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Tariffa Associazioni senza fini di lucro: Poste Italiane S.p.A. Spedizione in abbonamento postale D.L. 353/2003 (conv. in L. 27.02.2004n. 46) art 1 comma 2 DBC Roma “Il Signore è il mio pastore: non manco di nulla. Su pascoli erbosi mi fa riposare, ad acque tranquille mi conduce” (Salmo 23,1-2) Aprile-Maggio-Giugno 2-2017 Gesù Maestro

Tariffa Associazioni senza fini di lucro: Poste Italiane S ...istsantafamiglia.com/1/upload/gesa_maestro_2_2017_bbb.pdf · La mariologia di don Alberione è datata, cioè esprime

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Tariffa Associazioni senza fini di lucro: Poste Italiane S.p.A. Spedizione in abbonamento postale D.L. 353/2003 (conv. in L. 27.02.2004n. 46) art 1 comma 2 DBC Roma

“Il Signore è il mio pastore: non mancodi nulla. Su pascoli erbosi mi fa riposare,

ad acque tranquille mi conduce” (Salmo 23,1-2)

Aprile-Maggio-Giugno 2-2017

GesùMaestro

Gesù MaestroAprile-Maggio-Giugno 2017 - Trimestrale anno 21

Istituti Paolini “Gesù Sacerdote” e “Santa Famiglia”

DIRETTORE: Don Roberto Roveran

DIREzIOnE: Circonvallazione Appia, 162 - 00179 Roma Tel. 06.7842609 - 06.7842455 - Fax 06.786941

AuTORIzzAzIOnE TRIbunAlE DI ROMA n° 76/96 del 20/02/1996

Fotocomposizione e stampa: Mancini Edizioni s.r.l. - Servizi di STAMPA • GRAFICA • WEB

Cell. 335.5762727 - 335.7166301

In copertina: Gesù, il buon pastore, Museo di Galla Placidia, Ravenna

Maria ci insegna come si diventa veri discepoli di Gesù . . 3

Comunicare speranza e fiducia nel nostro tempo . . . . . . . . 7Sospinti dallo Spirito per la missione . . . . . . . . . . . . . . . . . 10

Settembre, “mese della Parola” per la Famiglia Paolina . . 11

l’impronta di Damasco . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 13

“Io sono il buon Pastore” . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 16

Il discernimento . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 19

Guarire il cuore . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 23

Come uniformarsi alla pazienza divina . . . . . . . . . . . . . . . . 26

Cara e tenera mia madre Maria . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 29

Gareggiate nello stimarvi a vicenda (Rom 12,10) . . . . . . . . 31

la bellezza delle crepe . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 36

Il dialogo e le sue regole . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 37

Quando si rimane senza la persona amata . . . . . . . . . . . . . 39

Giorni gioiosi fra Juniores della Famiglia Paolina . . . . . . . . 41la mia amicizia con don Stefano . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 42Quando il ritiro diventa una festa . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 43Ritiro col Vescovo . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 44novena a San Giuseppe . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 46la vita con un po’ di cuore: l’obbedienza . . . . . . . . . . . . . . 47

uniti nel suffragio e nell’intercessione . . . . . . . . . . . . . . . . 49

libri, audiovisivi e film . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 52

EDITORIALE

MAGISTERO DELLA CHIESA

INIZIATIVA PAOLINA

LA CURA DI GESU’

L’ESPERIENZA DEL PERDONO

CONOSCERE SAN PAOLO

SPIRITUALITà BIBLICA

ISTITUTO “GESU’ SACERDOTE”

LE NOSTRE PREGHIERE

LE STORIE INSEGNANO

LE RELAZIONI

VEDOVANZA

ESPERIENZE E TESTIMONIANZE

IN MEMORIA

ISTITUTO “SANTA FAMIGLIA”

Comunicazione del delegato

Lettera del delegato

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NOVITà

3Gesù Maestro aprile-Maggio-Giugno 2-2017

Editoriale

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Don Alberione scrive così nel volume Maria Regina degli Apostoli: “Gesù Maestro ci è

stato dato da Maria Vergine ed è perciò solo in un’atmosfera chiaramente mariana che si otterrà quell’intimo contatto con il Maestro divino che è lo scopo fondamentale della nostra vita” (p. 293). Poi aggiunge: “Ora il compito della Vergine Ma-dre è quello di far nascere e formare gradualmente Gesù anche in tutti coloro che devono rendersi conformi all’immagine del suo Figlio. Maria ci sta dinanzi come Madre e Maestra per darci saggio meraviglioso di come si diventa veri discepoli di Cristo” (p. 294).

La mariologia di don Alberione è datata, cioè esprime la teologia del suo tempo, ed è una mariologia dell’eminenza, in cui la persona di Maria viene collocata subito dopo il Figlio con tutti gli attributi di onore del Figlio: attri-buti che sono presi dallo Spirito Santo e hanno l’intento di mettere Maria su un piano eccelso. Ad es.: “Maria avvocata nostra” non è un titolo mariano, è titolo che la Scrittura attribuisce allo Spirito; così “Mediatrice di tutte le grazie”: il mediatore di tutte le grazie è lo Spirito.

La ragione di questo è che nella teologia occidentale c’è stato uno scivolamento, il ruolo proprio dello Spirito e le sue funzioni sono stati pian piano attribuiti a Maria. La mariologia di Alberione, da questo punto di vista, non ha da dire molto di più rispetto a quella del suo tem-po; ma don Alberione ha un’intuizione che ci può portare più avanti.

Egli ha scritto: “Solo in un’atmosfera chiara-mente mariana…”. Il termine atmosfera scardina un modo gerarchico di rapportarsi a Maria: noi, Maria e il Figlio (a Gesù per Maria). Ma in don Alberione non è così, almeno negli scritti più maturi. Qui si parla di atmosfera mariana e vuo-le dire che Maria è la casa, l’ambiente dove noi

incontriamo Cristo; il nostro rapporto privile-giato è con Lui. Maria non è un tramite perché il nostro tramite, il Mediatore è uno solo ed è Gesù, il Sommo Sacerdote. Questo non vuole dire sminuire il ruolo di Maria ma accrescerlo. Maria non è semplicemente lo strumento che mi porta a…, ma è un’aria che si respira. Que-sto già era abbozzato nel volume Donec forme-tur Christus in vobis del 1932 nel contesto della scuola di Nazareth: per lasciarsi formare, per il cammino di cristificazione è necessario mettersi in quell’ambiente, in quel clima proprio della casa di Nazareth, dove si respira l’aria del di-scepolato; Maria ci insegna come si diventa veri discepoli.

Maria, lo stampo di CristoDon Alberione porta a compimento quella

teologia spirituale mariana propria di san Luigi Grigion de Montfort, secondo il quale Maria è uno stampo di Cristo e cosa c’è in questo stam-po? Noi siamo la creta che va premuta nello stampo, ma lo stampo che immagine porta? In questo stampo non ci sono le sembianze di Ma-ria ma di Cristo, allora Maria è l’ambiente, la forma. Questa è una cosa che don Alberione usa anche per Paolo, è Paolo che si è fatto forma, però la tradizione precedente a lui attribuisce

Maria ci insegna come si diventaveri discepoli di Gesù

Maria ci insegna come si diventa veri discepoli

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questa idea fondamentale alla Vergine Maria.

Noi diventiamo cri-stiani solo se ci mettiamo davanti all’unico Media-tore con un atteggiamen-to mariano. Questo è il nucleo: si forma l’uomo nuovo creato secondo Dio solo se ci si mette nella disposizione di fede

nella Parola di Dio propria di Maria. Questa è la grande e bellissima intuizione di san Gio-vanni Paolo II nella Redemptoris Mater, quando viene paragonata la fede di Maria alla fede di Abramo, nostro Padre nella fede.

Vangelo di LucaAl cap. 2, v. 12 l’angelo annuncia ai pastori:

“Troverete un bambino avvolto in fasce che giace in una mangiatoia”; il segno è un bambino avvolto in fasce che giace in una mangiatoia e appena gli angeli si furono allontanati, i pastori disse-ro: “andiamo” e trovarono un bambino in una mangiatoia, tra Maria e Giuseppe.

È intenzionale questo espediente di Luca. Scompaiono le fasce e troviamo Maria e Giu-seppe. Qui sono abbozzate la maternità e la pa-ternità della coppia santa - Maria e Giuseppe - che devono prendersi cura del Figlio di Dio. C’è una missio, una responsabilità di Maria e an-che di Giuseppe nei confronti del Bambino. La maternità di Maria non è riducibile al sì; c’è un ruolo specifico di Maria e di Giuseppe nella vita del fanciullo Gesù ed è quello di custodirlo, di insegnare. Riguardo a questo don Alberione dirà che noi dobbiamo farci discepoli di Maria per-ché lo stesso Gesù si è fatto discepolo di Maria.

La comunità cristiana del tempo di Luca gira intorno fondamentalmente alla città di An-tiochia. Siamo intorno agli anni 70-90 come materiale redazionale e questo materiale dei primi capitoli è un Vangelo a parte, di ambien-te gerosolimitano. Luca prende le narrazioni

dell’infanzia, dall’ambiente sacerdotale di Geru-salemme; quello che stupisce è che in quest’am-biente sacerdotale di Gerusalemme, che conflu-isce nella tradizione antiochena, c’è già un ruolo materno di Maria, non è solo una funzione, ma c’è un ruolo. Si abbozza già in questi capitoli di Luca una mariologia:• Mariasiprendecuradelbambino• MariadàilnomealBambino:“Lo chiame-

rai Gesù”. In Matteo è Giuseppe che da il nome.

• Maria,facendolostessopercorsodell’arcadiDavide, porta da Elisabetta il Bambino che ha nel grembo.

• Essere colei che avvolge in fasce è già unruolo sacerdotale della maternità.Maria dà il nome, Maria si prende cura,

Maria porta la Presenza, la Shekinah. Come l’arca che al tempo di Davide fu portata sopra il monte della Galilea, Maria si avviò verso la montagna. C’è un retroterra sacerdotale non solo teologico, ma anche storico, perché anti-chissima è la tradizione che fa di Maria una fanciulla nata da una famiglia sacerdotale.

Lo ricaviamo non solo dal protovangelo di Giacomo (IV secolo), ma dal dato biblico stesso: Maria è parente di Elisabetta che è sposata con un sacerdote. Secondo la tradizione, la chiesa di sant’Anna a Gerusalemme dopo la porta delle pecore è il luogo della nascita di Maria. Non è solo una pia tradizione. C’è un retroterra im-portante: il protovangelo di Giacomo ci dice che il papà di Maria, Gioacchino, era inserito nel circolo del tempio perché si occupava della cura delle pecore che dovevano essere offerte per il sa-crificio. Ecco l’origine sacerdotale della famiglia di Maria, oggi considerata con molta attenzione.

Sacerdotalità diffusaCi meraviglia che Maria e anche Elisabetta,

due donne, siano considerate in Lc 2 come il nuovo sacerdozio: svolgono funzioni sacerdotali, mentre il sacerdozio dei maschi tramonta. Zac-caria è muto: è un sacerdozio che non ha più

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Editoriale

niente da dire, non è più per il popolo. Zaccaria entra nel Santo una volta nella vita, secondo il suo turno; ma invece di pregare per il popolo, com’era suo dovere, prega per sé chiedendo un bambino al Signore. Il Signore è stato così buo-no che ha ascoltato la sua preghiera.

Alla nascita del bambino Elisabetta dice: “No, si chiamerà Giovanni”, quindi sostituisce il padre nel suo compito di dare il nome e Zac-caria, sacerdote antico, si piega al nuovo sacer-dozio che non ha distinzione di sesso, quello di Elisabetta: “Si chiamerà Giovanni… ma non c’è nessuno nella tua parentela che si chiami così”. Il cambiamento di nome ha un valore specifi-co importante, perché il figlio, per ereditare la funzione sacerdotale levitica, doveva chiamar-si come il padre. È come se Elisabetta dices-se: questo figlio non farà quello che facevi tu. Infatti lui sarà profeta. C’è bisogno di profezia, di Parola, non più di riti. La portata di queste figure all’interno dei primi due capitoli di Luca - Maria, Giuseppe, Elisabetta - non è solo un ruolo di passaggio. Qui c’è la comprensione di una comunità che va al di là di quello che noi abbiamo creduto di sapere intorno alla figura e alla missione di Maria.

Questo abbozzo di maternità sacerdotale è importante perché quando don Alberione dà inizio alle sue fondazioni la sacerdotalità batte-simale riguarda tutti, maschi e femmine. L’idea di fondo di don Alberione, il tema generatore è la sacerdotalità, ma non è un tema che spunta così; c’è una sacerdotalità diffusa nel NT, spe-cialmente nella lettera ai Romani, agli Ebrei e nella prima di Pietro: “Offrite i vostri corpi, come

sacrificio vivente, santo e gradito a Dio, questo è vostro culto spirituale”. In questa sacerdotalità diffusa che è poi alla base del ministero presbi-terale, c’è una funzione materna specifica che la prima comunità cristiana in un certo modo at-tribuisce già a Maria; noi non sappiamo come e perché, e questo rimane veramente un mistero.

Mistero irrisoltoIn Luca questo tema è abbozzato, ma in

Giovanni la cosa diventa molto più forte. C’è un mistero irrisolto dalla critica storica e dall’e-segesi, perché ci si domanda come Maria nel Vangelo di Giovanni, quindi intorno già al 90, sia diventata una vera e propria figura teologica con uno spessore così grande. Com’è possibile che la Madre di Gesù che addirittura intorno all’anno 50 Paolo nemmeno nomina (“Nato da donna”), com’è possibile che questa donna, che ha solo la funzione di mettere al mondo il Fi-glio di Dio, nel giro di 30-40 anni divenga, nel quarto Vangelo, la donna di Giovanni, la don-na che media l’alleanza (nozze di Cana), che viene presa in casa dal discepolo amato (Gv 19), che è simbolo del nuovo Israele, della Chiesa perseguitata (Ap 12). Cosa è successo in questi quaranta anni?

Secondo padre Vanni rimane il mistero su come e perché la comunità, soprattutto della Chiesa giovannea dell’Asia minore, sia stata in grado di rielaborare questa figura in maniera così complessa. Maria è andata con Giovanni in Asia minore e da qui nasce la tradizione della presenza di Maria in Asia minore. In questo caso non è lo storico che dà vita al teologico, ma è il teologico che, per trovare una spiegazio-ne, viene ricondotto al fatto storico.

Maria non è morta a Efeso, perché la te-stimonianza più antica del culto a Maria l’ab-biamo a Gerusalemme, ai piedi del Getsemani. Con le scoperte di padre Corvo, dopo l’allu-vione del 60 e facendo i lavori di ripulitura, si scoprì il luogo della dormizione di Maria.

Don Giuseppe FORLAI igs

Con le parole del nostro fondatore, il Beato Giacomo Alberione,auguriamo a tutti una lieta Pasqua di luce e santità

Il Signore è risorto, alleluia!

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Magistero della Chiesa

L’accesso ai mezzi di comunicazione, grazie allo sviluppo tecnologico, è

tale che moltissimi soggetti hanno la pos-sibilità di condividere istantaneamente le notizie e diffonderle in modo capillare. Queste notizie possono essere belle o brut-te, vere o false. Già i nostri antichi padri nella fede parlavano della mente umana come di una macina da mulino che, mos-sa dall’acqua, non può essere fermata. Chi è incaricato del mulino, però, ha la possibilità di decidere se macinarvi grano o zizzania. La mente dell’uomo è sempre in azione e non può cessare di “macinare” ciò che riceve, ma sta a noi decidere quale

materiale fornire (cfr Cassiano il Romano, Lettera a Leonzio Igumeno).

Vorrei che questo messaggio potes-se raggiungere e incoraggiare tutti colo-ro che, sia nell’ambito professionale sia nelle relazioni personali, ogni giorno “ma-cinano” tante informazioni per offrire un pane fragrante e buono a coloro che si alimentano dei frutti della loro comuni-cazione. Vorrei esortare tutti ad una co-municazione costruttiva che, nel rifiutare i pregiudizi verso l’altro, favorisca una cultura dell’incontro, grazie alla quale si possa imparare a guardare la realtà con consapevole fiducia.

Comunicare speranza e fiducianel nostro tempo

Pubblichiamo il Messaggio di Papa Francesco per la 51a Giornata mondiale delle comuni-cazioni sociali che in Italia si celebra domenica 28 maggio, festa dell’Ascensione del Signore. Al centro il Papa pone la buona notizia del Vangelo che è Gesù stesso, il quale offre ed è la speranza del nostro tempo tanto angosciato.

Comunicare speranza e fiducia nel nostro tempo

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Credo ci sia bisogno di spezzare il circo-lo vizioso dell’angoscia e arginare la spirale della paura, frutto dell’abitudine a fissare l’attenzione sulle “cattive notizie” (guerre, terrorismo, scandali e ogni tipo di falli-mento nelle vicende umane). Certo, non si tratta di promuovere una disinforma-zione in cui sarebbe ignorato il dramma della sofferenza, né di scadere in un ottimismo ingenuo che non si lascia toccare dallo scandalo del male. Vorrei, al contrario, che tutti cercassimo di oltrepassare quel senti-mento di malumore e di rassegnazione che spesso ci afferra, gettandoci nell’apatia, ingenerando paure o l’impressione che al male non si possa porre limite. Del resto, in un sistema comunicativo dove vale la lo-gica che una buona notizia non fa presa e dunque non è una notizia, e dove il dram-ma del dolore e il mistero del male ven-gono facilmente spettacolarizzati, si può essere tentati di anestetizzare la coscienza o di scivolare nella disperazione.

Vorrei dunque offrire un contributo alla ricerca di uno stile comunicativo aperto e creativo, che non sia mai disposto a con-cedere al male un ruolo da protagonista, ma cerchi di mettere in luce le possibili soluzioni, ispirando un approccio proposi-tivo e responsabile nelle persone a cui si comunica la notizia. Vorrei invitare tutti a offrire agli uomini e alle donne del nostro tempo narrazioni contrassegnate dalla lo-gica della “buona notizia”.

La buona notiziaLa vita dell’uomo non è solo una cro-

naca asettica di avvenimenti, ma è storia, una storia che attende di essere raccontata attraverso la scelta di una chiave interpre-tativa in grado di selezionare e raccogliere i dati più importanti. La realtà, in sé stessa, non ha un significato univoco. Tutto dipen-de dallo sguardo con cui viene colta, dagli

occhiali con cui scegliamo di guardarla: cambiando le lenti, anche la realtà appare diversa. Da dove dunque possiamo partire per leggere la realtà con occhiali giusti?

Per noi cristiani, l’occhiale adeguato per decifrare la realtà non può che essere quello della buona notizia, a partire da la Buona Notizia per eccellenza: il «Vangelo di Gesù, Cristo, Figlio di Dio» (Mc 1,1). Con queste parole l’evangelista Marco ini-zia il suo racconto, con l’annuncio della “buona notizia” che ha a che fare con Gesù, ma più che essere un’informazione su Gesù, è piuttosto la buona notizia che è Gesù stesso. Leggendo le pagine del Van-gelo si scopre, infatti, che il titolo dell’ope-ra corrisponde al suo contenuto e, soprat-tutto, che questo contenuto è la persona stessa di Gesù.

Questa buona notizia che è Gesù stes-so non è buona perché priva di sofferenza, ma perché anche la sofferenza è vissuta in un quadro più ampio, parte integrante del suo amore per il Padre e per l’umanità. In Cristo, Dio si è reso solidale con ogni situazione umana, rivelandoci che non sia-mo soli perché abbiamo un Padre che mai può dimenticare i suoi figli. «Non temere, perché io sono con te» (Is 43,5): è la pa-rola consolante di un Dio che da sempre si coinvolge nella storia del suo popolo. Nel suo Figlio amato, questa promessa di Dio –

“sono con te” – arriva ad assumere tutta la nostra debolezza fino a morire della nostra morte. In Lui anche le tenebre e la morte diventano luogo di comunione con la Luce e la Vita. Nasce così una speranza, acces-sibile a chiunque, proprio nel luogo in cui la vita conosce l’amarezza del fallimento. Si tratta di una speranza che non delude, perché l’amore di Dio è stato riversato nei nostri cuori (cfr Rm 5,5) e fa germogliare la vita nuova come la pianta cresce dal seme caduto. In questa luce ogni nuovo dramma che accade nella storia del mondo diven-ta anche scenario di una possibile buona notizia, dal momento che l’amore riesce sempre a trovare la strada della prossimità e a suscitare cuori capaci di commuoversi, volti capaci di non abbattersi, mani pronte a costruire.

