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Università degli Studi di Palermo Facoltà di Architettura Corso di Laurea in Architettura 4/S A.A. 2012-2013 Tesi di laurea: LA CHIESA DELL’ ANNUNZIATA NUOVA E IL CONVENTO DEI DOMENICANI A COLLESANO Il rilievo per la conoscenza Relatore: Tesi di Laurea di: Prof. Arch. Nunzio Marsiglia SALVATORE TERMOTTO Correlatore: Arch. Giuseppe Verde

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Università degli Studi di Palermo

Facoltà di Architettura

Corso di Laurea in Architettura 4/S

A.A. 2012-2013

Tesi di laurea:

LA CHIESA DELL’ ANNUNZIATA NUOVA

E IL CONVENTO DEI DOMENICANI A COLLESANO

Il rilievo per la conoscenza

Relatore: Tesi di Laurea di:

Prof. Arch. Nunzio Marsiglia SALVATORE TERMOTTO

Correlatore: Arch. Giuseppe Verde

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Alla mia famiglia

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INDICE:

INTRODUZIONE: 1

CAPITOLO 1:

GENESI ED EVOLUZIONE STORICO-URBANISTICA DI COLLESANO

1.1 Dalle origini arabo-normanne alla conquista

angioina 3

1.2 La crisi del Trecento: il Regno aragonese di Sicilia e

i Ventimiglia a Collesano 10

1.3 La ripresa economica, demografica ed urbanistica

del Quattrocento 13

1.4 Espansione urbanistica e nuove istituzioni religiose

nel Cinquecento 21

1.5 Edifici civili e religiosi tra il Seicento e il Novecento 25

CAPITOLO 2:

I DOMENICANI IN SICILIA

2.1 Profilo storico: dall’ insediamento alla soppressione

delle corporazioni religiose 30

CAPITOLO 3:

I DOMENICANI A COLLESANO

3.1 Il primitivo insediamento domenicano in Contrada

Gioppo 36

3.2 L’ Insediamento e la presenza dei Padri Predicatori

nel complesso dell’ Annunziata nuova (1553-1866) 39

3.3 La confraternita del Rosario 44

3.4 Il patrimonio storico-artistico 46

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CAPITOLO 4:

LA CHIESA DOMENICANA DELL’ ANNUNZIATA NUOVA

4.1 Caratteri generali dell’ architettura domenicana 49

4.2 Le vicende costruttive del complesso dell’ Annunziata

nuova dalle origini al Settecento 52

4.3 La ricostruzione primo-ottocentesca della chiesa 57

4.4 Le vicende costruttive della chiesa del primo

Novecento 62

CAPITOLO 5:

LA TRASFORMAZIONE DEL CONVENTO IN PALAZZO MUNICIPALE

5.1 Da Convento domenicano a Palazzo Municipale:

storia di una fabbrica 69

5.2 L’ ingegnere-architetto Giovanni Salemi Pace 71

5.3 Il progetto di trasformazione del Convento 78

5.4 La pavimentazione dei locali del Palazzo Municipale 93

CAPITOLO 6:

GLI INTERVENTI DEL PRIMO NOVECENTO:

IL PROGETTO DELL’ INGEGNERE LUIGI CASTIGLIA

6.1 L’ ingegnere Luigi Castiglia 96

6.2 Il progetto: isolamento, drenaggio e decorazione

del prospetto del Palazzo Municipale 102

CONCLUSIONI: 111

BIBLIOGRAFIA: 113

ELABORATI GRAFICI: 119

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INTRODUZIONE:

A seguito dell’ emanazione della legge sulla soppressione delle

corporazioni religiose del 7 luglio 1866, che permise al nascente Stato

italiano di incamerare un ragguardevole numero di edifici da

destinare ad attività di interesse pubblico, anche a Collesano si

prospetta l’ opportunità di trovare una sede appropriata per lo

svolgimento dell’ attività amministrativa: quello che fino ad allora era

stato il convento dell’ ordine dei Domenicani diventerà il Palazzo

Municipale della comunità. Il complesso, costituito dalla chiesa

dell’ Annunziata Nuova (nota come chiesa di S. Domenico o del

Rosario) e l’ adiacente Palazzo Municipale costituisce, assieme alla

basilica di S. Pietro, l’emergenza architettonica più significativa del

centro madonita. Il complesso, prospiciente sull’ asse viario di

attraversamento principale, è ubicato in posizione centrale e funge

da “cerniera” tra i quattro quartieri storici da un lato e l’espansione

sette-ottocentesca del centro abitato dall’ altro. La trasformazione

ottocentesca da convento a municipio, ma fino agli ultimi decenni

del Novecento anche Caserma dei carabinieri e sede della Pretura

circondariale, testimonia tra l’ altro la volontà di affermare anche

simbolicamente il pensiero liberale del tempo: il passaggio da edificio

religioso a sede del potere civile locale trova espressione visiva nelle

due torrette laterali munite di merli ghibellini. Eppure il Palazzo

Municipale non è mai stato oggetto di studio storico-architettonico,

mentre la chiesa è stata attenzionata soltanto per alcune opere

d’arte in essa custodite (tele documentate dello Zoppo di Gangi e del

pittore locale Giovanni Giacomo Lo Varchi).

La ricerca archivistica e il rilievo architettonico costituiscono, a tal

proposito, strumenti fondamentali per la lettura della complessità di

un manufatto che ha subìto un radicale cambio della destinazione

d’uso: tale trasformazione, tuttavia, pur producendo variazioni

planimetriche in alcuni suoi ambienti, non ha stravolto l’impianto

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iniziale dell’edificio; inoltre, dai documenti rinvenuti è stato possibile

accertare che la cinquecentesca chiesa dell’ Annunziata nuova è

stata oggetto di una radicale ricostruzione ai primi dell’ 800: questo

aspetto era stato completamente rimosso dalla memoria collettiva e

storica della comunità. La costruzione del complesso domenicano,

inquadrato nello svolgersi dell’espansione urbanistica di Collesano

anche in relazione all’insediamento degli altri ordini regolari è stata

focalizzata nell’ambito della storia e dell’affermarsi dell’Ordine dei

Padri Predicatori in Sicilia.

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CAPITOLO 1:

GENESI ED EVOLUZIONE STORICO-URBANISTICA DI COLLESANO*

1.1 Dalle origini arabo-normanne alla conquista angioina

L’ origine e l’ubicazione dell’attuale centro abitato di Collesano

risale all’epoca normanna ed è conseguente alla distruzione,

avvenuta prima del 1140, del centro arabo-normanno collocato sulla

sommità del Monte d’Oro, a circa un chilometro ad ovest dell’attuale

sito1. L’antico centro è noto alle cronache e ai geografi medievali

musulmani come Qal’ ât ’ as Sîrat (Rocca della Strada) e lo stesso sito

viene citato nelle fondamentali opere di Michele Amari sulla

dominazione islamica in Sicilia2. Dopo la conquista normanna

dell’ isola (1060-1091), Qal’ ât ’ as Sîrat assume la denominazione di

Golisanum, come riportano le cronache e la diplomatica normanna

dei conquistatori latini. Rainolfo, feudatario del centro e cognato dello

* Abbreviazioni e misure utilizzate:

Archivi:

ASPa = Archivio di Stato di Palermo

ASPC = Archivio Storico Parrocchiale Collesano

ASCC = Archivio Storico Comunale Collesano

Monete:

Onza = 30 tarì = 600 grani = 3600 denari

Misure di lunghezza:

Canna = 8 palmi = cm. 206

Palmo = cm. 25,8

Oncia = 1/12 di palmo = cm 2,15

1 Su Collesano nel Medioevo cfr. Giuseppe Tamburello, Collesano nella storia, nelle

cronache, nei documenti, Acireale 1893; Illuminato Peri, I paesi delle Madonie nella

descrizione di Edrisi in “Atti del Convegno Internazionale di Studi Ruggeriani”,

Palermo 1955, pp. 627-660; Rosario Termotto, Collesano dai Normanni ai Ventimiglia

in I Ventimiglia delle Madonie, Atti del I seminario di studio, Geraci Siculo 8/9 agosto

1985, Geraci Siculo 1987 e bibliografia ivi citata. 2 Michele Amari, Storia dei Musulmani di Sicilia, a cura di Carlo Alfonso Nallino,

Catania 1933-1939; idem, Biblioteca arabo-sicula, Palermo 1982 (ristampa

anastatica).

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stesso re Ruggero II, viene coinvolto in una congiura baronale

antimonarchica che si conclude con la totale sconfitta della sua

fazione; questa viene privata dei possedimenti in tutto il Regno di

Sicilia che allora comprendeva pure parte dell’Italia meridionale.

In questo quadro politico l’ antico centro abitato viene raso al suolo e

il nuovo insediamento viene ricostruito attorno al sito tuttora occupato

dal castello, vero fulcro generatore del nuovo borgo. Esso viene

affidato al controllo di Adelicia (a volte citata come Adelasia), nipote

del re Ruggero II, che nei documenti coevi viene appellata col

termine di domina.

Per lungo tempo, in epoca normanna la maggior parte della

popolazione di Collesano rimane di lingua e cultura musulmana,

mentre permangono significative presenze di cultura greco- bizantina,

mai estinta del tutto durante la dominazione araba in alcune zone del

Val Demone. A Collesano i bizantini si raccolgono attorno all’abbazia

basiliana di Santa Maria de pratali grecorum (S. Maria di Pedale) che

ancora nelle collette pontificie del 1308-1310 presenta clero di rito

greco- bizantino. D’altra parte, erano stati proprio di origine

collesanese i santi della chiesa greca Saba, Macario e Cristoforo che

intorno all’ anno Mille si erano dovuti rifugiare in Italia Meridionale. San

Saba è oggi venerato come protettore della cittadina campana di

Oliveto Citra.

Abbazia di S. Maria di Pedale

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Inizialmente, anche a Collesano, i dominatori normanni costituiscono

la minoranza della popolazione, un piccolo gruppo di classe dirigente

che fa perno sulla chiesa di S. Pietro, dotata dalla domina Adelicia

con un forno e sei villani, tutti musulmani.

Il primo documento noto sulla dominazione normanna a Collesano è

del 1140 e si riferisce alla consacrazione della chiesa sopra

menzionata da parte di Drogone, vescovo di Squillace, che interviene

con il consenso del vescovo di Cefalù Jocelmo3.

La chiesa di S. Pietro sarà sicuro punto di riferimento per la

progressiva latinizzazione del territorio e a tale obiettivo concorrerà il

sostegno della cattedra vescovile di Cefalù; a questa diocesi

Collesano appartiene sin dalla fondazione del 1131, mentre

inizialmente faceva parte della diocesi di Troina e poi di quella di

Messina. La chiesa normanna di S. Pietro non corrisponde all’attuale

chiesa madre, dedicata pure all’apostolo e costruita nei primi

decenni del Cinquecento, ma quasi certamente coincide con

l’attuale chiesa di S. Maria la vecchia; questa, dedicata all’Assunta

come buona parte delle chiese medievali madonite (Polizzi,

Castelbuono, Petralia Sottana, Sclafani), mantiene il titolo di chiesa

madre fino al 1543 per poi diventare soltanto chiesa parrocchiale,

titolo che detiene almeno fino a metà Settecento, ma che perderà

successivamente. Recenti lavori di consolidamento hanno riportato

alla luce un portale, databile al XII-XIII secolo che rivela un diverso

orientamento iniziale dell’edificio: infatti, questo, sembra aver subito

una modesta rotazione pur mantenendo la direzione canonica est-

ovest.

3 Benedetto Passafiume, De Origine Ecclesiae Cephaleditanae Eiusque Urbis et

Dioecesis Brevis Descriptio, Venezia 1645 (Ristampa anastatica Palermo 1991), p. 55.

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Chiesa di S. Maria la Vecchia e il particolare della guglia maiolicata

In questa fase, tuttavia, è possibile notare due fenomeni che

caratterizzano la comunità collesanese: la presenza bizantina è

profondamente radicata tanto che, come appare dalle sottoscrizioni

dei diplomi normanni, le conversioni religiose dei musulmani vanno a

lungo in direzione della chiesa greco- bizantina e non latina;

i musulmani hanno profondamente colonizzato e inciso il territorio nei

circa due secoli di dominio, tanto che tuttora permangono parecchi

toponimi di origine araba, come Cubba (qubbah, specie di volta o

cupoletta per coperchio alle sorgenti d’acqua), Cottonaro (quţún,

luogo destinato alla produzione di cotone) o Favara (fawwāra, getto

d’acqua, sorgente), Galbonogara (nuwwarāh, aia di zucche,

cocomeri)4, Cammisini (vento forte del deserto), Zubbio (zubyah, fossa

profonda per far cadere in trappola gli animali selvatici, dove il

cacciatore si pone in agguato)5, Burgitabus, Burgifuto (burğ, torre,

abitazione in pietra in un giardino)6

4 Girolamo Caracausi, Arabismi medievali di Sicilia, Palermo 1983, pp. 195-196;

197-198; 224; 306-308. 5 Michele Amari, Storia dei Musulmani cit. vol III, p. 906. 6 Per i toponimi Burgifuto e Burgitabus cfr. Giovan Battista Pellegrini, Onomastica e

toponomastica araba in Italia in G. B. Pellegrini, Illuminato Peri, Studi e documenti

sull’onomastica araba in Italia, Firenze 1962 che chiarisce che la radice burğ indica

una comune origine araba, con significato di torre, accompagnata da un

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Altro edificio religioso che sembrerebbe risalire all’inizio della

dominazione normanna a Collesano (1063) è la chiesa di S. Nicola,

prima matrice, il cui sito oggi non è identificabile. Secondo la

storiografia locale7, i primi abitanti latini di Collesano venuti al seguito

dei Normanni sarebbero di provenienza barese ed avrebbero

introdotto nella comunità il culto di S. Nicola, primo patrono del centro

madonita. Quel che è certo è l’esistenza, fino ad oggi, di una

cinquecentesca statua lignea del santo che veniva condotta in

processione e la permanenza, nell’Archivio Storico Parrocchiale

locale, dei libri dei conti della chiesa stessa: questi datano dalla

seconda metà del Cinquecento ai primi del Settecento quando si

estingue del tutto la confraternita che regge la chiesa, avviata a

rapida distruzione. Inoltre, sarebbe legata ai baresi la denominazione

di Bagherino (Bavarino)8 ovvero il primo quartiere storico, cinto da

mura e sviluppatosi attorno al castello.

L’ edificio più rappresentativo del quartiere citato è certamente

il castello che trova un primo riscontro documentario in un diploma

del 1194, quando, poco prima della transizione dalla dominazione

normanna a quella sveva, esso viene donato da Guglielmo III alla

chiesa di Palermo. Il castello costituisce non solo un baluardo militare,

ma anche il centro amministrativo di riferimento per un territorio

vastissimo che da un lato lambisce il mare con l’attracco di Roccella

(Sahrat ' al Hadîd, la Rupe di ferro, di cui parla il geografo Edrisi) e

dall’altro si incunea profondamente fino alle vette delle Madonie,

determinante non sempre di chiara comprensione, p. 25. E’ il caso dei toponimi

citati. Vedi pure G. Caracausi, Arabismi medievali cit., pp. 134- 136. 7 Rosario Gallo, Il Collesano in oblìo ravvivato alla memoria dei posteri colle notizie

delle sue glorie dal buio dell’antichità estratte alla luce da una geniale applicazione

del sac. D. Rosario Gallo per accrescerne l’amore ne’ cuori de suoi compatrioti,

MDCCXXXVI, ff. 55- 56, manoscritto presso Archivio Storico Parrocchiale di Collesano. 8 Come ipotesi di studio, appare opportuno notare che Michele Amari, pur non

riferendolo a Collesano, riporta il toponimo arabo Bâb al- Haģģârîn come Porta dei

tagliapietre. (Storia dei Musulmani, cit. p. 893). Ed in effetti, ancora oggi nel quartiere

di Bagherino si accede tramite una porta i cui stipiti presentano caratteri manieristici

tardo-cinquecenteschi, ma l’accesso, con altre caratteristiche stilistiche, potrebbe

essere stato ubicato in loco anche secoli prima. Collesano ha pure avuto una

importante tradizione di maestri lapicidi fino a tutto Cinquecento.

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ricche di pascoli e boschi, passando per latifondi cerealicoli,

caratterizzati dalla presenza di importanti mulini, come quello di

Fundeca nel territorio dell’odierno comune di Scillato.

Come prassi consolidata, il re Ruggero II affida i punti nevralgici del

proprio dominio a familiari o a esponenti del suo stretto entourage.

Collesano, che non ha ancora il titolo di contea, viene affidato alla

nipote Adelicia, soltanto domina, cui il titolo di contessa che le è stato

riferito potrebbe derivare dal marito Rainaldo Avenel. Adelicia è

certamente ancora in vita nel 1161 e si spegne prima del 1181.

Successivamente Collesano si trova sotto il dominio di Ruggero de

Aquila, conte di Avellino.

Quanto al castello, i pochi studi9 che ad esso si sono riferiti hanno

evidenziato un impianto trapezoidale con corte interna e quattro torri

angolari con merlatura; la porta laterale di accesso presenta un arco

delimitato da una duplice serie continua di laterizi in cotto, posizionati

di taglio. Ciò ha fatto pensare ad una possibile presenza di

maestranze di cultura bizantina nel cantiere iniziale.

I ruderi del castello e la porta laterale d’ accesso

9 S. Aiello, G. Mauro, Il Castello di Collesano in Castelli dimore cappelle palatine

inediti e riletture di architetture normanne in Sicilia, a cura di Anna Maria Schmidt,

Palermo 2002, p. 43. Per una vasta bibliografia sul castello cfr. Camillo Filangeri ad

vocem Collesano in Castelli medievali di Sicilia Guida agli itinerari castellani

dell’isola, coordinatore Ferdinando Maurici, Palermo 2001, pp. 315-316.

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Dopo varie trasformazioni, fino a diventare un palatium, il castello

comincia ad essere abbandonato in seguito al disastroso terremoto

che nel 1693 sconvolge la Sicilia centro-orientale. Dopo essere

appartenuto alle varie famiglie feudali che si sono succedute nel

dominio di Collesano, oggi, allo stato di rudere, ciò che rimane del

castello è di proprietà comunale.

Con la discesa degli Svevi, Collesano si ritrova in mano a una

delle più potenti famiglie feudali del tempo, segno del peso

riconosciuto al centro nel contesto regionale. Schieratosi con Enrico

VI, Paolo Cicala, già conte di Alife e Caccamo, nel 1203 è investito

dall’imperatore e re di Sicilia anche della contea di Collesano. In

questo periodo Giovanni Cicala, fratello del conte Paolo, sale alla

cattedra vescovile di Cefalù (1195-1216) e in tale qualità riceve dallo

stesso Paolo la baronia di Roccella con il castello marittimo, non

riuscendo, più tardi, ad evitare di entrare in contrapposizione con

l’imperatore Federico II. A Paolo, nella contea di Collesano, succede il

figlio Andrea che la detiene soltanto con il titolo di dominus, mentre

nel 1246, ritrovandosi coinvolto in una congiura antimonarchica,

perde del tutto il dominio e il potere.

La contea di Collesano passa così sotto il diretto controllo del

demanio regio.

In epoca sveva Enrico Ventimiglia detiene la contea di Geraci e

ottiene Collesano dal re Manfredi. Le vicende della conquista

angioina della Sicilia portano alla dispersione delle forze ghibelline e

nel 1269 Enrico Ventimiglia, dichiarato ribelle da Carlo d’Angiò, deve

riparare in Aragona. Collesano, assieme ad altri centri, viene

assegnata alla nuova feudalità di origine francese: prima a Simone di

Monfort e poi a Giovanni de Bullasio che ne prende possesso nel

1271.

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1.2 La crisi del Trecento: il Regno aragonese di Sicilia e i Ventimiglia

a Collesano

Con la Guerra del Vespro (1282), dopo lo sbarco a Trapani di re

Pietro d’Aragona, tutte le comunità siciliane vengono chiamate a

supportare lo sforzo dello scontro militare contro gli Angioini. Come gli

altri centri, anche Collesano è chiamata a contribuire in natura,

dovendo versare al collettore regio 100 salme di frumento e

altrettante di orzo, oltre a 50 bovini, 200 ovini e 50 suini. Queste cifre,

confrontate con quelle degli altri centri del comprensorio madonita,

collocano Collesano tra i primi contribuenti del circondario alle spalle

soltanto di Polizzi e di Caltavuturo, nettamente davanti alle Petralie, a

Geraci, a San Mauro, mentre altri centri di minore consistenza

demografica ed economica (Pollina, Isnello, Gratteri, Ypsigro-

Castelbuono, Montemaggiore) non vengono toccati dalla colletta.

Il documento relativo10, oltre a dare una scala di grandezza tra i vari

centri, mostra anche la chiara vocazione cerealicola di Collesano e

l’importanza che in esso assumono il pascolo e il bosco; dal contributo

pecuniario che la comunità dovette versare al collettore regio, gli

storici hanno dedotto che Collesano consistesse in circa 300 fuochi

(nuclei familiari), con una popolazione complessiva stimabile perciò in

circa 1200 persone. Anche queste cifre pongono Collesano ai primi

posti nel comprensorio madonita.

L’esito della guerra del Vespro con la vittoria degli aragonesi sugli

Angioini riporta le Madonie nella sfera di influenza dei Ventimiglia di

Geraci, famiglia feudale al cui dominio sarà sottoposta Collesano

(salvo brevi periodi in cui appartiene ai Siracusia e poi ai Palizzi) per

quasi tutto il Trecento, fino all’instaurarsi della monarchia spagnola.

10 Franco D’Angelo, Terra e uomini della Sicilia medievale (secoli XI- XIII) in Quaderni

medievali, 6, dicembre 1978, pp. 51-94.

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Nel 1337 anche Collesano entra a far parte della contea di Geraci in

potere di Francesco I Ventimiglia, mentre nel 1354, per “gemmazione”

dalla contea di Geraci, nasce la contea di Collesano affidata a

Francesco II Ventimiglia: questa comprende Collesano, Gratteri,

Caronia, il castello di Monte S. Angelo (Gibilmanna) e il feudo di

Buonvicino (Isnello).

Nel ‘300 le vicende di Collesano si intrecciano con le fortune alterne

della famiglia Ventimiglia raggiungendo l’ apice del potere politico,

militare e territoriale con Antonio Ventimiglia; questi è uno dei quattro

vicari che, di fatto, controllano tutta la politica del regno di Sicilia

raggiungendo un tale potere da esautorare, in determinati periodi,

l’ autorità della stessa monarchia aragonese di Sicilia.

Il Trecento, in Sicilia, si caratterizza come periodo di grande instabilità

politica (lotta tra le fazioni feudali latina e catalana), militare (guerra

contro gli angioini di Napoli che a varie riprese dura circa 90 anni) e

fortissima crisi demografica (la peste nera di metà secolo decima la

popolazione). Tutto ciò non può non avere pesanti influenze anche su

Collesano, tanto che per tutto il secolo non si registra alcuna nuova

fondazione religiosa, segno tangibile di chiara crisi socio- economica.

Sul finire del Trecento, quando la Sicilia è di fatto divisa in quattro zone

di influenza (governo dei Vicari, tra cui il conte di Collesano e Geraci

Antonio Ventimiglia), le galee aragonesi sequestrano l’erede al trono,

Maria, figlia del re di Sicilia Federico il Semplice, che viene data in

sposa a Martino il giovane, nipote del re Pietro d’Aragona. Morto

Martino senza eredi (1409), il regno di Sicilia passa al padre Martino il

vecchio che è anche re d’Aragona. Da questo momento la Sicilia

perde ogni autonomia politica, fino a quando il nuovo re, Ferdinando

di Castiglia, nel 1415 manda nell’isola il primo vicerè, sancendo per

sempre la fine del regno di Sicilia e inserendo l’isola nel quadro

dell’impero spagnolo.

