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Tesi di Laurea Triennale di Alberto Giuseppe Schiavon. Copia per Internet. Il testo potrebbe differire dall’originale. Divulgabile liberamente, previa richiesta all’Autore. In caso di divulgazione, non sono comunque ammesse modifiche al presente testo. 1 A due Sorelle, il mio più grande Orgoglio.

Tesi di Laurea Triennale di Alberto Giuseppe Schiavon. … · 2 M.S. Troitsky, Planning and design of Brisges. John Wiley & Sons. 1994. 17 3 ... I ponti a mensola (o Cantilever Bridges)

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divulgazione, non sono comunque ammesse modifiche al presente testo.  

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A due Sorelle,

il mio più grande Orgoglio.

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divulgazione, non sono comunque ammesse modifiche al presente testo.  

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UNIVERSITA’ DEGLI STUDI DI PADOVA

FACOLTA’ DI INGEGNERIA

DIPARTIMENTO DI COSTRUZIONI E TRASPORTI

ANNO ACCADEMICO 2006/2007

La resistenza a fatica nei giunti metallici chiodati.

Laureando: Alberto Giuseppe Schiavon

Relatore: Ing. Carlo Pellegrino

Corelatore: Ing. Alessio Pipinato

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divulgazione, non sono comunque ammesse modifiche al presente testo.  

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INDICE

1. INTRODUZIONE:

1.1 Il ferro come nuovo materiale costruttivo.

Applicazioni sui ponti 3

1.2 Coalbrookdale Bridge (1781) 3

1.3 Eads Bridge (1874) 4

1.4 Forth Brige (1890) 5

1.5 Garabit Viaduct (1880) 7

1.6 Brooklyn Bridge (1883) 8

1.7 Bayonne Bridge (1931) 9

1.8 Viaduc de Millau (2004) 10

1.9 Sintesi 11

2. LA ROTTURA A FATICA:

2.1 Il fenomeno della rottura 13

2.2 La sollecitazione ciclica: la fatica. 14

2.3 Fatica a basso numero di cicli. 16

2.4 Fatica ad alto numero di cicli. Diagramma di Wohler 17

2.5 Metodo del flusso (Rainflow-counting algorithm) 18

2.6 Metodo del serbatoio (Reservoir method) 21

2.7 Regola di Miner (Miner’s rule) 23

2.8 Esempio di applicazione della Regola di Miner 25

3. LA RESISTENZA A FATICA NELLE GIUNZIONI CHIODATE: ASPETTI NORMATIVI:

3.1 La resistenza a fatica 28

3.2 Eurocodice 3, Parte 9. La normativa Europea. 28

3.3 UNI 10011, Capitolo 8. La normativa Italiana. 31

3.4 Norma 44F. La normativa delle Ferrovie dello Stato. 32

3.5 Il British Standard, 5400 Parte 10.

La normativa Britannica. 32

3.6 AREA, AASHTO e AISC. Le normative americane. 34

4. ANALISI DEI DATI SPERIMENTALI:

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divulgazione, non sono comunque ammesse modifiche al presente testo.  

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4.1 Esempio di test per la determinazione di dati

sperimentali. 37

4.2 Fonti dei dati sperimentali. 38

4.3 Rappresentazione dei dati full-scale. 43

4.4 Rappresentazione dei dati small-scale. 56

4.5 Confronto fra le normative. 59

4.6 Confronto fra i dati e le normative. 61

5. BIBLIOGRAFIA COMPLETA. 71

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divulgazione, non sono comunque ammesse modifiche al presente testo.  

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1. INTRODUZIONE

1.1 Il ferro come nuovo materiale costruttivo. Applicazioni sui

ponti.

Data la specificità del tema di cui andremo a trattare, la resistenza a

fatica nei giunti metallici, si vuole presentare una breve cronistoria delle

costruzioni metalliche. L’idea di poter costruire con materiali nuovi e,

nello specifico, con materiali metallici nacque fra gli ingegneri del

diciottesimo secolo in seguito alla rivoluzione industriale, appena sorta

in Inghilterra. Le scoperte fatte in quegli anni facilitavano la produzione

di leghe metalliche, fra cui ferro con tracce di carbonio. Le

caratteristiche fisiche di questo neo-acciaio avranno sicuramente

interessato le menti più ingegnose di quegli anni, che vi avranno visto

una soluzione per molte applicazioni. Questo materiale, molto più

resistente di quelli precedentemente conosciuti, permetteva di costruire

strutture molto più leggere e resistenti di quelle che si costruivano in

passato. Tale resistenza e leggerezza è necessaria nei ponti e, non a

caso, queste furono le prime costruzioni realizzate in ferro. Seguirà una

breve presentazione dei ponti metallici che, maggiormente, hanno

significato un'innovazione sui metodi costruttivi.1

1.2 Coalbrookdale Bridge. (1781)

Robert Stephenson, inventore e costruttore di molte locomotive, fu il

primo costruttore di ponti metallici2. Nella zona definita dagli inglesi

come “Birthplace of the Industrial Revolution”3 (luogo di nascita della

rivoluzione industriale) gli venne chiesto di costruire un ponte per

attraversare il fiume Severn nel villaggio che poi prenderà il nome di

Ironbridge (Ponte di ferro). Tale ponte, conosciuto poi come

Coalbrookdale Bridge, venne inaugurato il 1 gennaio 1781. Questo

ponte ricorda, come tipologia costruttiva, i precedenti ponti ad arco a

                                                            1  Wikipedia, the Free Encyclopedia. en.wikipedia.org/wiki/Industrial_Revolution 2  M.S. Troitsky, Planning and design of Brisges. John Wiley & Sons. 1994.  17 3  Wikipedia, the Free Encyclopedia. en.wikipedia.org/wiki/Ironbridge 

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divulgazione, non sono comunque ammesse modifiche al presente testo.  

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via superiore realizzati però in pietra. Con una campata di circa 30

metri, si alza dal livello del fiume di 20 metri. Comprende circa 800

pezzi fusi riconducibili a 12 tipologie. È formato da due campate

principali accostate e di due campate di avvicinamento, a loro volta

accostate. I piloni che lo sorreggono furono irrigiditi notevolmente per

timore che le vibrazioni dovute al passaggio dei treni potessero creare

dei problemi di stabilità. Il metodo scelto per creare la struttura fu, ad

ogni modo, la carpenteria.

Si usarono giunti a coda di rondine per il telaio e bulloni per fissare le

nervature lungo la parte superiore dell’arco. Ora non più attraversato

dal traffico ferroviario, è diventato patrimonio mondiale dell’UNESCO

dal 1986.4

1.3 Eads Bridge. (1874)

L’evoluzione tecnologica e l’interesse crescente da parte degli ingegneri

aumenta negli anni e, in America, nell’intento di congiungere a St. Louis

il Missouri con l’Illinois (separati dal Mississippi) Eads progetta e poi

realizza un ponte che diventerà il più lungo del mondo (1964 m.)

nell’anno in cui verrà inaugurato. L’Eads Bridge ripropone una serie di

archi a via superiore su tre campate. La campata centrale, lunga circa

                                                            4  M. J. Ryall, G.A.R. Parke, J.E. Harding, Manual of Bridge Engineering. Thomas Telford. 18‐19 

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170m., è affiancata da due campate laterali. Sebbene la tipologia

costruttiva sia per lo più simile al Coalbrookdale Bridge si nota una

tecnica costruttiva più avanzata. Le campate sono, infatti, composti da

due travi tubolari affiancate e collegate da aste diagonali. Le giunzioni,

in seguito, sono realizzate mediante chiodatura. Le varie campate

poggiano su fondamenta in calcestruzzo annegate nel Mississippi. Alto

27 metri dal livello medio del corso d’acqua permette la navigazione

senza impedimenti. Questo ponte rese St. Louis un importante polo

ferroviario e tutt’ora viene sfruttato sia dalle compagnie ferroviarie che

dal traffico automobilistico. (Un interessante aneddoto racconta che una

volta realizzate le due prime campate, il calore del sole le aveva

leggermente dilatate, rendendo impossibile il montaggio della terza ed

ultima campata. Non potendo aspettare, per motivi contrattuali, la

stagione fredda, gli operai coprirono l’impalcato di 45 tonnellate di

ghiaccio e il ponte poté essere completato.)5

1.4 Forth Bridge. (1890)

Venne verso la fine dell’ottocento una nuova interessante tecnica

costruttiva. I ponti a mensola (o Cantilever Bridges) sorreggono

l’impalcato del ponte con uno schema statico a doppia mensola. Da ogni

appoggio (notevolmente rinforzato) partono due mensole lungo la

direzione del ponte che si congiungono a dei tratti di impalcato sospesi,

                                                            5  M.S. Troitsky, idem. 19 

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sorretti agli estremi da queste stesse mensole. Tale schema, è più chiaro

osservando la figura riportata qui di seguito. I due uomini laterali

rappresentano i due piloni i quali sorreggono (come se le loro braccia

fossero mensole) il terzo uomo, in mezzo. Per non sbilanciare i due

“piloni”, questi sopportano anche il carico di un contrappeso esterno.

Il primo esempio di questa tipologia è il Forth Bridge costruito in Scozia

nel 1890. Situato a Edimburgo, attraversa il Firth of Forth, l’insenatura

creata nella costa orientale della Scozia formata dal fiume Forth.

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Avente una lunghezza totale di 2.529 m., il ponte si basa su tre appoggi

costruiti in acciaio e calcestruzzo armato. Ogni appoggio, è costituito da

una torre di cemento armato alta 104 metri sostenuta da aste tubolari a

sezione decrescente. Da lì parte una travatura reticolare per sopportare i

carichi delle mensole con minor sforzo. Gli appoggi agli estremi,

costituiti da una sola mensola, sono dotati di un contrappeso per

riequilibrare gli sforzi nell’incastro della mensola. Il ponte viene tutt’ora

utilizzato dalle ferrovie scozzesi con un traffico di, circa, 190-200 treni

al giorno. 6

1.5 Garabit Viaduct. (1880)

Contestualmente a questo periodo, in Francia, L’ingegnere Gustave

Alexander Eiffel realizza a Ruynes il Garabit Viaduct. Questo ponte deve

permettere il passaggio della linea ferroviaria attraversando il fiume

Truyère nel Massif Central. L’altezza di circa 120 m. sopra il corso

                                                            6  M.S. Troitsky, idem. 20 

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d’acqua avrebbe reso il ponte il più alto del mondo. La struttura può

essere catalogata come ponte ad arco a via superiore.

Il ponte è sorretto, in corrispondenza del passaggio del corso d’acqua da

un arco parabolico lungo 165 m. composto da una struttura reticolare in

acciaio appoggiata sulle fondamenta in calcestruzzo. Oltrepassato il

corso d’acqua, la via ferroviaria continua alla stessa altezza fino al

raggiungimento della quota sull’altra sponda. Tale prolungamento è

sorretto da piloni in acciaio poggianti anche questi su fondamenta in

calcestruzzo. La lunghezza totale del ponte è di 565 m. con un peso di

circa 3600 tonnellate. A causa dei forti venti in quota, è stata anche

progettata una struttura di contenimento della carrozza ferroviaria per

evitare che il treno deragli fuori dal ponte. Anche questo ponte è tutt’ora

attraversato dai treni francesi.7 Durante la notte viene illuminato e, in

queste circostanze, la struttura ricorda molto quella della Tour Eiffel, a

sua volta illuminata di notte.

                                                            7  Llorenç Bonet, Gustave Alexander Eiffel. Teneus (2003). 45. 

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1.6 The Brooklyn Bridge. (1883)

Il Brooklyn Bridge, nella città di New York, ha rappresentato per molti

anni il ponte sospeso più lungo del mondo.

Progettato dall’ingegnere tedesco John Augusts Roebling, questo ponte

serviva a collegare i quartieri di Brooklyn e Manhattan attraversando

l’East River. Questa nuova tipologia di ponte prevede due alte torri di

pietra (distanti circa 300 metri dalle estremità del ponte). Le torri

poggiano su cassoni sommersi grandi come quattro campi da tennis.

