 33,7 milioni (ca. 89% della popolazione; media nazionale di partecipazione nelle pratiche religiose ca. 45%); la chiesa greco cattolica conta ca. 55 mila; chiesa armena cattolica ca. 5 mila; varie comunità della chiesa vecchio-cattolica (non accettano il Vaticano II) ca. 100 mila.

La chiesa ortodossa ca. 505 mila. Ci sono anche rappresentanti della chiesa copta e armena ortodossa.

Varie comunità delle chiese protestanti insieme ca. 150 mila. Testimoni di Jehowa ca. 126 mila seguaci. Altri gruppi religiosi (musulmani compresi) ca. 150 mila.

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Presenza dei musulmani in Polonia I primi contatti con i musulmani sul territorio del Regno di Polonia risalgono al XIII sec. nel

contesto delle incursioni dei Mongoli sui territori sud-orientali del Regno. Però la presenza musulmana stabile in Polonia si può datare a partire dal secolo XIV. Si tratta della comunità musulmana formata dai Tartari, profughi dai territori vicino al fiume Volga e dalle steppe a nord del Caucaso (attuale Russia meridionale e Kalmukia). I loro primi insediamenti sul territorio del Regno Polacco si trovano sull’attuale parte orientale della Polonia e attuale Lituania e Bielorussia. Infatti i primi Tartari venivano insediati nell’attuale Lituania (storicamente il principato lituano faceva parte della coalizione con il Regno polacco), sotto la protezione dei re, in cambio del servizio militare nelle guerre contro l’Ordine Teutonico del XIV e XV sec. Per il fedele servizio militare i Tartari venivano premiati con dei possedimenti terrieri, formando dei regolari villaggi musulmani. Gli insediamenti dei Tartari sul territorio lituano sono rimasti fino al XVIII sec. Sul territorio del Regno stesso, specie nella regione nord-orientale chiamata Podlasie, il re Jan III Sobieski nel 1569 donò alle comunità dei Tartari due villaggi (Bohoniki e Kruszyniany), presenti ancor oggi, conservando la loro cultura e religione. I Tartari formavano speciali gruppi militari all’interno dell’esercito polacco ed a partire dal sec. XVIII avevano dei propri cappellani musulmani militari. La Costituzione del 1791 ha dato ai Tartari polacchi i pieni diritti politici come veri cittadini polacchi.

I Tartari polacchi appartengono al ramo dei sunniti. Sin dai primi tempi avevano libertà di culto e possibilità di costruire le moschee (nel 1690 sul territorio del Regno polacco hanno avuto ca. 50 moschee) e costituire degli imam locali. Usavano testi sacri non solo in lingua araba, ma anche in lingua bielorussa e polacca (scritti con alfabeto arabo). Questi due ultimi erano delle raccolte di preghiere, racconti devoti e norme; le raccolte venivano chiamate kitaby. Gli imam, oltre presiedere le preghiere, celebravano i matrimoni, insegnavano le regole dell’islam, fungevano da giudici e aiutavano a raccogliere le tasse.

Nel 1925 è stata costituita l’Associazione Musulmana in Polonia con a capo un muftì. L’Associazione godeva supporti economici da parte dello Stato polacco per l’insegnamento dell’Islam nelle 19 scuole presso le comunità musulmane. Pubblicavano anche riviste religiose, tutte in lingua polacca. Il numero dei fedeli musulmani nel 1936 aggirava attorno ai 6 mila. Nel 2004 è stata registrata anche una seconda organizzazione religiosa di musulmani. Si tratta di cosiddetta Lega Musulmana che abbraccia i musulmani sunniti, ma che non sono cittadini polacchi (immigrati o ospiti studenti).

L’Islam è attualmente riconosciuto dallo stato polacco come una religione legale e i fedeli musulmani pregano in 4 moschee, delle quali 2 sono storiche (del XVI sec.).

La presenza contemporanea dei musulmani in Polonia fa denotare una certa evoluzione o passaggio - i musulmani “locali” o “polacchi” (i Tartari) – che fino alla metà del XX sec. erano gli unici rappresentanti dell’Islam. Nella seconda metà del XX sec in Polonia sono arrivati altri musulmani, di varia provenienza, per una permanenza più o meno prolungata; un movimento che continua ancora oggi e cresce. Sono studenti di vari paesi arabi (anche dall’Iran o Afganistan), emigrati (Egitto, Palestina, Turchia, Cecenia, Caucaso, Afganistan, Bosnia) o uomini d’affari.

Non ci sono stime numeriche precise circa la presenza musulmana sul territorio polacco. Il numero dei Tartari autoctoni oscilla attorno ai 4,5 - 5 mila, invece il numero dei musulmani “ospiti” o di passaggio ca. 20 mila persone. Insieme quindi fanno ca. 25 mila, il che, rispetto al numero totale della popolazione, dà un risultato attorno al 0,06%.

Nonostante il piccolo numero di musulmani in Polonia esistono varie iniziative per il dialogo tra l’Islam e la chiesa cattolica. Dal 1997 è in funzione il Consiglio Congiunto dei Cattolici e Musulmani. Ogni anno, il 26 gennaio, presso la chiesa cattolica viene organizzata la cosiddetta “Giornata dell’islam”. Le celebrazioni centrali si svolgono con la partecipazione dei capi religiosi delle comunità cattoliche e musulmane. Gli incontri, ai quali spesso partecipano anche i diplomati provenienti dai paesi islamici, hanno carattere misto – una parte ufficiale con i discorsi di tipo politico-culturale, un’altra, quella spirituale, con preghiere, letture dei testi sacri ecc.

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Un fenomeno a margine della realtà musulmana in Polonia sono le cosiddette “conversioni” dal cattolicesimo all’Islam. Non ci sono statistiche al livello nazionale. Secondo le stime musulmane, solo a Varsavia, si tratta da alcuni fino a più di dieci casi ogni anno. Tanti musulmani tradizionali (nati come musulmani) sono, però, molto scettici rispetto alla natura di quelle “conversioni”. Infatti, nella maggior parte dei casi si tratta di decisioni prese in fretta sotto l’influsso emotivo o sotto il fascino della cultura dell’Oriente – gran parte di queste persone sono donne che, conoscendo un partner musulmano, decidono di cambiare la religione, e spesso dopo, anche presto, si pentono. Dice uno degli imam (Selim Chazbijewicz, Gdansk): “in nove su dieci casi la “conversione” finisce con abbandono dell’Islam, quando – dopo alcuni anni – il matrimonio va in fallimento. I legami familiari e di amicizia di origine risultano alla fine molto più forti da quelli della nuova religione”.

Collaborazione con i musulmani a Danzica La provincia di San Massimiliano gestisce a Danzica un’opera di riconciliazione tra le

nazioni e di dialogo chiamata Casa di San Massimiliano Kolbe (DMK). All’interno dell’attività di questo centro abbiamo contatti con la comunità musulmana di Danzica. I musulmani, con il loro rappresentante il muftì Tomasz Miskiewicz, prendono parte degli incontri di preghiera che ogni anno (da 8 anni) vengono organizzati presso il convento di Danzica. In questa occasione ci sono anche delle iniziative educative, offerte soprattutto ai giovani, per far conoscere le varie tradizioni religiose presenti a Danzica, Islam compreso. I contatti con il muftì di Danzica, inoltre, sono frequenti e si estendono anche ad altre occasioni – feste e commemorazioni locali, a livello religioso e civile, proposte per l’ambiente cittadino, marce, manifestazioni ecc. Nei programmi preparati dal centro, poi, partecipano anche i giovani da varie religioni, il che diventa occasione per conoscersi ed educarsi reciprocamente alla ricchezza religiosa e al rispetto.

