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CORSO DI LAUREA IN ORGANIZZAZIONE E RISORSE UMANE
LA MOBILITÀ INTERNAZIONALE DEI
GIOVANI ITALIANI
Tesi di Laurea di:
Vincenzo LOPRIENO
Matr.n. 788323
Relatore: Prof.ssa Sabrina COLOMBO
Anno Accademico 2013-2014
Tra vent'anni non sarete delusi delle cose che avete fatto ma
da quelle che non avete fatto. Allora levate l'ancora,
abbandonate i porti sicuri, catturate il vento nelle vostre vele.
Esplorate. Sognate. Scoprite.
Mark Twain
INDICE
Introduzione 7
1. Le teorie migratorie 9
1.1 Le teorie classiche 9
1.1.1 Le teorie Macro-sociali 9
A. Teoria neo-marxista della dipendenza 10
B. Teoria dualistica del mercato del lavoro 10
C. Teoria del sistema mondo 11
D. Teoria delle città globali 11
1.1.2 Le teorie micro-sociali 12
La nuova economia delle migrazioni 13
1.1.3 Le teorie meso-sociologiche 15
A. Teorie dei network 15
B. Teorie transnazionaliste 16
1.2 Il fenomeno della migrazione qualificata 17
1.2.1 La standard e view 18
1.2.2 L’approccio circolazionista, una revisione della standard e view 19
1.3 Una breve rielaborazione sull’andamento migratorio 20
2. La questione giovanile della migrazione italiana 23
2.1 Cenni storici 23
2.2 Una panoramica generale della situazione attuale
italiana 25
2.3 Categorie di soggetti qualificati 29
2.4 Il dibattito sui giovani laureati 31
2.4.1 I fattori che spingono i laureati ad andarsene 33
A. La Perdita del valore di studio 33
B. La Disoccupazione da inserimento 34
C. Scarsa domanda e poca trasparenza nel mercato del lavoro 35
2.5 Le politiche italiane sulla migrazione 36
2.5.1 Gli interventi del 2000 37
2.5.2 Il decreto ministeriale n. 515/2010 Rita Levi Montalcini
e la legge n.238/2010 38
3. Italiani fuori dall’Italia 41
3.1 Le fonti di studio del movimento 41
A. Archivio delle anagrafi consolari 41
B. A.I.R.E 42
C. Il censimento degli italiani all’estero 42
D. Istat 43
3.2 Dalle fonti al contesto della “nuova migrazione italiana” 44
3.2.1 La propensione dei laureati e ricercatori a trasferirsi all’estero 47
3.3 Uno sguardo sul made in Italy e i “nuovi” settori
professionali degli italiani all’estero 50
Conclusioni 54
Bibliografia 60
Sitografia 62
6
7
Introduzione
Parlare di emigrazione, significa parlare di una peculiarità che ha sempre
caratterizzato gli esseri umani fin dalle proprie origini. È un istinto interno che
spinge la mobilità dei viventi originariamente in modo curioso, ma essenzialmente
per la scoperta di un benessere maggiore. Il mondo è stato sempre teatro di continui
spostamenti in ogni parte del globo, questo ha permesso l’ espansione del genere
umano e la nascita delle civiltà. Nel corso della storia fino ai giorni nostri vi sono
stati tanti metodi di migrazione richiamati da motivi differenti, cambiandone i
personaggi ma sempre con lo stesso istinto. Il cambiamento principale, che
differenzia appunto le dinamiche ed i motivi di migrazioni, sono i profili dei soggetti
che sono passati da persone povere poco istruite ad individui dotati di buona
istruzione o di buona conoscenza pronte ad interagire in società sviluppate. Questo
tema che sta interessando vari paesi nel mondo viene spiegato col nome “fuga dei
cervelli” o in modo internazionale brain drain, può essere definito come una “spina
dorsale” della nostra epoca, che coinvolge milioni d’individui e centinaia di paesi.
Negli ultimi decenni la modernizzazione di mezzi di trasporto ha permesso
l’attrazione di tutta la popolazione per i suoi costi accessibili e la globalizzazione
che tende a rendere omogenei i pensieri, le culture, i commerci a livello
interplanetario. Questi fattori insieme hanno determinato la reazione degli umani,
ovviamente protagonisti di questo processo, a diventare non più cittadini di una
patria ma cittadini del mondo. La fine del XX secolo è stata caratterizzata dallo
sviluppo di un nuovo mercato globale che porta all’investimento sul capitale umano
e che quindi porta i paesi, “per motivi di concorrenza”, all’attrazione di menti
qualificati e al trattenimento dei profili migliori.
La migrazioni però come è stato definito in precedenza non sono un fenomeno
recente. In questa tesi verranno ripercorse brevemente le tappe dell’emigrazione dalle
origini all’era moderna, soffermandoci principalmente sulle teorie del novecento con
le varie interpretazioni sociologiche degli autori interessati. Il contesto delle
migrazioni che richiama l’attenzione dell’ individuo in se, può risultare
apparentemente semplice, ma in realtà è diventato continuamente oggetto di studio
non riuscendo a calibrare una teoria unica e accettabile per tutti ma un insieme di
opinioni dalle caratteristiche diverse. La particolarità fondamentale è che la mobilità
8
giovanile internazionale è passata da un’ottica totalmente negativa ad un fenomeno
dalle visioni positive.
Nel secondo capitolo verranno trattate le discussioni inerenti allo scenario della
mobilità italiana attuale, analizzando le varie problematiche e le varie politiche della
nazione, risaltando i motivi della partenza. Infatti verranno esposti dibattiti sulla
disoccupazione, la precarietà e il basso valore del titolo di studio che non fanno
dell’Italia un paese dalle prospettive positive e questo insieme di sfiducie induce il
giovane ad emigrare alla ricerca di una prosperità migliore all’estero. Questo
comporta soprattutto ad una perdita di capitale umano, cioè ad un brain gain, che
non viene purtroppo ancora rimpiazzato da soggetti qualificati non favorendo un
completo brain exchange. In successione dopo una cospicua interpretazione della
situazione italiana, ci soffermeremo concretamente sui nostri connazionali risiedenti
all’estero. Infatti il terzo capitolo esaminerà, prendendo spunto dalle fonti di statistica
del settore, i numeri degli italiani all’estero e le varie iniziative degli enti che fanno
da intermediario per gli espatriati con i loro paese d’origine. Le condizioni dei
migranti italiani all’estero, costretti alla conoscenza della lingua internazionale del
XXI secolo l’inglese, sono secondo le stime evidentemente migliori. Infatti vedremo
come questi italiani, soprattutto i soggetti qualificati hanno intrapreso nuove attività,
hanno imparato nuove professioni riuscendo a raggiungere il successo. Le nuove
generazioni italiane si presentano con un profilo qualificato, imbottito dai vari skills
linguistici, informatici o dai normali studi approfonditi, diventando delle figure
pronte all’inserimento in qualsiasi circostanza concorrenziale, riuscendo a
combattere appunto in qualsiasi settore, venendo premiati da un valore purtroppo in
disuso in Italia, la meritocrazia.
La mobilità internazionale giovanile italiana è un fenomeno in continua espansione e
sta appunto diventando una questione di comune pensiero per la gioventù italiana. Si
tende a partire per sentirsi completi e soprattutto migliorare le aspettative di vita
augurandosi una carriera di lavoro positiva insaporita da una sensazione di benessere.
9
1. Le teorie migratorie
1.1 Le teorie classiche
Il fenomeno delle migrazioni riguarda un concetto ampio e dalle molteplici
sfaccettature, il quale consiste in una vocazione intrinseca dell’evoluzione umana nel
proprio trasferimento sul suolo della superficie terrestre.
Secondo Livi Bacci (2010) l’intenzione di spostarsi è un privilegio, un diritto
dell’uomo, una qualità naturale interna che ha concesso all’umanità la possibilità di
preservare la propria specie e diffondere l’agricoltura, sviluppandone territori ancora
inesplorati permettendo l’insediamento dell’uomo e l’integrazione dei popoli nel
mondo.
L’origine dei primi modelli teorici sulle tematiche della migrazione risalgono ai
primi anni del 900’. Non esiste un’unica teoria globale e predefinita in riferimento
all’argomento ma bensì diverse correnti di pensiero che attribuiscono alla nascita
del fenomeno diverse cause primarie.
Possiamo classificare le teorie in tre gruppi principali: il primo gruppo consiste nelle
teorie macro-sociali o strutturaliste, entro il quale i moti migratori dipendono da
fattori esogeni che stimolano i comportamenti dei migranti a lasciare la propria patria
d’origine. Il secondo gruppo racchiude le teorie micro-sociali, nelle quali gli
individui in questione, attraverso comportamenti razionali o vocazioni personali
conducono il processo migratorio. L’ultimo gruppo comprende le teorie meso-
sociologiche dove sono di fondamentale importanza le reti sociali.
