Tateo Modernità e Umanesimo

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Sintesi ragionata delle proiezioni del volume di Francesco Tateo

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  • TATEO. MODERNITA DELLUMANESIMO

    II. PROIEZIONI

    1. Una malattia moderna

    FRANCESCO PETRARCA (1304-1374)

    Al centro del dialogo che Petrarca attribuisce a Francesco, sua controfigura, e Agostino, suo maestro spirituale,

    impegnati in un colloquio che un dramma interiore (De secreto conflictu curarum mearum, II segreto conflitto dei miei

    pensieri, generalmente chiamato Secretum), e che vuol essere anche un documento della crisi che occup l'umanista

    intorno al quarto decennio del secolo XIV, vi la discussione sull'accidia, uno dei vizi capitali passati in rassegna. La

    discussione sull'amore e sulla gloria, anch'essa simbolica della conflittuale condizione umana, riguarder pi da vicino i

    dati biografici del poeta, ma nel discutere di questo male dellanima sembra che il poeta colga il punto pi profondo della

    sua coscienza, ma anche della coscienza moderna, e quasi un aspetto del subconscio(L'accidia ,che la teologia morale

    considerava una forma di scarso vigore, di scarso impegno nella vita religiosa e nellamore di Dio, viene descritta, sul

    fondamento delle Tusculanae disputationes cicemniane, come quella malattia dell'anima che potremmo chiamare 'angoscia'

    . Come riconosce il poeta che finge in Agostino un analista della sua psiche, il quale tenta di fargli avere consapevolezza

    del suo stato e delle sue cause, considerandole una per una, il male oscuro si annida al fondo della coscienza e gli

    impedisce talora di agire, e reagire, e lo conduce perfino a disperare della possibilit di riacquistare la salute. La

    condizione angosciosa diventa cosi non solo la propria condizione, ma la condizione universale dell'uomo in quanto soggetto

    ai colpi della fortuna e incapace, in definitiva, di far altro se non sottostare e prendere atto di questo suo destino. Per il

    personaggio di Agostino, nel quale parla l'aspirazione e la consapevolezza morale di Petratra, questa accettazione della

    sconfitta un male non perch sia possibile liberarsi in tutto dai condizionamenti della fortuna (che sarebbe come

    pretendere di non esser soggetto alle leggi della natura umana), ma perch doveroso e possibile che la mente comprenda

    la realt della situazione e aiuti almeno la volont a sottrarsi alla necessit del destino. Il primato della volont, intesa in

    questo senso psicologico che tien conto dei condizionamenti della natura umana, e non nel senso volgarmente pragmatico

    secondo cui la volont comunque capace con le sue forze di scegliere il bene conoscendolo, ricollega la meditazione

    petrarchesca alla crisi dellintellettualismo scolastico. Ma per un'idea efficace, documentata anche dalla situazione

    attuale degli studi, della complessiva presenza petrarchesca nei secoli, si rimanda a Petrarca nel tempo.

    2. Sentimento del tempo

    FRANCESCO PETRARCA

    Il primo sonetto, rivolto al pubblico dei lettori e aggiunto in cima alla raccolta delle sue Rime sparse quando il poeta

    decise di raccoglierle in un Canzoniere testimone della sua storia, o meglio "non storia" d'amore, trasformando

    profondamente le consuete dediche, il documento consapevole di una crisi che ha modificato il senso delle esperienze

    passate. Il pubblico dei lettori viene coinvolto non per gustare lesercizio lirico, ma per `comprendere' e perdonare il

    poeta che si confessa e si pente per aver tanto sospirato invano, perch solo ora si accorge che quel sospirare non poteva

    essere che vano, come qualunque desiderio che pretenda di trovare soddisfazione in terra. Veramente il poeta non

    presume nemmeno un soddisfacimento nell'aldil, come avverr sia nelle rime spirituali del petrarchismo, che pur si

    ispireranno lungamente al suo modello, sia nei trattati d'amore d'impronta platonica, ma tiene a dare un senso all'alterna

    vicenda dei suoi sentimenti, che non raccontano propriamente una storia, perch non hanno propriamente un inizio e una

    fine, se non nella coscienza dell'io, capace di accorgersi del tempo passato e di rimpiangerlo, nel senso che ne piange

    l'inesorabile spreco. In questo senso tutto moderno, e non nel senso che la storia abbia un compimento come pretendeva

    la poetica classica, quella del nostro poeta umanista stata una favola, un'opera aperta e composta di metaforici

    frammenti di vita interiore, Rerum vulgarium fragmenta.

  • quand'era in parte altr'uom da quel ch'i' sono>>.

    3. Principe si diventa

    FRANCESCO PETRARCA

    Si pu dire che questa epistola, nella quale Petrarca esprime a Niccol Acciaiuioli, gran siniscalco del Regno e precettore

    del figlio di Roberto d'Angi, i modi con i quali educare il giovane al governo, dia inizio alla discussione moderna sulla

    educazione del Principe. Tuttaltro che ingenua, o platonica, nella enucleazione della meta ideale dell'educazione l'epistola

    nasce dalla consapevolezza che si pu nascere destinati a regnare, ma che per regnare necessaria un'educazione, n

    automatico riuscire a portarla a termine nel modo pi utile. La riflessione contiene un forte pessimismo sulla natura

    umana, la quale tende a far diventare tiranno chi si trova nella condizione privilegiata del principe, e cos ostacola la

    realizzazione stessa di quello che non pu non essere il fine dell'educazione politica, ossia il bene pubblico. Molte volte

    pi pericoloso non aver opposizione alcuna, perch induce allo strapotere, che incontrare ostacoli. Anche l'apparente

    idealismo con cui Petrarca ritiene che si siano potuti verificare due casi di principi perfetti, Augusto e Roberto d'Angi,

    nasconde un profondo atteggiamento critico nei confronti della realt attuale e l'aspirazione ad una diversa soluzione

    politica, tendente alla repubblica, dato anche il giudizio talora negativo su Cesare, 'dittatore' e moralmente discutibile, e

    il giudizio sempre positivo su Scipione, onesto esponente della repubblica romana (la questione interesser ulteriormente

    la cultura umanistica e avr un peso nella formazione della coscienza politica: cfr. D. C'anfora).->Francesco Petrarca,

    Epistole Familiari.

    4. La guerra e la pace

    FRANCESCO PETRARCA

    La giustificazione della guerra come un mezzo per instaurare la pace un antico argomento che si sostenuto ai nostri

    tempi per scatenare imprudenti conflitti e ingiustificate sopraffazioni. Petrarca non manca di propugnare la difesa della

    civilt dalla barbarie mediante l'eroismo delle armi, obbedendo ad un altro motivo ricorrente che torner a farsi sentire

    nei momenti di reviviscente patriottismo. Eppure nella lettera inviata al doge Andrea Dandolo, come in una lettera analoga

    inviata alla repubblica di Genova, lumanista utilizza le ragioni contrarie che consigliano a non aggravare le tensioni interne

    all'Italia pericolose per tutti, e comunque a non pensare che la guerra possa rinforzare la posizione politica essendo di per

    se stessa un motivo di debolezza che non estingue l'odio, ma non fa che rinvigorirlo. Il discorso petrarchesco, che pur

    cercava di utilizzare argomenti diplomatici di riappacificazione, parso sostanzialmente utopico e perci non atto a

    confrontarsi con una politica realistica, espressa anche nella risposta del doge, il quale non rinuncia alla guerra quando

    essa pu passare come giusta e inevitabile. In realt parla in Petrarca una ragione pi profonda, tipicamente Umanistica,

    che considera la pace necessaria alla civilt e alla cultura, obiettivi primari, e in nome di essa sconfessa i pretesti che

    nascondono l'ira, l'inimicizia a l'avidit di dominio, e la cecit di fronte ai pericoli. Su questi ultimi, in pi tarda et, egli

    insiste delineando la figura del condottiero come aveva fatto con quella del principe, e riproponendo la questione del

    rapporto fra le armi e le lettere che conoscer alterne vicende: Strepitino pure quanto vogliono e si facciano beffe i

    nostri condottieri e i nostri re e principi, che hanno dichiarato guerra alla virt e alla cultura e col simulato disprezzo

    nascondono la loro tardit d'ingegno (...) E tuttavia non voglio essere inteso nel senso che io dica necessaria ai condottieri

    la filosofia o la poesia, ma solo quella letteratura attraverso cui possano apprendere i precetti della milizia e i fatti della

    storia>>. Un atteggiamento, quello di Petrarca, che vuol essere un modello di comportamento umano pi che un astratto

    principio morale, e analogamente gli fa sdegnare l'alterco dialettico e politico che nasce dalla presunzione di possedere la

    verit, e gli fa gradire il dialogo, se non risolutore, almeno chiarificatore delle divergenze.

  • 5. Impegno civile dello storico

    LEONARDO BRUNI (1370-1444)

    Che interessarsi di storia riguardi non solo lo scrittore e l'erudito, ma principalmente l'uomo impegnato nella vita politica

    e nella formazione del cittadino, un'acquisizione fra le pi salde dell' Umanesimo e fra le pi durature nell'et moderna

    (si pensi almeno alla storiografia illuministica e liberale). Un merito va attribuito a Leonardo Bruni, cancelliere della

    Repubblica fiorentina allepoca in cui essa dovette difendersi dalle tendenze espansionistiche del ducato di Milano e del

    Regno di Napoli. Gi nell'Elogio della citt di Firenze la novit essenziale consisteva . Nell'affrontare la storia della citt di Firenze egli motiva la sua scelta

    con la grandezza degli avvenimenti, come si conviene ad uno scrittore che cerca una materia alta per un genere alto, per la

    necessit di conservare la memoria del presente in modo da uguagliare gli antichi che hanno reso famosi i loro tempi, e con

    l'allusione precisa ai "potentissimi principi", ossia agli stati monarchici, con cui la repubblica aveva dovuto confrontarsi.

    Non per altro l'epoca repubblicana di Roma segnata dalle sue lotte interne e dalla rivalit con Cartagine che viene

    evocata, non quella imperiale. Ma il Bruni, rilanciando la valenza pragmatica della storiografia, in quanto utile a far

    acquisire attraverso l'esperienza la prudenza politica, la oppone all'ozio e al silenzio. un modo di ribadire il concetto che

    lo scrivere possa equivalere all'agire; motivo prettamente umanistico, questo, che emerger variamente in Vittorio Alfieri

    o nel teatro illuministico. In altre situazioni istituzionali lengagement dello storico si manifesta in forme diverse, come la

    celebrazione o legittimazione del principe e dello stato, l'attivit diplomatica o la passione cittadina, l'elogio di un

    personaggio emblema della citt. Lo studio dell'attivit umanistica ha contribuito a far riscoprire la dimensione

    propriamente 'cittadina' della citt papale con le sue tradizioni e con la sua progressiva acquisizione d'identit come

    centro culturale ed editoriale. Al di la di questa coscienza civile che proietta la cronaca e la storia verso la riflessione

    politica, e nonostante il riflusso municipale che vi si potr scorgere, l'orizzonte cittadino della storiografia locale

    continuer a svolgere una funzione aggregatrice ed educativa nelle regioni italiane, anche in aree meno attraversate dall'

    Umanesimo storico.