La fiducia nel seme del regnoPer iniziare i suoi discepoli e le folle a

questa mentalità evangelica e consegna-re loro i giusti occhiali con cui accostarsi alla logica dell’amore che muore e risor-ge, Gesù faceva ricorso alle parabole, nelle quali il Regno di Dio è spesso paragonato al seme, che sprigiona la sua forza vitale proprio quando muore nella terra (cfr Mc 4,1-34). Ricorrere a immagini e metafore per comunicare la potenza umile del Regno non è un modo per ridurne l’importanza e l’urgenza, ma la forma misericordiosa che lascia all’ascoltatore lo “spazio” di libertà per accoglierla e riferirla anche a sé stesso. Inoltre, è la via privilegiata per esprimere l’immensa dignità del mistero pasquale, lasciando che siano le immagini – più che i concetti – a comunicare la paradossale bellezza della vita nuova in Cristo, dove le ostilità e la croce non vanificano ma rea-lizzano la salvezza di Dio, dove la debo-lezza è più forte di ogni potenza umana, dove il fallimento può essere il preludio

del più grande compimento di ogni cosa nell’amore. Proprio così, infatti, matura e si approfondisce la speranza del Regno di Dio: «Come un uomo che getta il seme sul terreno; dorma o vegli, di notte o di giorno, il seme germoglia e cresce» (Mc 4,26-27).

Il Regno di Dio è già in mezzo a noi, come un seme nascosto allo sguardo su-perficiale e la cui crescita avviene nel si-lenzio. Chi ha occhi resi limpidi dallo Spi-rito Santo riesce a vederlo germogliare e non si lascia rubare la gioia del Regno a causa della zizzania sempre presente.

Gli orizzonti dello SpiritoLa speranza fondata sulla buona notizia

che è Gesù ci fa alzare lo sguardo e ci spin-ge a contemplarlo nella cornice liturgica della festa dell’Ascensione. Mentre sembra che il Signore si allontani da noi, in real-tà si allargano gli orizzonti della speranza. Infatti, ogni uomo e ogni donna, in Cristo, che eleva la nostra umanità fino al Cielo, può avere piena libertà di «entrare nel san-tuario per mezzo del sangue di Gesù, via nuova e vivente che egli ha inaugurato per noi attraverso il velo, cioè la sua carne» (Eb 10,19-20). Attraverso «la forza dello Spi-rito Santo» possiamo essere «testimoni» e comunicatori di un’umanità nuova, redenta, «fino ai confini della terra» (cfr At 1,7-8).

La fiducia nel seme del Regno di Dio e nella logica della Pasqua non può che plasmare anche il nostro modo di comu-nicare. Tale fiducia che ci rende capaci di operare – nelle molteplici forme in cui la

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Magistero della Chiesa

comunicazione oggi avviene – con la per-suasione che è possibile scorgere e illumi-nare la buona notizia presente nella realtà di ogni storia e nel volto di ogni persona.

Chi, con fede, si lascia guidare dallo Spirito Santo diventa capace di discernere in ogni avvenimento ciò che accade tra Dio e l’umanità, riconoscendo come Egli stes-so, nello scenario drammatico di questo mondo, stia componendo la trama di una storia di salvezza. Il filo con cui si tesse questa storia sacra è la speranza e il suo tessitore non è altri che lo Spirito Consola-tore. La speranza è la più umile delle virtù, perché rimane nascosta nelle pieghe della vita, ma è simile al lievito che fa fermen-tare tutta la pasta. Noi la alimentiamo leg-gendo sempre di nuovo la Buona Notizia, quel Vangelo che è stato “ristampato” in tantissime edizioni nelle vite dei santi, uo-

mini e donne diventati icone dell’amore di Dio. Anche oggi è lo Spirito a seminare in noi il desiderio del Regno, attraverso tanti “canali” viventi, attraverso le persone che si lasciano condurre dalla Buona Notizia in mezzo al dramma della storia, e sono come dei fari nel buio di questo mondo, che illu-minano la rotta e aprono sentieri nuovi di fiducia e speranza.

Comunicare speranza e fiducia nel nostro tempo

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Sospinti dallo Spirito per la missioneDal Messaggio di Papa Francesco per la 54a Giornata mondiale di preghiera

per le vocazioni (7 maggio 2017)Cari fratelli e sorelle, negli anni scorsi, abbiamo avuto modo di riflettere su due aspetti che

riguardano la vocazione cristiana: l’invito a “uscire da sé stessi” per mettersi in ascolto della voce del Signore e l’importanza della comunità ecclesiale come luogo privilegiato in cui la chiamata di Dio nasce, si alimenta e si esprime.

Ora, in occasione della 54a Giornata mondiale di preghiera per le vocazioni, vorrei soffermar-mi sulla dimensione missionaria della chiamata cristiana. Chi si è lasciato attrarre dalla voce di Dio e si è messo alla sequela di Gesù scopre ben presto, dentro di sé, l’insopprimibile desiderio di portare la Buona Notizia ai fratelli, attraverso l’evangelizzazione e il servizio nella carità. Tutti i cristiani sono costituiti missionari del Vangelo! Il discepolo, infatti, non riceve il dono dell’amore di Dio per una consolazione privata; non è chiamato a portare sé stesso né a curare gli interessi di un’a-zienda; egli è semplicemente toccato e trasformato dalla gioia di sentirsi amato da Dio e non può trattenere questa esperienza solo per sé: «La gioia del Vangelo che riempie la vita della comunità dei discepoli è una gioia missionaria» (Evangelii gaudium, 21).

L’impegno missionario, perciò, non è qualcosa che si va ad aggiungere alla vita cristiana, come fosse un ornamento, ma, al contrario, è situato nel cuore della fede stessa: la relazione con il Si-gnore implica l’essere mandati nel mondo come profeti della sua parola e testimoni del suo amore.

Se anche sperimentiamo in noi molte fragilità e possiamo talvolta sentirci scoraggiati, dobbia-mo alzare il capo verso Dio, senza farci schiacciare dal senso di inadeguatezza o cedere al pessimi-smo, che ci rende passivi spettatori di una vita stanca e abitudinaria. Non c’è posto per il timore: è Dio stesso che viene a purificare le nostre “labbra impure”, rendendoci idonei per la missione: «E’ scomparsa la tua iniquità e il tuo peccato è espiato. Poi io udii la voce del Signore che diceva: “Chi manderò e chi andrà per noi?”. E io risposi: “Eccomi, manda me!”» (Is 6,6-8)…

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Iniziativa paolina

Carissimi, desideriamo accogliere le parole di Papa Francesco che in un

paragrafo della lettera apostolica Miseri-cordia et misera ci riporta alle sorgenti della vocazione paolina ed è per noi un forte stimolo a ricollocare, con maggior entusiasmo, la Parola di Dio al centro della nostra vita e della missione.

«Attraverso la Sacra Scrittura – ci ri-corda il Papa – il Signore continua a par-

lare alla sua Sposa e le indica i sentieri da percorrere perché il Vangelo della salvezza giunga a tutti».

Per questo, il Santo Padre desidera che «la Parola di Dio sia sempre più celebrata, conosciuta e diffusa…», offrendo a tale scopo precisi orientamenti: «Sarebbe op-portuno che ogni comunità, in una dome-nica dell’Anno liturgico, potesse rinnovare l’impegno per la diffusione, la conoscenza

Settembre, “mese della Parola”per la Famiglia Paolina

Facciamo nostra la proposta dei Superiori generali delle cinque Congregazioni della Famiglia Paolina a seguito dell’invito del Papa per un mese e una domenica dedicati alla riflessione, preghiera e diffusione della Parola di Dio. Ci lasciamo stimolare per riprendere l’animazione di giornate del Vangelo o settimane bibliche presso le parrocchie.

Settembre, “mese della Parola” per la Famiglia Paolina

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e l’approfondimento della Sacra Scrittura: una domenica dedicata interamente alla Parola di Dio, per comprendere l’inesauri-bile ricchezza che proviene da quel dialo-go costante di Dio con il suo popolo.

Non mancherà la creatività per arric-chire questo momento con iniziative che stimolino i credenti ad essere strumenti vivi di trasmissione della Parola.

Certamente, tra queste iniziative vi è la diffusione più ampia della lectio divina, affinché, attraverso la lettura orante del testo sacro, la vita spirituale trovi soste-gno e crescita» (MM 7).

Una risposta di FamigliaIl Vangelo è la preziosa eredita affida-

ta da don Alberione a tutti noi. Ricorda il Fondatore: «Vi fu un tempo in cui egli ebbe, nelle adorazioni, una luce più chia-ra su una grande ricchezza che il Signore voleva concedere alla Famiglia Paolina: la diffusione del Vangelo» (AD 136).

Questa luce ispirerà le modalità tipiche

dell’apostolato paolino: il Vangelo in ogni famiglia (AD 140); il Vangelo modello e ispiratore di ogni edizione (AD 141); il Vangelo venerato con un culto particolare (AD 142). E con forza sottolineerà che l’a-postolo della stampa si forma frequentan-do assiduamente la mensa dell’Eucaristia e della Parola (FSP 41, p. 137).

Fedeli, dunque, agli orientamenti del Fondatore e in risposta all’appello di papa Francesco desideriamo che il mese di set-tembre sia, per tutta la Famiglia Paolina, il Mese della Parola. A questo riguardo si potranno vivere e organizzare – a livello di Famiglia, là dove è possibile – tempi di approfondimento e iniziative di annun-cio, Giornate del Vangelo, Settimane bi-bliche…

E desideriamo che l’ultima domenica del mese di settembre sia Domenica della Parola, specialmente là dove le chiese lo-cali non organizzano qualcosa al riguardo.

Siamo certi che la Bibbia, il «libro di fuoco» (Papa Francesco) che nutre la nostra vita apostolica, ci spingerà a una grande creatività e a una feconda collabo-razione, realizzando così l’ispirazione del Fondatore che ci desiderava – religiosi e laici – un unico corpo, proteso verso l’e-vangelizzazione di quella “grande parroc-chia” che è il mondo.

Saluti carissimi a tutte e a tutti e un affettuoso abbraccio.

Roma, 25 gennaio 2017

I Superiori generali:don Valdir Josè De Castro, ssp

sr Anna Maria Parenzan, fspsr M. Regina Cesarato, pddm

sr Marta Finotelli, sjbpsr Marina Beretti, ap

I Superiori generali delle 5 Congregazioni della Famiglia Paolina

Gesù Maestro aprile-Maggio-Giugno 2-2017

Conoscere san Paolo

L’impronta di DamascoÈ assolutamente certo che per Paolo la fede in Cristo e la comunione con Lui sono nate dall’esperienza fatta a Damasco. Da quando Paolo ha potuto vedere Gesù nella sua gloria, il Signore esaltato e glorioso rappresenta una grande realtà nella sua vita. Da quel momento, egli è “schiavo di Gesù, il Salvatore”.

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Ci rimane solo una chiave per capire la

teologia paolina e si chia-ma Damasco. Paolo ap-partiene a quegli uomini che sono avanzati nella vita grazie ad una violenta rottura e la sua teologia si caratterizza essenzialmen-te per il fatto ch’è derivata da una svolta nella vita.

Siamo ben documen-tati sull’esperienza di Damasco. La fonte più autorevole è la testimo-nianza stessa dell’Apostolo; si trova in Gal 1,12-17; 1Cor 9,1; 15,8.10; 2Cor 4,6; Fil 3,7.12. A ciò si aggiunge il racconto de-gli Atti (9,1-19), che nei passi 22,4-16 e 26,9-18, viene ripetuto da Luca con alcu-ne varianti.

Damasco decisivoVorrei qui dimostrare che la teologia

dell’Apostolo trova le sue radici in quest’u-nica esperienza.

1) È assolutamente certo che per Paolo la fede in Cristo e la comunione con Lui sono nate dall’esperienza fatta a Damasco. Da quando Paolo ha potuto vedere Gesù nella sua gloria, il Signore esaltato e glo-rioso rappresenta una grande realtà nella sua vita. Da quel momento, egli è «schiavo di Gesù, il Salvatore» (Rm 1,1), sua pro-prietà personale, legato a lui come uno schiavo al suo padrone.

2) Paolo era cosciente che un cristiano appartie-ne, sin da ora, nel Cristo, al mondo futuro di Dio. «Perciò se uno è in Cristo è una nuova creazione; ciò che era antico è passa-to: ecco, il nuovo è sorto» (2Cor 5,17). Anche questa consapevolezza, di appar-tenere qui ed ora al santo mondo di Dio, deriva dall’e-sperienza di Damasco.

3) Nell’episodio di Damasco si radica la sua

comprensione dell’azione salvifica di Dio nel Cristo, che forma il contenuto centrale del messaggio paolino. Dobbiamo qui par-tire da Gal 3,13 perchè ci consente di ave-re una visione dei motivi che spinsero Pa-olo a perseguitare i cristiani. Egli scorgeva in loro i discepoli del capo di un’eresia da estirpare. Egli aveva una prova concreta tra le mani che questo Gesù di Nazareth fosse un falso Messia: la croce. Ma ora Dio gli faceva vedere con i suoi occhi il dannato e maledetto nella gloria celeste. In questa visione dovette apparire chiaro a Paolo come la morte in croce di Gesù non fosse affatto la morte di un delinquen-te, ma come i cristiani avessero ragione quando affermavano che questa morte aveva valore di sostituzione per noi. Paolo espresse questa certezza in Gal 2,20 in maniera personalissima: «Mi amò e diede se stesso per me».

L’impronta di Damasco

14 Gesù Maestro aprile-Maggio-Giugno 2-2017

Onnipotenza della grazia4) Nell’episodio di Damasco si è sta-

bilita la sua consapevolezza dell’onnipo-tenza della grazia. «Per grazia di Dio sono quello che sono» afferma Paolo (1Cor 15,10), dando uno sguardo retrospettivo alla sua vocazione. Che Dio abbia colloca-to nel numero dei testimoni della Resurre-zione lui, che le comunità della Palestina consideravano un mostro, perché voleva distruggere radicalmente la Chiesa di Dio; più ancora, che Dio lo avesse reso amba-sciatore di Cristo; che egli, nelle dure fa-tiche al servizio del Vangelo, dovesse su-perare tutti gli altri inviati per tutto questo esisteva un solo vocabolo: grazia.

5) Strettamente collegata è una osser-vazione più vasta. Paolo sottolinea il solo operare di Dio, la sua elezione gratuita, che trascende ogni azione umana. In de-finitiva non si tratta della volontà o degli sforzi dell’uomo, ma soltanto della miseri-cordia di Dio. Paolo ha sperimentato nella conversione della sua vita questo operare esclusivo di Dio.

6) Nell’episodio di Damasco si radica la sua consapevolezza della spaventosa natura del peccato. Paolo era certamente già prima cosciente della santità di Dio e della colpa dell’uomo; entrambe appar-tengono alla parte migliore della sua ere-dità ebraica. Ma nell’intimo del suo cuore non aveva preso sul serio il peccato; aveva invece creduto di essere «quanto alla giu-stizia che si può raggiungere con la leg-ge, di condotta irreprensibile» (Fil 3,6). Ora si trova improvvisamente dinanzi al fatto abissale che egli ha bestemmiato il Messia e ha cercato di distruggere la sua comunità. L’amara esperienza che le intenzioni più pie possono condurre alle colpe più gravi, esperienza che egli si è trascinata dietro come un peso lungo la sua esistenza, ha infranto per sempre la

sicurezza in se stesso, il «vantarsi di sé dinanzi a Dio».

7) Soltanto pensando all’esperienza di Damasco si comprende la posizione radi-cale dell’Apostolo contro ogni pietà che si basi sulla legge. Paolo sintetizza il si-gnificato di quell’ora per la sua vita nel fatto che egli ha vissuto un sovvertimento radicale di tutti i valori; tutto ciò che sino a quel momento era apparso «valido», era diventato per lui «privo di valore», «a con-fronto del vantaggio sovraeminente che è la conoscenza di Cristo Gesù mio Signore» (Fil 3,7 s). Prima di Damasco, il contenu-to della sua vita era stato lo sforzo, grazie al penoso compimento della legge, di ap-parire senza macchia dinanzi a Dio (3,6). Ora pone al posto della legge una novità al centro della sua vita: Cristo, «mio» Si-gnore (3,8).

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Conoscere san Paolo

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8) Nell’episodio di Damasco ha le sue radici la speranza di Paolo. Certamente l’attesa della resurrezione dai morti e del nuovo mondo di Dio apparteneva già al suo retaggio farisaico. Ma ora egli aveva visto «la gloria di Dio che brilla sul vol-to di Cristo» (2Cor 4,6). Questa visione dello splendore di Dio fu da allora in poi il pegno della sua speranza: «Allora co-noscerò appieno, come sono conosciuto» (1Cor 13,12).

Missionario da subito9) Nell’episodio di Damasco ha le sue

radici l’impegno missionario dell’Aposto-lo. La notizia più antica sulla chiamata di Paolo è contenuta in Gal 1,23. Egli affer-ma al v. 22 che nei primi anni dopo la sua chiamata, è rimasto sconosciuto alle co-munità cristiane della Palestina, ed esse ora hanno saputo che “colui che un tem-po ci perseguitava, ora predica quella fede che un tempo voleva distruggere” (v. 23). Il persecutore non è diventato un segua-ce, ma un predicatore. Paolo perciò deve aver confessato pubblicamente il Cristo molto presto dopo la sua chiamata. Egli stesso afferma del suo dovere missionario: «è una necessità che mi incombe» (1Cor 9,16). Così è accaduto a tutti i grandi e piccoli convertiti.

10) L’episodio di Damasco origina in-fine la coscienza apostolica di sé e del-la sua missione. Il titolo di «Apostolo di Gesù Cristo» si incontra per la prima volta in Paolo ed è forse una creazione paolina. Con essa egli si designa come plenipoten-ziario dell’Altissimo ed esprime che egli non viene dopo i Dodici, anche se non è stato un seguace di Gesù durante la sua vita. Come loro infatti, egli è testimone della Resurrezione (1Cor 9,1). La sua missione apostolica è collegata alla visio-ne di Cristo.

11) Nella domanda, colma di rimpro-vero, del Risorto: «Saulo, Saulo, perché mi perseguiti?», troviamo una testimo-nianza che la concezione della Chiesa dell’Apostolo ha per lo meno una delle sue radici nel suo incontro con Cristo. Il Signore risorto si identifica con la co-munità dei suoi fedeli. Chi lo perseguita, perseguita lui. Questa identificazione è fondamentale per la visione paolina della comunità. L’Apostolo in seguito ha così espresso in un’immagine quest’unità fra Cristo e la comunità dei suoi: la Chie-sa forma il corpo di Cristo. Egli è il suo capo, ed ogni cristiano è un membro del suo corpo.

In sostanza abbiamo visto che tutta l’e-sistenza di fede e la teologia dell’Aposto-lo si richiamano alla sua visione di Cristo sulla strada di Damasco.

Solo partendo da qui possiamo com-prenderlo.

La sua teologia è la teologia di uno che è stato improv-visamente chiama-to.

Né Tarso, né Ge-rusalemme e nep-pure Antiochia, ma Damasco ci offre la chiave per com-prendere la sua te-ologia.

Gli altri fattori che abbiamo conside-rato – la cultura ellenistica, l’eredità giu-daica e la tradizione cristiana primitiva – non sono svuotati di valore da questa conoscenza, perché furono assunti a ser-vizio della sua missione. Decisivo però è il momento, riferendosi al quale l’Aposto-lo dice: «Sono stato afferrato da Cristo Gesù» (Fil 3,12).

Joachim JEREMIAS

Abele pastore di greggi

La Bibbia apre la narrazione della storia della nostra salvezza con la figura di

Abele “pastore di greggi” (Gen 4,2). Con questa immagine viene delineata la pre-senza dell’uomo nel mondo creato da Dio, come “custode/pastore” della creazione e chiamato a prendersi cura di quanto Dio gli ha affidato. Pensiamo allo stupore dell’orante del Salmo 8 di fronte al suo ruolo di pastore della creazione: «Tutto hai posto sotto i suoi piedi: tutte le greggi e gli armenti e anche le bestie della campagna, gli uccelli del cielo e i pesci del mare, ogni essere che percorre le vie dei mari» (Sal 8,7-9).