1.1.1 Le teorie macro-sociali
In generale le teorie macro-sociali risaltano principalmente la questione esogena che
comporta la migrazione degli individui. Gli approcci del push and pull e quello
strutturalista risultano essere le dinamiche principali dei processi migratori nelle
teorie macro-sociali. Il meccanismo del push and pull rappresenta, appunto, il
procedimento tra fattori di spinta e fattori di attrazione. Tendenzialmente nei paesi di
origine dei soggetti agiscono i fattori push: disoccupazione, povertà, esclusione
sociale, disastri ambientali, guerre, regimi oppressivi e persecuzioni. Mentre nei
paesi di destinazione operano i fattori pull che sono motivo di attrazione per i
10
migranti alla ricerca di: migliori opportunità di lavoro, salari maggiori, libertà
politica, religiosa e di espressione.
I demografi, analizzandone l’impatto sostengono che con questo procedimento del
push and pull, si è arrivati ad una situazione dove vengono inalterati i normali
parametri demografici per quanto riguarda la popolazione e successivamente, il
rapporto della domanda e offerta nell’ambito professionale.
La versione più accorta di questa spiegazione comporta che gli squilibri demografici
sono rappresentati come un fattore moltiplicativo degli squilibri economici e sociali,
piuttosto che come una spiegazione a sé stante (Ambrosini, 2005).
Mediante l’approccio strutturalista viene studiato il moto migratorio a livello di
popolazione, sistema economico, società e cultura. È possibile individuare quattro
principali teorie: la teoria neo-marxista della dipendenza, teoria dualistica del
mercato del lavoro, teoria del sistema mondo e la teoria delle città globali.
A) Teoria neo-marxista della dipendenza
La principale analisi di questa teoria afferma che le migrazioni sono un processo
derivante dalle disuguaglianze geografiche dei vari paesi nei processi di sviluppo.
Le migrazioni sono spiegate da Marx (1853), come una forma di colonialismo
che si protrae e prolunga nel tempo.
I teorici della dipendenza reputano che non sia positivo seguire un modello di
sviluppo d’impronta occidentale e che, di conseguenza, sia dannoso per i paesi
del terzo mondo mantenere un rapporto con paesi di prima fascia economica.
Secondo Zanfrini (2004) le differenze geografiche che vengono generate dai
processi di sviluppo sono aumentate da questa relazione tra Paesi centrali e Paesi
in via di sviluppo con il risultato di espandere il sottosviluppo.
B) Teoria dualistica del mercato del lavoro
La teoria dualistica del mercato del lavoro è stata coniata da Piore nel 1979.
Il principale punto della teoria è la divisione delle categorie professionali.
In uno sfondo dove l’economie capitalistiche sono predominanti, per permettere
la prevalenza di lavoratori “tutelati” vi è la necessaria conseguenza di avere una
fetta di lavoratori del mercato del lavoro, poco tutelata e sottopagata.
11
Per cui si crea una discrepanza tra categorie di lavoratori privilegiate, con
impieghi sicuri e ben retribuiti e un’altra discriminata, precaria.
In quest’ultima insieme a donne, giovani vi è una cospicua parte di lavoratori
immigrati disposta ad accettare queste condizioni in quanto consapevoli di avere
necessità economiche e con l’obiettivo di stazionare nel paese in modo
provvisorio, quindi non instaurando relazioni sociali.
C) Teoria del sistema mondo
Sempre in ambito strutturalista vengono analizzate le teorie sistema-mondo
riguardanti i vari scambi delle comunicazioni e dei processi di globalizzazione
che favoriscono i collegamenti tra le varie aree mondiali.
Wallerstein l’esponente più noto di questa teoria affida l’origine di essa ad una
concezione di matrice capitalistica centrale cosi come fece Piore (1979) nella
teoria dualistica del mercato del lavoro.
Secondo Wallerstein (1978) il fattore propulsivo delle migrazioni è la struttura
globale del mercato. Da questa definizione si può capire come l’autore suddivida
il globo in tre categorie di paesi differenti: i paesi del centro(sviluppati), i paesi
semiperiferici (in via di sviluppo) e i paesi non sviluppati (terzo mondo).
Secondo queste teorie vi è un processo inverso di emigrazione. I protagonisti
principali sono gli imprenditori che partono dai paesi-centro nei paesi più
periferici alla ricerca di investimenti, nuovi mercati di consumo e di forze lavoro
a poco prezzo.
“Ma è ugualmente vero che i sistemi non riescono mai ad eliminare i loro
conflitti interni o ad evitare perfino che assumano forme violente. Questa
comprensione è il maggior debito che abbiamo nei confronti del lavoro di Karl
Marx.” [Da un suo saggio introduttivo a The Essential Wallerstein New Press,
2000]
D) Teoria delle città globali
Sassen (1997) elabora la teoria delle città globali. Questa teoria consiste in una
considerazione da parte dell’autore che le città più grandi e più influenti agiscono
come poli di attrazione. Nel corso del tempo , dopo il declino dell’industria
manifatturiera attraverso processi di modernizzazione e urbanizzazione, vi è stato un
notevole mutamento nelle città, che ha permesso ad esse di diventare nuclei
12
nevralgici per servizi ad alta qualificazione (comunicazione, finanza, pubblicità,
marketing).
Vi sono delle critiche negative che sostengono che il flusso migratorio è
caratterizzato da un divario economico tra paesi di origine e di destinazione.
Inoltre si reputa che i soggetti che migrano siano individui poveri e senza risorse. Ma
tuttavia si nota una divergenza dal punto di vista economico in quanto si creda che i
protagonisti di questo processo siano soggetti appartenenti alla classe media, con una
buona base familiare alle spalle che funge da ammortizzatore sociale e dotati di
buoni skills e capacità riconosciute.
Secondo Ambrosini (2011) le teorie non tengono conto dello scenario, dei decisori
politici e delle loro pressioni istituzionali. Inoltre gli individui in questione vengono
giudicati come passivi, privi di capacità di scelta suggestionati da forze superiori.
“Rispetto alle teorie micro, le macro teorie sono centrate su (a) un numero più
grandi di individui, gran parte dei quali intrattengono interazioni a distanza, (b)
territori geograficamente più ampi, e (c) periodi di tempo più lunghi.”( TURNER
1991, p.129)
1.1.2 Le teorie micro-sociali
A differenza delle teorie macro-sociali, già citate in precedenza, nella prospettiva
microsociologica i movimenti migratori sono il risultato di scelte individuali,
volontarie compiute da soggetti razionali e calcolatori, volte al miglioramento delle
proprie condizioni di vita. Più nello specifico l’individuo aspira al benessere tramite
prospettive di potenziale guadagno dal trasferimento con l’obiettivo di massimizzare
l’utilità usufruendo con fiducia degli skills personali. Ovviamente le fondamenta di
questo sviluppo derivano da delle valutazioni razionali da parte dell’attore in
questione, in base ad una scala di preferenze (Arango 2010). Altri fattori
fondamentali di stampo non salariale, derivanti da una concertazione neoclassica,
sono il desiderio di emancipazione, la certezza di essere protetti da un welfare state
migliore e la possibilità che il trasferimento possa comportare un investimento sulle
proprie capacità personali arricchendone il proprio profilo quindi il cosiddetto
capitale umano.
13
La considerazione principale delle teorie micro-sociologiche risiede nell’approccio
stesso alla teoria in quanto provengano da teorie economiche neo-classiche.
Quindi è di rilevante importanza specificare che secondo questa teoria il migrante
non sia costretto a lasciare il proprio paese per motivi di estrema negatività (teoria
del push) o di attrazione (pull), ma il movente è la risposta ad un bilancio in
prospettiva tra costi e benefici in una questione individuale o di relazione familiare.
La decisione del soggetto di partire in uno scenario economico comporta dei costi
(tangibili e non tangibili) che vanno relazionati a dei possibili benefici ottenibili.
Ambrosini (2011) sostiene che solo chi ha la possibilità di trarre vantaggio
economico dall’esperienza, è deciso a partire.
Questo calcolo comprende i costi di trasferimento e di sopravvivenza nell’ attesa di
trovare un lavoro e la necessità di imparare una lingua. L’adattamento al nuovo
ambiente lavorativo e metropolitano inoltre comporta costi psicologici collegati al
costretto cambiamento dei vecchi legami relazionali con quelli nuovi.
Gli organismi internazionali condividono in gran parte questa teoria ma aggiungono
che essa appartenga ad una soluzione di solo stampo economico, limitando e
decontestualizzando i probabili scenari degli attori in considerazione riguardo ai loro
futuri stili di vita, dando per scontato che le informazioni e le intuizioni siano vere e
verificabili.
