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Nel mondo degli affetti. Della creatività. Del benessere. Anno XXX - n° 1 - maggio 2013 Sped. Abb. Post. 70% - Filiale di Milano - TAXE PERCUE (Tassa Riscossa) Uff. CMP Roserio - MI il tempo dell empatia

tempo empatia dell - Attivecomeprima Onlus...davanti a Shiva. E questa è un’altra particolarità di questo tempio. Costruito nella prima metà del 1.100 come tempio induista, nel

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Nel mondo degli affetti. Della creatività. Del benessere.

Anno XXX - n° 1 - maggio 2013 Sped. Abb. Post. 70% - Filiale di Milano - TAXE PERCUE (Tassa Riscossa) Uff. CMP Roserio - MI

’iltempodellempatia

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Mentre tutto nella società moderna – dalla politica, alla scienza, alla medicina – tende a esautorarci, a trasformarci in pecore mansuete e obbedienti, Ada Burrone invece, con un entusiasmo vivificante e generosis-simo, ha speso decenni nell’educarci a quel dovere fondamentale all’autonomia a cui accennava anche Tiziano. Assegnandoci, ai sani come ai malati, un compito preciso, quello di accettare il nostro destino e di imparare a coglierne sempre anche il lato positivo – perché c’è! - ci ha restituito il ruolo responsabile della persona adulta e creativa.

A leggere queste lettere, inviate ad Ada nel corso degli anni da persone che dopo essersi ammalate nel corpo e quindi nell’anima, sono tornate a vivere una vita piena, anzi “migliore”, come assicurano, più consapevole di prima, non possiamo che cercare anche noi, sani o malati che al momento si sia, di imparare da questa bella e profonda lezione di vita.

Angela Terzani Staude Firenze, novembre 2012

A cura di Ada BurronepApAveri e fiordAlisiLa scuola della vitaedizioni francoAngeli

è uscito!

NELLE LIBRERIE E PRESSO ATTIVECOMEPRIMA ONLUS

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Consiglio Direttivo:

Ada Burrone, Arianna Leccese, Maria Lisa Di Latte, Alberto Ricciuti, Giovannacarla Rolando.

Collegio dei Sindaci:

Mauro Bracco, Flavio Brenna, Luciana Dolci, Giusi Lamicela, Carlo Vitali.

Comitato Scientifico:

Stefano Gastaldi, Paola Bertolotti, Fabio Baticci, Franco Berrino, Nicoletta Buchal, Chiara Caldi, Massimo Callegari, Salvo Catania, Alberto Costa,Francesco Della Beffa, Roberto Labianca, Marina Negri, Willy Pasini, Manuela Provantini, Alberto Ricciuti, Giorgio Secreto, Sandro Spinsanti, Paolo Veronesi, Umberto Veronesi, Claudio Verusio.

Per tradizione, il Sindaco di Milano è Presidente Onorario di ATTIVEcomeprima.

Editoriale

Ringraziamo i nostri collaboratori e fornitori per il contributo alla realizzazione e alla qualità di questa rivista. Un grazie particolare alla Fotolito ABC per l’omaggio degli impianti di stampa.

per ricevere questa rivista basta inviare una libera offerta ad Attivecomeprima onlus.

Care amiche e cari amici,

sappiamo tutti che quando ci sentiamo bene fisicamente siamo in grado di coltivare più facilmente gli obiettivi che abbiamo da raggiungere e la fiducia in noi stessi ci consente di mobilitare le energie e la speranza per realizzarli.

Quando invece la salute viene meno, diventiamo fragili, dipendiamo di più dagli altri e la nostra capacità di realizzare gli obiettivi si riduce.

Per tutti noi la speranza è un elemento fondamentale per stare nella vita, al di là della condizione fisica, e il medico empatico può fare tanto per aiutare il paziente a coltivarla.

Tra queste pagine troveremo alcuni contributi che ci mostrano come sia oggi possibile “rendere sempre più la scienza della medicina una vera e propria arte della cura”.

Ringrazio di cuore chi ha sostenuto e chi vorrà sostenere il nostro lavoro per far vincere la vita.

Dal 1973 a sostegno globale delle persone colpite dal cancro

Attivecomeprima Onlus

Via Livigno 3,

20158 Milano

Tel 026889647

Fax 026887898

[email protected]

www.attive.org 3

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Nel mondo degli affetti. Della creatività. Del benessere.

Anno XXIX - n° 2 - ottobre 2012 Sped. Abb. Post. 70% - Filiale di Milano - TAXE PERCUE (Tassa Riscossa) Uff. CMP Roserio - MI

M’amonon m’amo

Ada Burrone

potete richiederli tutti alla nostra segreteria tel. 026889647 email: [email protected]

* Riservati agli psicologi e alle fiduciarie che partecipano ai nostri incontri formativi

LA FORzA dI VIVERE

Cofanetto di 10 opuscoli

a cura di Attivecomeprima

...E POI CAMBIA LA VITA

Parlano i medici le donne gli psicologi

a cura di Attivecomeprima

Edizione FrancoAngeli/Self-help

TRE Cd-AUdIO PER RITROVARE IL gIUSTO RELAx

silenzio a cura di Marina Negri

relax dei Colori a cura di Maria Grazia Unito

rilassamentoa cura di Paola Bertolotti

PAPAVERI E FIORdALISI

La scuola della vita

di Ada Burrone

Edizione FrancoAngeli

M’AMO, NON M’AMO

di Ada Burrone

Edizione ATTIVEcomeprima

RIVISTA ATTIVE

Viene offerta a tutti coloro che sostengono l’Associazione

RIPROgETTIAMO L’ESISTENzA, dECIdO dI VIVERE, LA CURA dEgLI AFFETTI

Testi utilizzati per la conduzione dei gruppi di sostegno psicologico*

ALIMENTARE IL BENESSERE,franco Berrino

LA FORzA dI CAMBIARE,paola Bertolotti

LA TRAPIA dEgLI AFFETTIstefano Gastaldi

Edizione FrancoAngeli Self-help

LETTERA AI MEdICI dI dOMANI

La paura è contagiosa, ma lo è anche la speranza

di Ada Burrone

(in italiano e in inglese)

LO SPAzIO UMANO TRA MALATO E MEdICO

Parlano medici, pazienti, psicologi

A CURA dI ATTIVECOMEPRIMA

Il Pensiero Scientifico Editore

LA TERAPIA dI SUPPORTO dI MEdICINA gENERALE IN ChEMIOTERAPIA ONCOLOgICA

di Alberto ricciuti

Edizione FrancoAngeli

QUANdO IL MEdICO dIVENTA PAzIENTE

La prima indagine in Italia sui medici che vivono o hanno vissuto l’esperienza del cancro

a cura di Attivecomeprima e fondazione Aiom

Edizione FrancoAngeli

scaricabile dal sito

www.attive.org

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www.attive.org

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www.attive.org

LA dANzA dELLA VITA

Le esperienze più straordinarie della mia esistenza

di Ada Burrone

(in italiano e in inglese)

Edizione FrancoAngeli

LA FORzA dI VIVERE PER AFFRONTARE CON ARMONIA IL CAMBIAMENTO

di Ada Burrone

(in italiano e in inglese)

Edizione ATTIVEcomeprima

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Editoriale pag. 03

AVVENTURA Cambogia, templi di ieri e di oggi / Oscar Manfrin pag. 06

TRA MEDICo E PAzIENTE Il tempo dell’empatia / Alberto Ricciuti pag. 08

VIVERE IL CAMBIAMENTo L’astrocitoma non è una stella / Paola Bertolotti pag. 10

IL LINGUAGGIo DEGLI AFFETTI Speriamo in bene / Stefano Gastaldi pag. 14

CAREGIVER Caro Figlio / Manuela Provantini pag. 16

LE VoSTRE LETTERE Cara Ada / Ada Burrone pag. 20

LA MEDICINA CHE CI ASPETTIAMo Speranza e narrazione / Sandro Spinsanti pag. 22

NUTRIRE IL BENESSERE zero calorie? Meglio di no... / Franco Berrino pag. 24 Le ricette di Angela / Angela Angarano pag. 25

PRoFILI Paolo Veronesi / Daniela Condorelli pag. 26

LA FoRzA DELLA VITA Piccolo viaggio al centro del cuore / Nicoletta Buchal pag. 28

Letti e piaciuti / a cura di Serena Ali pag. 31

Sapevate che... / Benedetta Giovannini pag. 31

Noi con gli Altri pag. 32

SommarioPeriodico trimestrale

Anno XXX - N° 1 Maggio 2013

Sped. abb. post. 70% Filiale di Milano

La rivista è posta sotto la tutela delle leggi della stampa. Gli articoli pubblicati impegnano esclusivamente la responsabilità degli autori. La riproduzione scritta dei lavori pubblicati è permessa solo dietro autorizzazione scritta della Direzione

Direttore responsabile: Ada Burrone

Vice Direttore: Paola Bertolotti

Redazione: Caterina Ammassari

Hanno collaborato: Serena Ali, Angela Angarano, Franco Berrino, Paola Bertolotti, Nicoletta Buchal, Ada Burrone, Daniela Condorelli, Stefano Gastaldi, Benedetta Giovannini, Manuela Provantini, Alberto Ricciuti, Sandro Spinsanti, Dina Stefanon.

Proprietà della testata: © Ass. ATTIVEcomeprima Onlus

Direzione, Redazione, Amministrazione: ATTIVEcomeprima ONLUS 20158 Milano Via Livigno, 3 Tel. 026889647 Fax 026887898 e-mail [email protected] www.attive.org

Progetto grafico e impaginazione: Alessandro Petrini Tel. 0258118270

Fotolito: ABC, Milano Tel. 025253921

Stampa: Tecnografica, Lomazzo (Co) Tel. 0296779218

ATTIVEcomeprima ONLUS

Autorizzazione del Tribunale di Milano n° 39 del 28/1/1984

L’Associazione è iscritta:

- All’Albo delle Associazioni, Movimenti e Organizzazioni delle donne della Regione Lombardia

- Al Registro dell’Associazionismo della Provincia di Milano

- Al Registro Anagrafico delle Associazioni del Comune di Milano

- All’Albo delle Associazioni della Zona 9 del Comune di Milano

- Alla Società Italiana di Psiconcologia (S.I.P.O.)

- Alla F.A.V.O. (Federazione Italiana delle Associazioni di Volontariato in Oncologia)

ATTIVEcomeprima aderisce al movimento di opinione “Europa Donna Italia”

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La Cambogia, piccolo regno racchiuso tra il Vietnam e la Thailandia, ha riprodotto il tempio di Angkor sul-la propria bandiera a strisce rosse e blu. Nel territo-rio cambogiano domina il colore verde intenso della foresta tropicale spezzato solo dall’azzurro dei suoi laghi e dei suoi fiumi tra i quali primeggia il Mekong. Nel mezzo di questo ambiente affascinante, quasi inaspettati, appaiono gli antichi templi di Angkor. Siamo nel Nord-Ovest del paese, a pochi chilometri dalla vivace e moderna città di Siem Reap. Angkor Wat è il complesso religioso più vasto al mondo. E’ circondato da una grande opera di architettura idraulica: un imponente fossato rettangolare largo 190 metri e lungo alcuni chilometri. Una strada ri-alzata in pietra arenaria attraversa il fossato e porta verso l’ingresso principale. Superata la prima torre e gli edifici di due biblioteche, appare con tutta la sua imponenza il fronte del tempio, le tre grandi torri della bandiera nazionale. L’emozione è notevole, da mozzafiato. Per me è un sogno che si avvera. Sulla destra un altare buddista, tuttora venerato. Al centro un grande Buddha ricoperto da un drappo dorato, sui fianchi piante verdi. I fedeli pregano, si inchinano, accendono incensi e li infilano nei vasi. Qualcuno offre un fior di loto depositandolo su un vassoio dorato. All’ombra, in un angolo più fresco, una vecchia signora vende braccialettini di stoffa rossa. Per lei è

l’unico modo per sopravvivere ma visitatori locali e turisti stranieri accettano con piacere questo augu-rio di “buona vita”. Il tempio è costruito su tre livelli. La torre centrale, alta 55 metri, conferisce all’intera struttura la forza di innalzarsi verso il cielo azzurro. Sul retro una scalinata ripidissima che sim-boleggia le difficoltà che separano l’uomo dal regno degli dèi conduce ai piani superiori. Dalla sommità della torre il panorama è notevole e l’aria si fa più fresca. L’intera struttura del tempio è ricoperta da bas-sorilievi che riproducono antiche battaglie, Vishnu che sconfigge i demoni, Krishna che si inginocchia davanti a Shiva. E questa è un’altra particolarità di questo tempio. Costruito nella prima metà del 1.100 come tempio induista, nel corso dei secoli si è trasformato per il culto buddista. I templi di Angkor sono stati abbandonati nella giungla per secoli, ricoperti da piante tropicali e frequentati da migliaia di scimmie. In seguito ai più recenti restauri sono ora protetti dall’UNESCO e meta di circa tre milioni di turisti all’anno. Ciò può rappresentare un

Cambogia, templi di ieri e di oggi

Avventura

Ogni viaggio è una esperienza di vita durante la quale puoi perdere peso ma torni più carico.