  • traduzione "parola per parola", che provoc e provoca varie questioni, e l'ammonimento ad affrontare un tale lavoro

    quando si conoscano come lingue proprie quella di partenza e quella di arrivo, e soprattutto quest' ultima, sono una pietra

    miliare nella problematica moderna della traduzione. Non va per altro trascurata la sensibilit linguistica che dimostra il

    discorso di Bruni, corredato con esempi che non potevano riguardare allora se non il rapporto greco-latino, pur essendo

    trasferibili al rapporto latino-volgare e a quello fra idiomi diversi, che costituisce ora il nostro problema.

    [...] Dico, dunque, che tutta l'efficacia di una traduzione consiste in questo: che ci che stato scritto in una lingua venga

    rettamente trasportato in un'altra lingua. Ma rettamente questo nessuno pu farlo senza avere una vasta e grande

    pratica dell' una e dell'altra lingua. E ci non basta. Infatti, molti sono capaci a comprendere, ma non sono capaci ad

    esporre. Alla stessa maniera che molti giudicano rettamente sulla pittura, ma non sanno dipingere, e molti si intendono di

    musica, ma non sanno cantare. Cosa grande e difficile , dunque, la retta traduzione. In prima luogo, infatti, bisogna avere

    conoscenza di quella lingua da cui si traduce. Chiunque non abbia letto tutti questi autori, che non li abbia voltati e

    rivoltati da ogni parte e non li abbia posseduti, non pu capire la propriet e i significati delle parole: e questo

    specialmente perch lo stesso Aristotele e Platone furono, per cosi dire, sommi maestri nelle lettere e hanno usato un

    modo di scrivere elegantissimo, ripieno di detti e di sentenze degli antichi poeti, oratori e storici [...]Non sia poi ignaro

    del consueto modo di esprimersi e delle figure del parlare di cui si servono i migliori scrittori. E questi li imiti anch'egli

    scrivendo, ed eviti i neologismi di parole e di stile, specialmente quelli inadatti e rozzi.(..)Infine, difetti del traduttore

    sono: o capire male ci che da tradurre, o renderlo male oppure (..)non elegante e disordinato>>.->Leonardo Bruni, Della

    perfetta traduzione

    7. Utilit della storia contemporanea

    LAPO DA CASTIGLIONCHIO il giovane (+ 1438)

    Colp gli Umanisti, dedicatisi inizialmente alla storiografia su imitazione degli antichi, la scelta fatta da Biondo di

    affrontare la storia dalla caduta dell'impero fino alla storia contemporanea, ed ha avuto un notevole effetto innovativo

    sulla storiografia moderna il suo nuovo interesse corografico che integra geografia e storia. Alla contemporaneit era

    riservata preferibilmente la cronaca, cui mancava la distanza critica e la dignit letteraria per avere l'autorevolezza e la

    funzione educativa e politica richiesta da un libro di storia. Questa ammirazione per l'impresa dell'autore delle Decadi

    espressa per tempo da Lapo da Castiglionchio (1437; cfr. M. Regoliosi, "Res gestae patriae" e "res gestae ex universa

    Italia"). Egli, gi con un'esperienza di traduttore da Plutarco, da Giuseppe Flavio, da Senofonte e da Demostene,

    nonostante il carattere oratorio della sua epistola, dimostra un'acuta intelligenza della necessit di non trascurare la

    storia contemporanea. Si accorge della ripetitivit cui vanno incontro coloro che tornano sulle vicende gi narrate dai

    grandi del passato, e addita agli storici moderni la gloria di cimentarsi con il racconto di fatti che possono pi di quelli

    antichi entusiasmare e ottenere l'effetto che dalla storia ci si aspetta, l'impulso a difendere la libert della patria e la

    sicurezza dei cittadini. Sicch, pur entro i limiti di una concezione 'retorica' della storiografia, egli gi segnala alcuni

    motivi fondamentali della trasformazione di un genere antico confinante con la poesia in un genere moderno di

    storiografia, reso vivo talora dalla partecipazione personale agli eventi, reso veritiero dal confronto delle testimonianze,

    e reso utile dalla testimonianza di ci che potrebbe andare altrimenti perduto.

  • conseguito la lode da parte di tutti e per l'ingegno(..)E poi come pregevole lo stile, mio Dio!, come sciolto e scorrevole,

    come privo di asprezze, come scorre senza durezze>>->Traduzione dall'epistola di Lapo da Castiglionchio a Biondo Flavio.

    8. Il viaggio

    L'importanza che assunse il viaggio nella mente degli umanisti si pu ricavare per rovescio da alcuni interventi, che

    s'inquadrano nel gusto della facezia e sembrano fare la caricatura di questa smania crescente. In un registro faceto

    appariva gi in Boccaccio il tema collaterale della 'noia' del viaggio, ripreso nelle satire ariostesche, e pi tardi in

    ambiente secentesco, a testimoniare la continuit della dialettica gi tipicamente umanistica fra serio e faceto. Petrarca

    invero esprimeva ancora delle perplessit sugli eccessi di un costume che avevano contratto lui stesso e il suo amico

    Giovanni Colonna. E mentre sentiva il bisogno di difendersi dicendo che non aveva cercato il guadagno come i mercanti

    (, Epistole familiari, III 2), altrove con un

    p d'ironia scriveva che, potendo trarre tante informazioni dal libri, era inutile e rischioso per lui affrontare viaggi

    lontani (si trattava dell'Irlanda: ). Pi

    affine alla facezia era il consiglio dato al Colonna di Starsi un po fermo e di considerare la podragra una grazia di Dio.

    Una vera e propria battuta di spirito invece quella intorno all inutilit dei viaggi, riportata da Poggio con paradossale

    dissimulazione sembra un pensiero logico. Eppure Poggio aveva documentato la sua opera sulla variet della fortuna col

    racconto di un viaggio in Oriente fatto da un mercante fiorentino, Niccol de' Conti, che rappresenta una delle prime

    testimonianze del gusto dell'esotico e dell'orientale. Poggio aveva d'altra parte celebrato Enrico il Navigatore come un

    eroe dei nuovi tempi, provvisto di un coraggio che non ebbero nemmeno gli antichi, segno di una trasgressione cui

    l'umanista era incline, ma anche riflesso di quelle discussioni che a Firenze erano diffuse fra i dotti circa le nuove

    prospettive della geografia.

    - La smania del viaggio, FRANCESCO PETRARCA, Traduzione da Epistole familiari.

    - Il viaggio inutile, POGGIO BRACCIOLINI (1380-1459), Facezie

    9. Lingua come libert

    LORENZO VALLA (1405/07-1457)

    Nella Prefazione all'opera in cui restaura il latino corrotto attraverso i secoli barbari, restituendogli leleganza, cio la

    necessaria chiarezza e propriet della lingua, Valla svolge un teorema che rimane una pietra miliare nellinterpretazione

    dell'antico e della sua Rinascita, ma anche un principio moderno d'interpretazione del fenomeno culturale e della sua

    necessaria universalit. I romani crearono un impero politico, che hanno perso, ma l'egemonia linguistica e culturale che

    aiut i popoli a perfezionare il loro idioma, senza soffocarlo, ma permettendo una sorta di incontro e di conversazione

    universale, costituisce un patrimonio inestinguibile e molto pi utile allumanit, che va coltivato nella maniera dovuta. In

    effetti nella storia dell'Occidente il latino ha agito come motivo unitario, nonostante le divergenze nazionali, e Valla

    esprime con molto vigore il pensiero secondo il quale il culto delle lettere, in cui inclusa ogni disciplina in quanto affidata

    alla trasmissione scritta, il contrario delle orribili guerre che dividono gli uomini, e la ricostruzione della lingua

    superiore alla ricostruzione della citt. famosa soprattutto l'acuta metafora di Camillo vero liberatore di Roma e suo

    rifondatore, perch le restitu in pieno la libert: la lingua , in ogni forma culturale, il fondamento prima, perch

    garantisce la corretta e significativa comunicazione, senza la quale non vale alcun genere di scrittura (in questo consiste

    lelegantia, frutto di conoscenza e di scelta adeguata), come la libert il primo fondamento della convivenza. Ma

    linteresse valliano per la lingua latina, oltre a incontrarsi con le vivaci discussioni umanistiche circa la sua origine e

    sopravvivenza, riguarda la sua battaglia per il rinnovamento della dialettica; riguarda inoltre la fondazione dei nuovi studi

    grammaticali e linguistici in Europa.

  • LEON BATTISTA ALBERTI (1404 -1472)

    La trattazione della materia economica svolta dall'Alberti nel solco dei libri dell'antichit (il pi noto era quello di

    Senofonte) con una straordinaria attenzione alle questioni poste dalla borghesia moderna, ma soprattutto superando il

    livello empirico della precettistica e della enucleazione di esperienze personali. Si pu dire che la Famiglia e il De iciarchia

    aprano la strada al progresso moderno della scienza economica, che ha nel Settecento un momento importante di rilancio.

    La Famiglia un libro educativo, pi che scientifico in senso stretto, ma la sua problematicit, che si manifest anche

    nella forma dialogica e qualche volta nel contrasto delle opinioni, la colloca gi su un piano scientifico. Soprattutto il libro

    III, dedicato allo specifico governo della 'villa', lunit economica che vede il massacro' impegnato a difendere e

    accrescere il patrimonio immobiliare, ha una valenza polemica che illumina anche gli altri problemi trattati (leducazione

    difficile dei figli, scelta della moglie, la pratica dell'amicizia come sostegno nella vita pubblica), poich eleva l'esperienza

    diretta, finanche empirica, a metodo pragmatico, considerato anche superiore ad ogni mediazione letteraria. Cos,

    sfiorando la contraddizione (un'opera letterariamente pensata polemizza con la stessa letteratura), la Famiglia diventa

    uno dei libri pi diffusi nella borghesia terriera moderna, con effetti anche sul piano linguistico e letterario. In quel libro

    si sancisce per la prima volta il 'valore' economico del 'tempo' e si oppone paradossalmente agli insegnamenti teorici degli

    antichi, perfino a quelli di Aristotele, la pratica del pi autorevole massaro' della famiglia Alberti, Giannozzo,

    apparentemente 'semplice' teorizzatore dei modi prudenti di conduzione del patrimonio familiare. Ma la pi famosa delle

    opere albertiane, favorita dal dettato volgare come lo stesso autore auspicava, va visto ormai nel quadro dell'ampia

    produzione anche latina dell'Alberti, di cui negli ultimi decenni si affrontata la lettura critica sistematica, importante

    non solo per l'interpretazione dell' Umanesimo nel suo complesso e specialmente di una delle sue forme pi tipiche , ma

    per il posto rilevante che occupa negli studi attuali sul Rinascimento.