Queste torri sono bilanciate ed equilibrate da funi d’acciaio agganciate a

delle calotte alle estremità del ponte stesso mediante piastre immerse

nel granito. L’impalcato è in acciaio ed è sorretto da cavi (aventi

diametro di circa 40 centimetri) che partono dalle torri. Vi sono anche

dei cavi diagonali per evitare gli spostamenti laterali del ponte stesso.

Per la prima volta, l’acciaio dei tiranti è stato galvanizzato con zinco, per

renderlo resistente al vento, alla pioggia e alla neve. Il ponte è lungo

circa 1100 metri e la campata centrale è lunga circa 490 metri. Gli

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elementi essenziali della struttura, si pensa, dureranno per molti altri

anni ancora. Si dice che il singolo fattore che ha influenzato più di ogni

altra cosa la creazione della grande città di New York è stato proprio il

Brooklyn Bridge.8 Il ponte a sei corsie permette il transito veicolare,

ciclabile e pedonale.

1.7 The Bayonne Bridge. (1931)

Il Bayonne Bridge fu costruito nel 1931 seguendo una nuova teoria

innovativa. L’impalcato del ponte su via inferiore è sorretto da un arco

parabolico. Lungo l’arco dei tiranti sorreggono l’impalcato in maniera

continua. Situato fra lo stato di New York e il New Jersey, attraversa il

Kill van Kull.9 Quando venne costruito fu il più lungo ponte metallico ad

arco nel mondo. La lunghezza complessiva è di circa 2630 metri con

un’altezza dall’acqua di circa 46 metri. Poggia su fondamenta in

calcestruzzo armato lungo le sponde del corso d’acqua e si mantiene

alla medesima quota anche dopo il passaggio del Kill van Kull mediante

dei piloni in calcestruzzo armato. Attualmente è attraversato dal traffico

automobilistico con quattro corsie, due per senso di marcia con circa

20.000 veicoli al giorno. Si sono verificati dei problemi nel passaggio dei

mercantili per la relativamente poca altezza dell’impalcato e

probabilmente in futuro si provvederà a mutare il progetto della

campata centrale. L’anno successivo fu inaugurato anche il Sydney

Harbour Bridge, molto simile per struttura e dimensione.10

                                                            8  M. S. Troitsky, idem. 25 9  M.S. Troitsky, idem.  23 10  Wikipedia, the Free Encyclopedia. en.wikipedia.org/wiki/Bayonne_Bridge 

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1.8 Viaduc de Millau. (2004)

Il nuovo viadotto, costruito recentemente secondo il progetto di Lord

Norman Foster, segue il percorso autostradale da Parigi a Montpellier.

Il Viaduc de Millau è un esempio di ponte strallato. L’impalcato è retto

da una serie di tiranti ancorati ai piloni di sostegno. Rispetto ad un

ponte sospeso, i cavi di sospensione non sono ortogonali al piano

dell’impalcato ma hanno un’inclinazione decrescente all’aumentare della

distanza fra il punto di ancoraggio dell’impalcato e il pilone di sostegno.

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I piloni sono, dunque, solamente sollecitati assialmente, poiché le due

campate strallate annullano vicendevolmente i momenti in appoggio.

Tale metodologia costruttiva permette grandi campate. Il viadotto in

questione, infatti, ha una campata massima di circa 340 metri per una

lunghezza totale di circa 2500 metri. L’intero impalcato è sorretto da

sette piloni in calcestruzzo armato, di diversa altezza in relazione alla

conformazione orografica. È il ponte veicolare più alto del mondo, con

l’altezza di circa 340 metri. Il ponte è a quattro corsie autostradali, due

per senso di marcia.11

1.9 Sintesi.

La necessità di oltrepassare una grande luce con un ponte comporta,

inevitabilmente, di dover bilanciare determinati carichi al fine di rendere

meno gravosa la sollecitazione per le strutture caricate di peso proprio e

di peso portato. Il ponte ad arco scarica le tensioni in maniera efficiente

sulle proprie fondazioni ma presenta il problema, sulle grandi campate,

di dover essere molto alto al fine di evitare un eccessivo ribassamento

dell’arco. Qualora l’impedimento da passare non permetta la

costruzione di un arco, o di una serie di archi, si deve ricorrere a

strutture bilanciate come ponti a mensola. Questi, però hanno la

necessità di una consistente rigidità negli appoggi per sopportare i

carichi. La struttura è, pertanto, necessariamente pesante e robusta.

Maggiore leggerezza è tipica dei ponti sospesi i quali, a fronte di

un’importante rigidità agli appoggi, godono di un impalcato, anche

visivamente, più leggero senza perdere la possibilità di avere grandi luci.

Discorso analogo per i porti strallati in cui i tiranti in acciaio, ben più

esili di una travatura reticolare, sorreggono l’impalcato direttamente dai

piloni. Questa ultima soluzione, adattabile a qualsiasi lunghezza di

campata, è la più moderna e determina un minor impatto ambientale.

                                                            11 Arnaud Boucomont. Le Viaduc de Millau, un défi humain une prouesse technologique. Editions Midi Libre Centre Presse Juin 2004 

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Tematica tipica di tutte le tipologie di ponti è la resistenza a fatica.

L’aumento di variazione di tensioni, dovuta al passaggio di veicoli

pesanti, al vento, agli stati di coazione dovuti alle dilatazioni termiche

nonché, in casi eccezionali, da terremoti, comporta una diminuzione

della vita utile dell’opera, in relazione al numero di cicli utili prima che

incorra la rottura per fatica. A prova di questo è anche il fatto che sono

numerose le normative ferroviarie nel mondo a fornire prescrizioni per

la fatica sulla progettazione delle strutture.

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2. LA ROTTURA A FATICA.

2.1 Il fenomeno della rottura.

Qualsiasi materiale, sottoposto a determinate sollecitazioni, rompe. Il

fenomeno della rottura è determinato, nel caso più generico, dalla

disgregazione dei legami chimici che tengono uniti e coesi gli atomi

costituenti il materiale. Ogni fenomeno che tenda a disgregare questi

legami atomici porta, inesorabilmente, alla rottura del materiale. 12

Tale rottura può essere, generalmente, duttile o fragile. Essa è duttile (ad

esempio, nell’acciaio) quando la rottura è preceduta da una notevole

deformazione plastica (cioè irreversibile). È fragile, invece, quando

avviene subito dopo una deformazione elastica (solitamente di piccola

entità e reversibile). Per ragioni di sicurezza, in tutti i materiali da

costruzione è necessario che vi sia una certa duttilità del materiale, per

evitare crolli improvvisi e rovinosi delle strutture.

La tipologia di rottura più “classica” è quella dovuta all’applicazione sul

materiale di forze di un’entità tale da determinare tensioni all’interno

del materiale superiori a quelle che i legami atomici possono

sopportare. La rottura avviene, nei materiali duttili, dopo una notevole

deformazione elasto-plastica. Vengono poi realizzati grafici sperimentali

(Figura 1) in cui si confronta la tensione applicata al materiale con la

deformazione manifestata. Da questi grafici si possono ricavare

parametri utili alla progettazione come la tensione di snervamento (la

tensione che “separa” la deformazione elastica dalla deformazione

plastica) e la tensione ultima di rottura (la tensione dopo la quale si ha

rottura del materiale).13

                                                            12  Wikipedia, l’Enciclopedia libera. it.wikipedia.org/wiki/Rottura 13 G. Ballio, C. Bernuzzi. Progettare costruzioni in acciaio. Hoepli (2006). 2 

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Figura 1: Grafico sperimentale della rottura dell'Acciaio

2.2 La sollecitazione ciclica: la fatica.

Il meccanismo di rottura per fatica consiste nell’applicazione, ad un

determinato corpo, di un carico di tensioni ciclico. Tali tensioni

(eventualmente anche di ampiezza diversa fra loro) sono di entità

inferiore rispetto alla tensione ultima di rottura del materiale. In linea di

principio, poiché la tensione applicata non raggiunge la tensione di

rottura (e nella maggior parte dei casi non supera nemmeno la tensione

di snervamento) non vi è, apparentemente, ragione poiché una serie

ciclica di carichi debba determinare la rottura. Si è quindi ipotizzato che

per una determinata variazione di tensione, vi sia un numero di cicli tali

che, se applicato al materiale, lo porta a rottura.

L’8 maggio 1842 un treno di ritorno a Parigi da Versailles deragliò e si

incendiò. Cinquantatre persone morirono e quaranta persone furono

feriti gravemente. Il deragliamento fu causato dalla rottura dall’asse

della locomotiva. L’indagine di Rankine su assi ferroviari evidenziò

l’influenza della concentrazione degli sforzi e la rottura dovuta a

ciclicità dei carichi.14

                                                            14  J. A. Bannantine, Fundamental of metal fatigue analysis. Englewood Cliffs (1990). 

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Seguirono a questo altri disastri, solitamente su treni o aerei, dovuti alla

fatica. E questo spinse gli ingegneri e gli studiosi dei materiali ad

affrontare il problema della rottura per fatica.

Si comprese che la rottura per fatica era, prettamente, un fenomeno

probabilistico. Il numero di cicli necessari per portare il materiale a

rottura, a parità di carico applicato, varia generalmente fra valori

omogenei. Intuitivamente, si comprese anche che maggiore era lo sforzo

applicato, minore era la vita utile del materiale. Si notò che vi sono

fattori esterni alla ciclicità del carico (come la temperatura) che

influenzano il numero di cicli prima della rottura. Inoltre, la creazione di

micro fratture nel materiale dovute a questi successivi carichi suggerisce

che il danno è cumulativo nel materiale.

Una volta scoperto che vi era una relazione fra le tensioni applicate ad

un corpo e il numero di volte cui è consentito applicare tali tensioni

prima che sopraggiunga la rottura, si osservò che era necessario fare

due trattazioni diverse, distinguendo tra analisi sui corpi che

rompevano prima di 104 cicli e analisi per quelli che rompevano oltre.

Nel caso dei materiali metallici come l’acciaio (di gran lunga il più

importante e il più studiato) la fatica è legata ai fenomeni di micro-

deformazioni plastiche cicliche locali indotte dal ciclo di sollecitazioni.

Esse sono dovute al fatto che, per effetto di vari tipi di microintagli e/o

discontinuità (bordi di grano, inclusioni non metalliche, composti

interstiziali, rugosità superficiali), localmente il valore dello sforzo può

superare il carico di snervamento anche se il carico macroscopico

esterno rimane sempre al di sotto di esso. Il danneggiamento per fatica

procede attraverso tre stadi. Il primo, detto di assestamento micro-

strutturale, ha l'effetto di stabilizzare il ciclo di isteresi plastica della

massa metallica (restringendolo o allargandolo a seconda dei materiali,

se prevale l'incrudimento o l'addolcimento) e, di conseguenza, di

stabilizzare alcune caratteristiche meccaniche e fisiche dello stesso.

Slittamenti "disordinati" dei piani cristallini del metallo si localizzano in

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divulgazione, non sono comunque ammesse modifiche al presente testo.  