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grande rischio ma contemporaneamente consente lo sviluppo economico di questo paese che solo trent’anni fa è uscito dal tragico genocidio perpetra-to dai khmer rossi.L’area archeologica di Angkor include numerosi templi. Il tempio di Bayon ha una base quadrata ed è costi-tuito da molte guglie, ripide rampe di scale, corridoi, piccole cappelle, ma la sua caratteristica principale sono i giganteschi volti scolpiti nella roccia. Oltre duecento volti austeri, con un sorriso gelido, colpiscono il visitatore che ha l’impressione di es-sere osservato da ogni angolo. Da qualsiasi punto si guardi il panorama architettonico si riescono sempre a scorgere almeno dieci volti di roccia, di fronte o di profilo, grandi o piccoli.Indimenticabile anche la visita al tempio della giungla. Una piccola struttura dimenticata per secoli dall’uomo, totalmente avvolta da alberi vecchi quat-trocento anni. Le loro radici si sono insinuate tra le pietre creando effetti a volte magici. Il silenzio della sacralità e della storia viene rotto solo dal rumore della foresta, un coro composto da canti d’uccelli ed

urla di veloci e curiose scimmiette.Lascio l’area archeologica per rientrare in città. Dopo i templi antichi vorrei visitare una moderna pagoda. A bordo di un tuk tuk, una sorta di carretto trascinato da un motorino, mi reco alla più antica pagoda della città: il Wat Bo. Per entrare nell’area del tempio si deve passare attraverso un cortile pie-no di stupa, monumenti sacri di colore nero, grigio e giallo oro. Dietro gli stupa, una casa di legno. E’ l’alloggio dei monaci. Sul fronte una veranda dove sono stese le vesti arancioni appena lavate. Il silen-zio è totale anche se siamo nei pressi della città. La pagoda ha una galleria ad archi con un tetto a tre livelli ed è circondata da un giardino con palme e banani. Vado verso l’entrata principale ma trovo il portone chiuso. Si avvicina un vecchio che con una grossa chiave apre la porta e mi fa cenno di entrare. All’interno la luce è soffusa, è quasi buio, ma sulle pareti scorgo gli affreschi del XIX secolo. Giallo, blu e rosso sono i colori prevalenti. I dipinti, ben con-servati, raccontano scene sacre, danze, processioni con elefanti. Sul fondo della sala un grande Buddha dorato, ai suoi piedi un’altra decina di statue più piccole rosse, nere, gialle, illuminate da un raggio di luce proveniente dalla finestra laterale. La sala è molto fresca mentre fuori ci sono oltre trenta gradi. La sacralità è profonda, il silenzio tota-le. Un giovane monaco entra e, molto timidamente, si avvicina e mi sorride. Prende coraggio e mi chie-de da quale paese provengo. La sua lingua inglese è molto semplice ma riusciamo a capirci. Lui non sa dove si trovi l’Italia e mi chiede se c’è il buddhismo. Certo non sa che Roma è la capitale mondiale della cristianità quindi provo ad informarlo. Lui mi rac-conta che è uno studente ma il suo monaco ma-estro non si è presentato alla lezione. Accenna un sorriso molto cordiale, saluta e se ne va. Passeggia all’ombra del portico del tempio e poi lentamente si allontana. Ogni viaggio ci lascia dei ricordi. Ogni viaggio è una esperienza di vita durante la quale puoi perdere peso ma torni più carico. Un carico di valori, di emozioni, di colori, di suoni, di profumi.Il ricordo di un viaggio in Cambogia è profon-do. Alla perfetta simmetria degli antichi templi khmer si contrappone la natura rigogliosa e di-

sordinata. L’orrore della storia più recente è superata dalla cordialità di un popolo povero ma sereno. I sorrisi e la calorosa accoglienza dei cambogiani mi rimarranno impressi nella memoria.

Oscar Manfrin.Recorder nei gruppi di sostegno a caregiver e famigliari.

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Una ricerca di pochi anni fa documentava che il tempo medio di una visita oncologica ambulatoriale ospedaliera in Italia è di otto minuti. Sicuramente il dato è impressionante, anche perché, se è vero che - essendo una media - alcune visite durano più a lungo, è anche vero che molte altre durano ancora meno. Peraltro, ricerche pubblicate recentemente,

sembrano dare valore scientifico a ciò che sappiamo da sempre, e cioè che il tempo di una visita non ha solo una dimensione quantitativa, ma anche qualitativa. Sappiamo da anni

che, quando il medico sa instaurare un rapporto empatico con il paziente, alcune aree cerebrali di quest’ultimo, correlate con la percezione del dolore, si “accendono” e iniziano a funzionare provocando una amplificazione dell’effetto degli stessi farmaci. E ciò, al di là del dolore, è stato dimostrato anche per molti altri farmaci, anti-parkinsoniani, ansiolitici, immunomodulatori, inducendo il più che fondato sospetto che queste dinamiche riguardino l’effetto generale che la qualità della relazione con il proprio medico ha sulla biologia stessa dell’organismo.Ma cosa avviene durante questo processo nella mente del medico? Ce lo dice una ricerca, pub-blicata un paio di mesi fa sulla rivista Molecular Psychiatry. 18 medici sono stati sottoposti, con una metodologia sofisticata, a risonanza magnetica cerebrale durante la visita ai loro pazienti.

Si è potuto così dimostrare, per la prima volta, che nel cervello del medico che sa instaurare un rapporto empatico con il proprio paziente e che crede realmente nell’efficacia della terapia prescritta, si “accendono” le stesse aree cerebrali che si attivano nel cervello del paziente quando questi riceve dal medico un placebo, cioè una sostanza che, pur non con-tenendo alcun principio

attivo, in-duce comunque nel paziente un effetto terapeu-tico per il solo fatto di essere assunta con fiducia. E tale fiducia è indotta nel paziente dal suo stesso medico quando questi sa sviluppare con lui un rapporto empatico, cioè quando è disponibile ad ascoltare ciò che il paziente gli sta comuni-cando, non solo attraverso le parole, ma anche attraverso

Il tempo dell’empatia

Tra medico e paziente

Un rapporto empatico, coinvolto e orientato alla comprensione e all’alleanza con il paziente, induce più favorevolmente in lui la capacità di curare meglio se stesso.

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che, come dimostrato da una ricerca pubblicata pochi mesi fa su Patient Education and Couseling, la sola vista della foto del proprio medico induce nel paziente una riduzione dell’attività delle aree cerebrali correlate alla sensazione dolorosa e all’immaginazione del dolore.Non solo, un rapporto empatico, coinvolto e orien-tato alla comprensione e all’alleanza con il pazien-te, induce più favorevolmente in lui la capacità di curare meglio se stesso, di mantenere nel tempo uno stile di vita più consono alla stabilità e al posi-tivo evolversi delle proprie condizioni di salute, ad avere meno complicanze di malattia e, infine, a ridurre la spesa pubblica. Ce lo dimostra una grande ricerca eseguita nel nostro Paese da un team di medici e ricercatori dell’ASL di Parma e della Thomas Jefferson Univer-sity (Usa), su 20.961 pazienti diabetici seguiti da 242 medici. I pazienti seguiti da medici “empatici”, hanno registrato valori più bassi e più stabili nel tempo di importanti indicatori dell’evoluzione della patologia (colesterolo e emoglobina glicata) e una sensibile riduzione degli accessi ospedalieri per complicanze acute della malattia.Si potrebbe obiettare che per sviluppare un rap-porto empatico occorre molto più tempo di quanto oggi ne sia concesso ai medici, anche per gli obblighi imposti dalla soffocante burocrazia che

coinvolge peraltro un po’ tutte le attività e le pro-fessioni. Questo è vero, ma solo in parte, perché

comunque il tempo speso per instaurare una “relazione che cura” viene ampiamente recu-

perato nei mesi e negli anni successivi per una minore necessità di interventi medici. Sviluppare un rapporto empatico, non è tanto

una questione di tempo – anche se qualche minuto in più fa solo bene a entrambi - ma

soprattutto di modo, di atteggiamento, di disponibi-lità del medico a somministrare anche un po’ di se stesso insieme ai farmaci. L’intensità comunicativa di un gesto, può valere più di mille parole, ma in quei pochi secondi in cui nel medico e nel paziente si “accendono” le stesse aree cerebrali, può accendersi anche una luce di speranza che lavora silenziosamente ben più a

lungo nella mente e nel corpo. Una luce che, oltre a far vivere meglio il tempo della vita, sembra proprio aggiunge-re potenziale terapeutico alle stesse cure.

l’atteggiamento, le espressioni del volto e quant’al-tro possa lasciar trasparire il suo stato emotivo di fronte alle difficoltà che sta vivendo. E questo grado di fiducia indotto nel paziente da un medico che crede in ciò che dice, dura nel tempo al punto

Alberto Ricciuti. Medico di medicina generale.Responsabile in Associazione del servizio di Supporto di Medicina Generale durante la chemioterapia.

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Vivere il cambiamento

L’astrocitoma non è una stella

Ogni malato ha il diritto di vivere al meglio la propria vita, ma anche il dovere di farlo rendendosi conto che ci sono risorse incredibili cui attingere. E non mollare mai, anche con l’aiuto di altre persone.

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Questo racconto parla di una parte molto importante della vita di un gio-vane uomo, Nicola, che ho conosciuto ad Adro, paesino della provincia di Brescia, dove presto consulen-za presso Anastasis, un’associazione che si ispira al modello di lavoro di Attivecomeprima, cioè aiuta chi vive un’esperienza così drammatica come il cancro a riaffacciarsi alla vita e a non rimanere intrappolato dalla paura di quello che potrebbe accadere domani.Non ho voluto fare domande in questa “intervista”, nè chiedere chiarmenti perché non mi sembrava ce ne fosse necessità. Tra le sue parole, fin dalle prime regalatemi con fiducia quando ci siamo conosciuti, si intravedeva una sola, inderogabile richiesta: trovare un aiuto per orientarsi in quella vita che Nicola, fino a quel momento, aveva conosciuto e che era cresciuta attraver-so progetti, certezze, scelte consapevoli e anche sbagli. Una vita che ora, senza nessun preav-viso, si era fermata, facendogli perdere ogni riferimento e facendolo sprofon-dare in un vuoto e in una precarietà

che lo atterrivano e che lui non sapeva come affrontare. Ma, nonostante il dolore e la disperazione, c’era un’asso-luta disponibilità a farsi accompagnare attraverso questa esperienza.