In tale contesto politico-economico l’unico edificio di rilevanza

architettonica che, nel Trecento, viene edificato a Collesano è la torre

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di guardia, oggi congiunta con la cinquecentesca chiesa madre, che

i caratteri costruttivi avvicinano alla torre campanaria della chiesa

madre di Petralia Soprana, databile pure ai primi del XIV secolo.11

Secondo lo storico collesanese Rosario Gallo, la torre nasce a difesa di

un percorso-itinerario nei pressi di un “lago e folto bosco e passo di

ladri”.

La torre di guardia

11 C. Filangeri, Dall’agorà al presbiterio Storia di Architetture della Sicilia, Palermo

1988, pp. 79-80.

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1.3 La ripresa economica, demografica ed urbanistica del ‘400

L’ inizio del Quattrocento vede una svolta epocale nella storia

della Sicilia che, pur perdendo l’autonomia, si mette alle spalle un

lungo periodo di guerre, lotte civili e crisi di ogni genere ed, entrando

in un contesto più ampio, beneficia di quello che è stato definito un

lungo periodo di “restaurazione e pacifico stato”12.

La contea di Collesano, smembrata da quella di Geraci, con

l’avvento della monarchia spagnola viene affidata al valenzano

Gilberto Centelles, venuto in Sicilia al seguito dei Martini, esponente di

rilievo del nuovo ordine, tanto che in seguito sarà vicerè di Sicilia.

Gilberto viene vanamente contrastato dal casato Ventimiglia; suo

figlio, Antonio Centelles, successivo conte di Collesano fino al 1444,

non sottostando ai disegni matrimoniali di re Alfonso, viene dichiarato

ribelle e perde definitivamente la contea che viene assegnata a

Pietro Cardona, esponente di primo piano della grande feudalità

iberica.

La nuova situazione politica pone le premesse per una condizione di

pace e prosperità di cui beneficia anche Collesano dal punto di vista

economico e demografico, con significativi risvolti in quello

urbanistico.

Dopo la stasi urbanistica e costruttiva del XIV secolo, il Quattrocento si

caratterizza a Collesano per la fondazione di importanti istituzioni

religiose dalla durata secolare.

E’ in questo secolo, anche se in data non conosciuta, che bisogna

porre la costruzione della chiesa di S. Sebastiano e Fabiano (oggi nota

come chiesa del Collegio), la prima chiesa sorta fuori la porta di

Bagherino, che un documento iconografico seicentesco presenta

con un orientamento diverso dall’attuale.

12 I. Peri, Restaurazione e pacifico stato in Sicilia 1377-1501, Roma- Bari 1988.

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14

Tela: Giuseppe Perdichizzi, Sacra Famiglia, 1688, Collesano, Chiesa di S. Pietro

La chiesa, per secoli retta dalla confraternita eponima, è a lungo al

centro di importanti avvenimenti civili: da essa, nel giorno festivo del

santo (20 gennaio), prendeva il via la sfilata a cavallo della locale

Accademia degli Offuscati guidata dal Principe della stessa, secondo

i Capitoli confermati nel 1657 dal marchese della Ginestra,

governatore degli stati dei Moncada13.

La chiesa del Collegio o di S. Sebastiano e Fabiano

13 R. Termotto, L’Accademia degli Offuscati di Collesano in Collesano per gli

emigrati, a cura di R. Termotto e A. Asciutto, Castelbuono 1991, pp. 129- 133.

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15

A corroborare l’ipotesi dell’impianto quattrocentesco della chiesa

concorre la datazione della statua di S. Sebastiano, fatta risalire

concordemente dalla critica ai primissimi del Cinquecento.

Nel Quattrocento sorge nella stessa piazza l’importante chiesa di

S. Giovanni Battista, affidata alla confraternita omonima, che finirà

per imporre il proprio toponimo a tutta l’area, denominata ancora

Piano di S. Giovanni per tutto l’ Ottocento (oggi Piazza Rosario Gallo).

Per secoli essa è stata la piazza principale del paese dove a lungo si

sono svolte le celebrazioni festive in onore del santo, con

rappresentazioni sacre, corse di cavalli e soprattutto la fiera franca.

Chiesa di S. Giovanni Battista prima del crollo del marzo 1932 e

il capitello con le insegne araldiche dei Cardona

Intorno al 1472, la chiesa di S. Giovanni Battista viene ingrandita con

l’aggiunta di una seconda navata, per iniziativa di Pietro Cardona

che fa scolpire le proprie insegne araldiche in una colonna della

chiesa stessa14.

14 R. Gallo, Il Collesano in oblìo, cit. ff. 376- 378.

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16

Verso sud, serrata tra il Piano di San Giovanni e il Piano di San

Giacomo, con il nascente quartiere di S. Francesco in direzione

sud-est, nel corso del Quattrocento si sviluppa la contrada Osteri che

già nel toponimo lascia intuire la presenza di un palazzo fortificato di

cui oggi non è possibile la sicura identificazione, se non riferendosi

all’ intero isolato, successivamente frazionato, prospiciente sull’attuale

Piazza Osteri. La contrada si caratterizza fino a oggi dalla ripetuta

presenza di vicoli e viuzze tortuose che richiamano ancora ricordi

dell’urbanistica islamica. Punto di contatto tra la contrada Osteri e il

Piano di S. Giacomo è costituito dall’Ospedale, ampio fabbricato,

oggi sede dell’Opera Pia Abbate Gioeni, che dal 181315 fino alla

seconda metà del secolo scorso ha svolto funzioni sanitarie locali.

Nel 1451 a Collesano si insediano i Francescani Conventuali16. Essi sono

il primo ordine regolare che nel centro si stabilizza in un convento,

oggi del tutto scomparso, che può individuarsi all’incrocio delle attuali

via Bagherino e via del Collegio, in un sito che si rivelerà franoso, poco

distante dal torrente Mora.

Portale del Convento di S. Francesco

15 Vito Maria Amico, Dizionario Topografico della Sicilia, tradotto dal latino e

annotato da Gioacchino Di Marzo, Palermo 1855-58, (ristampa Sala Bolognese

1975), p. 341; Giuseppe Tamburello, Collesano nella storia, nelle cronache, nei

diplomi con notizie topografiche, Acireale 1893, p. 102. 16 Filippo Cagliola, Almae Siciliensis Provinciae Ordinis Minorum Conventualium

S. Francisci … Venezia 1644 (ristampa Palermo 1984), p. 105.

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L’insediamento conventuale costituisce una presenza rilevante, tanto

che il secondo quartiere storico di Collesano, dopo Bagherino, sarà

denominato S. Francesco, come ancora viene ricordato fino all’inizio

del Novecento. Il convento resterà in vita fino all’ emanazione della

Bolla papale di Innocenzo X del 1649, resa esecutiva in Sicilia solo nel

1659, che impone la soppressione dei piccoli conventi. Tra i 108

conventi soppressi in Sicilia, 31 dei quali dei Frati Minori Conventuali,

figura anche quello di Collesano. Il 9 maggio 1662, i Conventuali

rinunciano, con regolare atto notarile, alla loro chiesa e convento di

Collesano in favore del locale clero secolare. Da quel momento la

chiesa di S. Francesco passa in rettorìa al clero della chiesa madre17.

In quegli anni nella chiesa di S. Francesco si insedia la Compagnia

dell’Immacolata e ad essa verrà in seguito dedicata la chiesa fino al

suo totale crollo di fine Ottocento.

Nello stesso quartiere di S. Francesco, presumibilmente all’inizio del

Cinquecento, si insedia il monastero benedettino femminile della

Concezione che verrà abolito nel 156818, per mancanza di mezzi di

sostentamento. Ancora nello stesso quartiere, non lontano dal

monastero, sorgeva la chiesa di S. Rocco, affidata alla confraternita

eponima, che nel 1767 risulta distrutta19.

Si può sottolineare che il toponimo S. Francesco, nel corso del tempo,

ha ceduto il posto a quello di Stazzone, utilizzato ancora oggi, perché

proprio in quell’area sorgevano le numerose fornaci dei ceramisti

collesanesi, attive sin dalla seconda metà del Cinquecento: per secoli

hanno fornito non solo materiale da costruzione come mattoni grossi,

imbrici, catusi, pantofole, ma anche vasellame d’uso domestico,

mattoni maiolicati e vasi d’aromateria che hanno soddisfatto le

17 R. Gallo, Il Collesano in oblìo, cit. f. 397; R Termotto, Monachesimo a Collesano:

I Frati Minori Conventuali (1451- 1662) in Collesano per gli emigrati, cit. pp. 141- 143. 18 R. Gallo, Il Collesano in oblìo, cit. ff. 480- 484; R. Termotto, Le Benedettine della

Concezione in Collesano per gli emigrati cit. pp. 153-154; 19 V. M. Amico, Dizionario Topografico, cit., p. 341.

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esigenze locali, diffondendosi in tutto il comprensorio Madonie-

Cefalù- Termini.20

Quartiere S. Francesco- Stazzone in una foto degli inizi del ‘900

Testimonianza del forte sviluppo demografico e urbanistico di

Collesano nel corso del Quattrocento, è la fondazione della chiesa di

S. Giacomo, affidata alla confraternita eponima. Essa sorge per

iniziativa di Pietro Cardona II, conte di Collesano tra il 1471 ed il 1522,

in quella che sarà fino a tutto Ottocento la Piazza Grande (oggi Piazza

Garibaldi). Le armi dei Cardona erano scolpite sull’architrave della

porta principale della chiesa. Con i Cardona prende vigore il culto di

S. Giacomo, sostenuto ovunque dalla grande aristocrazia iberica e

patrono di tutte le Spagne; S. Giacomo diviene patrono di Collesano,

celebrato con una imponente festa religiosa il 25 luglio di ogni anno

con solenne processione, corsa dei palii e con una fiera di 15 giorni la

cui franchizza viene concessa da Artale Cardona, figlio di Pietro,

conte di Collesano e marchese di Padula, che ne stabilisce le

modalità con documento del 26 giugno 1530 21.

20 R. Termotto, Per una storia della ceramica di Collesano in Mediterranea ricerche

storiche, 5, 2005, pp. 439- 474. 21 R. Gallo, Il Collesano in oblìo, cit. ff. 382- 389.

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Nel 1579 la chiesa di S. Giacomo si arricchisce di una guglia

maiolicata con laterizi locali, smaltati e colorati, che costituisce la più

antica attestazione di simili interventi costruttivi e decorativi in Sicilia,

contendendo a quella di S. Giovanni Battista la preminenza nello

sky-line di Collesano22. La guglia di S. Giacomo, la cui presenza è

testimoniata da antiche fotografie, è andata perduta agli inizi del

Novecento; quella di S. Giovanni Battista è stata rimontata nella

chiesa di S. Maria la vecchia nel 1935, quando forti movimenti franosi

avevano minato alle fondamenta la stabilità della chiesa.

La chiesa di S. Giacomo era anche al centro di importanti

avvenimenti civili poiché in essa si riunivano i 40 consulenti del

Consiglio Civico (10 gentiluomini, 10 mastri, 10 popolani e 10 borgesi)

per fissare le mete dei principali prodotti locali che allora erano

frumento, orzo, mosto e seta. Il Comune di Collesano (Università) per

lungo tempo paga alla chiesa una “tassa” annuale per l’uso delle

campane utilizzate per convocare i consulenti. Nella stessa chiesa, nel

giorno festivo del santo, veniva sorteggiata la cosiddetta “orfana Lo

Squiglio” alla quale veniva assegnato un legato di matrimonio (la

dote di 10 onze) istituito a fine Cinquecento dai Lo Squiglio di

Collesano che poi prenderanno il titolo di baroni di Carpinello e conti

di Galati Mamertino. Ancora alla fine del Settecento gli eredi Lo

Squiglio, i Gagliardo di Polizzi, verseranno regolarmente l’importo del

legato.

Col Settecento, la crisi generale che investe Collesano, come

testimoniano anche i dati demografici, tocca pure l’antica

confraternita di S. Giacomo, una delle più antiche associazioni laicali

jacopee di Sicilia. Essa si estingue dopo circa tre secoli di vita, essendo

22 R. Termotto, Pittori intagliatori lignei e decoratori a Collesano (1570- 1696). Nuove

acquisizioni documentarie in Bollettino Società Calatina di Storia Patria e Cultura,

7- 9, 1998- 2000, p. 292.

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esistente nel 1459, quando compare negli elenchi dei collettori

apostolici23.

Intanto Collesano cambia ancora patronato religioso: da S. Giacomo

alla Madonna dei Miracoli, dichiarata nuova patrona l’8 settembre

del 1641 24.

La Chiesa di S. Giacomo

23 Giuseppe Arlotta, Confraternite di S. Giacomo in Sicilia in Atti del convegno

internazionale di studi Santiago e la Sicilia, Messina 2-4 maggio 2003, a cura di G. Arlotta, Perugia 2008, p. 300 24 R. Termotto, Note sul culto di Maria SS. dei Miracoli a Collesano in Collesano per

gli emigrati, cit. pp. 127- 128.

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1.4 Espansione urbanistica e nuove istituzioni religiose nel ’500

Tra Quattrocento e Cinquecento Collesano conosce un

notevole sviluppo economico, demografico, urbanistico e ciò è

deducibile dal sorgere di nuove istituzioni religiose. Già a fine ‘400

viene avvertita l’insufficienza della vecchia matrice di S. Maria Assunta

e vengono poste le basi per l’edificazione di una nuova chiesa

madre: nel 1484 il vescovo di Cefalù, fra Giovanni Gatto, autorizza il

clero di S. Maria Assunta a spostarsi nell’ edificanda nuova matrice.

Nel 1513 la costruzione della nuova chiesa madre è già avviata, se il

papa Leone X, su istanza del conte Pietro Cardona, concede

indulgenza a chi offra una determinata somma (secondo le possibilità

economiche) o una giornata di lavoro per la costruzione della chiesa.

Nel 1543 il vescovo diocesano, Francesco Aragona, disciplina i

rapporti tra la nuova e la vecchia matrice lasciando a quest’ultima il

titolo di parrocchia: occorre tenere presente la distanza tra la nuova

matrice e numerosi quartieri del paese e l’aumento della popolazione

che renderebbe insufficiente una sola chiesa parrocchiale per

l’amministrazione dei sacramenti. Tutto trova una prima definizione nel

1548, quando, in data 8 aprile, viene consacrata la nuova matrice

sotto titolo di S. Pietro, ma detta anche di S. Maria la nuova per

sottolinearne la continuità con la precedente matrice; quest’ultima,

da allora in poi, sarà sempre denominata S. Maria la vecchia25.

Attorno alla matrice di S. Pietro, nel corso del Cinquecento si

svilupperà il terzo quartiere storico di Collesano, detto, appunto, di

S. Pietro che si aggiunge ai ricordati quartieri di S. Francesco, di

sviluppo quattrocentesco, e a Bagherino di impianto normanno.

25 Per la chiesa madre di Collesano cfr. R. Termotto, Guida alla Chiesa Madre

Basilica di S. Pietro, Collesano 2010.

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La basilica di S. Pietro in una cartolina degli anni ‘90

Prima dell’agosto del 1507, viene edificato il monastero femminile

benedettino di S. Caterina26 (la Batìa), attorno al quale si svilupperà

l’ultimo quartiere storico di Collesano che prende nome dal

monastero stesso.

Chiesa di S. Caterina prima del crollo del marzo 1976

26 R. Gallo, Il Collesano in oblìo cit. ff. 484- 492; R. Termotto, Le Benedettine di

S. Caterina in Collesano per gli emigrati cit. pp. 155- 157.

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I dati demografici, ora disponibili in serie continua, mostrano in

Collesano uno dei centri più sviluppati del comprensorio madonita. I

“fuochi”, cioè i nuclei familiari vanno dai 486 del 1505 ai 650 del 1533,

per passare agli 838 del 1548 ed attestarsi ai 1450 del 1570, anno nel

quale la popolazione risulta di 4496 persone per salire a 4767 nel 1584,

mentre la grande ondata di epidemia-carestia del 1591-92 fa

scendere a 3760 gli abitanti censiti nel 1593, con grossi vuoti che si

colmano già nel censimento del 1607 quando vengono registrati 4725

abitanti.27

Intanto Collesano è passato dal dominio feudale dei Cardona a

quello degli Aragona e quindi dei Moncada, attraverso una ben

ponderata politica matrimoniale.

Nonostante l’ondata di peste del 1555, (tela con la Madonna e i santi

Sebastiano e Rocco che intercedono presso il creatore per la salvezza

di Collesano, raffigurata nel dipinto), quella del 1575 (statua di

S. Rocco, protettore contro la peste e compatrono di Collesano) e la

spaventosa carestia-epidemia del 1591-1592 che vede la morte di

circa un quarto della popolazione, come dimostrano i registri dei

defunti dell’archivio parrocchiale, il Cinquecento è per Collesano il

secolo della grande espansione demografica e urbanistica. Si è in

presenza di una rapida ricostituzione del tessuto demografico con una

popolazione molto giovane e con un alto tasso di natalità che riesce

a coprire i vuoti, pur in presenza di un notevole tasso di mortalità

infantile. Del resto, non mancano altri segnali che denotano la

crescita del centro, a cominciare dalla costruzione del nuovo

convento domenicano entro il centro abitato intorno al 1550 (vedi

infra) e l’abbandono del vecchio che passerà ai carmelitani intorno al

27 La fonte dei dati demografici è in Rossella Cancila, Fisco, ricchezza comunità nella

Sicilia del Cinquecento, Roma 2001, pp. 419-424; per un accurato studio degli

aspetti demografici di Collesano cfr. Egidio Panzarella, Il Comune di Collesano,

Palermo 1996.

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1585 per poi finire nel 1594 ai cappuccini28 che lo deterranno fino alla

soppressione delle corporazioni religiose del 1866.

Nello stesso secolo prende corpo un’ istituzione sanitaria e

assistenziale che attraverserà per quasi tre secoli la storia di Collesano:

l’Ospedale e Monte di Pietà; nella fase iniziale essi si appoggeranno

alla confraternita della Misericordia la cui chiesa, nelle adiacenze

della matrice di S. Pietro, sorge in quello che localmente è indicato

come Piano della Misericordia, nonostante la toponomastica ufficiale

lo indichi come Piazza Plebiscito. La confraternita della Misericordia

viene fondata nel 1539 per iniziativa del frate cappuccino romano

Francesco de Soriano29. L’ospedale è soprattutto un ospitium, luogo di

ricovero per malati e pellegrini di passaggio, ma si prende cura a

lungo anche dei numerosi trovatelli. Fino all’inizio dell’Ottocento esso

troverà sede nel Piano della Misericordia, per poi passare di fronte alla

chiesa di S. Giacomo30.

Nel Cinquecento si va completando l’espansione dei quattro

quartieri storici che vede l’espandersi del centro urbano attorno alla

chiesa e al monastero femminile benedettino di S. Caterina.

28 Sui passaggi del convento dai Domenicani ai Carmelitani ed infine ai Cappuccini

cfr. R. Gallo Il Collesano in oblìo, cit. f. 401, ff. 413-415. 29 La mia parrocchia, manoscritto del 1952-1953 presso Archivio Storico Parrocchiale

di Collesano, f. 58. 30 Sull’ospedale cfr. R. Termotto, L’Ospedale e la Compagnia della Misericordia nel

‘500 in Collesano per gli emigrati, cit. pp.123- 124; sul Monte di Pietà cfr. Idem, Cenni

sul Monte di Pietà, ivi pp. 125-126.

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1.5 Edifici civili e religiosi tra il Seicento e il Novecento

Importante intervento architettonico del Seicento è la

costruzione della chiesa e del convento con chiostro (l’unico rimasto

a Collesano) di Santa Maria di Gesù, affidati ai Frati Minori Osservanti

Riformati31, che sorge con il sostegno dell’Università di Collesano e

della contessa Maria Aragona La Cerda e Cardona, moglie di

Francesco Moncada.

Il Comune sin dal 1604 delibera l’istituzione del nuovo convento

destinando alla fabbrica le entrate di alcune gabelle comunali per un

periodo di 12 anni; la contessa preme sul padre Visitatore dei

Riformati, ma la nuova fabbrica trova la ferma opposizione dei

Cappuccini locali che obiettano “l’inhabilità del Popolo a poter

mantenere due Conventi di limosine quotidiane”. Dopo un lungo iter,

tutto si conclude favorevolmente nel 1611 con l’emanazione di un

Breve Pontificio reso esecutivo in Sicilia il 10 gennaio 1612. Lo stesso

Pontefice Paolo V benedice la prima pietra del convento, ancor oggi

incastonata nel frontespizio della chiesa. Il Comune, quindi, concede

ai Frati Minori il Piano della Contessa nella contrada dei santi Cosimo e

Damiano, ove era ubicata una chiesetta eponima, ed un giardino ed

un bosco adiacente (oggi occupati da edilizia economica e

popolare) con atto del 3 febbraio 1612. La partecipazione alle spese

di costruzione del complesso conventuale da parte di singoli devoti è

testimoniata dalla presenza delle insegne araldiche delle famiglie

interessate nei 12 capitelli delle colonne del chiostro.

Il convento e la chiesa di Santa Maria di Gesù sorgono in aperta

campagna, nettamente distanziati dal centro abitato, ma in perfetto

allineamento col convento domenicano. I due conventi risultano

collegati da un’ asse rettilineo ai cui lati è avvenuto il successivo

completamento urbano.

31 R. Gallo, Il Collesano in oblìo cit. ff. 469- 480; R. Termotto, I Frati Minori Osservanti

Riformati di Santa Maria di Gesù in Collesano per gli emigrati, cit. pp. 158- 160.

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Corso Vittorio Emanuele – Via Roma – Via Cavour

in una cartolina del primo ‘900

Dopo la soppressione delle corporazioni religiose del 1866 il

convento dei Riformati è stato adibito ai più svariati usi: prima

caserma militare, poi macello e carcere mandamentale ed infine

magazzini comunali. Solo recentemente il complesso è stato

totalmente restaurato e recuperato per fini culturali, costituendo il

Polo Culturale di Santa Maria di Gesù, sede della Biblioteca

Comunale, dell’Archivio Storico Comunale e di ampi spazi espositivi e

di aggregazione socio-culturale.

I locali che costituiscono l’attuale convento, che ospita pochi religiosi,

sono stati edificati intorno alla fine dell’Ottocento (1892) in adiacenza

al lato sud della chiesa, col concorso di devoti collesanesi. Esso è

l’unico convento riaperto dopo le leggi di soppressione di metà

Ottocento. A metà del secolo scorso si è infine intervenuto con una

radicale trasformazione del prospetto della chiesa, finanziato col

contributo degli emigrati collesanesi nelle Americhe.

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Chiesa di S. Maria di Gesù in una foto anteriore al 1950 e allo stato attuale.

Altro intervento rilevante del XVII secolo è la costruzione della Casa di

Città, sede dell’Universitas, ubicata nel quartiere S. Pietro, nelle

vicinanze della chiesa di S. Giacomo. I lavori iniziano intorno al 1666

ed essa rimane sede dell’amministrazione comunale fin dopo la

soppressione delle corporazioni religiose e la trasformazione in

municipio dell’ex convento di S. Domenico. Alla fine dell’Ottocento la

vecchia sede comunale ospita la Biblioteca Popolare Circolante,

mentre attiguo ad essa è il carcere mandamentale32. L’ edificio

venne totalmente demolito agli inizi del Novecento.

Il Settecento si caratterizza per una notevole crisi demografica ed

economica, probabilmente generata dal nascere e dallo sviluppo

delle vicine “città nuove” di Campofelice di Roccella, Lascari e Cerda

che, inevitabilmente, attraevano nuova popolazione anche da

Collesano. In questo contesto sono pochi e di scarso rilievo gli episodi

architettonici da segnalare. Tra essi va menzionato la costruzione del

Collegio di Maria, adiacente la chiesa di S. Sebastiano nel Piano di

S. Giovanni. La nuova istituzione si avvale del sostegno del vescovo

32 G. Tamburello, Collesano nella storia, cit., pp.101- 102.

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diocesano Domenico Valguarnera e dell’impegno finanziario di vari

devoti, tra cui l’arciprete Rosario Gallo. Istituito nel 1738, dopo la

costruzione del nuovo edificio su lotti acquistati, il collegio viene

inaugurato nel novembre del 1742 con l’arrivo di sei suore da Marineo.