La nuova economia delle migrazioni
“le scelte migratorie sono considerate come opzioni famigliari, orientate non solo
alla massimizzazione dei redditi, bensì alla diversificazione dei rischi”. [Stark,1991]
Dall’inglese new economics of migration questa teoria si prospetta all’interno
dell’economia neoclassica tentando di spiegare le dinamiche di scelta dell’individuo
al momento della maturazione decisionale. La variazione considerevole è che non vi
è più solo una scelta razionale individuale , ma un progetto ponderato dall’individuo
in associazione con gli elementi familiari. La nuova economia delle migrazioni è una
teoria di reazione a quella neoclassica che si tergiversa su altri mercati che possono
condizionare la migrazione, in aggiunta a quello professionale. La volontà di migrare
non appare più solo una semplice vocazione individuale, come spiegato nella teoria
14
precedente, ma è la famiglia che assume un ruolo primario instaurando una vera è
propria strategia per massimizzare i profitti e ridurre i rischi. Questo disegno tattico
è determinato da due principi fondamentali: il primo è la consistente negligenza del
welfare state nel proprio paese d’origine, che dovrebbe assicurare servizi
indispensabili come sanità e istruzione alle categorie non tutelate. Di conseguenza
l’emigrazione assume una veste di speranza da parte dei soggetti per l’ottenimento
dei requisiti di benessere richiesti.
Il secondo principio, invece, riguarda il rischio di “fallimento del mercato” che viene
individuato da una condizione momentanea di rapida modernizzazione economica
nei paesi in via di sviluppo. A questo principio viene attribuita la causa dell’
emigrazione di alcuni soggetti in altri paesi con l’intento di favorire la sopravvivenza
della famiglia diversificando i settori d’impiego (chi in campagna, altri nelle città e
talvolta all’estero) per ottenere una maggior sicurezza economica con una più alta
probabilità di collocazione.
Secondo R.K. Merton (1950) un altro cardine della nuova economia delle migrazioni
è la deprivazione relativa, che consiste nella convinzione da parte di alcuni
individui di vivere in condizioni molto inferiori rispetto al rango sociale preso come
punto di riferimento.
Anche per la nuova economia delle migrazioni non vengono risparmiate critiche in
quanto venga obiettato il ruolo della famiglia, catalogandolo come soggetto unico e
razionale con una struttura influenzata da squilibri di potere che condizionano le
scelte dei migranti. Per questa logica il fattore migratorio può essere una scelta
obbligatoria indicata dalla famiglia o per di più una fuga proprio dell’individuo da
quest’ultima.
I migration studies degli ultimi vent’anni hanno sperimentato nuove teorie di
elaborazione che vengono disposte ad un livello intermedio tra micro e macro con
l’intento di superarne i limiti. Queste teorie vengono chiamate meso-sociologiche.
15
1.1.3 Le teorie meso-sociologiche
Le teorie meso-sociologiche, come detto in precedenza, nascono per contrapporsi ai
limiti filosofici delle teorie macro-micro sociologiche. Vengono catalogate come le
teorie più recenti, ed il loro contenuto è in risposta ad un processo di migrazione
ripetitivo e collaudato, di conseguenza gli autori principali sono più contemporanei.
La sentenza cardinale di questi studi riguarda l’importanza delle reti relazionali tra
migranti e potenziali migratori, dividendone appunto gli attori in due categorie
basilari. Per questo Faist (1997) ha definito il fenomeno delle reti interdipendenti
come “the crucial meso-level” annotando verso di esso una serie ripetitiva di
movimenti convergenti nei parametri macro e micro : le teorie delle scelte individuali
(micro) hanno iniziato a esaminare le unità sociali come le famiglie grazie soprattutto
alla new economics of migration, mentre le teorie dei sistemi hanno assimilato nella
loro analisi i network tra i differenti tipi di legami che congiungono i luoghi di
origine e di destinazione dei migranti. Le più importanti teorie nel contesto meso-
sociologico sono le “teorie dei network” e le “teorie transnazionaliste”.
A) Teorie dei network
La caratteristica principale riguardante le teorie dei network sono le reti sociali.
Infatti le migrazioni vengono esaminate come un effetto propulsivo delle relazioni
interpersonali tra migranti e risiedenti nel paese di destinazione. I vincoli principali
che caratterizzano questo scambio di relazioni sono di amicizia, familiari e di
comune appartenenza al paese d’origine (Boyd,1992). Il movente di questo processo
è l’ auspicata o già fortunatamente consolidata nascita di legami stretti in ambito
sociale e professionale. Nel corso del novecento il continuo flusso di migratori,
dovuto alla modernizzazione e ad un offerta migliore nel campo dei trasporti, ha
permesso il continuo esodo verso i poli di attrazione. Di conseguenza nelle nazioni
ospitanti si sono formate vere e proprie colonie di emigranti che hanno avuto la
possibilità di instaurare molte attività professionali e quindi di integrarsi
completamente. Infatti secondo Portes (1995) con la nascita di nuove comunità
internazionali si è avviato uno sviluppo notevole di contatti tra i due poli di
migrazione che ha portato ad un reiterante processo migratorio.
16
“I network collegano migranti e non migranti attraverso il tempo e lo spazio. Una
volta iniziati, i flussi migratori spesso diventano autoalimentati ,in quanto riflettono
l’instaurazione di legami e di reti di informazione, assistenza e obbligazione che si
sviluppano tra immigrati nella società di destinazione e amici e parenti rimasti
nell’area di origine.” [Boyd, 1989]
In conclusione le teorie del network, rispetto alle teorie macro-sociologiche
focalizzate su fattori esogeni e quelle micro-sociologiche su fattori di individualità,
hanno una base prettamente di relazioni umane quasi guidate da un istinto
primordiale rese possibili tramite gli esodi migratori del novecento.
B) Teorie transnazionaliste
L’approccio delle teorie transnazionaliste viene definito come un’evoluzione delle
teorie dei network, probabilmente un fondamentale progresso teorico negli ultimi
decenni dello studio delle migrazioni.
Ci si è interrogati, in primo luogo, sull’andamento delle relazioni sociali
transnazionali tra migranti e familiari non emigrati. Si tratta di una questione
fondamentale per comprendere l’evoluzione dei percorsi migratori – e quindi le
traiettorie di integrazione – dal punto di vista dei diretti interessati .[Boccagni,
Pollini p.49.2012]
Il contenuto principale dell’approccio transnazionalista deriva dalla possibilità da
parte dell’individuo di riuscire a vivere in due nazioni diverse, quella di origine e
quella di destinazione, conservando le relazioni sociali e affettive attraverso i confini.
Infatti il concetto viene riportato da Portes, Guarnizo, e Landolt (1999) attribuendo
la causa di questa eventualità alla diminuzione dei costi dei trasporti e delle
comunicazioni, permettendo la costante doppia sedentarietà e la conduzione di una
vita da parte del ”transmigrante” continuamente “in ballo” dalle nuove prospettive di
integrazione nel nuovo paese e il regolare legame con la precedente vita sociale.
Questo approccio transnazionale comporta perciò una evidenziata bi-direzionalità
degli scambi e dei flussi tra le comunità, che consiste nell’interesse da parte dei
protagonisti di essere operosi nei due versanti (sostenendo programmi sociali,
creando associazioni, istituzioni religiose e partecipando ad attività politiche).
17
Anche per le teorie meso-sociologiche non si escludono opinioni di critica. Anche se
Faist (1997) spiega che le teorie dei network sono le migliori nella spiegazione delle
rotte di emigrazione e del consistente volume di individui che ne prendono parte,
proseguendo l’autore si pone un grosso punto di domanda riguardante alla fase
successiva; quali fattori permettono all’emigrante di rimanere e quali altri di
rispostarsi? Un’altra demarcazione viene rivelata da Portes e Rumbaut (2011) dove
viene ripresa la condizione di alcuni migranti di rimanere imprigionati in attività
emarginate o devianti, appunto proprio a causa delle reti sociali.
1.2 Il fenomeno della migrazione qualificata
Il fenomeno della migrazione qualificata, o internazionalmente definito come brain
drain, illustra la considerevole mobilità di soggetti altamente specializzati che
possiedono un’ educazione di livello secondario o terziario. Al momento le ricerche
più interessanti sulle migrazioni qualificate differenziano i profili dei soggetti presi in
questione, annotandone una differenza su lavoratori altamente specializzati detti
high-skilled e i cosiddetti individui della fuga dei cervelli. Tale definizione però
secondo Brandi (2001) non dipende da problemi teorici riguardanti, in particolare, i
valori di giudizio su secondo chi debba essere valutato competente e che cosa si
intende per valore di migrazione.
Il concetto di brain drain è una tematica molto vasta analizzata continuamente da
studiosi fin dalla data di definizione del pensiero nel 1963. Principalmente le
dinamiche si concentrarono sui movimenti di forza lavoro qualificata dai paesi meno
sviluppati a quelli di attrazione senza differenziare i settori professionali. Infatti
secondo Mayer(2001) questo disegno è stato focalizzato nel rapporto di gap tra il
Nord e il Sud del mondo richiamando l’attenzione sulla perdita di risorse dei PVS,
paesi in via di sviluppo( Bhagwati e Hamada,1974). I due principali approcci
riconosciuti sono quello della standard e view e quello circolazionista.