“Ma tu pensa non riesco a inserire il caricabatteria nella presa a muro.” Dicembre 2011, nell’ufficio della mia nuova società web faccio questa banale considerazione. Inizia tutto così: 40 anni, due figli di 6 e 3 anni, una moglie coetanea e tanto entu-siasmo per l’attività appena avviata. Diplopia: ci vedo doppio, leggermente. Un banale problema alla vista mi dico. È ancora lontana anni luce quella parola che suonerà poi così famigliare: tumore.Mi attivo con una serie di controlli ortottici e oculi-stici che vanno avanti per un paio di mesi.Sono sereno e, anche se il disturbo cambia spes-so, non ci faccio poi troppo caso, sono impegnato in tutt’altre faccende per dare peso alla cosa.Dopo diverse visite un oculista mi consiglia una risonanza magnetica all’encefalo.È il 15 marzo 2012 e faccio la mia prima Rm, seguita da un’altra visita ortottica.La diagnosi la sento a Brescia: “Ipotesi di glioma ad alto tasso di malignità”. Tumore maligno, al cervello. Mi devono ricoverare subito.Ancora non mi rendo bene conto della situazione.

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Certo è grave e del tutto inaspettata.Dai medici il primo approccio è quasi di rassegna-zione, non cerco parole di fiducia o conforto. Sento quasi commiserazione. Danno l’annuncio, apparen-temente dispiaciuti ma con un distacco sconcer-tante. Basterebbe una mano sulla spalla e invece niente, nessun contatto.A casa (ho firmato per tornare il giorno dopo), racconto tutto pesando le parole in modo da non mettere ansie e tensioni, ci sono i bambini e non so bene come comportarmi. Ovviamente non è facile.Il primo aiuto arriva da mio fratello Alessandro e mia cugina Laura, che è anche un medico. Da quel giorno, assieme a mia moglie, una presenza che è stata fondamentale, non mi abbandoneranno mai, nemmeno per un istante tra visite, ricoveri, diagnosi. Li consideravo i miei gladiatori.Le settimane successive le passo dentro e fuori l’Ospedale di Brescia, dove mi tengono in osserva-zione. Nessuno si sbilancia, fa previsioni o ipotesi concrete: il tumore c’è ma è in una zona inaccessi-bile per cui non si può prelevare alcun campione da analizzare senza rischi di lesioni.Sono sempre al buio ma sicurissimo di guarire.L’idea della morte per tumore mi sfiora ma la scac-cio, o meglio la nego. Ogni giorno cerco di sfuggire al pensiero di morire concentrandomi sulle cose pratiche e concrete, come ho sempre fatto.Passano le settimane e cresce lo sconforto e l’impotenza. La sensazione di essere parcheggiato in attesa degli eventi è insopportabile. Vedo i medici parlare tra di loro… parlano di me, non di altri!Questi consulti quotidiani si spandono nell’aria come una nebbia: parole mezze sentite, cartelle cliniche compilate, prescrizioni e ipotesi diverse. Ma il malato sono io, chi meglio di me può guidare il medico se da lui correttamente indirizzato?Ogni paziente ha il diritto non solo di essere aggior-nato ma coinvolto nel percorso terapeutico che lo riguarda. Per il suo bene ma anche per coadiuvare l’attività dei dottori che lo hanno in cura.

Il paziente non è la malattia, non è “il tumore”. Egli è vita, corpo, dolori, sensazioni, percezioni e tutta l’in-tricata connessione tra fisico e mente che va vista e considerata nella sua totalità.Questo, nella prima fase della mia malattia, non è mai avvenuto. Durante le settimane di ricovero ho vissuto in prima persona la sensazione di essere un paziente totalmente passivo. Di essere “il tumore”.Mi parlano di un altro Ospedale, un centro di eccellenza in Italia, che sarà l’ultima tappa del mio viaggio ospedaliero, dove mi propongono il “tratta-mento Gamma Knife”, nome suggestivo. Decisione presa, a luglio il trattamento. Non la chiamano operazione e anche questo contribuisce a smorzare la percezione della gravità, nel bene e nel male, della mia condizione psicologica.Entro la mattina, esco la sera “sulle mie gambe”, senza dolori o ricadute post operatorie. 50 minuti e il gioco è fatto.Da non crederci: fino a poche settimane prima mi vedevo in una stanza asettica, pieno di flebo e sen-sori, imbottito di medicinali. Ora mi trovo qui dopo due giorni sono “come nuovo”.Certo cortisone e tanti altri farmaci sono un proble-ma per il fisico, continuo a ripetermi che ci vorrà solo un po’ di tempo. Ma sono guarito!

Mi sbagliavo, e di molto.Passano le settimane e inizio a inabissarmi. Non capisco né ricordo esattamente il momento in cui inizio a scendere, è lento e inesorabile come percorso. Mi ritrovo a vivere “fuori dalla realtà”.Tutto quello che mi circonda, che vedo, sento, faccio, non mi sembra reale. Momenti di panico, sensazioni di vuoto, tutto ciò che vivo non esiste: persone, oggetti, azioni.Vado al lavoro e il semaforo rosso sembra non diventi mai verde, non riesco nemmeno a guardare la televisione perché i dialoghi mi mettono ansia.Il baratro, non vivo più.

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Tutte le mie certezze, la sicurezza di vincere la ma-lattia, di tornare subito come prima, alla normalità, svaniscono in un attimo.Sono perso e nessuno riesce a capirmi. Io per pri-mo. Proprio ora che i medici sostengono sia tutto a posto, trattamento, decorso, risonanze di controllo.Mi ritrovo davvero sotto ogni livello sopportabile, in totale apnea, indifeso e non compreso.

Poi avviene quella che chiamo la mia rinascita.Già da mesi ho incontri settimanali con la dottoressa Paola, grazie all’Associazione Anastasis di Adro.È lei che mi prende per mano e mi accompagna in superficie, per farmi respirare.La cosa incredibile, che ancora mette emozione, è l’apparente semplicità con cui lo fa.In realtà il lavoro è incredibilmente profondo dentro di me. Si scava tra emozioni, sensazioni e pensieri. Si affrontano le ansie e le negazioni, le paure ma soprattutto i motivi che le fanno nascere e sviluppa-re dentro di me.Mi sento letteralmente sollevato e riportato a vivere parlando, raccontando ogni settimana come vanno le cose, ma con una serenità e una naturalezza così trasparente e pacifica che quasi non me ne accorgo.Questa esperienza, questi incontri così sereni mi riportano in poche settimane a rivivere e soprattutto ad avere una coscienza di me totalmente nuova delle cose che mi circondano.Quello che prima era un uomo che inconsapevol-mente pensava di essere indistruttibile, pieno di forze e di risorse per se’ e per gli altri, si scopre debole e indifeso. Spaventato e impotente di fronte a eventi ingovernabili e imprevedibili.Ma lo accetta. Accetta di avere dei limiti, anche grandi.Scopre addirittura che questi limiti sono talmente naturali e devono essere accettati come tali. Limiti che possono diventare, una volta capiti, dei vantaggi e dei punti di forza.Grazie al successivo intervento e aiuto del

Dottor Ricciuti, anch’esso parte dell’equipe di Attive, riesco a rimettere il fisico in equilibrio, messo a dura prova dagli effetti collaterali dei farmaci e del trattamento.Il Dottor Ricciuti è stato l’unico medico che ha saputo darmi, in tutti questi mesi, una visione complessiva non della malattia, ma di tutto il mio corpo. Di come esso evolve costantemente e per questo va guidato.

Ho ripreso a vivere.La malattia che mi ha colpito nel fisico è stata trat-tata, probabilmente in maniera definitiva, ma questa è solo una parte della storia.Mai come in questo caso la mente ha avuto il sopravvento, prima in forma negativa e poi via via in positivo. Senza la malattia non avrei scoperto risor-se, modi di pensare e di vedere le cose, di affrontare i problemi e le relazioni così come lo faccio ora.Ognuno, sia esso un malato di cancro o un suo vicino, deve sapere che ci sono momenti tremenda-mente scuri, che possono portare nel profondo degli abissi ma che poi si risale, sempre.

Ogni malato ha il diritto di vivere al meglio la propria vita, ma anche il dovere di farlo rendendosi conto che ci sono risorse incredibili cui attingere. E non mollare mai, anche con l’aiuto di altre persone.Per quanto mi riguarda alla fine quell’astrocitoma, l’ultima ipotesi che hanno fatto per nominare il tu-more che mi ha colpito, forse era davvero una stella.O almeno può essere bello pensare così!Questa stella non è apparsa solo nella mia vita, anche in quella di mia moglie. Lei che mi è sempre stata vicina, ogni giorno e in ogni istante, ha scoperto risorse nascoste dentro di se’. Ha aperto il suo “zainetto personale” per attin-gere risorse, energie e doti che fino ad allora non

aveva mai creduto di avere. Di fronte ai fatti ha reagito e seguito la stella, credo che anche lei sia diventata più forte di prima. Anzi ne sono certo.

Paola Bertolotti. Psicologa e psicoterapeuta. Conduce in Associazione i gruppi di sostegno psicologico “Riprogettiamo l’Esistenza” e “Decido di vivere”.

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Speriamo in bene

Il linguaggio degli affetti

La speranza è un sentimento segreto, non sempre consapevole ma sotterraneamen-te costante negli esseri umani. Possiamo immaginarla come una specie di sguardo interiore, rivolto in avanti, a un futuro che ci aspetta e, in tale futuro, a un bene da raggiungere.Potremmo anche dire che la speranza è l’idea, ragionevole o irragionevole, di poter ancora fare i nostri “compiti”, di poter cre-scere, andare avanti.Naturalmente vi sono speranze di ogni tipo che albergano in noi. E sono quasi tutte rivolte al futuro. La speranza di poter risolvere un problema che ci blocca o ci angoscia, di raggiungere un obiettivo che ci sta a cuore, di essere felici, di essere amati, che le persone che amiamo stiano bene e così via.Se non avessimo la capacità di sperare, ogni intoppo o difficoltà ci farebbe deraglia-re, ci annullerebbe emotivamente.

Potremmo anche dire che la speranza è l’idea, ragionevole o irragionevole, di poter ancora fare i nostri “compiti”, di poter crescere, andare avanti.

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Anche nelle situazioni in cui i problemi si pre-sentano come molto seri o gravi la speranza ci aiuta, proprio perché può essere irragio-nevole. Cerco di spiegarmi meglio: non sono certo un fautore dell’illusione come metodo di vita, ma la speranza “irragionevole” ci aiuta molto a non farci travolgere dai problemi nei momenti in cui essi ci sembrano privi di ogni possibile soluzione.Questa sua funzione serve a evitare che tutto il nostro essere sia risucchiato e annullato dal problema, ci aiuta quindi a creare una sorta di “zona mentale” libera da angoscia in cui riorganizzare la vita, riprendere a sognarla, rimettersi in moto, tornare a essere creativi.La speranza irragionevole ci consente di non precipitare nel baratro, di coltivare un terreno fertile “qui e ora”, ma in vista di un futuro possibile e creativo, lasciando in sospeso l’idea che tutto possa finire.In questo nuovo territorio nascono spesso piante meravigliose, vengono alla luce nuove

parti di noi che avevamo tralasciato, si apro-no prospettive inedite, talvolta appassionanti.A mano a mano che esploriamo questa nuova dimensione, ci accorgiamo che la speranza non è poi così irragionevole perché, indi-pendentemente da come andrà a finire, ora abbiamo davanti a noi un presente e un futuro prossimo più appassionanti e auten-tici. A questo punto, anche se fosse l’ultima stagione della nostra vita, potremmo sentire il profondo desiderio di viverla davvero. Se poi non lo fosse, ma lo capiremo nel tempo, meglio ancora, perché potremo cambiare in meglio il nostro futuro.La speranza, ragionevole o irragionevole che sia, ci aiuta a non sprecare tempo e pensieri, a godere di noi stessi e di ciò che di buono la vita ci offre.Funziona da sola, se non la soffochiamo con inutili crudeltà. E non ha bisogno di illusioni, perché il suo fine non è l’eternità, ma l’amore per la vita.

Info autoreStefano Gastaldi. Psicologo e psicoterapeuta. Conduce in Associazione il gruppo “La terapia degli affetti”.

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Caregiver

Un nuovo servizio per gli adolescenti, figli di chi si ammala di cancro.