Nel Vangelo secondo Giovanni è Gesù a ricevere tutto nelle “sue mani”, per non “perdere” nulla di quanto il Padre gli ha affidato (cf Gv 6,39).

La prima immagine che la Bibbia ci of-fre dell’uomo/pastore è, perciò, quella che descrive la cura amorevole con cui egli cu-stodisce il creato e quanto esso contiene.

Anche i patriarchi Abramo, Isacco e Giacobbe vengono presentati con i tratti del pastore: la storia della salvezza affon-da le radici accanto ai loro greggi, nei loro incontri presso i pozzi dell’acqua e sotto le tende che li riparano dal caldo torrido del deserto e dal freddo pungente delle lunghe notti stellate.

Lo stesso Mosè, prima di estendere la sua custodia e la sua opera in favore del popolo di Israele schiavo in Egitto, ha vis-suto l’esperienza del pastore: «Mosè stava

pascolando il gregge di Ietro, suo suocero» (Es 3,1).

Il popolo che è il suo greggeL’immagine del pastore, custode di

quel microcosmo che è l’ambiente vitale dell’uomo della Bibbia, conosce un suc-cessivo sviluppo nella predicazione dei profeti.

Sono i profeti a cogliere nel gregge e nel pastore uno dei modi di parlare del Dio di Israele e del suo popolo. Nella loro predicazione il gregge è diventato il popo-lo della Bibbia e il pastore è ora il Dio di Israele. I capitoli 34-37 del libro del pro-feta Ezechiele scorrono sotto i nostri oc-chi con un alternarsi continuo tra la cura amorevole di Dio/Pastore e la situazione di sofferenza e di abbandono del gregge che è il suo popolo: «Io stesso condurrò le mie pecore al pascolo e io le farò riposare... andrò in cerca della pecora perduta... fa-scerò quella ferita e curerò quella malata» (Ez 34,15-16).

“Io sono il buon Pastore”L’immagine biblica del pastore, forse meglio di tutte, contribuisce a illuminare la figura di Gesù e a caratterizzare la sua missione. Questa immagine va collocata innanzitutto nell’o-rizzonte della Bibbia. Questo orizzonte delimita il piccolo mondo dell’uomo biblico, che si restringe attorno alla tenda del pastore, al pozzo, al pascolo e al gregge.

Spiritualità biblica

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17Gesù Maestro aprile-Maggio-Giugno 2-2017

“Io sono il buon Pastore”

All’orizzonte di questa promessa si de-linea già la predicazione di Gesù, che alla predicazione dei profeti attinge le immagi-ni, le parole, i gesti, le azioni che lo carat-terizzano come pastore dell’uomo del suo tempo e dell’uomo di ogni tempo.

Il Signore è il mio pastoreLa tenda, il gregge, il pozzo, i pascoli,

l’acqua, il pastore e il suo bastone, il cam-mino nel deserto tra i pericoli e gli anima-li feroci hanno fornito all’orante dei Salmi le parole e le immagini per la sua preghiera e il suo canto. Infatti, anche il libro dei Sal-mi contiene l’imma-gine del pastore che, mentre guida il suo gregge camminandogli avanti per aprirgli la strada, diventa anche l’immagine dello stes-so orante che compie il proprio cammino in-teriore, spirituale verso Dio.

Tutti conosciamo la ricchezza compo-sitiva del Salmo 23 («Il Signore è il mio pastore») e il suo radicamento nell’espe-rienza quotidiana del pastore con il suo gregge. Ma ciò che va maggiormente co-nosciuto è il messaggio che questo Salmo ci trasmette: come il ritmare del bastone del pastore sul terreno rassicura il gregge e gli fa sentire la presenza del pastore (tutta la sua cura, il suo amore, la sua premura e la sua protezione) lungo il suo cammino o durante la sosta presso il pozzo o al pa-scolo, così l’orante dei Salmi, lungo il suo cammino interiore, sente il ritmare della Parola di Dio e da essa riceve guida, orien-tamento, nutrimento, sicurezza.

Io sono il buon pastoreGiungiamo così al cap. 10 del Vange-

lo secondo Giovanni, dove l’immagine del pastore confluisce nella persona e nella missione di Gesù.

È stato molto lungo e complesso il per-corso tracciato dalla figura del pastore, tanto che al tempo di Gesù, sia al mo-mento della sua nascita sia durante il suo ministero, i pastori erano esclusi dalla so-cietà e considerati ai margini della vita so-

ciale e religiosa, quasi esseri deformi, degra-dati, privi di bellezza. Questo potrebbe spie-gare perché l’evange-lista Giovanni superi una simile concezione negativa del pastore, dichiarando che Gesù è il pastore “quello bello” (come indica il termine greco kalòs, “bello”, che noi tra-duciamo abitualmente con “buono”).

Definendosi “pasto-re bello/buono”, Gesù

si riallaccia all’immagine originaria che del pastore la Bibbia aveva fornito. In lui riaffiora Abele, perché Gesù esprime una grande cura e un grande amore per il cre-ato e per l’uomo che in esso vive. Nel suo Vangelo, Giovanni ama chiamare il crea-to con il termine “mondo”, sul quale Dio, mediante Gesù, riversa tutta l’intensità del suo amore di pastore: «Dio ha tanto amato il mondo da dare il suo Figlio uni-genito» (3,16).

In Gesù il popolo di Israele è il gregge che ritorna alle origini, quando erano Abra-mo, Isacco e Giacobbe a guidarlo e a radu-narlo attorno al pozzo, alla tenda, all’ovile e al pascolo. L’acqua della vita, il pane e il

Spiritualità biblica

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vino eucaristici sono ora il nuovo pozzo e il nuovo pascolo, la nuova tenda e il nuovo ovile, dove il pastore Gesù riunisce i figli dispersi di Israele e l’umanità di ogni tem-po: «Gesù doveva morire per la nazione;

e non soltanto per la nazione, ma anche per riunire insieme i figli di Dio che erano dispersi» (11,51-52).

In Gesù che guida e conduce al pascolo le sue pecore, che le strappa dalla rapacità del predatore e dalla mano del ladro, riaf-fiora la preghiera dell’orante dei Salmi che, guidato dal ritmare del bastone/Parola di Dio Pastore, ha la certezza di non mancare ormai di nulla: «Il Signore è il mio pastore, non manco di nulla» (Sal 23,1).

Infine in Gesù, che nutre e conduce al pascolo le sue pecore e per esse offre la vita, la figura del Pastore si fonde con quel-la dell’Agnello che, con le sue carni immo-late, diventa il nutrimento definitivo dell’u-manità (come leggiamo nell’Apocalisse).

Don Primo GIRONI ssp

Ariccia, marzo 2017: Papa Francesco in posa dopo gli Esercizi con il Superiore generale e i confratelli della casa Divin Maestro

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ISTITuTO “GESù SACERDOTE”Istituto di vita consacrata per Sacerdoti diocesani

Il discernimento

Al n. 6.2 dello Statuto IGS viene evidenziato che “i membri dell’Istituto Gesù Sacerdote devono ri-tenere l’Apostolo Paolo come patrono, modello e protettore, mantenendo con Lui una continua co-munione di mente e di cuore per conoscere il pen-siero e l’opera, per imitarne le virtù e per acqui-starne lo spirito”. Per attuare questo ideale, oltre la preghiera, la meditazione assidua della Parola, l’Adorazione eucaristica, ecc. viene indicato, come mezzo importante, la verifica personale, il discerni-mento, l’esame di coscienza. Il Beato Alberione ha sempre inculcato questo potente mezzo per vivere con coerenza la sequela, per riuscire a configurar-si in modo integrale e pieno a Cristo, per rendere l’attività apostolica più feconda.

Sappiamo anche che si tratta di uno dei com-piti fondamentali che ogni cristiano deve svolgere come viene indicato in tutto il NT; San Paolo in numerosi passaggi delle sue Lettere parla dell’im-portanza del discernimento e lo puntualizza molto bene in 1 Ts 5,19-23: “Non spegnete lo Spirito, non disprezzate le profezie; esaminate ogni cosa, tenete ciò che è buono. Astenetevi da ogni specie di male. Il Dio della pace vi santifichi fino alla perfe-zione, e tutto quello che è vostro, spirito, anima e corpo, si conservi irreprensibile per la venuta di Gesù Cristo”.

Il discernimento è un compito molto difficile; è un dono, un’arte, una scienza spirituale e richiede un saggio addestramento: perché non si tratta di prendere delle decisioni sagge da un punto di vista umano, ma aderire alla volontà di Dio, capire e rea-lizzare il progetto che Lui ha su ognuno di noi. E la

Comunicazione del Delegato

persona umana non è come è fat-ta… Ciò che ognuno di noi è ora, è solo il punto d’avvio per diventare ciò che sarà, sotto il governo del discernimento e delle decisioni. Siamo chiamati a tirar fuori la ve-rità e la libertà da ogni menzogna e schiavitù. Bisogna lottare contro il falso io, perché il vero io esca alla luce, finalmente libero.

Dio creatore non abbandona i suoi figli, ma li guida e li condu-ce perché desidera che diventino liberi, adulti e responsabili. Capa-ci cioè di contemplare, accogliere il suo amore e testimoniarlo, ma da figli, amici, collaboratori e non con atteggiamenti di paura o ser-vilismo. Ma ogni persona umana, pur creatura meravigliosa, per il mistero della sua fragilità (cfr Rom 7,14-25), può trovarsi immerso in una triplice oscurità:1. di un Dio misterioso perché, pur

presente, è nascosto, ci supera ed è sempre oltre l’esperienza che possiamo fare di Lui;

2. di satana che si dissimula: dice bene del male e male del bene, esagera, inganna, gode del male che può infliggerci e odia le persone felici;

20 Gesù Maestro aprile-Maggio-Giugno 2-2017

menti, diventa irresponsabile nei rapporti umani, in balia dell’im-mediato, del “mi sento”; e non è sul “mi sento” che si fonda la libe-ra convivenza civile e la pace vera. Nei vari impegni che ogni uomo deve assumere non devo aspettare di “sentirsi” per comportarsi re-sponsabilmente.

Oggi, addirittura, si rimane bloccati nei confronti del falso, del male; si ha paura di contra-starlo. E questo avviene anche nei nostri ambienti ecclesiali: poche persone profetiche si rendono di-sponibili a “fare la carità della ve-rità” (missione molto sentita da don Alberione), a far emergere ciò che è giusto e ciò che non lo è. Un’evangelizzazione più profetica e coraggiosa che sa denunciare le ipocrisie e le varie manifestazioni di male, per alcuni (anche preti) spesso non ritenuta opportuna, perché può offendere la sensibilità della gente che è abituata, oggi, a non essere toccata nei comporta-menti che sente di assumere.

“Cristo ci ha liberati perché restassimo liberi” (Gal 5,1)

Uno dei segni e dei frutti se stiamo vivendo un discernimen-to evangelico-paolino consiste nell’interiorizzazione e nella ma-nifestazione della libertà cristiana. Cioè la testimonianza del coraggio di essere se stessi, di far emergere il proprio io profondo che sa ricer-care e favorire la verità, il rispetto e l’accoglienza di tutti, lottando con coraggio contro ingiustizie, ipocrisie, falsità che rovinano i rapporti fraterni e la pace sociale.

COMunICAzIOnE DEl DElEGATO

3. dell’uomo stesso, incapace di vedere chiara-mente il suo vero bene, la gravità di scelte spes-so errate, il peso dei peccati e delle loro conse-guenze (cfr Es 32,21; 2Sam 12,7). Anche in noi c’è un conflitto d’interessi: è lo stesso cuore (coscienza) che giudica e che è giudicato.

Compito trascuratoNella società odierna fare delle distinzioni, cioè

riflettere per discernere con attenzione sulle pro-prie e altrui azioni, risulta un’azione non gradita: c’è la tendenza a non valutare con rettitudine le scelte e si è portati ad accettare di tutto. Facilmen-te e superficialmente si crede ad ogni messaggio, senza riflettere o investigare a fondo per vedere se quanto viene proposto o si vive è vero o falso.

Sappiamo, inoltre, come la cultura odierna cor-re il serio rischio di restare in balia dell’istinto, spesso irrazionale. Si apprezzano le sensazioni, si cercano esperienze piacevoli provvisorie, non si ra-giona più abbastanza, il tempo per riflettere è ridotto al minimo. E questo è un guaio. Non ci si rende conto che in questo modo la vera libertà sfuma, perché la radice della libertà sta nella ragione il-luminata dalla fede. La fede rende aperto il cuore allo Spirito che fa sperimentare la libertà evangeli-ca, cioè la capacità di uscire da se stessi e amare evangelicamente i fratelli. Ogni persona, al di là dell’accoglienza del dono della fede, dovrebbe al-meno coltivare e valorizzare la ragione perché altri-

21Gesù Maestro aprile-Maggio-Giugno 2-2017

Animare con libertà paolina Il nostro servizio apostolico, co-

me preti IGS, non solo deve avere le caratteristiche sopra evidenzia-te ma deve distinguersi nel favo-rire un accrescimento in se stessi e nei fedeli di coscienza matura, di fede adulta, di libertà paolina liberante.

I preti IGS, con il dono del ca-risma apostolico paolino, sono chiamati a diventare veri discepoli di Cristo, a vivere ed educare la gente a valutare e a discernere in modo profondo e integrale su ciò che sta avvenendo nella vita e nel-la storia.

Addestrarci a penetrare, alla luce di Apocalisse 5, nel mistero della realtà, ad “aprire il libro del-la vita e della storia e rompere i sigilli”, ad utilizzare i sette occhi dello Spirito per percepire in pro-fondità la realtà e la storia con la sensibilità evangelica di Cristo.

COMunICAzIOnE DEl DElEGATO

Si tratta di quella dignità e risorsa interiore, rag-giunta dopo un lungo cammino di sequela, sotto la guida dello Spirito, che rende liberi dalle varie paure, dal rispetto umano, dalle convenzioni so-ciali, dal giudizio di coloro che contestano quando si testimonia i valori cristiani e perciò autentica-mente umani.

La libertà evangelica è feconda, perché rende capaci di ricercare il bene comune, attivandosi per realizzarlo, senza farlo pesare, compromettendosi con Cristo e lottando contro arrivismi, prepotenze, arroganze. E per questo comporta saper morire a se stessi, sperimentando pace profonda e fecondi-tà apostolica.

Questa libertà non ha nulla a che fare con la li-bertà formale umana. Oggi infatti in quasi tutte le nazioni, per legge, viene sancito il diritto alla liber-tà e l’illegalità della schiavitù. Ma questo diritto rimane un fatto formale e scritto solo nei codici; in realtà le ingiustizie e la schiavitù, nelle sue varie forme, sono ancora troppo diffuse arrecando tanta violenza e sofferenze.

Riconosciamo con schiettezza che anche nei nostri ambienti ecclesiali, pur con tutte le rego-le morali che abbiamo, capita di vedere e speri-mentare troppe ingiustizie, troppi privilegi, troppe valutazioni e decisioni prese con due pesi e due misure, troppe manifestazioni di preferenze, nono-stante nelle nostre regole di vita siano ben espres-si i valori evangelici dell’accoglienza e comunione fraterna.

Solo la novità Cristo, accolta e impiantata nel cuo-re e nella vita, rompe realmente ed effettivamente le varie schiavitù e situazioni non corrette, dona vera libertà, un nuovo rapporto tra persone e un supera-mento della logica egocentrica del mondo. Cristo ci libera integralmente e ci aiuta a riammettere nella comunione le persone umili o emarginate; ci aiuta anche ad affrontare e superare quella consuetudi-ne molto negativa, anche se non ritenuta tale, di ascoltare, far contare e prevalere la voce di qual-cuno potente e influente umanamente, a scapito di altre voci più semplici e coerenti che sarebbero da prendere in considerazione per discernere meglio le scelte da fare.

22 Gesù Maestro aprile-Maggio-Giugno 2-2017

rizzare le competenze, agevolare le collaborazioni, incoraggiare le di-sponibilità, fanno parte del baga-glio di chi presiede la vita delle co-munità parrocchiali e diocesane. Mettere la persona al posto giusto non è impresa da poco, serve fiuto, buon senso e tolleranza, è un’ar-te da apprendere. Proprio perché amministrare e amministrarsi sono arti delicate e complesse, occorre avere la modestia di riconoscere i propri errori e l’umiltà di farsi cor-reggere e un cuore aperto allo Spi-rito per discernere in profondità.

Beati noi se, sotto la protezione e sull’esempio di Maria Regina de-gli Apostoli, permettiamo alla Pa-rola di Dio e allo Spirito (che parla anche tramite fatti, avvenimenti, correzioni fraterne, prove…) di tra-figgere, purificare la nostra anima (cfr Lc 2,35), lasciandoci trasfor-mare e dilatare i nostri desideri e bisogni in modo da discernere e operare sempre, con libertà evan-gelica: “Tutto quello che è vero, no-bile, giusto, puro, amabile, onorato, quello che è virtù e merita lode è gradito a Dio per la salvezza del-le anime… e perciò sia oggetto dei nostri pensieri e delle nostre scel-te…” (Fil 4,8).

Don Emilio CICCONI, Delegato [email protected]

COMunICAzIOnE DEl DElEGATO

Sappiamo molto bene che siamo chiamati (cfr Statuto e Vademecum) ad uscire dalle sacrestie, a non odorare solo di candele e di incenso, a non li-mitarci ad interpretare con puntigliosa attenzione rubriche liturgiche, smarrendo la lettura integrale e profonda della realtà. Papa Francesco, con il suo linguaggio asciutto ed essenziale, invita a sgombe-rare il nostro interno di “funzionari” per riempire il nostro cuore di “pastori”, in nome e per conto del solo Pastore, Cristo.

Dovremmo distinguerci e risultare punto di ri-ferimento nel saper cogliere i segni dei tempi (compito fondamentale per noi Paolini): comporta tenere gli occhi aperti sulla realtà che ci circon-da nelle sue varie dimensioni. Data la complessità della cultura sono necessarie, oggi, più conoscen-ze e discernimento spirituale: non è più consentita l’improvvisazione, il pressappochismo o il navigare a vista. Si richiede capacità di studio, ascolto, co-noscenze approfondite della realtà, condivisione di opinioni. Senza questa riflessività attenta possono venire a mancare le coordinate giuste per rinnova-re le mappe (che cambiano continuamente) della realtà, della missione pastorale, della catechesi, delle famiglie, delle esigenze della Chiesa e della gente.

Un ultimo appunto di stile per i preti IGS: un di-scernimento importante, per gestire la complessità del ministero e dell’attività pastorale, è quello di scoprire, potenziare e valorizzare le buone collabora-zioni. L’autorevolezza e l’efficacia del ministero del presbitero si dispiegano nella capacità di far lavo-rare bene gli altri. Scovare buoni cooperatori, valo-

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La cura di Gesù

12Mentre Gesù si trovava in una città, ecco, un uomo coperto di lebbra lo vide e gli si gettò dinanzi, pregandolo: «Signore, se vuoi, puoi purificarmi». 13Gesù tese la mano e lo toccò dicendo: «Lo voglio, sii purificato!». E immediatamente la lebbra scomparve da lui. 14Gli ordinò di non dirlo a nessuno: «Va’ invece a mostrarti al sacerdote e fa’ l’offerta per la tua purificazione, come Mosè ha pre-scritto, a testimonianza per loro». 15Di lui si parlava sempre di più, e folle numerose venivano per ascoltarlo e farsi guarire dalle loro malattie. 16Ma egli si ritirava in luoghi deserti a pregare (Lc 5,12-16).

“Signore, se vuoi, puoi purificarmi”: questa toccante esclamazione, con-

tenuta nel Vangelo di Luca, nasce dal profondo del cuore di un uomo malato di lebbra. Egli chiede di essere purificato e, con tali parole, afferma il desiderio di una guarigione del corpo che porta con sé un’aspirazione ancora più intensa: quella di vedere risanata tutta la propria per-sona, nella sua interezza.