18
1.2.1 La standard e view
L’approccio cardinale della migrazione qualificata viene identificato nella corrente
della standard view ed è caratterizzato dall’interpretazione che al centro del processo
migratorio vi sono le teorie del capitale umano (Becker, 1964 ; Schulz, 1971)
insieme alle teorie del primo paragrafo riguardanti Marx e Wallerstein, appunto
quelle neo-marxista e del sistema mondo. La standard view identifica che le scelte
degli individui sono unidirezionali dai paesi in via di sviluppo a quelli già sviluppati
per massimizzare i livelli d’istruzione o incrementare gli skills nell’ambito del
mondo del lavoro. Ma il pilastro di pensiero proveniente dalla teoria del capitale
umano rivela anche che questo fenomeno possa risultare una perdita per i paesi
d’origine. Poiché quest’ultimi siano i principali investitori nell’istruzione e che non
abbiano un successivo riscontro, dal momento che il profilo si offre ad un altro
paese, caratterizzando drasticamente un abbassamento omogeneo della classe
lavorativa. Quindi l’approccio della standard e view è sempre stato al centro di
dibattiti e viene frammentato in diverse opinioni divergenti. In contrasto ai pensieri
di Grubel e Scott (1960), i quali interpretarono la logica dell’effetto come positiva
poichè riuscì a combattere la disoccupazione già presente, Bhagwati e Hamada
(1974) affermarono che la facile trasferibilità dei profili qualificati e l’assenza di
contatti tra gli emigrati e il paese d’origine generassero dei fattori negativi. Tra questi
il gap nel rendimento sociale tra i settori pubblici e privati, l’effetto che i lavoratori
migranti non sono più contribuenti e lo stato non può più usufruire di maggiori
entrate fiscali e come già citata in precedenza la questione dell’abbassamento del
capitale umano. Successivamente la centralità del dibattito si spostò sulla questione
dell’istruzione, che venne inteso come valore primario in quanto promotore dello
sviluppo. Infatti secondo Haque e Kim (1995), il trasferimento degli individui
implica un peggioramento del tasso di crescita e quindi del livello di benessere. Altri
autori invece sponsorizzano il fattore migratorio considerandolo come uno dei fattori
principali che induce ad un investimento maggiore nell’istruzione del paese natale.
Stark e Fan (2007), infatti, in tempi più attuali spiegano che l’espatrio è causa di
crescita di capitale qualificato nei paesi di origine e non viceversa.
In generale nella standard e view sono stati presi in considerazione soprattutto gli
effetti negativi, in quanto valutano come unici decisori gli individui non
considerando le visioni delle istituzioni e dei governi. Quindi secondo Brandi (2001)
19
molti ricercatori sono stati spinti a ritenere che il quadro interpretativo della
standard view fosse inadeguato.
1.2.2 L’approccio circolazionista, una revisione della standard e view.
L’approccio “circolazionista” o brain circulation deriva dalla più frequente idea da
parte dei migratori di spostarsi in più parti del globo. Questo criterio aggiorna la
concezione della migrazione qualificata in uno scenario caratterizzato da un
maggior flusso e un maggior scambio di cervelli, incrementando la quantità delle
migrazioni temporanee e di ritorno. Questo approccio si definisce come una coerente
revisione della classica prospettiva nazionalista, del paragrafo precedente, la
standard e view, conferendone appunto i legami fondamentali protagonisti di fine
novecento, la globalizzazione e il trans-nazionalismo. Secondo Mayer (2001)
l’emergere sempre più consistente di nuove mete, di nuovi poli di attrazioni, di nuove
nicchie di mercato in elevata crescita porta a rivedere il discorso predominante, dove
sono presenti paesi di centro e paesi di periferia dando conto dell’esistenza sempre
più insistente di una pluralità di centri, collocati in una gerarchia multistrato.
L’avvento caratterizzato dalla crescita economica in zone non prese in
considerazione in precedenza, come I B.R.I.C.S. o in modo più consistente il golfo
persico e le tigri asiatiche, ha portato l’intensificarsi dello scambio di cervelli (brain
exchange), fenomeno connesso soprattutto alle capacità attrattive in alcuni territori e
anche rilevante nell’interscambio tra paesi colonizzatori ed ex-colonizzati (discorso
prevalentemente affrontato da Inghilterra e Francia). Con un capitalismo sempre più
indotto alla realizzazione di aziende multinazionali, che esportano poli di
collegamento da una nazione all’altra, s’incrementa di conseguenza il processo delle
migrazioni temporanee o di ritorno mosso da politiche di rientro dei propri cervelli
( Beltrame, 2007).
“ un flusso policentrico, temporaneo e soggetto a fenomeni di scambio, caratterizzati
da movimenti di rientro dei cervelli.” [Gaillard e Gaillard p. 113 , 1997]
Queste premesse mettono in evidenza, come lo sfondo sia molto articolato e
dinamico, ma da un altro lato anche come la mobilità non sia difatti un fenomeno da
esaminare negativamente. La crescita degli spostamenti dovuti a prerogative di
studio e lavoro sono del tutto coerenti con le dinamiche di sviluppo di questo secolo
20
(Migliavacca, 2011). La possibilità di viaggiare con tempi e costi minimi si è
amplificata facendo diventare il mondo sempre più piccolo ed accessibile. I
protagonisti di questa rivoluzione sono i cosiddetti nativi digitali o gli individui della
generazione erasmus che hanno il privilegio di interagire con abitanti di altri paesi, di
conoscere altre culture e di notevole importanza l’eventualità di girare il mondo
senza confini.
In conclusione, si può attestare che i due basilari approcci (standard view e teoria
circolazionista) non possono essere osservati alternativi ma evolutivi e
complementari.
1.3 Una breve rielaborazione sull’andamento migratorio.
Per migrazione dell’uomo si intende l’estensione umana sul suolo globale e lo studio
di questa su basi principalmente antropologiche, genetiche, linguistiche e socio-
culturali. La scelta di lasciare le proprie origini e la propria regione d’appartenenza
non è un fenomeno affatto recente. Infatti fin dalle origini dell’uomo vi si presenta
una continua trasferibilità di singoli individui, di clan, tribù o gruppi consistenti e in
certe circostanze di popolazioni intere da un territorio all’altro della terra alla ricerca
di migliori condizioni di vita.
“Le migrazioni sono un fenomeno antico come l’umanità, tanto che si può affermare
che gli << umani sono una specie migratoria >> ” [Massey,p.645 1998]
Secondo gli storici del settore l’uomo fin dall’epoca preistorica prima di diventare
una figura stabile, è sempre stato nomade e si è sempre diretto in postazioni differenti
spinto, dalla ricerca di cibo e di beni primari in regioni dalle accessibili condizioni
temporali. In un contesto di evoluzione umana primordiale, dove la terra era ancora
un agglomerato di abbondanti superfici vergini, gli individui non ebbero mai conflitti
con gli autoctoni perché appunto vi erano a disposizione spazi per tutti. Secondo
Bacci (2010) solo negli ultimi duemila anni si sono evidenziati differenti
comportamenti dai migranti, dove a seconda delle loro risorse o della loro mentalità
si sono dovuti rapportare ai popoli nativi, imponendo o subendo la nuova
convivenza. Infatti la caratteristica principali degli individui è ottenere il meglio per
se e per i propri gruppi sociali, caratterizzando da questi vantaggi, guerre, conflitti
sociali e di intolleranza religiosa.
21
Nel secondo millennio a.C. vi furono due manifestazioni considerevoli di
migrazioni, legate a due gruppi etnico linguistici: i semiti e gli indoeuropei.
L’invasione dei semiti, derivanti dalla penisola arabica, comportò la sottomissione
sui i sumeri in Mesopotamia. Da quel momento in avanti, il ceppo semita
primeggerà nel vicino oriente trasmettendo anche le culture tradizionali e soprattutto
linguistiche della popolazione. Mentre gli indoeuropei, popolazioni originarie delle
steppe danubiane, si accavallarono alle cittadinanze già presenti dell’Europa centrale
e meridionale dando origine a gloriose civiltà come quella greca.
“Poiché un monaco si lamentava col suo superiore del gran numero di emigranti che
affluivano in Egitto attraversando il Mar Rosso, abba Filocolo disse:
- Perché ti lamenti? Siamo tutti discendenti di emigranti, da quando Adamo ed Eva
han dovuto lasciare il Paradiso…” [Kern,2013]
Anche nel periodo medioevale vi susseguirono consistenti ondate migratorie che
dall’Europa del nord e da differenti regioni asiatiche, si mossero verso le terre più
fertili del continente che portarono inevitabilmente a violenti conflitti con le
popolazioni locali. Successivamente di rilevante importanza fu quella degli Arabi
nella penisola iberica, stanziandosi per alcuni secoli importando culture e tradizioni.
Infatti secondo le opinioni di Bacci (2010) quelli che originariamente furono
movimenti dal pretesto individuale divennero questioni pilotate dalle organizzazioni
politiche .
Se si va ad analizzare dal 1500 in poi, con la scoperta delle americhe di Cristoforo
Colombo, l’Europa da meta di immigrati diventa sorgente di potenziali viaggiatori e
saccheggiatori verso nuove realtà, sotto una bandiera o una corona con lo scopo di
impossessarsi di materie prime dal valore prezioso.