A lungo esso darà opportunità di istruzione alle giovani locali, anche

con scuola di musica e ricamo33. Oggi il Collegio è affidato alle Figlie

della Croce.

L’Ottocento post-unitario vede la qualificazione urbana del centro

abitato34 con vari interventi progettuali di affermati professionisti,

come l’ing. Emanuele Filiberto che nel 1870 progetta il basolato del

corso principale per circa 600 m di lunghezza e larghezza media di 6,

completato secondo altro progetto dell’ing. Giandalia.

Nel 1876, su progetto dell’ing. Diliberto D’Anna, vengono realizzate la

Fontana Due Cannoli e la Fontana Quattro Cannoli. Al citato

Emanuele Filiberto si deve anche il progetto di miglioramento e

ampliamento dell’Ospedale Civico collaudato nel 1884.

All’ingegnere-architetto Giovanni Salemi Pace, di cui si riferirà

largamente in seguito, si deve invece la progettazione nel 1878 del

cimitero comunale ubicato in quella che era stata la silva dei

Cappuccini fino alla legge sulla soppressione delle corporazioni

religiose. In quegli stessi anni venivano iniziati i lavori per le strada

provinciale di collegamento con Campofelice di Roccella da un lato

e con Castelbuono dall’altro.

I momenti salienti del completamento urbanistico del centro,

avvenuto nel corso del Novecento, sono costituiti dal sorgere del

quartiere delle Case Popolari negli anni ’50, in prossimità del convento

dei Frati Minori, dal disordinato sviluppo del quartiere denominato

33 La mia parrocchia, cit. ff. 66-72. 34 Sulla qualificazione ottocentesca cfr. Giuseppe Tamburello, Collesano nella storia,

cit.

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localmente “Macallè” e quello che ha portato al completamento del

quartiere Cicci, in zona sud-ovest, solo recentemente urbanizzato.

Nonostante la presenza di “frequentissime cave di diaspro e di

porfido, talché di queste pietre veggonsi da ogni parte lastricate le

vie”35, come riporta Vito Maria Amico a metà Settecento, nel corso

degli anni ’60 e ’70 del Novecento quasi tutto il manto stradale viene

rimosso per essere asfaltato. Solo in tempi recenti si è in parte

provveduto a un opportuno ripristino con materiali della tradizione

locale.

Episodio architettonico rilevante è quello operato da Giuseppe

Spatrisano, uno dei protagonisti dell’ architettura siciliana del

Novecento, che nel 1954 viene incaricato dall’ Assessorato regionale

per l’ Igiene e la Sanità di redigere il progetto di un poliambulatorio

sito in viale Florio; l’ edificio, nel corso degli anni, ha cambiato

destinazione d’uso36.

Gli ultimi decenni del Novecento si caratterizzano per un costante

decremento demografico, che ha comportato un progressivo

abbandono del centro storico, cui si cerca di porre rimedio con

l’ approvazione di nuovi strumenti urbanistici.

35 V. M. Amico, Dizionario Topografico, cit., p. 339. 36 Vincenza Balistreri a cura di, Giuseppe Spatrisano Architetto (1899-1985), con scritti

di Raimondo Piazza e Agnese Sinagra, Palermo 2001, p.187.

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CAPITOLO 2 :

I DOMENICANI IN SICILIA

2.1 Profilo storico: dall’ insediamento alla soppressione delle

corporazioni religiose

L’ Ordine dei Domenicani, nell’ Italia meridionale, vede la

propria affermazione durante la dominazione sveva. Nel 1217 la bolla

papale di Onorio III definisce i Domenicani “Frati Predicatori”. Fino a

quel momento gli unici ad avere il diritto alla cattedra, cioè a

predicare, erano i vescovi; ora anche i Domenicani vengono innalzati

allo stesso livello. Accanto alla povertà evangelica e alla

predicazione, il fondamento della loro regola diviene lo studio(libri

sunt arma nostrae militiae), pertanto lettori e studenti sono esentati da

ogni altro impegno.

Con il Capitolo di Bologna del 1220, i domenicani diventano un

ordine mendicante, caratterizzato da povertà assoluta che vive delle

elemosine questuate; tuttavia, ben presto, l’ordine abbandona

questa rigida regola e già all’inizio del Trecento i domenicani di

Palermo accettano beni immobili, terreni, legati, lasciti e denari. Fino

al Settecento i domenicani non tengono conto della povertà

individuale, anzi, le alte cariche tenute da molti frati all’interno della

Chiesa e della società (Inquisizione), la ricerca di privilegi, le dispense

fanno sì che gli stessi possano disporre liberamente di ogni bene.

Le varie disposizioni pontificie sulla povertà individuale, confermate

dal Concilio di Trento (1545-1563) vengono largamente disattese37.

L’ arrivo dei Domenicani in Sicilia non è puntualmente documentato,

ma il loro primo insediamento è quello di Messina collocato intorno al

1221, anno della morte del loro fondatore, lo spagnolo Domenico

37

Per una visione generale della presenza domenicana in Sicilia cfr. Matteo Angelo

Coniglione, La Provincia Domenicana di Sicilia. Notizie storiche documentate,

Catania 1937; Salvatore Cucinotta, Popolo e Clero in Sicilia nella dialettica Socio–

religiosa fra Cinque-Seicento, Messina 1986, in particolare pp. 360- 365.

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31

Guzman, avvenuta a Bologna dopo lunghi anni di predicazione in

Francia contro l’eresia catara. Pochi anni dopo, nel 1234, Domenico

verrà elevato agli onori degli altari.

All’insediamento messinese seguiranno di lì a poco quelli di Piazza

Armerina, Augusta, Palermo, Catania e Trapani: questa successione

cronologica è confermata dal domenicano e inquisitore francese

Bernardo Gui (1261/62 – 1331) che nel 1304 redige un catalogo di tutti

i conventi domenicani allora esistenti38.

I primi conventi domenicani, secondo la tradizione degli ordini

mendicanti, sono ubicati lontano dai centri abitati. Durante la prima

metà del XIII secolo, in età federiciana, la loro presenza in Sicilia è

quasi irrilevante, anche perché sono governati da un Provinciale

residente a Roma che deve rendere conto a una curia papale

profondamente ostile all’Imperatore Federico II, anche re di Sicilia. Le

forti tensioni politiche e gli scontri papato–impero non possono non

avere influenze sull’ organizzazione della vita religiosa in Sicilia.

Successivamente, in altro contesto politico generale, saranno

domenicani i vescovi di Messina e Palermo.

Le vicende seguite al Vespro (1282) e la lunga guerra che ne segue

tra Angioini ed Aragonesi non facilita l’ organizzazione conventuale.

Con bolla di Celestino V del 1 settembre 1294, Clara Ordinis Fratrum

Praedicatorum Religio, la Provincia Romana viene separata dalla

Provincia Regni Siciliae: quest’ ultima comprende sia l’ Italia

meridionale, sottoposta politicamente agli Angioini che la Sicilia,

sottoposta agli antagonisti Aragonesi39.

I domenicani siciliani ottengono la loro completa autonomia solo nel

1378, quando il Capitolo Generale di Carcassonne istituisce la

Provincia domenicana di Trinacria (Sicilia). Solo ora i Domenicani di

Sicilia possono programmare nuove iniziative di apostolato e di cultura

38 Maurizio Randazzo, I Domenicani a Palermo. Storia dell’ insediamento in Marco

Rosario Nobile [e altri] La Chiesa di San Domenico a Palermo. Quattro secoli di

vicende costruttive, Palermo 2012, pp.11-15 39 Ibidem, p. 13.

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32

con una dislocazione territoriale che diventa man mano più articolata

e più ricca di risorse patrimoniali. Poco dopo, il Provinciale fra Simone

del Pozzo viene nominato dal papa vescovo di Catania ed i

domenicani partecipano sempre più al dibattito culturale del tempo.

Lo Scisma d’Occidente coinvolge anche l’ ordine domenicano, al

punto che nel 1390 in Sicilia vengono tenuti due Capitoli contrapposti

con la nomina di due diversi provinciali.

Il XV secolo è il periodo dello splendore e del potere

domenicano in Sicilia con il controllo dell’Inquisizione e la carica di

confessori e cappellani di corte, nominati dal re. Fino all’epoca di

Ferdinando II, i domenicani sono oggetto di privilegi, donativi,

pensioni, ricoprendo anche cariche come quelle di giudici e

commissari della Crociata, commissari dell’Inquisizione e della Sacra

Congregazione dell’Indice40. Nei primi decenni del XV secolo la

subordinazione dell’ordine domenicano alla monarchia aragonese

sconvolge la vita regolare e conventuale: quasi per reazione, su

iniziativa di pochi frati dotati di grande sensibilità religiosa, si dà avvio,

con la fondazione del convento di S. Cita a Palermo (1428), al

movimento di Osservanza che si estende ad altri conventi domenicani

di Sicilia (Siracusa, Catania, Trapani, Polizzi etc). Una serie di

circostanze, però, condannano il tentativo riformatore dell’Osservanza

al pieno fallimento: nel 1496 il re Ferdinando II invia nell’isola quattro

Visitatori regi, tra i quali Rinaldo Montoro, poi vescovo di Cefalù;

l’abolizione della questua che era stata autorizzata dal papa Sisto IV;

le numerose concessioni di privilegi ai frati da parte dei Maestri

generali, con gravi discriminazioni spesso all’interno dello stesso

convento; denari da spendere ad arbitrio individuale, uso di rendite

familiari, amministrazione di proprie terre, subordinazione a principi e

baroni. Da ciò ne derivano una serie di esposti, liti, libelli,

contrapposizioni tra gli stessi frati di singoli conventi.

40 S. Cucinotta, Popolo e Clero, cit. pp. 360-365.

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33

Nel 1503 anche in Sicilia viene estesa l’Inquisizione di Spagna e

quindi mal volentieri i domenicani lasciano il potere e i privilegi che

provengono loro dal controllo dell’Inquisizione Romana, vigente fino

allora nell’isola. Alla fine, la Riforma viene imposta dall’alto con la

visita, per la prima volta in Sicilia, dei Maestri Generali e dei Visitatori,

uno dei quali è padre Antonino Mattoncini della cui visita del 1587

disponiamo degli atti che costituiscono una radiografia dei conventi

di allora41. La situazione trovata dal Mattoncini è grave: nei conventi

più importanti molti godono di esenzioni di ogni tipo, esercitano

pressioni e raccomandazioni, amministrano proprietà e possiedono

molto denaro; nei piccoli conventi, invece, regna la miseria con

chiese deficitarie perfino di paramenti sacri; l’intervento di padre

Mattoncini prevede la revoca di privilegi ed esenzioni, il trasferimento

di rendite e beni personali in proprietà del convento, il divieto di

amministrare beni di parenti, il riesame di tutti i frati che hanno titoli

culturali con la riprovazione di parecchi esaminati e conseguente

abbandono e fuga di alcuni di essi.

Le linee della Riforma dell’ordine riguardano la formazione dei

novizi, l’organizzazione di ogni convento con un priore, un lettore e un

predicatore, l’invio a Roma dei frati più capaci per valorizzarne

l’attitudine allo studio. L’obiettivo è quello di riformare profondamente

l’ordine in Sicilia e riprendere un cammino secondo le esigenze della

modernità: tuttavia, non mancano altri inconvenienti come

l’eccessivo numero di frati titolati, fino ad arrivare ai cosiddetti Maestri

bollati, cioè titolati non per scienza, ma per bolla pontificia42.

Molte delle disposizioni riformatrici, tuttavia, svaniscono per

interferenze romane, intrusioni politiche dei re di Spagna e per il

41 Sulla Visita Mattoncini cfr. Stefano Lorenzo Forte, Visita Apostolica e Capitoli di

Sicilia 1587-88 in Archivum Fratrum Praedicatorum, volumen XLIV, 1974 ed inoltre

S. Cucinotta, Popolo e Clero cit. pp. 361-362 e M. A. Coniglione La Provincia

Domenicana cit. 42 S. Cucinotta, Popolo e Clero cit. pp. 362-363.

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34

difficile rapporto monarchia-papato aggravato dalla formazione di

opposte fazioni (spagnola e francese).

La situazione dei conventi domenicani in Sicilia appare più

chiara grazie al censimento ordinato nel 1613 dal Maestro Generale

Agostino Secchi, che riporta i dati riguardanti il numero dei conventi e

i relativi introiti43.

Carta dei conventi e delle case domenicane esistenti nel 1613

Intorno alla metà del Seicento, i domenicani di S. Cita a

Palermo intendono lanciare l’esperimento di un collegio di

predicatori, ma questo tentativo non avrà seguito.

A tal proposito Cucinotta sottolinea come “ I Domenicani non si erano

accorti che era finita ormai la predicazione aristocratica e che un

nuovo tipo, popolare e comprensibile a tutti era stato portato dai

Cappuccini anche nei villaggi, mettendo in crisi un certo tipo di

predicazione domenicana”44. I domenicani avevano, però, dato

43 S. L. Forte, La Provincia Domenicana di Sicilia nel censimento generale del 1613 in

Archivum Fratrum Praedicatorum, volumen XLV, 1975. 44 S. Cucinotta, Popolo e Clero cit. p. 363

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corso ad attività molto importanti, come la diffusione della

Congregazione del Rosario, le missioni popolari, l’istituzione di scuole

artium per alunni secolari nei loro conventi45.

Dall’esame incrociato dei dati disponibili (censimento Secchi,

Manoscritto Montalto46, Annali del convento di S. Domenico di

Palermo dovuti a Lorenzo Olivier e recentemente pubblicati47) si può

concludere, con il Cucinotta, che nel 1650 vi sono in Sicilia 66

conventi domenicani, esclusi i tre di Malta che dipendono dal

provinciale di Palermo. E’ importante sottolineare che di essi soltanto

34 sono i conventi formati, aventi cioè almeno 12 religiosi, 29 sono i

vicariati perché non raggiungono tale numero e 3 sono i luoghi, dei

quali non è ancora terminata la costruzione con la loro comunità

religiosa che dipende da un altro convento già formalmente

costituito. Il passaggio giuridico da un tipo all’altro di denominazione è

posto in relazione alla disponibilità di dotazione e di rendite

immobiliari, dall’importanza e dall’estensione del centro abitato che li

ospita, dalle condizioni e capacità ricettiva del convento ed infine

dalla disponibilità dei frati a formare una comunità di almeno 12

religiosi.

Con la legge n° 3036 del 7 luglio 1866 relativa alla soppressione degli

ordini religiosi e alla confisca dei loro beni, anche l’ordine dei

domenicani viene soppresso e i beni incamerati dallo Stato; segue

l’ iniziale diaspora dei frati, mentre la loro riorganizzazione in ordine

religioso si mette in moto alcuni decenni dopo con la riapertura di

alcuni dei vecchi conventi. Attualmente i conventi domenicani di

Sicilia fanno parte della Provincia religiosa dell’Italia meridionale.

45 Sul ruolo dei Domenicani per la diffusione delle confraternite del Rosario cfr. M. A.

Coniglione, La Provincia Domenicana, cit., p. 361. 46 Giacinto Montalto, Notizie biografiche di Domenicani siciliani vissuti prima del

1639, trascrizione di Antonino Barilaro, a cura di M. Randazzo, Palermo 2008. 47 Lorenzo Olivier, Annali del real convento di S. Domenico di Palermo, edizione della

fonte manoscritta, introduzione e indici a cura di M. Randazzo, Palermo 2006.

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36

CAPITOLO 3 :

I DOMENICANI A COLLESANO

3.1 Il primitivo insediamento domenicano in Contrada Gioppo

Lo storico locale Rosario Gallo, che era stato prima notaio e poi

arciprete, nel suo manoscritto48 del 1736 (documento N° 1), fa risalire il

primo insediamento domenicano intorno al 1450 nel “loco” di

contrada Gioppo, presso la chiesetta dell’Annunziata, ad ovest del

centro abitato.

Chiesa dell’ Annunziata vecchia

Lo storico citato, contrariamente a quanto fa abitualmente, in questa

circostanza non indica la fonte documentaria della sua affermazione,

ma lascia dei puntini di sospensione nel suo manoscritto che,

evidentemente, contava di completare.

48 Rosario Gallo, Il Collesano in oblìo, ms. cit.

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37

E’ probabile che i primi Domenicani siano venuti a Collesano

dal vicino “loco” di Isnello49 i cui ruderi sono ancora visibili nella vallata

appena dopo la località Mongerrati, confusi con quelli dell’antica

Chiesa di S. Leonardo già appartenuta agli Agostiniani di S. Giorgio di

Gratteri in epoca normanna.

Secondo quanto riferisce Rosario Gallo, i Padri Predicatori

rimasero stanziali in contrada Gioppo solo per poco tempo,

abbandonando una prima volta il loro “loco” per “l’ inclemenza

dell’aere”: è molto probabile che l’area dello Gioppo fosse malarica

se si fa riferimento al significato del toponimo Gioppo (Giuoppu in

siciliano, Jope in spagnolo, Jop in catalano) che indica “un insetto

che sta nell’umido”50; in effetti la località di ubicazione del convento si

trova nella zona in cui le acque del torrente Mora confluiscono in

quelle del torrente Roccella generando condizioni ambientali

insalubri. Ad aggravare questa situazione potrebbe anche aver

concorso l’ attività di macerazione del lino, come testimonia il

toponimo “Fiume di lino” col quale viene indicato quel tratto del

torrente Roccella.

Lo storico citato si rifà certamente a documenti consultati

quando afferma che i domenicani, ad istanza del conte di Collesano

Pietro Cardona II, tornarono nel 1501 nello stesso “loco” con il

consenso del vescovo di Cefalù, il domenicano Rinaldo Montoro

(1497-1511): “come appare per concessione in pergamena data in

Cefalù sotto li 20 aprile 1501, sedente Papa Martino, per la quale il

detto Vescovo li concede lo loco seu Convento sotto titolo della

santa Annunciata: aliquantulum distans ab Oppido qui alias fuit

preditto Ordini concessus et postea incuria fratrum derelictus”.

Tuttavia, occorre sottolineare come a partire dalla compilazione

del Manoscritto Montalto del 1639, tutti gli storici che hanno riferito

49 Carmelo Virga, Notizie storiche e topografiche d’Isnello e del suo territorio,

Palermo 1887, ristampa Palermo 1990, p. 63 50 Giuseppe Gioeni, Saggio di etimologie siciliane, Palermo 1885 (ristampa

anastatica Sala Bolognese 1984) ad vocem.

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sulla data di insediamento del primitivo convento domenicano sito in

contrada Gioppo hanno indicato l’anno 1520 (R. Pirri, V. M. Amico,

M. A. Coniglione, S. L. Lo Forti, S. Cucinotta)51.

Lo stesso Manoscritto Montalto, nella parte relativa alla relazione

sul convento di Collesano, compilata sulla base di una comunicazione

del domenicano collesanese fra Vincenzo Lo Squiglio del 1637,

testualmente si esprime in questi termini: “questo convento fu fondato

dalla contessa Sosanna di Collisano alli 1510 / il Primo frate che lo

cominciò a fabbricare fu il Padre fra Vincenzo lo schiavo”, dandoci

così per la prima volta il nome del fondatore.

L’apparente contrasto tra le posizioni del Gallo e quelle degli

altri storici si può ragionevolmente comporre stabilendo al 1501 la

concessione vescovile e al 1520 l’effettivo insediamento dei Padri

Predicatori Domenicani, dopo un probabile risanamento e

riadattamento dei locali conventuali che intorno al 1510 vide

protagonista fra Vincenzo Lo Schiavo.

51 Rocco Pirri, Sicilia Sacra Disquisitionibus et Notitiis Illustrata, Palermo 1733 p. 836;

V. M. Amico, Dizionario Topografico cit; M. A. Coniglione, La Provincia domenicana

cit. p. 364 ; S. L. Forte, La Provincia Domenicana cit. p. 262 ; S. Cucinotta, Popolo e

Clero cit. , p. 443.

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39

3.2 L’ insediamento e la presenza dei Padri Predicatori nel convento

dell’ Annunziata nuova (1553-1866)

Intorno alla metà del Cinquecento avviene il definitivo

abbandono da parte dei Domenicani del loro “locus” di contrada

Gioppo per il trasferimento nel convento dell’Annunziata nuova, fatto

costruire dalla contessa Susanna Gonzaga, vedova di Pietro

Cardona II. Secondo la scansione temporale illustrata da Rosario

Gallo, la contessa Susanna Gonzaga, prima del 1547, fa costruire una

nuova chiesa dedicata all’Annunziata nel sito ove era già in rovina un

precedente edificio religioso di cui ancora nel 1736 erano visibili resti

di mura che “fanno recinto a detta nuova Chiesa”. Il sito prescelto è

ubicato all’estrema periferia sud del centro abitato di allora, nel

quartiere di S. Pietro. Successivamente, con Breve di papa Paolo III del

10 agosto 1547, Susanna Gonzaga ottiene di poter scegliere i

sacerdoti, secolari o regolari, cui affidare la chiesa. In successione, il

breve papale viene esecutoriato (per effetto dell’Apostolica Legazia)

nel Regno di Sicilia e firmato dal vicerè Fernando de Vega in data 27

giugno 1550 ed infine controfirmato dal vescovo di Cefalù Francesco

d’Aragona il 6 marzo 1551.

Finita la chiesa, che molto probabilmente non venne edificata

secondo canoni propri di ordini regolari, la contessa di Collesano “per

special devozione professata all’ordine di S. Domenico, vedendo che

in detto antico luogo l’aere era a quelli PP. Domenicani molto nocivo,

fabbricò il presente Convento congiunto con detta chiesa nuova

e… fece che li detti PP. lasciassero quel luogo e li concesse detta

Chiesa nuova e convento da essa edificati, il che seguì poco prima

dell’anno 1560”. Il cronista collesanese deduce questa data dal fatto

che in data 5 giugno 1560 il vicario del convento, fra Vincenzo

Saladino, agli atti del notaio Sebastiano Tortoreti, roga un contratto

per la locazione di una casa di proprietà del convento

dell’Annunziata nuova, mentre negli anni precedenti aveva attivato

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contratti per conto del primo convento di località Gioppo, ormai

abbandonato.

Tuttavia, è possibile precisare la cronologia costruttiva in modo più

dettagliato (vedi infra).

Primo Vicario del convento dell’Annunziata Nuova fu il citato fra

Vincenzo Saladino “nostro paesano e poi fondatore del convento di

S. Domenico di Castelbuono, come lo dimostra il suo ritratto in quella

sacrestia”52. Così si esprime lo storico collesanese Gallo, mentre dal

Cucinotta si apprende che il convento castelbuonese viene fondato,

sotto titolo del Rosario, il 25 aprile 1583 col concorso del marchese

Giovanni Ventimiglia e dotato di terreni e rendite anche da sua

moglie53. Non potendo officiare entrambe le chiese e lasciare

incustodita quella di contrada Gioppo, ora detta dell’Annunziata

vecchia, ove si manifestano fatti prodigiosi che la religiosità popolare

accoglie come miracoli di Maria Santissima, i Padri Domenicani

rinunciano al loro primitivo convento con giardino e chiesa in favore

dell’Università di Collesano (Comune) per la somma di 72 onze; ciò

avviene con atto notarile presso il notaio Giacomo Lanza del 26

maggio 1571, poi ratificato dal Padre provinciale dell’ordine fra Giulio

Trabona in data 10 agosto dello stesso anno.

I PP. Domenicani decidono di rinunciare anche “col motivo

delle grandi elemosine per questa Università prestite e prestande così

per la fabbrica di detto loro nuovo convento, come per vitto e sussidio

dei Frati, come l’avevano sempre ricevuto e sperimentato inclinata a

beneficio di detto nuovo Convento”.