6.11. L’ISLAM IN UZBEKISTAN fr. Piotr KAWA, ofm.conv.

«Penso che siamo in una ricerca continua, ma questo è proprio un bene che ci spinge a trovare il

piano di Dio in questa terra e la nostra vocazione».

1. Come viene vissuto l’islam dalla gente? Come sono i nostri rapporti con i musulmani - dialogo della vita? Come sono le nostre relazioni con i rappresentanti della religione o della vita pubblica e culturale? Che cosa vogliamo, che cosa sogniamo, quali sono i nostri progetti?

Fino all’ottavo secolo ci fu una diocesi nestoriana. Quando sono venuti su questi territori i musulmani, hanno creato delle organizzazioni che aiutavano anche i cristiani, ma quando si sono sentiti in maggioranza e hanno preso più forza e più potere, hanno creato le leggi che i cristiani erano costretti o a lasciare il territorio o a convertirsi all’Islam (questo è stato detto da un archeologo uzbeko qualche anno fa a Bukhara).

Secondo alcuni storici, un residuo dei tempi della presenza cristiana è la camicia Uzbeka tradizionale che dispone di una tacca, perché i cristiani indossavano o avevano tatuata la croce sul petto.

Adesso non si parla nella storia ufficiale uzbeka dell’epoca cristiana su questa terra. Si preferisce parlare del zoroastrismo e poi dell’Islam.

La maggioranza in Uzbekistan sono sunniti. Ci sono anche sciiti. Storicamente a Bukhara era il centro del sufismo che è stato distrutto perché i sufì risultavano come una setta.

In Uzbekistan, abbiamo circa 85 - 90% dei seguaci dell’Islam. C'è una tendenza crescente del fondamentalismo - wahhabismo. I cattolici 0,0019% - 500 persone.

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Nella situazione attuale è difficile separare la politica ufficiale del governo dall’Islam. Questo avviene non a causa di identificazione, ma dalla mancanza della chiarezza delle motivazioni per prendere certe decisioni riguardanti le organizzazioni religiose di tutti tipi.

Negli ultimi tempi si sente un più forte controllo dello stato su tutte le organizzazioni religiose (alla fine del 2010 Uzbekistan occupava ufficialmente il quinto posto tra le dittature del mondo).

In Uzbekistan come in tutta l’Asia centrale esiste un fenomeno di appartenenza quasi antropologica ad una particolare religione. Questa appartenenza è strettamente legata alla nazionalità. Se sei un russo, sei ortodosso; se sei un uzbeko, sei musulmano; se sei tedesco o polacco, sei cattolico. Tutte le forme di cambiamento della religione (anche se non sei battezzato o circonciso e nemmeno frequenti una chiesa o una moschea) sono riconosciuti come un tradimento di Dio e di nazione.

Non ufficialmente ma realmente esiste il divieto del lavoro in lingua Uzbeka nelle chiese cristiane e il divieto di portare e divulgare la letteratura religiosa, anche in russo. Nel 2010 è stato arrestato un trasporto della Bibbia in russo e due mesi fa è stato arrestato un pacco del giornale in russo che conteneva una testimonianza di un musulmano convertito al cristianesimo. Divieto di incontri religiosi in case private e fuori da una chiesa o una cappella ufficialmente registrata. Per questo motivo, abbiamo dovuto rinunciare a organizzare campi-scuola annuali per bambini e adolescenti.

Ci sono tante difficoltà per svolgere le opere caritative (ufficialmente in Uzbekistan non ci sono i poveri). Nel 2010 a Fergana hanno chiuso una mensa per i bambini e ragazzi di strada e una casa per ragazzi in difficoltà. Anche le suore di Madre Teresa hanno diversi problemi con le loro attività.

Ci sono diversi problemi con l’apertura delle nuove parrocchie. Se sull’elenco dei parrocchiani vi sono nomi uzbeki, è quasi impossibile ricevere un riconoscimento ufficiale della parrocchia.

Purtroppo esiste una certa cooperazione della Chiesa ortodossa russa con l’Islam contro alcune azioni pastorali (campi estivi, vari corsi e cerchi di interesse, la mensa e la carità) che è riconosciuto come un mezzo per attirare, comprare le persone, pur non facendo nulla da parte loro.

2. Che cosa mi ha spinto ad andare in mezzo ai musulmani? Come vivo la mia vocazione, (la mia comunità vive la sua vocazione), riusciamo a vivere la fraternità, la preghiera, la pastorale? Come vedo la presenza della mia comunità tra i musulmani? Come vedo la mia presenza spirituale?

La missione non è stata progettata. I nostri frati svolgevano servizio dal 1991, ed ufficialmente è stata affidata all’Ordine nel 1997. Da questo ne consegue che i fratelli erano andati più a causa di necessità che con lo scopo di vivere tra i musulmani.

Ogni frate era venuto con la propria visione o non visione della sua presenza e della missione. Al presente tra i frati vi è una visione non tanto buona dell’Islam a causa della situazione nel paese e la mancanza di qualsiasi dialogo con i musulmani.

La questione fondamentale che ci pone un musulmano riguarda la famiglia. Dov’è la moglie e bambini? Sentendo che non siamo sposati, giungono alla conclusione che questo modo di vita non è desiderato da Allah e Lui non lo accetta, e questa è una visione sbagliata. Naturalmente noi non abbiamo alcun problema con il valore del voto di castità, ma in questo contesto questo è in qualche modo una sorta di contro-testimonianza della religione che viene da Dio. L’argomento che nell’Islam ci sono persone che vivono in questo modo, intralcia il dialogo più che convincere del senso di tale modo di vivere.

Dopo tanti anni di comunismo, l’Islam sta cercando la sua identità, e le persone sono per lo più non praticanti e hanno ben poca conoscenza in materia di Islam. Durante diversi incontri succedeva che io sapevo più degli insegnamenti del Corano che quelli che si dichiaravano musulmani, e questo grazie allo studio dell’Islam a Roma.

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Il dialogo della vita è l’unica via di contatto con il mondo islamico, anche se a Fergana i vicini all’inizio della nostra presenza stavano cercando di chiudere via la nostra cappella utilizzando un pubblico ministero. I vicini che si sentono musulmani volevano avere una strada priva di cristiani. Il problema è stato risolto grazie all’intervento dell’ambasciata degli Stati Uniti a Tashkent.

La nostra presenza non è vista bene. Quando nel 2010 ci hanno chiesto di chiudere la mensa e la casa per i ragazzi, il capo del Ministero della giustizia a Fergana, che è venuto da noi, ha detto chiaramente che se si chiudono certe attività parrocchiali, la gente smette di venire. In Uzbekistan, ogni espressione di ostilità contro un’altra religione, o nazione viene punita da parte dello Stato. Per questo motivo la gente ha paura di manifestare i propri sentimenti verso la presenza cristiana in Uzbekistan.

Quali sono le sfide dell'Islam per la chiesa, per la nostra comunità, per la mia vita personale? A quale spiritualità ci invita – ci spinge l'Islam? Come ci interroga l'Islam?