“Porto meco uomini di quest'isola e delle altre da me visitate i quali faranno
testimonianza di ciò che dissi. Io prometto: che a’ nostri invittissimi Re, sol che
m'accordino un po' d'aiuto, io sarò per dare tant'oro quanto sarà lor necessario [...]
e tanti servi idolatri, quanti ne vogliano le loro Maestà [...] esulti Cristo in terra
come in cielo, perché volle che fossero salvate le anime di tanti popoli prima
perdute. [Cristoforo Colombo 1492]
22
Dalla scoperta dell’ America all’ inizio della rivoluzione industriale iniziarono delle
consistenti emigrazioni dal vecchio al nuovo continente. Nell’ultimo periodo del
settecento si contava un totale di circa 4,5 milioni di cittadini di origine europea in
America del Nord e a Sud una cifra sensibilmente inferiore. In totale il ceppo
europeo raggiunse nel nuovo continente la quota di un terzo della popolazione totale.
Dalla penisola iberica per motivi commerciali fu il più consistente blocco diretto
nelle americhe del sud, mentre i britannici nelle regioni del nord. Questo fenomeno
continuo secolo per secolo fino al novecento dove le stime contano un esodo di 48
milioni di persone che partirono dall’ Europa verso le Americhe, con un
insediamento permanente dando luce ad una società multiculturale dall’origine
europea.
Le ultime teorie riguardo i moti migratori, sono state già trattate in modo più tecnico
e dettagliato nei paragrafi precedenti.
Questo capitolo rappresenta una solida ricostruzione delle teorie dell’emigrazione di
stampo classico, con le varie sfaccettature interne, e della discussione molto
dettagliata riguardo il concetto della migrazione qualificata, condita da una breve
rappresentazione sull’andamento migratorio.
Il prossimo capitolo tratterrà in maniera approfondita la questione e i dibattiti inerenti
alla migrazione giovanile italiana.
23
2. La questione giovanile della migrazione italiana
Nel corso degli ultimi decenni i profili strutturali delle principali realtà europee
hanno subito notevoli trasformazioni, garantite da un cambiamento della struttura
demografica, nei confronti della distribuzione di risorse e opportunità a differenti
classi sociali. La recente crisi del 2008 ha accentuato in maniera negativa queste
differenze, caratterizzando un pensiero più convinto di disuguaglianza, causato anche
da una sbagliata e controversa gestibilità degli eventi stessi. Tra i più penalizzati
abbiamo i giovani, che si trovano in un “limbo” rappresentato da una voglia di
emergere e le carenze di opportunità per farlo. I vari dibattiti che saranno affrontati
nei prossimi paragrafi, saranno appunto sulle centrali dinamiche di migrazione
giovanile in Italia, i come e i perché di questo processo. Di fondamentale importanza
è una breve spiegazione della panoramica storica sull’immigrazione italiana,
raccontando rapidamente la crono-storia riguardo le scelte del passato da parte degli
“antenati” dei giovani di adesso, protagonisti più che mai nella mobilità
internazionale.
2.1 Cenni storici
La questione della migrazione giovanile italiana è un processo lungo reiterato nel
tempo dove trova le sue fondamenta nel periodo dell’unità d’ Italia, metà ottocento
circa, fino a riproporsi frequentemente nei giorni nostri. Secondo l’IOM
(International Organization for Migration) lo svolgimento delle migrazioni italiane
può distribuirsi in quattro periodi fondamentali: quello tra l’unità d’Italia e la prima
guerra mondiale (1861-1914), quello tra le due guerre mondiali (1918-1939), il
successivo caratterizzato da migrazioni interne ed esterne del post-guerra (1945-
1965) e l’ultimo ancora in “corsa” che inizia dalla prima parte degli anni settanta
fino a divulgarsi di continuo nei giorni nostri (1970- ). Lo sviluppo delle
dinamiche dell’ argomento ha come primi attori la popolazione totale italiana di ogni
calibro sociale, con un marcamento nei ceppi poveri, poco istruiti, colpiti da una
bassa tutela e regolamentazione legislativa, sempre alla ricerca di fortuna o di
ambizioni rese possibili in altre nazioni. Quest’ultimo fenomeno risalente nei primi
due periodi indicati, però tende ad allargare il contesto della mobilità, non solo per i
cittadini italiani, ma sotto uno sfondo di provenienza europea.
24
“Nel corso dell’ottocento l’emigrazione transoceanica si affermò come prima meta
migratoria di molti europei . L’esodo di massa fu reso possibile dalla rivoluzione dei
trasporti. La navigazione a vapore, introdotta nel 1860, andò a sostituire quella a
vela: dai 44 giorni di viaggio si passò a 14, con la conseguente riduzione del costo
delle traversate. Gli Stati Uniti accolsero il 70% di queste emigrazioni, l’Argentina il
10%, ; seguivano Australia, Canada e Brasile con un 5 %.” [P.AUDENINO, 2008
Migrazioni Italiane p.21]
Già a partire dal periodo centrale tra le due guerre si sviluppò la visione di una
regolamentazione delle masse migratorie tramite trattati internazionali con l’intento
di riconoscere dei diritti a favore dei migranti, connessi dalla parità dei diritti dei
lavoratori nazionali (Ambrosini,2011). Verso la fine di quest’ epoca vi furono fattori
considerevoli che influenzarono di molto i moti migratori; Mussolini decise di
ostacolare le partenze perché necessitava di uomini all’interno del paese e per le
proprie colonie e per di più gli Stati Uniti per motivi bellici e di sicurezza
instaurarono politiche di restrizione nei confronti dell’immigrazione, favorendo le
scelte di migrazione da parte dei soggetti in uno scenario più europeo (Francia,
Belgio, i casi più eclatanti mentre Germania, Svizzera e Regno Unito in misura più
lieve).
In seguito al periodo post-bellico la quale l’Italia esce sconfitta, urge nello “stivale”
un periodo di ricostruzione e di rinnovamento e qui s’insedia il terzo ciclo di
migrazioni italiane. Esso viene definito come “grande migrazione del dopoguerra”.
Secondo Pugliese (2011) dopo la Seconda guerra mondiale molti flussi migratori si
chiusero e fu complicato trovare degli sbocchi per chi aveva intenzione in quel
momento di partire. Svizzera e Germania presero il monopolio di destinazione di
scelta dei potenziali migranti, scavalcando Francia e Belgio. Lo sviluppo industriale
e il conseguente ammodernamento delle società diedero vita ad un continuo flusso
rotatorio di soggetti partenti in cerca di guadagni da redistribuire nei loro paesi
d’origine. Di notevole caratura nel post-guerra fu la questione delle migrazioni
interne nel paese italiano.
25
“Nel territorio nazionale si registrò una progressiva meridionalizzazione dei flussi
d’emigrazione, effetto della riduzione delle partenze dalle altre tradizionali aree
d’esodo dell’Italia, quale quella nordorientale. In questo periodo è preponderante il
movimento di uomini soli, appartenenti alle fasce d’età giovanili o centrali (16÷45
anni) che emigrano senza alcuna prospettiva d’integrazione stabile nei paesi di
destinazione ma “con l’obiettivo di guadagnare il massimo nel minor tempo
possibile, onde ricongiungersi presto con la propria famiglia per lo più nel paese di
partenza.” [U. Ascoli, 1979, Movimenti migratori in Italia, Bologna, Il Mulino p.65]
Dalla metà degli anni settanta l’Italia da paesi di migranti divenne formalmente un
paese oggetto di immigrazione. Infatti secondo Pugliese (2011) l’Italia prende la
forma di un crocevia migratorio nella quale i lavoratori stranieri s’insediano sempre
più di frequente consolidando la loro permanenza con i ricongiungimenti familiari,
invece i cittadini italiani, soprattutto giovani, abbandonarono l’Italia verso altri
paesi della comunità europea. In sostanza i nuovi migranti assumono un profilo dalle
caratteristiche qualificate , possedendo un titolo di studio e sono pronti ad interagire
in nuove realtà oltre ai propri confini di appartenenza.
Questo è il discorso già trattato nei paragrafi precedenti, della migrazione qualificata
molto frequente negli ultimi decenni della storia dell’umanità. Si può evidenziare la
problematica dagli studi di Becker, Ichino e Peri (2004) di come lavoratori
qualificati e laureati abbiano deciso di partire , mostrando un aumento rilevante anno
per anno, constatando una drammatica perdita di capitale umano dal “bel paese” ai
concorrenti europei.
Nei prossimi paragrafi verranno analizzate la situazione italiana, i profili di questi
soggetti, le statistiche riportate dagli studi di settore e gli interventi di politica interna
ed estera sul tema della migrazione.
2.2 Una panoramica generale della situazione attuale italiana
I motivi inerenti alla scelta di emigrare da parte dei cittadini italiani sono molteplici e
riguardano la mal gestione delle politiche nei loro confronti negli ultimi anni,
causando appunto un insieme di circostanze negative che ha nettamente determinato
la volontà di partire o soprattutto di scappare per sentirsi più utili e appagati in altre
società o semplicemente per ritrovare se stessi.