Il convento e la chiesa dell’Annunziata vecchia saranno poi

affidati dall’Università di Collesano all’ Ordine dei Carmelitani, che li

deterranno sotto titolo di Maria SS. dei Miracoli dal 1585 al 1594 circa,

quando si trasferiscono in S. Maria dell’ Itria a Palermo.

52 R. Gallo, Il Collesano in oblìo cit. 53 S. Cucinotta, Popolo e Clero cit., p. 444.

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41

Con atto del 12 luglio 1594 presso il notaio Giovanni Nicolò

Collisano54, l’ Universitas , affiderà convento e chiesa dell’Annunziata

vecchia ai Cappuccini che vi si stabiliscono, dopo consistenti lavori,

nel 1603, detenendoli fino alla soppressione delle corporazioni religiose

del 1866.

Tornando ai domenicani, si rileva che nell’Ordo conventuum et

locorum Provinciae Trinacriae del 1586, Collesano compare come

locus, cioè come comunità conventuale di pochi frati, mentre nel

1587, secondo i riscontri del Visitatore Apostolico Padre Antonino

Mattoncini, il locus di Collesano beneficia di una rendita temporale

pari a onze 78.16.10, ciò che lo pone al secondo posto dopo il “luogo”

di Enna 55. Il convento può ospitare regolarmente otto frati, anche se

in quel momento ve ne sono sei; delle risorse disponibili, 30 onze

vengono applicate alla definizione dell’ edificio56. Secondo il

censimento generale ordinato dal Padre Maestro generale fra

Serafino Secchi, all’inizio del 1613 il convento domenicano di

Collesano beneficia di una rendita temporale di 70 onze e di una

spirituale di 15, mentre vi possono abitare comodamente 6 frati. In

nota al documento di visita riportato, l’ autore (S. L. Forte, 1975)

aggiunge che il convento era stato fondato una prima volta fuori

l’ abitato nel 1520, data accettata da quasi tutti gli storici con

l’ eccezione di chi la poneva al 1510, e dentro l’ abitato nel 1553,

data che, alla luce della documentazione nota, può essere assunta

come quella dell’ effettiva attivazione del convento57.

Già con i Cardona, ma poi anche con i successivi conti di Collesano, i

Padri Predicatori, come gli altri ordini religiosi, possono contare

sull’elemosina di 10 salme annuali di frumento che vengono

regolarmente corrisposte dalla Deputazione degli Stati dei Moncada

54 R. Gallo, Il Collesano in oblìo, cit. ff. 413-415. 55 M. A. Coniglione, La provincia domenicana, cit., p. 368. 56 S. L. Forte, La Provincia domenicana di Sicilia nel censimento generale del 1613 in

Archivum Fratrum Praedicatorum, volumen XLVI, 1975, p. 262. 57 Anche V. M. Amico, Dizionario Topografico, cit., pone la rifondazione del

convento dentro l’abitato al 1553.

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senza alcun ritardo. A metà del ‘600 il convento domenicano registra

oltre duecento onze di entrata (per 175 introiti temporali, il resto

spirituali) che risultano dimezzate circa un secolo dopo. Nel 1665,

poiché la Chiesa conventuale di S. Francesco minacciava di crollare,

su disposizione del duca Luigi Moncada, il mausoleo marmoreo dei

conti di Collesano venne trasportato in una cappella della Chiesa

dell’ Annunziata nuova: esso contiene le spoglie di Antonio

Ventimiglia, della moglie Elvira Moncada e della figlia Costanza

(moglie di Giliberto Centelles) oltre che di Pietro Cardona I; il

mausoleo è sostenuto da tre leoni o arpie e vi sono incisi in lettere

gallicane degli epitaffi58.

Il mausoleo marmoreo dei conti di Collesano

Nel periodo in cui scrive il cronista collesanese R. Gallo, il Convento di

S. Domenico mantiene sei religiosi (tre o quattro sacerdoti e due frati

conversi) e per alcuni anni vi si riscontra anche lo studio di filosofia con

58

Cfr. documento n°1. Sul mausoleo cfr. anche Giuseppe Fazio, Committenza

ventimigliana a Collesano: il mausoleo di Elvira Moncada e Antonio Ventimiglia e

una proposta per il gruppo dei Dolenti della chiesa del Collegio in Alla corte dei

Ventimiglia Storia e committenza artistica, Atti del convegno di studi (Geraci Siculo,

Ganci, 27-28 giugno 2009), a cura di Giuseppe Antista, Geraci Siculo 2009, pp. 130-

139.

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un Lettore (professore) e due o tre studenti e quello di teologia con

due Lettori e altrettanti studenti.

La presenza domenicana a Collesano procede ininterrotta dal 1520

fino alla legge sulla soppressione delle corporazioni religiose del 7

luglio 1866 che porta al trasferimento dei beni mobili ed immobili allo

stato ed allo scioglimento delle comunità religiose conventuali.

In quel momento sono presenti in convento tre religiosi, due padri e un

fratello, sotto la presidenza del Priore fra Bernardo Sarrica59.

Il 29 maggio 1869 si procede, poi, da parte del ricevitore

demaniale di Cefalù alla consegna dell’ex convento di S. Domenico

al sindaco del Comune di Collesano Michele Sarrica che si impegna a

tenere aperta al culto la chiesa e a trasformare il fabbricato in Uffici

Pubblici e in scuole (documento n° 4).

Con il censimento dei domenicani in Sicilia nel 1873 si riscontra

rettore della chiesa di S. Domenico padre Benedetto Schicchi, già

domenicano, nominato dal Municipio con un assegno annuo di

Lire 100, che viveva con i parenti e celebrava in chiesa coadiuvato

da padre Tommaso De Maria, già lettore domenicano. Entrambi i

religiosi vestivano da preti e disponevano soltanto della sacrestia,

dato che il convento era passato tutto in mano all’ Amministrazione

Comunale 60. La presenza domenicana a Collesano si estingue con la

morte degli ultimi religiosi del luogo: padre Bernardo Sarrica nel 1873 e

Tommaso De Maria nel 191161. Entrambi appartenevano a famiglie

eminenti del luogo.

59 Antonino Barilaro, Conventi Domenicani di Sicilia soppressi nel 1886 in Eco di

S. Domenico Periodico dei Domenicani di Sicilia e Calabria, LIII, 1, gennaio-febbraio

1985, p. 6. 60 Idem, Conventi dei Domenicani in Sicilia nel 1873, Eco di S. Domenico cit. LIV, 3,

maggio-giugno 1986, p. 109. 61 Idem, Conventi Domenicani di Sicilia soppressi, cit., Ibidem, LIII, 1, gennaio-

febbraio 1985, p. 6.

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3.3 La confraternita del Rosario

Con la presenza dei Domenicani, anche a Collesano, si avvia

l’istituzione di una confraternita del Rosario, tentata una prima volta

già il 30 maggio 1574, quando viene rogato il relativo atto notarile

presso il notaio Sebastiano Tortoreti62.

Non si conoscono i motivi per cui l’atto non produce effetti pratici e

bisogna risalire al 2 giugno del 1601 per riscontrare l’effettiva istituzione

a Collesano della Confraternita di Maria SS. del Rosario; a questa data

il vicario domenicano fra Pietro Sinceri dà ai confratelli il primo statuto,

approvato lo stesso giorno dal vescovo diocesano Emanuele Quero

Turillo, dopo l’assenso del Padre Provinciale Domenicano fra Giuseppe

Gigante che era stato acquisito pochi giorni prima63.

Pochi mesi dopo, il vicario del convento di Collesano concede

a Vincenzo Di Francesca, Angelo Cellino e Ambrogio Ciaulino,

rispettivamente Governatore e Congiunti della confraternita del

Rosario, un “casalino” e un magazzino collaterale alla chiesa, al fine di

edificare la cappella e l’oratorio.

La confraternita, che viene messa alle dipendenze dei domenicani,

dovrà versare al convento la somma di onze 1.18 l’anno per diritto

enfiteutico, come appare per atto del 25 luglio 1601 del notaio

Andreotta Brancato64.

All’inizio del ‘700, la confraternita attraversa un momento di crisi,

ma viene riorganizzata per cura dell’arciprete don Rosario Gallo che

interviene anche a sue spese per la manutenzione dell’oratorio.

La confraternita conquista un prestigio sempre più crescente nel

contesto sociale tanto che, per cura della stessa, veniva solennizzata

ogni anno con grandissima devozione la festa del Rosario; a tal

62 R. Gallo, Il Collesano in oblìo, cit. 63 Statuto-Regolamento della confraternita di Maria SS. del Rosario in Collesano,

Cefalù 1928, pp. 3-4 64 Ibidem, p. 4

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proposito è possibile ricordare che, con decreto del 10 aprile 1725, il

pontefice Benedetto XIII consente alla processione del Rosario di

raggiungere qualsiasi strada del centro abitato, anche di altre

parrocchie.

La confraternita, attiva fino ai nostri giorni, secondo statuti rinnovati nel

tempo, mantiene la sede nel ricordato oratorio.

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3.4 Il patrimonio storico-artistico

Alla presenza dell’ordine domenicano e a quella della citata

confraternita si deve la committenza del ricco patrimonio

storico-artistico che ancora oggi caratterizza la chiesa dell’Annunziata

nuova, oggi nota come chiesa di S. Domenico o del Rosario.

Già nel 1587 i domenicani avevano provveduto a trasportare nella

nuova sede il gruppo marmoreo dell’Annunciazione, prelevandolo

dalla cappella di patronato della famiglia Schimmenti nella chiesa

dell’Annunziata vecchia. Ciò aveva dato origine ad un contenzioso

tra gli Schimmenti e i domenicani che si compose, dietro intervento

del Visitatore Generale e Delegato Apostolico fra Paolo Spica, con la

concessione ai primi di alcuni posti di sepoltura nella chiesa

dell’Annunziata nuova. Il gruppo marmoreo è collocato in un altare

laterale della chiesa stessa65.

Il gruppo marmoreo dell’ Annunciazione

65 R. Gallo, Il Collesano in oblio, cit. f. 402.

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Alla commissione dei confratelli del Rosario si deve, invece, la fattura

della tela con la Madonna del Rosario e i santi Domenico, Vincenzo,

Agata e Maria Maddalena richiesta nel giugno del 1623 al famoso

pittore Gaspare Bazzano, detto lo Zoppo di Gangi, l’artista più

retribuito nella Palermo del tempo66. I rettori della confraternita (mastri

Gregorio Traina, Giuseppe La Motta e Pietro Dolce) versano subito

quattro onze di acconto e si obbligano a versare le rimanenti trenta a

rate. La tela, ancor oggi, decora la parete di fondo del presbiterio.

Gaspare Bazzano(Lo Zoppo di Gangi), Madonna del Rosario e santi, 1623

Alla presenza domenicana si deve la tela con La Circoncisione

eseguita nel 1634 dal pittore collesanese Giovanni Giacomo Lo Varchi

su commissione del vicario fra Vincenzo Speciale ed oggi è collocata

in una cappella laterale. Allo stesso Lo Varchi è attribuibile la tela con

“L’Immacolata” proveniente dalla chiesa di S. Francesco; il pittore

66 R. Termotto, Pittori, intagliatori lignei e decoratori a Collesano (1570-1696). Nuove

acquisizioni documentarie in Bollettino Società Calatina di Storia Patria e cultura, 7-9,

1998-2000 pp. 241-243.

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collesanese è autore degli affreschi con Storie di S. Domenico che

predica agli Albigesi: essi decoravano la volta della navata, ma sono

andati completamente perduti a seguito dei dissesti statici del 171767.

Sempre alla confraternita è dovuta La Madonna del Rosario con S.

Domenico, gruppo scultoreo in legno eseguito nel 1649 dal famoso

scultore e argentiere palermitano Giancola Viviano68.

Giancola Viviano, S. Domenico e la Madonna del Rosario, 1649

Legate alla presenza domenicana sono ancora un barocco Crocifisso

in legno e una statua lignea di S. Vincenzo di autori ignoti, mentre

provengono da chiese chiuse al culto altre tele non legate a

committenza domenicana come il S. Antonio, precedentemente

collocato nella chiesa dei Cappuccini e trasportata nella nuova sede

nel 192969.

Per le opere un tempo certamente in chiesa e oggi da considerarsi

perdute si rinvia al documento n° 4

67 R. Gallo, Il Collesano in oblio, cit. f. 410. 68 Giovanni Mendola, Tra legni e metalli. L’ attività documentata di Giancola Viviano

in Splendori di Sicilia. Arti decorative dal Rinascimento al Barocco, a cura di Maria

Concetta Di Natale, Milano 2001, p. 653. 69 ASCC, Registro di delibere.

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CAPITOLO 4:

LA CHIESA DOMENICANA DELL’ ANNUNZIATA NUOVA

4.1 Caratteri generali dell’ architettura domenicana70 :

L’ esistenza o meno di specifici stilemi architettonici legati ai

Domenicani è oggetto di dibattito tra gli studiosi: nonostante i Padri

Predicatori non abbiano elaborato un rigoroso “modello”

architettonico rispondente a precise istanze estetiche, è possibile

sottolineare la presenza di costanti funzionali che definiscono una

tipologia delle chiese domenicane.

La maggior parte delle chiese e dei complessi conventuali degli ordini

Mendicanti, tra cui figurano i Padri Predicatori, non segue norme

legate ad una specifica legislazione, ma fu per lo più occasionale e

fortuita. Il messaggio comune degli ordini mendicanti, in particolare

francescani e domenicani, è quello di annunciare il Vangelo nella

povertà. I primi si proponevano di annunciarlo attraverso la semplicità

e la testimonianza personale, i secondi attraverso lo studio e la

predicazione. In opposizione alla tradizione monastica che fa perno

sul carattere stanziale della comunità religiosa, la predicazione

itinerante costituisce il fulcro degli ordini Mendicanti; questa diversa

impostazione determina delle ripercussioni anche nella concezione

del convento e della chiesa annessa.

L’ abbazia costituiva una sorta di microcosmo per cui l’ attività

monastica si rivolgeva prettamente all’ interno del monastero stesso:

coltivazione della terra, manutenzione degli stabili, allevamento del

bestiame, copiatura dei codici e così via.

Il convento differisce radicalmente dal monastero: di dimensioni più

modeste, si tratta di un organismo architettonico non più isolato dalla

70

Valerio Ferrua, Alle origini dell’ architettura domenicana in Una chiesa, la sua

storia Momenti storici e sviluppo artistico della Chiesa di San Domenico a Chieri,

Chieri 1-3-5 ottobre 1990, Alba 1991, pp. 7-22.

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comunità esterna, ma da collocare vicino le grandi vie di

comunicazione facilitando la predicazione dei frati.

Per quanto concerne la tipologia dei conventi domenicani è possibile

individuare alcuni locali quasi sempre ricorrenti: l’ ecclesia (per lo più

denominata “capella” o “oratorium”), il claustrum e il capitulum (sala

capitolare), il dormitorium e la bibliotheca. Questi locali pur essendo

già presenti in molti casi nella tradizione monastica, vengono, con i

Mendicanti, ripresi ed articolati in funzione dinamica ed apostolica.

Mentre i monaci si insediavano in un sito dopo accurati sopralluoghi,

seguendo norme scrupolose sull’ orientamento, collocazione,

distribuzione dei locali e portando al seguito personale in grado di

eseguire i lavori, l’ insediamento dei Mendicanti è connesso al

successo della predicazione itinerante. Il convento, più che un “tipo”

costruttivo, rappresentava innanzitutto un vero e proprio luogo di

convergenza, riunione, incontro: per i Domenicani, la loro era una

domus praedicationis e quindi orientata alla specifica missione dei

religiosi. Inoltre, emerge una differenza anche nell’ impostazione della

cella: quella monastica era concepita in funzione del riposo dal

lavoro manuale e, secondariamente, come luogo di solitudine; la

cella conventuale, pur nel rispetto della severa legislazione che le

voleva piccole e modeste (parvas et humiles), doveva favorire lo

studio. A tal proposito nella prima legislazione domenicana si fa

riferimento al discus, una sorta di tavolino portatile sul quale era

possibile appoggiare i libri e prendere appunti durante la lezione del

Lettore conventuale.

Nella legislazione dei Domenicani si presta scarsa attenzione alla

definizione tipologica della chiesa: all’ inizio deve riuscire a contenere

soltanto i membri della comunità o poco più. Il clero secolare,

almeno nella fase iniziale di evoluzione dell’ ordine, invita i

Domenicani a predicare nelle proprie parrocchie o nelle cattedrali e

se queste non fossero riuscite a contenere la massa dei fedeli si

sarebbe ricorso alla piazza, improvvisando un pulpito o un broletto.

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Le chiese devono essere mediocres et humiles : sono banditi sfarzo e

grandiosità. La legislazione domenicana richiede nei limiti del possibile

la centralità: nel tessuto urbano, quindi, gli edifici religiosi si dovevano

inserire in prossimità delle grandi vie di comunicazione e dei punti vitali

della comunità. Inoltre, sono precisate alcune misure: per gli edifici

conventuali, di un piano, non si doveva eccedere i 4,50 metri, mentre

per le chiese l’ altezza della copertura non doveva oltrepassare gli

undici metri. Alla fine del ‘200 da una concezione ristretta e legata

all’ ambito diocesano, i Padri Predicatori maturano la consapevolezza

di una vocazione universale, di una maggiore autonomia dalla

gerarchia vescovile e, grazie a donazioni sempre più consistenti,

costruiscono conventi e chiese più legate alle proprie esigenze. Con il

trascorrere degli anni le comunità domenicane risultano più sensibili

alle istanze estetiche: in ogni caso si esclude il ricorso a materiale

pregiato, ricorrendo a quello più usuale e di poco costo come il cotto

e la pietra locale di facile lavorazione.

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4.2 Le vicende costruttive del complesso dell’Annunziata nuova

dalle origini al Settecento

La chiesa dell’ Annunziata nuova, oggi nota col nome di

S. Domenico o del Rosario, presenta un’ unica navata che si conclude

con un presbiterio poligonale.

La navata, sormontata da una volta a botte lunettata, è affiancata

da otto cappelle: sul lato destro si riscontrano la Cappella di S. Rita, la

Cappella della Circoncisione, la Cappella di S. Vincenzo Ferreri e

quella dell’ Annunciazione; sul lato sinistro la Cappella di S. Antonio, la

Cappella del SS. Crocifisso, la Cappella di S. Lucia e quella

dell’ Immacolata.

Interno della Chiesa dell’ Annunziata Nuova

In realtà fino a tutto il Settecento le cappelle erano cinque: tre dal

lato del Vangelo (a destra) ovvero quella di S. Domenico di Soriano,

S. Tommaso d’ Aquino e quella di Santa Rosa con altri santi

domenicani; dal lato dell’ Epistola (a sinistra) si riscontravano le

cappelle del SS. Crocifisso e di S. Vincenzo Ferreri.

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I riscontri documentari, per il periodo preso in esame, risultano

frammentari e relativi a singoli episodi costruttivi; ciò non consente

una chiara visione complessiva dell’ iter seguito nella fabbrica della

chiesa. Il 1 settembre 1552 l’ intagliatore in legno Antonio Mangio di

Collesano si obbliga con la contessa Susanna Gonzaga a realizzare il

soffitto ligneo e le porte della chiesa 71. Si deduce da ciò che a quella

data il perimetro murario della chiesa è già stato definito.

Il 16 novembre 1558, sotto il vicariato di fra Giovanni di Calabria, viene

custodito in loco depositi della chiesa il cadavere di Antoniuccio

Catanese di Caronia, morto da poco, che gli eredi avrebbero ritirato

dopo aver corrisposto “lo jus depositi” 72. A quella data, quindi, chiesa

e convento dell’ Annunziata Nuova dovrebbero aver raggiunto la

piena funzionalità. Il 30 maggio 1572 fra Vincenzo Saladino, vicario del

convento domenicano, dichiara di aver ricevuto, su disposizione dei

giurati locali, sei onze dai fratelli Sala, appaltatori della gabella della

farina: questa somma era destinata alla riparazione del tetto della

chiesa “pro elemosina pro expensis fabrice tecti ditte ecclesie”73.

Il 16 maggio 1598 l’ intagliatore lapideo collesanese mastro Giuseppe

Badamo si obbliga col vicario del convento, fra Pietro Sinceri, a

intagliare secondo disegno quattro basi di pietra proveniente dalla

cava di contrada Li Voni da consegnare entro venti giorni. Il trasporto

della pietra è posto a carico del vicario. Il prezzo concordato tra i due

è pari a due tarì a palmo (circa cm 26) con anticipo di 18 tarì ed il

resto in corso d’opera74. Il 26 maggio 1598 lo stesso Badamo si obbliga

col priore del convento a realizzare due architravi con pietra

proveniente dalla stessa cava (pirrera); in particolare il primo

architrave, di nove palmi, doveva presentare un intaglio simile a

quello dei piedritti della porta della chiesa; un secondo, di sei palmi,

71 ASPa, sezione Termini Imerese, Notaio Antonio De Maria, volume 9577, c. 6r. 72 ASPa, sezione Termini Imerese, Notaio Sebastiano Tortoreti, volume 6293, c. 306r. 73 Idem, volume 6300, c. 30r-v. 74

R. Termotto, Una famiglia di intagliatori lapidei a Collesano: i Badamo (1571-1625)

in Paleokastro Rivista trimestrali di studi siciliani, NS III, 4, Dicembre 2012-Aprile 2013,

pp. 43-48.

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era destinato alla porta del convento. Il prezzo concordato è pari a

onze 1.10 con acconto di 24 tarì e il resto da saldare a lavoro

ultimato.75 Il 26 giugno 1599 Epifanio Sammarco e Giovanni Sciarrino,

scalpellini della città di Polizzi, si obbligano col vicario fra Pietro Sinceri

a realizzare circa venti pezzi (“peccios”) di pietra intagliata in tre

riquadri, secondo il disegno conservato dal vicario stesso. Il prezzo

concordato ammontava a tre tarì a palmo con anticipo di tre onze e

il resto da saldare in corso d’ opera (“smarrando li petri a la pirrera et

intagliando solvendo”). Il trasporto del materiale, con buoi, fino a un

idoneo luogo di carico nei pressi della cava, avveniva a spesa dei

mastri; da lì al convento sarebbe stato a carico del vicario che

doveva mettere a disposizione delle maestranze anche letto e

materassi. Tra i testimoni della stipula dell’ atto vi era anche

l’ intagliatore ligneo Giuseppe Mangio76. Il 14 dicembre 1604 i maestri

fabbricieri castelbuonesi Antonio Gambaro e Dionisio Pace si

obbligano col vicario fra Pietro Scarano a realizzare “lo campanaro

con li dammusi” secondo le misure che indicherà il vicario. Il prezzo

dei lavori concordato, compreso di ponteggio, è pari a otto tarì a

canna (m 2,06) con un acconto di quattro onze e il resto da saldare

in corso d’ opera. La misura dei lavori sarà effettuata da esperti

incaricati dalle parti. Il convento dovrà pure fornire una stanza per l’

alloggio dei maestri fabbricieri. L’ espressione utilizzata nell’ atto

potrebbe rinviare sia alla realizzazione dell’ intero campanile, sia al

semplice vano di alloggio delle campane77.

Un atto del 13 aprile 1607 documenta che gli stessi maestri

castelbuonesi si impegnano a restituire al vicario fra Pietro Scarano

3.15 onze poiché debitori di tale somma nel conto finale dei lavori

realizzati relativi al dormitorio del convento78.

75

Ibidem. 76

ASPa, sezione Termini Imerese, Notaio Leonardo Di Lorenzo, volume 6322, c. 594r-v. 77 ASPa, sezione Termini Imerese, Notaio Giuseppe Gullo, volume 6397, c. 268r-v. 78 Idem, volume 6399, cc. 570v-571r.