Abbiamo infatti bisogno di essere purificati e quindi sanati non solo fisicamen-te, ma anche dal peccato e dalla vulnerabilità, vale a dire dal male che ci abita interiormente e dalla debolezza fragilità della nostra psi-che. Con la sua preghiera il lebbroso in-segna a noi – bisognosi come lui di essere purificati – che cosa fare per percorrere un cammino di guarigione totale.

Il primo passoInnanzitutto occorre non negare la re-

altà e “riconoscersi malati”. L’ammissio-ne di tale necessità non deve essere data per scontata: ognuno di noi può correre il rischio di dimenticare debolezze e pecca-ti, ignorando l’inderogabile bisogno di ri-cevere una guarigione che non si collochi unicamente a livello fisico. Domandare di essere guariti, quindi, non costituisce sol-tanto una richiesta, ma esprime un modo sano di guardare a se stessi, riconoscendo senza paura imperfezioni, fragilità e debo-lezze.

Nel testo di Luca ritroviamo altri per-sonaggi che, benché anonimi, condivido-no lo stesso desiderio del lebbroso: “Fol-

le numerose venivano per ascoltarlo e farsi guarire dalle loro malattie”, scrive l’evangelista. Questi uomini senza volto, di cui è messo in risalto il numero abbon-dante, riconoscono le loro infermità e si muovono per andare da Gesù. Ecco il se-condo elemento importante della guarigione interiore.

Un’apertura possibileOgni tipo di malattia, non

solo quella fisica ma anche la fragilità psicologica e il peccato, trova una risposta positiva solo grazie al supe-ramento di ogni passività, di ogni ripie-gamento su di sé, tentazione che spesso accompagnano la presa di coscienza della nostra debolezza. “Sono fatto così e non

Guarire il cuoreCon l’aiuto di suor Anna Bissi iniziamo un percorso di guarigione dalle ferite interiori con l’aiuto di quel Medico speciale che è Gesù.

Guarire il cuore

24 Gesù Maestro aprile-Maggio-Giugno 2-2017

posso farci nulla”, siamo spesso tentati di dire constatando il nostro limite. Dimenti-chiamo che non c’è possibilità di cambia-mento senza iniziativa ed apertura.

Chi si osserva con lo sguardo contem-poraneamente deluso e sicuro di non po-ter mai cambiare pecca contro la fiducia e la speranza e blocca ogni eventuale trasformazione: impedisce a se stesso di migliorare, negando quelle possibilità di guarigione che ogni uomo possiede fino all’ultimo istante della sua vita.

Non è forse guarito dall’orgoglio Pranzi-ni – il condannato a morte per sui santa Te-resa di Lisieux aveva pregato – il quale, al momento di salire sulla ghigliottina, si pie-ga a baciare quel Cristo crocifisso da lui sem-pre rifiutato? Novello buon ladrone egli ci ha insegnato che, se lo si desidera, si può guarire anche prima di esalare l’ultimo respiro.

Importanza dell’altroLa guarigione, tutta-

via, non è un‘impresa personale e autonoma. Le folle, afferma Luca, andavano da Gesù per “farsi guarire”. Noi siamo incapaci di pro-curarci da soli la gua-rigione, perché essa nasce sempre all’in-terno di un incontro e di un dialogo, che non può prescindere dalla presenza di un altro il quale, in modi diversi e talvolta anche inconsapevoli, ci permette di portare alla luce le nostre infermità psicologiche e spi-rituali.

E’ l’altro che, entrando in contatto con

noi, fa emergere il nostro orgoglio, la col-pa, l’aggressività, l’autosufficienza e tutti quei numerosi mali dell’anima che hanno bisogno di essere riconosciuti per venire sanati. Accogliendoci e dialogando con noi, l’altro può curare la nostra debolez-za: il suo relazionarsi nonostante la nostra fragilità rivela, infatti, che il valore della nostra persona supera ogni nostro limite.

Il vero MedicoL’altro che ci cura favorendo la guari-

gione del cuore è sempre qualcuno che – a sua volta – ha bisogno di essere curato. Le malattie dell’anima e dello spirito trovano soluzioni importanti all’interno delle re-

lazioni con le persone che ci stanno accanto: dall’autosufficienza si esce solo riconoscendo il valore dell’altro, così come si supera la col-pa grazie al perdono. La guarigione, però, non si attua solo “in orizzontale”. Abbiamo bisogno di un medi-co ancora più forte, capace di toccare le profondità del nostro essere e di trasfigurar-le. Chi, infatti, sareb-be in grado di guarirci dalla paura, dal senso di fallimento, dalle insicurezze? Ci rende sicuri solo la possibili-tà di poterci affidare a

qualcuno che dà stabilità alla nostra vita, risponde ai nostri desideri e alle speranze più ardite perché, curandoci, non solo ci trasforma interiormente ma ci garantisce anche una possibilità di guarigione più profonda e totale.

25Gesù Maestro aprile-Maggio-Giugno 2-2017

La cura di Gesù

Per quanto rassicurante sia un padre protettivo, uno psicoterapeuta che sostie-ne e stimola la crescita, un educatore in-coraggiante, rimangono in noi zone d’om-bra gravate da timori, ansie e incertezze. Abbiamo bisogno di quella stabilità che è in grado di donarci solo la relazione con Colui che – oltre a guarirci – ci salva, per-ché ha vinto l’unica paura da cui nessuno è in grado di liberarci: quella della morte. Molti sono infatti i medici della nostra ani-ma e solo aprendoci al loro aiuto potremo lasciar trasformare le profondità del nostro cuore.

Una guarigione interioreEsiste però un Medico la cui azione non

è paragonabile a quella di nessun altro: un Medico capace di trasformarci interior-

mente con le opere, la Parola e soprattutto con la sua stessa vita. Assumendo la no-stra umanità e passando attraverso le no-stre esperienze – morte inclusa – egli ci ha sanati e continua ancora a farlo ogni giorno se gli apriamo il cuore e ci fidiamo di Lui. Egli ha accettato di vivere la realtà della crescita, della tentazione, della debolezza, dell’incomprensione, della persecuzione, della sofferenza fisica e morale, del tradi-mento, dell’abbandono da parte di tutti e della morte, prendendo tutto su di sé in modo nuovo, come nessun altro aveva mai fatto. Compiendo questo passo, ha reso accessibile a tutti noi una vita diversa, ci ha aperto la speranza di una guarigione in-teriore in cui le nostre ferite sono sanate e noi possiamo gustare la pace e la serenità di ritrovarci creature nuove.

Carlo Rocchetta,GeSù MediCo deGli SpoSi.la tenerezza che guarisce,edB, 2015, pp. 312

L’Autore invita a guardare a Gesù e alla forza salvifica della sua persona, per farsi soccorrere da lui e dalla sua grazia perdonante, accettando di essere curati e dicen-do “sì” alla sua sequela. Anche il matrimonio è un sa-cramento “guarito” da Gesù e condotto alla sua bellezza originaria. Il Medico celeste si fa vicino a ogni coppia,

specialmente a quelle ferite o in difficoltà, per curarle, sanarle, guarirle. Come il buon samaritano si china su ognuna di loro, versa sulle piaghe l’olio del sollievo e il vino della consolazione, perché i coniugi non si lascino vincere dai propri limiti, ma con la grazia dello Spirito siano capaci di risorgere e re-innamorarsi ogni giorno. L’esperienza degli sposi di essere guariti dal Medico celeste, rin-novandosi ogni giorno in questa certezza, li rende idonei a divenire a propria volta guaritori di quelle coppie che si trovano in crisi o stanno per separarsi. La missione di Gesù medico passa così agli sposi, proprio come la parabola del buon samaritano descrive, in una parafrasi che l’attualizza all’oggi della coppia e della comunità coniugale.

L’esperienza del perdono

26 Gesù Maestro aprile-Maggio-Giugno 2-2017

È difficile staccare la mente e il cuore dalla ricchezza spirituale che ci è ve-

nuta dall’Anno della misericordia da poco concluso. Per questo desidero ancora con-dividere alcune riflessioni che traggo dal legame che si può cogliere tra la visione evolutiva del mondo propria del pensiero dello scienziato/mistico Pierre Teilhard de Chardin, patrimonio ormai acquisito dalla teologia più avanzata, e l’atteggiamento di rinnovamento profondo che l’evento ci ha proposto.

È noto come Teilhard metta in evi-denza la tendenza all’unione sottesa al divenire del reale in tutti i suoi stadi: dallo stadio ancora inanimato (mondo subatomico) a quello delle cellule, dal mondo vitalizzato (vegetale, animale) a quello degli umani; ed è proprio qui che troviamo il suo primo grande stimolo alla vita interiore del singolo e in particolare del cristiano. La benevolenza reciproca, la carità non può essere più considerata un’arida norma, più o meno arbitraria-mente imposta, cui uniformarsi per gua-dagnarsi la salvezza, ma una profonda, radicale necessità affinché l’evoluzione

continui in noi e aldilà di noi, verso una concreta realizzazione finale, verso una sintesi suprema in Dio.

A scuola di perdonoLa visione teilhardiana ci conduce inol-

tre a quel qualcosa in più che è il mar-chio caratterizzante del cristiano. Anche in altre fedi si parla di benevolenza verso il prossimo, ma solo la preghiera che Gesù ci ha insegnato indica nel perdono la via per giungere al Regno dei Cieli o, detto in altri termini, all’Ambiente Divino. Noi re-citiamo: “rimetti a noi i nostri debiti” ma “come noi li rimettiamo ai nostri debitori”. Il cristiano è chiamato al perdono ed in tal modo viene posta nelle sue mani la chiave per accedere ad un livello ultra-umano.

Il perdono è di per sé un atteggiamen-to innaturale per l’uomo. L’istinto secolare che lo accompagna è quello di difendere la propria individualità, la propria integrità, sia essa fisica o psicologica: autodifesa, non solo, ma anche prevaricazione, sono le modalità con cui dall’inizio del suo diven-tare essere cosciente, l’uomo ha impostato il rapporto con l’altro. Qualche volta, tut-tavia, l’uomo arriva a dire “ti perdono”, a compiere cioè quel gesto da cui poi si con-stata scaturire sicuramente pace, disten-sione nei rapporti, superamento di tensioni e difficoltà nel vivere comune. Ma questi gesti di perdono si susseguono in genere in modo isolato, come accadimenti successi-vi, più o meno frequenti a seconda delle circostanze, frutto di atti di volontà o di momenti di sentimentalismo.

Decisamente più radicale sarebbe giun-

Come uniformarsi alla pazienza divinaPubblichiamo una riflessione su Teilhard de Chardin, fautore della necessità del perdono a cui spesso siamo stati richiamati nell’Anno recente della misericordia.

gere ad un atteggiamento di perdono co-stante, sostanziale. Ebbene confrontarsi con Teilhard significa anche andare “a scuola di perdono” tale che conduca non solo a gesti di misericordia che migliori-no or qua or là i rapporti tra i singoli, ma trasformi dal di dentro e avvicini l’uomo alla irragionevole e costante misericordia di Dio.

A dire il vero l’uomo vive nella conti-nua consapevolezza dei propri limiti, delle proprie debolezze. Ne L’ambiente divino Teilhard ricapitola tut-to ciò sotto il termine di “diminuzioni”: diminu-zioni congenite e diminu-zioni che si aggiungono lungo il corso della vita, a livello fisico o psicolo-gico, senza che noi lo vo-gliamo. Egli scrive “io mi ricevo molto più di quan-to io non mi faccia”, ma sono pur sempre frutto di un grande pro-cesso cosmico, che mira a condurre tutto ad un punto finale di evoluzione massima, per dirlo in termini paolini che mira a ri-capitolare tutto in Dio. Dunque, se questi sono il mio posto e la mia funzione, pos-so ben accettarmi con misericordia e con gioia. In questa accettazione sta un primo atteggiamento di perdono, di perdono ver-so me stesso che sono il primo dono che la vita mi ha fatto. E da questa accettazione si crea un primo luogo di pace, di pace con se stessi, da cui è possibile volgere lo sguardo a tutto ciò che sta intorno, in modo calmo, meditativo, in una sorta di contemplazione “dall’alto”.

Un porto di acque tranquilleLa massa umana è agitata da un conti-

nuo fluttuare di bene e di male, alla ricer-ca, spesso inconscia, di stati di organizza-zione migliori, più coscienti, più umani. A

tutto ciò Teilhard guarda con benevolenza. Non è forse stato detto “E’ necessario che gli scandali avvengano” prima che il Re-gno di Dio si compia, assorbendo in sé la parte eletta dell’universo?

Orbene, una persona che arrivi a saper contemplare non il fatto singolo, ma l’in-sieme, la “storia”, non può più risentire profondamente un’offesa. Sa che siamo nel provvisorio e nel continuo mutevole, verso Cieli nuovi e Terra nuova. Percepi-sce lo scandire e lo scorrere del tempo,

ma sull’orizzonte dell’e-terno. Su questa base può costruire in sé un at-teggiamento di perdono costante, fondamentale, nei riguardi della natura, dell’umanità e di conse-guenza nei riguardi del singolo suo simile.

Teilhard dà importan-za grandissima all’azio-

ne così rettamente intesa. Orbene anche l’atteggiamento fondamentale di perdono assume di per se stesso un valore costrut-tivo. Esso produce, in modo reale, un’oasi di tranquillità, di pace. Chi sa perdonare diventa un porto di acque tranquille, in cui entrano a prendere riposo navi desiderose di calma e forse navi riottose che poi si rituffano nella tempesta. Sì, perché può anche esserci un offensore che non vuol saperne del perdono, ma in questo caso chi ha fatto suo un atteggiamento di visio-ne dall’alto non si perde a recriminare il fallimento: ciò che non è avvenuto ora può realizzarsi più avanti. L’anima di chi rifiuta la riconciliazione è pur sempre bella in fie-ri agli occhi di chi ha la capacità di essere lungimirante.

Sapersi mettere a questa ‘scuola di per-dono’ e, naturalmente, riuscire ad appren-dere ciò che essa vuol trasmettere, significa inoltre far propria una valida arma per non

27Gesù Maestro aprile-Maggio-Giugno 2-2017

Come uniformarsi alla pazienza divina

soffrire. Quando un atteggiamento di per-dono costante ha preso sede nell’animo, in modo tale che non si attenda “l’occasione” per fare la rivoluzione del “riuscire a per-donare”, si perviene ad evitare molta sof-ferenza. Questo perché le reazioni dell’or-goglio, del cieco istinto all’affermazione del proprio ego sono già state superate e la fatica della lotta non si risente più. For-se il bagaglio negativo che ciascun essere trascina con sé non può essere distrutto completamente, rimane pur sempre da fare i conti con l’umanità primitiva laten-te che appesantisce la crescita dell’uomo,

ma volgendo lo sguardo all’immensità del-la vita cosmica e al suo significato ultimo è possibile uniformarsi gradatamente alla pazienza divina. La calamita che attrae nel Cuore delle Cose la sua creatura non è di là da venire. L’Ambiente Divino è attorno a noi: secondo una caratteristica espressione teilhardiana non c’è che da “installarvisi”, per goderne fin da ora i frutti che sono poi quelli che Gesù ha promesso nel suo Van-gelo e cioè la pace e la gioia vera.

Annamaria TASSONE BERNARDI,isf di Torino

L’esperienza del perdono

28 Gesù Maestro aprile-Maggio-Giugno 2-2017

“la stabilità si chiama Gesù”Dall’Omelia di Papa Francesco a Carpi (Mo), 2 aprile 2017

Di fronte ai grandi perché della vita abbiamo due vie: stare a guardare malinconicamente i sepolcri di ieri e di oggi, o far avvicinare Gesù ai nostri sepolcri. Sì, perché ciascuno di noi ha già un piccolo sepolcro, qualche zona un po’ morta dentro il cuore: una ferita, un torto subìto o fatto, un rancore che non

dà tregua, un rimorso che torna e ritorna, un peccato che non si riesce a superare. Indi-viduiamo oggi questi nostri piccoli sepolcri che abbiamo dentro e lì invitiamo Gesù. È strano, ma spesso preferiamo stare da soli nelle grotte oscure che abbiamo dentro, anziché invitarvi Gesù; siamo tentati di cercare sempre noi stessi, rimuginando e sprofondando nell’angoscia, leccandoci le piaghe, anziché andare da Lui, che dice: «Venite a me, voi che siete stanchi e oppressi, e io vi darò ristoro» (Mt 11,28). Non lasciamoci imprigionare dalla tentazione di rimanere soli e sfiduciati a piangerci addosso per quello che ci succede; non cediamo alla logica inutile e inconcludente della paura, al ripetere rassegnato che va tutto male e niente è più come una volta. Questa è l’atmosfera del sepolcro; il Signore desidera invece aprire la via della vita, quella dell’incontro con Lui, della fiducia in Lui, della risurrezione del cuore, la via dell’“Alzati! Alzati, vieni fuori!”. E’ questo che ci chiede il Signore, e Lui è accanto a noi per farlo.Sentiamo allora rivolte a ciascuno di noi le parole di Gesù a Lazzaro: “Vieni fuori!”; vieni fuori dall’ingorgo della tristezza senza speranza; sciogli le bende della paura che ostacola-no il cammino; ai lacci delle debolezze e delle inquietudini che ti bloccano, ripeti che Dio scioglie i nodi. Seguendo Gesù impariamo a non annodare le nostre vite attorno ai pro-blemi che si aggrovigliano: sempre ci saranno problemi, sempre, e quando ne risolviamo uno, puntualmente ne arriva un altro. Possiamo però trovare una nuova stabilità, e questa stabilità è proprio Gesù, questa stabilità si chiama Gesù, che è la risurrezione e la vita: con lui la gioia abita il cuore, la speranza rinasce, il dolore si trasforma in pace, il timore in fiducia, la prova in offerta d’amore.

29Gesù Maestro aprile-Maggio-Giugno 2-2017

Le nostre preghiere

Cara e tenera mia madre MariaLa preghiera “Cara e tenera mia madre

Maria” è certamente una delle pre-ghiere più amate non solo dalla Famiglia Paolina, ma da tutto il popolo di Dio. La fiducia in Dio e la tenerezza espressa nel-le parole “tienimi la tua santa mano sul capo” fa commuovere immediatamente il nostro cuore e ci fa senti-re come bambini accom-pagnati dolcemente dalle mani di Maria durante gli avvenimenti della gior-nata. Lo stesso don Al-berione commenta: «Chi sa cosa possa succedere nella vita, se il Signore non ci tenesse abitual-mente la sua santa ma-no sul capo. Abbiamo bisogno continuo di Dio. Non solo perché Dio deve reggerci in vita, ma anco-ra perché Dio deve darci tutta la forza, tutti i doni dello Spirito Santo, tutte le virtù teologali, tutte le virtù cardinali, tutto lo spirito buono. Guai se il Signore per un momento ci ritira la sua mano, in quel momento noi possiamo cadere nel nulla, quanto all’esistenza, ma possiamo anche mancare, peccare grave-mente e perderci» (APD 57, 75).

Questa preghiera risale a fonti remote. Si ispira all’antica invocazione “Sub tuum præsidium” e alla colletta dell’Ora Prima nella liturgia delle Ore. Don Alberione la fece propria e ne raccomandò la recita fre-quente. Essa compare in tutte le edizioni del libro delle Preghiere. Testimonia suor M. Luigina Borrano fsp che fin dal 1922 «si recitava insieme ogni giorno, mattina e

sera. Era la preghiera mariana da noi pre-ferita, che facevamo conoscere anche alle nostre famiglie. Don Alberione ci diceva che per sentirla e capirla maggiormente, dovevamo leggere le opere di S. Alfonso, specialmente Le glorie di Maria».

Una curiosità: nelle prime edizioni vi si leggeva questa espres-sione: «perché non mi imbratti mai di peccato». Nel 1960 don Alberione corresse questa espres-sione, sostituendola con «perché non commetta il peccato». E spiegò a un gruppo di novizi: «Prima scrissi così perché im-brattavate tutto: i muri, i tavoli, le sedie».

Una piccola variante e completamento fu in-trodotta probabilmente da don Stefano Lamera, quando curò l’edizione delle preghiere paoline per gli “Istituti aggrega-

ti”: infatti la benedizione finale, oltre ad essere richiesta a Gesù e a Maria, viene richiesta anche a san Giuseppe.