L’intera situazione è una sfida ed è difficile separare il governo dall’Islam. L’intera situazione ha introdotto una crisi molto grave, dando luogo a domande circa il senso della presenza in quanto frati e sacerdoti. Vi è una grande differenza nel modo di vivere tale situazione da parte dei frati religiosi e dei sacerdoti. Al momento è difficile dire come i frati hanno affrontato e risposto alle domande fondamentali riguardanti il senso e il modo di vivere. Penso che siamo in una ricerca continua, ma questo è proprio un bene che ci spinge a trovare il piano di Dio in questa terra e la nostra vocazione.

Per me personalmente l'intuizione di san Francesco è il modo più appropriato e il miglior approccio all’esperienza della vocazione francescana tra i musulmani. Teoricamente, è facile dire questo, ma questa visione di vivere la mia vita in tale modo porta una sofferenza, ma se ci si avvicina in modo giusto, questa è propriamente la strada di purificazione e di liberazione, e la strada per riscoprire la propria vocazione in un modo più profondo.

Le domande fondamentali che un uomo deve porsi sono le seguenti: Essere qui è la volontà di Dio? Qual è il senso di tale presenza? Se si riesce a trovare una risposta personale (abbastanza spesso si deve compiere un atto di fede) che questa è la Sua volontà, allora qual è il senso di questa presenza? E qui si deve vivere solo nella fiducia ed abbandono. Saper approfittare tutti i momenti ed occasioni. Questo si deve imparare ogni giorno.

L’atteggiamento di accettazione di quello che cosa e come accade vissuto nella fiducia, è un atteggiamento salutare. Inoltre, non è una posizione di passività e di mancanza delle iniziative. Ho notato che in questo atteggiamento vengono diverse idee e progetti, ma questo approccio aiuta a orientare correttamente le forze e usarle per scopi determinati, e non per infastidirsi e smarrirsi.

La Comunità è la base della nostra presenza.

Come pensi l'evangelizzazione dei musulmani? Quali sono le strade da percorrere? Come realizzare una presenza viva del nostro Ordine tra i musulmani?

La testimonianza della vita è il modo di base di evangelizzare nella nostra situazione. La formazione dei laici attraverso i diversi corsi d’evangelizzazione, la chiesa domestica per le coppie, la preparazione dei catechisti laici, gli studi all’estero - Roma e Kiev.

La base delle attività formative dei laici nelle parrocchie è formata dai gruppi di lectio divina e della catechesi.

Concerti di musica classica e sacra. Un altro fattore molto importante per noi è la consapevolezza dei frati nell’Ordine del significato di tale presenza.

Il ruolo dell'Islam - come una vera concorrenza - che ci costringe a vivere più intensamente la nostra vocazione cristiana ed esige una formazione profonda dei cristiani. Il cristianesimo è più visto come un insieme di regole e rituali e manca una relazione consapevole con Gesù.

In Uzbekistan come Ordine abbiamo forse un unica possibilità di vivere veramente l'insegnamento di san Francesco nel XVI capitolo della Regola non bollata. Ma come Ordine vediamo il senso di “sprecare” frati per una tale presenza?

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6.12. L’ISLAM IN KAZAHSTAN fr. Roberto PERETTI, ofm.conv.

«La diffidenza, il sospetto e l’indifferenza che regnavano all’inizio, hanno ceduto il posto

all’amicizia, e alla familiarità reciproca».

Il Kazahstan possiede una superficie grande come tutta l’Europa. Nonostante la sua grande estensione, la popolazione conta solamente 15.000.000 di

abitanti. Da pochi anni, il Kazahstan è divenuto una Repubblica, ed economicamente è considerato

un paese in via di sviluppo. Chi per la prima volta visita la sua capitale (Astana), non può restare indifferente dall’aspetto

superbo di questa città. Per chi visita la nuova capitale e vede i numerosi e originali grattacieli con le eleganti e

imponenti strutture architettoniche, ha l’impressione di trovarsi davanti ad una città ultramoderna. Nonostante ciò, nella parte periferica e vecchia della città, vivono circa 50.000 abitanti che

lottano ogni giorno per la sopravvivenza. Il contrasto provocato dalla città nuova e moderna e la vita degli abitanti nella stessa

periferia della capitale è impressionante. Le risorse materiali, come il petrolio e il gas, danno la possibilità ai cazacchi di emergere

economicamente, lasciando al turista l’impressione di trovarsi dinanzi a una città lussuosa dove regna un benessere generale.

Nell’ambiente povero della capitale, attualmente vivono 3 frati conventuali. Siamo stati inviati 4 anni fa dall’Ordine per iniziare un’esperienza francescana, su invito da

parte del Vescovo locale Monsignor Tomas Peta. Nel primo periodo della nostra presenza, i nostri sforzi si sono concentrati nel familiarizzare

con la lingua russa, e nella ristrutturazione di una casetta-convento che ci permette di condurre una vita semplice e modesta; considerando che nel periodo invernale le temperature ambientali possono raggiungere anche i 35-40° sotto zero.

Astana, infatti, è classificata come la seconda città più fredda del mondo. Presso la nostra comunità, da trent’anni è attiva una piccola chiesa che può contenere circa

50 persone; oggi, frequentata da un piccolo numero di cattolici e di ortodossi. Per tradizione i cazacchi fanno parte della religione islamica, e comprendono il 45% della

popolazione; la religione cristiana occupa il secondo posto con una percentuale di ortodossi del 35%, seguiti da luterani e protestanti. I cattolici comprendono solamente il 2%. Seguono le altre religioni come, gli ebrei, buddisti ecc.

Il centro cattolico dove viviamo attualmente, ha sempre mantenuto un timido approccio con la popolazione circostante, essendo, questa, composta da una maggioranza islamica.

Noi frati, condividiamo la nostra vita fraterna, alternando i lavori di casa con varie attività culturali e sociali.

Fino a poco tempo fa, eravamo considerati una “setta” dai nostri vicini, ma, il nostro sostegno al Vescovo e alla diocesi, attraverso la scuola di musica aperta a tutti, i corsi di inglese, ecc. ci hanno dato la possibilità di aprire le porte a un pubblico giovane e fiducioso.

Poco più di un anno fa, abbiamo realizzato un piccolo parco giochi nel territorio della parrocchia. Questo ci permette di comunicare sia con i bambini che con gli adulti.

Il portone della parrocchia rimasto chiuso per molti anni, ora rimane aperto all’accoglienza. La diffidenza, il sospetto e l’indifferenza che regnavano all’inizio, hanno ceduto il posto

all’amicizia e alla familiarità reciproca.

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Abbiamo fiducia che il tempo sarà fattore determinante per aprire relazioni nuove verso la popolazione povera, semplice e disposta al dialogo.

Oltre a ciò, è importante aggiungere il legame di amicizia creato in questi anni con la chiesa luterana, con la quale condividiamo, anche incontri di preghiera, campeggi estivi per giovani e una collaborazione reciproca in campo sociale.

Tempo fa, il Vescovo ha incaricato i francescani di organizzare ad Astana il 18° Congresso internazionale a favore della vita.

Il Congresso ha avuto presenze rilevanti provenienti sia dal Kazahstan che dai diversi continenti. Il successo del Congresso ha ripagato gli sforzi organizzativi ed è stato sostenuto, grazie anche al contributo economico di alcune persone generose.