19  

bande disposte a 45° rispetto alla direzione dello sforzo applicato,

generando microintrusioni e microestrusioni, che nella successiva fase

di nucleazione andranno a costituire l'innesco del danneggiamento per

fatica. Sul fondo di tali microintrusioni, infatti, gli sforzi risultano

amplificati per effetto d'intaglio cosicché facilmente il materiale in quel

punto cederà e si formeranno delle microcricche. Queste tendono a

riunirsi andando a formare la cricca vera e propria, che si considera

ormai nucleata quando raggiunge la profondità di circa 0,1 mm. Dopo la

nucleazione della cricca, la sua propagazione avviene in maniera

transgranulare (come una frattura fragile) e in senso perpendicolare a

quello del massimo sforzo (non più a 45°); ad ogni ciclo di sforzo la

cricca avanza di un "passo" e lascia a volte tracce caratteristiche, dette

striature. L'avanzare della cricca porta ad una progressiva diminuzione

di sezione resistente: quando questa diventa inferiore alla sezione

critica, si ha la frattura finale di schianto per sovraccarico (statico).15

2.3 Fatica a basso numero di cicli.

Qualora la rottura avvenga prima di 104 cicli, questa rottura per fatica

viene catalogata col termine inglese “Low-cycle fatigue” (fatica per cicli

poco numerosi). In tale tipologia di rottura, le tensioni applicate

superano la tensione di snervamento e pertanto si manifesta una

deformazione plastica del corpo. Tale particolare rottura per fatica,

studiata da Coffin e Manson16, viene solitamente regolata dalla formula:

∆2 2

Dove ∆ 2⁄ è l’allungamento plastico; è una costante empirica

(conosciuta come il coefficiente di duttilità alla fatica); è il numero di

cicli di vita del provino e è una costante empirica (conosciuta come

l’esponente di duttilità alla fatica). La resistenza a fatica a basso numero

                                                            15 Wikipedia, l’Enciclopedia libera. http://it.wikipedia.org/wiki/Fatica 16 D. Sornette, T. Magnin, Y. Brechet. The physical origin of Coffin‐Manson law in low‐cycle fatigue. Europhysics Letters, Vol. 20, p.433 

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di cicli interessa marginalmente il settore delle costruzioni (siano esse

edili, civili o dei trasporti). Questo perché, nella maggioranza dei casi, le

tensioni presenti nelle costruzioni sono al di sotto delle tensioni di

snervamento e, soprattutto, è richiesta una vita utile superiore ai 104

cicli.17

2.4 Fatica ad alto numero di cicli. Diagramma di Wohler.

Ben più interessante per scopi edili e civili, è la rottura a fatica dovuta a

cicli maggiori di 104. Viene chiamata “High-cycle fatigue” (fatica per cicli

molto numerosi). Studiata per la prima volta da Wohler, venne poi

approfondita da Miner. 18 Nella fatica ad alto numero di cicli si arriva a

trattare esperimenti di prove di carico anche per milioni di cicli. (Tale

ciclicità è prettamente riscontrabile in strutture in cui vi siano eventi

ciclici di rilevanti sollecitazioni come, ad esempio, un ponte caricato e

scaricato dai vagoni del treno.)

Wholer ebbe l’idea di confrontare in un grafico (chiamato, oggi,

“Diagramma di Wohler”) la variazione di tensione e il numero di cicli che

un provino sopporta prima della rottura ad una determinata probabilità.

Tale diagramma ha gli assi in scala logaritmica. (Figura 2). La

costruzione di questo diagramma avviene ricostruendo in laboratorio un

determinato ciclo di sollecitazione con una determinata ampiezza e

applicandolo ad un elevato numero di provini. Data la natura

probabilistica del fenomeno, essi, pur sottoposti allo stesso carico, non

si romperanno tutti dopo lo stesso numero di cicli, ma si avrà una

dispersione dei risultati. L'esperienza dimostra che tale dispersione

avviene secondo una distribuzione normale. In seguito, si ripete la

stessa serie di esperimenti a diversi valori della tensione. La curva che

congiunge tutti i valori medi delle distribuzioni normali è la curva di

Wohler al 50% di probabilità di rottura. Naturalmente, si possono

costruire curve a qualsiasi probabilità, congiungendo anziché i punti dei                                                             17 J. A. Bannantine. Fundamental of metal fatigue analysis. Englewood Cliffs (1990). 18  S. P. Timoshenko. History of the Strength of Materials, Dover (1983), 167 

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valori medi quelli che corrispondono a tale valore di probabilità. 19

Valutando questi punti trovati con assi in scala logaritmica, si nota che i

punti si dispongono lungo una retta ideale decrescente. Questo vale per

la maggioranza delle variazioni di tensioni. Si studiò, invece, che al di

sotto di una certa variazione di tensione non vi è più evidenza di una

rottura per fatica.20

 

Figura 2: Diagramma di Wohler al 50% di probabilità.

Le “curve S-N” del diagramma di Wohler sono state definite nel corso

degli ultimi cinquant’anni per le varie tipologie di materiali e per le

diverse tipologie di giunzione di questi stessi materiali. Ogni normativa,

in relazione a precise esperienze sperimentali, ha definito particolari

curve per diverse tipologie di dettaglio.

2.5 Metodo del flusso (Rainflow counting algorith).

I Diagrammi di Wohler determinano i cicli di vita di un corpo in

relazione ad una ed una sola determinata variazione di tensione. È assai

poco frequente in natura trovare che un corpo sia sollecitato

esattamente da due sole tensioni, da cui si possa ricavare una differenza

                                                            19 J. A. Bannantine, Fundamental of metal fatigue analysis. Englewood Cliffs (1990). 20 S. P. Timoshenko. Ibidem. 

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di stress. Nella più generica situazione la variazione di tensioni in un

corpo è variegata e variabile durante la sua vita.

È stato dunque studiato, sperimentato e qui riproposto, un algoritmo

per ottenere, da uno spettro di tensioni variabili nel tempo, un ciclo di

tensioni uniformi. Coloro che lo definirono furono gli ingegneri Tatsuo

Endo e M. Matsuiski. Il nome dell’algoritmo consiglia nelle linee guida

quale sia il suggerimento da seguire. (Rainflow significa “flusso di

pioggia”).

Si farà un breve esempio delle procedure da seguire per la

determinazione, a partire da uno spettro di tensioni qualsiasi, uno

spettro di tensioni uniforme.

Si abbia il seguente spettro di tensioni (vi sono presenti sia trazioni

positive che compressioni, negative) in funzione del tempo. (Errore. 

L'origine riferimento non è stata trovata..)

 

Figura 3: Spettro di tensioni

Si ruoti di 90° lo spettro in modo di avere l’asse del tempo parallelo ad

un’ipotetica gravità. (Errore. L'origine riferimento non è stata trovata.).

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23  

 

Figura 4: Spettro di tensioni ruotato.

Si immagini che lo spettro di tensioni sia una struttura rigida, come la

copertura di una pagoda (…un po’ di fantasia!) Si immagini che ogni

picco di trazione sia una fonte di acqua che goccioli pioggia.

Semplicemente studiando le terminazioni della pioggia, si conti il

numero di semi-cicli che: 

- Raggiungono la fine dello spettro studiato;

- Convergono in un flusso che comincia da un precedente picco di

tensioni;

- Convergono di fronte ad un picco di tensioni di entità maggiore.

Si ripeta il conto appena fatto anche per i picchi di compressione. (Errore. 

L'origine riferimento non è stata trovata..)  

 

Figura 5: Spettro per le compressioni

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Si assegni una grandezza ad ogni semi ciclo pari alla differenza di

tensione fra il suo punto di inizio e il suo punto finale.

Si accoppino i semi-cicli di uguale grandezza (ma di diverso segno) per

contare il numero di cicli completo. Normalmente, vi sono dei semi-cicli

residui.

(Ad esempio, in Errore.  L'origine  riferimento non è  stata  trovata., il semi-ciclo (A)

parte dal picco di tensioni (1) e termina oltre un picco di tensioni

maggiore, il picco (2). La sua ampiezza è dunque di 16MPa. Il semi-ciclo

(B) parte dal picco di tensioni (4) e termina dove viene interrotto da un

flusso proveniente da un picco “precedente” (3). Il semi-ciclo (C) parte

dal picco di tensioni (5) e termina alla fine dello spettro. Eseguendo

l’algoritmo anche per le compressioni e sistemando l’accoppiamento dei

semi-cicli si ottiene un determinato numero di cicli, e la relativa

ampiezza di stress.)21

Il seguente algoritmo è stato di recente implementato in alcuni software

di ingegneria e pertanto risulta molto semplice e veloce, partendo da

uno spettro anche molto lungo, avere una serie di cicli di uguale

ampiezza.

2.6 Metodo del serbatoio (Reservoir method).

Il metodo del serbatoio, sostituito nel 2004 dall’algoritmo del Rainflow,

rimane tutt’ora un buon riferimento per risolvere problemi analoghi a

quelli del Rainflow. Il metodo del serbatoio, inoltre, viene consigliato

anche dalla normativa italiana (CNR-UNI 10011 capitolo 8.4.2, pag. 60).

Viene qui presentato un riassunto della procedura da seguire. (Figura 6.)

Il diagramma dell’andamento nel tempo delle tensioni relative ad un

elemento viene considerato come profilo del fondo di un serbatoio

pieno di acqua. I parametri estremi sono costituiti dal tratto che

converge verso il punto di massimo assoluto del diagramma (A) e da un

                                                            21 Wikipedia, the Free Encyclopedia. en.wikipedia.org/wiki/Rainflow‐counting_algorithm 

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tratto corrispondente, reale o fittizio, posto al termine del diagramma

stesso. La determinazione dei vari cicli in cui si scompone il diagramma

e le variazioni di tensione relative si effettua con le seguenti modalità. Si

immagina di svuotare il serbatoio scaricando dal punto più basso (D), al

vuoto di acqua che si forma corrisponde il primo ciclo e la variazione di

tensione ad esso relativo è la discesa di livello DD’. Si formano

corrispondentemente dei bacini secondari semplici o multipli: i bacini

multipli, come quello che ha i vertici in (F) e in (H), vengono svuotati a

partire dal loro punto più basso (in questo caso da F) ed al vuoto

d’acqua da esso lasciato si fa corrispondere il secondo ciclo con campo

di variazione di tensioni FF’. I bacini semplici, come quelli che hanno i

vertici in (B) e in (H), vengono svuotati e danno luogo ciascuno ad un

ciclo avente come campo di variazione delle tensioni l’altezza del bacino

stesso (BB’ e HH’).22

 

Figura 6: Spettro delle tensioni col metodo del serbatoio

Vi sono dei programmi numerici al calcolatore che implementano gli

algoritmi appena presentati e risolvono in pochissimi secondi spettri di

tensione anche molto complessi e lunghi nel tempo. Viene presentato il

risultato di uno spettro analizzato con ETBX. (In Figura 7 si nota lo

                                                            22 CNR‐UNI 10011. Capitolo 8.4.2. 60. 

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26  

spettro fornito dal laboratorio o dal progettista. In Figura 8 vi è il

risultato dell’implementazione con i vari cicli e le relative tensioni.)23

 

Figura 7: Spettro fornito dal laboratorio.

 

Figura 8: Spettro rielaborato con ETBX.

Partendo dallo spettro di laboratorio, caratterizzato da notevoli cicli di

ampiezze molto diverse tra loro, si giunge allo spettro rielaborato. In

questo risulta diviso l’intero spettro in cinque diversi cicli, ognuno di                                                             23 ETBX. Engineers Toolbox calculation module. http://www.engrasp.com/doc/etb/mod/fm1/miner/miner_help.html 

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27  

questi con variazioni di tensioni costanti. Per ogni sequenza, si può

facilmente ricavare il numero di cicli cui è sottoposta, e la differenza di

tensione è facilmente calcolabile mediante differenza della tensione

massima e della tensione minima.

2.7 Regola di Miner (Miner’s rule).

Tale regola, definita da Miner nel 1945, fu proposta, in termini analoghi,

da Palmgren nel 1924. (Talvolta, infatti, si trova definita come la regola

di Palmgren-Miner.24) Oggi è usata universalmente per una valutazione

del danno subito da un provino, soggetto a vari cicli di determinate

variazioni di tensione.25 Si supponga che un provino possa sopportare

solamente un certo quantitativo di danno . Se questo provino viene

sottoposto a sollecitazioni che provocano danni < (con

1, … , ), ci si aspetta che la rottura avvenga quando si verifica che:

Oppure, in maniera equivalente, quando si verifica che:

1

La seconda equazione suggerisce l’idea di poter esprimere il danno che

una certa sollecitazione reca, in relazione al rapporto con il danno che

determina la rottura del provino. Possiamo usare questa teoria lineare di

danno per considerare il caso in cui, come accade nella fatica, un

provino sia sottoposto a cicli con relativa variazione di tensione ∆

(con 1, … , ). Abbiamo facilità ad ottenere questi dati applicando o

l’algoritmo del Rainflow o il metodo del Serbatoio. In seguito possiamo

trovare nei diagrammi di Wohler, sulle curve S-N, il corrispondente

numero di cicli di rottura ( ) per la variazione di tensione ∆ . È

                                                            24 Wikipedia, the free Encyclopedia. en.wikipedia.org/wiki/Fatigue_(material) 25 Iowa State University, Palmgren‐Miner Rule. 