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Il 7 marzo 1630 quindici confratelli del Rosario si obbligano a

raccogliere e versare delle somme, che variano tra i 6 tarì e 1.6 onze

ciascuno, al depositario della Confraternita per la realizzazione

dell’ Oratorio nel magazzino della Compagnia, posto dietro la

cappella del SS. mo Rosario. La somma preventivata con la prima

raccolta assomma a 8.23 onze79.

Il 20 giugno 1631 il Priore del convento fra Tommaso da

Collesano dichiara di aver ricevuto dal tesoriere dell’ Universitas

(Comune) la somma di tre onze per sussidio dei lavori in corso nella

chiesa e per la costruzione della volta80.

Nel 1717 dei movimenti franosi, provocati dalla presenza di un

terreno friabile, determinarono un notevole smottamento, secondo

quanto riporta Rosario Gallo81. La configurazione strutturale della

chiesa era stata ulteriormente indebolita dall’ esecuzione di alcune

aperture realizzate nella stessa fabbrica. Questi fenomeni

comportarono il progressivo manifestarsi di lesioni nella volta della

navata, che raggiunge un tale degrado da pervenire al parziale

crollo della volta stessa. A seguito di tali eventi, i Domenicani, guidati

dal Padre Lettore fra Tommaso Maria Tamburello, si prodigarono per

concretizzare le necessarie soluzioni tecnico-costruttive affidandosi a

un famoso architetto e matematico del tempo: si tratta del

domenicano Tommaso Maria Napoli82.

79 ASPa, sezione Termini Imerese, Notaio Antonio Cangiamilla, volume 2470, c. 187r-v. 80 ASPa, sezione Termini Imerese, Notaio Pietro Tortoreti, volume 6445, c. 776r. 81 R. Gallo, Il Collesano in oblio, cit. 82 Per Tommaso Maria Napoli cfr. Maurizio Vitella, ad vocem Napoli Tommaso Maria

in Luigi Sarullo, Dizionario degli Artisti Siciliani. Architettura. Volume I, a cura di Maria

Clara Ruggieri Tricoli, Palermo 1993 e bibliografia ivi citata.

Matematico e architetto, Tommaso Maria Napoli nasce a Palermo nel 1655

o nel 1659. Si dedica giovanissimo alla vita religiosa diventando domenicano nel

1675. Compie gli studi nel convento domenicano di Palermo. Dopo un lungo

impegno in qualità di ingegnere militare in Ungheria ed in Dalmazia (Ragusa), torna

a Palermo e si dedica allo studio della matematica, come testimonia il suo trattato

pubblicato a Roma nel 1688 Utriusque architecturae compendium in duos libros

divisum. Tra la fine del Seicento ed il primo decennio del Settecento si occupa di

progettare due residenze nobiliari nel territorio di Bagheria: villa Valguarnera, iniziata

nel 1713 e, con la collaborazione di Agatino Daidone, villa Palagonia,

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Questi decide di adottare contemporaneamente due soluzioni per

diminuire le tensioni agenti sul terreno: da un lato ridurre il carico,

abbassando l’ altezza della copertura e realizzando un tetto piano al

posto della volta e al tempo stesso rafforzare la struttura realizzando

sin dalle fondamenta il nuovo arco maggiore.

I lavori di consolidamento furono realizzati grazie al contributo

dell’ Universitas che vi destina per tre anni le entrate della gabella

dell’ ufficio del Mastro di Piazza che ha il compito di vigilanza sui

mercati, fiere, merci, generi alimentari ecc.

Nel 1720 venne realizzata la volta (dammuso) della Cappella del SS.

mo Rosario, accresciuto e modificato nella forma l’ Oratorio omonimo

oltre alla realizzazione della volta di copertura.

Nella Cappella del SS. mo Rosario, nel 1722, venne sepolto il Marchese

di Sciortino Ignazio Moncada (fratello del duca Luigi)83.

Nel 1769 il convento di S. Domenico si arricchisce della seconda

elevazione84. Lo stesso anno i locali del convento vengono

pavimentati con mattoni stagnati prodotti dal ceramista collesanese

Antonino Barbera sotto la direzione di maestri napoletani85

probabilmente iniziata nel 1715. L’ ideazione di quest’ultima è tutta protesa verso la

valorizzazione degli spazi esterni. Nel 1711 viene nominato ingegnere militare del

Senato palermitano. Nel 1723 pubblica a Palermo un altro libro dal titolo: Breve

ristretto dell’ Architettura Militare e fortificazione offensiva e difensiva, estratta dai

matematici più insigni. E’ il primo artefice a Palermo di una sistemazione di spazi

esterni urbani di marca prettamente barocca: sua infatti è la sistemazione di piazza

San Domenico, già piazza imperiale e il disegno dell’ “artificioso basamento” su cui

si innalza la statua dell’ Immacolata Concezione. Per avere il permesso di procedere

alle necessarie demolizioni per la creazione della piazza, si reca personalmente a

Vienna, dall’ imperatore Carlo VI ed ottenuto il placet e creato lo slargo, si procede,

con solenne cerimonia, alla posa della prima pietra della colonna monumentale

centrale, di fronte la facciata della chiesa di S. Domenico l’ 8 dicembre 1724. A

causa della morte del Napoli i lavori saranno poi proseguiti da Giovan Biagio Amico

che eresse tale colonna nel 1726 modificando in parte il progetto di Tommaso Maria

Napoli. Sempre per la chiesa di S. Domenico, fornisce il disegno del campanile

destro che ha però vicissitudini assai complesse. Tommaso Maria Napoli muore a

Palermo il 12 giugno 1725 . 83 R. Gallo, Il Collesano in oblio… , cit. f. 406 84 Gioacchino Di Marzo, Annotazioni a V. M. Amico, Dizionario topografico cit. 85 A. Di Bernardo (A.D.B.), Affonda le radici nei secoli l’ arte della ceramica a

Collesano in “Sicilia del popolo”, 8 luglio 1954, ripubblicato in R. Termotto-A. Asciutto

(a cura di) Collesano per gli emigrati, Castelbuono 1991, pp. 221-223.

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4.3 La ricostruzione primo-ottocentesca della Chiesa

dell’ Annunziata nuova

Agli inizi del 1802, a causa dei gravi dissesti statici che

minacciano di far collassare la struttura chiesastica, i Domenicani

pervengono alla decisione di demolire la stessa e ricostruirla ex novo.

Tale compito viene affidato dai Padri Predicatori a mastro Nicolò

Dispenza e mastro Antonino Sgarlata di Termini Imerese.

I lavori sono conclusi nel giro di due anni, tanto che la nuova chiesa

dell’ Annunziata viene riconsacrata il 20 novembre 1804 dal Priore fra

Giovanni Tommaso Tortoreti in presenza degli altri Padri Predicatori

(Padre Lettore fra Domenico di Bernardo, Rev. frate Ludovico Russo,

Padre Lettore fra Pio Santino, Padre fra Egidio Asciutto), del clero e del

popolo collesanese86 (documento n° 2).

Preliminarmente, in data 25 febbraio 1802, i mastri Giuseppe e

Nicolò Longo di Termini si obbligano col procuratore del convento fra

Egidio Asciutto a intagliare, a partire dal 15 marzo, tutta la “pietra

grossa rotta atta anche a cantonere e fabbrica” per la costruzione

della nuova chiesa. Il prezzo concordato è fissato in 5.10 tarì per ogni

canna (circa cm 206) , con acconto di 4 onze e il resto da saldare in

corso d’ opera87. Successivamente, i mastri Nicolò Dispenza ed

Antonino Sgarlata, in data 17 dicembre 1802, assumono impegno

contrattuale per demolire interamente la fabbrica della chiesa, a

partire dalla copertura, lasciando in opera soltanto i pilastri in buono

stato88; qualora dei pilastri non presentassero idonee caratteristiche

strutturali dovevano essere rifatti magistralmente, e “se in trabocco

riformarli e portarli a piombo” (documento n° 3).

86 ASPa, sezione Gancia, Fondo Corporazioni Religiose Soppresse, Convento

S. Domenico – Collesano, Registro di Atti e Giuliana sec. XVII-XIX, registro 89, foglio 1. 87 ASPa, sezione Termini Imerese, Notaio Giuseppe Gallo Tedaldi, volume 6908, cc.

355r-356r. 88 ASPa, sezione Termini Imerese, Notaio Vincenzo Gallo Tedaldi, volume 6909 carte

437r - 447v, Collesano 17 dicembre 1802.

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Le condizioni contrattuali previste risultano piuttosto articolate:

I pilastri dovranno essere eseguiti in modo da poter innestare su di essi

le volte delle cappelle laterali da realizzare in mattoni disposti a due

fogli, gesso e “ciaramite”. Gli archi generatori delle volte sono

realizzati con mattoni “pantofoli”, i contro archi (“sardoni”) in laterizio

o con lapidei del Monte d’ Oro; inoltre, l’ altezza delle cappelle dovrà

essere “di due quadri fino al centro dell’ arco”.

Il cornicione, che corre tutto attorno la chiesa, dovrà essere realizzato

con laterizi e proporzionato all’ altezza della stessa secondo le regole

della buona architettura.

Al di sopra del cornicione e precisamente “a palmi uno e oncie sei”

(circa cm 39) si dovranno realizzare le finestre della chiesa secondo le

seguenti dimensioni: sei palmi di larghezza (circa cm 155) e cinque di

altezza (circa cm 129).

Le murature della fabbrica saranno in pietra e calce della larghezza di

tre palmi (circa cm 77) ed altezza conforme al disegno.

E’ prevista la demolizione dell’ arco maggiore che scandisce il

presbiterio e la realizzazione di uno nuovo avente maggiore altezza e

larghezza; il nuovo arco, dovrà essere realizzato ad una distanza di

due palmi per lato (circa 52 cm) dai pilastri che sorreggono

l’ esistente, aumentando l’ altezza degli stessi pilastri di un palmo

(circa cm 25,8). L’ arco maggiore, il cui estradosso sarà tangente al

cornicione, dovrà essere realizzato a tutto sesto e qualora ciò non

fosse possibile il centro della curva si troverà un palmo sotto il centro

del piano d’ imposta dell’ arco.

Le fondamenta del presbiterio dovranno essere profonde otto palmi

(circa cm 206) e larghe quattro (circa cm 103), mentre alla quota dei

due scalini, la muratura dello stesso presbiterio, sarà larga palmi tre

(circa 77 cm) e alta quanto la navata.

Al di sopra dei pilastri delle cappelle si realizzeranno quattro archi per

l’ intera larghezza della chiesa. Nella costruzione dell’ arco vengono

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impiegati prima laterizi, lapidei e calce fino a un terzo dell’ altezza e

poi mattoni e gesso. Gli archi presentano le seguenti dimensioni:

“larghi palmi due e oncie dieci (circa cm 73) e grossi palmi uno e

oncie sei” (circa cm 39). I pilastri che sorreggono gli archi saranno

larghi palmi tre (circa cm 77).

I maestri si obbligano a realizzare l’ altare maggiore dopo aver

ribassato il piano di calpestio del presbiterio fino alla quota dei due

scalini di accesso. Inoltre, si dovranno ricostruire gli altari delle

cappelle laterali.

Per i sopra archi (“sardoni”) delle finestre che si realizzeranno lungo la

navata, nel presbiterio e sopra la porta maggiore saranno utilizzati

laterizi o lapidei per meglio consolidare la fabbrica.

Prima dell’ intervento, nella parte mediana della navata era presente

un gradino che determinava, quindi, due differenti quote di calpestio.

Il progetto prevede di eliminare il dislivello esistente riempiendo il tratto

iniziale della navata in modo da ottenere un’ unica quota di

calpestio, dalla porta di ingresso sino allo scalino di accesso al

presbiterio. Inoltre si prevede la ricollocazione delle sepolture lapidee

esistenti rispettando la nuova quota di calpestio.

L’ altare maggiore, con scalino alla Romana, collocato su indicazione

del Priore del convento, sarà realizzato utilizzando cornucopie e

predella con relative decorazioni lapidee dell’ altare esistente. Gli

altari delle otto cappelle laterali, con predella e scalino modellato alla

Romana, saranno addossati alle pareti di fondo; l’ accesso alle

cappelle avverrà tramite uno scalino in pietra.

Tra gli interventi previsti vi è il trasferimento del mausoleo marmoreo

dei conti di Collesano, precedentemente collocato in una cappella

dal lato dell’ Epistola (lato sinistro) vicino l’ altare maggiore, nel luogo

designato dal Priore.

Si dovranno inoltre collocare, a discrezione del Priore, le

acquasantiere, e disporre catene di ferro per rinforzare gli arconi della

navata da innalzare.

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La volta della navata dovrà essere realizzata in mattoni disposti a due

foglie e gesso; la volta a crociera del coretto, impostata su grossi

pilastri, sarà realizzata in mattoni disposti a tre fogli e gesso. E’ prevista

l’ apertura di una porta di comunicazione tra il coretto e il convento e

la realizzazione nello stesso coretto di un inginocchiatoio.

La pavimentazione della navata, delle cappelle laterali, del coretto,

del presbiterio e della predella dell’ altare maggiore, sarà realizzata

con l’ impiego di mattoni rossi “palmarizi” messi in opera con calce.

E’ previsto l’ impiego di stucco fino, conformemente ad un disegno

firmato dalle parti, per la definizione delle pareti interne dell’ intero

edificio, dopo adeguata preparazione.

Dai lati del piano d’ imposta dell’ arco maggiore deve dipartire una

decorazione in stucco con festine e ghirlanda, mentre in ogni angolo

del presbiterio si devono inserire due pilastrini a libro. Nella parete

centrale si deve realizzare un incavo per la collocazione della pala

d’ altare di Maria SS. del Rosario. Al centro della volta del presbiterio si

dovrà realizzare un semicircolo di stucco “scorniciato” che sia

tangente ai pilastrini d’ angolo; le finestre dello stesso presbiterio

saranno sormontate da lunette in stucco conformemente ad un

ulteriore disegno.

Per quanto riguarda la copertura dell’ intero edificio saranno utilizzate

travi in legno, disposte alla distanza di palmi due e oncie sei (circa cm

65) una dall’ altra; sopra le travi saranno collocati i “sirratizzi”

(correntini ovvero lunghi travetti di legno)e quindi le successive tegole.

In copertura è prevista la realizzazione del colmo con calce impastata

a sabbia e “rossa” (terracotta in polvere impermeabilizzante) oltre alla

realizzazione dei necessari embrici opportunamente collocati per il

deflusso delle acque. Si prevede di aumentare lo spessore della

parete di fondo del presbiterio di ulteriori due palmi (circa cm 52).

I materiali da costruzione (calce, sabbia, pietra, balate, pantofoli,

mattoni, legnami) saranno forniti dal convento stesso, mentre i lavori

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saranno eseguiti con l’ assistenza del sovrintendente mastro Vincenzo

Lo Cascio che dovrà essere pagato a parte dai maestri termitani.

Il contratto prevede che al termine dei lavori l’opera sarà soggetta a

revisione di uno o più periti scelti dalle parti ed in caso di parere

discorde sarà chiamato un terzo perito nominato dalla corte

giuratoria. Le opere si sarebbero dovute eseguire conformemente a

un disegno (non rintracciabile) firmato sia dal Priore che dai mastri89.

Il 18 aprile 1804 il maestro Nunzio Vetri di Castelbuono, abitante a

Collesano, stipula un contratto col Priore fra Giovanni Tommaso

Tortoreti col quale si obbliga a fornire i mattoni e le tegole necessarie

alla realizzazione degli archi, delle volte e delle cappelle della nuova

chiesa. I mattoni dovranno rispettare un “modulo” standard

consegnato dai Domenicani, mentre le tegole dovranno avere uno

spessore non inferiore a un’ oncia (circa cm 2,15). Il materiale dovrà

essere consegnato entro luglio e in caso di mancata fornitura è

prevista una penale pecuniaria. Il prezzo stabilito è pari a 4 tarì per

ogni centinaio di mattoni e 18 tarì per ogni migliaio di tegole;

l’ anticipo previsto è di 4 onze ed il resto da saldare “soccorrendo

consegnando”.Con lo stesso atto, mastro Vincenzo Sireci si obbliga

col convento a fornire tutta la quantità di sabbia necessaria a

“fabricare, arrizzare e intonacare”. La sabbia da impiegare per l’

intonaco dovrà essere crivellata, soggetta a revisione del capo

maestro che dovrà verificare la corrispondenza con il campione

(“mostra”) detenuto dal Priore. Il costo del materiale è fissato in tarì

1.13 a salma (una salma è composta da tre carichi) con un acconto

di 10 onze90.

89 ASPa, sezione Termini Imerese, Notaio Vincenzo Gallo Tedaldi, volume 6909, cc.

437r-447v. 90 Idem, volume 6908, cc. 500r-501v.

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4.4 Le vicende costruttive del primo Novecento.

Dopo la radicale ricostruzione primo-ottocentesca della chiesa

non sono stati riscontrati dati documentari riferibili a interventi edilizi

sulla stessa sino agli inizi del Novecento, pur essendo in presenza di

una serie continua di documenti, successivi alla legge sulla

soppressione delle corporazioni religiose del 1866, riguardante il

complesso conventuale.

Nel primo decennio del Novecento si riscontrano piccoli interventi di

manutenzione, riguardante la riparazione di una porzione della

copertura, o di consolidamento.

Il 31 dicembre 1907 viene stipulata una scrittura privata tra il Sindaco

Rodolfo De Maria e il capomastro Stefano Dolce che si obbliga, per

una somma di £. 87,70, a “rientrare nel muro della facciata della

chiesa di S. Domenico la chiave della catena sporgente fuori la

superficie del muro suddetto”91.

Con delibera del 5 maggio 1912 il Consiglio Comunale di Collesano

autorizza a completare il progetto relativo al restauro della chiesa di

S. Domenico che necessitava di interventi urgenti: da una sommaria

perizia eseguita dall’ ingegnere Sciarrino era possibile riscontrare una

copertura in cattivo stato, la mancanza di grondaie adeguate oltre

alla presenza di muri laterali pericolanti. Al progetto doveva essere

allegato il piano finanziario oltre al preventivo per il posizionamento di

un orologio da torre. In prima istanza, il commissario prefettizio aveva

stanziato in bilancio una somma pari a £ 1000, ma questo

stanziamento si riferiva soltanto al collocamento dei materiali

decorativi che la Congregazione di Carità, in occasione della

demolizione della Chiesa dello Stellario, aveva ceduto al Comune92.

Con delibera del 4 giugno 1912, il Consiglio Comunale approva il

capitolato speciale relativo all’ appalto dei lavori di restauro della

91 ASCC, Amministrazione, Numero 193, Categoria I, Classe 11, fascicolo 1; 92 ASPa, sezione Gancia, Fondo Sottoprefettura di Cefalù, busta n° 19

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chiesa per l’ ammontare di £ 6700. In occasione di questa seduta, il

consigliere avv. Dispenza, precedentemente sindaco del Comune,

riferisce di aver affidato all’ ingegnere palermitano Vincenzo Alagna

l’ incarico di un progetto per la realizzazione di una torre, accanto la

facciata della chiesa, per la collocazione di un orologio. Nella somma

suddetta, tuttavia, non è computato il restauro della facciata e la

realizzazione dell’ incavo per il posizionamento dell’ orologio stesso; è

altresì confermato l’ incarico di cui sopra all’ ingegnere Sciarrino93.

Quasi certamente non si è dato corso all’ attuazione della delibera di

cui sopra, visto che l’Amministrazione Comunale dovrà provvedere

alle stesse problematiche con interventi parziali meno onerosi.

Nel 1915 il Comune incarica il perito Pietro Dispenza Dolce di

elaborare un progetto di riparazione della chiesa di S. Domenico che

prevede la realizzazione del nuovo manto di copertura e le riparazioni

delle lesioni della volta della navata. La previsione di spesa ammonta

a £ 944,38. Da un carteggio del 17 giugno 1915, tra la Prefettura e il

Comune, si evince che il muro di prospetto della chiesa risulta

lesionato e fuori asse poiché sprovvisto di fondamenta adeguate; lo

stesso muro, inoltre, viene danneggiato anche dalle acque pluviali

che non hanno un libero deflusso per l’avvenuto abbassamento del

piazzale. Le condizioni in cui si trova tale muro rappresentano, in

realtà, la causa principale delle lesioni della volta che in parte grava

su di esso94.

Il 10 febbraio 1924 il Consiglio Comunale delibera una seconda volta

sui lavori di restauro della chiesa di S. Domenico approvando il

progetto e il relativo capitolato d’ appalto, con opportune modifiche,

redatto dal capomastro Santi Peri Dispenza in data 29 dicembre 1923.

L’ importo a base d’ asta dell’ appalto ammontava nel contratto a

£. 9739,95. All’ appaltatore si sarebbe corrisposto un acconto di £ 3000

dietro lavoro regolarmente eseguito ed il resto sarebbe stato pagato

93 Ibidem. 94

ASPa, sezione Gancia, Fondo Sottoprefettura di Cefalù, Busta n° 19.

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a collaudo e conto finale dei lavori: questo sarebbe stato compilato

entro due mesi dalla completa ultimazione dei lavori regolarmente

accertata.

L’ appaltatore si obbliga a pagare l’ assistente dei lavori in ragione del

3% sull’ ammontare lordo dell’ importo, mentre il 2% sullo stesso e

l’ 1% sulla relazione preventiva saranno pagati dal Comune.

Il termine assegnato per l’ esecuzione dell’ opera è di un mese a

partire dalla consegna dei lavori, mentre è di due mesi per quelli

realizzati in economia per conto del Comune.

Per ciascuna categoria di lavoro, secondo le specifiche modalità

operative, sono previste:

- Scavo di terra per la realizzazione del drenaggio fino ad una

profondità di circa 50 cm al di sotto del pavimento della chiesa,

con le necessarie sbadacchiature, trasporto e spandimento

della terra.

- Muratura per il muro del drenaggio da realizzare con pietra

calcarea proveniente dalle cave delle contrade Pantano,

Torretta, Passo di Vacche, opportunamente modellata e

collocata in opera con la necessaria quantità di malta

semidraulica. La muratura siffatta è computata in £ 120 al metro

cubo.

- Fondo del drenaggio colmato con uno spessore di 15 centimetri

di calcestruzzo idraulico. Nella composizione del calcestruzzo il

rapporto tra malta idraulica e brecciame di calcare è di uno ad

uno e settanta. Il calcestruzzo idraulico è computato in £ 22,00

ogni metro quadrato.

- Intonaco in malta idraulica, a due strati liscio a cazzuola con

rinzaffato, da applicare nel drenaggio sul muro della chiesa,

precedentemente a contatto con la terra, computato in lire

8,50 ogni metro quadrato.

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- Malte semidrauliche, idrauliche e cementizie. La calce idraulica

sarà proveniente dalla fornaci di Lascari, la calce grassa dalle

vicine fornaci di Collesano, la sabbia dalle cave di contrada

Rascata, c.da Cammisini e dalle cave della contrada Rina del

territorio di Isnello secondo le prescrizioni dell’ assistente

incaricato. La malta semidraulica sarà dosata in volume di una

parte di calce idraulica, una parte di calce grassa e quattro

parti di sabbia; la malta idraulica sarà dosata in volume di una

parte di calce idraulica ed una parte e mezza di sabbia; la

malta cementizia sarà confezionata secondo le proporzioni

definite dal Regio decreto del 10 gennaio 1907 (prima

normativa tecnica italiana sulle costruzioni): kg 300 di cemento

Portland, mc 0,400 di sabbia asciutta e non compressa e

mc 0,800 di ghiaietto e pietrisco le cui dimensioni non potranno

superare i due centimetri.

- Calcestruzzo cementizio per la copertura del suolo del

drenaggio, compresa l’ impalcatura di legname per il sostegno

dello stesso, computato in £. 330 ogni metro cubo.

- Calcestruzzo cementizio per la copertura del muro del

drenaggio computato in £ 300 ogni metro cubo.

- Muratura di mattoni pantofoli disposti in piano con malta

semidraulica per il tompagnamento di una finestra è

computato in £. 38 al metro quadrato.