Pur nella brevità questa preghiera ci ri-vela come deve essere intesa, secondo don Alberione, la vita umana e il rapporto tra la persona e Dio:* la mente, il cuore e i sensi, cioè le fa-

coltà principali della persona, devo-no essere custodite da Maria e perciò devono agire in riferimento a Dio; ed è già chiaro che la mente (pensare come pensa Gesù Cristo) è al primo posto;

* il peccato deve essere tenuto lontano, con l’aiuto di Maria santissima;

Cara e tenera mia madre Maria

30 Gesù Maestro aprile-Maggio-Giugno 2-2017

* tutti i nostri pensieri, gli affetti, le pa-role e le azioni occorre che siano santi-ficati, cioè degni di essere presentati e offerti a Dio;

* il nostro fine principale – specialmente perché siamo persone consacrate – è quello di “piacere a te e al tuo Gesù e Dio mio”, che è il modo concreto e pratico di cercare la gloria di Dio;

* il desiderio che esprimiamo è quello di “giungere al Paradiso con te”, cioè l’u-nione eterna con Dio, il Paradiso, per cui Dio ci ha creati ed amati.

In sintesi con questa preghiera chiedia-mo l’aiuto e la mediazione di Maria santis-sima per far entrare Dio nelle nostre gior-nate, nelle nostre azioni quotidiane, oltre che nella nostra mente e nel nostro cuore.

Si consiglia di recitarla ogni giorno, al mattino e alla sera; ma anche ogni volta che sentiamo il bisogno di essere amati da Dio. Quando ci sembra che Dio sia lonta-no dalla nostra vita pratica, chiediamogli la sua presenza e benedizione attraverso Maria.

Don Paolo LANZONI ssp

iniziativa della Famiglia paolina per l’estate

Il Direttivo animazione vocazionale paolina ha organizzato una bella opportunità per ragazzi e giovani (15-35 anni) che desiderano fare un’esperienza estiva di approfondimento della fede attraverso l’apostolo Paolo: “Giovani in cammino… sui passi di Paolo”. Una settimana da vivere a Roma, sulle orme di san Paolo, in cui si ripercorrono alcuni tratti della strada romana da lui seguita e si visitano i luoghi che l’hanno visto protagonista.L’appuntamento è per il 24 luglio presso la sede della Società San Paolo in via A. Severo: 7 giorni (fino al 30 luglio) di amicizia, preghiera, riflessione, ma anche trekking urbano e zaino in spalla, alla scoperta di luoghi suggestivi e fortemente evocativi.L’iniziativa è sostenuta da Cattolica Assicurazioni;iscrizioni entro il 30 giugno.Info e contatti: Facebook“Sui passi di Paolo”;suor Roberta,[email protected],334.31.22.879.

31Gesù Maestro aprile-Maggio-Giugno 2-2017

rocchiale al portare la comunione come ministri straordinari dell’Eu-carestia. Ovunque si nota che si è fatta strada la convinzione del dono ricevuto non tanto e solo per se stessi o la propria famiglia ma per essere a disposizione degli al-tri, siano essi i propri figli piccoli, i genitori anziani, i nipoti tanto vi-vaci. Sembra cresciuta negli anni la convinzione che il dono e la missione portano fuori casa, a vol-te anche troppo, oltre comunque i nostri soliti problemi per dilatarci verso chi ha più bisogno incon-trando così Gesù in persona negli altri.

Si sta facendo evidente sempre meglio che lasciarsi scomodare è bello, perché quando ti rendi utile è sempre più quello che ricevi ri-spetto a quello che dai. Addirittura l’amore di coppia cresce in misura che ci si dedica insieme agli altri, quando cioè non si pensa più a se stessi ma alle necessità dei figli, dei genitori, del prossimo.

Qualche faticaA dispetto di tanta singolarità

abbiamo però incontrato delle re-

Visitando i nostri gruppi e ascoltando le singole coppie in questi primi mesi dell’anno insieme

a don Paolo abbiamo notato con soddisfazione che ogni coppia presa in se stessa è davvero splendida, abbastanza motivata nell’appartenenza all’Istituto ed anche desiderosa di santificarsi nel sacramento del matrimonio e nella missione verso altre coppie e famiglie.

Davvero abbiamo notato un grande potenziale di energie e creatività messe a disposizione del Si-gnore nel servizio delle parrocchie, delle altre fa-miglie e della società in genere.

Si va dal catechismo all’animazione dei grup-pi in preparazione al matrimonio o ai genitori che battezzano il figlio, dalla testimonianza di fedeltà al vincolo matrimoniale alla cura dei propri geni-tori anziani o malati, dalla cura della chiesa par-

ISTITuTO “SAnTA FAMIGlIA”Istituto paolino per coppie di Sposi consacrati

lettera del Delegato

“Gareggiate nello stimarvi a vicenda” (Rom 12,10)

32 Gesù Maestro aprile-Maggio-Giugno 2-2017

lETTERA DEl DElEGATO

o scelta da vivere quando e come si vuole: è un impegno assunto davanti a Dio che sbaraglia ogni nostra giustificazione e ci por-ta costantemente in prima linea. D’altra parte sottovalutando l’im-pegno non si può poi pretendere di essere felici: è fuor di dubbio anzi che si innesca un meccanismo vi-zioso per cui siamo noi da soli ad alimentare la nostra infelicità mo-dificando il percorso che il Signore ci ha indicato nello Statuto.

La fraternitàIn qualche gruppo non si vivono

più i momenti specifici di forma-zione e di fraternità. Sembra man-care sempre il tempo e si adduco-no giustificazioni a iosa. Forse non ci si rende conto così dell’abisso che si crea a livello relazionale per cui non ci si conosce più fra fratel-li e sorelle e l’individualismo regna sovrano. Eppure il bisogno degli altri è inciso nella nostra carne e affiora in varie modalità.

sistenze e delle fatiche nella dinamica di comu-nione all’interno dei nostri gruppi. Forse perché ognuno vuole emergere o per quello spiccato in-dividualismo frutto dei nostri tempi ci sembra che nei gruppi venga a mancare la sintonia, l’intesa e la comunione che un tempo erano invece conta-giose e rendevano particolarmente affascinante il ritrovarsi nei gruppi per l’Adorazione, i ritiri e gli incontri fraterni. E’ davvero triste sentire che tante coppie lasciano il ritiro a metà o di altre che infor-mano i Responsabili con un messaggio whatsapp freddo e telegrafico: “Non possiamo esserci al riti-ro” senza nessuna motivazione e senza più infor-marsi di cosa è stato detto. Sembra venuta meno la fiducia reciproca, l’attesa dei momenti fraterni per condividere e si è giunti addirittura a percepi-re i ritiri come un peso, una routine. In qualche gruppo abbiamo allora chiesto cosa rende bello e affascinante un ritiro e si è riconosciuto che non è il luogo o il predicatore o chissà cosa, bensì l’atte-sa e il coinvolgimento di tutti. Non si può aspettare sempre tutto da fuori, come dei sacchi vuoti che devono essere riempiti. C’è una responsabilità per-sonale, una maturità e convinzione che si alimenta nel cuore di ognuno. Ogni coppia deve sentirsi una tessera di un grande puzzle che forma il corpo di Cristo. La mancanza di una, due, tre coppie inde-bolisce l’intero corpo di Cristo, rende più povero il ritiro, debole la condivisione e precario il senso della fraternità.

Pazienza per coloro che sono anziani, malati o comunque impossibilitati ad esserci. Anzi possia-mo ben dire che sono essi le vere colonne che so-stengono i nostri gruppi dal loro letto di preghiera, di sacrificio e di offerta. Alcuni ammalati che ab-biamo visitato ci hanno tanto edificato per lo zelo, la riconoscenza al Signore e lo spirito di fraternità. E’ da loro che dovremmo imparare la grande lezio-ne dell’appartenenza. In realtà li visitiamo troppo poco.

Avendo risposto alla chiamata divina per la missione attraverso la consacrazione dei consigli evangelici un giorno il Signore ci chiederà conto di come abbiamo vissuto la missione e la formazio-ne ad essa. Non si tratta di un superficiale gioco

33Gesù Maestro aprile-Maggio-Giugno 2-2017

lETTERA DEl DElEGATO

lio. “Torna indietro e guarda le me-raviglie del mio mondo”, disse il saggio. Il giovane prese il cucchia-ino e di nuovo si mise a passeggia-re, ma questa volta osservò tutte le opere d’arte. Notò i giardini, le montagne, i fiori. Tornò dal saggio e riferì particolareggiatamente tut-to quello che aveva visto.

“Ma dove sono le due gocce d’olio che ti ho affidato?”, doman-dò il saggio. Guardando il cucchia-ino il ragazzo si accorse di averle versate. “E bene, questo è l’unico consiglio che ho da darti”, conclu-se il saggio. “Il segreto della feli-cità consiste nel guardare tutte le meraviglie del mondo senza mai dimenticare le due gocce d’olio nel cucchiaino”.

Morale della favola: finchè sia-mo preoccupati così tanto di noi non possiamo vedere attorno a noi le meraviglie che sono gli altri…

Aria di rinnovamentoInsieme a don Paolo vorremmo

smuovere quella indolenza che ha portato i nostri gruppi in una fase di stallo; vorremmo che vi accorge-ste che l’Istituto è davvero vostro ed ha bisogno di voi tutti per an-dare avanti, nessuno escluso. Vor-

“È necessario aiutare a riconoscere – scrive il Papa in Evangelii Gaudium 91 - che l’unica via consiste nell’imparare a incontrarsi con gli altri con l’atteggiamento giusto, apprezzandoli e accet-tandoli come compagni di strada, senza resisten-ze interiori. Meglio ancora, si tratta di imparare a scoprire Gesù nel volto degli altri, nella loro voce, nelle loro richieste. È anche imparare a soffrire in un abbraccio con Gesù crocifisso quando subiamo aggressioni ingiuste o ingratitudini, senza stancar-ci mai di scegliere la fraternità”.

E prosegue al n. 92: “Lì sta la vera guarigione, dal momento che il modo di relazionarci con gli altri che realmente ci risana invece di farci ammalare, è una fraternità mistica, contemplativa, che sa guar-dare alla grandezza sacra del prossimo, che sa sco-prire Dio in ogni essere umano, che sa sopportare le molestie del vivere insieme aggrappandosi all’amo-re di Dio, che sa aprire il cuore all’amore divino per cercare la felicità degli altri come la cerca il loro Pa-dre buono. Proprio in questa epoca, e anche là dove sono un «piccolo gregge» (Lc 12,32), i discepoli del Signore sono chiamati a vivere come comunità che sia sale della terra e luce del mondo (cfr Mt 5,13-16). Sono chiamati a dare testimonianza di una appartenenza evangelizzatrice in maniera sem-pre nuova. Non lasciamoci rubare la comunità!”.

Il segreto della felicitàBen si addice a noi quanto racconta B. Ferrero

in una delle sue storie dell’anima.Un giovane domandò al più saggio di tutti gli

uomini il segreto della felicità. Il saggio suggerì al giovane di fare un giro per il palazzo e di tornare dopo due ore. “Solo ti chiedo un favore”, concluse il saggio, consegnandogli un cucchiaino su cui ver-sò due gocce d’olio. “Mentre cammini, porta que-sto cucchiaino senza versare l’olio”.

Dopo due ore il giovane tornò e il saggio gli chie-se: ”Hai visto gli arazzi della mia sala da pranzo? Hai visto i magnifici giardini? Hai notato le belle pergamene?”. Il giovane, vergognandosi, confessò di non avere visto niente. La sua unica preoccupa-zione era stata quella di non versare le gocce d’o-

34 Gesù Maestro aprile-Maggio-Giugno 2-2017

lETTERA DEl DElEGATO

diminuiscono il Signore si avvale di coloro che sono più motivati e sentono davvero l’appartenenza. Come Delegati poi stiamo proce-dendo alla sostituzione dei Re-sponsabili di gruppo con scaden-za quinquennale come prevede lo Statuto affinchè si crei una vera e propria cultura dell’alternanza nel servizio. Anche questo è un segna-le di rinnovamento.

A fine aprile iniziano i 21 cor-si di Esercizi programmati per il 2017: ci auguriamo di incontrar-vi tutti per pregare insieme, gioi-re dei numerosi doni del Signore e fare esperienza della fraternità che ravviva il cuore e ci lancia nel-la missione verso le famiglie.

Don Roberto ROVERAN, Del. [email protected]

remmo portare una ventata di aria nuova stimolan-dovi a gioire per la preziosità del dono ricevuto e a diffonderne la fragranza a chiunque incontrate sul vostro cammino quotidiano. La formazione passa attraverso i ritiri, le Adorazioni e gli incontri frater-ni di cui c’è grande bisogno altrimenti il dono si perde. Evitate pertanto le giustificazioni lasciando al primo posto nelle vostre scelte la vita dell’Istitu-to. Con il contributo gioioso di tutti potremo rinno-vare dal di dentro ogni gruppo e anche se i numeri

Nuovi Responsabili di Gruppo in ordine cronologico di nomina

Montefalcone Maria e Nicola Di Blasio 1° marzo 2016Favara Maria e Aurelio Bosco 18 novembre 2016Canicattì Mirella e Agostino Di Bella 18 novembre 2016Delia Grazia e Calogero Insalaca 24 novembre 2016Sommatino Grazia Fonti Indorato 24 novembre 2016Montemurlo Maria e Salvatore Limuti 14 febbraio 2017Orosei Grazia e Massimo Castellani 14 febbraio 2017Sassari Caterina Pischedda con Paola Polese 15 febbraio 2017Cagliari Sabrina e Roberto Cannavera 15 febbraio 2017Camerano Simonetta e Franco Recanatini 20 febbraio 2017Palermo1 Rosaria e Giovanni Chiommino 1° marzo 2017Corleone Mariella e Salvatore Marino (in aiuto) 1° marzo 2017Roma Elisabetta e Domenico Amoroso 9 marzo 2017Teramo Luciana e Rossano Di Michele 15 marzo 2017Verona Rita e Giuseppe Peroli 25 marzo 2017

35Gesù Maestro aprile-Maggio-Giugno 2-2017

lETTERA DEl DElEGATO

GIUBILEI DEI MEMBRI ISTITUTO SANTA FAMIGLIA25 ANNI DI CONSACRAZIONE

ALTANA GIOVANNI e PINA BERNABÉ CAMPOLI PAOLA

BERRINO GIUSEPPE e TERESA CANNARSA CASOLINO ANNA

CARDINALI VALTER e PATRIZIA CAVALLUZZI CUTRONE DOROTEA

CIALONA ANTONINO e FRANCESCA CURZI SERGIO e SILVIA

DE SANTIS AMILCARE e ANTONIA DE STAVOLA RENATO

DELFINO GIACOMO e ROSINA DITILLO COSIMO e PASQUINA

FIORETTO PIERANGELO e MIRIAM GATTO PAOLO e SILVANA

GUERRA FRANCO e PATRIZIA

IORIO ASQUINO CATERINA MELANI BALDINI STEFANIA MONACO ANTONIO e ANNA

MONACO NICOLA e COLOMBA NITTO LEONARDO e FILOMENA NOCITO DELVISIO e ROSETTA

PALMIOTTO GIUSEPPE e VINCENZA PALMIOTTO NICOLA e ROSANNA

RAGUSO MICHELE e MARIA TERESA SANTUCCI CORVESI MARIA

SCIRPOLI FRANCESCO e RAFFAELLA SPERA GIOACCHINO e GIOVANNA

STASI VINCENZO e GRAZIA STRAFINO COSIMO e M. ADRIANA

VALPIANI VALERIANO

Siamo lieti di ospitare coloro che desiderano partecipare il 29 giugno alla Celebrazione dei Giubilei come Famiglia Paolina presieduta dal Superiore generale della Società san Paolo nella cripta del Santuario della Regina degli Apostoli. Invitiamo a prenotarsi per tempo presso la nostra Segreteria:

mail [email protected], oppure tel 06-7842455 (mattino)

il ringraziamento di un Gruppo isf

Così si legge in una “circolarina” di marzo 2017, a pag. 3: “Il Gruppo di Sassari ringrazia col cuore don Roberto e don Paolo per le tre giornate che, nella loro disponibilità e

operosità, hanno dedicato ai membri isf della Sardegna nel mese di febbraio scorso; in particolare a noi di Sassari nella mattinata di un sabato e per tutti i fratelli dell’isola nella giornata di domenica nel Ritiro regionale con il pellegrinaggio al Santuario della Madonna del Rimedio in Oristano. Un grazie anche a don Mario che ha proposto la meditazione sul tema del mese.L’incontro con il nostro Gruppo è stato importante e proficuo: il Delegato ha dato a tutti i presenti la possibilità di aprire il proprio cuore sollecitando ognuno ad intervenire; così ciascuno ha potuto esprimere con sincerità, pacatezza e disinvoltura i disagi nella vita di gruppo chiedendo quelle modifiche che possono migliorare l’essere gruppo e la comunione all’interno di esso. Il tutto si è svolto in un clima di serenità, unione e fraternità.Grazie ancora a don Roberto e a don Paolo per la delicatezza con cui ci avete fatto sen-tire a nostro agio e tutti fratelli e sorelle in Cristo”.

Ogni santo giorno una donna andava a prendere l’acqua per il suo piccolo

villaggio. Il fiume non era poi così distan-te e bastavano due ore per raggiungerlo. Portava l’acqua in due vasi di terracotta, sospesi alle estremità di un bastone che teneva sulle spalle. Arrivava però a desti-nazione solo un vaso e mezzo d’acqua e non due. Infatti mentre il vaso di destra era perfettamente integro, quello di sini-stra aveva una crepa e durante il tragitto perdeva metà del suo contenuto. La donna non sembrava dolersene e tutti i giorni portava l’acqua al villaggio.

Naturalmente il vaso perfetto era orgo-glioso dei propri risultati, mentre il povero vaso crepato si vergognava del proprio di-fetto ed era avvilito di saper fare solo la metà di ciò che avrebbe dovuto fare, di ciò che ci si aspettava da lui.

Passarono ben due anni prima che trovasse il corag-gio di parlare alla donna. Fi-nalmente un giorno, lungo il cammino, le disse: “Mi ver-gogno di me stesso perché questa crepa nel mio fianco fa sì che l’acqua fuoriesca lungo tutta la strada verso il villaggio”.

La donna non si scompo-se, continuò a camminare e rispose sorri-dendo: “Ti sei accorto di quanti bei fiori ci sono dalla parte sinistra del sentiero? Io ho sempre saputo di questa tua caratteri-stica, perciò ho piantato dei semi dal tuo lato del sentiero e ogni giorno tu li innaffi. In questi due anni, grazie a te, ho potu-to raccogliere tanti bei fiori e decorare il nostro villaggio. Sai fare cose che il vaso integro non potrà mai fare. Se tu non fossi

come sei, il nostro villaggio non sarebbe così bello”.

Questa fiaba africana ci tocca nel pro-fondo: riguarda il nostro rapporto con gli altri, ma anche con noi stessi. Le crepe del vaso possono rappresentare “difetti” di altre persone con cui ci relazioniamo, ma possono riguardare anche parti difficili di noi stessi.

Ognuno di noi ha i propri vasi crepa-ti, parti di noi che ci infastidiscono, che non vogliamo riconoscere. Ognuno di noi può scegliere di provare (normalmente in-vano) a riparare le crepe oppure può, più produttivamente, provare ad accettarle per poi scoprirne i talenti: possiamo scegliere

di lamentarci e recriminare contro il destino che ci ha riservati quei vasi crepati o scegliere di imparare a voler-gli bene e iniziare a guardar-li con occhi nuovi. In fondo nella fiaba il vaso crepato sa fare cose che quello integro non è in grado di fare.

La nostra identità più in-tima è costituita dai nostri più evidenti talenti, ma an-che da quelli nascosti nelle pieghe “meno convenienti” della nostra personalità. La

nostra identità è raccontata anche da quei tratti apparentemente carenziali che spes-so contengono invece i nostri talenti più preziosi.

Alla fine della tua giornata loda e rin-grazia il Signore per una cosa bella che hai vissuto, ma non smettere di considerare la preziosità dei tuoi limiti per stare con i piedi per terra e poter ricorrere alla grazia divina.