26
Come sottolinea Livi Bacci(2008), i giovani raffigurano, uno dei gruppi sociali, più
colpiti dalle ristrutturazioni del sistema del welfare e dai risultati della complicate
dinamiche di crescita, nonostante possano essere catalogati come una potenziale
chiave di ripresa. Peraltro anche la comunità europea si ostina ad investire grandi
risorse sull’importanza del mercato del lavoro giovanile, ad esempio uno di questi è
(EU Youth Strategy 2010 – 2018). L’Unione Europea si distingue per una consistente
disparità di paesi investitori e previdenti per le questioni giovanili, ovviamente
favoriti da condizioni demografiche ed economiche benevole, e altri paesi che non
hanno promosso l’argomento come uno dei principali. Tra quest’ultimi vi è l’Italia
che da sempre è regione amministrata dai clientelismi e da un crescente blocco di
mobilità sociale, portandola a gli ultimi posti della classifica europea sulle politiche
pro-giovanili. Infatti i rapporti (ISTAT,2012 e CENSIS,2014) rimarcano
ulteriormente un danneggiamento delle opportunità di miglioramento sociale e
occupazionale dei giovani italiani, ritenendola una problematica molto seria. Altre
analisi hanno rilevato come il trend della struttura del mercato del lavoro fosse
mediamente positivo con le principali concorrenti europee, ma le disuguaglianze
territoriali tra nord e sud Italia, fanno riemergere un ulteriore gap con le altre nazioni
molto più omogenee internamente al giorno d’oggi (RAPPORTO SVIMEZ 2014, Lo
Verde 2013, Trigilia 2013). Anche Blossfeld, Hofacker e Bertolini (2011)
definiscono la gravosità della situazione, in quanto la recente crisi abbia scaricato ai
giovani gli effetti della globalizzazione incontrollata privilegiando le coorti più
anziane.
Grafico 2.1 - Prestazioni di protezione sociale in alcuni paesi europei ( in % del PIL 2011) Fonte: Eurostat Espross
27
Questo grafico identifica l’ utilizzo della spesa pubblica per la protezione sociale nei
settori principali: vecchiaia, invalidità, famiglia, superstiti, disoccupazione, altro. Le
statistiche riportate nel grafico confermano la tesi del paragrafo sovrastante , in
quanto l’Italia abbia investito le risorse della spesa pubblica in modo scarso e
limitato nelle politiche del lavoro, privilegiando maggiormente il settore
pensionistico e quello sanitario. Di conseguenza l’Italia fa poco per aiutare i giovani
e inserire le donne nel mercato del lavoro. Secondo la Commissione Ue (2015)
sull’occupazione viene evidenziato il bisogno di investire sul capitale umano,
specialmente in paesi dove la disoccupazione è molto alta e la percentuale di laureati
rispetto alle principali concorrenti è molto bassa. Seguendo il rapporto della
commissione le politiche in Italia per sostenere la bassa adesione dei giovani al
mercato del lavoro sono scarse o limitate e che nella capitale vi è il numero più basso
di laureati dai 30 ai 34 anni.
<< La situazione economica e dell’occupazione è ancora fragile, ma i Paesi che
hanno investito in istruzione e formazione hanno visto il trend dell’occupazione
migliorare […] urgente è l’attuazione delle riforme strutturali […] investire nel
capitale umano con una migliore istruzione”. [Marianne Thyssen, commissario al
lavoro UE, il Fatto Quotidiano 17 gennaio 2015]
Grafico 2.2- Disoccupazione giovanile (%,maggio 2014) Fonte: Eurostat
28
Il grafico sovrastante, mostra come sia rilevante la problematica italiana sulla
disoccupazione giovanile nei paesi dell’eurozona. In Italia secondo le statistiche di
maggio 2014 domina un ‘elevata disoccupazione giovanile pari al 42%, di gran lunga
superiore alla media UE pari al 21%. Altra considerazione importante deriva dal fatto
di come i paesi dell’ Europa mediterranea e dell’Est Europa siano in difficoltà nel
gestire il problema, in rapporto a quelli dell’Europa continentale e occidentale. Infatti
gli interventi di politiche attive del lavoro sono stati pressoché scarsi e inefficaci sin
dagli anni novanta, per la mancanza di risorse destinate al progresso
dell’occupazione (Sacchi e Vessan 2010). Un’ altra dinamica fondamentale è
connessa all’ estensione di forme di lavoro flessibile e precario che purtroppo
vengono rappresentate come principali canali d’ingresso nell’ambito professionale
presentandosi come unica soluzione possibile d’entrata nel mercato del lavoro,
limitando drammaticamente le scelte dei giovani.
L’immagine complessiva del tema riporta uno sfondo di sfiducia rappresentando
una prospettiva sul futuro dalle carenti aspettative, accompagnata da una scarsa
inclinazione al sacrificio e alla responsabilità sul lavoro. Infatti un fenomeno molto
importante che riguarda le giovani generazioni è quello dei NEET (giovani dai 15 ai
29 anni che non studiano e non lavorano) un tema di ulteriore incertezza sul futuro. I
NEET sono una categoria in costante crescita, aumentata di due punti percentuali
nell’ultimo anno e di sette dal 2008, raggiungendo una quota di 2 milioni e
centomila individui (ISTAT 2013).
Grafico 2.3- Rappresentazione regionale fenomeno Neet in Italia (Cnel-Istat 2013)
27 Giugno 2014 11:43. in Italia
29
In questo grafico è rappresentata la quantità dei NEET regione per regione. Si può
notare, che vi sono degli evidenti innalzamenti nelle regioni meridionali Campania,
Sicilia e Puglia ed è anche notevole in Lombardia dal momento che la suddetta
regione include 10 milioni di abitanti quasi un sesto della popolazione totale. Mentre
le regioni del nord Italia si difendono molto meglio dal fenomeno includendo più
giovani nel mercato del lavoro. La questione dei NEET è una delle tante che
caratterizza la differenza tra il Nord e il Sud dell’Italia. Si può concludere dicendo
che l’ esistenza di un cospicuo bacino giovanile non occupato rappresenti una
peculiarità strutturale del mercato del lavoro, attribuibile allo scoraggiamento che
spicca in molti giovani di fronte alle complicate dinamiche d’inserimento lavorativo.
Questo è dovuto sia alla mancanza di un titolo di studio e per il mismatch tra requisiti
richiesti dal mercato, e capacità ottenute durante gli studi. Questa totalità di
argomenti sulla situazione italiana, sono un “trampolino di lancio” per scelta
definitiva o temporanea di partire per i giovani sfiduciati italiani, e soprattutto la
voglia di prendersi una “rivincita” altrove per i soggetti qualificati che hanno
investito precedentemente nell’istruzione, in esperienze professionali o corsi di
formazione.
2.3 Categorie di soggetti qualificati
Come precedentemente analizzato sono ritenuti soggetti altamente qualificati coloro
che sono dotati di un educazione terziaria di primo o secondo livello. Quindi per
quanto riguarda lo scenario italiano ci riferiamo a soggetti con referenze molto alte,
in possesso di diploma di laurea, master e dottorati (International Standard
Classification of Education dell’UNESCO, 1997). Però secondo le statistiche nella
mobilità internazionale giovanile evidenziate negli ultimi anni, viene spiegato
appunto che non necessariamente chi viene assunto per lavori ad alta qualificazione
possiede un’educazione superiore rispetto agli altri individui. Infatti, percorsi
formativi, esperienze precedenti e conoscenze informali, in molti casi, permettono lo
stesso la possibilità di lavorare in ambienti altamente specializzati, rompendo difatti
il “luogo comune” dell’accesso univoco per i detentori di lauree e dottorati. Perciò
questa molteplicità di circostanze professionali tende ad allargare il quadro dei
soggetti qualificati, suddividendolo in categorie eterogenee non in competizione
perché fanno parte di settori professionali differenti. Salt (1997) differenzia in modo
30
preciso le tipologie occupazionali che si sono concentrate sulle mobilità giovanile
(under 40).
a) Corporate transferees – trasferimenti aziendali. Questi individui si spostano a
livello internazionale tramite l’impulso del mercato interno all’azienda. I
trasferimenti sono generati dalla volontà del soggetto, di avanzare di carriera e
intraprendere periodi di training. In questa categoria sono presenti specialisti dei
sistemi produttivi, del marketing e della ricerca.
b) Tecnici e visiting firemen. Chiamati anche (soccorritori in visita) i loro
movimenti internazionali rispecchiano gli specifici skills professionali, da loro
posseduti. Le cause dello spostamento derivano dalla volontà dell’azienda di
intraprendere progetti di sviluppo o talvolta sono anche improvvise per
rispondere a dinamiche di crisi ed ai bisogni del management.
c) Professionisti. I soggetti in questione sono spesso adottati da organizzazioni non
governative (ONG). I loro profili sono utilizzati maggiormente nel settore
sanitario ed educativo e la loro candidatura viene decisa tramite una selezione
accurata. Il loro trasferimento per volere delle ONG può diventare permanente.
d) Project specialist -professionisti di progetto. Le migrazioni dei Project specialist
dipendono da esclusivi progetti da compiere all’estero. Per periodi contrattuali
delimitati gli elementi di questa categoria vengono arruolati nel mercato del
lavoro esterno, partendo precedentemente da sistemi di laboratorio interni.