Da tempo ormai questo spazio all’interno della rivista, e uno più consistente all’interno del lavoro in Associazione, è dedicato alle persone che si pren-dono cura del paziente oncologico. In questi anni, ci siamo trovati a dover rispondere a un’ulteriore richiesta: un aiuto per i figli delle persone colpite dal cancro. In particolare, per quelli che si trovano in quella delicata fascia d’età che va dai 12 ai 21 anni.Sono i genitori a chiederci aiuto per i loro figli, per-ché li vedono preoccupati, perché non sanno come affrontare l’argomento, perché hanno paura che la situazione li porti a trascurare il loro mondo fatto di scuola, amici, sport o altro.L’adolescenza è un momento critico della cre-

scita, una fase di cambiamenti sul piano fisico, psicologico e relazionale. Tali cambiamenti si ripercuotono nel contesto famigliare. L’adolescente ha due esigenze tra loro contrastanti: da un lato, sente il bisogno di essere protetto dalla famiglia e vorrebbe restare bambino; dall’altro, vorrebbe differenziarsi e acquisire autonomia. Il conflitto è parte integrante di questo periodo: l’adolescente tende, contemporaneamente, all’identificazione con i genitori e a differenziarsi da essi. Se uno dei due genitori si ammala, c’è il rischio che uno o entrambi questi meccanismi vengano alterati. Identificarsi con un genitore malato potrebbe com-portare una perdita di sicurezza e di autostima, così come entrare in conflitto con un genitore malato potrebbe comportare un senso di colpa difficilmente gestibile.I segnali più frequenti di questo disagio possono essere problemi e difficoltà in ambito scolastico,

Caro figlio

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disturbi del comportamento, ambivalenza e con-flittualità. Alcuni studi, olandesi e americani, hanno evidenziato che avere un genitore ammalato è fonte di rischio di disagio emotivo in adolescenza, per i maschi e le femmine in modo differente, ma co-munque in modo significativo per entrambi. In alcuni di questi studi emerge che un ambiente famigliare coeso e disponibile all’espressione delle emozioni favorisce la riduzione dello stress e promuove il benessere psicologico.Per questi motivi Attivecomeprima sta sperimentan-do un servizio di sostegno dedicato ai figli e ai geni-tori: ai figli dai 12 anni in poi e, nel caso di bambini più piccoli, ai genitori per aiutarli nel costruire un nuovo equilibrio che tenga conto dell’esperienza che stanno vivendo.Le tematiche che stanno più a cuore ai figli riguar-dano:• il cambiamento di stato d’animo del genitore

(più insofferente e meno disponibile al dialogo);• l’apprensione del genitore, nei casi in cui era

già presente questa caratteristica; • la preoccupazione verso i fratelli minori da parte

del maggiore, soprattutto quando il maggiore è una sorella e nei casi in cui esista una sorta di delega da parte del genitore ammalato;

• il desiderio di continuare la vita che esisteva prima della diagnosi (soprattutto nelle famiglie in cui si tende a non parlare della malattia e delle sue conseguenze emotive).

Gli adolescenti spesso approfittano di questo spazio di aiuto e consulenza per affrontare anche altri argomenti che stanno loro a cuore: relazioni con i coetanei, sentimentali, situazioni scolastiche e qualsiasi altra area importante della loro vita. Lo uti-lizzano cioè per riuscire a trovare una nuova stabilità in un periodo delicato che porta con sé il rischio di situazioni critiche, sia a causa delle caratteristiche proprie di questa età, sia a causa della situazione traumatica del genitore.Nei casi in cui sono i genitori a chiedere aiuto per i figli, le loro preoccupazioni sono maggiormente orientate a cosa dire o non dire riguardo la malattia ed eventualmente come dirlo.A volte viene deciso di non informare esaurien-temente i figli circa la malattia e ciò è, in genere, dovuto a molte ragioni. Uno dei primi pensieri del genitore è quello di proteggere i propri figli da una realtà che appare emo-

tivamente ingestibile e troppo angosciante. Avere una comunicazione aperta e sincera in merito alla malattia significa essere costretti a riflettere su interrogativi che si preferirebbe tenere nascosti e lontani da sé.La scelta di non informare i figli nasce anche dal bisogno di proteggere se stessi da domande difficili alle quali si teme di non saper rispondere. Il genitore si sente inadatto al compito: percepisce la difficoltà del “come” e del “quanto” dire ai figli rispetto ad una realtà – la malattia neoplastica e le terapie – nella quale egli stesso è stato proiettato all’improvviso e che ha difficoltà a comprendere pienamente.I figli sono, per il genitore che si ammala, la più grande preoccupazione: prevale l’ansia di non poter più prendersene cura, la paura di lasciarli soli, di non poterli vedere crescere e condividere con loro le tappe della vita. Quindi il tentativo di “fare come se niente fosse” e il rifiuto della comunicazione creano una situazione paradossale: tutti sanno, ma nessuno può parlare. Il disagio emotivo ne risulta drammaticamente accentuato.Abbiamo più volte sottolineato quanto siano fonda-mentali le relazioni famigliari in tale esperienza trau-matica e come ne influenzano in maniera profonda la qualità di vita, l’adesione ai trattamenti e le scelte che una persona affronta durante il decorso della malattia.Se la comunicazione con i figli è aperta e sincera, il malato, e con lui tutto il nucleo famigliare, ne trarrà notevoli benefici in termini di qualità di vita. Un genitore può comunicare su temi importanti e coin-volgenti, come la propria malattia, solo se riesce a vedere nei figli oltre alle fragilità, la forza e le risorse che essi possiedono. Riconoscere ai propri figli la capacità di affrontare un argomento difficile diminu-irà la preoccupazione di un padre o di una madre e, contemporaneamente, rafforzerà le risorse del figlio.In questa situazione, il disagio del figlio avrà possi-bilità di espressione e contenimento e ciò costituirà un vantaggio sia per lui, sia per il genitore. Inoltre, il non dover fingere è un risparmio di energie, un peso in meno che contribuisce a far vivere una situazione difficile con maggiore serenità.Per questi motivi il potenziamento e il sostegno della

relazione genitori-figli rappresenta un aspetto importante nella gestione globale della ma-lattia neoplastica, una vera e propria ”risorsa” per affrontare al meglio la malattia e la vita.

Manuela Provantini.Psicologa e psicoterapeuta, assistente alle ricerche e alla progettazione delle attività.

Conduce in Associazione il gruppo dedicato ai caregiver:

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Attivecomeprima Onlus, che da sempre aiuta i malati di cancro

e i loro familiari, da oggi ha aperto un servizio specifico per i loro

figli dai 12 ai 21 anni.

Il servizio è rivolto:

• ai figli in età adolescenziale e nella prima età adulta, per aiutarli

ad affrontare la malattia del genitore in una fase della vita già di

per sé complessa e delicata.

• ai genitori, per ogni problema di relazione e di comunicazione

con i loro figli, di qualsiasi età.

Il servizio è gratuito.

Per informazioni: www.at t ive.org

Associazione fondata nel 1973 a sostegno globale delle persone colpite dal cancro e dei loro famigliari

V ia L iv igno, 3 . 20158 Mi lano Te l . 02 688 96 47 Fax . 02 688 78 98 emai l : segre ter ia@at t ive .org

C’è qualcuno che può aiutare te e i tuoi genitori, proprio in questo momento.

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Attivecomeprima Onlus, che da sempre aiuta i malati di cancro, offre un servizio specifico rivolto ai famigliari, partner e persone vicine al paziente.

Il servizio è gratuito.

Per informazioni: www.at t ive.org

Associazione fondata nel 1973 a sostegno globale delle persone colpite dal cancro e dei loro famigliari

V ia L iv igno, 3 . 20158 Mi lano Te l . 02 688 96 47 Fax . 02 688 78 98 emai l : segre ter ia@at t ive .org

Possiamo aiutare anche te.Il tuo benessere è fondamentale anche per il benessere della persona a te cara.

Un tuo famigliare si è ammalato di cancro?

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a cura di Ada BurroneLe vostre lettere

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Ciao a tutte e tutti, mi associo a voi in modo personale, anch’io ho avuto a che fare, come voi, con un “nemico - amico”. La malattia è entrata a far parte della mia vita nel 2003, all’età di 35 anni. Magari vi sembrerà un po’ assurdo che io parli di lui come un amico, vi spiego perché: da una parte è stato il mio nemico perché mi ha fatto rischiare di perdere la mia vita e lasciare le mie figlie e i miei cari, dall’altra è stato un amico perché mi ha fatto scoprire, prendendo consapevolezza di ciò che ero in grado di fare, tante qualità che avevo nascosto nei cassetti del mio inconscio. La cosa più importante è che sono una donna che ha cambiato la sua vita in modo positivo e che è in grado di godere di tutti i momen-ti belli che si presentano durante i giorni e di vivere quelli brutti in modo più positivo possibile. Sono state le donne dell’Associazione Per te Donna di Messina e i miei cari conduttori dei gruppi ad insegnarmi ad affrontare il mio cammino fra le terapie, con il loro sostegno che tutt’oggi mi donano ma che soprattutto ora cerco di donare alle altre donne...Non mollate mai, c’è sempre una seconda vita dopo il buio.Giuliana, Milano

Cara Giuliana,ho letto il tuo scritto e ho condiviso il tuo “passaggio” dalla lotta alla riconciliazione.Chi chiede aiuto, come tu hai fatto, ha già la porta del cuore aperta ad un cambiamento positivo.Mi fa piacere sapere che l’Associa-zione di Messina, che io ben cono-sco, ti abbia accompagnata nel tuo cammino.Brava davvero.

Cara Ada,desidero ringraziarti e ti racconto il perché. Disorientata e smarrita mi chiedevo cosa fare: mi rivolgerò a quel Professore, a quella struttura, no meglio a quell’altra. Sono un medico e ho sentito di nuovi protocolli farmaco-logici. Mi informo, chiedo e poi, sfinita nel labirinto di pareri e di notizie, mi chiedo se affidarmi alla scienza, a Dio o a me stessa.Il futuro sembra non appartenermi: a cosa serve fare questo o quel proget-to, tanto… E intanto penso chi con-dividerà, a chi affidare questo dolore, perché ho la sensazione che nessuno possa capire. Non piango, sono arrabbiata, nego, reagisco, spero, mi dispero e, in questo strano cocktail di emozioni, mi riprendo, ricomincio. Sì, ma da dove, da cosa, ricomincio?Da un numero telefonico, scovato tra mille, all’improvviso. Con il dito tremante e la voce ancora di più, non vedo l’ora di comporlo, perché non so come esordire. Ma non è necessario spiegare, dettagliare. All’altro capo del filo la voce accoglie il tuo bisogno, la tua disperazione. Poi, una giornata di ottobre, quando la vita comincia a prepararsi ad un altro cielo, varco la soglia e una persona dolcissima, Felicita, mi accoglie in una confortevole stanza dove, come in un sacro confessionale, racconto in poche frasi l’improvviso recente dramma che ha un nome che fatico a proferire e il “segreto” comincia a liberarsi. Poi, pian piano, di quel mantello oscuro mi libero ed accolgo il calore di quel tiepido e ancora lumino-so pomeriggio di ottobre.Da allora, grazie ai tuoi sapienti spe-cialisti, ho fatto un viaggio dentro me stessa e in questo tratto ho deposto le mie fragilità e ho valorizzato i miei

punti di forza, che mi consentono di volgere uno sguardo diverso alla vita. Per vari giorni non mi sono accorta di quel grande cartellone “La Forza di Vivere” all’ingresso del viale che porta alla vostra palazzina. Una frase mes-saggera di speranza e di ri-vita. Tutte le volte che lo guardo e che mental-mente lo leggo, si disegna un sorriso sul mio viso. Un sorriso dal significato sconosciuto per la gente ignara che mi guarda, come quel sorriso di chi ha visto un pezzo di cielo nell’oscurità della propria vita, di chi ha visto una rosa gialla spuntare nel rigido inverno in un giardino curato da mani sapienti. La mia vita ora, libera dalle ferite murate, ha un nuovo sapore, fatto di un mix di paura, ma anche di bel-lezza suprema che vive fino in fondo con curiosità. E, mai come ora, tutto diventa sì un attimo, ma di eternità. Maristella, Milano

Non è facile per un medico unire il suo sapere al sentire. Sei stata dop-piamente brava!