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28  

ragionevole pensare, per quanto appena detto, che il danno provocato

dalla sollecitazione ∆ sul provino sia proprio ⁄ . Pertanto, la regola

di Miner dice che la rottura per fatica del provino avviene quando:

1

Graficamente, questa regola può essere interpretata come uno

spostamento della curva S-N di riferimento del provino. Ad esempio,

vengono applicati ad un provino cicli (dove è il numero di cicli a

rottura) con un carico di ∆ . La curva S-N viene spostata quindi verso

sinistra sul nuovo valore . (Figura 9)

 

Figura 9: Spostamento della curva S-N

Vi è anche una versione, proposta da Richard and Newmark, in cui il

danno non è lineare26. Secondo questa teoria si ha che:

; 0 1

Secondo questa teoria, se 1 (che ricondurrebbe alla regola di Miner),

il danno procurato è maggiore rispetto a quello della regola di miner.

                                                            26 ETBX, Engineers Toolbox, Miner’s rule. 

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29  

Tale formulazione viene impiegata qualora vi siano condizioni di alte

temperature, in cui vi è un’interazione fra la rottura a fatica e la rottura

per creep. viene determinato con studi di laboratorio ed è funzione di

più parametri, fra cui la temperatura.27

Poiché le costruzioni sono soggette ad altissime temperature solo in

caso di incendio e poiché è molto improbabile che, durante un incendio,

la rottura avvenga per fatica, nel calcolo della resistenza alla fatica delle

costruzioni si usa la teoria di danno lineare esposta da Miner.

2.8 Esempio di applicazione della Regola di Miner.

Per facilitare la comprensione dell’utilità della regola di Miner il calcolo

della resistenza a fatica, si presenterà un esempio di applicazione della

regola. Si immagini che un provino abbia ricevuto un determinato

spettro di carico che sia riassumibile (mediante uno degli algoritmi

sopra presentati) nella seguente tipologia di carico:

Variazione di tensione a

cui sono sottoposti i

provini. ( )

Numero di cicli a cui

sono sottoposti i

provini.

Numero di cicli

necessari per la

rottura.

100 400.000 1.000.000

50 800.000 10.000.000

150 50.000 290.000

(il numero di cicli necessari per portare il provino a rottura è stato

calcolato secondo i parametri espressi dall’Eurocodice 3, ma si può fare

con qualsiasi altra normativa).

Si vuole, ora, calcolare il numero di cicli, prima che avvenga rottura, per

una variazione di tensione pari a ∆ 75 . (se il provino non avesse

subito i precedenti carichi resisterebbe a 2.650.000).

                                                            27 ETBX, idem. 

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Secondo la regola di Miner, si ha che:

2.650.000400.000

1.000.000 800.000

10.000.00050.000

290.000 1

2.650.000 1 0.65 0.35

920.000

Si può ricavare la formula in via generica, ottenendo:

1

1

E, applicandola al nostro caso, ritroviamo:

1 920.000

In questa maniera si può valutare la resistenza a fatica (secondo una

qualsiasi normativa) semplicemente conoscendo la storia di carico

precedentemente avvenuta. Tale storia di carico può essere facilmente

ottenuta da uno degli algoritmi sopra esposti.

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31  

3. LA RESISTENZA A FATICA NELLE GIUNZIONI CHIODATE: ASPETTI

NORMATIVI.

3.1 La resistenza a fatica.

È necessario, dunque, essere in grado di determinare se vi possono

essere dei pericoli di rottura per fatica. Essa risulta abbastanza insidiosa

perché si presenta con sollecitazioni sempre al di sotto di quelle di

rottura. Ogni normativa, pertanto, presenta dei criteri per la

determinazione della vita a fatica di una costruzione in relazione a

parametri quali la vita utile della costruzione, la variazione di tensione

massima, etc. Ogni normativa fornisce anche delle curve S-N

determinate in maniera empirica su cui valutare il numero di cicli che

può sopportare un determinato dettaglio. Verranno presentate, in

questo capitolo, le più importanti normative e in che maniera queste

propongono la soluzione del problema allo studio. Nel prossimo

capitolo verranno analizzati dei dati sperimentali per valutare quali di

queste normative siano le più cautelative. Verrà trascurata la

determinazione della tensione in un giunto a partire da sollecitazioni

esterne.

3.2 Eurocodice 3, Parte 9. La normativa europea.

La determinazione della resistenza a fatica nell’Eurocodice 3 (da qui in

seguito chiamato EC3) prevede che siano, innanzitutto, rispettati i

principi validi per gli altri stati limite. In seguito, tutte le sollecitazioni

nominali dovranno risultare all’interno dei limiti elastici del materiale. È

inoltre richiesto che le strutture siano adeguatamente protette contro la

corrosione, in cui siano soggette esclusivamente a condizioni moderate

di aggressività ambientale, quali le normali condizioni atmosferiche. Per

quanto visto al capitolo 2 in merito alla legge di Miner, la temperatura

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32  

non deve oltrepassare i 150°C. La valutazione della resistenza a fatica è

necessaria solo in alcuni casi:28

a) Elementi che sorreggono dispositivi di sollevamento o carichi

mobili;

b) Elementi sottoposti a cicli ripetuti di sollecitazioni prodotte da

macchine vibranti;

c) Elementi soggetti a vibrazioni indotte dal vento;

d) Elementi soggetti a vibrazioni indotte dalla folla;

Ad ogni modo, non vi è comunque necessità della verifica di resistenza a

fatica quando siano rispettate una delle seguenti condizioni:

a) Il campo ∆ soddisfa la condizione: ∆ 26 ⁄ ;

b) Il numero totale di sollecitazioni ( ) soddisfa la condizione:

2 1036

c) Un dettaglio, per il quale è specificato un limite di fatica ad

ampiezza costante ∆ , soddisfa la condizione:

∆∆

La resistenza a fatica è definita da una serie di curve S-N logaritmiche

log ∆ - log . (i logaritmi da qui in avanti saranno tutti in base 10).

Tali curve sono definite dalla seguente equazione:

log log log ∆

Queste curve si differenziano in relazione alle categorie di dettaglio cui

fanno riferimento. (Errore.  L'origine  riferimento  non  è  stata  trovata.). Per ogni

dettaglio, si avrà un parametro di log variabile. Non vi è una categoria

di dettaglio esclusiva per i giunti chiodati. Pertanto essi sono fatti

                                                            28 EC3. Parte 9. Capitolo 9.1.4. 171 

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33  

rientrare nella categoria di dettaglio (80) dei giunti bullonati senza

preserraggio. (la categoria è stata evidenziata in rosso in Errore.  L'origine 

riferimento  non  è  stata  trovata.. Il valore di varia in relazione al numero di

cicli. Prima di 5 milioni di cicli esso vale 3, per un numero di cicli

superiori 5.

 

Figura 10: Curve di resistenza nell'Eurocodice 3

La curva di dettaglio 80 ha l’equazione:

Per log

5 10 12,001 3 log ∆

5 10 10 15,536 5 log ∆

10 ∞; ∆ 32

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34  

3.3 CNR UNI 10011, Capitolo 8. La normativa italiana.

La verifica a fatica di una struttura, seguendo la normativa italiana, deve

essere effettuata considerandola relativa ad uno stato limite di esercizio.

Essa è meno approfondita dell’EC3 e prevede meno restrizioni. È

richiesta solo quando è soddisfatta una di queste condizioni:

a) ∆ 26 o ∆ ∆

b) 10

Fra le categorie di dettaglio non saldate, le unioni bullonate preserrate,

non preserrate e le unioni chiodate sono in un'unica categoria (la 140)

evidenziata in rosso in Errore. L'origine riferimento non è stata trovata..

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35  

 

Figura 11: Curve S-N nella normativa italiana

Anche la curva della normativa italiana prevede un doppio cambio di

pendenza (con pendenza pari a 3 fino a 5 milioni di cicli, pendenza

5 fino a 100 milioni di cicli e pendenza orizzontale oltre tale valore

di ). Nei successivi capitoli, la presente normativa verrà, talvolta,

disegnata con un segno tratteggiato, per ricordare che essa è stata

ritirata e non è più normativa di riferimento. Essa è stata infatti

sostituita dal Testo Unico, il quale rimanda alla normativa europea

(L’Eurocodice 3)

3.4 La norma 44F, la normativa delle Ferrovie dello Stato.

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divulgazione, non sono comunque ammesse modifiche al presente testo.  

36  

La norma delle Ferrovie dello Stato Italiano segue, per certi versi la

normativa italiana. Essa si riferisce, però, solamente a costruzioni

ferroviarie per il passaggio di treni. Nell’eseguire le verifiche a fatica

dovranno considerarsi le azioni prodotte da carichi accidentali, effetti

dinamici e la forza centrifuga o azione laterale. Influenzano la

determinazione per la resistenza a fatica anche fattori fin’ora non

analizzati come, ad esempio, il volume di traffico, le tipologie di treno e

la vita del progetto. La norma presenta due metodologie per la

determinazione della resistenza a fatica. La prima è perfettamente

sovrapponibile a quella della normativa italiana (e dunque non sarà

ripetuta nella trattazione). Il secondo è un metodo semplificato

(chiamato metodo dei “ ”) ma esso, poiché dipendente dai fattori

appena elencati, non è confrontabile con quelli delle altre normative.

Pertanto, in questo studio, la norma 44F verrà sottoposta comunque

all’analisi, ma verrà accostata alla normativa italiana.29

3.5 Il British Standard, 5400 Parte 10. La normativa

britannica.

La parte 10 del British Standard analizza il problema della fatica nelle

strutture in acciaio. Presenta una prima parte, che noi per brevità non

tratteremo, in cui si facilita il calcolo delle variazioni di tensione su una

costruzione viaria in acciaio in relazione al numero di anni di servizio

(normalizzati sempre a 120 anni) e il flusso di traffico. (Questo volume

di traffico dipende, poi, dalla tipologia di traffico attraversante). Si

effettua, poi, una serie di combinazioni di carichi in cui si evidenziano

più variazioni di tensioni. Queste, mediante la regola di Miner, vengono

studiate su curve S-N. (Nel caso si possegga lo spettro di tensioni, anche

il British Standard propone il metodo del serbatoio per la

determinazione dei vari cicli e delle relative variazioni di tensione). Per

quanto riguarda le giunture, vi sono degli schemi per catalogare le varie

                                                            29 Istruzione n. 44F. Pagina 11. 

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divulgazione, non sono comunque ammesse modifiche al presente testo.  

37  

tipologie di giunto. Viene presentato lo schema per le giunture non

saldate. (Figura 12.)

 

Figura 12: Schema del BS per la catalogazione delle giunture non saldate

Si noti che le curve S-N nel diagramma di Wohler, diversamente da

quelle già viste, hanno valore iniziale pari a 10 . (In Figura 13 è

evidenziata in rosso la curva per il dettaglio chiodato). La normativa

britannica, inoltre, è l’unica normativa che non prevede alcun cambio di

pendenza. La cosa è singolare poiché, così facendo, ammette la rottura a

fatica a qualsiasi variazione di tensione. Tutte le altre normative, invece,

per variazioni di tensione basse o molto basse rilevano che non vi è

rottura per fatica. Purtroppo è difficile determinare quale sia la scelta

migliore perché, per farlo, avremmo bisogno di test effettuati su

centinaia di milioni o addirittura miliardi di cicli e la cosa richiederebbe

un grande investimento e una grande attesa nei risultati. Un’altra

particolarità della normativa britannica è che le rette non sono tutte

parallele fra loro (cosa che, invece, è tipica di tutte le altre normative).