Siamo all’inizio della nostra missione e le difficoltà non mancano, Ultimamente, a causa di alcuni attacchi terroristici, da parte di mussulmani estremisti con

l’uccisione di otto poliziotti, hanno spinto le autorità ad emanare alcuni decreti che limitano la libertà religiosa e ad esercitare un controllo delle religioni in forma indiscriminata.

A conseguenza di ciò: la preghiera comunitaria fuori della chiesa è proibita. Una chiesa o tempio con un numero di fedeli inferiore a venti persone deve essere chiusa. Coloro che frequentano luoghi di culto, sia per la preghiera, che per l’istruzione o sia per una

forma ricreativa, devono essere riconosciuti ufficialmente! É evidente che sono decreti dettati dal timore e dalla paura con lo scopo di avere un

controllo sulle attività religiose, per evitare futuri complotti o attentati. Noi frati, nel nostro piccolo ambiente, cerchiamo di camminare con prudenza, , fiduciosi in

Dio che saprà orientare la nostra vita sulle orme di san Francesco. Non possiamo dimenticare ed esprimere la nostra riconoscenza all’Ordine per il sostegno

fraterno ed economico, e per la speranza comune di vedere la nascita di una presenza francescana in Kazahstan.

6.13. ISLAM IN BURKINA FASO I frati del Burkina Faso

«Ciò che sogniamo é di legare relazioni di amicizia più forti con loro».

Il paese in cui viviamo, il Burkina Faso, ha una presenza di musulmani che va dal 50 al 60

per cento ma la ripartizione di esso non é uniforme. Gli abitanti del nord del paese sono quasi al cento per cento musulmani. Ciò è dovuto all’adesione all’Islam nei secoli precedenti dei popoli che l’abitavano. Mentre la zona in cui viviamo l’etnia é rimasta legata alla sua tradizione e solo in questi ultimi 100 anni che si è aperta alle altre religioni.

Il modo di vivere dell’Islam in questa parte del Burkina Faso non é univoco ma la maggior parte vive la propria appartenenza alla propria religione o confessione (che sia Islam, Cattolico, Protestante) senza grandi conflitti. Per esempio in una famiglia ci posso essere tre fratelli che vivono a tre appartenenze diverse, ma ciò senza conflitti. L’unione e la concordia famigliare é un valore che va al di là della religione.

Ciò che noi notiamo é la sempre maggiore l’influenza degli arabi, che finanziano moschee, scuole coraniche, e pellegrinaggi alla Mecca. Tale influenza si trasforma sempre più in integralismo a causa del quale le persone si chiudono sempre più in se stesse, mettendo in crisi l’unione nelle famiglie.

Il nostro rapporto con i musulmani é sereno, si vive insieme e si collabora insieme, non facendo discriminazione in nessuno dei nostri servizi (pozzi, centro medico, aiuti per la scuola). Il nostro rapporto con i rappresentanti é semplice anche se é limitato ad invitarsi reciprocamente nelle grandi feste, ma non abbiamo attività comuni.

Non neghiamo il fatto che i nostri progetti sono più indirizzati a far crescere la qualità di vita

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di fede dei cristiani e ad assicurare la formazione dei catecumeni per cui resta poco tempo e poca energia per le iniziative di dialogo e di collaborazione con i musulmani. Ciò che sogniamo é di legare relazioni di amicizia più forti con loro.

La nostra presenza in Burkina Faso non é tanto dovuta all’andare in mezzo ai musulmani ma quello di annunciare Cristo e vivere il nostro carisma: la Chiesa locale che ha invitato l’Ordine ci chiede questo e cerchiamo di rispondere con tutte le nostre capacità.

Noi frati siamo in generale molto lieti di essere in missione in Burkina Faso e viviamo una buona vita fraterna con un dialogo aperto e con sincero affetto gli uni verso gli altri. La preghiera é regolare e in essa portiamo le preoccupazioni di ogni giorno. La pastorale é «invadente» nel senso che le richieste sono tante e non riusciamo a soddisfarle tutte.

La nostra presenza é semplice e aperta a tutti perché nei nostri servizi (parrocchia, centro medico, pozzi, aiuti scolastici...) non facciamo nessuna discriminazione.

La nostra sfida con i musulmani potrebbe essere quella di salvaguardare in essi un Islam aperto, rispettoso dei valori della relazione famigliare evitando certi movimenti fondamentalisti e chiusi che sempre di più sono presenti. Dall’altro canto la sfida é quella di annunciare Cristo morto e risorto affinché anch’essi possano incontrarlo.

Questo è il nostro piccolo contributo all’incontro.

6.14. CONFLITTO RELIGIOSO, COME PROCEDERE? fr. Julius OHANELE, ofm.conv.

«Il fanatismo non è un criterio per essere un fedele devoto, ma lo spirito di apertura e di accettazione

l’uno dell’altro con vero amore».

Per divina ispirazione tra i musulmani Ritengo un privilegio prendere parte a questo importante incontro “Pro dialogo” del nostro

Ordine, non solo come partecipante ma anche come testimone della mia visione ed esperienza, essendo un religioso e un missionario, proveniente da un Paese sull’orlo della divisione a causa dei conflitti etnici e religiosi, aggravati da interessi politici.

Voglio iniziare con una presentazione formale, per una migliore comprensione di chi sono e da dove vengo. Sono frate Giulio Ohanele e vengo dalla Nigeria, il paese più popoloso dell’Africa. Vengo dal sud-est del paese e appartengo alla tribù Ibo. Faccio parte dell'Ordine francescano conventuale della Provincia dello Zambia e lavoro attualmente in Turchia.

Cristianesimo e Islam in Africa In Africa abbiamo due religioni principali: il Cristianesimo e l’Islam. Alcuni paesi sono a

maggioranza musulmani, in altri prevale il Cristianesimo. Purtroppo non vi è una pacifica convivenza e questo è motivo di grande preoccupazione, oltre che di conflitto, per la popolazione.

I paesi a maggioranza musulmana sono il Sudan del Nord, la Somalia, il Senegal, il Ciad, il Niger, il Burkina Faso, la Tanzania ecc,

Il Cristianesimo prevale nello Zambia, che è stata dichiarata nazione cristiana, per paura di infiltrazioni di altre religioni che minacciano la pace. Troviamo presenze cristiane in Uganda (ricordiamo il martirio di molti cristiani nel 1887) e in Malawi, ecc. Non sarei in grado di parlare dei singoli paesi e dei loro conflitti, né del loro approccio nella soluzione dei conflitti, ma piuttosto desidero parlare della situazione in Nigeria, da dove vengo e da cui ricevo molte notizie sui conflitti tra Islam e Cristianesimo.

Nigeria

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La Nigeria è un paese situato nella parte occidentale dell'Africa. Con i suoi 167 milioni di abitanti è il settimo paese più popoloso al mondo, secondo le recenti informazioni delle Nazioni Unite. Ha tre maggiori e influenti gruppi etnici: Ibo, Yoruba e Hausa e oltre 200 tribù minori.

Si stima che vengano parlate oltre 400 lingue.