Cara Ada e care amiche, non sapete quanto vi penso!!!!Purtroppo le mie condizioni di salute sono peggiorate drammaticamente e dopo dieci anni di cure semicontinua-tive i miei polmoncini si sono infine arresi all’avanzata del mostro ed ora vivo in casa ostaggio dell’ossigenote-rapia e di una serie infinita di disagi che non sto neanche ad elencare... le giornate scorrono lente, decisamente lente per una come me abituata ad essere stra-attiva. Ho sospeso tutte le terapie, a parte quelle antalgiche, imboccando quello che viene chia-mato “tunnel delle cure palliative”, e mi son detta: meno male che faccio l’infermiera, perché è veramente un

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Per i vostri quesiti vi ricordiamo i nostri recapiti: ATTIVEcomeprima via Livigno, 3 - 20158 Milano Tel 026889647 mail: [email protected] Per parlare con Ada potete telefonare il lunedì e il mercoledì dalle h. 14,00 alle h. 17,00.

incubo... solitudine, abbandono, man-canza di riferimenti. Poveri pazienti, è difficile curarsi e diventa difficile pure morire dignitosamente, quanta strada abbiamo ancora da fare!!!Comunque non mi lamento, sono sempre stata una malata molto fortu-nata: mai sola, sempre supportata e, “quando nel dolore si trova condivisione, l’animo può sopportare molte soffe-renze” e così è stato per me. Ora ho imboccato questo mio ultimo rettilineo e sto imparando ancora qualcosa tutti i giorni, mi preparo al viaggio senza valigie realizzando, ora dopo ora, quanto sia vero che la vita non ci appartiene e questa consapevolezza non angoscia ma alleggerisce.Di quando in quando si affaccia un po’ di paura, un pizzico di rabbia, ma fuori dalla sofferenza riesco anche ad essere molto serena...Con immenso affetto e gratitudine vi abbraccio fortissimo una per una e uno per uno.Francesca, Milano

P.S. Ho tanti ricordi del primo (e per un po’ unico) posto dove, mentre intorno era panico, rabbia e incom-prensione, lì regnavano calma, con-divisione e conforto... e progetti, tanti progetti per una vita che sembrava non dover averne più.E invece è stata una seconda vita, intensissima!!!Tenete duro ragazze perché il vostro lavoro è impagabile.

Francesca, amica mia carissima,la tua lettera mi ha toccato nel pro-fondo il cuore.Non ho mai ricevuto un messaggio così chiaro e concreto.Ti conosco da sempre come una persona dotata di forza serena e di Amore per tutti.L’accettazione della tua realtà è il frutto della tua grande capacità di abbracciare il mondo così com’è.Ho conosciuto poche persone distac-cate dall’ego come te.Ti capisco, Francesca, perché ho provato e provo spesso a sentirmi al “capolinea” e sempre mi auguro di

poter arrivare oltre, in modo sereno, anche perché penso che la morte non esista. “Il viaggio senza valigia” che tutti noi dovremo percorrere ci porta solo in un mondo più bello, libero dalla sofferenza.Purtroppo, quando soffriamo fisica-mente, non possiamo far tacere la paura e la rabbia che il nostro baga-glio umano ci impone.Il tuo animo riesce a reggere le dif-ficoltà perché, quella che tu chiami “la tua fortuna di non essere sola” è il risultato del tuo dare agli altri.La vita è proprio come tu dici: non ci appartiene ma il tuo vissuto, così ricco di bene, ti apparterrà sempre.Ti abbraccio, Francesca mia cara, con tutto l’affetto e la gratitudine che tu meriti.Tua Ada

“Non ci si illumina immaginando figure di luce, ma rendendo cosciente la tenebra”.

Carl Gustav Jung

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Si può dare la speranza a qualcuno che l’ab-bia persa? Se ci riferiamo a quell’orizzonte spirituale che prende anche il nome di “virtù teologale”, la risposta è senz’altro negati-va: non si può trasmettere la speranza, così come non è possibile far passare a un’altra persona la propria fede o accendere nell’altro il fuoco della carità. Diventano figure pate-tiche quei professionisti delle buone parole, che le dispensano per dovere d’ufficio. Sia che ciò avvenga sotto il segno della cura pa-storale, sia sotto quello più laico del volontariato. Tempo fa Teresa Biavati, un’operatrice sociale, ha scritto un libro intitolandolo: “Quando arrivano i ‘Fatt’ curagg’” (ed. Cappelli). Raccontava la sua esperienza nell’ospedale di Bologna. Quando si presentavano i volontari, il perso-nale sanitario li accoglieva con un sorrisino ironico e con sentimenti misti tra simpatia, tolleranza e scetticismo, dicendo: “Ecco, arri-vano i fatt’ curagg’”. Certo, la persona malata ha bisogno di qualcuno che le faccia corag-gio, così come di un aiuto per alimentare la speranza. Ben vengano, dunque, tutti coloro che intendono dispensare parole positive e di conforto. Senza tuttavia farsi illusioni: è solo dall’interno della persona che può scattare la

molla che cambia lo scenario.Se non esistono ricette, si possono però indi-viduare delle strategie. Quella privilegiata dal movimento umanistico che va sotto il nome di Narrative Based Medicine è il racconto. Nei territori di cura circolano molte narrazioni. Alcune hanno finalità diagnostico-terapeutica (non dimentichiamo che tutto il percorso di cura comincia dalle risposte alle domande del medico: “Che problemi di salute ha? Dove sente dolore?“).

Altre narrazioni hanno lo scopo di ricostruire percorsi esistenziali che la malattia ha sconvolto. Buttati fuori da una storia - quella che ci siamo rac-

contati sotto il segno della salute o della vita senza scadenze – quando la malattia viene a visitarci, abbiamo bisogno di rivisitare la nostra biografia, costruendoci un’altra storia. Non sono solo progetti astratti e velleitari. In un Hospice, ad esempio, agli ospiti che stanno conducendo la battaglia suprema della propria vita, vengono proposte delle sedute di “collage biografico”: disponendo su un foglio le foto che hanno scandito la propria vita, possono dare a se stessi e comunicare agli altri il senso che auspicano. E la speranza può riprendere a far luce sul cammino, anche nei momenti più critici.

La medicina che ci aspettiamo

Speranza e narrazione

“Ecco, arrivano i fatt’ curagg’”

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Sandro Spinsanti.Psicologo, direttore Istituto Giano - Roma.

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Si stanno sempre più diffondendo bevande senza zucchero, dolcificate con sostanze non caloriche. Sono pubblicizzate come un grande contributo per la prevenzione dell’obesità. Gli studi epidemiologici, infatti, hanno evidenziato che l’uso abituale di bevan-de zuccherate (assieme a patatine, patate, salumi, carni rosse, farine raffinate e dolciumi commerciali) è una delle cause principali dell’obesità e del diabe-te. Le bevande dolcificate con sciroppo di glucosio e fruttosio (leggere le etichette!) sono ancora più pericolose. Non è detto però che i dolcificanti artificiali siano una buona soluzione. Si tratta di sostanze fino a 200 volte più dolci dello zucchero, per cui ne basta-no piccole quantità, ma ci sono sempre più sospetti che facciano male. Già si sospettava che facessero aumentare l’appetito, ma i risultati degli studi erano contrastanti, poi, nel 2007, sono stati pubblicati i risultati di uno studio prospettico americano (la coorte di Framingham) che mostrava che chi ne fa uso ha un rischio maggiore di sviluppare la cosiddetta sindrome metabolica (definita da obesità addominale, pressione arteriosa, glicemia, colesterolo e trigliceridi alti). Si poteva obiettare che i disturbi metabolici non dipendessero direttamente dalle bevande “diet”, bensì dallo stile alimentare complessivo, ma lo studio aveva controllato molte altre variabili alimentari. A distanza di sei anni (2013) è comparsa l’analisi di un grande studio condotto su 100.000 insegnanti francesi (la coorte EPIC-E3N) che mostra che più si consumano bevande dolcificate artificialmente, a parità di consu-mo di altri alimenti, più ci si ammala di diabete. La ragione è che l’intestino reagisce a queste sostanze esageratamente dolci aumentando l’assorbimento del glucosio. Lo sanno bene i veterinari che consigliano agli allevatori di maiali

di dare l’aspartame ai cuccioli che vengono svezzati troppo presto per consentire alla scrofa di rimanere di nuovo gravida. I maialini morirebbero, ma con l’aspar-tame riescono ad assorbire di più il cibo alternativo.Meglio abituarsi a gusti meno dolci. L’abitudine al gusto dolce è un’abitudine come tante altre. Ci si può disabituare. Si tratta di ridurre progressiva-mente il consumo di zucchero, senza sostituirlo con altri dolcificanti, altrettanto o più dolci. Molte persone che amano il caffè hanno sperimen-tato che, nel volgere di qualche settimana, si pos-sono abituare a berlo senza zucchero. Nella fase di disassuefazione si possono usare, ad esempio, i malti di cereali o quantità decrescenti di zucchero di canna grezzo (quello marrone scuro non cristallino, non lo zucchero di canna che si trova nelle bustine dei bar, praticamente identico allo zucchero bianco). Le torte si possono dolcificare con l’uvetta sultanina, le albi-cocche secche (quelle biologiche di colore marrone scuro, non quelle gialle che sono state trattate con lo zolfo), il succo di mela e in generale la frutta. Ad esempio per preparare i muffin, o una tortina, prendete 250 g di farina semi-integrale (di tipo 2), o anche integrale, magari mista con un po’ di farina di mais, mezza bustina di lievito (cremor tartaro + bicarbonato), un pizzico di sale, 50 g di uvetta e/o di albicocche secche tagliate a pezzetti che fate rinveni-re in acqua calda, 100 g di nocciole e/o mandorle e/o pistacchi macinati, la buccia grattugiata di un limone o di un arancio, una mela grattugiata. Bagnate con succo di mela e/o latte di soia per ottenere una pasta

morbida, riempite quindi le formine dei muffin o stendete il composto su una teglia e poi mettete in forno a 180° per 30 minuti.Naturalmente, c’è anche chi sostiene che lo

Franco Berrino.Medico, patologo, epidemiologo, dirige il Dipartimento di Medicina Preventiva e Predittiva

dell’Istituto Nazionale dei Tumori di Milano.

zero calorie? Meglio di no...

Nutrire il benessere

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Foto

Giò

Art

Hamburger di riso, lenticchie e tofu zuppa Shrek

Crema nocciola

Angela Angarano Assistente cuoca nella ricerca Diana

(Foto 1) Ingredienti:250 gr. di riso già cotto200 gr. di lenticchie già cotte150 gr. di tofuPane grattugiato2 carote

(Foto 2) Fare un impasto con il riso, le lenticchie e il tofu sbriciolato, un po’ di olio, un pizzico di sale e, per aromatizzare, aggiungere del timo e del rosmarino ben tritati. Formare degli hamburger, passare nel pane grattugiato e friggere in padella con dell’olio.

(Foto3) Servire con carote julien ripassate in padella.

(Foto 1) Ingredienti:2 C. di crema di nocciola1 C. di sciroppo di grano o miele1 c. di cacao amaroUn po’ di latte di riso

(Foto 2) Amalgamare bene gli ingredienti ed ecco pronta la crema di nocciole.

(Foto1) Ingredienti:250 gr. piselli secchi1 scalogno1/2 carotaOlio extra-vergine di oliva Mettere in ammollo i piselli secchi per qualche ora. Mettere in una pentola la carota a dadini e lo scalogno tritato con un cucchiaio di olio e farli appassire.Aggiungere i piselli e far cuocere per 1 ora (in pentola a pressione la metà) aggiungendo 3 volte il volume dei piselli di acqua.