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38  

 

Figura 13: Curve S-N nel BS

3.6 AREA, AASHTO e AISC. Le normative americane.

Verranno qui esposte le normative Americane per le costruzioni.

Analogamente a quanto visto in Europa, anche qui vi sono normative

generali sulle costruzioni ed altre, specifiche, sulle costruzioni per

trasporti. Data la difficile reperibilità delle loro normative in Europa,

riportiamo solamente una breve presentazione delle loro pubblicazioni e

le loro curve S-N relativamente alle giunzioni chiodate. (Figura 14.)

L’AASHTO (American Association of State Highway and Transportation

Officials) è un’associazione che si occupa di fornire dei protocolli e linee

guida ai progettisti per le costruzioni di tutte le strutture collegate al

trasporto viario, ferroviario, aereo e marino degli Stati Uniti d’America.

Fra le sue numerose pubblicazioni, troviamo anche gli studi sulla fatica

di strutture viarie. Tale associazione designa le giunzioni chiodate nella

categoria D, in cui a 2 milioni di cicli la variazione di tensione di rottura

è 71MPa. La pendenza della retta è (come anche nell’EC3) di 3.

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divulgazione, non sono comunque ammesse modifiche al presente testo.  

39  

L’AREA (American Railway Engineering Association) è un’associazione

Americana che si occupa della diffusione di criteri di progettazione (fra

cui per la sicurezza a fatica) e di design per le strutture ferroviarie del

Nord America. È l’analogo della Norma 44F in Italia. Le sue pubblicazioni

riguardano esclusivamente il ramo delle costruzioni ferroviarie. In

merito alla fatica, forniscono dei grafici con più curve S-N in funzione

del particolare di dettaglio. Essa, come vedremo, sarà la normativa più a

favore di sicurezza. Probabilmente proprio per il fatto di garantire una

certa affidabilità alle ferrovie Americane. (Gran parte dei disastri dovuti

a rottura per fatica riguardano, infatti, costruzioni ferroviarie).

L’AISC (American Institute of Steel Costruction) è l’istituto Americano

che provvede alle norme sulla progettazione delle costruzioni in Acciaio.

È l’analogo dell’Eurocodice 3 in Europa. Pubblica, quindi, manuali sul

dimensionamento delle strutture. In merito alla resistenza a fatica delle

giunzioni in acciaio, non fornisce curve S-N ma prescrive delle

condizioni sulla sezione da rispettare. Imponendo, su più tabelle, i

parametri di durabilità della costruzione, della tipologia di giunzione e

della variazione di carico si ottengono delle prescrizioni sull’ampiezza e

sulla forma della sezione. (Spesso risulta che la sezione scelta per il

giunto per la resistenza ai carichi permanenti soddisfi già i parametri di

resistenza alla fatica). Risulta pertanto inconsistente e difficile un

confronto fra questa normativa e le altre.

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Figura 14: Curve S-N delle normative AREA e AASHTO

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4. ANALISI DEI DATI SPERIMENTALI.

4.1 Esempio di test per la determinazione di dati

sperimentali.

Facendo riferimento a numerose prove a fatica, ci sembra coerente

presentare lo svolgimento di un test, come esempio. Il test che verrà qui

presentato si sta svolgendo presso il laboratorio del Dipartimento di

Costruzioni e Trasporti dell’Università di Padova. La prova viene

effettuata su di una trave proveniente da un ponte in acciaio dismesso

dalle Ferrovie dello Stato. Questa trave viene vincolata alle estremità in

semplice appoggio. A mezzeria della trave viene posto un attuatore che

ha la funzione di variare il carico applicato alla trave. Tale carico

determina un diagramma del momento flettente triangolare. Dai

diagrammi ottenuti (uno dovuto al carico maggiore e uno dovuto al

carico minore) si procede a calcolare la variazione massima di tensione

nella sezione di mezzeria (quella più maggiormente sollecitata). Noto

quindi il ∆ a cui viene sottoposto il provino, si procede alla

determinazione, empirica, del numero di cicli necessari per portare la

trave a rottura. Tale esempio può venire applicato alle più svariate

tipologie di provini, siano essi full-scale (come in questo caso) che small-

scale. Si intuisce che i test a fatica sono, generalmente, molto lenti.

Ipotizzando, infatti, una frequenza di carico di 1Hz, per ottenere il dato

relativo ai 2 milioni di cicli sono necessari più di 23 giorni ininterrotti

per terminare il test. In Figura 15 è fotografata la trave sopra citata. Si

possono notare, alle estremità, gli appoggi. L’attuatore, cioè lo

strumento che imprime il carico sulla trave, è appoggiato in mezzeria

sotto la trave stessa. Questa scelta è dovuta al fatto che l’attuatore,

collocato in questa posizione, esprime un carico dal basso verso l’alto la

trave è stata appoggiata “rovescia”. Si riesce pertanto, con questo

artificio, a simulare il passaggio di un treno e la relativa variazione di

tensione (nello schema descritto, il passaggio del treno avverrebbe sotto

la trave).

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42  

 

Figura 15: Trave su cui viene effettuato il test d'esempio.

4.2 Fonti dei dati sperimentali.

I dati sperimentali sulla fatica, che verranno presentati qui in seguito,

provengono da fonti diverse. In molti casi, ma non in tutti, i provini

testati erano presi da una struttura che era stata realmente in servizio

per molti anni. Molti provini, ma non tutti, sono stati testati con una

variazione di tensioni costante. Gli altri provini sono stati sottoposti a

diverse variazioni di tensione, uniformate con i metodi descritti nei

capitoli precedenti. I primi dati che verranno proposti al lettore sono

stati effettuati con provini “full-scale”. Tali test consistevano

nell’estrarre dalla struttura, da cui proveniva il materiale allo studio, una

parte integrale di essa (non vi sono, in pratica, riduzioni di sezione per

un test più “veloce”). Verranno poi analizzati i risultati di test condotti

su provini “small-scale”, cioè provini in cui è stata modificata la

struttura, la geometria o la sezione di partenza per facilitare la

determinazione delle tensioni, per “accelerare” il fenomeno, o per

aggirare problemi tecnici dovuti ai macchinari impiegati. In tutti i casi, i

ricercatori hanno verificato che la precedente storia di carico dei provini

era trascurabile per la verifica a fatica oppure essa è stata valutata per la

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divulgazione, non sono comunque ammesse modifiche al presente testo.  

43  

determinazione del numero di cicli. Seguirà qui una breve descrizione

delle serie di test dalle varie fonti:

• Reemsnyder (1975): questi erano “full-scale” test. La struttura in

esame era un ponte di scarico di minerali e il dettaglio critico era

un tirante che la collegava ad un piatto rinforzato. (Figura 16). Di

particolare interesse sono cinque risultati di prove derivanti da

provini che erano stati fabbricati per Reemsnyder. Queste prove

furono condotte con una ben determinata variazione di carico

assiale.30 

• Baker e Kulak (1982): anche queste prove furono “full-scale” e

provennero da un componente di un tirante di un ponte su

un’autostrada. (Errore.  L'origine  riferimento  non  è  stata  trovata.). Le prove

furono fatte in maniera tale che non vi fosse nessuno sforzo di

taglio su ogni chiodo e, inoltre, il momento flettente sulla sezione

era trascurabile. 31

                                                            30 H. S. Reemsnyder. “Fatigue life extension of riveted connections” (1975) 31 K.A. Baker, G. L. Kulak. “Fatigue strength of two steel details”. (1982) 

Figura 16: Dettaglio studiato da Reemsnyder.

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Figura 17: Tiranti usati da Baker e Kulak

• Out et al. (1984): furono delle prove a flessione condotte su travi

longitudinali di ferrovia collegate ad una piastra con un angolare.

Il dettaglio critico era il giunto continuo chiodato fra la piastra e

l’angolare. Il test fu condotto in una sezione in cui il momento

flettente poteva considerarsi costante. Alcuni dati che si

riferiscono a rotture dovute a corrosione non sono stati qui

riportati.32

• Fisher et al. (1987): Anche qui i test furono condotti su travi

longitudinali di ferrovia, in cui l’angolare era chiodato su di una

piastra, testata a flessione. L’influenza della corrosione e della

temperatura fu ritenuta molto bassa per le prove. La

configurazione era molto simile a quella testata da Out nel 1984

tranne che era presente un coprigiunto chiodato anche sull’altro

ramo dell’angolare.33

                                                            32 J.M.M. Out, J.W Fisher, B.T. Yen. “Fatigue strength of weathered and deteriorated riveted members” (1984) 33 J.W. Fisher, B.T. Yen, D. Wang , J.E. Mann. “Fatigue of riveted tension members”.(1987) 

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divulgazione, non sono comunque ammesse modifiche al presente testo.  

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• Bruhwiler et al. (1990): I test furono condotti su travi principali di

un ponte ferroviario dotate di un doppio coprigiunto chiodato.34

• Mang e Bukak (1991): I test furono condotti su varie tipologie di

provini prelevati da diversi ponti ferroviari della Germania

antecedenti al 1880. (Errore. L'origine riferimento non è stata trovata..)35

 

Figura 18: Il ponte "Museumsbahn"

• ATLSS (1993): I test furono condotti su travi secondarie di ponti

ferroviari in cui gli angolari venivano chiodati ad una piastra. Il

dettaglio critico era la connessione chiodata continua in

corrispondenza dell’angolare.36

• Adamson e Kulak (1995): Furono condotti dei test a flessione su

travi secondarie di ponti ferroviarie. La configurazione era molto

simile a quella già descritta per i precedenti dati provenienti da

ATLSS. Il dettaglio critico era un rinforzo orizzontale chiodato alla

flangia in trazione.37

• Di Battista e Kulak (1995): Travi diagonali provenienti da un ponte

a travatura reticolare furono testati a trazione. Nel grafico si

catalogano due tipologie di dati. I dati TD fanno riferimento al

giunto chiodato posto sulla flangia superiore della trave. I dati BD                                                             34 E. Bruhwiler, I.F.C. Smith, M.A. Hirt. “Fatigue and fracture of riveted bridge members”. (1990) 35 F. Mang, O. Bukak. “Remaining fatigue life of old steel bridges‐Theoretical and Experimental Investigation on railway bridges. (1991) 36 ATLSS (Center for Advanced Technology for Large Structural Wystem) “Assessment of remaining capacity and life of riveted bridge members” (1993) 37 D.E. Adamson, G.L. Kulak. “Fatigue test of riveted bridge girders” (1995) 

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fanno riferimento al giunto chiodato posto sulla flangia inferiore.

La distinzione è stata fatta poiché l’area netta della sezione è stata

calcolata in maniera diversa. La sezione, infatti, era composta da

quattro angolari collegati ad una piastra piana (l’anima). Il

dettaglio critico era la giunzione fra gli angolari e la piastra.38

• Akesson e Edlund (1996): Furono condotti test a flessione su travi

secondarie di un ponte ferroviario in cui gli angolari erano

chiodati all’anima. Il dettaglio critico era la connessione continua

fra gli angolari e l’anima.39

• Helmerich et al. (1997): furono condotti sia test a flessione che a

trazione su di un componente di una travatura reticolare. Il test a

flessione fu fatto su travi in cui le ali erano dotate di doppi

coprigiunti.40

Vengono poi presi in esame 66 punti ricavati da small-scale test. Questi

dati sono stati ricavati in laboratorio dai ricercatori: Mang et al.,

Forsberg, Abe, Xiulin e Figueiredo. I test sono stati effettuati su provini

di laboratorio opportunamente scelti per geometria e schema di carico.

Il materiale proveniva, tuttavia, da componenti di travi realmente

impiegate in costruzioni. I test effettuati con provini rielaborati nella

loro geometria, rischiano di presentare effetti di sovratensione (o di non

presentarli) diversi da quelli incorrenti nelle geometrie effettivamente

impiegate in sito. Vi è, inoltre, difficoltà nel trovare un’uniformità (a

livello geometrico e della storia di carico) fra tutti i provini small-scale.