    Leon Battista Alberti, I libri della famiglia, III

    12. Divulgazione del sapere

    LEON BATTISTA ALBERTI

    Alberti ha bisogno, come a suo tempo Dante, di difendersi dalle critiche di colora che non ritenevano adeguato luso del

    volgare per trattare argomenti scientifici e filosofici. Arrivato al terzo libro, quando deve far parlare un uomo non

    letterato, e quindi deve ricorrere anche all'uso del linguaggio quotidiano per ottenere efficacia di comunicazione, lo

    scrittore introduce questa parte del dialogo con un discorso di valore generale, e di grande valore polemico e propulsivo.

    L'uso del volgare appare, come del resto gi in Dante, un alto rivoluzionario che peser sullo sviluppo secolare della lingua

    italiana, la quale in questi anni non acquista unimmediata egemonia, ma l'acquister in seguito anche per effetto di questo

    libro, utilizzato ampiamente dai compilatori del futuro Vocabolario della Crusca. Altra cosa il livello di elaborazione che

    il volgare raggiunge ad opera dell'Alberti, che scrittore bilingue, e come sceglie il latino per trattare le questioni morali

    e le questioni artistiche e civili, cos sceglie il volgare quando intende rivolgersi ad un pubblico di "non letterati", senza

    tuttavia dimenticare la struttura colta della frase, necessariamente costellata di termini tecnici e latineggianti.

    L'inconfondibile stile che ne risulta, anche per effetto della mescolanza con la tipica espressione quotidiana, rappresenta

    un momento fortemente dinamico nella formazione della nostra lingua.

  • Nel contesto dell' Umanesimo si avvia anche il processo di innalzamento sociale delle arti meccaniche, quelle una volta

    distinte dalle arti liberali perch guidate dal sapere tecnico piuttosto che dalla scienza. Lungo i tre secoli del

    Rinascimento si matura lequiparazione fra le lettere e le arti che nell'et moderna non pi materia di discussione, anche

    se si acuisce sul piano del pensiero estetico il problema, molto avvertito nella prospettiva umanistica, del rapporto e della

    superiorit fra le arti, nelle quali compresa la retorica, cio la tecnica sottesa alla scrittura e in particolare alla poesia

    (di tutta questa problematica, riscoperta nel Novecento, diventa un punto di riferimento il "Journal of Warburg and

    Courtauld Institutes" iniziato nel 1936-1937). Nel trasferire l'insegnamento retorico, ossia la scienza dei modi di

    rappresentare le idee, all'arte della pittura, Alberti da un contributo notevolissimo a questo processo di modernizzazione,

    perch definisce la particolare `difficolt' di un'arte ritenuta manuale, che quanto dire la sua scientificit. Per

    rappresentare la figura umana, che argomento della storia tradizionalmente affidata alla scrittura, bisogna conoscere la

    fisiologia, la scienza dei movimenti del corpo, e l'analogia fra gli stati d'animo e la loro manifestazione esterna, ossia la

    fisiognomica; con un'analoga correlazione nella tradizione retorica la poesia era considerata specchio dell'anima. La

    scoperta del movimento come specchio della 'vita' un contributo non solo alla resa estetica, alla bellezza e alla grazia,

    dell'opera pittorica, ma alla conoscenza dell'uomo e della natura (l'argomento riguarda, al di la delletica e dell'estetica, la

    filosofia naturale). Per questa via la rappresentazione artistica, specialmente nella stampa, si svilupper anche come

    illustrazione della scrittura e porta il problema della sua superiorit espressiva rispetto al testo scritto, che non

    rappresenta il movimento immediatamente alla vista. Inoltre lo stesso 'movimento', il quale sollevava la pittura almeno al

    livello della letteratura, sar motivo di vanto ai giorni nostri per la nuova riflessione estetica che mirer a sostenere

    l'autonomia, il primato, del 'cinema', arte per eccellenza del movimento visivo nella rappresentazione del mondo umano.

  • tutto agevole e piano, ne si rompono se non dove una cruda necessit che ogni cosa pia dura si spezzi: se poi invece

    hanno dell'ottuso, allora con lo studio assiduo e costante superano qualsivoglia difficolt. Perci se di primo acchito

    qualcuno non arriva a intendere qualche cosa, non deve peccare di orgoglio, chiudendo il libro e gettandolo, n cadere nel

    vizio opposto, cio in un pusillanime scoraggiamento, ma deve perseverare con l'intenzione di vincere l'ostacolo

    trovato.Vero per, che gl'ingegni, quanto pi son ricchi di acume tanto pi sono poveri di memoria, e mentre agevolmente

    capiscono, poco ritengono. Perci a conservare la memoria e fortificarla giova assai il precetto insegnatoci e praticato da

    Catone, di ripassare la sera tutto ci che si fatto, veduto e letto nella giornata, facendo l'esame, e rendendoci conto

    non solo di quanto abbiamo operato lavorando, ma anche dello svago preso in mezzo alle nostre fatiche. Procuriamo di

    farlo anche noi, almeno per le cose pia importanti, al fine di ritenerle a memoria con maggiore tenacia.

    Utilit delle dispute. Giova anche parlare spesso degli studi comuni tra compagni; ch la disputa assottiglia l'ingegno,

    muove la lingua, fortifica la memoria; non gi perch a discutere si impari molto, ma perch per codesta via meglio si

    approfondiscono le cognizioni acquistate, pi acconciamente si esprimono e pi saldamente si ritengono. Anche col fare da

    maestri ad altri otteniamo grande vantaggio, purch non ci accada il guaio che solitamente accade ai novizi, i quali,

    avendola appena assaggiata, credono di possedere gi la scienza tutta quanta, e come gi fossero dotti pretendono di

    tener cattedra e con arroganza fanno sentire i loro pareri.

    Il dubbio metodico. II primo passo verso il sapere il poter dubitare; ne vi cosa tanto contraria al sapere quanto il

    presumere della propria dottrina, e troppo confidare nel proprio ingegno, poich la presunzione spenge l'amore dello

    studio, e la folle fiducia lo diminuisce; di guisa che gli ingegni presuntuosi arrivano a ingannare se stessi, cosa punto

    comoda, ma d'altra parte facile a succedere e grandemente dannosa. Avviene cosi che essi, privi di esperienza, nemmeno

    sognano gli andirivieni, le circonlocuzioni ed i precipizi che si nascondono nelle scienze, e quindi, o correggono male quello

    che non intesero bene, chiamando ignoranti e trascurati gli scrittori, passano sopra ai punti che non capiscono, mentre

    invece dovrebbero chiarirli con lo studio e con la pazienza.

    Distribuzione razionale del tempo. Tutto questo per si far agevolmente, se in modo opportuno si divider il tempo, se in

    certi giorni e in certe ore determinate si far la lettura; badando di non lasciarsi prendere talmente dalle occupazioni

    diverse che manchi il tempo di leggere quotidianamente qualcosa.

    utile poi che ognuno stimi grande la pi piccola perdita di tempo, e del tempo faccia conto come del vivere e star sano,

    n lo sciupi in bazzecole, e quelle ore che altri forse consuma nell'ozio, egli le spenda in studi meno gravi e in piacevoli

    letture. Infatti una buona trovata il raccogliere anche quello che altri butta via, Come appunto fanno coloro che, dopo

    aver cenato leggiucchiano, o aspettando il sonno, o anche per allontanarlo; i medici dicono che questo fa male agli occhi, e

    credo anch'io che sia vero, ma solo quando se ne abusi, e il libro richieda molta attenzione, e il leggere sia troppo

    prolungato.

    Pier Paolo Vergerio, Del nobili costumi, in Eugenio Garin, Educazione umanistica in Italia,cit., pp. 102-104.

    Scolari e maestro

    MATTEO PALMIERI (1406-1475)

    Par appartenendo al circolo degli umanisti fiorentini restauratori del latino, Matteo Palmieri, politico e letterato, adotta

    in versi e in prosa il volgare, e in questa opera riprende dal Decameron la forma dell'insegnamento di vita attraverso

    l'incontro e il colloquio. I tre giovani scampati dalla peste del 1430, anch'essi introdotti a dialogare in una casa di

    campagna, discutono di educazione e affrontano due principii fondamentali della pedagogia moderna, il rapporto fra

    maestro e discepolo e la funzionalit di tutte le discipline alla formazione dell'uomo. Il rapporto fra maestro e discepolo,

    al di la della riaffermazione del pensiero pitagorico per cui il discepolo debba osservare il silenzio e imparare, prima di

    parlare, che potrebbe essere rilanciata come ma provocatoria risposta all'odierna dilagante improvvisazione e maniera

    degli interventi estemporanei, e che saggiamente interpretato come `collaborazione' (si insiste sull'attitudine del

    discepolo all'ascolto e alla riflessione), non ribadisce il concetto di autorit, anzi insiste sulla amanita del maestro non

    severo, ne troppo rigido, ne di dissoluta piacevolezza),, e fa dipendere da questa la scelta stessa del maestro. Scelta

    affidata, allora, all'oculatezza del padre, ma che chiaramente si riferisce alla necessit comunque di non lasciare al caso

    leducazione, di scegliere, predisporre e adeguare convenientemente il personale didattico.

  • ospedaliero, l'assistenza medica gratuita, l'assistenza sociale su un piano non pi di caritas>> (G. Moraglia). N va

    trascurata la presenza anche nella letteratura moderna del triste tema messo a fuoco nell'et umanistica.

    >

    Marsilio Ficino, Consilio contro la pestilenzia.

    17. L' inutile smania della Crociata

    PIO II, ENEA SILVIO PICCOLOMINI (1405-1464)

    Il pi grande papa umanista anche una figura complessa, il cui zelo religioso bilanciato da una grande attenzione elle

    opportunit politiche e da un uso abile della parola. Nonostante le sollecitazioni di chi voleva ancora portare la Crociata in

    Medio Oriente, mostr cautela politica e un intelligente proposito di spostare su Roma l'attenzione dei fedeli, favorendo

    il trasporto delle reliquie di sant'Andrea, fratello di san Pietro, presso la sede del primo pontefice. Eletto papa nel 1458

    dopo un periodo giovanile cui appartengono scritti in versi e in prosa di argomento profano, e dopo unimportante attivit

    ecclesiastica in curia e nei concilii in terra germanica, Pio II narra la storia dei suoi tempi e quindi anche della sua ascesa

    al pontificato con un titolo che ricorda gli appunti e la cronaca della Guerra gallica e della Guerra civile di Cesare. Nudo e

    conciso il suo stile, sia in questa sia in altre opere storiche e geografiche, e perfino nelle prove comiche (la plautina

    Chrysis) e narrative (la novella De duobus amantibus), che hanno ottenuto in questi ultimi tempi una notevole fortuna. Ma

    limpegno di storico di Pio II va ricordato particolarmente, perch i Commentarii (pubblicati postumi nel 1484) conservano

    la memoria, in pagine fra le pi spregiudicate della letteratura umanistica, degli intrighi cardinalizi che il Papa riusc a

    svelare, e del discorso che egli avrebbe pronunciato per giustificarsi del fatto di non aver realizzato la Crociata che pur

    aveva promesso al mondo cattolico. A parte il fatto che Pio II mor ad Ancona nell'estremo e inutile tentativo di mostrare

    la sua intenzione di partire finalmente per la conquista di Gerusalemme, sono importanti le sue titubanze, dovute ad

    un'intelligente percezione politica e strategica delle difficolt di affrontare i Turchi senza strumenti sufficienti, e

    soprattutto ad una segreta speranza di mantenere la pace e forse di venire a patti con gli infedeli nellutopica presunzione

    di trovare con loro un punto di accordo anche dottrinale. Del resto Pio II era amico di uno dei maggiori filosofi dell'epoca,

    Nicol Cusano, teorizzatore della coincidentia oppositorum, il principio secondo cui gli opposti coincidono, ossia

    s'incontrano piuttosto che escludersi come nella dialettica aristotelica. Un rapporto fatto al collegio cardinalizio sul suo

    comportamento per quel che riguardava la Crociata un'orazione al popolo per invitarlo a lasciar perdere la guerra,

    godersi le reliquie del santo venute dall'Oriente e lasciar l'affare dei Turchi nelle mani di Dio, sono un capolavoro di

    abilit retorica e di dissimulazione, fra buon senso e ironia.