(Foto 2) Frullare il tutto, impiattare e guarnire con dei crostini di pane.

zucchero fa bene (generalmente i nutrizionisti televi-sivi), che anzi, è indispensabile per la salute, equivo-cando fra “lo zucchero” che è una sostanza chimica pura del tutto inutile e “gli zuccheri”, cioè i carboidrati, contenuti nei cereali, nel pane, nella pasta e in tutti i cibi vegetali. Lo zucchero fa bene al cervello, recitava anni fa la pubblicità, di nuovo equivocando. Quello che fa bene al cervello non è lo zucchero ma uno stile alimentare che mantenga costante la glicemia nel sangue, quindi ricco di cibi che facciano alzare la glicemia lentamente e durevolmente, come i cereali integrali, meglio se accompagnati dai legumi (la pasta e fagioli!) e da una moderata quantità di grassi di buona qualità (l’olio extravergine di oliva spremuto a freddo!). I cibi che fanno aumentare molto rapidamente la glicemia, invece, fanno danno, perché al picco glicemico fa seguito una reazione insulinica

che ci manda in ipoglicemia. È la ragione per cui i bambini che fanno colazione con biscotti, merendine e zucchero, arrivano alla fine della mattinata a scuola distratti e nervosi. Più zucchero e dolciumi commer-ciali si mangiano, più si va in ipoglicemia. E in ipoglicemia il cervello non funziona bene. A colazione è meglio mangiare una fetta di pane in-tegrale con olio di oliva, o con una marmellata senza zucchero, e con un grasso buono, come il tahini, la crema di mandorle o di nocciole (senza zucchero!!). Oppure potete fare colazione con i muffin descritti pri-ma, o il castagnaccio (senza zucchero!), o le cecine: per prepararle lasciate a bagno la farina di ceci alla sera con un pizzico di sale. Al mattino ungete una padella, accendete il fuoco, versate delle cucchiaiate di pastella (che subito si induriranno) e giratele con una spatola. Le cecine sono pronte.

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Professor Veronesi, cosa avrebbe fatto se non si fosse iscritto a medicina?

Fin dal liceo ero portato per le materie scientifiche, matematica e fisica erano il mio pane. Pensavo che avrei fatto il matema-tico, che fosse quella la mia vocazione. Poi, durante l’estate della maturità, quando ancora erano anni in cui si poteva scegliere la facoltà all’ultimo momento, pensai al mio futuro come matematico, a quella scienza così astratta. E cominciai a sentire ciò che portavo dentro, l’appartenenza a una famiglia di medici, il desiderio di qualcosa che fosse più vicino alle persone. Mi sembrò naturale proseguire la storia della mia famiglia e così mi iscrissi a medicina.

Cosa ricorda degli anni dell’Università?

Studio, tanto studio. Dovevo essere il più bravo, sempre all’altezza, sentivo, sulla scelta, il peso del mio cognome. Sì, studiavo come un matto per non essere criticato. All’inizio pensavo che sarei diventato un cardiochirurgo. Trent’anni fa era la grande novità. Poi però mi accorsi che neanche quella

era la scelta giusta per me, che avrei dovuto avvicinarmi di più a una patologia legata alle donne e, nello stesso tempo, alla tradizione della mia famiglia. Scelsi così chirurgia plastica e ricostruttiva e poi mi specializzai anche in chirurgia generale. Se mi guardo indietro sono molto soddisfatto: il profondo contatto con le pazienti è quello che ci contraddistingue dalle altre chirurgie, più distanti, meno umane.

Ci racconti questo rapporto tra il medico e le sue pazienti malate di tumore al seno.

È un rapporto fatto di una visita e di un lungo colloquio in cui la donna vuole conoscere le proprie aspettative in termini di guarigione, ma anche i risultati estetici dell’intervento. Se la richiesta sulle possibilità di guarire è la prima, non c’è solo questo. C’è anche la preoccupazione per la ripresa del lavoro, per la vita sociale e sentimentale. Un’attenzione che cambia a seconda dell’età. Paradossalmente, la donna giovane è meno attenta alla propria integrità fisica, ma di più all’aspetto generativo. Potrò avere figli? mi chiede. Oppure, se ha figli piccoli, la priorità è quella di vederli crescere. Questo aspetto è

Profili

Paolo Veronesi

C’è passione, dedizione, determinazione nella voce del cinquantenne Paolo Veronesi, oggi ai vertici della Fondazione omonima, nonché responsabile di un’Unità di chirurgia del seno tra le più prestigiose al mondo, quella dell’Istituto Oncologico Europeo di Milano e docente, in Italia e all’estero, dove spesso viene chiamato per raccontare la sua esperienza. E per insegnare un metodo, quello italiano, che sconfigge la malattia rispettando la femminilità. Da molti anni Paolo Veronesi è nel Comitato Scientifico di Attivecomeprima che l’ha intervistato per voi, chiedendogli di raccontare l’uomo, prima del medico.

Buon compleanno

Fondazione Veronesi!

Compie dieci anni la

Fondazione voluta nel

2003 da Umberto

Veronesi e oggi presie-

duta dal figlio Paolo.

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meno importante con il passare degli anni. In post-menopausa l’integrità fisica assume maggior rilievo, forse perché è più profonda la percezione del corpo che cambia.

Come si impara quest’arte del dialogo con i pazienti?

All’Università nessuno la insegna, non ci sono corsi ad hoc. Bisogna formarsi sul campo, attingendo da chi è più avanti di noi. Con l’esperienza e con una maggior sicurezza personale, ci si sente sempre più a proprio agio e le persone si fidano. All’inizio ero più in ansia, anche perché avevo 26 anni, ero più giovane degli altri.C’è poi una predisposizione individuale all’ascolto, all’empatia, che non tutti hanno e che, purtroppo, non viene valutata dagli attuali test d’ingresso alla facoltà di medicina.

Cosa la preoccupa di più?

L’insuccesso. Mi preoccupa che per ragioni imperscrutabili qualcosa possa andar male dal punto di vista clinico, ma anche di non essere stato abbastanza empatico, che non si sia stabilito il giusto rapporto, che non si trovino le risposte. Capita raramente, ma a volte accade. E allora mi chiedo se non ho ascoltato con sufficiente attenzione, se non ho dedicato a quella persona il tempo che avrei dovuto o non sono stato abbastanza rassicurante.

La sua vita al di fuori del lavoro?

Ammetto con amarezza che il lavoro ha prevalso sulla mia vita privata. I miei figli sono in giro per il mondo e non li vedo quanto vorrei. Quando posso amo la pace del mare, il contatto con la natura.Il mio lavoro mi porta inoltre spesso a viaggiare, a conoscere persone, civiltà e culture in modo più profondo rispetto a quan-to accade a un turista. Spesso vengo invitato all’estero per portare l’esperienza italiana, il nostro modello multidisciplinare, l’approccio globale alla persona.

Quali differenze ha trovato nei paesi che ha visitato? Come viene affrontato e vissuto il tumore al seno?

In molti paesi tutto gira ancora intorno al chirurgo, non c’è un team che affronta i diversi aspetti della malattia. Spesso poi non è diffusa la cultura della prevenzione, scree-ning e mammografia sono sconosciuti. Ho incontrato donne meno attente agli stili di vita, realtà in cui ci si accorge tardi del tumore, un po’ come da noi trent’anni fa.

All’apice della sua carriera, chiamato per esportare il modello di cura italiano, sente ancora il peso del suo cognome?

Direi che, al contrario, oggi è diventato una garanzia, dà fiducia. Con mio padre peraltro ho un ottimo rapporto, appena possibile curiamo e viaggiamo insieme.

Mai rimpianto di non aver scelto matematica?

No, se l’avessi fatto mi sarei rivolto forse all’informatica e dedicato solo alle macchine. Così mi dedico alle persone.

Daniela Condorelli.Giornalista.

Mamma dopo il cancro: una nuova speranzadi Dina Stefanon (ginecologa oncologa)

Negli ultimi due decenni i progressi della ricerca in ambito oncologico hanno aumentato notevolmente i tassi di soprav-vivenza di molte neoplasie maligne che colpiscono giovani donne e uomini in età riproduttiva, portando in primo piano sia l’attenzione degli oncologi nei confronti della fertilità e del miglioramento della qualità di vita, sia la fiducia dei pazienti con ripresa della loro progettualità e la richiesta sempre più crescente, prima di iniziare le cure oncologiche, della possibili-tà di preservare la capacità riproduttiva.È recente l’opzione più affascinante per la preservazione della fertilità nella donna, rappresentata dalla “protezione farmacolo-gica” delle gonadi in corso di chemioterapia.Si parte dal fatto che il numero di follicoli ovarici primordiali nell’ovaia, ossia nell’organo che contiene le cellule deputate alla procreazione, è fisso e non rinnovabile e che questi follicoli costituiscono la “riserva ovarica”.La protezione farmacologica si basa sulla somministrazione di farmaci che inducono uno stato di quiescenza ovarica allo scopo di prevenire la menopausa precoce. La chemioterapia colpisce principalmente le cellule in divisione, quindi i follicoli ovarici maturi; l’uso di un farmaco che riduce la produzione dell’ormone che stimola la maturazione follicolare (FSH) fa si che i follicoli rimangano in quiescenza e quindi siano meno sensibili ai danni da chemioterapia.Va ad una ricercatrice italiana, la dottoressa Lucia Del Mastro, ricercatrice AIRC, e a collaboratori dell’Istituto Tumori di Genova, il merito di uno studio pubblicato nel 2011 in una prestigiosa Rivista medico-scientifica come JAMA, condotto su 281 donne candidate a chemioterapia per tumore della mam-mella. Lo studio dimostra che un farmaco chiamato Triptorelina protegge le donne che fanno chemioterapia per tumore della mammella dalla menopausa precoce, ossia dalla distruzione della riserva ovarica. Questo studio ha acceso una luce su una nuova prospettiva non invasiva e di facile attuazione.

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Piccolo viaggio nel centro del cuore

Se dovessi raccontare a qualcuno quale è stata la cosa che più ha segnato la mia vita, il mio tempo, la mia pas-sione, insieme all’amore, agli amici, ai cani e al giardino, è stato l’ascolto delle storie di tante donne che hanno accompagnato il mio vivere, giorno dopo giorno.L’ascolto è qualcosa di molto complesso, delicato e sen-sibile, nei racconti infiniti che passano attraverso l’udito verso il cuore, provocando ricordi, nostalgie, rimpianti e tenerezza, in chi racconta ma anche in chi ascolta.Da qualche mese mi sono avventurata in uno spazio di Attive per me nuovo, dedicato al primo tratto di percorso di gruppo accanto a Paola, la psicoterapeuta che conduce gli incontri da “una vita”, accompagnan-do coraggiose o non coraggiose donne, che si acco-stano a noi in Associazione, timidamente, a volte per caso, senza sapere, forse, cosa cercano, cosa aspettarsi, cosa potranno ricevere in questo luo-go così particolare, tanto caldo quanto vero.Conduco da 17 anni qui, ad Atti-ve, per una intima passione, un gruppo di Danzaterapia, respiro l’atmosfera intensa, coccolo le mie ragazze di ogni età, sono vicina a loro anche quando le cose non vanno bene e la malattia ritorna a farsi sentire con tutta la sofferenza che, purtroppo, conosciamo. Questo tratto di strada, però, mi ha sempre fatto incontrare le donne che già hanno percorso il primo pezzo, quello più difficile, quello più spinoso, quello più inconsapevole e pieno di difese.Nel mio lavoro di medico e psicoterapeuta non sono certo nuova all’ascolto, ma questa esperienza di grup-po, del primo coinvolgimento verso la conoscenza di se

stessi, è davvero una scoperta e che ha suscitato in me una nuova emozione e mille domande.Vorrei riuscire a raccontarla, per chi non l’ha vissuta, per chi forse la vivrà, per chi la parteciperà, accanto a una donna amata, amica, sorella, mamma, moglie, figlia, colpita nel cuore...Eccole, sono otto donne, vengono da mondi diversi, diverse nell’età, nella cultura, sconosciute una all’altra, la stanza è un po’ fredda, è vero, ma non è questo che le fa stare così avvolte nei piumini e nelle sciarpe.Aspettano qualcosa, non è difficile immaginare... speranza, guarigione, comunque un luogo dove dimenticare la malattia.Timidamente, ognuna a modo suo, con o senza le parole, chiede questo: un modo per esorcizzare

il pensiero inquieto che torna sempre lì ricoperto di paura.La dolce botta arriva subito... non siamo qui per questo! Purtroppo! E la voce di Paola, delicatamente, ripete per la millesima volta negli anni, qualcosa che certamente,

davanti a quegli sguardi imploranti, lei non vorrebbe dire, “nessuno di noi sa cosa ci può succedere. Non siamo qui per questo! Siamo qui per aiutarvi ad accettare questo mistero, questo futuro incerto, a far rotolare questo masso di dolore accanto a voi e non sulle vostre spalle. Siamo qui perché possiate vivere intensamente, con consapevolezza la vostra vita, anche se minata dall’incertezza del domani”. Gli sguardi sono stupiti, forse delusi, sofferenti, forse curiosi, forse ribelli, ma una parte di ognuna di loro si scioglie in questa realtà, qualcuna sembra aggrappata ai cuscini dei divanetti, avvolta da sciarpe e piumi-

Siamo qui perché possiate vivere intensamente, con consapevolezza la vostra vita, anche se minata dall’incertezza del domani.