e) Consultant specialist- (Consulenti specializzati). Per i consulenti specializzati vi
sono di sfondo, sempre organizzazioni impiegatizie che usufruiscono di questi
soggetti per una ampia serie di attività. Le destinazioni dei consulenti sono spesso
a livello globali, e dipendono dalla gerarchia organizzativa del cliente.
f) Carriere private e training. Migliaia di individui si avventurano all’estero alla
ricerca di opportunità tramite mercati del lavoro esterni per progressi di carriera e
aggiuntivi training specializzati, soggiornando in altri paesi per periodi
provvisori. Questa categoria comprende diverse professioni, ma soprattutto
mentalità giovani che provano esperienze lavorative in ambienti esteri. Un
contesto principale di questa categoria è il chasing the dollar ovvero la rincorsa
al denaro.
g) Intrattenitori, sportivi e artisti. Un altro gruppo di giovani migranti è quello
che comprende gli intrattenitori, gli sportivi e gli artisti. Usualmente il loro
31
viaggio comporta soggiorni esteri per brevi periodi, ma alcuni possono diventare
migranti permanenti.
h) Business men e “ricchi indipendenti”. Questa categoria comprende soggetti dal
buon patrimonio economico personale, che spinti dall’investimento “facile” e
soprattutto dalle agevolazioni fiscali più flessibili, si dirigono in altri paesi per
instaurare nuove attività.
i) Accademici e ricercatori. Per periodi tradizionalmente di breve durata vengono
avviati degli “scambi” tra accademici e ricercatori fra università dello stesso
indirizzo.
j) Studenti in istituzioni di alta formazione. Una caratteristica principale
dell’ultimo ventennio è la possibilità per alcuni studenti di studiare all’estero.
Questa categoria preclude un numero di giovani che intraprende studi universitari
molto specializzati in altri agglomerati connessi alla propria facoltà. Questi tipi di
trasferimento possono tergiversare nel tempo, per la durata di mesi o addirittura
anni.
2.4 Il dibattito sui giovani laureati
In un’epoca in qui la crisi economica sovrasta le aspettative dei lavoratori italiani,
gran parte di essi sono disposti ad emigrare per ottenere speranze di vita migliori. Tra
questi non solo dipendenti o imprenditori, ma soprattutto i giovani laureati italiani.
Essi dopo un investimento economico nei titoli di studio, ambiscono a migliori
professioni meglio retribuite, inerenti a gli studi effettuati. Giustificati da anni di
sacrifici, maturano l’esigenza di mettere in campo nel minor breve tempo possibile le
loro capacità acquisite e non reputano nell’Italia per vari motivi negativi, le
possibilità di crescere professionalmente. Anche Reyneri (1979) già definiva, che più
è alto il livello d’istruzione, più alte saranno le aspettative e quindi minore la
possibilità di impiego in ambiti dequalificati. Per di più, l’Italia convive in una
duplice situazione, nel quale i giovani qualificati partono, ma non vengono
rimpiazzati da altre menti di uguale qualità, portando ad una recessione del capitale
umano.
La problematica della perdita di capitale umano e l’incapacità di attrarre stranieri
competitivi come i nostri, grava sulla situazione italiana in un mondo fortemente
globalizzato e che concorre sempre di più con la conoscenza e l’innovazione
32
(Casadio, Crosta, Lattanzi, Ricci, Scanio 2012). Quindi possiamo interpretare che in
Italia il fenomeno del brain exchange (scambio di cervelli) non è ancora, molto
sponsorizzato dalle politiche attive come ad esempio l’Unione Europea promuove
già da molti anni a questa parte. Perciò di conseguenza secondo le statistiche
analizzate l’Italia non usufruisce nel proprio mercato del lavoro di menti derivanti da
paesi di alta fascia, ovvero il beneficio di talenti dall’estero, il cosiddetto brain gain.
Infine l’OCSE visualizza un altro fenomeno, chiamato brain waste (spreco di
cervelli). Con il termine brain waste ci si riferisce ad un’emigrazione a sfondo
occupazionale. La definizione chiarisce l’utilizzo di persone altamente qualificate
con titoli di studio di secondo o terzo livello in varie facoltà, che vengono impiegate
in altri settori professionali in cui non hanno una formazione, ricevendo retribuzioni
più basse.
Le destinazioni più richieste per i nostri "cervelli in fuga" sono il Regno Unito, la
Germania, la Svizzera e la Francia. Il Governo italiano ha assicurato nuove misure
per limitare il trasferimento di talenti, ma vi è da menzionare che le sole misure
fiscali sono insufficienti per bilanciare le differenze nette di salari a volte molto
marcate. È soprattutto con la crescita interna si può contrastare la diaspora da parte
dei giovani laureati italiani dal nostro paese.
Grafico 4.1- i saldi migratori dei laureati italiani di età 25 anni o più Fonte: Istat 2013
33
In questo grafico viene rappresentata la netta disparità tra emigrati e rimpatri in Italia
dei giovani italiani over 25, nelle varie destinazioni preferite. Questo grafico conduce
a capire come il fenomeno del brain exchange sia ancora una questione remota nel
panorama italiano.
2.4.1 I fattori che spingono i laureati ad andarsene
Le tematiche che provocano l’intenzione dei laureati a lasciare il proprio paese
d’origine sono di vario tipo, ma tutte hanno come centralità il problema di mal
gestione del rapporto università – mercato del lavoro. La perdita del valore di studio,
lo scarso collegamento tra scuola e lavoro, la minima domanda e la poca trasparenza
del mercato sono i fattori che dominano la sfiducia dei giovani e determinano quindi
il movente a partire.
a) La perdita del valore di studio
Le università italiane peccano di poca attrazione per gli studenti stranieri, e non è una
caratteristica positiva per il nostro paese. Anche gli italiani stessi se sono provvisti di
una buona spinta economica familiare tendono ad “accasarsi” in altri atenei più
rinomati in giro per l’Europa o se vi è la possibilità negli Stati Uniti. Il problema
principale che deriva dal ciclo economico negativo è che le prospettive di lavoro
sono scarse, e per di più vi è un mercato pubblico e privato che non sempre riconosce
il valore di una qualificazione. Molto spesso i neolaureati prima di immettersi in un
settore professionale adiacente al loro percorso di studi, ricorrono a lavori sotto-
qualificati per necessitare di un reddito, ma rischiando di fuoriuscire dalla aspettativa
di studio. La maggior parte dei genitori italiani è contenta e fiera di investire
nell’ambito universitario per i propri figli, e si augurano la migliore prospettiva
d’impiego per loro. Ma tuttavia nel corso del triennio o del quinquennio con
specialistica, i genitori sono soggetti a costi dispendiosi per i propri figli, che
purtroppo in molti casi non verranno ripagati in futuro. Il problema più recente
quindi si riconduce alla sfiducia da parte dei genitori nell’investire nelle università,
sempre più convinti di versare somme di denaro senza trarne benefici. Quindi questo
scetticismo attuale sta caratterizzando l’immissione dei propri figli nel mercato del
lavoro prematuramente e di conseguenza un drastico abbassamento di candidature
nelle università. Infatti anche le statistiche premiano questa considerazione
34
attribuendo un’ abbassamento delle percentuali d’iscritti, da un 74% nel 2003/2004
ad un 68% nel 2007/2008 (ISTAT “Università e Lavoro 2008). In un certo senso si
possono definire le università di oggi come aree di parcheggio di disoccupazione
intellettuale causate dalla difficoltà d’ inserimento nel mondo del lavoro.
Da altra parte le università svolgono l’azione di assorbire la forza lavoro in eccesso,
immatricolando masse di studenti, ritardando l’ingresso nel mercato del lavoro
(Reyneri 2011).