    >.

  • Pio II, Commentarii, VII 16, VIII

    18. Confronto fra nemici

    MATTE0 MARIA BOIARDO (1440/41-1494)

    Lo sviluppo dell'epica cavalleresca alla corte di Ferrara corrisponde anche all'affermazione della narrativa come svago

    intellettuale, posto che occupa nell'et moderna il romanzo; col Boiardo si ha l'esempio evidente della. tendenza a

    sollevare l'intrattenimento popolare ai livelli della riflessione etica mediante la penetrazione simbolica dei personaggi e

    degli episodi. Svanita la motivazione simbolica e nazionale delle gesta dei Paladini, divenuti eroi di un mondo fantastico,

    ancorch nella cornice delle Crociate, la narrazione pu ospitare perfino un momento eccezionale, importante proprio

    perch eccezionale, di celebrazione della pace, propriamente di una sorta di amnistizio fra nemici nel segno di un'intesa

    culturale. L'episodio in cui Orlando, campione dei Cristiani, e Agricane, campione dei Musulmani, interrompono lo scontro

    per l'avvento della notte, e come avviene nei conviti, a sera, discutono quasi amichevolmente e pur con opinioni dissimili,

    sui fondamenti della nobilt, significativo per le teorie cui si fa riferimento e che continueranno ad interessare la

    letteratura dialogica, se sia pi valida la cultura filosofica o quella delle armi, ma soprattutto significativo perch

    rappresenta esso stesso una manifestazione di cultura che supera lo scontro armato. Alla fine non ci sar la conversione

    dell'infedele che Orlando si riproponeva di ottenere, anzi ci sar una riaffermazione della diversit, ma lo scontro - per

    una sorta di tregua paradossale (l'amore, che furia, rinnover lo scontro) - viene sollevato al livello della parola

    correttamente adoperata come strumento intellettuale. Non va trascurato il fatto che l'opera fu scritta proprio negli

    anni in cui lostilit verso i Turchi attraversava un momento drammatico e sanguinoso nella guerra di Otranto (1180-82).

    Matteo Maria Boiardo, L'innamoramento di Orlando, I xviii

    19. Originalit dello scrittore

    ANGELO POLIZIANO (1454 -1494)

    Al centro del dibattito umanistico sul 'mestiere' dello scrittore stata giustamente individuata la polemica fra Angelo

    Poliziano e Paolo Cortesi, un letterato dell'Accademia romana di Pomponio Leto, autore di una storia dell'evoluzione

    recente del Ciceronianismo (De hominibus doctis) e poi di un trattato sul comportamento e sul ruolo culturale del prelato

    (De cardinalatu), sulla linea del De oratore di Cicerone e del futuro Libro del Cortegiano di Baldassar Castiglione. Al

    Cortese il Poliziano rimproverava la scelta del grande scrittore latino come modello ottimo e quindi adottato praticamente

    come massimo punto di riferimento nella prosa mediante il metodo dell'imitazione. Ma il discorso sull'imitazione a

    proposito della prosa, e l'accusa di formare in tal modo delle scimmie di Cicerone, assumeva una valenza ben pi ampia

    contro una delle pratiche letterarie fondamentali nella pedagogia umanistica e in difesa della originalit dello scrittore,

    che non dovrebbe essere soggetto ad un solo modello, ma libero di seguire modelli diversi e molteplici come lape che

    succhia da pi fiori per dare un miele frutto della sua individuale operazione. Sul piano della poesia ne derivavano per

    Poliziano la celebrazione di Omero come primo e vero poeta perch non preceduto da modelli, e la difesa della sua stessa

    poesia, esempio straordinario di raffinatissima 'riscrittura', nel senso modernissima - si direbbe leopardiano - di una

    copiosa tradizione letteraria. Di qui non solo la reazione, che vedremo, di Cortesi e di tutto il filone umanistico che

    riabilita l'imitazione (Pietro Bembo riprender il discorso polemizzando con Gianfrancesco Pico che con altre ragioni,

    anche religiose, riabilita invece l'individualit della persona e dello stile nella scrittura, ma anche la questione moderna

    della supremazia fra Omero e Virgilio, luno campione della creativit assoluta e laltro della imitazione creativa. Una

    questione che emerge nell'affermazione del primato omerico sostenuto da Giambattista Vico e dai Romantici ostili

    all'imitazione come in generate al metodo pi rigido del classicismo.

    (...) C' una cosa, a proposito dello stile, in cui io dissento da te. A quel che mi sembra, tu non approvi se non chi riproduca

    Cicerone. A me sembra pi rispettabile l'aspetto del toro o del leone che non quello della scimmia, anche se la scimmia

    rassomiglia di pi all'uomo. Come ha detto Seneca, non sono simili tra loro quelli che si crede siano stati i massimi

    esponenti dell'eloquenza. Quintiliano deride coloro che credevano di essere i fratelli germani di Cicerone per il fatto che

    finivano i loro periodi con le sue stesse parole. Orazio condanna coloro che sono imitatori e nient'altro che imitatori.

    Quelli che compongono solamente imitando ml sembrano simili ai pappagalli che dicono cose che non intendono. Quanti

    scrivono in tal modo mancano di forza e di vita; mancano di energia, di affetto, di indole; sono sdraiati, dormono, russano.

    Non dicono niente di vero, niente di solido, niente di efficace. Tu non ti esprimi come Cicerone, dice qualcuno. Ebbene? lo

  • non sono Cicerone; io esprimo me stesso.(..) non ti lasciassi avvincere da codesta superstizione che ti impedisse di

    compiacerti di qualcosa che sia completamente tuo, che non ti pennette di staccare mai gli occhi da Cicerone() vorrei che

    tu rischiassi mettendo in giuoco tutte le tue capacit.() E ricordati infine che solo un ingegno infelice imita sempre,

    senza trarre mai nulla da s. Addio.>>

    Angelo Poliziano, Epistola a Paolo Cortese, in Prosatori latini del Quattrocento

    20. Continuit e innovazione

    PAOLO CORTESE (1465-1510)

    L'autore del De hominibus doctis (cfr. il cap. precedente) componeva in realt, esaminando gli scrittori contemporanei in

    relazione alla loro maggiore o minore osservanza dello stile ciceroniano, una storia della letteratura contemporanea con un

    disegno unitario, proprio quello che presieder alle pi moderne storie letterarie guidate da un'ideologia retorica, o

    estetica, a politica, a sociale.. Un primato del genere va riconosciuto anche a Gianfrancesco Pico (cfr. il cap. precedente)

    che nel De studio divinae et humanae philosophiae passa in rassegna gli scrittori moderni per definirne lo stile, preludendo

    a vere e proprie storie della letteratura contemporanea che fioriscono gi nel Cinquecento. Questo interesse a tessere

    una storia, superando la raccolta dei singoli uomini illustri, nasce proprio dal tipo di risposta che Cortese da a Poliziano,

    difendendo l'imitazione come rapporto fra figlio e padre, le cui fattezze. pur mutate, sono riscontrabili nei discendenti,

    costituendo una continuit non priva di innovazione. La considerazione storica della diversit nella continuit un principio

    guida della storicismo moderno, ma anche il riflesso di alcuni processi reali della cultura, quando sia orientata da un

    umanesimo di base, come avviene in Italia perfino nella stagione secentesca ,che segna la crisi dell'umanesimo

    rinascimentale. D'altro canto il concetto di imitazione, caduto in disuso con la battaglia romantica, rivalutato proprio

    secondo la direttiva umanistica, sul piano pedagogico e in occasione della polemica fra classicisti e romantici. da

    Alessandro Manzoni, allorch considerava che > (Lettera sul Romanticismo).

    >

    Paolo Cortese, Epistola al Poliziano,cit., pp. 905-911.

    21. Egemonia e lingua

    LORENZO DE MEDICI (1449-1492)

  • Il concetto espresso da Lorenzo Valla sulla durata della lingua latina, diffusa per effetto dell'Impero, ma sopravvissuta

    allImpero, riemerge in prospettiva nelle pagine in cui Lorenzo de' Medici, un politico impegnato nel perseguimento

    dell'egemonia politica fiorentina, si difende per aver scelto la lingua della tradizione fiorentina in sonetti che continuano

    e innovano quella tradizione poetica. La lingua fiorentina ha dei pregi intrinseci che le provengono dalla sua storia

    letteraria, avendo acquisito soprattutto attraverso Dante, Petrarca e Boccaccio l'abilit a trattare di tutti gli argomenti,

    scientifici compresi (ed egli insister su temi naturalisticamente psicologici), a raggiungere ogni livello espressivo e ad

    ottenere l'armonia, per cui merita di diventar comune al di l del limiti territoriali; ma se la fortuna aiuter Firenze,

    l'>.

    Lorenzo de' Medici, Proemio al Comento de' suoi sonetti.