Queste difformità, seppur presenti anche nei dati full-scale, risultano

molto più influenti in questi provini per le ridotte dimensioni degli

stessi. Le travi prese nel loro complesso, usate nei test full-scale,

presentano delle affinità e delle uniformità geometriche ben più

rilevanti rispetto alla seconda tipologia di test. Il vantaggio di impiegare

                                                            38 J.D. Battista, G.L. Kulak. “Fatigue of riveted tension members” (1995) 39 B. Akesson, B. Edlund. “Remaining fatigue life of riveted railway bridges” (1996) 40 R. Helmerich, K. Brandes, J. Herter. “Full scale laboratory fatigue tests on riveted railway bridges” (1997) 

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provini small-scale in laboratorio è, soprattutto, nel poter maneggiarli

più facilmente e di necessitare di strumenti meno ingombranti per

effettuare la prova. Sarà quindi interessante, dunque, determinare il

comportamento relativo dei provini small-scale rispetto a quelli full-

scale. Tale confronto è per valutare se la convenienza ad usare provini

small-scale non influisca in maniera eccessiva nei risultati di resistenza

alla fatica.

4.3 Rappresentazione dei dati full-scale.

Nell’analisi vera e propria dei dati, le due tipologie di prove (full e small-

scale) verranno tenute indipendenti, per poter trarre delle conclusioni

adattate a ciascuna delle due tipologie. Verranno analizzati prima i dati

full-scale. Questi, ottenuti nelle maniere esposte nel capitolo precedente,

prima di essere confrontati con le curve S-N di resistenza, verranno

inoltre analizzati in maniera isolata per, eventualmente, trarre delle

considerazioni indipendenti dalle normative sulla loro affidabilità. La

totalità delle prove full-scale sono state quindi riportate sul grafico in

Figura 19. Qui di seguito verranno valutati i 93 punti del grafico per un

analisi statistica, al fine di verificare una certa coerenza con la teoria

della rottura a fatica.

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Figura 19: Insieme di tutti i dati

Come si può notare dal grafico, i punti si adagiano in prossimità di una

retta immaginaria decrescente. È, comunque, da riscontrare

un’apprezzabile dispersione di questi dati da questa retta. Tale

dispersione risulta più evidente e più apprezzabile dopo un significativo

numero di cicli. Si è quindi deciso di valutare la dispersione dei dati

individuando delle “fasce” di grafico densamente occupate da punti. È

stata quindi individuata una “fascia” verticale in cui sono presenti i test

con un numero di cicli di rottura compreso tra 1,5 e 2,5 milioni. (In

Figura 19 tale zona è la fascia verticale verde). In tale zona si ipotizza

che il numero di cicli di rottura sia, per lo più, costante per tutti i punti

e si valuta la distribuzione della variazione di tensione di rottura per

tutti i test della fascia. Per un significativo numero di prove, e nel caso

che N fosse effettivamente costante, la statistica insegna che questa

distribuzione dovrebbe seguire la curva normale (o curva Gaussiana). Il

grafico in Figura 20 presenta la distribuzione dei dati appena esposta. Il

grafico è costruito dividendo l’asse delle ascisse secondo le diverse

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variazioni di tensione e con l’asse delle ordinate rappresentante la

frequenza con cui si verifica la presenza di test aventi questa

determinata variazione di tensione di rottura. Visivamente risulta,

quindi, un abbozzo di distribuzione normale, con un’insolita assenza di

frequenza nella zona centrale. Si suppone che, in presenza di una forte

componente di dati sperimentali, la distribuzione possa avvicinarsi

maggiormente a tale distribuzione. (È da tenere comunque presente che

il range da cui sono stati estrapolati i dati è sufficientemente ampio.)

Figura 20: distribuzione delle tensioni

Il fatto che questi test dispongano i loro punti secondo una

distribuzione normale, evidenzia la tipica natura probabilistica del

fenomeno. Si può pertanto supporre che il valore più attendibile per

questa “fascia” analizzata sia il valore medio delle misurazioni

effettuate e che i dati discordanti da tale valore siano affetti da errori

accidentali.

In seguito viene considerata una seconda “fascia”, questa volta

orizzontale, per valutare se il fenomeno visto per costante è valido

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anche per un ∆ costante. (In Figura 19 tale zona è la fascia orizzontale

gialla). Studiando i dati con 80 85 e considerandoli sottoposti a

una differenza di tensione per lo più costante, si vuole osservare la loro

distribuzione statistica. Nel grafico che rappresenterà questa fascia, si

ha nell’asse delle ascisse la suddivisione dei valori del numero di cicli

per cui avviene rottura, e nell’asse delle ordinate si ha la frequenza con

cui si verifica la presenza di test aventi questo determinato numero di

cicli di rottura. Chiaramente, le considerazioni statistiche fatte per il

precedente studio sono analoghe per lo studio attuale. Anche qui,

dunque, ci si aspetta che i vari dati si suddividano secondo una

distribuzione gaussiana.

Figura 21: Distribuzioni dei cicli di rottura

Dal grafico in Figura 21 non si riesce ad apprezzare una distribuzione

normale vera e propria. Essa è solo accennata, probabilmente perché

sarebbe necessaria una maggiore quantità di prove. La pseudo

distribuzione normale presenta valori di frequenza relativamente alti

oltre i 3,9 milioni di cicli poiché in quella zona si trovano i dati che

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fanno riferimento alle rotture vicine a 80 MPa. (Non era possibile, infatti,

individuare un'unica tensione di riferimento per la scarsità di dati).

Presupponendo di studiare una grande varietà di dati soggetti ad una

ben precisa variazione di tensione, ci si aspetta una distribuzione più

vicina alla gaussiana. È, inoltre, da tenere in considerazione, che nel

grafico in Figura 19 l’ideale retta su cui si adagiano i dati ha una

pendenza molto più vicina a quella orizzontale che a quella verticale,

pertanto la fascia orizzontale studiata in Figura 21 risente molto di più

degli errori accidentali rispetto alla fascia verticale studiata in Figura 20.

La maggiore influenza degli errori accidentali sulla fascia orizzontale

rispetto alla verticale è ben “paragonabile” alla qualità delle due

distribuzioni gaussiane viste nei grafici.

Un’ulteriore analisi di natura statistica è stata eseguita sull’intero

campione dei dati full-scale. Visivamente dal grafico si nota una certa

tendenza alla dispersione dei dati al crescere del numero di cicli. Tale

fenomeno vuole quindi essere analizzato in maniera compiuta. Per

studiare la dispersione di un gruppo di dati si ricorrerà al calcolo della

loro varianza. La varianza è la somma dei quadrati delle differenze fra

ogni singolo dato e la media di tutti i dati divisa per il numero dei dati

presi in esame. La formula utilizzata per il calcolo delle varianze è:

, , … ,∑

Dove è l’ dato della sequenza e è il valore medio di tutti i

dati, cioè:

Sono stati, quindi, suddivisi i dati per zone secondo “fasce” verticali.

Sono state scelte fasce verticali per le ragioni viste in precedenza, cioè

che con siffatte zone, l’influenza degli errori accidentali è molto minore.

Per ogni zona verticale, in seguito, si estrae con la formula vista in

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precedenza un valore di varianza dei dati contenuti in quella zona. È

stato poi ripetuta la stessa operazione zona per zona. Nel grafico in

Figura 22 vi è sull’asse delle ascisse il valore del numero di cicli,

rappresentato in maniera logaritmica, per coerenza con il diagramma di

Wohler. Sull’asse delle ordinate risulta, invece, il valore della varianza (si

ricorda che l’unità di misura di tale valore è il quadrato dell’unità di

misura in ascissa). Le varie zone in cui sono stati divisi i dati sono

pressoché della stessa ampiezza.

 

Figura 22: Varianza dei dati per fasce.

È evidente l’aumento della varianza al crescere dei valori del numero di

cicli. Il picco di varianza è in corrispondenza della più elevata presenza

di dati. Un valore elevato di varianza indica una maggiore influenza

statistica. Si nota pertanto una notevole componente probabilistica nel

fenomeno, soprattutto per N considerevolmente grande. È probabile,

quindi, che la natura statistica della rottura a fatica sia più evidente in

sperimentazioni più lunghe nel tempo.

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53  

Tratte queste conclusioni statistiche, si può affrontare la valutazione dei

dati sotto gli aspetti puramente tecnici. In Figura 19 vengono presentati

tutti i dati, disposti lungo la retta immaginaria decrescente già citata. È

altresì da notare che alcuni punti sono discretamente lontani da questa

retta. Si vuole, quindi, analizzare se la lontananza da questa retta sia

solamente dovuta a ragioni di tipo statistico o anche da ragioni di tipo

tecnico-scientifico. Si vuole, quindi, catalogare i punti appena trovati

secondo più categorie per verificare che queste stesse categorie non

siano dei fattori che influenzino (in meglio o in peggio) la vita a fatica di

un provino.

Si vuole, come prima differenziazione, valutare i punti in relazione al

particolare di dettaglio in cui è stata fatta la prova. Tale divisione ha lo

scopo di verificare se vi è una certa relazione fra la posizione (e quindi

le tipologie di sforzi) di un certo provino e la sua resistenza a fatica.

Determinate considerazioni su un’eventuale dipendenza potrebbero

essere utili da punto di vista progettuale per un miglior

dimensionamento delle strutture anche in relazione alla loro posizione.

Si suddivideranno, quindi, i punti in tre categorie:

- I punti ottenuti da test eseguiti su travi orizzontali principali

(riveted girders).

- I punti ottenuti da test eseguiti su travi orizzontali secondarie

(riveted stringers).

- I punti ottenuti da test eseguiti su montanti verticali o diagonali

su strutture reticolate (vertical and diagonal truss members).

Si intende, dunque, riassumere in più grafici le diverse caratteristiche di

queste famiglie di test. Per ogni famiglia di punti, nel relativo grafico, si

riportano gli autori dei relativi test (a cui si rimanda ai precedenti

paragrafi per una descrizione più completa dell’esperienza) e le curve di

resistenza a fatica descritte dall’Eurocodice 3 (parte 9), dalla normativa

italiana UNI 10011 e la norma 44F delle Ferrovie dello stato. Si è deciso

di inserire anche le curve delle normative in modo tale da avere già una

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divulgazione, non sono comunque ammesse modifiche al presente testo.  

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visione indicativa sulle varie resistenze a fatica. Sono state inserite nel

grafico solo queste tre normative poiché sono quelle più rilevanti in

Italia. (Si fa notare che le normative UNI 10011 e 44F coincidono). In

seguito, comunque, verranno prese in esame anche normative

britanniche e americane. È stato poi realizzato un quarto grafico in cui

sono presenti le tre tipologie di test per un confronto diretto.

 

Figura 23: Dati ricavati da travi orizzontali principali.

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Figura 24: Dati ricavati da travi orizzontali secondarie.

 

Figura 25: Dati ricavati da montanti verticali o diagonali.

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56  

 

Figura 26: Insieme delle tre famiglie da cui sono stati ricavati i dati.

Dai primi tre grafici, e soprattutto poi nel quarto, si può notare come

per lo più tutti i test effettuati siano concentrati fra le due curve di

resistenza riportate. Inoltre dai primi due grafici, e dal quarto, si può

evidenziare come i dati relativi alle travi orizzontali secondarie e ai

montanti verticali/diagonali siano per lo più allineati. Dal terzo e dal

quarto grafico, invece, è chiaro come i dati relativi alle travi orizzontali

principali sono generalmente più resistenti alla fatica rispetto ai

precedenti. Tale singolarità può essere dovuta al fatto che la sezione e la

geometria di una trave orizzontale principale (essendo più sollecitata,

visto che deve sorreggere per lo più gran parte dei carichi) sia anche di

sua natura più resistente alla fatica, probabilmente anche per il fatto di

essere più grande e maggiormente rinforzata.

A questo punto della trattazione, si vuole effettuare una seconda

differenziazione dei test finora studiati. Si vuole verificare se vi è una

distribuzione diversa delle prove effettuate su angolari rispetto alle

prove effettuate su piastre. Si suppone che la presenza dell’angolo in

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divulgazione, non sono comunque ammesse modifiche al presente testo.  