La bellezza delle crepe

Le storie insegnano

36 Gesù Maestro aprile-Maggio-Giugno 2-2017

37Gesù Maestro aprile-Maggio-Giugno 2-2017

Le relazioni

Lo Spirito Santo fa sì che in una comu-nità ci sia comunione, però è evidente

che c’è bisogno della collaborazione dei membri della comunità. Questa avviene attraverso il dialogo.

Il dialogo è la reciproca accoglienza dei doni di ognuno; tutti i doni sono necessari, per poter crescere secondo il disegno di Dio. Il dialogo non è una semplice conver-sazione, fatta tra persone che non le im-pegna nel profondo, in quanto non c’è la spinta a oltrepassare l’Io e il Tu, per fare il Noi. Non è dialogo neppure un dibatti-to accademico, cioè quando ci sono delle “tavole rotonde”, dove ognuno dice la sua. Ma per poter portare avanti il proprio pen-siero in questa dialettica s’incontrano del-le idee e non delle persone, restano fuori le emozioni, emerge la propria intelligen-za, cultura e capacità.

Il dialogo non è una discussione; nel-la discussione tra due persone che lottano una vuol prevalere sull’altra, nessuno è di-sposto a cedere e quindi si crea un distac-co. Non è dialogo neppure la propaganda di una verità, il voler per forza imporre un punto di vista all’altro, facendolo appari-re come un’offerta libera, ma in realtà è un’imposizione. Non è questo l’atteggia-mento di Dio. Gesù Cristo, pur essendo la Verità in persona, ha sempre proposto e mai imposto.

Che cos’è il dialogo?Il dialogo è una parola che corre alter-

nata tra due o più persone, percorrendo un cammino di luce, non c’è nè discussione,

nè imposizione. Quindi il dialogo è solo un parlare per farsi luce vicendevolmente, in modo che attraverso questa luce, che insieme ci facciamo, possiamo scoprire la volontà di Dio nei nostri confronti.

Nessuno può presumere di essere il de-tentore esclusivo della verità, perché solo uno è il detentore esclusivo della Verità, Gesù Cristo. La Verità Personificata.

Di mano, in mano, che questa parola si alterna, gli interlocutori vengono illuminati a vicenda con la verità e di conseguenza si arricchiscono reciprocamente. Tutto ciò richiede il rispetto dell’altro, considerato non come un oggetto con cui giocare ma un soggetto da rispettare nella sua totale libertà, così come il Signore fa nei nostri confronti.

Con il dialogo le persone si avvicinano sempre di più spiritualmente fino a fonde-re i diversi punti di vista in uno unico, che è il più completo e più vicino alla verità. Il dialogo è un libero e reciproco dono del-la luce, della verità che ognuno possiede, ma non totalmente in quanto ognuno pos-siede solo una parte della verità. Anche

Il dialogo e le sue regoleAlla base delle numerose nostre relazioni interpersonali c’è il dialogo. Eppure quanto siamo capaci di dialogare? Seguiamo davvero Gesù, il divino Maestro, che ascoltava tutti e aveva tempo per chiunque? Ci lasciamo aiutare da alcune semplicissime ma fondamentali regole.

Il dialogo

38 Gesù Maestro aprile-Maggio-Giugno 2-2017

il dialogo ha le sue regole affinché possa riuscire.

Le regole del dialogo1°) Disporsi all’ascolto. Ci si dispone

all’ascolto dell’altro non tanto ascoltando la voce, quanto il cuore. Bisogna capire at-traverso la voce cosa c’è in fondo al cuore dell’altro. A volte le parole possono esse-re fraintese, ed è per questo che bisogna stare attenti a non fraintendere quello che viene detto e quindi disporsi all’ascolto di quello che è in fondo al cuore.

Chi si dispone all’ascolto in modo recet-tivo cerca di sintonizzarsi, evita di imporre le proprie idee, non interviene con facili giudizi o consigli, più che intervenire è in ascolto cercando di capire.

2°) Lasciar parlare. Non troncare il discorso, anche quando è già chiara la conclusione. Bisogna capire e intuire che spesso chi parla ha più bisogno di scarica-re, piuttosto che ascoltare consigli; non si può sovrapporsi o sostituirsi all’altro, è lui che deve camminare nella strada di ricerca della verità.

3°) Lasciarsi mettere in discussione. L’ascolto attento dell’altro deve servire a te; l’altro nel parlare si sfoga, ma il risulta-to deve porre le sue radici in te, cambian-do qualcosa, non ci si deve mai sentire arrivati senza il bisogno di consigli di luce.

4°) Ricercare sinceramente e umilmen-te la verità e il bene; non il proprio “Io” o la propria affermazione. Bisogna cercare la verità e il bene che sono in Dio stes-so, aiutandosi insieme nella realizzazione; solo chi è povero di spirito riesce a fare tutto questo e quindi è importante vivere la povertà nel senso evangelico.

Poveri di spirito significa ritenersi pove-ri di tutto e bisognosi di tutto, vedere tutta la potenza del Signore e la nostra incapa-cità. Povero in spirito è colui che è proteso

in avanti. Chi crede di non aver bisogno di arricchimento non è capace di dialogare.

Gesù, è venuto sulla terra per dialogare, per salvare l’uomo. Lui è il vero dialogante con l’uomo, eppure anche Lui con tutta la sua perfezione e capacità di dialogo non è riuscito a dialogare con alcune persone (Scribi e Farisei ad es.), perché esse si sentivano degli arrivati, non pensavano di aver bisogno di altri insegnamenti.

Questa situazione può capitare anche nell’ambito della famiglia, tra marito e mo-glie, o tra genitori e figli; pur avendo uno dei coniugi tutta la qualità per poter dialo-gare, se dall’altra parte non c’è corrispon-denza, è chiaro che il dialogo è chiuso.

Chi è nella disposizione del dialogo, ma non riesce a dialogare, non gli resta che mettere in pratica le tre virtù teologali: fede, speranza e carità. Deve credere che il Signore può fare miracoli e quindi met-tere tutto nelle mani di Dio, ma deve an-che attendere nella pazienza, mettendo in pratica la virtù della speranza. Inoltre deve essere caritatevole verso l’altro (il male si vince con il bene, dice san Paolo), dare se stesso all’altro in maniera gratuita, così come ha fatto Gesù Cristo.

Se l’uomo non pensasse a sé stesso, ma alla felicità dell’altro, non ci rimetterebbe nulla, anzi sarebbe più ricco. Il dialogo non è altro che un arricchimento vicendevole.

Don Cesare FERRI igs

Vedovanza

Sin dai suoi inizi, la Chiesa ha nutrito una predilezione per le vedove e le ha invi-

tate a coltivare le ricchezze spirituali della loro vocazione. Ancora oggi la Chiesa rivol-ge il suo appello al mondo vedovile per una vita di santità e di apostolato.

Il card. Dionigi Tettaman-zi, ora arcivescovo emerito della diocesi milanese, per aiutare spiritualmente le mol-te vedove che sono sottopo-ste ad una amara e forte sof-ferenza derivante dalla morte del proprio amato marito, ha scritto, qualche tempo fa, un testo intitolato L’amore fedele oltre la morte (che non si trova più), sviluppando il tema in base al discorso pronunciato da Papa Pio XII a Castelgandolfo il 16 settembre 1957 (che costituisce la magna charta della spi-ritualità cristiana della vedovanza), con ri-ferimento ai testi evangelici, alle lettere di S. Paolo e alle numerose encicliche papali.

Tra le persone della terza età che fanno parte del nostro Istituto vi sono molte vedo-ve e vedovi che restano come “frastornati” dalla morte del loro coniuge e si pongono tante domande sull’aspetto spirituale e re-ligioso del loro stato matrimoniale e verso quale destinazione orientare il loro amore sponsale.

Pensando di fare cosa gradita a coloro che si trovano nello stato della vedovanza, proponiamo alcuni stralci di quel testo sud-dividendoli in tre brevi puntate. L’autore si rivolge per semplicità di espressione alla

vedova, ma si può ben capire che il con-tenuto è rivolto anche al vedovo. Pertanto ove è scritto: vedova, sposa, moglie, donna, ecc., deve intendersi anche vedovo, sposo, marito, uomo e viceversa.

Una croce pesantissimaLa morte nel momento

stesso in cui colpisce uno dei coniugi della famiglia - in particolare se nel pieno del-la virilità e lo strappa al suo focolare - affonda nel cuore di chi rimane, una croce pe-santissima, un dolore indele-

bile, proprio di un essere al quale è stata strappata la parte migliore di sé: la perso-na amata, il centro del suo affetto, l’idea-le della sua vita, la forza calma e dolce su cui faceva affidamento con cieca fiducia, il consolatore capace di comprendere tutte le sue pene e di addolcirle.

Ciò si comprende alla luce del matrimo-nio come “mistero di unità”. Questo è il dise-gno di Dio: “Non sono più due, ma una sola carne” (Mt 19,6). L’amore coniugale è una “forma tutta speciale di amicizia personale, in cui gli sposi generosamente condividono ogni cosa, senza indebite riserve o calco-li egoistici” (Humanae vitae, 9). Un tem-po: un’esistenza sognata ed esperimentata come “vita a due”! Ora: la solitudine, «la donna si trova spaventosamente sola, ab-bandonata».

Ma chi rimane, deve vivere. E la vita si fa piena di problemi e di responsabilità nuove,

Quando si rimanesenza la persona amata

39Gesù Maestro aprile-Maggio-Giugno 2-2017

Da più parti ci è stata segnalata l’esigenza di aiutare coloro che rimangono senza la persona amata. Lo facciamo attraverso alcune riflessioni volte a riconoscere che l’amore matrimoniale vincola oltre la morte.

Quando si rimane senza la persona amata

40 Gesù Maestro aprile-Maggio-Giugno 2-2017

non previste. Quante apprensioni, dubbi, difficoltà, incomprensioni, scoraggiamenti, sacrifici, pene, una vedova può incontrare! La croce della perdita del marito pare si moltiplichi in tante altre croci!

L’Amore è eternoLa prima ricchezza fra tut-

te è la convinzione vissuta che la morte, anziché distrug-gere i legami d’amore umano e soprannaturale contratti con il matrimonio, può perfezionarli e rafforzarli.

E sussiste e continua an-cora ciò che ne costituiva l’anima; ciò che le conferiva vigore e bellezza, cioè l’amore coniugale con tutto il suo splendore e i suoi voti di eternità, così come esistono gli esse-ri spirituali e liberi che si sono offerti l’uno all’altro.

Un primo invito del Papa alla vedova è di leggere in profondità il proprio matrimonio. Una visione superficiale la conduce a non ritenersi più una «sposa»: giuridicamente e sensibilmente l’istituto matrimoniale non esiste più. Ma il matrimonio è dato anzitutto da una realtà spirituale (due anime immor-tali che si uniscono), “dal patto coniugale, vale a dire dall’irrevocabile consenso per-sonale” (Gaudium et spes, 48). E ciò che costituisce il cuore stesso del matrimonio è l’amore coniugale.

E l’amore coniugale proclama: “Amo te, te solo, per sempre!”. Se l’amore riempie prima il tempo su questa terra, è per sfocia-re poi nell’eternità.

È questo il senso più profondo dell’in-dissolubilità coniugale la cui grandezza si rivela alla luce del legame eterno che vin-cola Gesù Cristo alla sua Chiesa. È così che la vedova cristiana è chiamata a credere all’eternità del proprio amore e a vivere con particolare intensità il valore dell’indissolu-

bilità al di là dei limiti del tempo (nell’e-ternità).

Parlando ai novelli sposi il 29 aprile 1942 Pio XII illustrava così questo valore: «Se l’affetto coniugale conosce albori e au-rore, non ha da conoscere tramonti o sta-

gioni... perché l’amore vuole essere sempre giovane, incrol-labile al soffiare dei venti. Voi così attribuite al vostro amore nuziale, senza accorgervene, con santa gelosia, quel segno caratteristico che l’apostolo Paolo ascriveva alla carità, quando, esaltandola, diceva:

l’amore non viene mai meno (1 Cor 13,8)... Anche se l’amore coniugale in questo par-ticolare carattere (unione per la procreazio-ne) termina col cessare dello scopo a cui era ordinato sulla terra, tuttavia, in quanto esso ha agito nelle anime dei coniugi e le ha strette l’una all’altra in quel più gran-de vincolo d’amore che unisce i cuori a Dio e fra di loro, tale amore rimane nell’altra vita, come rimangono le anime stesse, nelle quali aveva avuto dimora quaggiù».

E Pio XII prosegue: la morte può perfe-zionare e rafforzare i legami d’amore umano e soprannaturale. L’eternità non rinnega gli autentici valori spirituali vissuti in terra, ma li porta a definitiva maturazione. La vedova ha pieno diritto di sentirsi sposa; vive anco-ra dell’amore coniugale, anche in un modo nuovo.

Solo così si può comprendere quanto dirà più avanti il Papa: “Ecco la grandez-za della vedovanza quando è vissuta come prolungamento delle grazie del matrimonio e come preparazione del loro dischiuder-si nella luce di Dio”, e quanto ha scritto il Concilio (GS 48): la vedovanza accettata «come continuazione della vocazione co-niugale» (continua).

A cura di don Paolo LANZONI ssp

41Gesù Maestro aprile-Maggio-Giugno 2-2017

Esperienze e testimonianze

Dal 3 al 5 marzo scorso si è svolta a Ro-ma, presso le Figlie di san Paolo, l’in-

contro formativo annuale fra Juniores della Famiglia Paolina con la partecipazione degli Juniores delle Congregazioni paoline e degli Istituti di vita secolare consacrata. Per Juniores si intendono coloro che sono nella tappa formativa che precede la con-sacrazione definitiva o perpetua.

Noi siamo Antonio e Bonaria, una cop-pia dell’Istituto santa Famiglia ed appar-teniamo al gruppo di Oristano. Trovandoci a Roma, alla casa “Don Stefano Lamera”, per svolgere un servizio di volontariato e di accoglienza, siamo stati invitati a parteci-pare e a rappresentare le coppie Juniores del nostro Istituto.

Il venerdì abbiamo iniziato con l’Eu-caristia. Dopo cena siamo passati alla di-namica di conoscenza, animata dalle Pie Discepole giovani. E’ risultato un bellissi-mo momento in cui ciascuno ha avuto a disposizione un adesivo su cui scrivere il proprio nome da applicare sul petto così da poterci chiamare per nome. Una delle sorelle ha poi preso un gomitolo di lana che è stato srotolato e passato di mano in mano. Ciascuna delle persone che lo ri-ceveva doveva presentarsi e raccontare la propria vocazione dal primo momento in cui il Signore aveva preso posto nella sua vita. E’ stato bello sentire come ognuno si lasciava andare a raccontare la propria sto-ria condividendola con tutti.

Il sabato, giornata piena. Si è iniziato con le lodi e poi le meditazioni del paolino biblista don Giacomo Perego.

La prima meditazione ha riguardato Abramo che fa il suo discernimento in

cammino mentre la seconda si è concen-trata sul discernimento di Maria: anche per lei si compie un cammino con un percorso che va dall’Annunciazione alla Croce.

I partecipanti poi, suddivisi in gruppi, hanno applicato le riflessioni ai cammini di fede di Mosè, Pietro e Paolo. La giorna-ta si è conclusa con l’Adorazione eucaristi-ca animata e proseguita poi a turno tutta la notte.

La domenica è iniziata con le lodi, poi la Messa, la verifica e quindi il pranzo e il congedo.

Per noi è stata la prima volta che ci siamo ritrovati con religiosi e religiose giovani della Fami-glia Paolina a con-

dividere preziosi momenti di spiritualità in un clima di vera famiglia. Ringraziamo il Signore per questa bella esperienza e per aver conosciuto e condiviso con altri Ju-niores e i loro formatori due giorni intensi pieni di gioiosa condivisione fraterna.

Bonaria e Antonio ATZORI, isf di Oristano

Giorni gioiosi fra Junioresdella Famiglia Paolina

Esperienze e testimonianze

42 Gesù Maestro aprile-Maggio-Giugno 2-2017

Nel lontano 1991, nel mese di feb-braio, suor Angelica Ballan delle Pie

Discepole venne a trovarci nei locali della tipografia che allora erano in via Portuense con la proposta di stampare per don Stefa-no Lamera, Postulatore della causa di don Alberione e Responsabile dell’Istituto Gesù Sacerdote e dell’Istituto Santa Fami-glia, un libretto sui misteri del Santo Rosario illustra-to con le sculture realizzate dalla stessa suor Angelica.

L’intento di don Lame-ra, disse suor Angelica, era quello di realizzare un picco-lo libretto sul Rosario che po-tesse “finire” nelle borsette delle signore... in modo che, a suo parere, questo potesse essere un mezzo efficace a far entrare il Rosario nelle fa-miglie, essendo convinto che le sculture di suor Angelica – e lo ripeteva anche a lei – piacessero non soltanto alle signore, ma anche ai bambini!

Dopo qualche giorno mi incontrai perso-nalmente con don Stefano presso l’Istituto Santa Famiglia in circonvallazione Appia portando le bozze del libretto che nel frat-tempo avevamo realizzato. All’incontro era presente anche suor Angelica. Don Ste-fano mi ricevette molto cordialmente e disse che era molto soddisfatto del lavoro realizzato al quale, comunque, fece del-le osservazioni chiedendomi di apportare qualche modifica grafica sull’impaginato. Cosa che mi affrettai a realizzare volentieri e velocemente... mettendo le basi per un bellissimo cammino di lavoro e soprattutto di amicizia.

Ricordo che se trascorrevano più di due giorni senza avere notizie reciproche don Stefano dava indicazione alla sua segreta-ria suor Eulogia di contattarmi. Ma spesso era lui che chiamava di persona e con la sua voce potente mi diceva: “Ehi, uomo,

come mai non vieni a trovar-mi?”. “Don Stefano, non ab-biamo niente in lavorazione, che vengo a fare?”. “Tu pas-sa, uomo” – mi esortava lui... e trovava sempre qualcosa da farmi stampare. Ma era chia-ro che il lavoro era anche un motivo per vederci e parlare di noi e delle attività della nostra giornata: segno di una vera e profonda amicizia.

Per me don Stefano di-venne non solo un padre spirituale ma un padre vero – perché io ho perso il mio a 11 anni – e lui mi ha fatto sentire sempre la sua vici-

nanza, proprio come a un figlio. Mi piace concludere questa mia testi-

monianza raccontando la storia dell’ultimo lavoro stampato per don Stefano. Erano i giorni a cavallo tra la fine del 1993 e l’ini-zio del 1994, quando don Stefano comin-ciò a darmi i testi e le foto per realizzare un libretto su San Giuseppe. Ma il cammino del lavoro diventò più lungo del previsto.

Si andò avanti per mesi e mesi, con bozze e correzioni, altre bozze e altre cor-rezioni e poi... un lungo periodo di pausa. Quando riprendemmo a parlare del libretto le sue parole furono: “Uomo, devi sapere una cosa: io non posso morire senza ave-re stampato il libretto di San Giuseppe!”. Questa frase me la ripetè molte volte, fino

La mia amicizia con don Stefano

La copertina del primo lavoro realizzato per don Stefano

Lamera, inizialmente in 10.000 copie e poi più volte ristampato

43Gesù Maestro aprile-Maggio-Giugno 2-2017

Esperienze e testimonianze

a quando – eravamo ormai nei primi gior-ni di maggio del 1997 – don Stefano mi diede l’OK di stampa: “Stampami 30.000 copie e sbrigati!”. Mi chiesi il perché di tutta quella fretta improvvisa. La risposta arrivò, purtroppo, molto in fretta…

Verso la metà di maggio andai da lui, che si trovava in Istituto ad amministrare la confessione ad alcuni sacerdoti, con un acconto delle copie del libretto stampato.

Suor Eulogia avvisò subito don Stefano: “E’ arrivato Ersilio e ha portato un po’ di copie del libretto di San Giuseppe!”. Uscì immediatamente dalla stanza dove stava confessando, scusandosi con i sacerdoti per l’interruzione che lo avrebbe tenuto lontano almeno mezz’ora. Mi fece accomo-dare in un’altra stanza e prese subito una copia del libretto. Dimostrò la sua conten-tezza e tutta la soddisfazione per quello che avevamo “costruito” insieme con un

caloroso abbraccio di ringraziamento. Poi mi confessò ed io gli comunicai con gioia che la domenica successiva avrei festeg-giato 25 anni di matrimonio.