    22. Il disagio della citt

    LORENZO DE' MEDICI

    Prima di costituire un acuto problema di ordine antropologico, economico e sociale, come divenuto nel secolo scorso,

    quello della contrapposizione fra citt e campagna stato un motivo poetico di lunga durata, anch'esso variamente e

    ciclicamente sollecitato da ragioni politiche e sociali, da situazioni e atteggiamenti spirituali, da opinioni sulla qualit della

    vita. Il tema della sofferenza per il trambusto della vita cittadina risale alla poesia antica ed in relazione con lo sviluppo

    dell'inurbamento e la crisi del mondo agricolo-pastorale, simbolo della stessa poesia per il fatto di rappresentare il tempo

    ed il luogo d'incontro fra creature divine ed umane, oggetto di nostalgica rievocazione. Nell Umanesimo quel tema

    riprende vigore ed spesso collegato con la reale trasformazione del mondo cittadino in un centro di affari, di sviluppo

    economico, ma anche di affanni e disagi. NellAltercazione di Lorenzo il Magnifico il contrasto fra citt e campagna viene

    assunto in funzione di una riflessione etica circa l'incontentabilit umana giacch chi vive in citt sogna la campagna e

    chi vive in campagna sogna la citt - e la necessit di spingere il desiderio al di la dei limiti che offre la vita terrena. Ora,

    la prospettiva un po' obbligata del platonismo e il carattere retorico dell'esagerata contrapposizione ne fanno un testo

    molto datato, ma lelaborazione metaforica e l'assunzione del tema nella cornice filosofica non eliminano, e anzi

    ribadiscono, limportanza che lumanesimo attribuiva a quel tema largamente evocato e dibattuto nella letteratura del

    pieno e del tardo Rinascimento e riscoperto nel Settecento, nell'Ottocento e nel Novecento. Un'opera risalente agli

    stessi anni del poemetto laurenziano e particolarmente fortunata, lArcadia. di Iacopo Sannazaro, nasce anch'essa, senza

    pretese filosofiche, come rifiuto della sofferenza cittadina e si svolge ambiguamente come dolorosa e gaudiosa

    esperienza dell'esilio in campagna in una lingua volgare che arieggia ad ogni passo il latino: ii ritorno al latino s'incontrer

    con il ritorno alla bucolica perfino nel poema religioso (vedi n. 32). Regressione, si direbbe in termini moderni, non

    generosi, utilizzati per pascoliano particolarmente vicino alloperazione umanistica. ->Lorenzo de' Medici, De summo bono

    (Altercazione), I.

    23. Superstizione

  • GIOVANNI PONTANO (1429-1503)

    Lo svergognato costume dei potenti e la connivenza del volgo, l'arrivismo venale, l'incultura presuntuosa sono l'obiettivo

    polemico di buona parte dei Dialoghi faceti (Charon, Antonius) di Pontano. Questi sceglie la figura popolaresca di Caronte,

    introdotta in un colloquio accanto a quella di Mercurio, il dio che rappresenta la sapienza occulta e rivelata (il nome del dio

    era collegato con quello del mitico Ermete Trismegisto, autore di trattati filosofico-religiosi della tarda et ellenistica),

    per sbeffeggiare le stoltezze e le malvagit ataviche del mondo. Il nocchiero infernale, cui s'intitolava un dialogo del

    greco Luciano, ironizzatore delle tradizioni religiose e delle stupidaggini umane, riprende il carattere burbero e il buon

    senso comune che gli attribuiva la tradizione, per dimostrare in forma comica linfondatezza della superstizione, la

    cavillosit e l'ignoranza dei filosofi, l'ipocrisia della gente per bene, le inutili illusioni degli uomini fondate sulla favola

    della loro superiore natura, e frattanto rivelare con i suoi giudizi - sia pure con una sfumatura scherzosa - quanto sia

    importante l'educazione culturale acquisita attraverso la consuetudine con i dotti dai quali per s'imparano talora anche

    sciocchezze. Il ricorso a figure mitiche e alla forma dell'apologo sar ancora un vezzo della letteratura, specialmente

    sulla scia di Luciano, per alleggerire la satira. Uno di questi obiettivi satirici, quello contro i medici, aveva trovato posto

    nella polemica petrarchesca con profonde ragioni che discutevano il naturalismo scolastico, ma diventer topico in senso

    serio e faceto. Allo stesso nodo la contraffazione dell'insegnamento grammaticale e lessicale, ispirato agli scherzi

    linguistici del teatro plautino con lo sguardo rivolto agli spropositi del sillogismo, ricalca la presunta - quando presunta

    elementarit del metodo pedagogico, valida anche ai nostri giorni. Pontano non abbandona quasi mai un tono umoristico e

    scanzonato, non privo di stranezze, sia quando mette in evidenza le assurdit, ossia la follia vera degli uomini, per esempio

    di coloro che fondano il sapere sui valori nominali, sia quando guarda con una sottile ironia, confrontata con l'apparente

    rozzezza di Caronte, il sussiego sapienziale dei giudici infernali, sia quando metter a confronto, alla fine del dialogo, il

    sapiente ridanciano e il sapiente pensoso, complementari ed entrambi funzionali a una equilibrata considerazione della

    vita.-> Giovanni Pontano, Caronte

    24. Un'ipotesi di critica stilistica

    GIOVANNI PONTANO

    La critica retorica degli umanisti, quando viene condotta come in questa pagina dell' Antonius di Pontano dedicata alla

    difesa di Virgilio quale esempio di poesia originale e carica di emozione, ricorda la sensibilit formate della critica

    stilistica dei nostri tempi. Il dialogo coinvolge altri accademici come Elisio Calenzio e Andrea Contrario, ai quali Pontano

    affida il ricordo di Antonio Panormita lettore attento dei testi, riconoscendo la loro competenza in materia. Il passo che

    riportiamo va in effetti ben oltre lanalisi formale, poich mostra come le scelte lessicali di Virgilio, distinguendosi da

    quelle di Pindaro rivolte ad altro effetto mediante altra serie di metafore, rispondono ad una sorta di poetica della

    meraviglia e con liperbole suscitino l'immaginazione esuberante e l'emotivit, sicch perfino quel che pu sembrare un

    abbozzo va interpretato come scelta raffinata, quasi un "non finito", per un effetto straniante. La finezza di lettore

    dell'Umanista conduce insomma perfino a rivalutare per la sua completezza espressiva anche quello che un grammatico

    poteva considerare, e semmai scusare, come un abbozzo, un lavoro incompiuto. L'exuperantia e ladmiratio sono i

    presupposti di una poetica tratta dal seno della retorica e divenuta feconda nel manierismo e nel barocco secentesco,

    oltre a toccare un frequente tasto delle poetiche attente all'emozione e all'orrore. La novit pontaniana risiede tuttavia

    anche nella qualit del metodo critico, rivolto cogliere il proprio di un poeta, ad entrare nel suo laboratorio, e a spostare il

    discorso dalla considerazione del rapporto imitativo fra scrittori, come nel manierismo, al rapporto fra lo scrittore e la

    realt di cui abbia diretta esperienza, che il mito estetico sia del barocco, convinto che il poeta penetri nei fenomeni

    della natura con le sue metafore, sia del realismo moderno non insensibile allo straniamento metaforico. Nell'Actius poi,

    da cui tratto il secondo brano, l'esame degli effetti della variet, fra considerazioni che riguardano legamenti e

  • contrazioni, iati e pause della metrica e accostamenti vocalici, prelude all'analisi cui Bembo sottoporr i versi volgari di

    Petrarca, e all'artificio poetico del tardo Rinascimento. Tutto ci testimonia gi la fortuna che nella nuova retorica

    assume l'insegnamento di Ermogene di Tarso, retore del II secolo, autore di un trattato Sulle idee, particolarmente

    attento ad un complesso di accorgimenti linguistici al fine di ottenere le varie qualit dello stile, e destinato a divenire fra

    Cinque e Seicento un'auctoritas nel campo della critica letteraria e ben al di la dell'et umanistica una guida del gusto

    formale. La nuova critica formale, pur nella trasformazione del gusto, trovava una base sicura nei parametri virgiliani (cos

    in un notevole, quantunque oscuro, critico napoletano che continua la tradizione pontaniana).

    . -

    >Traduzione da Giovanni Pontano, Antonius,

    .->Traduzione da Giovanni Pontano, Actius, in Dialoghi

    25. Fortuna e follia: il rovescio della virt

    GIOVANNI PONTANO

    La fortuna, protagonista esplicita o implicita di molta letteratura narrativa, assorbe anche molta parte della riflessione

    medievale e umanistica, nonostante che la divinizzazione pagana della figura si scontrasse con la concezione cristiana della

    provvidenza e dell'ordine della natura. Intesa ora come casualit estrema, ma pi spesso come il complesso delle cause

    sconosciute, necessariamente o provvidenziali o solo previste da Dio, degli eventi esterni all'anima e sottratti alla volont

    umana, essa poteva rientrare nel quadro dell'etica ed essere considerata ora in conflitto ora in alternativa con la virt,

    ora perfino ad essa estranea o soggiacente. Negli ultimi anni di vita (1501), al culmine della bufera politica che investe

    l'Italia, dopo aver trattato di astrologia, di virt e fra queste di prudenza, allo stesso tempo in cui meditava sul

    capovolgimento dell'ordine morale rappresentato non dal vizio ma dalla disumanit (De immanitate), Pontano scrive tre

    libri De fortuna scandalizzando i religiosi e rilanciando il mito laico della fortuna come 'caso' assoluto, indicandola quale

    causa irrazionale degli eventi, impeto della natura esterna ed interna all'uomo, sottratta ad ogni ragione di ordine morale

    e divino. Nonostante le molte professioni di fede nella mano di Dio comunque presente ai pi alti livelli del mondo celeste,

    e nell'eccezionale intervento della volont, anche questa per equiparata talora ad un impulso naturale, il senso dell'opera

    decisamente proiettato, pur con tutto il suo linguaggio aristotelico, verso un nuovo concetto di natura, varia, mutevole e

    imprevedibile, che richiede un approccio diverso, e dove tuttavia la cautela ricavata da schemi acquisiti pu non avere

    alcun effetto pratico. L'identificazione della fortuna con il gioco dei dadi, ossia con il caso assoluto, ha un riscontro nello

    studio moderno delle probabilit e nella teoria del caos. A parte l'applicazione politica di questa spregiudicata

    concezione, che avr in Guicciardini la sua moderna soluzione storiografica, pagine centrali del trattato pontaniano, dove

    si delinea la sconcertante figura dell'uomo fortunato senza alcuna ragione n umana n divina, sono importanti per una

    prima rappresentazione del folle come ingegno eccezionale e come poeta, il cui furore riceve la denominazione di divino'

    solo perch non si riesce a scoprire la causa.

  • di divinare, infatti, potrebbe esserci in un uomo ignorante, spesso in un uomo di campagna, o anche in una donnetta quasi

    rozza e mezza sciocca? Eppure indovinano e presagiscono ii futuro di moltissimi secoli. Che poi gli indovini e le Sibille siano

    mossi soltanto da quell'impulso naturale, indipendentemente da ogni ponderazione (...) Omero e Virgilio, due luminari della

    poesia in due lingue diverse, entrambi per un simile impulso innato hanno conseguito che,se gli dei stessi volessero cantare

    in greco o in latino in versi eroici, non canterebbero con altra voce, n con altro canto, n con altro metro, n con altra

    dolcezza, dignit e grandezza se non con quella usata da loro per cantare. Questo spirito naturale, o impulso che dir si

    voglia, poich sembra contenere qualcosa di divino, e certamente pi che umano, stato detto sacro. Quell'impulso

    dunque, sia che provenga dal cielo, sia dalla natura o da entrambi,Adunque, poich la fortuna natura, e natura priva di

    ragione, per il fatto che senza ragione e consiste in un impulso, che non altro se non un moto irrazionale, sembra che la

    fortuna debba ricondursi a Dio come alla causa principale di tutte le cose. Ma bisogna stare attenti a che, facendo questo,

    noi diamo a Dio la colpa dell'ingiustizia e di una poco retta distribuzione di beni>>

    Traduzione da I. I. Pontani De fortuna,in Opera omnia soluta oratione composita, Manuzio, Venezia 1518.