Religione La Nigeria è apparentemente divisa tra Islam e Cristianesimo, tra nord e sud. La religione

viene vista come fonte di conflitti tra la popolazione. Sulla base di un’indagine, il mondo religioso sarebbe così diviso: 50,4% musulmani, il 49,6%

cristiani, comprendendo cattolici, protestanti e altre confessioni cristiane minori. L’1,3 % appartiene ad altre religioni. La religione è stata causa di molta instabilità. Nel 1967-1970 la Nigeria ha sperimentato una micidiale guerra civile (guerra del Biafra), che

ha causato milioni di vittime, soprattutto a causa delle differenze religiose. Tra le tante ragioni di questa guerra vi fu la nomina di un cristiano a Capo delle Stato.

Coloro che percepivano il cristianesimo come religione degli infedeli non potevano permettere ad un cristiano di governare. Da qui la rottura e la guerra civile.

Nel 1970, con la nomina di un Capo di Stato musulmano, si ebbe un periodo di pace. E da allora fino allo scorso anno, non vi furono attentati alle Chiese e alle istituzioni di governo, come sta accadendo ora che un cristiano è stato eletto nuovamente Capo di Stato.

Organizzazione della Comunità Islamica (OIC) Più volte ci sono stati dibattiti in Parlamento, con richiesta di votare la registrazione della

Nigeria come nazione islamica nell’OIC. Grazie a Dio la proposta non è mai passata, a causa della forte opposizione, perché la Nigeria è un paese pluralistico, dove prevale la diversità delle culture e delle lingue, che rendono impossibile la definizione di nazione religiosa.

Vi fu un tempo in cui la richiesta venne pianificata in segreto, ma i vescovi cattolici e il loro gregge protestarono vigorosamente e venne abbandonata.

La sconfitta fu accettata con difficoltà e rende ancora più difficile un clima di amore, unità e tolleranza. Bombardamenti recenti

Alcuni di noi avranno letto le notizie dei bombardamenti mortali che si stanno svolgendo in Nigeria di recente. Questi hanno a che fare principalmente con le differenze religiose. Come ho detto prima, le violenze sono iniziate dopo le elezioni dello scorso anno, quando un cristiano è stato eletto Capo dello Stato. Coloro che svolgono questi attentati sono militanti cosiddetti islamici, che si fanno chiamare Boko Haram. Questo gruppo sta cercando di raggiungere la supremazia, che non è riuscito ad ottenere attraverso un normale dialogo religioso e dibattiti in parlamento.

Boko Haram: cosa significa? Nella lingua locale, “Hausa” significa: “L’istruzione occidentale è proibita”. Ma l’ironia è che la maggioranza dei membri ha ricevuto una formazione occidentale e sa parlare, leggere e scrivere alcune delle lingue occidentali.

Boko Haram è un gruppo militante islamico, costituito nella parte settentrionale della Nigeria, dal suo leader Mohammed Yusuf, nel 2002. Lo scopo è quello di rovesciare il governo “degli infedeli” e di creare uno Stato islamico, stabilendo la sharia. I suoi seguaci paiono influenzati dalla frase coranica che afferma: “Chi non è governato da ciò che Allah ha rivelato è tra i trasgressori o infedeli”.

Si percepiscono come persone impegnate nella diffusione degli insegnamenti del Profeta e nel jihad. Per loro solo un musulmano dovrebbe governare i musulmani.

Il loro leader, Mohammed Yusuf, ha costruito un complesso religioso che include una scuola islamica e una moschea. Reclutano bambini e giovani, addestrandoli come jihadisti islamici, contro lo stato, con tutti i mezzi, compresi gli attentati suicidi. Questo spiega il motivo per cui i nigeriani

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stanno sperimentando diversi attacchi suicidi. La scorsa settimana hanno dato ai cristiani che vivono nel nord tre giorni per lasciare il nord del paese, pena l'annientamento, l'olocausto. Boko Haram ha avvertito i cristiani che avevano tempo fino a mercoledì 4 gennaio 2012 per “allontanarsi”, prima di attacchi alle loro comunità. Questo può farvi capire la gravità delle persecuzioni e le sofferenze che i cristiani subiscono da parte dei musulmani.

Collegamento con il terrorismo Valutando le loro azioni, in particolare gli attentati suicidi, si potrebbe concludere che vi

siano dei legami con Al-Qaeda e il movimento dei talebani. Alcune rivelazioni di fonti della sicurezza internazionale hanno rivelato che Boko Haram starebbe avvalendosi di combattenti in Somalia e in Afghanistan per la formazione. Il loro portavoce ha confermato questo quando ha detto che sono ispirati da Al-Qaeda e dai talebani, ma non ha rivelato, per motivi di sicurezza, il luogo dove avverrebbe la formazione.

Attacchi Come ho detto prima, questo gruppo ha attaccato molte Chiese cattoliche e le istituzioni

dei governi, soprattutto l’ala sicurezza. Hanno ucciso molte persone importanti e religiose, che hanno avuto il coraggio di denunciare le loro azioni malvagie. Hanno causato la morte di molte persone innocenti, direttamente o indirettamente. Ogni momento è vissuto nella paura.

Sotto ci sono solo alcuni degli attacchi svolti dal momento che è entrato in esistenza. • Nel 2009: Centinaia di persone sono state uccise quando la stazione di polizia di

Maiduguri è stata presa d’assalto da Boko Haram. • Nel dicembre 2010: Hanno bombardato Jos, uccidendo 80 persone. Alla vigilia del nuovo

anno hanno anche attaccato alcune caserme ad Abuja. • Nel 2010-2011: Un gran numero di non-stimate persone sono state uccise a Maiduguri

durante le sparatorie tra loro e le forze di sicurezza. • Nel novembre 2011: Ci sono stati coordinati attacchi con bombe e armi in Yobe e stati

Borno. • Nel dicembre 2011: in una serie di attentati dinamitardi il giorno di Natale sono state

uccise decine di persone innocenti. Ripeto che molti vivono nel terrore, perché è difficile identificare gli attentatori, che

nascondono le bombe e si fanno esplodere vicino a obiettivi mirati o istituzioni. Quasi ogni cristiano, in particolare quelli del Nord, ha celebrato la gioia del Natale nella

paura. Molti non hanno partecipato alla veglia di preghiera del Natale per paura di attentati suicidi.

Dialogo Il dialogo tra i conflitti religiosi in Nigeria e in altre parti dell'Africa è ancora una grande

sfida da superare, nonostante i molti sforzi compiuti per raggiungere questo obiettivo. Vorrei sottolineare alcuni dei motivi per cui non è stato facile ottenere un significativo

dialogo interreligioso in Africa, in riferimento al parere di Cornelio Ewuoso. Userò la Nigeria come un punto di riferimento.

Credo che non ci sia soluzione a qualsiasi problema se uno non è in grado di distinguere tra “il problema in se stesso” e “come la gente lo percepisce”. In altre parole, è importante sapere che “ciò che una cosa è”, è fondamentalmente diverso da “come noi lo percepiamo”. Ad esempio, la questione di ciò che una cosa è, è il tentativo di scoprire l'“elemento essenziale o la sostanza” di quella cosa, mentre la questione di come lo percepiamo tenta di esplorare le varie opinioni che abbiamo sull’argomento. Quando ci poniamo la domanda: “Chi è John?” noi rispondiamo, “John è un essere razionale”. Chiamandolo essere razionale, abbiamo intenzione di esprimere ciò che distingue essenzialmente Giovanni da una capra o da un cane. Ma se dovessimo chiedere come Paolo percepisce Giovanni, probabilmente sentiremmo dire, “è americano”, “è freddo”, “è

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intelligente”, ecc, ma si tratta di opinioni personali o percezioni. Paolo ha di Giovanni una sua opinione, che molto probabilmente è diversa dal modo in cui Giovanni percepisce sé stesso.