- Fornitura e messa in opera di gronde di lamiera di forma

semicircolare del diametro interno di cm15, computato in £ 14

ogni metro lineare.

- Fornitura e messa in opera di travi d’ abete grezzo della sezione

di cm 14 x 16 da impiegarsi come arcarecci computata in £ 10

ogni metro lineare.

- Pulitura dei tetti “scomponendo totalmente i coperchi

spazzando i corridoi” computata in £ 1,00 ogni metro quadrato.

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- Fornitura e messa in opera di tegole a dettaglio delle fornaci di

Campofelice di Roccella computata in £ 0,70 cadauna.

I Prezzi elementari, salari e noli per ogni ora di lavoro sono i seguenti:

- operaio terraiolo per lavori di fondazione per ogni ora di lavoro

£ 2,00

- Muratore di prima classe per ogni ora di lavoro £ 2,25

- Muratore di seconda classe per ogni ora di lavoro £ 2,00

- Manovale grande per ogni ora di lavoro £ 1,75

- Manovale medio per ogni ora di lavoro £ 1,50

- Ragazzo per ogni ora di lavoro £ 1,00

- Mulo bardato con conducente per ogni ora di lavoro £ 3,20

- Carro ordinario con cavallo e conducente per ogni ora di

lavoro £ 4,00

- Scalpellino per ogni ora di lavoro £ 3,50

-

Il costo dei materiali a piè d’ opera è il seguente:

- Calce grassa ogni mc £ 150,00

- Sabbia delle cave di Rascata o delle cave di Cammisini o delle

cave di Isnello ogni mc £ 48,00

- Calce idraulica ogni quintale £ 15,00

- Cemento Portland ogni quintale £ 39,00

- Pietra calcare delle cave di contrada Pantano o delle cave di

c.da Torretta ogni mc £ 26,00.

- Pietrisco di calcare rotto a martello per il calcestruzzo idraulico

ogni mc £ 36,00.

- Pietrisco di calcare per il calcestruzzo cementizio delle cave di

Isnello ogni mc £ 36,00.

- Sabbia della spiaggia di Campofelice di Roccella ogni

mc £ 86,00.

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- Gesso ogni quintale £ 24,00

- Acqua per ogni ettolitro £ 3,00

Con delibera del 19 agosto 1925 il Consiglio Comunale incarica

l’ Ingegnere Filippo Sciarrino di redigere un progetto di restauro della

chiesa di S. Domenico e la revisione degli atti inerenti.

Il 18 maggio 1926 la Giunta Comunale delibera di erogare la somma

di £. 2000 per il rifacimento della pavimentazione della chiesa: questa

somma si aggiungeva alle oblazioni raccolte a tale scopo da un

comitato presieduto dal sacerdote e Rettore della chiesa Tommaso Li

Pira. L’ andamento dei lavori sarà controllato dall’ assessore

ingegnere Francesco Tamburello con l’ assistenza dell’ assessore

supplente capomastro Pietro Dispenza95.

Nella seduta del 5 dicembre 1926 la Giunta comunale ricorda come i

lavori di restauro della chiesa di S. Domenico costituiscono ormai un

annoso problema che si trascina da tempo e a cui non venne dato

seguito nemmeno quando si provvide al restauro della facciata del

Palazzo Municipale annesso alla chiesa negli anni 1907-1910. Nel corso

dei lavori di rifacimento del pavimento si ebbero degli imprevisti che

determinarono un aumento della previsione di spesa: ad esempio lo

scarico del bagno del piano superiore del Palazzo municipale si

trovava dietro l’ altare di S. Vincenzo, fermandosi sotto il piano di

calpestio della chiesa, dove si trovavano le antiche sepolture. Si diede

corso quindi alla rimozione degli scarichi e del bagno sopracitato. Il

comitato, precedentemente ricordato, dovette rifare, quindi, ex novo

la cappella di S. Vincenzo e si dovettero ripulire e ricolmare le

sepolture. In questo frangente era stato sistemato il tetto della chiesa

ed era stata ripulita interamente la volta della navata. Inoltre, erano in

95

ASPa, sezione Gancia, Fondo Sottoprefettura di Cefalù, Busta n° 40.

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corso le rappezzature dell’ intonaco e delle decorazioni dei muri

perimetrali e delle diverse cappelle96.

In data 13 dicembre 1926 il Consiglio comunale delibera di

corrispondere al Comitato il contributo di £ 3000 per il consolidamento

statico del prospetto della chiesa di S. Domenico, al rifacimento

dell’ intonaco e a provvedere alla decorazione del frontone della

chiesa con l’ apposizione della trabeazione seicentesca in pietra viva,

proveniente dalla chiesa dello Stellario già demolita. La sorveglianza

tecnica e artistica è riconfermata all’ assessore ingegnere Francesco

Tamburello e al capomastro Pietro Dispenza97.

Dalle delibere municipali è possibile notare come gli interventi che si

sono succeduti nel primo quarto del Novecento siano stati parziali e

non abbiano avuto un carattere unitario mentre negli anni successivi

si è dato corso a semplici interventi di manutenzione ordinaria.

La Chiesa dell’ Annunziata Nuova e l’ adiacente Oratorio del Rosario

96

ASPa, sezione Gancia, Fondo Sottoprefettura di Cefalù, Busta n° 40. 97

Ibidem.

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69

Capitolo 5 :

LA TRASFORMAZIONE DEL CONVENTO IN PALAZZO MUNICIPALE

5.1 Da Convento di S. Domenico a Palazzo Municipale:

storia di una fabbrica

Il Palazzo Municipale di Collesano, già convento dei Domenicani,

sorge nel baricentro del tessuto urbano: prospetta anteriormente

sull’ asse viario principale (Corso Vittorio Emanuele) e nella parte

retrostante su quello che era l’ Orto di San Domenico. Su tale area alla

fine degli anni ‘60 è stata edificata una scuola dell’ infanzia che

attualmente non è più utilizzata, versando in pessime condizioni

strutturali.

A seguito dell’ emanazione della legge sulla soppressione degli

ordini religiosi del 7 luglio 1866 anche a Collesano si prospetta

l’ opportunità di trovare una sede appropriata per lo svolgimento

dell’ attività amministrativa: a tal proposito viene individuato l’ ex

Convento dei Domenicani.

Il 29 maggio 1869 l’ Amministrazione del Fondo per il culto

rappresentata da Gaetano Maria De Blasi, ricevitore del Demanio e

delle tasse per gli affari del circondario di Cefalù, cede e consegna al

sindaco di Collesano Michele Sarrica il fabbricato dell’ ex Convento di

S. Domenico e la chiesa annessa (Documento N° 4). Secondo la

descrizione fornita dal De Blasi, al Convento si accedeva da Corso

Vittorio Emanuele tramite una gradinata esterna (questa permette

tuttora l’ accesso alla Chiesa di S. Domenico) e lo stesso risultava

composto da due elevazioni (De Blasi parla di piano terra e piano

superiore perché riferiti alla quota di calpestio della chiesa di

S. Domenico); da questa descrizione (e dal progetto dell’ ingegnere

Giovanni Salemi-Pace di cui si riferirà in seguito) si deduce che

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l’ attuale piano terra non esistesse o meglio costituisse un terrapieno

sul quale si ergevano i due piani soprastanti.

L’ attuale primo piano, alla data citata, era composto da dieci

stanze, alcune in buono stato e altre inabitabili, disposte lungo un

corridoio dal quale si accedeva ad un cortile esterno.

Al secondo piano, invece, si riscontravano dodici stanze disposte

lungo un altro corridoio: alcune di esse prospettavano su Corso

Vittorio Emanuele, altre sull’ orto sopracitato. Al secondo piano si

accedeva tramite una scalinata interna.

Con questo verbale il Sindaco si obbligava a convertire la

destinazione d’ uso del fabbricato ceduto e realizzare al suo interno

scuole e/o uffici pubblici; da questa cessione sono esclusi i mobili, gli

oggetti d’ arte, libri e simili. L’ elenco di questi beni è visibile

nell’ allegato al documento n° 4. L’ Amministrazione si obbliga a

tenere aperta al culto la chiesa ed in essa le funzioni liturgiche

saranno officiate da religiosi che dovranno vestire l’abito da prete

secolare.

Il cambiamento della destinazione d’ uso comportava dei consistenti

lavori di trasformazione e adattamento che saranno affidati

all’ ingegnere-architetto Giovanni Salemi Pace.

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5.2 L’ ingegnere-architetto Giovanni Salemi Pace

L’ architetto Giovanni Salemi Pace, nell’ ambiente professionale

palermitano di fine Ottocento, rappresenta senz’ altro una personalità

di notevole spessore, soprattutto in ambito accademico e culturale.

Nasce a Montemaggiore Belsito il 7 ottobre 1842. Conduce gli studi

secondari a Palermo. Nel 1860 fu volontario garibaldino nel

1° Battaglione Bersaglieri Rosolino Pilo, da cui fu congedato il 16

gennaio 1861 con il grado di sergente. Ripresi gli studi, il 9 giugno 1866

ottenne dalla Reale Università di Palermo il titolo di Dottore in Scienze

Matematiche ed il Diploma di libera pratica come Ingegnere-

Architetto. A Palermo, infatti, non era stata ancora istituita la Scuola

d’ applicazione per gli Ingegneri ed Architetti ed il curriculum, che

avviava al conferimento del titolo conseguito dal Salemi-Pace,

comprendeva complessivamente undici cattedre. Pochi mesi dopo la

laurea vince, tramite concorso, una borsa di studio per perfezionarsi

presso l’ Istituto tecnico superiore di Milano, fondato e diretto

dall’ illustre professor Brioschi. Alla fine dell’ anno scolastico 1866-1867

fece ritorno a Palermo dove fu nominato assistente alle varie scuole di

disegno e agli esercizi pratici d’ Ingegneria.

In gioventù manifesta un notevole interesse verso gli studi storici

(medievali e classici) e tale inclinazione è testimoniata dalla

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pubblicazione di alcuni saggi tra i quali è possibile ricordare

Monumenti arabo-normanni nei dintorni di Palermo, edito nel 1866, e

Solunto, ossia le rovine di una antica città sul monte Catalfano del

1872. Ben presto, tuttavia, i suoi interessi si volgono alla sfera

tecnologica e scientifica tanto da essere tra i soci fondatori del

Circolo Matematico di Palermo, costituito nel 1884 su iniziativa di

Giovan Battista Guccia; di tale Circolo fanno parte matematici di

spicco quali Giuseppe Albeggiani, ex rettore dell’ Università di

Palermo, Francesco Caldarera e Alfredo Capelli, ma la maggior parte

dei soci fondatori erano ingegneri. Tra questi, si riscontrano Michele

Capitò, Giuseppe Damiani Almeyda, Carlo Pintacuda e qualche altro

nome meno noto come Rosario Alagna; tra i primi iscritti figurano

Ernesto Armò e Francesco Cavallari. Ben presto, tuttavia, molti di essi si

distaccano dal circolo stesso: nel 1884 Damiani Almeyda e Salemi

Pace, l’ anno seguente Ernesto Armò. La famiglia Basile, invece,

mantiene saldi i suoi legami con l’ ambiente radicale, ma

internazionale del Circolo.

Nella convinzione che gli ingegneri coscienti della propria formazione

scientifica siano i veri protagonisti della nuova architettura, si acuisce

l’ allontanamento dalla figura professionale dell’ architetto. Salemi-

Pace intende conseguire una approfondita competenza nel settore

tecnologico e a tal proposito si specializza con una seconda laurea a

Milano nel 1886. In quello stesso anno redige il progetto di acquedotto

pubblicato in Disegno e proposte per condurre a Palermo le acque di

Favara e Ciaculli. In questo periodo il crescente interesse per

l’ ambito tecnico-scientifico è confermato da numerose

pubblicazioni in materia, tra le quali una lunga serie di saggi e studi

sulla resistenza e le caratteristiche meccaniche dei materiali;

particolarmente aggiornate appaiono, inoltre, i suoi interventi sulle

strutture metalliche.

Nel campo più specifico delle costruzioni, l’ attenzione sempre più

pronunciata alle innovazioni tecniche è sintomatica della volontà di

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potenziare l’ industrializzazione siciliana, in particolare l’ industria

pesante già attiva con numerose fonderie ed industrie meccaniche

con armatori navali da non trascurare. Oltre i Florio si ricordano: i

Barbaro, i Corvaja, i Tagliavia, i Trafiletti.

Nel 1890 Salemi-Pace viene incaricato dell’ organizzazione della

Galleria del lavoro in occasione dell’ Esposizione Nazionale (1891-

1892), in cui compare una sezione sull’ impiego dei metalli nelle

costruzioni. Dalle pubblicazioni dell’ ingegnere, traspare, tra l’ altro, la

preoccupazione di rendere credibili dal punto di vista statico le nuove

costruzioni metalliche. Scrive il Salemi-Pace: “Nel breve periodo di

circa mezzo secolo le costruzioni metalliche hanno avuto uno sviluppo

considerevole. Vi sono taluni che in essi hanno tuttavia poca fiducia, o

per lo meno ne limitano la vita. I costruttori più fiduciosi si

preoccupano del pari grado della stabilità che alle stesse

ordinariamente si crede di assegnare…”

Una volta istituita la Reale Scuola d’ Applicazione per gli Ingegneri ed

Architetti fu chiamato, per incarico, all’ insegnamento della

Topografia, che poi nel 1876 fu detta cattedra di Geometria pratica e

nel 1914 si mutò in cattedra di Topografia e Geodesia, che tenne fino

al 1917. Nella stessa Scuola di Applicazione fu libero insegnante di

idraulica e di costruzioni fluviali e dopo il 1872 venne incaricato di

insegnare costruzioni civili, stradali ed idrauliche, cattedra che, nel

1880 fu detta Costruzioni civili ed idrauliche e poi, nel 1882, cattedra di

Meccanica applicata alle costruzioni. Di quest’ ultima cattedra, nel

1886, fu promosso professore straordinario, ed ordinario nel 1903. Nel

1909 alla morte del professore Michele Capitò, gli fu affidata la

Direzione della Scuola di Applicazione portando a compimento

l’ opera iniziata e già avviata dal suo predecessore, cioè l’ istituzione

della sezione di Ingegneria industriale (cfr. Michele Capitò, Memoriale

per la scuola di applicazione, Lo Statuto, Palermo 1900; Per una scuola

industriale in Sicilia, Lo Statuto, Palermo 1902; Scopi della sezione

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industriale da istituirsi, Montaina, Palermo 1905). A tale opera

partecipò finanziariamente la Cassa di Risparmio di Palermo.

Le vicende culturali di Salemi-Pace appaiono notevolmente

influenzate dalla personalità di Giovan Battista Filippo Basile, del quale

fu commilitone nell’ esercito garibaldino. Di Basile resta uno dei più

profondi interpreti e in occasione della sua morte avvenuta nel 1892 la

commemorazione viene affidata allo stesso Salemi Pace (G. B. Filippo

Basile. Gli Allievi, Palermo 1892, pp. 5-10).

Salemi-Pace gode di grande autorevolezza a Palermo rivestendo la

carica di Presidente del Collegio degli Ingegneri ed Architetti tra il

1897-1900 e il 1905-1906.

Nel 1917, raggiunti i limiti di età regolamentari, lasciò la cattedra ed a

coronamento dell’ impegno profuso nella didattica, il 10 novembre

dello stesso anno fu nominato Professore Emerito. Infine, fu confermato

dal Ministero, sine die, Direttore della Scuola d’ Applicazione e vi

rimase fino al 1926 quando, dopo 17 anni di intenso lavoro all’ età di

84 anni, rassegnò le proprie dimissioni da quella carica. La

considerazione del Salemi Pace era tale che venne chiamato a far

parte del Consiglio Superiore di Pubblica Istruzione e decorato, al

termine della Direzione della Scuola d’ Applicazione, della suprema

onorificenza di Cavaliere di G. Croce della Corona d’ Italia. Salemi

Pace si spegne a Palermo il 5 febbraio 1930.

Incarichi affidati a Salemi Pace:

Al prof. Salemi Pace furono affidati svariati e delicati incarichi diversi

dall’ insegnamento; così tornato da Milano, fu assunto dal

Compartimento di Palermo per l’ applicazione dell’ imposta sul

macinato; nel 1873 fece parte del Consiglio Direttivo della Scuola

Superiore G. Turrisi Colonna; nel 1885 fu membro della Commissione

per la consegna del materiale della rete sicula; dal 1887 al 1890 fu

Vice Direttore del Nuovo Catasto; nel 1892, durante l’ Esposizione

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generale nazionale di Palermo, fu Commissario ordinatore della

Sezione industrie estrattive e meccaniche; nel 1902 fu membro della

Commissione ordinatrice dell’ Esposizione agricola regionale di

Palermo; nel 1905 fu Presidente della Commissione per la valutazione

e riconsegna dei materiali di esercizio e di approvvigionamento della

rete Adriatica; nel 1909 fu Consigliere del Comune di Palermo. Inoltre

fu socio della Società di Scienze Naturali ed Economiche, Socio della

Reale Accademia di Scienze, Lettere ed Arti di Palermo, della Società

di Storia Patria, della Sezione Siciliana dell’ Associazione Elettrica

Italiana. Inoltre fu uno dei 27 sottoscrittori del primo Statuto di

fondazione (2 marzo 1884) del Circolo Matematico di Palermo,

divenuto poi, Società Internazionale di Matematica. Fu anche socio

del Collegio degli Ingegneri ed Architetti di Palermo sin dalla sua

fondazione e vi occupò successivamente le cariche di Consigliere, di

Direttore della Redazione degli Atti, di Vice Presidente e poi di

Presidente, una prima volta dal 1887 al 1900 ed una seconda volta dal

1905 al 1911. Nel luglio 1925 in occasione dell’ ultima assemblea del

vecchio Collegio degli Ingegneri ed Architetti di Palermo,

all’ unanimità, viene acclamato Presidente Onorario.

Interventi progettuali a Collesano:

Con delibera del Consiglio Comunale di Collesano del 28 agosto 1878

viene affidato all’ ingegnere Giovanni Salemi Pace l’ incarico di

progettare il nuovo Cimitero da ubicarsi nella parte suburbana

dell’ abitato in cui si trovava la “silva” dell’ abolito convento dei Padri

Cappuccini. Lo storico locale Giuseppe Tamburello a tal proposito

riferisce che il Cimitero “tuttoché ancora sia incompleto, per la

severità della costruzione e per i modesti loculi o sepolcreti di famiglie

che lo circuiscono presenta quel tono di severità, qual si addice a

simili locali”.

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Il 13 aprile 1880 l’ Amministrazione Comunale approva il progetto

dell’ Ingegnere-architetto Giovanni Salemi-Pace per il restauro e

l’ adattamento dell’ ex convento di S. Domenico ad uffici municipali,

sede della pretura mandamentale, della conciliazione con l’ archivio

notarile, della caserma dei carabinieri, dell’ ufficio postale e di quello

del telegrafo.

Pubblicazioni:

Monumenti arabo-normanni dei dintorni di Palermo,Palermo 1866;

Solunto, ossia le rovine di un’ antica Città sul monte Catalano, in

“Nuovi Annali di Costruzioni, Arti e Industrie”, genn.-febbr. 1872, pp.

1-13 e 9-14;

Sull’ equilibrio delle volte simmetriche, in “A.C.I.A.” 1879;

Sulla determinazione degli sforzi molecolari ammissibili nelle costruzioni

metalliche, in “A.C.I.A.”, febbr. 1880, pp. 7-44;

Determinazione sperimentale delle costanti specifiche delle pietre da

costruzione, in “A.C.I.A”, 1880, pp. 99-144; e Palermo 1881;

Sull’ equilibrio delle volte simmetriche, Palermo 1884;

Disegno e proposte per condurre a Palermo le acque di Favara e

Ciaculli, Palermo 1886;

Relazione sui metodi da prescegliersi per la formazione del catasto

geometrico particellare del regno, in “A.C.I.A”, 1886, pp. 25-30;

Rapporto del prof. Salemi Pace alla Giunta Municipale di Palermo

sulla misura delle acque di Renda, Palermo 1887;

G.B.F. in A.G.B.F. Basile, gli allievi, Palermo 1892, pp. 5-10;

Di taluni saggi sulla resistenza della pietra alla compressione, in

“A.C.I.A”, 1894, f. 2, pp. 13-21;

I marmi della Sicilia illustrati, in “A.C.I.A” , suppl. 1896;

Sul piano di rottura di un terrapieno, in “A.C.I.A” genn. – apr. 1896, pp.

149-183;

Esperienze sui materiali da costruzione, in “A.C.I.A” , 1898, pp. 87-93;

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Resistenza delle pietre alla compressione sotto l’ influenza di sostanze

elastiche tra le superfici compresse, in “A.C.I.A” , 1901, pp. 60-96;

Prove alla trazione e alla compressione di malte diverse, in “A.C.I.A” ,

1905;

Il problema delle acque in Sicilia, Palermo 1918.

Fonti:

Archivio Storico Comunale di Collesano, Amministrazione, Num. 192,

Cat. I, Classe 11, fascicolo 1.

Tamburello Giuseppe, Collesano nella storia, nelle cronache, nei

diplomi con notizie topografiche, Acireale 1893.

Albeggiani Michele Luigi, Commemorazione del Prof. Giovanni Salemi-

Pace in Giornale di Scienze naturali ed Economiche di Palermo, XXXVI,

1931.

Confederazione fascista dei professionisti e degli artisti: Dizionario dei

siciliani illustri, Palermo 1939 XVIII.

Fatta Giovanni – Ruggieri Tricoli M. Clara, Palermo nell’ “Età del Ferro”

architettura-tecnica-rinnovamento, Palermo 1983.

Salamone Livia, ad vocem Salemi Pace Giovanni in Luigi Sarullo,

Dizionario degli Artisti Siciliani. Architettura. Volume I, a cura di Maria

Clara Ruggieri Tricoli, Palermo 1993.

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5.3 Il Progetto di trasformazione del Convento98

Il 30 marzo 1880 Salemi-Pace presenta all’ Amministrazione

Comunale il progetto di trasformazione dell’ ex Convento di

S. Domenico. Il successivo 13 aprile l’ Amministrazione Comunale

approva il progetto che prevede il restauro e l’ adattamento dell’ ex

Convento ad uffici municipali, sede della Pretura mandamentale,

della conciliazione con l’ archivio notarile, della caserma dei

carabinieri, dell’ ufficio postale e di quello del telegrafo99.

In particolare si prevede di collocare:

- A piano terra l’ Ufficio Postale e l’ Ufficio Telegrafico.

- A primo piano la stazione dei Reali Carabinieri e la Delegazione di

pubblica Sicurezza, tenendo presente per la Caserma dei Carabinieri

le prescrizioni dell’ art. 447 del Regolamento in materia, secondo le

quali essa doveva contenere, in ragione della forza fissata per la

Stazione, i seguenti corpi:

- Camera con attiguo Ufficio per il comandante la Stazione

- Camera ogni due carabinieri ed una camera di riserva per gli uomini

di passaggio

- Cucina

- Camera di disciplina e Camera di detenzione

- Cortile con pozzo o fontana

- Latrina

- Scuderia

- Selleria

- Locale per provvista di foraggi sufficienti almeno per un mese

98

ASCC, Amministrazione, Numero 192, Categoria I, Classe 11, fascicolo 1; ove non

diversamente indicato, per tutto ciò che è inerente il progetto e i lavori di

trasformazione del convento si faccia riferimento alla stessa indicazione archivistica. 99

G. Tamburello, Collesano nella storia cit, Acireale 1893, p. 98.

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- Luogo di deposito per il concime

La Delegazione di pubblica Sicurezza doveva contenere non solo

l’Ufficio del Delegato ma possibilmente pure il suo alloggio.