    26. Affabilit della conversazione

    GIOVANNI PONTANO

    Fra le novit introdotte dall'Umanesimo nella civilt moderna, specialmente attraverso l'incremento della consapevolezza

    retorica, vi quel modo garbato di discutere le opinioni che evita la durezza e rigidit della logica e l'odiosa scortesia del

    diverbio e della rissa. Non che venisse meno l'uso dell'invettiva sin nella polemica politica e culturale, sia nella satira e

    nell'epigramma, ma si venne creando uno spazio sempre maggiore per l'incontro verbale improntato a civilt e cortesia. I

    dialoghi platonici e in particolare il Convito, le parti introduttive e le pause dei dialoghi morali di Cicerone, le discussioni

    riferite da Aulo Gellio nelle Noctes Atticae e da Macrobio nei Saturnales, offrivano modelli di distensione intellettuale. Il

    dialogo era anche un modo di dibattere con leggerezza argomenti scientifici. Ma l'Umanesimo svilupp nella forma del

    dialogo soprattutto, e nella forma di quel dialogo a distanza che l'epistola, il gusto di quella che modernamente

    diventata la 'conversazione', particolarmente coltivata nella corte e nelle accademie cinquecentesche e settecentesche,

    fino alla moda pi recente del salotto. Al di la delle molteplici forme sociali di questa fenomeno, vale la pena di tener

    presente un momento fondamentale di presa di coscienza di questa necessit civile di adoperare la lingua per l'incontro

    cortese e per la ricreazione umana: Pontano dedica un trattato, largamente utilizzato almeno fino a tutto il secolo

    successivo (De sermone, 1499) per illustrare, anche can esempi, l'uso della conversazione in quei momenti in cui

    particolarmente necessario lo 'spirito' al fine di allentare la tensione con l'umorismo della facezia, e dimostrare

    affabilit con il sorriso vari i livelli, mai eccessivi, del comico. I nuovi termini, introdotti proprio da Pontano, sono

    soprattutto facetitas (l'arte della facezia) e comitas (l'affabile cortesia), e i loro concetti costituiscono una guida

    essenziale del linguaggio medio e brillante.

  • dell'uomo affabilmente cortese rinunciare alla severit, conservare la mitezza, compiacere piuttosto che

    contrastare..Questa di cui ora abbiamo parlato e quella accortezza che consiste net rendere onore con le parole per

    attirarsi una maggiore simpatia da parte dei soldati: cercare questo compito proprio di questa virt. Non dobbiamo

    trascurare neppure quello che Livio dice di Quinto Fabio: iniziata la battaglia con i Sanniti, egli chiam a se il figlio

    Massimo e i tribuni Marco e Valerio e, chiamandoli per nome tutti e due li colm, con pari affabilit, di lodi e di

    promesseOh disse che non potevano tuttavia passare inosservati gli atti di valore che venivano compiuti

    nell'accampamento romano.. per guadagnarsi il favore, per ottenere la benevolenza ricordando he imprese eroiche. E dopo

    aver detto "sia gloria al tuo valore"non senza evitare comunque di incorrere talvolta in offese rivolte alle orecchie o al

    cuore, tuttavia con riserbo e molta moderazione, pur di giovare, pur di distogliere.

    Giovanni Pontano, De sermone, trad. a cura di F. Tateo.

    27. Fra dialogo e teatro

    GIOVANNI PONTANO

    Il rilancio del teatro comico avviene nel Rinascimento con le commedie in volgare di Ludovico Ariosto, che riprendono modi

    e temi plautini adattandoli alla societ attuale; ma il recupero, anche linguistico, di Plauto e di Terenzio ( quest'ultimo era

    pi frequentato nel Medioevo) era avvenuto nell'umanesimo latino sia ad opera di Poggio, che vi cercava spunti per le sue

    facezie e per la ricerca di un linguaggio pia vivo, sia ad opera di Pontano che ricorse ai comici per le facezie incluse nel De

    sermone e prima ancora per i suoi dialoghi faceti. Uno di questi dialoghi, composto intorno al 1486 ma pubblicato postumo,

    l'Asinus, ha una impostazione scenica che ne fa una vera e propria commedia moderna anteriore all'irrigidimento

    classicistico della divisione in atti e della riduzione delle scene e dei personaggi. La mescolanza di personaggi popolari e di

    personaggi nobili, il mutamento delle scene, dalla piazza alla villa di Pontano con una parte al di qua e una all'interno del

    giardino, perfino l'uso dei lazzi, ripetono la libert della tarda sacra rappresentazione, ma l'argomento autobiografico,

    con l'autore che finge di essere impazzito per un asino, di far discorsi ultraseriosi sull'agricoltura e sugli influssi stellari,

    e sconci con il contadino, rappresentano una novit assoluta nella tradizione dialogica e comica. Soprattutto l'autoironia,

    che Pontano anche teorizzava nel trattare della facezia, e la ricerca di mimesi, in latino, del linguaggio quotidiano con

    sospensioni e didascalie, ne fanno un esercizio sperimentale di gusto modernissimo.

    Giovanni Pontano, Asinus, a cura di F. Tateo, in Lorenzo Poliziano Sannazaro, Poggio e Pontano, Cit., pp. 687-692,701-702.

    28. La spettacolarit

    GIOVANNI PONTANO

    Le rovine romane, da cui muove la riflessione egli umanisti sulla degenerazione dei tempi e sulla necessit di una

    restaurazione della grandezza antica, rimarranno nel gusto pittorico e scenico dell'et moderna come un modo simbolico

    per rappresentare la nobilt e la bellezza quale sfondo della vita signorile in contrasto col paesaggio rustico. Pontano fa

    rientrare il gusto per la grandezza della realizzazione artistica nella virt della magnificenza, ossia della spesa opportuna

    e dignitosa di un uomo di alto rango o provvisto di un ruolo pubblico nel far costruire edifici e allestire feste e spettacoli.

    In questi passi del trattato l'umanista ricorda la meraviglia provata a Roma insieme all'amico Gabriele Altilio, in occasione

    di una missione diplomatica (1493), nel riconoscere dalle rovine la grandezza, come una delle qualit della bellezza cui

    s'ispirava l'architettura romana perfino nella costruzione degli acquedotti e della cloaca. Ma importante il riferimento

    ai teatri e agli spettacoli pubblici che andranno sempre rispondendo alla domanda del pubblico moderno. A questo modello

    si ispir a Napoli Francesco Laurana nell'ideazione del marmoreo prospetto d'ingresso del Maschio Angioino (1455/58) e

    ad esso si conform l'allestimento del Trionfo che Alfonso celebra al suo ingresso a Napoli, narrato in tutti i suoi

    particolari scenici da Antonio Panormita (cfr. G. Distaso, Scenografia epica: ii trionfo di Alfonso, epigoni

    tassiani,Adriatica, Bari 1999). E tuttavia lo stesso Pontano, come nella poesia conosce il sublime della scienza astrologica

    e l'elegia degli affetti familiari, cos nel trattare delle virt, non solo esalta la magnificenza a la magnanimit che

    riguardano la vita pubblica dell'uomo di rango, ma rivolge anche l'attenzione alle virt private che implicano la parsimonia,

    con un gusto che stato riscoperto in et moderna.

  • incremento, e conservarono una loro identit fino al Novecento, confluendo anche in forme liriche diverse quali ad es. il

    sonetto e la canzone.

    >.

    Traduzione da Giovanni Pontano, Actius, in Dialoghi.

    30. Lo strumento dell' esperienza

    LEONARDO DA VINCI (1452-1519)

    Il trattato della Pittura, in cui Leonardo confronta con larte figurativa quella letteraria e attribuisce alla prima una

    superiore capacit di conoscenza e di espressione, il segno del suo ingegno moderno, non tanto perch contribuisce, dopo

    il grande apporto dato da Leon Battista Alberti all'emancipazione delle arti meccaniche, ad avviare con riflessioni

    teoriche l'arte pittorica verso quella sorta di egemonia che essa conquister fra le arti nella civilt del Rinascimento, ma

    perch in maniera esplicita assegna allo strumento della figurazione, l'occhio, il primato nella conoscenza del reale. Non

    la prima volta che l'organo della vista viene anteposto alle altre forme di conoscenza: gi la contemplazione', considerata

    superiore alla pratica del fare e della scrivere, era considerata nell'estetica medievale atto della vista, vista metaforica

    oppure onirica, ma certamente collegata con il senso visivo, esaltato per la sua immaterialit al di sopra degli altri sensi.

    Ma Leonardo, collegando l'occhio alla pittura concretamente intesa come disegno e colore, come strumento di

    rappresentazione delle cose nella loro effettiva consistenza corporea, raccoglie intorno all'analisi delle capacit

    conoscitive dell'occhio tutta la scienza del mondo naturale. Il paragone con le lettere, favorevole alla pittura anche

    quand'egli riconosce alla pittura gli stessi pregi espressivi delle lettere, ricalca la sua provocatoria e metaforica

    autodefinizione di uomo senza lettere, che significa non formato alla maniera tipica dell'umanista, e mira soprattutto a

    privilegiare la conoscenza intuitiva rispetto a quella che richiede il tempo della descrizione e della penetrazione filosofica.

    I segni e i colori rappresentano, se visti con occhio acuto, l'oggetto naturale pi di qualunque descrizione e ragionamento.

    Si avvia in tal modo sia l'uso della figurazione nel campo della meccanica, sia l'uso dell' illustrazione come compagna della

    scrittura, non al fine semplicemente esornativo, ma di approfondimento e arricchimento interpretativo, come in molte

    esperienze pittoriche e tipografiche degli ultimi secoli.

  • scienza che rappresenta le opere di natura, che quella che rappresenta le opere dell'operatore, cio le opere degli uomini,

    che sono le parole, come la poesia, e simili, che passano per la umana lingua.

    5. Come la pittura abbraccia tutte le superficie de' corpi, ed in quelli si estende. Chi biasima la pittura, biasima la natura,

    perch le opere del pittore rappresentano le opere di essa natura, e per questo il detto biasimatore ha carestia di

    sentimento. Si prova la pittura esser filosofia perch essa tratta del moto de' corpi nella prontitudine delle loro azioni, e

    la filosofia ancora lei si estende nel moto. Tutte le scienze che finiscono in parole hanno si presto morte come vita,

    eccetto la sua parte manuale, che lo scrivere, ch'e parte meccanica.

    9. Come il pittore e signore d'ogni sorta di genie e di tutte le cose. Il pittore padrone di tutte le cose che possono

    cadere in pensiero all'uomo, perciocch s'egli ha desiderio di vedere bellezze che lo innamorino, egli signore di

    generarle, e se vuol vedere cose mostruose che spaventino,ei n signore e creatore. E se vuol generare siti deserti,

    luoghi ombrosi o freschi ne' tempi caldi, esso li figura, e cos luoghi caldi ne' tempi freddi. Se vuol valli.. gli alti monti, o

    dagli alti monti le basse valli e spiaggie. Ed in effetto ci che nell'universo per essenza, presenza o immaginazione, esso

    lo ha prima nella mente, e poi nelle mani, e quelle sono di tanta eccellenza, che in pari tempo generano una proporzionata

    armonia in un solo sguardo qual fanno le cose.