Allo stesso modo, c'è una differenza fondamentale tra “cosa sia la religione, considerata in sé” e “come i membri di ogni religione percepiscono la propria religione”. Ma, per l’ordinario nigeriano, questa distinzione è semplicemente inesistente, e potrebbe essere uno dei motivi dei conflitti religiosi. Questo spiegherebbe anche perché gli studiosi hanno raggiunto uno scarso successo nel dialogo religioso in Nigeria: per essi stessi a volte è difficile fare questa importante distinzione.

Ma allora, cos'è la religione? La religione in parole povere, è un modo di vita che conduce alla “salvezza”. L’Islam, per esempio, dal momento che è una religione, dovrebbe essere una via di salvezza. Essa esiste per salvare l’umanità dalla distruzione e rovina. Ma come è questa salvezza da raggiungere? Come possiamo evitare distruzione e rovina? La risposta a queste domande è contenuta nel Credo di ogni religione e nell’Islam è contenuta nel Shahada che dice: “la ilaha il Allah, Muhammadan rasoulu Allah”, che significa: “Non c’è dio se non Allah e Maometto è il suo messaggero”. Questo è il credo islamico famoso. La fede nell’unico vero Dio è il principio più importante e la salvezza l’aspetto fondamentale o elemento essenziale dell'Islam. Ogni altra cosa è secondaria. L’intera religione islamica è riassunta nel Shahada.

Tuttavia, per un musulmano, non è sufficiente avere fede nel Dio unico e vero, lui o lei deve anche sforzarsi di vivere questa fede in ogni contesto o situazione. Solo così lui o lei trova se stesso. Quindi, come devo esprimere la mia fede in ogni situazione o contesto in cui mi trovo?

Questa è una domanda molto importante e un diritto fondamentale. È fondamentale e importante, nel senso che si sforza di mettere in chiaro che c'è una distinzione tra “ciò che noi crediamo” e “quello che si pratica”. Avere fede è una cosa, vivere una vita che corrisponda alla fede che si professa è un'altra faccenda. Ma, a meno che la fede non venga portata avanti in ogni contesto, la salvezza continua a sfuggire all’individuo.

In conclusione, direi che per ottenere un significativo dialogo interreligioso, in primo luogo tutte le componenti religiose dovrebbero comprendere il significato di base e lo scopo della religione in se stessa che sostiene la salvezza di tutti gli esseri umani e promuove pace, amore, unità e tolleranza tra tutti i figli di Dio. In secondo luogo, ogni tipo di istinto umano dovrebbe essere guidato ad evitare: odio, egoismo e disunione. Il fanatismo non è un criterio per essere un fedele devoto, ma la spirito di apertura e di accettazione l’uno dell’altro con vero amore. Le inclinazioni etniche e politiche o di affiliazioni devono essere separate dalla pratica della religione Queste due inclinazioni sbagliate, nella Nigeria promuovono l’egoismo e la divisione e non danno la guida desiderata che promuove l’unità nella diversità. Non danno un senso comune e la comprensione che porta alla strada della salvezza.

Dobbiamo, quindi, pregare il Pastore che ha promesso di riportare all’ovile le pecore deviate e fare un solo gregge sotto un solo pastore, in modo che il tanto desiderato amore, la pace e l’unità tra tutti i figli di Dio si possa raggiungere.

7. VERBALE CONCLUSIVO

Chiamati ad Iskenderun (Turchia) per l’incontro promosso dal CEFID sotto il titolo „Per divina ispirazione tra i saraceni”, 28 frati rappresentanti 16 paesi (Albania, Croazia, Indonesia, Giappone, Turchia, Libano, Francia, Bulgaria, Polonia, Romania, Uzbekistan, Kazakistan, Burkina Faso e Nigeria), hanno vissuto un tempo di grazia e di gioia.

Insieme abbiamo celebrato un „capitolo di formazione missionaria e di condivisione fraterna”, alla luce delle conferenze presentate, delle testimonianze consegnateci oralmente da ogni frate partecipante, e anche dalle visite ai luoghi significativi della Chiesa delle origini, quali Antiochia, Tarso, Adana, ecc.

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Lunedì, 09 gennaio, di buon mattino, dopo la preghiera e la colazione, abbiamo iniziato i lavori di questo incontro, con i saluti di benvenuto dei frati del luogo, del Delegato generale CEFID, fr. Silvestro Bejan, e del Vicario Generale dell’Ordine, fr. Jerzy Norel, i quali ci hanno augurato di tutto cuore un incontro proficuo nella riflessione sulla presenza dei frati in mezzo ai musulmani. Nel pomeriggio di questa giornata, siamo andati ad Antiochia, dove fino in tarda serata abbiamo camminato sulle orme di san Paolo, Barnaba, Ignazio di Antiochia, Giovanni Nazianzeno, etc., visitando diverse chiese cristiane, moschee e una sinagoga. Con tanta gioia nel cuore, ma anche una certa stanchezza fisica, nella serata siamo ritornati nella sede del nostro incontro a Iskenderun, dove, dopo una ricca cena è seguito un momento fraterno.

Martedì, 10 gennaio, dopo la preghiera della Lodi e la colazione, è seguita la prima conferenza, presentataci dal fr. Giancarlo Corsini, Ministro Provinciale delle Marche ed esperto in francescanesimo, il quale ci ha parlato del Capitolo XVI della Rnb. Rivolgendosi ai frati, san Francesco manda tra i saraceni solamente quei frati che saranno mossi dall’ispirazione divina. L’intenzione con la quale i frati dovranno andare in mezzo ai saraceni è quella di vivere in fraternità e minorità, il tutto seguendo Cristo nella sua kenosi. Così, la fraternità non solo sarà buona, ma anche bella.

Il pomeriggio ci siamo recati nella chiesa ortodossa, dove il padre Dimitri, parroco, ci ha accolti molto fraternamente e con gioia immensa. Dopo una breve visita, il p. Dimitri ci ha spiegato la situazione della Chiesa ortodossa in Turchia, e più specificatamente la parrocchia di cui è responsabile. Dalle cose dette, ricordiamo il numero esiguo dei fedeli, le diverse difficoltà dovute a varie situazioni, la relazione fruttuosa con i nostri frati e l’augurio di una sempre migliore testimonianza dei cristiani delle diverse confessioni in mezzo ai musulmani. Ritornando, sono seguite due belle testimonianze fatte da fr. Jaroslav Cár per la situazione in Albania, e da fr. Josip Blažević per la Croazia. Per quanto riguarda la situazione in Albania, dopo aver presentato la storia passata e recente del paese, fr. Jaroslav ha presentato i diversi problemi con i quali si confrontano le diverse religioni presenti in questo paese: migrazione, istruzione insufficiente, povertà, tolleranza confusa spesso con l’indifferenza. La relazione con i musulmani è abbastanza buona. Passando alla Croazia, il fr. Josip ci ha parlato del Centro di Dialogo aperto due anni fa, centro il quale vuole entrare in dialogo con le diverse religioni presenti e soprattutto con i nuovi movimenti religiosi. Per quanto riguarda la relazione con i musulmani, questi sono una piccola minoranza (2%), fatto che non incide molto nel dialogo religioso del paese.