- A secondo piano la Pretura, l’abitazione del Pretore e soprattutto la

Casa Comunale costituita dai seguenti corpi:

- Sala per gli uscieri

- Sala di aspetto

- Due stanze per gli applicati

- Camera del Segretario

- Archivio

- Gabinetto del Sindaco

- Sala per le riunioni del Consiglio

- Due stanze con camerino per alloggio di persone ufficiali

- Camerino di toletta

- Bagno

Salemi Pace sottolinea che a primo piano la disposizione dei corpi di

fabbrica è tale da poter aggiungere, secondo i casi, altri corpi alla

caserma dei Carabinieri, sottraendoli alla Delegazione già

largamente dotata degli spazi necessari all’ espletamento della

funzione. Rispetto alle prescrizione del suddetto Regolamento, Salemi

Pace aggiunge nella Caserma una sala per la mensa dei Carabinieri

di Stazione. L’ ingegnere specifica che, tenendo presente questa

destinazione, la sala di disciplina si potrebbe ricavare da una porzione

della Scuderia o dietro la Selleria, mentre quella di detenzione

potrebbe essere allocata nel sottoscala, nella parte del cortile

riservato ai soli carabinieri.

I servizi, sia per gli impiegati comunali che per quelli della Pretura, si

sarebbero potuti ricavare nel sottoscala.

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Dal preventivo di spesa annesso al progetto si prevedeva la seguente

ripartizione:

Per il piano terreno £. 8.116,79

Per il corpo della scala £. 3.991,55

Per il primo piano £. 12.535,36

Per il secondo piano £. 21.115,72

Totale parziale £. 45.759,42

Per il prospetto £. 5.000,00

Per imprevisti £. 4.240,58

Totale £. 55.000,00

A questa spesa era possibile provvedere poco alla volta in anni

diversi. Salemi-Pace suggeriva che la sistemazione completa del

primo piano a Caserma dei Carabinieri e Delegazione di Pubblica

Sicurezza si sarebbe potuta rimandare in un secondo momento così

come la realizzazione del prospetto.

La somma strettamente necessaria per la realizzazione dell’ Ufficio

Postale, dell’ Ufficio Telegrafico, della Pretura e della Casa Comunale

si sarebbe potuta ridurre a £. 37464,54 che si ottiene togliendo dalla

somma totale di £. 55000 la spesa dei lavori per la sistemazione del

primo piano e la decorazione del prospetto di £. 17535,36.

L’ Amministrazione si obbliga a pagare £. 30000 in corso ed in

proporzione dell’ avanzamento dell’ opera e la quota rimanente in tre

rate annuali con l’ interesse del 5% a contare dalla data della

relazione finale delle opere compiute.

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Alla relazione di progetto è allegato anche il computo metrico

estimativo riportato nel documento n° 5 da cui si evincono gli

interventi eseguiti per ciascuna categoria di lavoro.

In sintesi il progetto prevedeva:

La realizzazione dei vani del pianterreno ricavati interamente nel

preesistente terrapieno.

Piano Terra:

- Scavo di controfossi per la fondazione dei muri di prospetto, dei muri

interni paralleli e perpendicolari al prospetto per una profondità di

1,00 metro.

- Scavo di terra per la realizzazione del piano dell’ androne e delle

stanze attigue.

- Scavo di terra per la realizzazione della fondazione della scala

interna.

- Muratura realizzata in pietrame calcareo compatto e malta idraulica

e/o comune eseguita ad opera d’ incastro.

- Piedritti, archi e piattabande delle finestre da realizzare in muratura

di mattoni.

- Nel vano dell’ androne mattonato con lastre di calcare compatto e

sottostrato di calcestruzzo di 10 cm.

- Nei vani del piano terra mattonato con mattoni quadrelli stagnati

con sottostrato di malta idraulica e ghiaia dello spessore di 8 cm.

- Volta a botte nell’ androne realizzata con centine di legno, stuoiato

di canne schiacciate ed intonaco a tre strati.

- Soffitti piani con fasce di tavole in coltello, assito di canne

schiacciate ed intonaco a tre strati nei vani del pianterreno.

- Nel vano esterno all’ ingresso principale imposta di castagno.

- Infissi di castagno con oscuri di tavola veneta nelle quattro finestre

esterne

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- Imposta a due mezzini di tavola veneta con riquadri ambo i lati nei

tre vani di comunicazione tra i tre corpi in prospetto.

- Imposta ad unica mezzina con riquadri di mezze costane in un solo

lato negli altri vani di comunicazione.

Corpo della scala:

- fondazione e muratura in pietrame calcareo compatto e malta

idraulica.

- Volta di mattoni a tre strati per le due ultime fughe di scala.

- Pedate e alzate della scala in lastre di calcare.

- Volta con centine di pioppo, canne schiacciate ed intonaco

- Copertura con travi , tavolato e tegole.

Primo piano:

- Tompagnamento e costruzione di muri in pietrame calcareo

compatto.

- Piedritti, archi di finestre e risarcimenti vari in muratura di mattoni ad

opera d’ incastro.

- Mattonati con mattoni stagnati e sottostrato in cementi vagliati in:

- sala d’ ingresso

- sala per la mensa dei carabinieri di stazione

- sale destinate alla delegazione

- Lastricati con lastre quadrate di calcareo compatto con sottostrato

di calcestruzzo spessore 10 cm:

- scuderia dei carabinieri e corpi annessi

- Volte in centine di legno tessuto di canne schiacciate e tre strati di

intonaco:

- sala per la mensa dei carabinieri

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- sale di alloggio per i carabinieri

- sale destinate alla delegazione

- Imposte esterne di castagno lavorate ambo i lati ed oscuri di tavola

veneta per le tredici finestre del prospetto principale.

- Imposte interne di tavola veneta ornate a cassettoni ambo i lati nei

vani di comunicazione

Secondo piano:

- Demolizione di muri, tramezzi e vecchie volte.

- Rimozione dei tetti composti di travi, tessuto di canne e tegole.

- Demolizione della scala esistente.

- Murature e tompagnamento in pietrame calcareo compatto.

- Sopraelevazione media dei muri perimetrali di 55 cm.

- Piedritti, archi, piattabande delle finestre in muratura di mattoni.

- Ricostruzione di solai composti di travi di castagno e tavolato :

- archivio della pretura

- Gabinetto del pretore

- Sala delle udienze del pretore

- Uffici della pretura

- Cucina dell’ abitazione del Pretore

- Sala da pranzo nell’ abitazione del Pretore

- Stanza a dormire e gabinetto annesso

- Sala del Consiglio comunale

- Corpo dell’ antica scala

- Gabinetto sotto la torre

- Terrazzo soprastante.

- Ricostruzione dei tetti composti di travi, listonato, intonaco idraulico e

tegole sul fabbricato principale e sui fabbricati posteriori, sporgenti nel

giardino.

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- Volte e soffitti con centine di legno, tessuto di canne schiacciate e

tre strati di intonaco:

- Archivio della Pretura

- Gabinetto del Pretore

- Sala delle udienze del Pretore

- Uffici della pretura

- Sala da pranzo del Pretore

- Stanza da letto

- Gabinetto laterale

- Archivio Municipale

- Ufficio municipale

- Gabinetto del Sindaco

- Sala del Consiglio

- Sale laterali

- Mattonato con mattoni stagnati e sottostrato cementizio:

- Pretura

- Abitazione del Pretore

- Corridoio

- Uffici Comunali

Facciata:

- Intonaco della facciata da eseguirsi a grandi bugne sporgenti la

superficie.

- Modanature della cornice.

- Merli delle torri.

- Bugne di calcare compatto attorno il vano d’ entrata e zoccolo in

lastre lavorate di calcare compatto.

Il 4 ottobre 1881 Salemi-Pace consegna i lavori al capomastro

Stefano Bontà di Palermo prescrivendogli al contempo le disposizioni

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di cantiere: lo stesso Bontà è accompagnato dal maestro Vincenzo Di

Cristofaro che, in qualità di capo operaio, attenderà ai lavori prescritti.

Salemi Pace consegna a Bontà gli elaborati grafici necessari

all’ esecuzione del cantiere, sottoscritti dallo stesso ingegnere e dal

Sindaco Giacinto Palmeri; gli stessi disegni, riconosciuti conformi a

quelli generali di progetto, saranno sottoscritti anche da Bontà.

Nella fattispecie si tratta di:

1° Pianta del piano terreno in scala 1:100

2° Pianta del primo piano in scala 1:100

3° Pianta del secondo piano in scala 1:100

4° Schema del prospetto in scala 1:100

L’ ingegnere-architetto prescrive che i lavori siano iniziati

contemporaneamente in tre punti ovvero:

- nei punti estremi del prospetto, iniziando dal riparare le fondazioni

che sfiorano quasi il livello del marciapiede.

- nella parte posteriore dell’ ala destra del fabbricato, adiacente il

giardino, in modo da risarcire o rifare in parte i muri perimetrali ed

interni; si prevedeva, inoltre, di iniziare i lavori rifacendo e ampliando

le rispettive fondazioni.

Nelle opere di cui sopra, le murature saranno eseguite:

- in fondazione, in pietrame calcareo compatto e malta di calce,

pozzolana e sabbia;

- fuori terra, in pietrame calcareo compatto e malta di calce e

sabbia, mentre stipiti, piedritti ed archi in mattoni di buona

qualità con malta idraulica o comune secondo le circostanze.

In questa circostanza, Salemi-Pace presenta l’ ingegnere Giuseppe

Ottaviano, incaricato di assistere i lavori per l’ esecuzione delle opere

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a perfetta regola d’ arte, secondo le prescrizioni speciali impartite

nella condotta dei lavori e di effettuare altresì le misure e le valutazioni

corrispondenti. Contestualmente Stefano Bontà rilascia ricevuta delle

quattro tavole di disegno relative al progetto.

Il verbale è sottoscritto da Vincenzo Di Cristoforo, Stefano Bontà,

dall’ ingegnere Giuseppe Ottaviano e dall’ ingegnere Giovanni

Salemi Pace.

Il 5 novembre 1881, in presenza del notaio Francesco Benigno De

Giorgio, viene stipulato il contratto d’ appalto tra l’ Amministrazione

Comunale, rappresentata dai componenti della Giunta e dal sindaco

Giacinto Palmeri e la ditta aggiudicataria dell’ appalto ovvero

Stefano Bontà di Palermo (Documento n° 6). Questi si impegnava a

trasformare il fabbricato del soppresso Convento di S. Domenico a

Palazzo Municipale ed altri pubblici uffici per la somma definitiva di

£. 46468,75. A tal proposito è possibile ricordare come l’ asta del primo

incanto tenutasi il 20 aprile 1881 era stata aggiudicata in prima istanza

al capomastro Felice Appiani per la somma di £. 48974. Il 4 maggio

dello stesso anno Stefano Bontà fa pervenire alla Giunta Comunale

un’ offerta di ribasso pari al ventesimo del prezzo offerto

precedentemente per una somma corrispondente a £. 46525,30. Il 30

maggio si tiene la seconda e definitiva asta a partire dalla somma

suddetta. Per aggiudicarsi i lavori il capomastro Stefano Bontà dovrà

offrire un’ ulteriore riduzione pari a dieci centesimi ogni cento lire oltre

al ventesimo per raggiungere la cifra precedentemente esposta di

£. 46468,75.

Al contratto d’ appalto erano allegati i seguenti documenti (gli

elaborati grafici non sono più reperibili):

1) Pianta geometrica del pianterreno

2) Pianta del secondo piano

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3) Pianta del prospetto

4) Copia conforme a firma del Segretario Comunale Enrico

Di Lorenzo della stima preventiva dei lavori

5) Copia della relazione

6) Copia della tariffa generale dei prezzi

7) Copia del Capitolato d’ oneri

8) Copia dei verbali di aggiudicazione definitiva

L’ appaltatore Stefano Bontà si impegna ad eseguire le opere di

trasformazione dell’ ex Convento di S. Domenico e sue dipendenze a

Palazzo Municipale e pubblici uffici di Pretura, Delegazione di

Pubblica Sicurezza, Caserma dei Carabinieri e le opere necessarie a

condurre il lavoro a regola d’ arte nel periodo di diciotto mesi dalla

consegna dei lavori.

Il 5 febbraio 1882 l’ Amministrazione Comunale e l’ appaltatore

Stefano Bontà, con l’ intervento del Direttore dei Lavori ingegnere

Salemi Pace, si trovano nella condizione di dover stipulare una

transazione sull’ uso dei mattoni pantofoloni utilizzati nella muratura.

I termini della transazione erano stati approvati dal Consiglio

Comunale in data 29 gennaio.

L’ articolo 32 della tariffa generale dei prezzi precedentemente

stipulata, prevedeva che la muratura in mattoni pantofoloni delle

migliori fornaci del paese, come quelle di Bovitello, posta in opera con

malta di calce, sabbia e pozzolana fosse pagata 108 lire il metro

cubo.

La stipula della transazione pone nuove condizioni :

1° La muratura in mattoni e malta semidraulica, eseguita con

mattoni di contrada Bovitello sino al 31 gennaio 1882 per un

totale di 38 metri cubi, fosse pagata computandosi la spesa del

trasporto dalla contrada a piè d’ opera in lire 12 a metro cubo,

precedentemente non contemplata nell’ analisi dei prezzi.

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2° Per evitare la sospensione dei lavori, si prevede di autorizzare

l’ impresa a ritirare durante la stagione invernale almeno 10000

mattoni, provenienti da qualsiasi sito purchè di buona qualità,

compensando alla stessa impresa lire 300 per le spese di

trasporto a piè d’ opera del materiale suddetto.

3° Per la rimanente muratura da eseguirsi in mattoni resta fermo

il prezzo dell’ articolo 32, per cui l’ impresa si impegna a far

venire a Collesano abili fornaciari in modo da eseguire in loco il

materiale necessario all’ esecuzione della muratura ovvero a

servirsi a suo rischio di mattoni provenienti da qualsiasi altro sito,

purchè siano accettati dalla direzione dei lavori.

L’ 8 aprile 1882 Salemi-Pace presenta una perizia suppletiva relativa ai

lavori concernenti il Palazzo Municipale riguardante la sistemazione

del terrapieno e della scalinata di accesso alla chiesa di

S. Domenico nonché la decorazione del prospetto della chiesa stessa

per un importo totale dei lavori pari a £. 10800 (documento n° 7).

I lavori previsti erano i seguenti:

- Demolizione del muro di sostegno e delle scalinate allora

esistenti.

- Rimozione e trasporto in deposito dei conci di calcare

compatto dei gradini e del basolato.

- Sottomurazione ad opera d’ incastro sotto la torre presso la

chiesa di S. Domenico e nella zona del muro di prospetto del

Palazzo Municipale sostenuta dal terrapieno suddetto.

- Costruzione del nuovo muro di sostegno lungo il fronte della

chiesa e realizzazione del paramento murario con bugnato

rustico in conci di calcare compatto.

- Costruzione del nuovo muro a valle della nuova scalinata e

realizzazione del paramento murario come sopra.

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- Costruzione del muro a monte della scalinata suddetta.

- Costruzione del muro posto a sinistra del “fosso canale” della via

laterale.

- Coronamento dei muri sopracitati con conci di calcare

compatto martellinati.

- Realizzazione di 15 gradini in calcare compatto.

- Realizzazione del lastricato nel tavoliere dinanzi la chiesa di

S. Domenico.

Scalinata di accesso alla chiesa e muro di sostegno bugnato

in una cartolina degli anni ’60 del Novecento

La decorazione del prospetto della chiesa prevedeva:

- Realizzazione della muratura ad incastro dei piedritti della

nuova porta e del semicircolo per la finestra soprastante.

- Realizzazione della cornice della chiesa e della piccola torre

- Decorazione della porta principale e delle finestre, compresa la

realizzazione di tre colonnette di marmo.

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Progetto del prospetto della Chiesa dell’ Annunziata Nuova

dell’ ingegnere Giovanni Salemi-Pace. Elaborato grafico alla Scala 1: 50

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Particolari del progetto del prospetto della Chiesa dell’ Annunziata Nuova

dell’ ingegnere Giovanni Salemi-Pace

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Il 5 gennaio 1884 Salemi- Pace presenta la relazione finale della misura

dei lavori eseguiti dalla ditta Stefano Bontà relativi all’ androne, alla

scala e agli uffici del secondo piano del Palazzo Municipale.

Il 3 gennaio1885 lo stesso presenta il dettaglio estimativo delle opere

eseguite dal capomastro collesanese Felice Appiani relative al

completamento della Stazione dei Carabinieri posta al primo piano

del Palazzo Municipale.

Il 29 marzo 1885 viene redatta una scrittura privata tra la Giunta

municipale di Collesano e il capomastro collesanese Antonino Dolce:

questi fornisce la stima dettagliata delle opere eseguite relative al

completamento della Sala di Musica e dell’ abitazione del Direttore

posti nell’ ala sinistra del primo piano del Palazzo Municipale.

L’ importo totale dei lavori ammontava a £. 2082,24.

I lavori eseguiti comprendevano:

- Scrostamento di vecchio intonaco delle pareti di varie stanze

- Ripieni di pietrame con malta ordinaria per regolarizzare la

superficie dei muri

- Tamponamenti con pantofole in piano e malta di gesso

- Murature di laterizi

- Realizzazione di volte con centine di tavola di pioppo a due

foglie unite con chiodi da intavolare poste a distanza di cm 50

le une dalle altre, listonate a graticola con legno di abete,

tessuto di canne schiacciate ed anello di ferro, compreso

l’ incastro dei peduzzi delle centine realizzato nella muratura di

pietrame (due stanze di musica)

- Rinzaffato, arriccio e traversato della volta e tonachino a mezzo

stucco

- Mattonato del pavimento con mattoni delle fornaci di

Collesano

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5.4 La pavimentazione dei locali del Palazzo Municipale

Nel 1769 il convento domenicano di Collesano si arricchisce della

seconda elevazione e nella circostanza lo stesso edificio, o parte di

esso, viene pavimentato con mattoni che secondo la storiografia

locale escono, sotto la direzione di maestranze napoletane, dalle

fornaci del ceramista collesanese Antonino Barbera.100

Oltre un secolo dopo, la trasformazione dell’ex convento domenicano

in Palazzo Municipale e uffici pubblici comporta una nuova

pavimentazione.

Sulla pavimentazione con mattoni stagnati dei locali del nuovo

Palazzo Municipale la documentazione reperita presso l’archivio

storico comunale ha restituito un documento preparatorio che, pur

mancando dei nomi dei fornaciai impegnati, consente di seguire l’iter

predisposto dall’Amministrazione comunale e di acquisire notizie

rilevanti sulla pavimentazione che verrà poi eseguita.

Si tratta di una bozza di scrittura privata, datata ottobre 1882 senza

l’indicazione del giorno, da stipularsi tra il Comune, nella persona

dell’assessore anziano Stefano Palmeri, e i fornaciai ancora da

individuare. Viene premesso che, dovendosi ammattonare tutte le

stanze destinate ad uffici, l’Amministrazione comunale era venuta

nella determinazione di promuovere nel paese una fabbrica di

mattoni smaltati al fine di far rinascere un’attività che un tempo

aveva conseguito ottimi risultati ed in atto era quasi del tutto

scomparsa.101 Ciò oltre al consistente risparmio relativo alle spese di

trasporto per i lavori da eseguirsi nel Palazzo Municipale, in confronto

100 Antonino Di Bernardo, (A. D. B.), Affonda le radici nei secoli l’arte della ceramica

a Collesano in Sicilia del popolo, 8 luglio 1954, ripubblicato in R. Termotto- A.

Asciutto, Collesano per gli emigrati, Castelbuono 1991, pp. 221-223. 101 In effetti mattoni stagnati e dipinti erano usciti dalle fornaci collesanesi almeno a

partire dal 1648 (chiesa di S. Filippo di Sclafani) per arrivare fino ai primi decenni

dell’Ottocento con forniture non solo per chiese e abitazioni nobiliari di Collesano,

ma anche per centri madoniti e del comprensorio, come Polizzi, Petralia Sottana,

Gangi, Montemaggiore, Cefalù etc. Cfr. Rosario Termotto, Per una storia della

ceramica di Collesano in Mediterranea ricerche storiche, 5, 2005, pp. 441-474.

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all’opzione del ritiro dei mattoni da Palermo o da altro centro.

Pertanto era stato fatto venire a Collesano un maestro disegnatore e

fornaciaio e, grazie alla collaborazione con un ceramista locale col

quale si era costituita una società, si erano fatti molteplici tentativi per

produrre mattoni stagnati, ottenendo ottimi campioni di buona

condizione e qualità. Si propone, quindi, ai maestri ceramisti una larga

fabbricazione di mattoni stagnati con promessa di acquisto da parte

del Comune di non poca quantità, tale da assicurare il lavoro per

tutto il prossimo inverno. Si prospetta anche la possibilità di altre

facilitazioni.

Nei particolari l’articolato della scrittura privata prevedeva:

1. La fabbricazione a Collesano e la consegna di 14.000

mattoni stagnati a vari disegni, al prezzo di lire 12 al centinaio,

con pagamento in corso d’ opera dietro certificazione del

direttore dei lavori attestante la buona qualità.

2. I mattoni saranno divisi, quanto al disegno dello smalto, in

12 distinte partite, delle quali 10 di mille cadauna.

L’ Amministrazione Comunale si riserva, tramite il direttore dei

lavori, di intervenire su altri particolareggiati dettagli al fine di

conseguire la corrispondenza degli ambienti del palazzo

comunale col numero di mattoni di uno stesso disegno.

3. Per la consegna, i fornaciai si obbligano a cominciare dal

1 marzo 1883 e continuare per 5 mesi al ritmo di 2800 mattoni al

mese.

4. Tutti i mattoni devono essere fabbricati esclusivamente

con argilla della contrada Bovitello di Collesano, ed essere ben

squadrati e ben cotti. Lo stagno dovrà essere ben fuso, senza

bolle.

5. Il sindaco si riserva il diritto di scegliere il disegno dello

smalto ed anche di indicarlo particolarmente per le due partite

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di 2000 unità. Alcune partite di mattoni dovranno essere

smaltate ad unico colore, senza disegno.

6. A titolo di incoraggiamento e come anticipo il Comune

eroga £. 500 che saranno scontate per metà a giugno e per

metà a luglio 1883.

7. Il comune si riserva, dopo la consegna dei 14000 mattoni,

la facoltà di poterne ordinare altri 10000 allo stesso prezzo e alle

stesse condizioni, erogando un altro anticipo di £. 500.

La storiografia locale conferma che nel 1883 la pavimentazione del

palazzo comunale di fatto avvenne con “mattoni stagnati fabbricati

in “loco””; ma quella fu l’ultima produzione, giacché in seguito

“l’industria scomparve e scomparvero anche le forme e gli stampi per

la riproduzione dei disegni.” Si può sottolineare che i mattoni erano

ancora in sito fino al 1951 quando uno studioso locale scrive che

“restano i pavimenti del Palazzo Municipale…che per 70 anni hanno

resistito all’attrito di migliaia di persone con tutte le qualità di calzature

più o meno ferrate”.102

102 Antonino Di Bernardo (A. D. B.), Carica di secoli a Collesano illanguidisce

l’industria dei figuli in Sicilia del popolo, 19 luglio 1951, ripubblicato in R. Termotto- A.

Asciutto (a cura di), Collesano per gli emigrati, cit., pp. 218-220.

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CAPITOLO 6:

Gli interventi del primo Novecento: il progetto dell’ ing. Luigi Castiglia

6.1 L’ ingegnere Luigi Castiglia

Nasce a Palermo da Andrea e Rosaria Avellone il 13 settembre 1843.

Nel 1880 pubblica le Considerazioni generali sulla canalizzazione

sotterranea della città di Palermo e progetto per condurre le acque

immonde fuori il bacino della Cala.