    10. Del poeta e del pittore. La pittura serve a pi degno senso che la poesia, e fa con pi verit le figure delle opere di

    natura che il poeta, e sono molto pi degne le opere di natura che le parole, che sono opere del l'uomo; la natura va da Dio.

    pi degna cosa imitare la natura che imitare i fatti e le parole degli uomini. Il poeta superato con potenza dal pittore..

    ma se vuoi vestirti delle altrui scienze separate da essa poesia, elle non sono tue,.. ti trasmuti, e non sei pi quello di che

    qui si parla..Si muovono i popoli con infervorati voti a ricercare i simulacri degl'iddii; e non a vedere le opere de' poeti,

    che con parole figurino i medesimi iddii. Con questa s'ingannano gli animali.

    18. Differenza infra poesia e pittura. La pittura immediate ti si rappresenta con quella dimostrazione per la quale il

    suo fattore l'ha generata, e da quel piacere al senso massimo, qual dare possa alcuna cosa creata dalla natura. Ed in

    questo caso il poeta, che manda le medesime cose comun senso per la via dell'udito, minor senso, non da all'occhio altro

    piacere che se uno sentisse raccontare una cosa. Or vedi che differenza e dall'udir raccontare. una cosa che dia piacere

    all'occhio con lunghezza di tempo, o vederla con quella prestezza che si vedono le cose natural!Per le opere lette e

    ascoltate bisogna fare commenti, ma l'opera del pittore immediate compresa da' suoi risguardatori.

    19. Della differenza ed ancora similitudine che ha la pittura con la poesia. La pittura ti rappresenta in un subito la

    sua essenza nella virt visiva, e per il proprio mezzo, d'onde la impressiva riceve gli obietti naturali, ed ancora nel

    medesimo tempo, nel quale si compone l'armonica proporzionalit delle parti che compongono il tutto, che contenta il

    senso; e la poesia riferisce il medesimo, ma con mezzo meno degno dell'occhio..pi confusamente.

    20. Dell'occhio. L'occhio, dal quale la bellezza dell'universo specchiata dai contemplanti, e di tanta eccellenza, che chi

    consente alla sua perdita, si priva della rappresentazione di tutte le opere della natura, per la veduta delle quali l'anima

    sta contenta nelle umane carceri. mediante gli occhi, per i quali essa anima si rappresenta tutte le vane case di natura. Ma

    chi li perde fascia essa anima in una oscura prigione..non c nessuno che non volesse piuttosto perdere l'udito e l'odorato

    che l'occhio..perderela bellezza del mondo.

    Leonardo. Trattato della Pittura.

    31. Felicit dei primitivi

    ANTONIO DE FERRARO GALATE0 (1446/48-1517)

    L'approccio 'morale' degli Umanisti a questioni di ordine schiettamente fisico e antropologico pu essere letto

    tradizionalmente come limite della scientificit della loro riflessione, mentre pu essere un antidoto moderno

    all'atteggiamento meramente positivistico o tecnologico imperanti, e un richiamo alla considerazione 'civile' della societ,

    pi volte richiamata attraverso i secoli. L'epistola inviata a Jacopo Sannazaro poco dopo la scoperta del Nuovo Mondo da

    Antonio Galateo, umanista e naturalista salentino che aveva studiato a Padova e soggiornato nell'ambiente aragonese di

    Napoli, il documento eccezionale di una discussione avvenuta a corte, la corte aragonese di Napoli, sul problema

    geologico della formazione e trasformazione delle terre e dei mari (il moderno interesse scientifico del Galateo, che lo

  • conduce a far confluire insieme ricerca geologica, antropologica). Gi in questa questione, pur discussa con gli strumenti

    conoscitivi e metodologici di allora, si delineano due tesi che si fronteggeranno sino ai giorni nostri fra sostenitori del

    catastrofismo' e sostenitori della lenta trasformazione della crosta terrestre, con importanti accenni al principio del

    "nulla si crea e nulla si distrugge" e critiche alla presunzione di conoscere al di la dell'esperienza e della documentazione.

    Quel che colpisce di pi, invece, proprio la risoluta risposta, apparentemente conservatrice, all'invasione europea delle

    nuove terre, che rifiuta l'interpretazione celebrativa superficiale del Mito di Ulisse, e guarda alla conquista del Nuovo

    Mondo con occhio disincantato, rilanciando con esuberanza retorica in satira ben nota contro i costumi, ma prefigurando

    sostanzialmente la critica illuministica fondata sul mito del "buon selvaggio," che Leopardi sintetizzer liricamente

    concludendo linno ai Patriarchi o dei principii genere umano. L'umore polemico del Galatea rappresenta una sorta di

    coscienza critica dell'Umanesimo, quando pensiamo al suo rifiuto esplicito e vivace del ciceronianismo ad oltranza, e quindi

    alla propensione a rompere lequilibro fra res e verba in favore delle 'cose' , a utilizzare cio il famoso principio etico

    agostiniano, che sia meglio peccare nelle parole che nella vita morale, verbis quam moribus, nel senso di dover trascurare

    l'eleganza per il discorso chiaro, priva di fronzoli e scientificamente proprio, cui corrisponde la critica, ugualmente vivace

    e quasi solitaria, rivolta all'operazione di uniformare i dialetti alla unit e bellezza di una lingua egemonica come il toscano.

    La polemica contra la degenerazione dei costumi, inoltre, raggiunge toni di particolare gravit nei confronti delle autorit

    ecclesiastiche, da essere paragonati a quelli, insoliti fra gli umanisti italiani, dei campioni della Riforma protestante.

    [...1 Se vero quello the raccontano, quante popolazioni, quante citta bisogna pensare che siano state distrutte da una

    sola rovina, da un solo diluvio? Ma mi sia concesso, caro Azio, di parlare con te senza che altre persone ci ascoltino... Che

    cosa facciamo qui? Che vita trasciniamo fra tanti disastri?.. Evviva il valore di questi uomini, non solo assai degni di essere

    ricordati, ma meritevoli della gratitudine nostra e dei posteri, perch hanno osato affidarsi all'ignoto ed infinito mare,

    perch hanno osato penetrare in quel non so che sconfinato e vuoto regno della naturale. Ci hanno insegnato che non c'

    luogo dove manchino uomini, tanta cura ha avuto la madre natura di tutti noi. . Ma non so se sia andata bene alle

    popolazioni che avete scoperte. Popolazioni veramente fortunate, e, come dice Orazio, isole beate, contente di quel che

    avevano, esistettero nell'et dell'oro. Temo che, mentre vi illudete di conclude ad una vita pi civile, mentre vi

    preoccupate di portare loro leggi e altre cose senza le quali la vita sarebbe pi felice, introduciate anche i nostri vizi, le

    tirannidi, gli onori, le cariche pubbliche, le ambizioni..la magia, le pozioni, veleni.. E non mancher in un popolo cosi

    numeroso qualcuno, cui la natura ha infuso un lume d'ingegno (poich uomini sono), che si accorga come da fuori non

    provenga tanto la civilt quanto la depravazione, e che compiangendo la gente dica: Antonio De Ferrariis Galateo, Epistole.

    32. Regressione bucolica e pacifismo

    IACOPO SANNAZARO (1455/56-1530)

    Ancor oggi per rappresentare la pace si ricorre a immagini simboliche della vita quotidiana raccolta, non scossa da eventi

    improvvisi e grandi, ma allietata dalla festa e dal gioco, e della vita campestre. In particolare la ripresa, all'alba del

    Novecento, di una poesia ispirata alla semplicit e genuinit della fanciullezza e della memoria infantile, ha fatto parlare

    di regressione' La simbologia del mondo bucolico come mondo pacifico anteriore alla turbolenza cittadina un motivo

    ricorrente della letteratura umanistica, dove esso a ragion valuta rappresenta la nascita stessa della poesia. Il

    Quattrocento vede infatti la rinascita del genere bucolico nella doppia figura dell'hortus conclusus e della spazioso

    paesaggio naturale. Ma il genere bucolico si collegava anche alla favola mitologica: significativo, per gli stessi sviluppi

    posteriori del genere, la presenza notevole del mondo bucolico nel teatro. Il Sannazaro si dedica allArcadia, libro non

    privo di scenografia teatrale e di figurativit mitologica, ma dove il richiamo quotidiano della vita semplice, persino

    infantile, dei pastori, le opere e I giorni, talora interrotto dalla festa e dal gioco, e l'inconsapevole felicit del gregge

    rappresentano simbolicamente un'oasi di tranquillit e un aspetto della poesia autentica, vissuta fra i dolori

    dell'esistenza. Ma l' Umanesimo ereditava dall'antichit l'idea della pace augustea e dalla tradizione cristiana la saldatura

    fra la pace augustea e quella della Redenzione che si compie originariamente in una scena pastorale. Sannazaro, che

    sperimenta nell'et giovanile, come tutta la generazione, i rivolgimenti bellici che inducono le speranze escatologiche di

    fine secolo, e nella maturit le attese ireniche della Renovatio cristiana, colleg strettamente l'uno e l'altro mito nelle

    sue esperienze letterarie apparentemente diverse, passando dal romanzo bucolico in volgare al poema epico-religioso in

  • latino sul Parto della Vergine. Infatti, nel narrare la storia cristiana, canta (II 116-234) il mito della pace ricordando

    l'evento storico pagano del censimento di Augusto, che i Vangeli collegano al viaggio di Giuseppe e Maria e che diventa il

    simbolo della confluenza nell'Impero di tutti i popoli della terra, diversi ma accomunati da un identico spirito di

    convivenza come auspicio di pace (si riporta qui un brano iniziale nella traduzione in versi italiani di Giovanni Bartolomeo

    Casaregi, che testimonia oltre tutto, in ambiente arcadico, la persistenza del bilinguismo umanistico). Nel nome della pace

    Redenzione e Rinascita s'incontrano in una prospettiva globale che fa pensare ai modi non limitatamente rituali con cui

    Manzoni canter, dando al motivo cristiano un senso universale, la Pentecoste che unisce in un solo ideale di pace fedeli e

    infedeli. Questa convergenza di fondo che alimenta il pi consapevole pacifismo attuale, in nome di un valore comune come

    la pace, e in nome di una solidariet e religiosit nuove, non confessionali, agendo al di l del pi vistoso conflitto fra

    religioni diverse e fra religione e laicismo, ha la sua genesi proprio in quell'atteggiamento umanistico, riflesso nel mito

    classico, punto di riferimento ideologico della tolleranza' , che sopravviver sia allo spirito confessionale e

    controriformistico, sia a quello anticlericale. Il risvolto filosofico di questo atteggiamento fu la docta religio di Marsilio

    Ficino (De doctrina christiana), una sorta di religione della cultura che accomuna tutte le fedi.