La Forza della Vita

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ni... e si dà il tempo per pensare, sentire e tornare la settimana dopo.L’incontro successivo dà spazio ai racconti di ognuna sulle reazioni individuali dopo quel primo approccio, che sono intense e diverse.Non avere rassegnazione ma accettazione di una realtà difficile, nel lento passaggio che traghetta il pensiero dal “perché a me” verso il “perché non a me”.Detto così sembra una piccola cosa, in realtà c’è un abisso tra le due espressioni, che porta a una diversa immagine dell’accaduto, in un combattimento che non è tanto contro il cancro del seno ma contro altri cancri che si annidano nella nostra vita.Ogni incontro si snocciola intorno a un tema, l’infan-zia, i genitori, i rapporti famigliari, i desideri, i sogni, i risentimenti, i rimpianti e i rimorsi e per qualcuna, lentamente, per altre d’impulso, i racconti sono come un fiume in piena, in un viaggio nella memoria lontana e presente.La malattia quasi scompare all’attenzione, viene posta in uno spazio d’attesa, secondario, quasi marginale rispetto al bisogno di andare ad incontrare sofferenze, perdite, infanzie tradite, adolescenze e

giovinezze travagliate, nel tentativo di “farcela” per essere donne compiute, sostenute, responsabili, soddi-sfatte e felici.La parola MAMMA ritorna e ritorna infinite volte

nei racconti di mamme troppo assenti, troppo presenti, troppo deboli, abusate, vittime, mamme felici, infeli-ci, malate, vive o morte, sono qui, in questa stanza, presenti, potenti, protagoniste nei ricordi e nel vissuto di risentimento o di amore. Le parole di ognuna, sull’onda degli stimoli ascoltati dalle altre, escono con fatica ma con semplicità in un incontro essenziale, autentico, dolorosamente facile.Il gruppo è così partecipe nell’energia condivisa, che facilita una apertura diretta e sincera, consolata ogni tanto da qualche dolcino o caramella, in un piattino, accanto ai fazzoletti che in alcuni momenti raccolgono lacrime antiche, mai piante, e... finalmente... piante qui, in questo luogo strano, capace di accogliere malattie ben più gravi e dolorose del cancro.Ma non c’è solo dolore perché in un attimo, come solo le donne sanno fare, l’umorismo di qualcuna, l’ironia e i progetti di altre, sono contagiosi e si trasformano anche in belle risate, ammirazione, incoraggiamenti, sostegni, che trasmettono la partecipazione profonda, gentile e sensibile ad ogni storia. E qui le fantasie non hanno limite, tra i desideri di viag-gi estremi, fughe irrealizzabili, realizzazioni di capacità frustrate, rinnovamento del proprio aspetto, rimedi nei propri rapporti complicati.Quante cose simili, quanti ricordi e nostalgie, quante iden-tificazioni nei piccoli pezzi di questi mosaici di vita, quante

storie si intrecciano con le nostre storie, di noi che ascoltiamo, ascoltiamo, ascoltiamo...La conduzione è ormai collaudata, sapiente, non è invasiva ma stimolante e il rigore ab-braccia la libertà di espressione.Lo sento un po’ come quello che avviene nei miei incontri di Danzaterapia, dove l’energia

del gruppo e gli stimoli della conduzione accele-rano e facilitano la scoperta delle potenzialità e la

possibilità di calarsi intensamente nell’esperienza del corpo e del cuore.

Il potere terapeutico del raccontarsi si respira ogni volta. Mano a mano che come un nastro si srotolano

i racconti, si respira la possibilità di incontrare nuove parti di ognuna, sconosciute, preziose, a volte dolenti, a volte piene di progetti, ancora ignare di quanto tutto questo le condurrà verso un possibile e sostanziale cambiamento.Per qualcuna più facile, per altre più difficile, ma nulla sarà come prima perché una finestra si è aperta per lasciare scorrere fuori e lasciar entrare dentro, attraver-

so i vissuti di se stesse e delle altre, sentimenti nuovi, potenzialità e progetti tali da far vivere il cancro non solo con l’abito del dolore ma anche come opportunità per una buona, possi-bile, trasformazione.

Nicoletta Buchal.Medico e psicoterapeuta. Conduce in Associazione

il gruppo “Armonizzazione mente-corpo attraverso la danza”.

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IL TUO CONTRIBUTO CI dARà PIù FORzA PER AIUTAREBonifico Bancario IBAN IT64 X030 6909 5180 0000 6409 190

SWIFT: BCITIT33128 (Paesi Extraeuropei)Chiediamo alle persone che ci inviano offerte tramite bonifico bancario, di fornirci il loro indirizzo per poterle ringraziare e/o inviare loro le nostre pubblicazioni. La banca non ce lo comunica per motivi di privacy.

Bollettino di c/c Postale n. 11705209 Intestato a: Attivecomeprima Onlus Via Livigno 3 - 20158 Milano

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5 per mille Nella dichiarazione dei redditi firma nel riquadro: “a sostegno delle organizzazioni non lucrative di utilità sociale” e inserisci il codice fiscale di Attivecomeprima Onlus:

10801070151 L’8 per mille e il 5 per mille non sono in alternativa: puoi sceglierli entrambi. “Le erogazioni liberali a favore di Attivecomeprima Onlus sono deducibili/detraibili ai sensi di legge”.

Ringraziamo i finanziatori istituzionali,

le aziende e le persone che, con liberi

contributi, sostengono Attivecomeprima

Onlus e la sua “Mission”.

Attivecomeprima onlus in sintesiQuarant’anni di lavoro e di esperienza umana e scientifica, più di quarantamila pazienti e famigliari accolti, ascoltati e aiutati, oltre cento persone che settimanalmente usufruiscono dei suoi servizi: questa è Attivecomeprima oggi. Nata con la denominazione al femminile e l’obiet-tivo di migliorare la qualità della vita delle donne colpite da cancro al seno, Attivecomeprima ha negli anni esteso la sua attività di sostegno globale a tutti i malati di cancro. Le persone entrano in contatto con l’Associazione attraverso: materiali informativi disponibili negli ospedali, mass-media, internet, medici, amici e conoscenti, donne e uomini che hanno già usufrui-to dei suoi servizi. Dopo un primo contatto, che avviene prevalente-mente per telefono o via e-mail, le persone vengo-no accolte in sede, ascoltate e aiutate in base alle necessità che esprimono.

Cultura e formazioneL’équipe di Attivecomeprima organizza, nella propria Sede e presso Università, corsi di forma-zione per psicologi, medici di medicina generale e operatori sanitari nonché Mini-Master per oncologi. Obiettivo delle attività formative è quello di diffon-dere in modo sempre maggiore la cultura dell’aiuto alla persona che si ammala di cancro e ai suoi famigliari.

studi e ricercheL’Associazione svolge anche studi e ricerche in collaborazione con Istituti di ricerca, Università, Ospedali, Fondazioni e Aziende.

pubblicazioniL’attività editoriale comprende, oltre alla rivista ATTIVE, libri scientifici e divulgativi, opuscoli, filmati e testi specifici per la conduzione dei gruppi.

Chi ci sostiene

Le attività dell’Associazione sono gratuite. Attivecomeprima è sostenuta economicamente da libere offerte di privati cittadini, da erogazioni liberali di Aziende, Enti Pubblici e Privati, Fondazioni e da contributi finalizzati a progetti.

territorioPer favorire le risposte alle richieste dei pazienti che vivono lontano da Milano, Attivecomeprima ha creato una rete di collegamenti e un Network con specialisti di altre strutture in Italia e all’estero.

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Chi è Francesco, il Papa “venuto dalla fine del mondo”? A raccontarcelo in queste pagine è lui stes-so, attraverso un colloquio amichevole e appassionato, avvenuto quando era ancora Arcivescovo di Buenos Aires, con Abraham Skorka, Rettore del Seminario Rabbinico della capitale argentina. Il libro si propone come un dialogo interreligioso sui temi fondamentali della vita dell’uomo, e ci permette di conoscere Jorge Bergoglio e la sua strada maestra: l’incontro e la costruzione della fraternità. Ad emergere nitidamente è anche il profilo di un Cardinale che ha affrontato con decisione e senza com-promessi gli anni più difficili della storia del suo Paese e che non risparmia giudizi netti su questioni di respiro universale e di grande attualità. Questo libro offre importanti spunti di riflessione a credenti e laici desiderosi di scoprire il pensiero del nuovo Papa.

Quando si parla di differenze di genere sono quasi sempre le donne al centro dell’attenzione. Pochi si interrogano, invece, sulle reazioni di mariti, figli, compagni, amici, messi di fronte al nuovo pro-tagonismo femminile. In queste pagine, Stefano Gastaldi vuole alzare il velo sull’affettività maschile, per scoprire come il concetto di virilità sia stato influenzato dai cambiamenti socioculturali a cui assistiamo. Il filo che collega i tanti temi affrontati è quello del rapporto fra il sentimento originario di virilità e la sua declinazione in alcune fasi cruciali della vita di un uomo. Ciò che l’Autore si propone di mettere in luce è il “funzionamento” della sfera affettiva maschile, perché anche da essa e dal suo incontro con il mondo dipenderà il futuro assetto della nostra società.

Anche gli atleti meditano…ma “di corsa” è un saggio sul senso del correre e sul rapporto tra corpo e mente. Nello sport, così come nella meditazione, c’è un momento in cui il corpo si trova in armonia con la mente. Si tratta di uno stato di semi-alterazione della coscienza nel quale le percezioni si dilatano e i sensi sono rivolti verso l’interno, e che consente di vincere la fatica fisica. La mente è lo strumento che permette di superare ogni limite e conseguire ogni obiettivo, non importa quali siano le condizioni di partenza. Questo libro nasce per amore del correre ed è stato scritto da chi ha cominciato a correre per amore e, correndo, si è accorto di aver trovato molto altro.

Jorge Bergoglio e Abraham skorkail Cielo e lA terrAedizioni Mondadori€ 9,90

stefano Gastaldi UoMiNi:se li CoNosCi pUoi AMArliedizioni Mondadori€ 17,00

Maria Cristina savoldi Bellavitis e selene Calloni Williams con la collaborazione di Andrea re ANCHe Gli Atleti MeditANo…seppUr “di CorsA”Edizioni Mediterranee

€ 14,90

Letti e piaciutia cura di Serena Ali

Sapevate che...a cura di Benedetta Giovanniniconsulente enogastronoma

1 Zanzare? Mettete un vaso di gerani sul davanzale della camera da letto e, per dormire tranquilli, mettete vicino al cuscino un sacchetto pieno di fiori secchi di lavanda.

2 Via i parassiti. Per eliminare i parassiti dalle piante, mescolate 1 cucchiaino (5g) di bicarbonato e 3 cucchiai di olio d’oliva. Versate 2 cucchiaini di questa miscela in 200 ml d’acqua, riempite uno spruzzatore e vaporiz-zate la pianta, evitando però di bagnare i fiori. Ripetete quest’operazione ogni 20 giorni.