Mi benedisse e mi salutò calorosamen-te. Dopo la festa del 25.mo di matrimonio con mia moglie Adalgisa partimmo per una crociera. Al rientro mi chiamò suor Alina.

“Ciao, suor Alina” – dissi con gioia. Ma alla mia gioia fece da contraltare la sua tri-stezza: “Purtroppo ho da darti una brutta notizia” – trattenne la voce un attimo, che mi riempì d’angoscia – “è morto don Ste-fano!”. Immediatamente con la memoria ritornai alla frase che mi ripeteva spesso: “Uomo, io non posso morire senza avere stampato il libretto di San Giuseppe!”.

Gli avevo consegnato un po’ di copie il mese prima...

Ersilio MANCINI,Tipografia Trullo

Il 19 marzo scorso a Cinisello Balsamo (Milano) come di consueto si è tenuto

il ritiro mensile del gruppo ISF di Milano-Lombardia. Il ritiro mensile è certamente uno dei momenti più attesi dal nostro gruppo così eterogeneo i cui componenti provengono da varie città.

Ogni ritiro è sì una festa, ma quella do-menica ha avuto qualcosa in più: oltre che terza domenica di Quaresima era anche la festa di San Giuseppe, patrono del nostro gruppo... e allora è diventata una grande festa!

Abbiamo concordato l’evento con il sa-cerdote che ci accompagna spiritualmen-te, don Elio Sala, e con il Superiore della comunità paolina di Cinisello, don Giaco-mo Perego, che gentilmente ci ospita ogni mese. E’ nato così un meraviglioso incon-

tro che ha coinvolto non solo noi dell’Isti-tuto Santa Famiglia ma anche i Sacerdoti, i confratelli e le Pie Discepole di Cinisello, nonché alcuni simpatizzanti.

La giornata ha avuto il suo momento centrale nella Celebrazione eucaristica. Poco prima della Santa Messa, complice una tiepida giornata dai lineamenti pri-maverili, si è svolta una breve processione con la stata di San Giuseppe e lo stendar-do del nostro gruppo che rappresenta l’i-cona della S. Famiglia di Nazareth e del fondatore, il Beato Alberione. La proces-sione è partita dalla statua della Madonna nel cortile della casa paolina fino alla cap-pella della Comunità. Per tutto il tragitto abbiamo cantato l’inno “Santa Famiglia di Nazareth”.

In chiesa i nostri Responsabili hanno

Quando il ritiro diventa una festa

Esperienze e testimonianze

44 Gesù Maestro aprile-Maggio-Giugno 2-2017

letto un significativo riassunto della croni-storia del nostro gruppo che può vantare 43 anni di esistenza. La cronistoria è stata il frutto di una meticolosa ricerca di det-tagli che altrimenti si sarebbero smarriti

nel tempo. Le notizie dei primi anni di vita sono state recuperate grazie alle testimo-nianze di alcuni tra i primi membri ancora viventi, ai racconti dei sacerdoti che hanno seguito la crescita spirituale delle coppie e agli archivi dell’Istituto a Roma.

Alla festa religiosa è seguito il pranzo comunitario con la comunità paolina di Ci-nisello e la giornata si è conclusa nel po-meriggio con la consueta condivisione di gruppo.

Ringraziamo il nostro grande protettore San Giuseppe e con lui preghiamo Maria Santissima e Gesù Bambino chiedendo loro di benedire noi e tutte le famiglie dell’Istituto e del mondo (Gruppo San Giu-seppe, isf di Milano).

Il 19 marzo scorso, festa del papà e giorno dedicato a San Giuseppe si è

svolto per la prima volta a Rovigo il ritiro interregionale dell’Istituto Santa Famiglia per i gruppi di Vicenza, Verona, Trieste e Rovigo. Ci ha accompagnato nella medita-zione, nella condivisione ed ha presieduto la Santa Messa il vescovo Mons. Pieran-tonio Pavanello, originario di Vicenza ed ordinato un anno fa nella diocesi di Adria e Rovigo. Con lui erano presenti i nostri Delegati e il superiore della Casa paolina di Vicenza don Domenico Cascasi.

Nei giorni precedenti al ritiro, avevamo incontrato più volte il Vescovo apprezzando la sua capacità di ascolto e di attenzione nei confronti delle persone, delle coppie e delle famiglie. Conosce le dinamiche della vita di coppia e della famiglia per la sua preparazione e la sua esperienza in ambito pastorale familiare.

Ci ha colpito che nel suo stemma ci siano due fedi nuziali: simboleggiano la

spiritualità sponsale coltivata con molte coppe di sposi in percorsi di formazione e nella Comunità di Incontro Matrimoniale nonché l’auspicio di portare nella Chiesa di Adria-Rovigo uno stile sponsale.

Lo abbiamo capito anche dopo la sua meditazione che ha avuto come tema “Guarendo l’invidia” all’interno della vita di coppia. La tematica è la continuazio-ne del programma annuale che l’ISF si è proposto di affrontare alla luce dell’Amoris Laetitia. E’ anche una delle tre piste che il Vescovo ha posto per i prossimi anni pa-storali: il matrimonio e la famiglia alla luce

Ritiro con il Vescovo

45Gesù Maestro aprile-Maggio-Giugno 2-2017

Esperienze e testimonianze

dell’Amoris Laetitia, il ripensamento del-la presenza della Chiesa sul territorio, la trasmissione della fede. Questi tre ambiti sono come delle palestre in cui allenarci a realizzare la conversione pastorale in chia-ve missionaria.

In confidenza il Vescovo ci aveva comu-nicato quanto intrigante e importante era stato aver riflettuto l’invidia nella relazio-ne di coppia facendo riferimento ai capp. 95-96 di Amoris Laetitia. La giornata si è articolata al mattino con la meditazione, seguita dalla condivisione coordinata dal Vescovo insieme al nostro Delegato, quin-di la celebrazione della Santa Messa e nel pomeriggio l’Adorazione eucaristica dopo aver pranzato in comunione con quanto ognuno aveva portato da casa.

Nella meditazione il Vescovo ha sot-tolineato che nell’amore non c’è posto per provare dispiacere a causa del bene dell’altro. L’invidia dimostra che siamo concentrati solo su noi stessi e non ci in-teressa la felicità dell’altro. L’amore non è invidioso ma potrebbe diventarlo perché tra i coniugi e nella famiglia può sorgere quel sentimento che crea disordine, smar-rimento e fa molto male. L’invidia porta

a guardare l’altro con occhi non limpidi, ma di disprezzo, di invidia, cioè con oc-chi di uno che non ha e vede l’altro più fortunato. Occorre lavorare sullo sguar-do, sul modo di guardare l’altro che parte sempre dal cuore. Occorre fare nostro il modo di guardare che Gesù aveva verso gli altri: ospitale, benevolo, compassione-vole, di accoglienza incondizionata, senza giudizio. Per guarire dall’invidia dobbiamo guardare noi stessi ed il nostro coniuge con gli occhi di Dio, cioè con uno sguardo misericordioso che scaturisce da un cuore misericordioso.

L’amore non è invidioso perché il mio cuore è con l’altro, io provo gioia per l’al-tro, provo gioia della riuscita dell’altro, provo gioia per quello che è, per quello che riesce a fare, gioisco dell’altro e lo faccio gioire, gioiamo insieme.

Siamo contenti e soddisfatti per la gior-nata vissuta con intensità e gioia. Per il gruppo di Rovigo è stato un dono grande ed in particolare per noi (Andrea e Maria Teresa) perché ci ha rallegrato il cuore nel giorno di festa per il nostro 29° anniversa-rio di Matrimonio (Il Gruppo isf di Rovigo).

Esperienze e testimonianze

46 Gesù Maestro aprile-Maggio-Giugno 2-2017

In occasione della festività del 19 marzo, giorno dedicato a San Giuseppe, abbia-

mo pensato di realizzare una peregrinatio di preghiera nelle famiglie dell’Istituto. Abbiamo vissuto così nella preghiera i nove giorni che precedono la solennità del Santo protettore delle famiglie e modello indiscusso dei papà. San Giuseppe, uomo del silenzio eloquente, dell’ascolto attento e amorevole della Parola e custode della Santa Famiglia in senso stretto e più in generale delle nostre famiglie nonché del-la Chiesa universale.

La proposta di vivere i nove giorni della novena andando a pregare da nove fami-glie diverse è stata accolta con entusia-smo, sin da subito, da tutto il gruppo ed è stata un’esperienza da vivere, ripetere e

consigliare. Ogni sera alle 20,15 ci radu-navamo puntualmente in casa di una fa-miglia; è stato bello trascorrere un’ora o poco più tutti insieme nella gioia, avendo come compagno di viaggio San Giuseppe rappresentato nella statuina di Spicello, che da anni ormai va visitando le famiglie dell’Istituto. La novena si è conclusa alla parrocchia di Santa Chiara con la Celebra-zione eucaristica presieduta da don Giu-seppe Argento e a seguire grande tavolata di san Giuseppe.

San Giuseppe è stato pellegrino tra i pellegrini, ha peregrinato tanto, con bontà e generosità, nella sua vita terrena tutte le volte che Dio lo ha chiamato ad andare da un posto all’altro per proteggere il piccolo Gesù. È stato bello condividere le intenzio-ni di preghiera che man mano si applica-vano all’inizio invocando lo Spirito Santo, senza trascurare la presenza della Vergine Sposa, Maria, salutandola Regina e Madre di misericordia alla fine del Rosario.

La preghiera si concludeva con la con-sacrazione a San Giuseppe e non solo per-ché alla fine, pieni di gioia come eravamo, facevamo la foto di gruppo e condivide-vamo pure un dolcino a cui, anche se in Quaresima, non si poteva rinunciare per-ché tutto scaturiva dalla felicità del nostro stare insieme.

Abbiamo fatto esperienza di ciò che le prime comunità cristiane facevano ed è stato meraviglioso incontrarsi e sentirsi famiglia tutti insieme, sentirci parte della preghiera che Gesù stesso rivolge al Pa-dre con le parole dell’evangelista Giovanni: “Come tu, Padre, sei in me e io in te, siano anch’essi in noi una cosa sola, perché il mondo creda che tu mi hai mandato... e li hai amati come hai amato me” (Gruppo “Gesù Maestro”, isf di Canicattì).

Novena a San Giuseppe

47Gesù Maestro aprile-Maggio-Giugno 2-2017

Esperienze e testimonianze

La vita con un po’ di cuore:l’obbedienza

“Non sapete voi che, se vi mettete a servizio di qualcuno come schiavi

per obbedirgli, siete schiavi di colui al quale servite: sia del peccato che porta al-la morte, sia dell’obbedienza che conduce alla giustizia?” (Rom 6,16).

L’obbedienza: pesante fardello o pieno abbandono? Ci sono diversi modi di con-cepire un valore così importante. Prima però apriamo una parentesi: il rispetto di questo voto è valido solo nella vita dei consacrati? Ognuno di noi, a suo modo e durante le sue giornate, può farsi carico di questa forma di umiltà? Un figlio, una figlia e i propri genitori possono arrivare all’obbedienza vicendevole?

Obbedire a chi?Tornando ora a noi: l’obbedienza è la

risposta alle direttive di un nostro qualsi-voglia superiore tipo un genitore, un capo ufficio, un fratello/sorella maggiore...; se noi pieghiamo la nostra volontà sotto il peso della volontà di un altro evidente-mente ne deriva che stimiamo la decisio-ne di quel superiore, anche a nostro disca-pito, sia giusta e quindi meritevole della nostra obbedienza che automaticamente sarà atto di sottomissione e umiltà. L’obbe-dienza quindi è la reazione direttamente proporzionale alla stima che noi proviamo per il “mittente” della regola.

Ma se il superiore/mittente non fosse qualcuno che ti vuol far fare la cosa giu-sta? Se il superiore fosse una moda? se fosse la “comitiva” di amici? se fosse il capo, al lavoro, che invece di fare gli inte-ressi del suo prossimo persegue i suoi? Se fosse il genitore che invece di avvicinarti

ai valori ti trascina via, insegnandoti ad essere furbo, ad imbrogliare e non avere rispetto per gli altri, a passare sopra tutto e tutti per i tuoi interessi? La situazione si complica eh? Allora l’obbedienza non è proprio una cosa a cui sottomettersi senza criterio; forse il criterio lo dobbiamo cer-care e trovare noi; in quanto cristiani come ci comportiamo con questo concetto un po’ astruso che ci costringe a rinunciare in parte alla nostra libertà? Vediamo cosa ri-sponde don Tonino Lasconi ad un giovane nel volume “Cristiano? No grazie! Però...” delle Edizioni Paoline: “A me questa pro-posta risulta oltre che difficile anche un po’ ingiusta. Scusa, eh! Una persona deve preoccuparsi di essere se stessa, di essere libera, di saper decidere da sola, di esse-

re autonoma. Il mondo è pieno di persone ‘obbedienti’, che strisciano ai piedi dei più forti, dei loro capi, dei pezzi grossi. [...]Beh, a me un mondo così non piace-rebbe proprio.

E un mondo così sarebbe l’esatto con-trario di quello che il cristianesimo pro-pone.[...] Il cristianesimo propone l’ob-

Esperienze e testimonianze

48 Gesù Maestro aprile-Maggio-Giugno 2-2017

bedienza totale a Dio, riconosciuto come unico Signore della nostra vita e del mon-do.[...]Uno: LUI è l’unico che ha potere sulla nostra vita; tutti gli altri, dal Papa al bambino di tre mesi, dal Presidente della Repubblica al vecchiet-to paralizzato, sono creature come me, né più grandi da doverle temere, né più piccole da poterle opprimere. Due: io devo obbedire a tutti coloro che mi parlano in nome di Dio, non perché hanno una carica o una divisa, ma perché mi chiedono le stesse cose che Dio mi chiede”.

La voce di DioCon questa lettura

della situazione, quindi, potremmo con-siderare l’obbedienza come una forma di dialogo con Dio? Un dialogo che si protrae nell’arco delle nostre comuni giornate e si manifesta attraverso la bocca delle perso-ne che ci stanno accanto, delle persone con cui non andiamo troppo d’accordo, un dialogo che può manifestarsi perfino attraverso la scena o la frase di un film, di un libro, di un post su facebook!... Met-tendosi in ascolto, la risposta alle nostre

domande può arrivare da qualsiasi fonte! D’altronde Dio è sempre Dio...

Così il fattore obbedienza non dovreb-be farci più tanta paura, più che altro per-

ché il confronto con Cri-sto è sempre aperto e la linea telefonica non è mai occupata!

Il resto dipende da noi... quanto ci ren-diamo disponibili all’a-scolto e quanto riuscia-mo ad essere coraggiosi nell’obbedienza/disob-bedienza?

Sappiamo decidere se essere obbedienti alla voce di Dio nella vita quotidiana e disob-bedienti alla voce uma-na che segue gli istinti di creatura?

In conclusione don Giuseppe Forlai ci consiglia un parallelo tra paternità e obbedienza: “Adamo ed Eva erano obbedienti perchè si fidavano di Dio, della sua parola. In essi l’obbedienza prima del peccato significava l’essere in dialogo con Dio, collocati nell’alveo vitale della sua amicizia; non dubitavano della paternità del Signore e della sua fedeltà e per questo si conformavano naturalmente al suo amo-re” (“Il mondo rovesciato”, Ed. San Paolo).

Martina PETIX

...Ella è una così grande e sacra cosa che se un giorno io vedessi te tornar salvo da una battaglia combattuta per essa, salvo te, che sei la carne e l’anima mia, e sapessi che hai conservato la vita perché ti sei nascosto alla morte, io tuo padre, che t’accolgo con un grido di gioia quando torni dalla scuola, io t’accoglierei con un singhiozzo d’angoscia, e non potrei amarti mai più, e morirei con quel pugnale nel cuore (il padre di Enrico a suo figlio nel libro Cuore di E. De Amicis).

49Gesù Maestro aprile-Maggio-Giugno 2-2017

Uniti nel suffragio e nell’intercessione

RICCARDO NINCHERI* 27/04/1957 - † 31/01/2017

del Gruppo di Montemurlo

Entrato nell’Istituto Santa Famiglia nel 1991 Riccardo è stato sempre fedele con gioia all’impegno che esso comportava. Di poche parole ma con un cuore e un’anima grandi, come san Giuseppe è stato uomo del silenzio che ha amato, protetto e custodito la propria famiglia. In tutte le persone che ha incontrato ha lasciato un segno. Ecco al-cune testimonianze:• Marzia: Un esempio di umiltà, mitezza, grande fede e serenità pur nella tribolazione.• Emanuela: Una persona semplice che vedeva esclusivamente la bontà altrui e che si

fidava totalmente della misericordia di Dio.• Luciana: Un grande esempio di umiltà.• Teresa: Ho tante immagini di lui insieme alla moglie Gabriella, della loro immensa

premura e dello sconfinato amore e gratitudine fra loro. La frase che urla vittoria sulla morte e sulla malattia che mi parlano della forza estrema che Riccardo rappresentava è tutta racchiusa in quel “sei il mio tesoro” rivolto alla moglie.

• Tommaso: Era l’essenza della bontà terrena, fatta di attenzione al prossimo e buoni propositi. Mi ha insegnato qualcosa e per questo lo ringrazierò sempre.

• Laila: Un vero esempio di vita consacrata.• Eva: “Chi trova un amico trova un tesoro”: Riccardo sapeva ascoltare. “Non ho nè oro

nè argento, ma quello che ho ve lo dono” mi riporta spesso ai valori della famiglia e del Vangelo, con la sicurezza di chi non può temere niente sulla terra perché il suo tesoro non è qui, eccetto la moglie Gabriella.

• Salvatore e Maria: Un grande uomo di cui ricordiamo la gioia con cui ci ha accolti, sin dai primi incontri nel Gruppo. Era disponibile, paziente e con tanta ricchezza interiore con cui mostrava di vivere la vera fede cristiana.

• Cristina: Un uomo con radici profonde e solide, allo stesso tempo dolce e che sapeva ascoltare; ha dimostrato grande coraggio nell’affrontare la malattia; un uomo sempre felice e gioioso; era riconoscente di avere accanto una moglie come Gabriella e l’ha sostenuta nonostante l’invalidità in cui era caduto senza mai darsi per vinto o scorag-giarsi. Si è saputo affidare e fidare di Dio.

• Daniela: Un grande uomo di fede, un marito innamorato, molto delicato e tenero, un padre buono e affettuoso, una persona cara, un tesoro prezioso, uno splendido dono di Dio.

• Gabriella C.: Penso che chi riesce a sopportare la malattia, e la sua era molto grave, con pazienza, senza lamentarsi mai è un Vangelo vivente. Grazie Riccardo di questo tuo dono.Le persone incontrate durante la veglia e il funerale ci hanno fatto capire che seminia-

mo anche là dove non pensiamo e allora promettiamo a Riccardo, e lui ci teneva molto, di portare avanti il progetto di scrivere la nostra storia per cantare “le meraviglie del Si-gnore”. Questa era, è e sarà la sua eredità per i figli e per i fratelli dell’Istituto. Riccardo, ci manchi tanto ma sappiamo che continui a proteggere il “tuo tesoro” che è la nostra famiglia. Ciao e arrivederci (Gabriella, la tua sposa e i fratelli del Gruppo di Montemurlo).

Uniti nel suffragio e nell’intercessione

50 Gesù Maestro aprile-Maggio-Giugno 2-2017

DOLORETTA PAIS * 20/04/1933 - † 14/02/2017del Gruppo di San Vero Milis

Doloretta! Il suo nome stesso è stato il programma della sua vita. Il dolore ha visitato spesso questa carissima sorella in tanti modi. Ancora giovane rimase vedova in modo tragico e con i figli ancora adolescenti.

Entrata nell’Istituto nel 1980 ha sempre vissuto la chiamata con gioia, impegno e amore, fino a che l’età e la malattia non l’hanno costretta sulla sedia a rotelle ma no-nostante tutto è stata sempre presente ai ritiri mensili, agli Esercizi spirituali e anche all’ultimo pellegrinaggio a Lourdes, senza lasciare mai trapelare dal suo volto segni di sofferenza, ma sempre accompagnata dal sorriso e da una fede granitica. Puntuale ogni mattina alla Santa Messa, fino al giorno che il Signore l’ha chiamata a sé. Grazie Dolo-retta per la tua silenziosa testimonianza di fede! (I fratelli del Gruppo di San Vero Milis).