    Era gia per lo tramontAre del sole tutto i'occidente sparso di mile varieth di nuvoli, quali violati, quali cerulei, alcuni

    sanguigni, altri tra giallo e nero, e tali si rilucenti per la ripercussione de' raggi, che di forbito e finissimo oro pareano.

    Per the essendosi le pasto-relle di pan i consentimento levate da sedere intorno a la chiara fontana, i duo amanti pusero

    fine a le loro canzoni. Le quail sl come con maraviglioso silenzio erano state da tutti udite, cosi con grandissima

    ammirazione furono da ciascuno eguabnente comendate, e massi-mamente da Selvaggio. il quale non sapendo discernere

    quale fusse stato pi prossimo a la vittoria, arnboduo giudico degni di somma lode; al cui giudicio tutti consentemmo di

    commune parere. E senza poterli pi 6 comendare the comendati ne gli avessemo, parendo a ciascuno tempo di dovere omai

    ritornare verso la nostra villa, con passo lentissimo, molto degli avuti.piaceri ragionando, in camino ne mettemmo.

    Jacopo Sannazaro, Arcadia e Iacopo Sannazaro, De partu virginis.

    33. Incertezze della politica

    NICCOL MACHIAVELLI (1469-1427)

    indubbio che fra tutti gli umanisti quello considerato generalmente come il pi attuale l'autore del Principe per lo

    spregiudicato realismo che ispira la sua riflessione politica, segno di un definitivo distacco dalla tradizione della

    trattatistica politica fondata su principii morali e sul rispetto sacrale delle istituzioni. Ma in sostanza anche

    l'antimachiavellismo ha dovuto fare i conti, nei secoli, con l'offensiva machiavelliana contro le immagini ideali di governo e

    con il richiamo alla realt effettuale, ossia ai modelli storici dai quali trarre le regole del successo politico. L'esperienza

    di regimi che hanno messo in pratica senza infingimenti e con sistematica consapevolezza, ma anche senza moderazione, il

    principio della slealt e della violenza come metodo per costruire e mantenere lo stato, e il sopravvivere del materialismo

    storico diretto a fondare la lotta politica su meri rapporti di forze, sia pure con obiettivi sociali, hanno rilanciato

    modernamente la dottrina di Machiavelli e favorito lo studio critico e approfondito del suo messaggio con esiti diversi.

    Fra le molte, preziose indagini rivolte a definire l'originalit dell'autore del Principe di fronte alle dottrine politiche del

    passato e soprattutto del recente passato umanistico (cfr. D. Canfora), a segnalarvi le eventuali anticipazioni, ma

    specialmente a penetrare nella formazione e nelle ragioni della dottrina machiavelliana, a valutare la fortuna e sfortuna di

    quest'ultima, va tenuta soprattutto presente in questa sede l'eredit problematica lasciata do quell'opera straordinaria.

    Il fatto pi umanisticamente significativo non sono tanto, infatti, la concezione naturalistica dell'uomo, il pragmatismo e

    l'orizzonte esclusivamente politico e civile, il ricorso all'esempio storico, l'intuizione della necessit di uno stato grande,

    forte e coeso, quanta la difficolt di sostenere fino in fondo con tanta risoluta certezza l'idea della virt del Principe in

    un contesto condizionato dall'inspiegabile fortuna. Perci vanno raffrontati due passi che si riferiscono alla celebrazione

    di un principe quasi perfetto perch calcolatore, se un suo errore ed un evento inatteso non avessero vanificato il suo

    successo (Cesare Borgia), e al ricordo indispettito, e quasi imbarazzato, di un principe impetuoso (Giulio II), pervenuto al

    successo nonostante la sua imprudenza, solo perch i tempi avevano per caso corrisposto alla sua indole. Ma la conclusione

    sulla convergenza fra l'esito felice e l'agire impetuoso ed irrazionale richiama ii trattato pontaniano sulla fortuna (vedi

    qui n.25) e la sua impostazione che identifica il caso con la natura irrazionale.

    Niccol Machiavelli, Il principe, VII, XXV.

  • 34. Critica della Provvidenza

    FRANCESCO GUICCIARDINI (1483-1540)

    Il motivo ricorrente della 'provvidenza' Si affievolisce nell'et umanistica e scompare se non come rara e metaforica

    alternativa alla 'fortuna' nei secoli successivi, e lo stesso motivo ricorrente della fortuna' diventa sempre pi sinonimo di

    complesso inestricabile di influssi stellari, di "situazione politica" determinata da tali e tanti fattori da impedire la

    previsione e perfino la spiegazione. Con la 'Storia dItalia Francesco Guicciardini certamente contribuisce a questa

    trasformazione, ma nel racconto della morte di papa Alessandro VI (1503) la sua concezione immanente degli eventi umani

    espressa in termini talmente vigorosi da non lasciar dubbi sullo scetticismo del narratore, nonostante certe residue

    considerazioni sulla imperscrutabilit del volere divino, che servono piuttosto a confondere quei presuntuosi i quali

    credono di giustificare i mali occorsi all'uomo come segno della volont divina. Anzi lo storico rasenta l'empiet quando

    constata il successo sempre ottenuto da chi avrebbe dovuto essere ostacolato da Dio, e non accenna minimamente ad una

    giustizia punitrice, ma tiene ad attribuire la morte del Papa, pur cos gradita e giusta, ad un mero accidente. Cos la

    fortuna gi s'identifica con la moderna considerazione della complessit delle cause, di fronte alle quali il politico, non

    potendo dominare gli eventi n condizionarli, non pu far altro che adattarsi alle circostanze per evitare il peggio o trarre

    un minimo vantaggio adoperando la `discrezione'. Questo atteggiamento ha fatto definire in un altro modo l'eredita

    moderna dell'umanesimo di Guicciardini, gi assunto quale esempio di fiacchezza morale (Francesco De Sanctis), di

    vocazione all'accomodamento politico, esempio di mancanza di volont attiva, di virt. Ma in effetti Guicciardini addita

    con il suo atteggiamento essenzialmente critico un realismo diverso da quello paradossalmente caratterizzato da risvolti

    utopici, di Machiavelli, sicch possono considerarsi entrambi alternativamente o dialetticamente proiettati nella teoria e

    nella prassi politica moderna.

    Valentino avvelena Adriano cardinale di Corneto (papa Alessandro VI?), fingendo di bere lui stesso e salvandosi forse la

    vita con un potente antidoto->Francesco Guicciardini, Storia d'Italia.

    35. La casta

    ERASMO DA ROTTERDAM (1466/69-1536)

    Al giorni nostri, che hanno visto non solo l'applicazione diffusa, ma perfino la teorizzazione del riso, del capovolgimento,

    della maschera quali forme alternative di espressione, un libro come l'Elogio della pazzia (Encomium Morias, 1511), in cui

    Erasmo rappresenta, in un modo che fu a quei tempi sconcertante, i mali del mondo ma non sempre rivelando con chiarezza

    se la follia fosse in quei mali o nella loro rivelazione, rimane un classico della libert di parola sospesa fra la finzione, la

    satira e la denuncia. Il libro ha alimentato per secoli l'atteggiamento critico nei confronti di ogni tipo di controriforma e

    di conformismo, di intolleranza e di oppressione della libert di coscienza. In una parte riservata alla frequente disonest

    pubblica e immoralit privata dell' uomo di governo, sembra di vedere quella che stata definita come la casta dei politici,

    inconsapevoli degli obblighi che competono loro, ma capaci di assumere in maschera che li rende popolari. Particolarmente

    sottile e in raffigurazione del principe come un attore inchiodato alla sua maschera, che tutto fa fuorch quello che

    dovrebbe fare, raggiungendo tuttavia il successo: pazzia sua, pazzia del popolo che l segue, pazzia di chi riesce a

    scoprirne il volto. E il culmine di una secolare denuncia condotta con un tono bizzarro e brillante, ma divenuta fondamento

    di umori antichiesastici e libertari anche recenti

  • occupa, Si scosta appena dalla retta via, subito la corruzione si diffonde contaminando moltissimi uomini.. Se, dico, il

    principe riflettesse a queste cose e a moltissime altre del genere - e ci rifletterebbe se avesse senno - non dormirebbe,

    credo, sonni tranquilli, ne riuscirebbe a gustare il cibo>>.->Erasmo da Rotterdam, Elogio alla follia.

    36. Come imporre le tasse

    ERASMO DA ROTTERDAM

    Certamente una delle prove pi difficili di un governo, nel mondo moderno, quello di reggere le spese pubbliche

    attraverso il contributo del cittadini, ma riuscendo a conservarne il consenso. Prelevare danaro dalle tasche dei

    contribuenti diventata anche una volgare espressione per definire ii cattivo governo degli avversari, come appellarsi alla

    solidariet costituisce un'utile forma propagandistica per ricorrere alla tassazione evitando ii suo aspetto pi odioso.

    Erasmo riconosce gi, in questo capitolo del trattato sull'educazione dell'ottimo principe, identificato con quello che

    applica le norme cristiane dell'equit e della beneficenza, tulle le precauzioni necessarie ad evitare la ribellione popolare

    oltre che la punizione divina. La materia viene giustamente trattata come un'antica questione, ma viene attentamente

    svolta con lo sguardo rivolto anche alla giustificazione dell' utile privato o statale, nel quadro pero di un'etica cristiana,

    intesa come generalmente 'umana', del principe. La risposta a quesiti come quello se sia meglio che il politico sia amato o

    temuto, se debba preoccuparsi del prossimo o solo delle sue mire, la gloria o il vantaggio economico, se debba privilegiare

    lo staff che lo sostiene a il pi vasto pubblico, quesiti di sempre, data con quella buona dose di prudenza che fa

    coincidere l'utilit con l'onest, e che compare alle origini stesse della teoria intesa ad arginare la provocazione

    machiavelliana. Eppure la posizione umanistica di Erasmo lungimirante, perch egli consapevole della contraddizione

    che nell'et moderna si riacuisce fra la necessit dell'utile e la volont dell'onesto.

    >. -> Erasmo da Rotterdam, Institutio principi christiani.

    37. II piacere della parola

    PIETRO BEMBO (1470-1547)

    Edonismo = dottrina che pone il piacere, comunque inteso, a nome e fine della vita.

    L'edonismo nel costume e nell'arte fra le conquiste moderne del laicismo scaturito dalla polemica umanistica contro il

    moralismo monastico. Il gusto mondano si riflette nella critica letteraria, che si fa autonoma rispetto alle norme religiose

    mediante quella che si potrebbe considerare una nuova religione, l'osservanza della grazia e della `vaghezza' fin nell'uso

    della parola. Retorica e poetica, mirando a far penetrare nell'animo i concetti attraverso la persuasione, prediligono la

    scelta di un eloquio dolce e cattivante, e richiedono una nuova norma, non rigida come il precetto scolastico, ma passibile

    di perfezionamento, e soprattutto assunta attraverso l'esperienza della scrittura e di sensi qu