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una lastra metallica possa determinare degli effetti di incremento delle

tensioni in prossimità alla giunzione, determinano una rottura

anticipata. I test sono stati quindi suddivisi su più grafici, analogamente

a quanto fatto per la precedente analisi.

 

Figura 27: Dati ricavati da angolari.

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Figura 28: Dati ricavati da piastre.

 

Figura 29: Grafico riassuntivo delle due tipologie di dati

Chiaramente, anche in questo studio, i dati sono per lo più concentrati

fra le due curve di resistenza. Si riescono a individuare, nel terzo

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grafico, tre zone distinte. Prima di un milione di cicli, vi sono quasi

esclusivamente test provenienti da piastre. Dopo dieci milioni di cicli,

invece, sono presenti quasi esclusivamente dati ottenuti da angolari.

L’unica zona in cui si può dunque fare un confronto, data la presenza di

entrambe le tipologie di test, è quella compresa fra un milione di cicli e

dieci milioni di cicli. In questa zona è apprezzabile (anche se non è

esagerata) una miglior risposta alla fatica da parte dei dati ottenuti da

piastre. Questo fenomeno, supposto già in precedenza, suggerisce di

prestare particolare attenzione, durante la progettazione, agli angolari,

in merito alla resistenza a fatica.

Si introduce, infine, un ultimo studio. Data la poca abbondanza di dati

sperimentali su questo tema, risulta necessario talvolta ricorrere a test

effettuati anche alcuni anni fa. Si vuole verificare, quindi, se l’aumento

della tecnologia dei macchinari abbia portato ad una determinazione

della rottura a fatica meno affetta da errori sistematici (dovuti alla

strumentazione) o con minori effetti di interazione fra la macchina e il

fenomeno stesso. Qualora si presentassero delle differenze rilevanti fra i

diversi intervalli temporali, si dovrebbe valutare con molta cautela i dati

ricavati nel passato poiché, probabilmente, affetti da errori sistematici

di macchine meno precise rispetto a quelle attuali. I dati ottenuti

verranno catalogati, quindi, secondo tre periodi storici:

- Le sperimentazioni avvenute prima del 1990;

- Le sperimentazioni avvenute dal 1990 al 1995;

- Le sperimentazioni avvenute dopo il 1995.

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Figura 30: Test divisi secondo uno schema cronologico.

Da quanto si evince dal grafico in Figura 30, è pur vero che si notano tre

“strisce ideali” su cui le tre tipologie di prove si adagiano, ma è

altrettanto vero che queste non rispettano una sequenza cronologica.

Non si può dire, quindi, che i dati più vicini nel tempo siano più

apprezzabili di altri. Pertanto, la resistenza a fatica calcolata anni fa non

era inficiata da problematiche di tipo meccanico maggiori rispetto a

quelle attuali, nelle strumentazioni usate. Questa osservazione dà la

possibilità di considerare i dati storici tanto validi quanto quelli

contemporanei. Visti i costi, dovuti ai macchinari, al reperimento dei

provini, e al gran numero di ore che richiedono queste prove, e la

difficoltà effettiva nel sostenere questi test, è confortante sapere di

poter fare affidamento su dati storici, comunque di buona validità.

Data la grande eterogeneità delle fonti sui dati fin’ora trattati, potrà

sorgere il dubbio che qualche autore abbia presentato i propri risultati

dopo aver effettuato delle operazioni statistiche (compiutamente, delle

medie) fra diversi provini, sottoposti tutti a medesime condizioni. Nel

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caso che questo si fosse verificato, avremmo fatto dei confronti fra dati

non omogenei. Infatti, un dato inserito in un grafico, proveniente da più

test, ha un peso molto maggiore rispetto a un dato riferito ad un unico

provino. In quel caso si sarebbe dovuto suddividere anche i punti in

relazione al loro “peso”, dando maggior spicco a quelli provenienti da

un maggior numero di prove. Poiché ogni autore preso in esame ha

rappresentato nei grafici punti rappresentanti singole prove di rottura

(non vi è quindi un’interpolazione fra più provini ottenuti da condizioni

iniziali uguali), non si incorrono in queste problematiche e quindi è del

tutto irrilevante proporre rappresentazioni grafiche in differenze per

“peso” dei punti nel grafico (sarebbero, infatti, esattamente coincidenti a

quelle già viste).

4.4 Rappresentazione dei dati small-scale.

Verranno presi in esame, a questo punto, i test effettuati su provini

small-scale. Questi dati provengono, come già visto, da provini in cui è

stata modificata la struttura, la geometria o la sezione di partenza per

facilitare la determinazione delle tensioni o per evitare problemi tecnici

nella gestione dei macchinari impiegati per la prova. Anche per questa

famiglia di dati è stato realizzato un diagramma di Wolher, analogo a

quello già visto. I 66 punti in Figura 31 sono divisi a seconda dell’autore

che li ha ricavati. È evidente notare che le sperimentazioni small-scale

sono, per lo più, effettuate con tensioni medio - alte (probabilmente per

la necessità di una certa brevità della prova). Non vi è, quindi, una

grande distribuzione lungo l’intero asse del grafico ma una

concentrazione tendente alla zona relativamente a basso numero di

cicli. L’intento di questa analisi e di valutare eventuali analogie con i dati

full-scale per determinare se è possibile calcolare con buona affidabilità

la resistenza alla fatica delle giunture chiodate mediante questi provini e

non i provini full-scale. Qualora si verificasse ciò, risulterebbe molto più

comodo (a parità di “fedeltà” dei dati) adoperare questi ultimi provini,

per la semplicità di gestirli in laboratorio. Nel grafico in Figura 31, oltre

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ai dati già citati, sono state disegnate anche le due normative a cui fa

riferimento l’Italia. Si nota ad una prima occhiata che i dati, questa volta,

non sono compresi fra le due normative (come succedeva per i dati full-

scale) ma una grande quantità di questi dati sono a sfavore di sicurezza

della normativa europea. Inoltre è più difficile individuare

un’immaginaria retta lungo questi punti si adagiano.

 

Figura 31: Dati su small-scale test.

Risulta altrettanto evidente una maggiore dispersione dei dati rispetto a

quella riguardante i provini full-scale. Tale fenomeno è probabilmente

dovuto al fatto che la lavorazione a cui sono sottoposti i provini small-

scale possa modificare, anche impercettibilmente, alcune proprietà del

provino stesso e, pertanto, allontanare il risultato di resistenza a fatica

dal valore reale. Le differenze geometriche, poi, difficilmente

paragonabili tra i vari provini, possono determinare una maggiore

incertezza nel dato ricavato.

Al fine di valutare in maniera scientifica le differenze fra le due

tipologie di dati, si ricorrerà ai medesimi strumenti adoperati per i dati

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full-scale, procedendo poi ad un confronto diretto. Per la valutazione

della dispersione dei dati è stato, quindi, realizzato un grafico sulla

distribuzione delle varianze, zone per zone, anche per questi dati. Le

zone, per coerenza con i grafici finora trattati, sono rappresentate su

scale logaritmiche. Poiché la metodologia è la medesima già impiegata

nei dati full-scale, si rimanda al precedente paragrafo una descrizione

più accurata. Per poter poi giungere a un raffronto fra le due tipologie di

date i due istogrammi (quello per i dati full-scale e quello per i dati

small-scale) sono stati riassunti e confrontati in un unico grafico in

Figura 32. In rosso sono rappresentate le varianze dei dati full-scale, in

blu quelle dei dati small-scale. Risulta immediatamente chiaro che la

varianza sui dati small-scale è molto più grande di quella dei dati full-

scale. Tale osservazione concorda con quanto precedentemente

osservato dal grafico. Si nota anche che non vi è varianza sui dati small-

scale per valori di cicli maggiori di 107 a causa della concentrazione dei

test sulla parte sinistra del grafico.

 

Figura 32: Confronto fra le varianze delle due tipologie di dati

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La grande differenza fra le due tipologie di dati in merito alle varianze

suggerisce che i dati full-scale siano molto più affidabili dei dati small-

scale. La minor varianza dei dati ottenuti da provini su scala reale,

infatti, determina una miglior precisione nella valutazione del valore

medio di resistenza a fatica.

È quindi possibile, ora, confrontare direttamente i dati delle due

tipologie in un unico grafico. Sono ancora più chiare le osservazioni

fatte pocanzi in merito alla dispersione dei dati, alla concentrazione

verso i bassi cicli e ad una minore resistenza alla fatica.

 

Figura 33: Confronto fra dati small-scale e full-scale

Si può quindi notare che per un migliore studio sulla resistenza a fatica

sono più affidabili i dati ottenuti da provini full-scale poiché il valore

medio di resistenza risulta più significativo data la minore varianza.

Verranno quindi considerati solo i dati full-scale per un confronto con le

normative.

4.5 Confronto fra le normative.

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Si vuole procedere, ora, ad un breve confronto fra le normative viste nel

precedente capitolo. Il grafico in Figura 34 mostra nel diagramma di

Wohler le curve S-N della resistenza a fatica. Si nota che tutte le

normative, meno che la British Standard, presentano un cambio di

pendenza in prossimità di 10 cicli perché è stato verificato che, al di

sotto di una certa variazione di tensione, la resistenza a fatica migliora.

Al di sotto di un’ulteriore variazione di tensione, la curva S-N assume

una pendenza nulla (nel grafico è apprezzabile solo per la normativa

AREA e AASHTO poiché per le l’EC3 e l’UNI 10011 tale cambio di

pendenza avviene dopo 10 cicli).

 

Figura 34: Confronto grafico fra le normative

Salta subito all’occhio che la normativa italiana UNI 10011 e la norma

44F sono notevolmente meno cautelative delle altre. Tale evidente

diversità è dovuta al fatto che la norma italiana prevede un un’unica

categoria di dettaglio per i giunti non saldati. Dai dettagli delle altre

normative (che effettuano una differenza di dettaglio fra i giunti non

saldati) si rileva una notevole differenza fra i giunti bullonati e

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preserrati e i giunti chiodati (alcune volte “interpretati” come giunti

bullonati non preserrati). Tale differenza è dovuta al fatto che, mentre i

bulloni preserrati resistono alle sollecitazioni anche mediante l’attrito

generato fra le due piastre, i giunti chiodati trasferiscono tutte le

sollecitazioni esclusivamente al chiodo. Si verifica quindi che, nei giunti

preserrati, si ha una minore componente di sforzo nei bulloni e, quindi,

una migliore resistenza a fatica. A noi sembra poco cautelativo

catalogare questi due diversi giunti in un unico dettaglio, a maggior

ragione se le caratteristiche del livello di dettaglio pervengono dalla

tipologia di giunto più resistente.

Per quanto riguarda le altre normative, troviamo che in prossimità dei

10 cicli esse sono per lo più molto vicine fra loro. Si allontanano

all’aumentare del numero di cicli a cui è sottoposto il provino, a nostro

avviso, per la tipica natura probabilistica del fenomeno. Le curve, come i

dati, si disperdono maggiormente al crescere del numero di cicli.

4.6 Confronto fra i dati e le normative.

È ovvio, a questo punto della trattazione, chiedersi come questi dati

sperimentali siano integrati con le normative precedentemente

analizzate. Questi saranno, dunque, confrontati in un unico grafico.

Poiché i dati fanno riferimento a punti di rottura e le normative, invece,

fanno riferimento a curve di progetto (pertanto riferite agli stati limite

di esercizio) un loro confronto diretto, come quello in Figura 35 non

sarebbe del tutto corretto, poiché non ci sarebbe omogeneità fra le

normative e i dati. Fortunatamente anche la normativa italiana presenta

la curva agli stati limite di esercizio e non alle tensioni ammissibili,

perché se ciò fosse accaduto si avrebbe avuto un ulteriore

disomogeneità fra le normative stesse. I punti di rottura indicano infatti

una rottura media riferita a quella determinata variazione di tensione.

Invece le normative, facendo riferimento a valori di design, si riferiscono

al 5 percentile della distribuzione lognormale dei dati (e non al valore

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medio). Sarebbe pertanto necessario, per un confronto, riportare i dati di

rottura a valori di design, effettuando una traslazione nella curva di

distribuzione probabilistica.