GIANCARLO ROSSI* 23/06/1941 - † 22/02/2017del Gruppo di Città di Castello

Uomo mite e generoso, Giancarlo, assieme alla moglie Anna, è stato un compagno di viaggio silenzioso ma autenticamente presente nel cammino di fede all’interno dell’Isti-tuto Santa Famiglia.

Da diversi anni provato dalla malattia, ha portato con dignità la croce mai negando ad alcuno, nonostante la sofferenza, una parola buona, un incoraggiamento, un sorriso.

Poco incline al parlare vano, si è impegnato per unire superando le differenze, mo-strando così la sua costante apertura all’altro.

Rattristati per non poter più, su questa terra, godere della tua presenza, ringrazia-mo il Signore per averti conosciuto ed aver camminato al tuo fianco, nella speranza di riabbracciarti per sempre nella Gerusalemme celeste (I fratelli del Gruppo di Città di Castello).

ANGELO CASTIGLIA* 21/02/1935 - † 18/03/2017

del Gruppo “M. Vigolungo” di Palermo

Dopo una lunga e penosa sofferenza, il caro amico e fratello Angelo ci ha lasciato per ritornare fra le braccia amorevoli del Padre Celeste. Con la sua sposa Lidia erano entrati nell’Istituto Santa Famiglia nel 2001 e da subito sono stati un dono per tutti. Con la loro bontà, dolcezza e disponibilità sono stati un vero esempio per le famiglie dell’Istituto.

51Gesù Maestro aprile-Maggio-Giugno 2-2017

Uniti nel suffragio e nell’intercessione

Angelo e Lidia erano sempre presenti agli Esercizi spirituali, ai Ritiri mensili, alle Adorazioni, ai pellegrinaggi, ai momenti di Famiglia Paolina e agli incontri di formazione e fraternità che molte volte si svolgevano a casa loro. La loro vita nell’Istituto era sempre per l’edificazione vicendevole.

Quando siamo andati a salutarlo per l’ultima volta è stato commovente vederlo con il camice da ministrante, ministero al quale egli teneva molto e che svolgeva ogni giorno nella partecipazione alla S. Messa quotidiana. Il suo nutrimento era la preghiera. Umile, mite e garbato…. uomo di poche parole ma con un cuore grande e generoso davvero esemplare per tutti noi e per la sua famiglia.

Caro Angelo, ora vivi nella gloria, tra gli Angeli ed i Santi nel seno della SS. Trinità: continua a pregare per noi, per la tua amata sposa e per i tuoi figli ancora pellegrini sulla terra, affinché procediamo con passo sicuro sulle vie di questo mondo con la certezza che un giorno, quando il Signore vorrà, ci accoglierai con Gesù, Maria e Giuseppe nella festa senza fine, in Paradiso. Grazie Signore per questo grande dono (I fratelli del Gruppo “Maggiorino Vigolungo” di Palermo).

Quando sembrava che Angelo stesse per morire dicevamo: ti ringraziamo Signore, di avercelo donato; ti preghiamo di accoglierlo nella tua luce, quando serenamente avrà finito di soffrire.

Caro Angelo, sposo, papà e nonno, ti portiamo nel cuore, con fede certa ti vediamo nella vera luce e nella Santa Pace (tua moglie Lidia, i figli e i nipoti).

GIUSEPPE LOCASTELLO* 14/11/1926 - † 24/04/2017

del Gruppo di Canicattì

E’ tornato alla Casa del Padre il nostro fratello Giuseppe. Era entrato nell’Istituto Santa Famiglia insieme alla sua cara moglie Luigina nel 1996.

Assiduo e preciso, signorile nei tratti, si è distinto come marito e padre devoto. La sua caratteristica principale era il silenzio, non un silenzio assente, ma sicuramente costruttivo, perché sapeva quando e cosa dire al momento giusto. Con la morte della moglie, anche se con qualche difficoltà, ha continuato a partecipare ai Ritiri e agli Eser-cizi spirituali.

Ci ricorderemo di lui per la sua delicatezza e la sua disponibilità. Ora i membri dell’I-stituto Santa Famiglia e di tutta la Famiglia Paolina lo affidano al tenero abbraccio di Gesù Maestro Via Verità e Vita (I fratelli del Gruppo “Gesù Maestro” di Canicattì).

nOVITà lIbRI E FIlM

AMARE ED ESSERE AMATIFondamenti per un’autentica

educazione all’amorePilar V. Portales – San Paolo

Di tutte le espe-rienze umane l’uni-ca capace di orien-tare e guidare una persona verso la pienezza è l’amore. L’essere umano è naturalmente por-

tato ad amare ma non altrettanto naturalmente preparato a farlo. Per questa ragione è essenziale educare i più giovani attraverso una pedagogia dell’amore. Il mon-do di oggi, fortemente dominato dall’erotismo, spinge le persone a una visione utilitaristica e per-sonalista dei rapporti con gli altri. Ma solo attraverso l’esperienza dell’amare e dell’essere amati, di un amore donato e ricevuto, è pos-sibile maturare e giungere a esse-re ciò a cui siamo stati chiamati: a un amore capace di amicizia, di donazione, di generosità, a imma-gine dell’amore di Dio che della sessualità ha fatto dono all’essere umano. Ecco uno strumento per educare al vero amore, un compi-to che ricade principalmente sulla famiglia, che, a sua volta, riceve il sostegno della scuola, guidando figli e figlie al percorso della vera libertà e del vero amore.

OLTRE LA MORTE DI DIOLa fede alla prova del dubbioRoberto Cheaib - San Paolo

Una sfida ad atei e agnostici e a chi - adagiato sulle proprie convinzioni sicurezze - «crede di credere». A par-tire dal racconto dell’uomo folle di

Nietzsche, Robert Cheaib dimo-stra come la differenza non sia tra chi crede e chi non crede, ma

tra chi cerca e chi non cerca, chi come il folle va nelle piazza urlan-do: «Cerco Dio».L’esperienza di Dio infatti si mani-festa attraverso: il desiderio (l’In-finito si manifesta nella parados-sale infinitudine del nostro anelito finito); il pensiero dell’essere (lo stesso essere del contingente è una provocazione per pensare l’Essere assoluto); l’amore (la ri-scoperta di Dio attraverso l’espe-rienza dell’amore).

IL VANGELO CELEBRATOBianchi e Boselli – San Paolo

Oggi la liturgia è in stato di sofferenza, si ha infatti l’im-pressione che si trovi nel cono d’om-bra di questioni e dibattiti ecclesiali ritenuti centrali,

come la famiglia, l’educazione, i poveri e più in generale i temi mo-rali e sociali. In questa stagione ecclesiale, fortemente caratterizzata dalla volontà di papa Francesco di rin-novare a fondo la Chiesa, si vive un assurdo paradosso: una Chiesa in uscita e una liturgia in ritirata. Per questo è più che mai neces-sario abbandonare l’illusione che ci possa essere un rinnovamento della Chiesa senza che via sia al contempo un rinnovamento della vita liturgica. Da qui l’invito dei due autori a rimettere al centro delle nostre comunità e dell’e-vangelizzazione la liturgia, per-ché la liturgia è vangelo celebrato nell’oggi della Chiesa.

FATIMATutta la verità. La storia, i segreti,

la consacrazioneSaverio Gaeta – San Paolo

L’A. ripercorre l’intera storia dei cento anni di Fatima dando vita

a un affresco defi-nitivo che fa chia-rezza anche sugli aspetti problema-tici e sulle pole-miche che negli ultimi tempi hanno suscitato dubbi e

interrogativi riguardo alla pubbli-cazione integrale dei messaggi della Madonna. Come ben sotto-lineato da Benedetto XVI, le ap-parizioni continuano ancora oggi a illuminare le vicende del mondo e della Chiesa. E non a caso alla Madonna di Fatima papa France-sco ha chiesto di consacrare in suo nome il pontificato.Un libro straordinario e avvincente che, in occasione del centenario delle apparizioni di Fatima, get-ta una nuova e definitiva luce su questo evento che ha segnato e cambiato la storia del mondo e della Chiesa del ventesimo secolo.

CON MARIA«MADRE DEL VANGELO VIVENTE»

Rosario meditatoMaria Elena Zecchini –Paoline

Il testo celebra i misteri del Rosa-rio: gaudiosi, lu-minosi, dolorosi e gloriosi attraverso la Parola, il Magi-stero, la preghiera corale e il suggeri-mento di un impe-

gno di vita.Il Rosario è una preghiera che mette in rapporto l’esistenza quo-tidiana con i misteri di Cristo. È un dialogo continuo tra incarnazio-ne e gloria, che aiuta all’impegno nel mondo portando nel cuore il Vangelo. La «vera» pietà mariana conduce a porsi verso gli altri con occhi di compassione, a metter-si al loro servizio, a essere mes-saggeri del Vangelo e a inserirsi attivamente nella società e nella Chiesa.

Libri

52 Gesù Maestro aprile-Maggio-Giugno 2-2017

nOVITà lIbRI E FIlM

Libri

53Gesù Maestro aprile-Maggio-Giugno 2-2017

IO CREDOLe pagine più belle di papa

Ratzinger sulla fede cattolicaEdizioni San Paolo

Un libro pensato per festeggiare i 90 anni di Bene-detto XVI: 90 anni vissuti all’insegna della fedeltà alla Chiesa e al Vange-lo. Molti conosco-

no solo “per sentito dire” la voce di papa Ratzinger, senza averne letti i numerosi scritti: questo li-bro è un’occasione per incontrare più da vicino il suo pensiero pro-prio sui temi che gli sono sempre stati a cuore: la Chiesa, il Credo, la lotta contro il relativismo, l’im-pegno del pensiero mai banale e spesso controcorrente.Questo testo è anche un omaggio al Pontefice che, più di ogni altro negli ultimi decenni seguenti al Concilio Vaticano II, ha sottoline-ato il valore del tema della fede e della tradizione cattolica.

CONSIGLI DI UN PAPA AMICOLe parole di Papa Francesco

che ci aiutano a vivere meglioTornielli e Agasso – San Paolo

In questi primi quattro anni di Pontificato, papa Francesco ha col-pito per l’imme-diatezza del suo linguaggio che va al cuore della gente più sempli-ce. È, come dice

il titolo stesso, un “Papa amico”, che accompagna – tra l’altro – con le sue meditazioni da Casa Santa Marta i fedeli quasi ogni giorno.Da questa intuizione è nato il libro presente, che raccoglie, in una sor-ta di vademecum, grandi e piccoli consigli per la vita cristiana di cia-scuno. Gli autori accompagnano il

lettore all’interno di questi consi-gli, aiutandone la comprensione e collegandoli tra loro in una sorta di affresco della vita semplice, quel-la che ciascuno di noi è chiamato a seguire da credente; ma anche quella che i non credenti possono considerare una sorta di mappa, per la loro ricerca quotidiana.

VERSO LA PIENEZZAVizi

Vito Spagnolo – San Paolo

Ogni uomo viene al mondo segnato dal peccato originale e porta in sé le radici dei sette vizi capitali che si manifestano in tendenze disordi-nate. Il vizio fa l’uo-

mo schiavo, lo rende dipendente e impotente. Ma l’uomo è libero: sceglie di dirigere la sua vita verso il bene o verso il male. Artefice di se stesso, egli può contare sull’aiu-to onnipotente della grazia di Dio, che è la sua forza e la sua gioia, e intuire già l’esito della battaglia che deve affrontare fidandosi della parola di Gesù: «Io ho vinto il mon-do» (Gv 16,33). Con la forza del Signore, infatti, si possono scon-figgere tutti i nemici e vivere in pienezza. Un volume per riflettere sui vizi capitali e conoscere meglio noi stessi, sentirci responsabili dei nostri pensieri e delle nostre azioni e cominciare un cammino di libe-razione e rinascita.

GIUSEPPE SIAMO NOIDotti e Aldegani – San Paolo

Un’originale rifles-sione sulla figura di san Giuseppe basata non tanto sulle poche anno-tazioni che ci rife-riscono i Vangeli, quanto sul percor-

so della sua umanità, sul suo es-sere uomo nelle condizioni e nel tempo in cui è vissuto, per avvici-narlo a noi. Youssef esprime la ca-pacità di non temere di porsi delle domande e il coraggio di abitarle, una condizione che per noi, oggi, in tempo di crisi, appare davvero necessaria o addirittura inevitabi-le. Le tracce della sua umanità, del suo confrontarsi con le que-stioni grandi della vita – la pater-nità, la famiglia e l’educazione, il lavoro, la libertà e responsabilità, il quotidiano, i dubbi e le difficol-tà – ci riguardano da vicino, sono possibili domande e possibili ri-sposte.

IL VANGELO NEL CUORELeggere, meditare, pregare ogni

giornoPast. Giov. di Lodi - Paoline

Il testo nasce come sussidio per ac-compagnare adole-scenti e giovani a entrare, quotidia-namente in con-tatto con il Van-

gelo pregandolo, meditandolo, confrontando con le sue pagine la propria vita attraverso alcune domande. I quattro Vangeli ven-gono riproposti, ognuno, in tren-tuno step, uno per ogni giorno del mese; così che ciclicamente i giovani possano rileggerli inte-gralmente durante tutto l’anno. La proposta, elaborata sullo stile della Lectio divina da un teologo, una catechista, un seminarista e alcune monache, è preceduta da un’invocazione allo Spirito.

DONNA E MADRE IN CAMMINOCON NOI

Un mese con MariaMichele Mazzeo – Paoline

L’autore, convinto che la Parola edifica la comunità ecclesiale,

Film

Audiovisivi

UN BACIORegia: Ivan Cotroneo - Anno 2016

Lorenzo, Blu e Antonio hanno tutti e tre sedici anni, sono nella stessa classe dello stesso liceo di una città del nord est italiano. Lorenzo ha genitori adottivi, Blu ha un rapporto teso e ruvido con la mamma, Antonio non riesce a man-dare via il ricordo di un fratello più grande morto in un incidente.

Tre coetanei, tre amici, eppure tre situazioni che fanno i conti con le difficoltà di conciliare se stessi, le proprie speranze, i propri sogni...Il film è da utilizzare in programmazione ordinaria e in molte occasioni come possibilità di avviare ri-flessioni ampie e non banali sugli equilibri dei se-dicenni oggi.

DEMOLITION AMARE E VIVERERegia: Jean-Marc Vallée - Anno 2015

Il giorno in cui la sua giovane moglie muore tragicamente, mentre è ancora in ospedale, incapace di comprende-re a fondo la notizia appena ricevuta, Davis fa per acquistare qualcosa da un distributore automatico di snack ma il meccanismo s’inceppa. Nei giorni successivi, anche Davis s’in-

ceppa, non sa più dire se amava la sua donna, se era soddisfatto della sua vita, non sa più nulla e si sfoga dentro lunghe lettere indirizzate alla responsabile del servizio clienti della società di distributori automa-tici. Quella persona si chiama Karen Moreno, ha un figlio adolescente che non capisce più, e sembra in-capace di porre fine all’ascolto della vita e della crisi di Davis. Tra i due sconosciuti si crea un legame e poi una frequentazione vera e propria, via via più sincera.

nOVITà lIbRI E FIlM

Libri

54 Gesù Maestro aprile-Maggio-Giugno 2-2017

propone un itinera-rio biblico-liturgico per riscoprire la presenza di Maria, come donna e ma-dre, in cammino con la Chiesa di ogni tempo.

L’agile sussidio mariano si pre-senta come una guida quotidia-na, molto utile per la preghiera personale e comunitaria, soprat-tutto pensata per celebrare un mese dedicato alla Madonna.

EDUCATORI SI NASCE O SI DIVENTA?Vivere la sfida educativa tra

passione, competenza e profeziaLorenzo Ferraroli – San Paolo

Educatori si nasce o si diventa? Un edu-catore può avere per natura delle doti fa-vorevoli alla relazio-ne e all’ascolto, ma è necessario com-piere un percorso

di maturazione personale in cui la

conoscenza dell’altro nelle dinami-che relazionali e nei meccanismi legati alla crescita e alla relazione vanno prima studiati e poi rielabo-rati in modo da non trovarsi nella posizione dell’educatore-salvatore che finisce per perdersi insieme al ragazzo che vorrebbe aiutare.Il volume affronta le tematiche più importanti legate a questo compi-to: professione o missione?; Chi sono i ragazzi “oggi”?; Le fatiche dell’educatore; Come gestire l’af-fettività nel rapporto educativo?

DIO PAZIENTEPierangelo Comi – San Paolo

Pensiamo di fare cosa gradita ai molti estimatori di Pierangelo Comi riproponendo il meglio delle diciotto raccolte di canti biblici da noi pub-blicate, introdotti da due nuovi brani. Dei quali uno si ispira alla Preghiera della Pace che papa Francesco recitò

l’8 giugno 2014 nei Giardini Vaticani alla presenza del compianto Shimon Peres e del presidente Mahu-moud Abbas; l’altro brano è un canto d’amore alla Madre di Dio. I due brani sono firmati insieme ad Emanuele Chirco, suo arrangiatore.

CRISTO MAESTRO E SIGNOREGalliano e Massimillo - Paoline

Dieci canti liturgici dedicati a Cri-sto Maestro, dall’impianto classico, realizzati con orchestra e coro della Diocesi di Roma.Un’opera che si avvale dei versi di Anna Maria Galliano e delle musi-che del giovane compositore Fabio

Massimillo. Il progetto, che si conclude con un canto mariano, si pregia della presentazione di Marco Fri-sina.

ATTENZIONE – Accogliendo l’espresso desiderio di molti membri della “Santa Famiglia” per continuare a offrire un contributo, secondo le proprie possibilità,

all’Istituto e all’Opera di S. Giuseppe di Spicello, comunichiamo le modalità di offerta:

Conto corrente postale intestato a “Istituto Santa Famiglia” - n° 95135000conto intestato a “Santuario San Giuseppe” - n° 14106611

Banca di Credito Cooperativo di Roma - Agenzia n. 1 - c/c bancario “Istituto Santa Famiglia”IBAN: IT34K0832703201000000034764

Banca di Credito Cooperativo del Metauro - c/c bancario “Santuario San Giuseppe”IBAN: IT60d0870068470000010199980

IL VALORE DELLA SANTA MESSA

«Niente è più grande dell’Eucaristia!... Quando noi vogliamo liberare dal Purgatorio una persona cara e invocare la benedizione sulle nostre famiglie, offriamo a dio il santo Sacrificio del suo Figlio diletto, con tutti i meriti della sua passione e della sua morte. Egli, dio Padre, non potrà non ascoltarci…» (Santo Curato d’Ars).

OPERA SANTE MESSE PERPETUE

Si tratta di 2400 Messe che ogni anno vengono celebrate dai Sacerdoti Paolini per tutti gli iscritti vivi e defunti. Tale Opera è stata voluta da don Giacomo Alberione come segno di riconoscenza verso tutti coloro che aiutano gli apostolati della Famiglia Paolina.

Norme per l’iscrizione 1. Ogni iscrizione si riferisce a una singola persona, sia viva che defunta. 2. Per ogni iscritto si rilascia una pagellina-ricordo con il nome e la data d’iscrizione. 3. Gli iscritti godono del beneficio di sei Sante Messe che ogni giorno vengono cele-

brate esclusivamente per loro. 4. L’offerta per ogni iscrizione è di Euro 20,00 ed ha valore perpetuo.

Celebrazione di Sante Messe • Celebrazione di Sante Messe secondo le intenzioni dell’offerente: ? 10,00. • Celebrazione di un Corso di Messe Gregoriane l’offerta è di ? 350,00.

Inoltrare le prenotazioni delle intenzioni di Messe all’Istituto “Santa Famiglia”Circonvallazione Appia 162 – 00179 ROMA – ccp n. 95135000.

ISTITUTO“GESù SACERDOTE”ISTITUTO“SANTA FAMIGLIA”

Due Istituti Paolinidi Vita Secolare Consacrata,aggregati alla Società San Paoloe parte integrante della Famiglia Paolina,nati dal cuore apostolicodel beato Giacomo Alberione,che si propongono come ideale la santità della vita sacerdotale e familiaree come missione specifical’annuncio di Cristo MaestroVia, Verità e Vita.