Nella seconda metà dell’ 800, infatti, la situazione igienico-sanitaria

all' interno del centro storico di Palermo si configurava in tutta la sua

gravità: la maggior parte della popolazione abitava i cosiddetti

"catoi", una sorta di monolocali con cortile, solitamente privi di

pavimentazione. La proposta di un risanamento igienico che

interessasse la città nel suo complesso fu rilanciata nel 1881 dall’

amministrazione Turrisi, ma solo la preoccupazione che l’ epidemia di

colera presente a Napoli nel 1884 si propagasse anche a Palermo

convinse gli amministratori e l’opinione pubblica della indifferibilità

della soluzione del problema igienico; si affermava, dunque, la

necessità di sventrare i quartieri più densamente popolati, demolire

edifici nei vecchi rioni e sistemarli igienicamente; provvedere alla

costruzione di nuovi rioni, coordinando il piano di risanamento e quello

di ampliamento, realizzare un razionale sistema di fognatura generale

della città e, infine, assicurare alla popolazione acqua potabile in

quantità sufficiente.

In qualità di ingegnere comunale, il 25 novembre 1884 Luigi Castiglia è

incaricato della redazione del progetto di risanamento della città di

Palermo che viene presentato nel giro di un mese. Poco dopo, nel

1885, riceve l’ incarico del progetto generale della fognatura, anche

a seguito delle pressioni esercitate dal Collegio degli Ingegneri ed

Architetti ove il progetto di Castiglia, in opposizione a quello di

Tommaso Di Chiara e Giuseppe Ricca, è particolarmente sostenuto

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da Francesco Enrico De Simone: questi, nel 1880, aveva presentato al

Collegio il rapporto Sulla fognatura della città di Palermo dove si

dichiara favorevole alla “dispersione” dei liquami proposta dal

Castiglia contro “ l’ utilizzazione ” sostenuta dal Di Chiara.

Le condizioni igienico-sanitarie della città erano talmente precarie

che, nel 1885, l'amministrazione comunale bandisce un concorso per

un nuovo piano regolatore che riuscisse a bonificare il centro storico. I

due piani in concorso erano quelli dell'ingegnere Luigi Castiglia, che

risultò perdente, e quello dell'ingegnere Felice Giarrusso che venne

scelto. Così la città adotta ufficialmente il Piano regolatore di

risanamento, che in parte si ricollegava al progetto Grandioso del

1860.

A tal proposito è opportuno ricordare come in seguito agli attacchi al

sistema bastionato da parte dei borboni e lo stato di degrado di

molte abitazioni del centro, il pretore Giulio Benso, duca della

Verdura, promosse un concorso per la presentazione di un progetto di

pianificazione della città. Il 25 settembre 1860 un gruppo di architetti e

ingegneri, tra i quali figura Giovan Battista Filippo Basile, presentò due

progetti: uno "Economico", uno "Grandioso" ed alcuni elementi di

quello "Medio", poiché non si conoscevano le somme a disposizione

del comune. Il primo, "Economico", prevedeva soprattutto

miglioramenti alla maglia viaria del centro e la creazione di nuove

strade nella zona nord, la lottizzazione dei terreni presso la via Libertà,

l'edificazione di bagni pubblici e di due teatri. Quello "Grandioso" si

concentrava soprattutto sulla viabilità interna prevedendo un

reticolato composto da altri quattro assi perpendicolari fra loro che,

intersecando le vie Maqueda e Cassaro, dividevano la città in sedici

quadranti rettangolari. Queste strade, dalla larghezza prevista intorno

ai 20 metri, avrebbero avuto la funzione di aprire la stretta e

disordinata maglia viaria antica permettendo il passaggio dell'aria e

della luce, rendendo più salubri i vari rioni. Per dislocare la

popolazione dalle zone interessate dai lavori, si vennero a creare

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nuovi quartieri posti soprattutto in riva al mare, come nei pressi delle

borgate di Romagnolo nella zona sud e dell'Acquasanta alle falde del

monte Pellegrino. Delle quattro grandi strade previste vennero

realizzate soltanto l'attuale via Mongitore, che taglia il quartiere

dell'Albergheria parallelamente al Cassaro, e la via Roma. Alla fine

nessuno di questi progetti venne realizzato, ma le proposte presentate

influenzeranno considerevolmente la successiva pianificazione

cittadina.

In seguito, infatti, un primo tentativo di realizzare un piano regolatore

per la città venne redatto nel 1866 da parte dell'Ufficio tecnico

comunale: si trattava del Piano generale di bonifica e ampliamento

che riprende alcuni elementi del piano precedente. Il nuovo progetto

del 1866 favoriva uno sviluppo disomogeneo proponendo la

lottizzazione e i piani ad opera di privati. È anche grazie alla grande

crescita demografica che nella zona Ovest della città vengono

identificati due nuovi mandamenti in prossimità delle antiche

residenze normanne: Cuba e Zisa. La città viene anche dotata di

importanti infrastrutture come il prolungamento del Molo Nord per

difendersi dalle frequenti inondazioni e la prima circonvallazione

ferroviaria che congiunge la zona portuale con la stazione centrale.

Nel corso del 1885, oltre alla realizzazione di opere di sistemazione

stradale e sottostradale, si procedette alla demolizione di tratti di

bastioni, mura di cortina che chiudevano il vecchio centro e all’

adduzione dell’ acqua Tortorici in città. Nel 1886 l’ amministrazione

Verdura chiese un mutuo di 30 milioni di lire, che fu accordato con

legge del luglio 1887: doveva servire ad estinguere i mutui preesistenti

e a finanziare il piano regolatore di risanamento e ampliamento

redatto nel 1886 dall’ ingegnere Giarrusso (Lire 19.600.000) e il piano di

fognatura generale redatto dall’ ingegnere Castiglia (Lire 6.000.000).

La nuova epidemia di colera del 1887 convinse però l’

amministrazione dell’ opportunità di eseguire lavori parziali, in attesa

che si definissero nuovi progetti di risanamento e di fognatura. Furono

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perciò prelevate per l’ esecuzione alcune parti del vecchio piano

Giarrusso per la bonifica dei rioni Conceria, Giliberti, Pozzo e Pozzillo,

Porticatello, Kalsa, Albergheria, e si diede inizio alle espropriazioni

saltuarie di immobili da demolire.

Nel 1892 Luigi Castiglia pubblica un interessante saggio “Sul

risanamento delle acque potabili di Palermo”, problema del quale si

era già occupato operativamente compilando, poco prima del 1884,

il progetto della diga attraverso la valle del Paradiso e monte di

Boccadifalco (Carlo Pintacuda, Sul modo di accrescere le acque

potabili di Palermo, Palermo 1884, p. 4). Nel 1899 pubblica un saggio

“Sulla trasformazione dei pavimenti stradali”, ove propone di sostituire

la pavimentazione in terra battuta delle strade esterne della città di

Palermo.

Secondo quanto riporta Silvia Pennisi in Le scuole a Palermo, in qualità

di ingegnere comunale si occupa anche di edilizia scolastica:

“L’edificio scolastico Montevergini fu costruito in più fasi, i primi «due

bracci» nel 1884 e nel 1885, l’ultimo braccio nel 1887, su progetto

dell’ing. comunale Luigi Castiglia e impresa esecutrice Luigi

Maniscalco Mustica. Su progetto dello stesso ing. Castiglia, ma con

impresa esecutrice Lo Bianco, venne realizzata nel 1901 la scuola di

piazza XIII Vittime, oggi non più esistente, che contava 38 aule della

capacità complessiva di 2208 allievi”.

Nel 1902, inoltre, Luigi Castiglia è il progettista della cappella Tagliavia

al cimitero dei Rotoli (“Atti del Collegio degli Ingegneri ed Architetti di

Palermo Liberi Esercenti” [A.C.I.A.L.E.], gennaio-giugno 1902). Gli viene

attribuita (Salvo Di Matteo, Iconografia storica della provincia di

Palermo, Palermo 1992, p. 382) una Pianta della città di Palermo

allegata alle guide di Rosario Salvo di Pietraganzilli (1886) e di Enrico

Onufrio (1886).

Nel 1906 Luigi Castiglia, succedendo all’ ingegnere Giarrusso, viene

nominato Capo dell’ Ufficio dei Lavori pubblici del Comune di

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100

Palermo occupandosi della realizzazione dei nuovi tronchi della via

Roma, in fase di realizzazione.

Interventi a Collesano:

Nel 1904 l’ ingegnere Luigi Castiglia è incaricato dal Comune di

Collesano, in qualità di consulente, di effettuare dei saggi per

verificare le cause della scarsità di acqua potabile nel centro abitato

(Delibera Giunta Municipale del 28 giugno 1904).

Il 29 ottobre 1906 l’ ingegnere Castiglia consegna al Comune di

Collesano il progetto per drenaggio, isolamento del prospetto

posteriore e restauro della facciata principale del Palazzo Municipale.

La direzione di tali lavori, tuttavia, sarà affidata all’ ingegnere Eliodoro

Drago.

Pubblicazioni:

Considerazioni generali sulla canalizzazione sotterranea della città di

Palermo e progetto per condurre le acque immonde fuori il bacino

della Cala, Palermo 1880;

Progetto di bonifica per la città di Palermo, in Relazione sul

bonificamento della città presentata alla giunta comunale dagli

assessori Paternostro e Scichilone, Palermo 1885;

Sul risanamento delle acque potabili di Palermo, Palermo 1892;

Sulla trasformazione dei pavimenti stradali, Palermo 1899;

Fonti:

Archivio Storico Comunale di Collesano, Amministrazione, Num. 193,

Cat. I, Classe 11, fascicolo 1.

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101

Cancila Orazio, Palermo, Bari 1988.

Salamone Livia, ad vocem Castiglia Luigi in Luigi Sarullo, Dizionario

degli Artisti Siciliani. Architettura. Volume I, a cura di Maria Clara

Ruggieri Tricoli, Palermo 1993.

Pennisi Silvia, Le scuole a Palermo. Tipologie e tecnologie delle

realizzazioni dal 1860 al 1940, Roma 2001.

Chirco Adriana – Di Liberto Mario, Via Roma. La “Strada Nuova” del

Novecento, Palermo 2008.

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102

6.2 Il progetto dell’ ing. Luigi Castiglia: isolamento, drenaggio

e decorazione del prospetto del Palazzo Municipale103

Agli inizi del ‘900 i lavori previsti dalla relazione di progetto

dell’ ingegnere Giovanni Salemi- Pace non furono completati del tutto

anche a causa dei gravi sacrifici economici cui dovette far fronte

l’ Amministrazione Comunale sino ad allora. Nella fattispecie non

erano stati completati il prospetto anteriore e posteriore e inoltre era

stato lasciato addossato a quest’ ultimo una parte del terrapieno che

costituisce giardino annesso al Palazzo. Per ovviare a tali problemi

l’ Amministrazione Comunale incarica l’ ingegnere Luigi Castiglia di

redigere un progetto per l’ isolamento e restauro del Palazzo

Comunale che sarà presentato il 29 ottobre 1906 oltre all’ estimativo

della spesa per rivestimento e decorazione dei prospetti del Palazzo

Comunale per £. 6740,00 da concludersi entro sei mesi dalla redazione

del verbale di consegna dei lavori.

Nella relazione di progetto l’ ingegnere Castiglia sottolinea

principalmente due aspetti:

1° Le murature di pietrame dei prospetti, lasciate sprovviste di ogni

rivestimento o intonaco, si sono deteriorate per effetto delle gelate e

per l’ assorbimento dell’ umidità.

2° Il terrapieno, addossato al prospetto posteriore, che si insinua e

sostiene le prime due rampe di scale dello scalone principale ha

notevolmente danneggiato le murature, tanto del prospetto

posteriore che di quelle costituenti il corpo della scala e corpi limitrofi;

specialmente si rileva il danno arrecato alle prime due rampe di scala

dove le lastre dei gradini sono tutte rotte e spostate in conseguenza

del rigonfiamento prodotto dall’ umidità del sottostante terrapieno.

103

ASCC, Amministrazione, Numero 193, Categoria I, Classe 11, fascicolo 1; si rinvia

alla stessa indicazione archivistica per tutti gli aspetti progettuali ed esecutivi

elaborati dall’ ing. Luigi Castiglia.

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103

Volendo porre riparo a questa situazione, l’ ingegnere Luigi Castiglia

propone di provvedere tanto a rivestire d’ intonaco i due prospetti

dell’ edificio, quanto ad isolare l’ edificio stesso dal terrapieno del

giardino retrostante e di quello sottostante la scala.

Il progetto di decorazione del prospetto, dell’ ammontare di lire 6740,

prevede:

a) Il rivestimento con intonaco a tonachino di cemento

artistico colorato – sistema speciale – che si presta sia a rendere

impermeabile la superficie delle fabbriche, quanto a decorare

sobriamente il prospetto principale dell’ edificio;

b) Il rivestimento con intonaco ordinario liscio, colorato a

buon fresco, del prospetto posteriore.

Per un esame più dettagliato dei lavori di restauro dei prospetti si rinvia

al relativo computo metrico estimativo (documento n° 8).

Progetto del prospetto del Palazzo municipale dell’ ingegnere Luigi Castiglia datato 29 ottobre 1906

L’ elaborato riporta la seguente dicitura: Scala 0,015 per metro

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104

Particolare del prospetto del Palazzo Municipale. L’ elaborato grafico riporta la seguente dicitura:

Municipio di Collesano – Progetto per decorare e garantire il prospetto anteriore del Palazzo Comunale –

particolare della decorazione alla scala 1:25.

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105

Particolare della decorazione del secondo piano del palazzo Municipale

Particolare della decorazione del primo piano del palazzo Municipale

Particolare della decorazione del portale di accesso al palazzo Municipale

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106

Il progetto di isolamento, dell’ ammontare di £. 5290, prevede:

a) La costruzione di un solido muro di sostegno che allontani

sufficientemente il terrapieno del giardino dalle fabbriche del

palazzo, nel lato posteriore.

b) Lo sgombro delle terre ammassate negli spazi laterali al

corpo avanzato del grande scalone ed il rivestimento del nuovo

suolo con una platea di protezione in calcestruzzo idraulico.

c) Lo sgombro delle terre sottostanti alle prime due rampe di

scale e posa in opera delle nuove lastre delle pedate dei

gradini, che in massima parte sono rotti e spostati.

d) Il completamento della fognatura che, dopo aver

attraversato l’ edificio sotto la scala, si collega alla rete fognaria

di Corso Vittorio Emanuele.

Per un esame più dettagliato dei lavori di isolamento del lato

posteriore del Palazzo Municipale si rinvia al computo metrico

estimativo (documento n° 9).

Progetto di isolamento del lato posteriore del Palazzo Municipale – Planimetria del muro di sostegno –

L’ elaborato grafico presenta la seguente dicitura: Scala 0,01 per metro

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107

Progetto di isolamento del lato posteriore del Palazzo Municipale - Profilo trasversale del muro di sostegno

del terrapieno. L’ elaborato presenta la seguente dicitura: Scala 0,02 per metro

I lavori di drenaggio del Palazzo Comunale, la cui ultimazione era

prevista in quattro mesi, saranno realizzati dall’ impresa Dolce. Le

gare d’ appalto relative ai due progetti si svolgono mediante due

distinte aste. Il 5 novembre 1906 viene pubblicato l’ avviso di gara

relativo al rivestimento dei prospetti anteriore e posteriore.

L’ appaltatore ha l’ onere di pagare i diritti architettonici

all’ Ingegnere Direttore dei lavori in ragione del 4% dell’ ammontare

lordo dei lavori e il 2% sul medesimo importo al Direttore del Comune.

Il vincitore dell’ appalto non può concorrere a quello dei lavori relativi

al drenaggio dello stesso Palazzo Comunale.

Il 14 novembre 1906 si svolge il primo incanto con il metodo delle

candele vergini che vede l’ aggiudicazione provvisoria del lavori alla

ditta Stefano Dolce con il ribasso del 3% sull’ ammontare lordo dell’

appalto. Il secondo e definitivo incanto si svolge il 10 dicembre 1906

con la presentazione delle offerte delle ditte Giovanni Ribaudo e

Antonino Dolce. Dopo tredici candele, i lavori vengono aggiudicati

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108

per un importo pari a £. 5958,16 a Giovanni Ribaudo che offre un

ribasso dell’ 11,60 % sull’ ammontare dei lavori di £. 6740.

Il 10 febbraio 1907 viene stipulato il contratto d’ appalto relativo al

prospetto Municipale tra il Comune e la ditta Ribaudo.

Il 9 giugno 1907 la Giunta Comunale nomina direttore dei lavori

l’ ingegnere Eliodoro Drago con studio a Palermo in via Ingam 14. Lo

stesso consegna i lavori di restauro all’ impresa Giovanni Ribaudo il 1

luglio 1907.

Con lettera datata 30 ottobre 1907 il Direttore dei lavori ing. Eliodoro

Drago a seguito della mancata osservanza di taluni accorgimenti e

direttive di cantiere, invita l’ appaltatore Giovanni Ribaudo ad

attenersi scrupolosamente alle seguenti indicazioni:

1) Eseguire con schegge di tufo di pietra forte e malta il

rimbottonamento dell’ attuale facciata riempiendo tutti i buchi

e interstizi della fabbrica, avendo speciale cura di pulire e di

bagnare sufficientemente la superficie del muro per evitare lo

screpolamento dell’ intonaco.

2) La malta da adoperare per il rinzaffo sarà costituita di

dieci parti in volume di calce per ogni 18 parti di sabbia di

Isnello che sarà vagliata, in modo da separare i grossi granelli

dalla parte più fine da adoperarsi nell’ ultimo strato di

tonachino e cemento.

3) La malta di cemento sarà dosata in modo da contenere

un volume di sabbia triplo del volume di cemento: sarà

applicata sul rinzaffo, dopo averlo bagnato sufficientemente,

comprimendolo con fracasso di legno;

4) Il colore dell’ intonaco deve sempre risultare conforme a

quello già eseguito nella cornice, escludendo per la

colorazione l’ uso di sostanze organiche come i colori di anilina.

5) La malta che si adopera deve essere sempre fresca, mai

rimpastata.

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6) Si deve evitare che avvenga essiccazione della malta per

rapida evaporazione dell’ acqua prima della presa e si

raccomanda perciò di mantenere un certo grado di umidità

nell’ intonaco per qualche giorno, sia ricoprendolo per

proteggerlo dal sole sia bagnandolo frequentemente con

acqua.

7) I nuclei per ossatura delle cornici debbono essere bene

assicurati alle esistenti fabbriche, e poiché queste sono di pietra

calcare compatta e risulta difficile incastrarvi i nuclei, si potrà

far uso di arpioni solidamente curati fra pietra e pietra e di filo di

ferro intrecciato agli stessi arpioni per trattenere i nuclei

medesimi che dovranno essere murati con buona e sufficiente

malta.

Il 28 dicembre 1907 il Direttore dei lavori Eliodoro Drago comunica

all’ appaltatore di non accettare i lavori sino ad allora eseguiti poiché

ritenuti non conformi al campione stabilito: ad esso corrispondeva

soltanto la cornice di coronamento.

Nel febbraio 1908 ulteriori divergenze sorgono in merito al colore

dell’ intonaco parzialmente rifatto dall’ appaltatore: Ribaudo, infatti,

utilizza nell’ intonaco quantità di cemento differenti da quelle previste.

In questo contesto segue l’ interruzione del cantiere che sarà ripreso il

20 ottobre 1909 , data della riconsegna dei lavori a Giovanni Ribaudo.

Nel frattempo la divergenza tra il Direttore dei lavori e l’ appaltatore si

ricompone per l’ intervento del Prefetto: l’ intonaco già eseguito,

pattuito per £ 4,80 al mq, sarà liquidato a £ 4,30 mentre la parte

restante di intonaco sarà liquidata al prezzo di £ 4,80 al mq fermo

restando il ribasso d’ asta. Dopo la riconsegna, i lavori dovevano

concludersi entro tre mesi ovvero il 20 gennaio 1910: questa data

verrà effettivamente rispettata anche se il verbale di ultimazione dei

lavori data 22 febbraio 1910. Infine, il conto finale dei lavori sarà

accettato con riserva dall’ appaltatore il 27 aprile dello stesso anno

(documento n° 10).

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Il Palazzo Municipale dopo l’ intervento dell’ ingegnere Castiglia

in una foto databile tra il 1910 e il 1927

Il Palazzo Municipale in una cartolina degli anni ‘80

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CONCLUSIONI:

Il Palazzo Municipale, a seguito degli interventi progettuali già citati,

ha progressivamente accentuato il suo valore di identità civile della

comunità locale: quella che a lungo con i domenicani era stata la

Sala del Capitolo, dove i frati si riunivano al suono della campanella

per deliberare sui fatti salienti della loro comunità religiosa, è

diventata la sede delle adunanze del Consiglio Comunale. Inoltre,

una delle sale più rappresentative del Palazzo, prospiciente il Corso

principale del centro, è diventata recentemente la Sala dei Sindaci,

custode della locale memoria amministrativa. Il significato “civico”

del manufatto era già stato rafforzato negli anni Venti del Novecento:

con delibera del 10 febbraio 1924 il Consiglio Comunale, in ricordo dei

Caduti del primo conflitto mondiale, autorizza la realizzazione del

Parco della Rimembranza nel piazzale del Municipio e di murare una

targa nel relativo prospetto104. Il monumento ai caduti, opera degli

scultori Francesco Sorgi e Turillo Sindone, che ha fornito delle

decorazioni tra le quali un bozzetto artistico della battaglia del Piave,

venne inaugurato nel maggio 1930 105.

La recente ubicazione del Museo della Targa Florio in un’ala

dell’ edificio municipale (inaugurato nel giugno 2004) accentua la

valenza collettiva di un avvenimento sportivo, una vera kermesse, che

per decenni ha coinvolto l’intera cittadinanza: l’ allestimento

museografico, curato dall’ architetto Marcello Panzanella, permette

di ripercorrere idealmente con l’ ausilio di immagini inedite,

documenti e cimeli (caschi, tute, guanti, parti di auto) la lunga storia

di questa famosa corsa automobilistica ideata da Vincenzo Florio agli

albori del secolo scorso. Tutto ciò ha fatto sì che il Palazzo Municipale

sia stato sempre al centro dell’attenzione delle Amministrazioni che si

104

ASPa, sezione Gancia, Fondo Sottoprefettura di Cefalù, busta n° 40. 105

Antonino Cicero, Quel milite che sparava… in aria in Espero Rivista del

Comprensorio Termini-Cefalù-Madonie, VI, 65-66-67, Agosto-Ottobre 2012, p. 10

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sono succedute nei decenni. Negli aspetti strutturali il convento-

palazzo ha saputo resistere all’usura dei secoli e dopo l’ intervento di

Salemi-Pace le trasformazioni planimetriche interne sono state

modeste. Il risultato è che oggi Collesano dispone di una prestigiosa

sede municipale, tra le più significative dell’intero comprensorio.

Tuttavia, va rilevata l’ esigenza di operare celermente un restauro

conservativo (varie volte annunziato e non ancora realizzato) dei

prospetti anteriore e posteriore che versano in condizioni di degrado

con vaste aree distaccate o deteriorate oltre a intervenire sull’area di

pertinenza dell’edificio per ridare il giusto lustro e prestigio a uno degli

edifici più rappresentativi della comunità collesanese.

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Ringraziamenti:

Innanzitutto desidero esprimere un doveroso ringraziamento al

Professore Nunzio Marsiglia e l’ architetto Giuseppe Verde per la guida

e i preziosi consigli necessari alla stesura della presente tesi di laurea.

Per la cortese disponibilità intendo inoltre ringraziare il Sindaco di

Collesano Giovan Battista Meli, il Capo dell’ Ufficio Tecnico Comunale

ing. Liborio Panzeca, il geometra comunale Mimmo Signorello,

il sig. Calogero Ciacomarra dell’ Assessorato Comunale alla Cultura,

l’ arch. Franco Cuccia, il Rettore della Chiesa dell’ Annunziata Nuova

Don Vincenzo Corsello.

Per la gentile concessione di alcune fotografie Filippo Gullo e il sig.

Vincenzo Anselmo.

Per il sostegno morale, la pazienza e l’ incoraggiamento costante non

cesserò mai di ringraziare la mia famiglia.