Mercoledì, 11 gennaio, dopo la celebrazione dell’Eucaristia e la colazione, ci siamo recati nella sede del Muftiato della città di Iskenderun, dove ci ha accolti il Muftì Hamdi Kavillioğlu. Dopo i saluti rituali, siamo stati accolti nella sala delle conferenze, dove, dopo un saluto da parte di un rappresentante nostro, il Muftì ha parlato della relazione che hanno con i cristiani in queste zone della Turchia. Queste sono caratterizzate dalla cordialità, tolleranza e rispetto reciproco, manifestando nello stesso tempo il grande dispiacere per l’uccisione del Mons. Luigi Padovese.

Tornati a casa, sono seguite le testimonianze di fr. Francesco Mardan Ginting per la Indonesia e fr. Pietro Sonoda per il Giappone. Per quanto riguarda l’Indonesia, questo è il paese con il maggior numero di fedeli musulmani del mondo, la tendenza della maggior parte essendo abbastanza moderata, anche se ultimamente si nota un incremento di gruppi radicali, coi i quali la convivenza diventa sempre più difficile. Nonostante ciò, i frati continuano a mantenere buone relazioni con loro e sperano in un futuro migliore. Fr. Pietro Sonoda, sottolineando il fatto che la presenza musulmana in Giappone quasi non esiste, si è soffermato a parlare delle due principali religioni presenti nel paese: shintoismo e buddismo giapponese. In sintesi, queste due religioni sono estremamente tolleranti e basate soprattutto su una fede vissuta più a livello individuale.

Il pomeriggio abbiamo per prima cosa ascoltato la conferenza di p. Xavier Jacob, assunzionista, il quale ci ha parlato dell’Islam in Turchia. Dalle cose dette, emergono le seguenti sottolineature: nonostante la laicità dello stato turco, si osserva un sempre maggior coinvolgimento e influsso della religione musulmana nella legislazione, ordinamento della vita sociale e politica, ciò contraddicendo la proclamazione di questa laicità. I problemi non mancano: mancanza del rispetto

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dei diritti umani, mancanza della libertà religiosa, difficoltà nell’accettare gli errori del passato. Tutte queste difficoltà portano a rallentare fortemente l’accettazione nelle strutture della Unione Europea.

Sono seguite le testimonianze di fr. Martin Kmetec, fr. Anton Bulai e fr. Iosif Petrilă per la Turchia, fr. Cesar Essayan per il Libano. Per quanto riguarda la Turchia, i tre testimoni hanno messo in rilievo gioie e difficoltà incontrate nella loro vita in mezzo a questo popolo: la necessità dell’inculturazione, soprattutto nell’apprendere la lingua turca, come mezzo di relazione con la gente e conoscenza migliore della religione musulmana, della sua cultura e tradizioni; lo studio della storia del paese ospite e la comprensione delle motivazioni che guidano le scelte politiche, sociali e religiose. La relazione dei frati con il mondo musulmano è generalmente buona. Nel Libano, i frati lavorano soprattutto con i cristiani dei diversi riti, il contatto con i musulmani essendo piuttosto rispettoso, questo essendo favorito anche dall’impostazione delle elezioni a livello politico.

Giovedì 12 gennaio, abbiamo dedicato tutta la giornata alla visita delle città di Adana e Tarso. Ci ha colpiti soprattutto celebrare nella chiesa dedicata a San Paolo, nella cui cripta si trovano resti di centinaia di cristiani armeni uccisi in odium fidei all’inizio del secolo scorso. Dopo la visita di altre due moschee, ci siamo recati a Tarso, dove, dopo aver visto ciò che rimane ancora delle effigie cristiane (il luogo presupposto della casa di San Paolo, alcune colonne etc.), ci siamo soffermati nella casa delle suore dette Figlie della Chiesa, dove, dopo una breve loro testimonianza, siamo andati nella chiesa vicina, celebrando i Vespri.

Venerdì, 13 gennaio, l’abbiamo dedicata tutta all’ascolto delle testimonianze. Al mattino abbiamo sentito la relazione della conferenza di fr. Dominique Mathieu, Islam in

Europa. Ben nutrita e documentata, questa relazione ci ha portato in tutto il mondo musulmano in Europa, dal punto di vista storico, culturale, sociale, demografico, religioso, sociologico, concludendo con alcune domande circa il suo futuro. Come le problematiche, anche questo dipenderà molto da tutti gli attori in gioco. Le risposte per ora possono essere semplici congetture.

Subito dopo sono seguite le testimonianze sulla presenza dell’Islam in diversi paesi: Francia (fr. Bernard Cerles), Bulgaria (fr. Stanisław Ziemiński), Romania (fr. Damian Patrașcu), Polonia (fr. Jerzy Norel). Tranne la Francia, dove si parla già da parte degli studiosi di un Islam di Francia, negli altri paesi la presenza musulmana è molto modesta, le relazioni con loro essendo più di rispetto occasionale che di necessità.

Il pomeriggio abbiamo ascoltato le testimonianze di fr. Kawa Piotr per l’Uzbekistan, fr. Roberto Peretti per il Kazakistan, fr. Julius Ohanele per la Nigeria e abbiamo sentito la relazione trasmessaci dai frati del Burkina Faso. Le situazioni più difficili per quanto riguarda la relazione tra cristiani e musulmani si notano soprattutto nell’Uzbekistan e Nigeria, le ostilità tanto da parte delle autorità politiche, quanto anche da parte di gruppi fondamentalisti musulmani essendo all’ordine del giorno. La nostra attività in questi paesi si limita spesso alla semplice presenza silenziosa e sofferta in nome di Dio. Per il Kazakistan e Burkina Faso, la convivenza è abbastanza pacifica, alternando giornate grigie con quelle piene di sole.

Sabato, 14 gennaio, dopo aver celebrato la Messa in mattinata, c’è stato l’incontro conclusivo, dove fr. Silvestro Bejan ha sintetizzato le giornate trascorse insieme, all’insegna della missionarietà, del dialogo interreligioso, soprattutto con i musulmani, e augurando a ognuno dei frati partecipanti di portare nelle province d’origine il messaggio e l’insegnamento ricevuto. Dopo un lauto pranzo, la partenza verso l’aeroporto, dove ognuno si è diretto verso la sua missione, ringraziando Dio per tutto il bene ricevuto.

8. COMUNICATO FINALE

Chiamati a Iskenderun (Turchia) per il V incontro “Pro dialogo” promosso dal CEFID e dalla Custodia Provinciale d’Oriente e di Terra Santa sotto il titolo “In mezzo ai musulmani per divina ispirazione” noi, frati rappresentanti da: Albania, Croazia, Indonesia, Italia, Giappone,

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Turchia, Libano, Francia, Bulgaria, Polonia, Romania, Uzbekistan, Kazakistan, Burkina Faso e Nigeria, abbiamo vissuto un tempo di grazia e di gioia.

Insieme abbiamo celebrato un “capitolo di condivisione fraterna” durante il quale ciascuno ha potuto presentare l’Islam nel paese dove vive e condividere la sua esperienza – missione in mezzo ai musulmani.