Per ovviare alla costruzione di una distribuzione lognormale per ogni

variazione di tensione si può fare riferimento ad un ideale spostamento,

del valore medio, di una certa quantità proporzionale allo scarto

quadratico medio dei vari valori considerati. La formula per

determinare, quindi, il valore di design dei dati è la seguente:

∆ ∆

Dove ∆ è il nuovo valore della variazione di tensione (da confrontare

con le normative), ∆ è il valore (medio) della variazione di tensione

(quello ricavato in laboratorio), è lo scarto quadratico medio dei vari

valori considerati e è una costante. Caramelli (1996) calcola 2.06.

Per calcolare la variazione da applicare a tutti i dati, è quindi necessaria

la determinazione dello scarto quadratico medio. Come prima prova è

stato effettuato il calcolo su tutta la nuvola di punti. Data la grande

varietà di dati, il calcolo dello scarto quadratico medio è molto elevato

(pari a 38.725) e, pertanto, si avrebbe una riduzione pari a . .

L’applicazione di questa regola nel campione è assolutamente

sconsigliata per svariate motivazioni: prima di tutto la così grande

dispersione dei dati non permette di determinare una riduzione

coerente con la teoria a cui fanno riferimento le curve di progetto; in

secondo luogo si avrebbe come risultato il paradosso che talune

variazioni di tensione (quelle più basse) raggiungerebbero valori

negativi, il che è chiaramente un non-senso. Una riduzione così grande

determinerebbe, poi, una rilevante variazione dei dati, snaturandoli.

Volendo restringere il campo su cui effettuare il calcolo dello scarto

quadratico medio (per ovviare ai suddetti problemi) si è pensato di

adattare una riduzione ad hoc per ogni autore dei dati sperimentali. Nel

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riquadro qui seguente è presentato lo scarto quadratico medio e la

relativa riduzione per ogni autore.

Autore  

Scarto quadratico medio 

 Riduzione 

Helmerich et al.  17,246 ‐35,52676 

Akesson e Edlund  23,598 ‐48,61188 

Adamson e Kulak  15,04 ‐30,9824 

DiBattista e Kulak TD  7,551 ‐15,55506 

ATLSS  6,115 ‐12,5969 

Bruhwiler et al.  21,205 ‐43,6823 

Fisher et al.  12 ‐24,72 

Baker e kulak  9,897 ‐20,38782 

Reemsnyder  16,008 ‐32,97648 

Mang e Bukak  11,468 ‐23,62408 

È evidente la disparità delle riduzioni. Per taluni autori, si arriva oltre

40 mentre per altri non si arriva a 13 . Tale disparità, oltre a

creare delle complicazioni per taluni dati, è troppo dipendente dalla

natura dei dati stessi. Autori che hanno sperimentato provini a

variazioni di tensione più o meno simili, soffrono di questa riduzione in

maniera molto minore di quegli autori che hanno sperimentato su

variazioni di tensione molto più disomogenee.

Risulta pertanto più coerente e corretto, a nostro avviso, applicare una

riduzione per la determinazione del valore di design suddividendo i dati

secondo più fasce di variazione di tensione. La tabella qui di seguito

espone le diverse riduzioni adottate.

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Variazione di tensione  Riduzione

Variazione di tensione da 40 a 70  ‐17,848

Variazione di tensione da 70 a 100  ‐13,84

Variazione di tensione da 100 a 130  ‐20,722

Variazione di tensione da 130 a 160  ‐9,711

Variazione di tensione da 160 a 190  ‐20,389Le riduzioni qui, come si nota in tabella, sono molto più omogenee

rispetto a quelle precedentemente analizzate. Inoltre, una riduzione di

un valore come quello presentato nell’ultima tabella è indicativo per il

raggiungimento del 5 percentile della ideale curva di distribuzione

lognormale. Si avrà anche la possibilità di confrontare i dati con e senza

riduzione nelle due figure che seguiranno. (Figura 35) (Figura 36).

Vogliamo sottolineare quanto, graficamente, sia più rilevante una

medesima riduzione su un dato con una variazione di tensione alta

rispetto ad un altro dato con una variazione di tensione minore. Il fatto

che il diagramma di Wholer sia in scala logaritmica accresce visivamente

molto di più una variazione su valori bassi rispetto ai valori alti.

Pertanto sembrerà che i valori più bassi del grafico si siano abbassati

molto di più rispetto a quelli più alti. È un effetto dovuto alla struttura

del grafico che non deve portare inganno.

Come si nota in Figura 36 i dati rientrano, per lo più, fra la normativa più

cautelativa (AREA) e la meno cautelativa (UNI 10011 e 44F). I dati sono

riportati in grafico in relazione all’autore della fonte. Anche in questo

confronto, risulta evidente la maggiore distribuzione della “forbice” (sia

dei dati sperimentali che delle normative) al crescere del numero di cicli.

Il diagramma, con assi in scala logaritmica, riassume le precedenti

analisi sui dati. Mette in chiara evidenza sia l’allineamento dei dati su di

una retta ideale, che la forte componente probabilistica del fenomeno.

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Figura 35: Confronto fra le normative e i dati di rottura (senza correzione).

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71  

 

Figura 36: Confronto fra le normative e i dati di design (cioè, con la riduzione).

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72  

È interessante valutare, quindi, l’affidabilità delle normative poste allo

studio valutando, a livello statistico quali siano, fra queste, quelle più a

favore di sicurezza. Non sono stati analizzati in questo studio, per

ragioni di comparabilità delle prove, i dati non provenienti da full-scale

test. Inoltre, come si è già potuto appurare, i dati small-scale non sono

così affidabili come gli altri per la determinazione per la resistenza a

fatica. Tali grafici statistici, chiaramente, fanno riferimento ai dati

sottoposti a riduzione come visto nel paragrafo precedente. Sono stati

redatti, quindi, quattro grafici: i primi tre fanno riferimento,

rispettivamente, ai dati provenienti da travi orizzontali principali, da

travi orizzontali secondarie e da montanti verticali o diagonali. In

ognuno di questi istogrammi, ogni barra rappresenta una normativa. Il

quarto grafico riunisce tutti i dati, indipendentemente dalla loro

tipologia. La percentuale blu della normativa rappresenta i dati di quella

categoria a favore di sicurezza secondo quella normativa, mentre la

percentuale rossa rappresenta i dati di quella categoria a sfavore di

sicurezza.

 

Figura 37: Istogrammi sulla sicurezza delle normative.

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I quattro grafici in Figura 37 sono stati ottenuti mediante una

catalogazione percentuale dei dati studiati. È stato scelto di valutare i

dati in maniera percentuale perché, in questa maniera, è possibile ad

una prima occhiata confrontare le varie normative sulle varie tipologie

di dati. Si fa notare che, comunque, le varie tipologie di dati non hanno

lo stesso numero di test.

La prima colonna di ogni grafico fa riferimento all’EC3. Si nota che essa

è sufficentemente a favore di sicurezza per le travi principali ma

presenta, indicativamente, meno affidabilità su altre tipologie di

dettaglio. A livello generale, la normativa gode di un’affidabilità di poco

superiore al 50% dei dati trattati. La seconda colonna fa riferimento alla

normativa italiana, la quale dimostra chiaramente la sua poca

affidabilità nei confronti della sicurezza. Globalmente, è quasi sempre a

sfavore di sicurezza (tranne che per un dato). Il fatto che non ci sia,

nella normativa, una categoria esclusiva per i giunti chiodati (o,

comunque, bullonati non preserrati) paga a livello di valutazione di

sicurezza. Era sicuramente necessario introdurre una categoria apposita

con una curva di dettaglio più bassa. La terza colonna rappresenta la

normativa britannica, che dimostra una soddisfacente affidabilità,

soprattutto su travi principali. Nei montanti verticali, comunque, anche

la normativa britannica non è così affidabile (raggiunge, infatti, solo il

30% di dati a favore di sicurezza). Nella totalità dei dati, la normativa

britannica raggiunge un’affidabilità del 70%. Le ultime due colonne, le

normative americane, risultano essere le normative più soddisfacenti.

Anche queste normative risultano, però, non eccellenti sulle tipologie di

montanti verticali e diagonali. La normativa AASHTO supera di poco, in

affidabilità la British Standard. La normativa AREA, invece, raggiunge

affidabilità per quasi il 90% dei dati.

Per la normativa europea, l’Eurocodice 3, si sottolineerà brevemente

l’esito dell’analisi a fatica. Tale sottolineatura è dovuta al fatto che tale

normativa, in Italia, è quella di riferimento per la progettazione. Sono

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stati selezionati dunque tutti i dati, relativamente all’EC3, suddivisi per

la tipologia di trave a cui fanno riferimento. Anche in questa analisi

converremo nella simbologia che rappresenta i dati a sfavore di

sicurezza come rossi, e i dati a favore di sicurezza come azzurri. In

Figura 38, il grafico a torta riprende gli istogrammi visti pocanzi. A

differenza dell’istogramma, però, i dati a favore di sicurezza sono divisi

per trave di appartenenza. Si può quindi osservare una certa

componente di rischio per tutte le tipologie di travi. Per i montanti

verticali e diagonali, la normativa presenta, infatti, pochi dati a favore di

sicurezza.

 

Figura 38: Distribuzione "a torta" dei dati dell'EC3

La trattazione di questo tema ha dei notevoli risvolti sulla progettazione

ancora al giorno d’oggi. Anche la storia recente presenta un importante

numero di casi di disastri, soprattutto su mezzi ferroviari o aerei, in cui

sono morte molte persone. Tra questi ne ricordiamo solo alcuni, fra cui

il disastro ferroviario di Eschede, avvenuto nel 1998 che portò la morte

per 101 persone, ferendone 8841. Nel 2002 un volo della compagnia

China Airlines esplose in volo, uccidendo 225 persone.42 Nel 1985, un

                                                            41 Wikipedia, the free Encyclopedia. http://en.wikipedia.org/wiki/Eschede_train_disaster 42 Wikipedia, the free Encyclopedia. http://en.wikipedia.org/wiki/China_Airlines_Flight_611 

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analogo disastro in un aereo della Japan Airlines portò alla morte 520

persone.43 Al fine di sensibilizzare il lettore sulla pericolosità di una

costruzione non progettata alla resistenza a fatica, si riporta un breve

grafico riassuntivo in cui si valutano le persone morte e le persone ferite

a causa di disastri la cui natura (accertata) sia dovuta alla fatica.

 

Figura 39: Grafico dei morti e dei feriti a causa di rotture per fatica 

Vengono suddivisi su tre ambiti temporali, prima degli anni ‘50, in cui

la fatica non era studiata a livello progettuale, tra il 1950 e il 1985 (in

cui c’è stato l’aumento significativo del trasporto di persone) e l’ultimo

periodo, dal 1985 a oggi, in cui le precauzioni per la resistenza a fatica

sono diventate più efficaci. È compito, dunque, della scienza provvedere

a delle soluzioni progettuali che impediscano il ripetersi di questi

eventi.

                                                            43 Wikipedia, the free Encyclopedia. http://en.wikipedia.org/wiki/Japan_Airlines_Flight_123 

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Sono molto lieto di avere l’opportunità di ringraziare tutti i miei familiari, che mi sono stati sempre molto vicino, mi hanno aiutato, ascoltato e sopportato, non solo nella stesura della tesi, ma da sempre. Voglio essere, inoltre, riconoscente ai tanti aiuti ricevuti da due grandissimi amici, Clara e Matteo, senza i quali la mia vita universitaria non sarebbe stata così piacevole. Non posso, comunque, dimenticare tutti i miei grandi e storici amici che mi hanno sempre sostenuto e confortato anche nei momenti più delicati. Infine, un particolare ringraziamento va all’Ing. Carlo Pellegrino e all’Ing. Alessio Pipinato per avermi dato l’opportunità di collaborare con Loro nella stesura della tesi, aiutandomi, assistendomi, consigliandomi e istruendomi.