3 Spazzole e Pettini. Ricordiamoci che le spazzole e i pettini vanno lavati, per eliminare forfora, grasso e batteri. Dopo aver levato via i capelli dai denti o dalle setole, immergete spazzole e pettini in una bacinella di acqua calda nella quale avrete fatto sciogliere un po’ di shampoo neutro o del bagnoschiuma, insieme ad un cucchiaino di bicarbonato. Dopo averli tenuti a bagno per almeno un’ora, vanno sciacquati sotto acqua tiepida e fatti asciugare all’aria. Evitate termosifoni e fonti di calore che rischiano di deformarli, approfittate invece di una bella giornata di sole, mettendoli ad asciugare all’aria aperta. Ricordate di mettere le spazzole con le setole verso l’alto onde evitare che si comprimano diventando inservibili.

4 Formiche? È in arrivo il caldo e con il caldo arrivano anche loro. Non si sa da dove siano entrate, ma... sono entrate! Ce le ritroviamo dappertutto: assaltano il balcone, la cucina, la sala da pranzo. Lo sapevate che una spolverata di lievito chimico (no di birra!) le disturba a tal punto da farle sparire? Cospar-gete perciò il punto d’entrata delle formiche (la soglia del balcone o del terrazzo, la finestra, ecc) con una bella spolverata di lievito.

5 Formiche 2. L’estate porta il sole nella nostra vita e le formiche nelle nostre case. Ma ecco un’altra tecnica

vincente. Scopriamo da dove vengono seguen-do il loro cammino, quindi mettiamo sul

percorso i fondi del caffè che avremo conservato per questo uso... Gli indesiderati ospiti non si faranno

più vedere.

6 Calcare e Muffa. Per togliere il calcare e la muffa dal box doccia, dai tappetini in plastica, dai sanitari e per far tornare

brillante la vasca da bagno, invece di usare i

prodotti commer-ciali, basta fare un impasto con 3 parti di bicarbonato e 1 di acqua. Quindi

mettetelo su una spugna e strofinatelo

direttamente sulle superfici da lavare.

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6 Marzo 2013Nella nostra Sede

Esperienze a confrontoUn momento di lavoro con le rappresentanti dell’Associazione R.aVi. Onlus di Torino e le amiche di Fundatia Renasterea (Rinascita) di Bucarest.

15-16 Marzo e 12-13 Aprile 2013Nella nostra Sede

Mini Master 2013Un momento delle quattro giornate di lavoro della IV edizione del Mini-Master in Management e Supporto Globale del Paziente Oncologico, rivolto a oncologi e altri medici che lavorano in ambito oncologico

conNoigli altri

15-16 Marzo e 12-13 Aprile 2013 presso la nostra sede

Mini-Master in Management e Supporto globale del Paziente OncologicoIV Edizione rivolta a oncologi e altri medici che lavorano in ambito oncologico e articolata in due moduli di due giornate ciascuno. Accreditamento ECM.

26 Marzo 2013 presso Fondazione Muralti

Corso di Formazione per Titolari di Farmacie“Il Farmacista di fronte al Paziente Oncologico. Il Supporto alla Persona durante la Cura della Malattia”

17-18 Maggio e 14-15 giugno 2013 presso la nostra sede

Corso di Formazione per Psicologi e Psicoterapeuti: “Il Sostegno al Paziente Oncologico e ai Famigliari”II Edizione rivolta a psicologi e psicoterapeuti che lavorano in ambito oncologico e articolata in due moduli di due giornate cia-scuno. Accreditamento ECM.

8 Ottobre 2013 presso la nostra sede

Corso di Aggiornamento per Medici di Medicina generale Corso in collaborazione con ASL di Milano. Accreditamento ECM.

Chi ci ha sostenuto nel 2012

Comune di Milano

Fondazione Cariplo

Fondaz. Banca del Monte di Lombardia

Fondazione Fondiaria SAI

Fondazione Umberto Veronesi

Material World Charitable Foundation

Fondazione Unicredit

UniCredit Group

Banca Popolare di Milano

Janssen-Cilag SpA

Farmindustria

Sideuro srl

Dompé Farmaceutici SpA

Centro Oncologico Lipsia

Edison SpA

Pellegrini SpA

Banca Intesa/San Paolo

Besozzi Elettromeccanica srl

Club Inner Wheel Milano Sempione PHF

Reconta Ernst & Young SpA

Warren Real Estate Ltd

Spazzolificio Piave SpA

Gruppo Reale Mutua

STMicroelettronics

Ilco Industriale srl

Komen Italia

e libere offerte da privati cittadini

EVENTI FORMATIVI 2013

gomitolo rosawww.gomitolorosa.org

Il progetto del Gomitolo Rosa nasce a Biella, in Piemonte, nel giugno 2012. Utilizza lane autoc-tone italiane lavorate dalla sapienza secolare dei laboratori delle Valli Biellesi, tramite un processo produttivo a km zero. Ha come obiettivi il recu-pero della lana, la protezione dell’ambiente e la salute della donna.L’iniziativa nasce per sostenere i progetti e l’atti-vità di diverse associazioni, nella loro diversità e con le loro caratteristiche locali, che mantengo-no alta l’attenzione sul tema del tumore al seno. Attivecomeprima Onlus è stata una delle prime associazioni ad aderire al progetto.È possibile ottenere i gomitoli con un contributo di 5 Euro anche presso la nostra Sede.

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2 Marzo 2013Courmayeur

Prova di gigante VII Trofeo Christian Valentini a favore di Attivecomeprima Onlus

Gli Sponsor:

BESOZZI ELETTROMECCANICA srl Francesco Sisto Besozzi

DGPA & Co Maurizio Dallocchio

GRUPPO RE Franco Alemani

MAB.q Egidio Maggioni

PODRANSKA BANKA Miljan Todorovic

SIDEURO Piero Mancuso

WARREN REAL ESTATE Ltd Armando Borghi

Un grazie di cuore a chi ha organizzato, agli sponsor e a ogni persona che, in ricordo di Christian Valentini, ha offerto il suo contributo per aiutarci a far “Vincere la vita”.

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per MAGGiori iNforMAzioNi tel: 026889647 eMAil: [email protected]

Primo incontro riservato alle persone che si rivolgono per la prima volta all’AssociazioneLunedì ore 15,00Felicita Bellomi (fiduciaria) e una psicologa

Ascolto telefonico, accoglienza, orientamento e aiuto praticodal lunedì al giovedì ore 9,00/17,30

Consulenze telefoniche di psicologi, medici ed altri esperti dal lunedì al giovedì ore 10,00/16,00

Supporto psicologico individuale per pazienti e famigliarisu appuntamento

Gruppi di sostegno psicologico rivolti ai pazienti prima, durante e dopo le terapie oncologichemartedì ore 14,30/16,00 giovedì 10,30/12,00 - 14/15,30Paola Bertolotti, Stefano Gastaldi (psicologi/psicoterapeuti), Elena Bertolina (recorder)

Caregiver. Sostegno psicologico rivolto a famigliari, partner e persone vicine al pazientelunedì ore 12,30/14,00Manuela Provantini (psicologa/psicoterapeuta), Oscar Manfrin (recorder)

Caro Figlio. Sostegno psicologico rivolto ai figli dei pazienti. Specifico dai 12 ai 21 anniSu appuntamentoManuela Provantini (psicologa/psicoterapeuta)

Supporto di medicina generale durante le terapie oncologichemartedì e giovedì - su appuntamento Alberto Ricciuti (medico)

Dottore si spogli i medici rispondono alle domande su malattia e cure: incontri di gruppo e individualisu prenotazione lunedì e/o martedì ore 15,00/17,00Massimo Callegari (chirurgo plastico), Salvo Catania (chirurgo oncologo), Giorgio Secreto (endocrinologo), Franco Berrino (epidemiologo/esperto di alimentazione)

La prevenzione a tavola corso teorico e pratico di alimentazione mercoledì ore 10,30/14,30esperti della Ricerca Diana (Istituto Tumori Milano)

Armonizzazione mente corpo attraverso la danza martedì ore 16,00/17,30Nicoletta Buchal (medico/psicoterapeuta)

Somatic Experiencingmartedì ore 14,30/16,00Marina Negri (fisioterapista), Chiara Covini (operatore corporeo)

Tecniche di Hatha Yoga lunedì ore 10,00/11,00 mercoledì ore 15,00/16,00 - 16,15/17,15Maria Grazia Unito (insegnante)

La mente intuitiva giovedì ore 14,00/17,30 Vittorio Prina (docente di processi intuitivi)

Laboratorio di pittura su ceramicacadenza quindicinale mercoledì ore 14,30/16,00 Ornella Bolzoni (insegnante)

La forza e il sorriso per migliorare la valorizzazione di sé attraverso il truccolunedì ore 14,30/17,30(esperte di estetica del viso del Progetto Unipro)

Il tesoro nascosto incontro riservato ai collaboratori e fiduciarieil primo mercoledì del mese ore 15,00/17,00Ada Burrone e una psicologa

Progetti, studi e ricerche con Università, Fondazioni, Aziende, Ospedali e Istituti di Ricerca.

Arte Terapiacadenza quindicinale - mercoledì ore 14,30/16 Mimma Della Cagnoletta (psicoterapeuta)

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per MAGGiori iNforMAzioNi tel: 026889647 eMAil: [email protected]

• Lega Italiana per la Lotta Contro i Tumori

• Istituti Oncologici eOspedali

• altre Associazioni

• Specialisti del settore

La nostra sede è a Milano. Di seguito l’elenco delle città dove potete trovare uno o più specialisti che hanno partecipato alle nostre attività di formazione.

ITALIA: Adro (BS)AnconaAndora (SV)AostaArona (NO)Ascoli PicenoAstiAviano (PN)BariBergamoBiellaBolognaBolzanoBresciaBrindisiBrugherio (MB)CagliariCasarano (LE)Castellanza VACecina (LI)Ceranesi (GE)Chieri (TO)ChietiCivitanova Marche (MC)Codogno (PV)Conegliano (TV)Crema (CR)CremonaCuneoDesio (MB)Desulo (NU)Fidenza (PR)FirenzeFoggiaForliFormigine (MO)Gallipoli (LE)GenovaGrossetoInverigo (CO)Lainate (VA)LeccoLivornoLodiMacerataMarsala (TP)Merate (LC)Mestre (VE)MessinaMirano (VE)ModenaMonfalcone (GO)Monterotondo (RM)Mortara (PV)NapoliOggiono (LC)PadovaParmaPavia

PerugiaPiacenzaPietra Ligure (SV)PisaPordenonePratoRagusaReggio CalabriaReggio EmiliaRiccione (RN)RiminiRomaSanremo (IM)Seriate (BG)SienaSondrioTerniTivoli (RM)TorinoTrapaniTreia (MC)TrentoTreviglio (BG)TrevisoVareseVercelliVerolanuova (BS)VeronaVicenzaVilla Adriana (RM)ViterboVoghera (PV)

ESTERO: Rio de Janeiro Atene LipsiaLugano

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da quarant’anni un’equipe di professionisti offre

a tutti i malati di cancro un servizio di supporto umano, medico

e psicologico a sostegno della vita e a rafforzamento delle

terapie oncologiche.Il suo metodo di lavoro

ha preso corpo dall’ascolto dei bisogni espressi da

pazienti e famigliari e dalla valutazione

dei risultati di studi e ricerche.

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Il metodo e gli strumenti sono oggetto di un’attività

di formazione rivolta a oncologi, psicologi, medici di medicina generale

e altri operatori in ambito oncologico.

Alcuni dei risultatie benefici verificati

• Potenziamento delle risorse psico-fisiche durante le terapie oncologiche

• Riduzione della depressione e della fragilità emotiva

• Rafforzamento dell’autostima, dell’assertività e dell’autonomia

• Riduzione del coinvolgimento emotivo, pratico, economico, famigliare e sociale

• Un contributo personale al buon esito delle terapie oncologiche

CodiCe fisCAle 10801070151

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