Abbiamo visitato i luoghi della prima Chiesa, abbiamo parlato e ascoltato rappresentanti di altre Chiese (ortodosse) e di altre religioni (ebrei e musulmani) e ora il nostro sguardo va verso ognuno di voi, fratelli, per invitarvi a riscoprire con noi qualcosa del nostro carisma e cioè uno stile di vita secondo il capitolo XVI della Regola non bollata. Se siamo chiamati a vivere in mezzo ai musulmani o ad altri, la verità della nostra testimonianza dipende dalla qualità cristiana della nostra relazione con Dio e con gli altri a partire dalla propria fraternità. Solo dopo, la nostra missione e il nostro apostolato possono essere autentici e portare frutti. Nelle terre dell’Islam, come anche in qualsiasi contesto culturale, sociale, ecclesiale, si tratta di essere una presenza autentica, orante e accogliente. Suor Agnese, delle Figlie della Chiesa, ci ha detto: “Qui a Tarso – proprio dove è nato e vissuto san Paolo – noi siamo nulla. Siamo solo presenza…”. Come Francesco, siamo chiamati a riscoprire che solo nel nostro nulla, diventiamo presenza trasparente del Signore che si annuncia, ci salva e rigenera a creatura nuova l’umanità intera.

Il Signore vi custodisca e vi dia la sua pace!

Iskenderun, sabato 14 gennaio 2012.

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ALLEGATI

REGOLA NON BOLLATA CAPITOLO XVI DI COLORO CHE VANNO TRA I SARACENI E GLI ALTRI INFEDELI

[42] Dice il Signore: “Ecco, io vi mando come pecore in mezzo ai lupi. Siate dunque prudenti

come serpenti e semplici come colombe”. Perciò qualsiasi frate che vorrà andare tra i Saraceni e altri infedeli, vada con il permesso del

suo ministro e servo. Il ministro poi dia loro il permesso e non li ostacoli se vedrà che sono idonei ad essere

mandati; infatti dovrà rendere ragione al Signore, se in queste come in altre cose avrà proceduto senza discrezione.

[43] I frati poi che vanno fra gli infedeli, possono comportarsi spiritualmente in mezzo a loro in due modi. Un modo è che non facciano liti o dispute, ma siano soggetti ad ogni creatura umana per amore di Dio a e confessino di essere cristiani.

L'altro modo è che quando vedranno che piace al Signore, annunzino la parola di Dio perché essi credano in Dio onnipotente Padre e Figlio e Spirito Santo, Creatore di tutte le cose, e nel Figlio Redentore e Salvatore, e siano battezzati, e si facciano cristiani, poiché, se uno non sarà rinato per acqua e Spirito Santo non può entrare nel regno di Dio.

[44] Queste ed altre cose che piaceranno al Signore, possono dire ad essi e ad altri; poiché dice il Signore nel Vangelo: “Chi mi riconoscerà davanti agli uomini, io lo riconoscerò davanti al Padre mio che è nei cieli”; e: "Chiunque si vergognerà di me e delle mie parole, il Figlio dell'uomo si vergognerà di lui, quando tornerà nella gloria sua e del Padre e degli angeli".

[45] E tutti i frati, ovunque sono, si ricordino che si sono donati e hanno abbandonato i loro corpi al Signore nostro Gesù Cristo. E per il suo amore devono esporsi ai nemici sia visibili che invisibili, poiché dice il Signore: "Colui che perderà l'anima sua per causa mia la salverà per la vita eterna".

"Beati quelli che sono perseguitati a causa della giustizia, perché di essi è il regno dei cieli. Se hanno perseguitato me, perseguiteranno anche voi". E: "Se poi vi perseguitano in una città fuggite in un'altra. Beati sarete, quando gli uomini vi odieranno e vi malediranno e vi perseguiteranno e vi bandiranno e vi insulteranno e il vostro nome sarà proscritto come infame e falsamente diranno di voi ogni male per causa mia; rallegratevi in quel giorno ed esultate, perché grande è la vostra ricompensa nei cieli. E io dico a voi, miei amici: non lasciatevi spaventare da loro e non temete coloro che uccidono il corpo e dopo di ciò non possono far niente di più.

Guardatevi di non turbarvi. Con la vostra pazienza infatti salverete le vostre anime . E chi persevererà sino alla fine, questi sarà salvo".

REGOLA BOLLATA Capitolo XII Di coloro che vanno tra i saraceni e tra gli infedeli

[107] Quei frati che, per divina ispirazione, vorranno andare tra i Saraceni e tra gli altri

infedeli, ne chiedano il permesso ai loro ministri provinciali. I ministri poi non concedano a nessuno il permesso di andarvi se non a quelli che riterranno idonei ad essere mandati.

[108] Inoltre, impongo per obbedienza ai ministri che chiedano al signor Papa uno dei cardinali della santa Chiesa romana, il quale sia governatore, protettore e correttore di questa fraternità,

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[109] affinché, sempre sudditi e soggetti ai piedi della medesima santa Chiesa, stabili nella fede cattolica, osserviamo la povertà, l'umiltà e il santo Vangelo del Signore nostro Gesù Cristo, che abbiamo fermamente promesso.

PREGHIERE

LODI DI DIO ALTISSIMO L’orante musulmano, declinando “i nomi più belli” di Allah, mette in pratica il suggerimento del

Corano, mentre Francesco scioglie le sue Laudes Dei Altissimi nella consapevolezza che dare “lode e gloria a Dio” è «l’occupazione primaria del cristiano».

Tu sei santo, Signore Dio unico, che compi meraviglie. Tu sei forte. Tu sei grande. Tu sei altissimo. Tu sei Re onnipotente, tu Padre santo, Re del cielo e della terra. Tu sei Trino e Uno, Signore Dio degli dei, Tu sei bene, ogni bene, sommo bene, Signore Dio, vivo e vero. Tu sei amore, carità. Tu sei sapienza. Tu sei umiltà. Tu sei pazienza. Tu sei bellezza. Tu sei mansuetudine Tu sei sicurezza. Tu sei quiete. Tu sei gaudio e letizia. Tu sei speranza nostra. Tu sei giustizia. Tu sei temperanza. Tu sei ogni nostra sufficiente ricchezza. Tu sei bellezza. Tu sei mansuetudine. Tu sei protettore. Tu sei custode e difensore nostro. Tu sei fortezza. Tu sei refrigerio. Tu sei speranza nostra. Tu sei fede nostra . Tu sei carità nostra. Tu sei completa dolcezza nostra. Tu sei nostra vita eterna, grande e ammirabile Signore, Dio onnipotente, misericordioso Salvatore.

* * *

AFFIDAMENTO QUOTIDIANO A MARIA

Atto di affidamento a Maria, recitato ogni giorno dai frati delle Comunità della Turchia.

Vergine Immacolata, Madre della Chiesa e Madre mia, Maria, mi affido a te con tutto me stesso, accettando con gioia dalle mani del Figlio tuo il progetto di grazia da sempre pensato per me dal Padre celeste. Fa’ che, docile all’azione dello Spirito, io divenga strumento efficace

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per l'edificazione del Regno nella fedeltà alla vocazione ricevuta, in comunione con tutti i fratelli, specialmente i più poveri e i bisognosi di perdono. Pertanto ti offro, o Maria, le preghiere, le azioni e i sacrifici di questo giorno. Perché la nostra vita in mezzo ai musulmani possa testimoniare l'amore del Figlio tuo, che si offri in sacrificio sulla croce per portare tutti al Padre.

O Maria, concepita senza peccato, prega per noi che a te ricorriamo, e per quanti a te non ricorrono, in particolare per i nemici della santa Chiesa e per quelli che ti sono raccomandati.