D’altro canto, per contrastare la scarsa attrattività degli atenei italiani e le scarse
candidature degli studenti, un “assist” viene dato dai i programmi europei di scambio
come l’Erasmus (European Region Action Scheme for the Mobility of University
Students) che permettono agli studenti europei di girare in vari atenei d’Europa
confrontandosi con varie culture e imparando lingue differenti. Questo per l’Italia è
un dato positivo perché secondo le statistiche questo fenomeno ha portato l’ingresso
di una buona percentuale di studenti stranieri nella propria nazione.
b) La disoccupazione da inserimento
Il complicato passaggio da scuola a mercato del lavoro è il secondo fattore
importante di spinta all’emigrazione. La sfiducia negli enti di competenza e
l’incertezza delle prospettive future, come citato in precedenza, regnano sovrane
nelle mentalità degli studenti. In un ottica prettamente europea vi si ritrovano
differenti approcci per venire incontro a questo genere di problema. Queste diversità
di approccio hanno un’ origine dovuta al sistema d’istruzione e formazione e ad una
differente applicazione delle politiche attive del settore. Ad esempio nei paesi
scandinavi (Finlandia, Svezia, Norvegia) vi è un sistema di istruzione sequenziale, il
cui obbiettivo è una formazione di carattere generale connessa all’esperienza
lavorativa successiva. In Europa continentale (Germania, Austria, Svizzera,
Danimarca, Olanda, Francia) il sistema d’istruzione è duale, in quanto vi è oltre ad
una formazione d’istruzione generale, una predisposizione da parte delle aziende di
costruire profili professionali durante i corsi di studi. Ciò comporta all’uscita della
scuola, con il conseguente diploma, ad un individuo già formato con esperienza
lavorativa al seguito. In Italia queste forme di collaborazione e transizione non sono
efficienti. Le aziende sono sempre alla ricerca di profili già formati, perché attuare
35
corsi di formazione è costoso per le aziende. L’effetto comporta la scelta delle
aziende sull’investimento di soggetti dagli skills tecnici, pratici invece d’investire su
profili più istruiti e teorici. Quindi per ottenere un avvicinamento della domanda e
dell’offerta di lavoro si fa ricorso a tirocini, stage, ed esperienze professionali sempre
poco retribuite e di scarso valore finale.]
c) Scarsa domanda e poca trasparenza nel mercato del lavoro
La disoccupazione e la sotto-occupazione dei laureati italiani derivano da cause
primarie di mal gestione del sistema produttivo e amministrativo coordinato da
persone dai bassi livelli d’istruzione con poche capacità di ottimizzare l’investimento
di capitale umano. I datori di lavoro prediligono l’assunzione di diplomati perché
sono coscienti del fatto che i soggetti non abbiamo grandi pretese o aspirazioni come
quelle dei laureati.
“I datori di lavoro temono che l’iper-qualificato, o semplicemente il laureato che
cerca il lavoro, sia demotivato da un lavoro non in linea con le sue speranze e quindi
poco produttivo. C’è sempre il rischio che appena trova qualcosa di meglio se ne
vada”. [Zanda, 2011]
A questo discorso si collega il problema dell ‘ over education riguardante i giovani in
possesso di un titolo di studio a livello universitario. Infatti in Italia il 40 % dei
laureati svolge dei lavori, la quale sarebbe sufficiente titoli di studio minoritari. A
livello generale l’over education è complice ad una perdita di funzionalità del
sistema economico e dei minori tassi di crescita.
Un altro problema fondamentale osserva la concorrenza per i posti di lavoro che è
sbaragliata dal fenomeno della “raccomandazione”, in quanto i lavoratori tendono ad
assumere parenti, amici e “amici degli amici”. L ’ISFOL ( Istituto per lo Sviluppo
della Formazione Professionale dei Lavoratori) nel 2010 assegna una panoramica
sullo svolgimento del rapporto tra domanda e offerta fra lavoratori e imprese. Dai
dati ovviamente emerge come i soggetti ricorrano alle relazioni personali, cioè al
fenomeno citato in precedenza della raccomandazione; infatti il 30,7 % ha ottenuto
il “fatidico” posto tramite le conoscenze, il 7,5 % attraverso contatti dell’ambiente
lavorativo. La percentuale delle autocandidature risale al 17,7% e le offerte sul
canale di stampa sono circa al 3%. I concorsi pubblici hanno una percentuale del
36
18,3 % e infine un 7% se ne servono gli occupati tramite agenzie di
somministrazione, risultando molto più favorevole per l’ambiente giovanile. Le
ultime categorie sono risultate negli ultimi anni in crescita dimostrando un trend
positivo. Questo è un fatto promettente visto che l’intermediazione di queste realtà,
che comprendono in modo minuzioso il mercato del lavoro, premierebbe valori quali
il merito e la professionalità, spesso non esaltati nello scenario italiano.
Grafico 4.2 Spesa per istruzione % della spesa pubblica Fonte OCSE 2013
Il grafico 4.2 riporta come sia tra i paesi sviluppati quello che spende di meno
per l’istruzione e per l’università. Il prossimo paragrafo tratterà le politiche
italiane sulla migrazione e il rientro dei cervelli.
2.5 Le politiche italiane sulla migrazione
“ Non si tratta di mettere dei divieti e non si tratta nemmeno di resistere a
quella che è una normale circolazione dei giovani fuori dal nostro paese,
soprattutto se a carattere temporaneo, a fare un’esperienza e qualificarsi
ulteriormente all’estero; questo è assolutamente fisiologico. Abbandonare per
37
sempre il paese e non dare la possibilità di tornare in Italia questo è il fatto
patologico […]. La questione è di creare le condizioni perché possano tornare.”
[Napolitano, 2013]
Nel corso degli ultimi anni, il fenomeno delle migrazioni qualificate è aumentato
vertiginosamente, muovendo i governi, trasformando le società e alzando il
conseguente interesse dei policy-maker di tutto il mondo (Ambrosini, 2011). La
questione un tempo, sottovalutata, ha raggiunto negli anni una notevole
importanza divenendo argomento di prima fascia, al centro sempre d’importanti
dibattiti, provocando gli interventi di politica in qualità di emigrazione. Gli
obiettivi principali delle politiche italiane, sono i vari provvedimenti per far
rientrare i propri talenti e le possibilità d’importazione di cervelli qualificati in
Italia. In uno scenario mondiale, sempre più globalizzato, con individui extra-
mobili vi era necessari interventi di rientro di trattenimento dei propri cervelli.
Nelle società della conoscenza vi è l’idea che la competitività dipenda in grande
misura dalle conoscenze e dalle competenze della forza lavoro [ Brown P. e
Lauder 1996; Brown P. 2001;]. Il paese da sempre alle spalle delle principali
avversarie europee per combattere la cosiddetta “fuga dei cervelli” ha iniziato a
sviluppare alcuni interventi di policy da inizio 2000.
2.5.1 Gli interventi del 2000
Il governo Italiano da inizio millennio, consapevole del problema sempre più
imminente della separazione dei giovani talenti ha iniziato ad adottare azioni di
tipo politico sulla fuga dei cervelli.
Nel 2001 Ortensio Zecchino, ministro dell’Università, per primo ha introdotto
una proposta specializzato sulla tematica. La proposta da parte del ministro
controllava l’incentivazione di stipula di contratti con studiosi o esperti
ricercatori che risiedevano già da tre anni all’estero. I contratti da un minimo di
sei mesi ad un max di tre anni erano soprattutto incentrati su attività di ricerca e
didattiche. Le università dovevano rendere il loro appoggio con istituti di
accoglienza e finanziare in parte il processo. Il programma che rimaneva a carico
del ministero doveva finanziare venti milioni di euro annuali per i successivi anni
(2001, 2002, 2003) e per di più i docenti dovevano percepire un salario secondo
38
le medie europee. Nel novembre 2003 con la legge n.326 fu leggermente
modificato introducendo riduzioni fiscali. I risultati del primo progetto furono
molto deludenti riportando appena l’% dei ricercatori italiani dall’ estero.
Successivamente, ma sempre nel 2003, giunsero nuove direttive riguardo
l’instaurazione di un istituto italiano di Tecnologia. Il governo aveva l’obbiettivo
di abbinare le politiche di rientro, insieme alla creazione di un centro di
eccellenza. Per l’opinione del settore, questa novità fu sicuramente riconosciuta
in modo positivo, in quanto il governo Italiano iniziò ad intervenire
concretamente nell’ambito. Ma tuttavia le problematiche economiche, riguardo a
fondi carenti e mal impiegati, ed ai tempi di realizzazione sollevarono nutrite
critiche da parte di scienziati e ricercatori. Un’altra politica, fu intrapresa dall’ex
ministro per gli italiani nel mondo del 2003, Mirko Tremaglia. L’ex ministro
organizzò un Convegno degli scienziati italiani nel mondo, con l’obiettivo di
instaurare le basi per creare un network tra ricercatori con l’intento di collegarli
con la patria. Ma Tremaglia impostandola sul risentimento e sull’orgoglio
nazionale fu criticato, accusato di non attrarre i migliori sulla base del brain
exchange con talenti nostri o non, ma per l’invocazione di rimpatrio dei nostri
connazionali, non evidenziando la questione con proposte valide sulle qualità
della vita e del lavoro. Di fatto, a volte proposte vengono eseguite in un’ottica
nazionalistica [Glass e Choy 2001], che non osservano la considerazione del
numero di cervelli, ma alla perdita di connazionali e interpreta gli effetti materiali
di questa perdita nella preoccupazione per effetti simbolici legati alla minaccia di
un danno al prestigio nazionale [Logan 1992]
2.5.2 Il decreto ministeriale n.515/2010 Rita Levi Montalcini e la legge
n.238/2010
Nel 2010, il Ministero dell’istruzione, dell’Università e della Ricerca ha riservato
sei milioni di euro per intraprendere il Programma per Giovani Ricercatori “Rita
Levi Montalcini (decreto Ministeriale n.515/2010). L’intento dell’esposizione era
indirizzato ad incoraggiare l’internazionalizzazione delle università italiane,
dando l’occasione a giovani studenti esteri e Italiani al momento all’estero di
impegnarsi a condurre attività didattiche o di ricerca in Italia. I requisiti di entrata
essenziali erano il titolo di dottore di ricerca conseguito da non più di sei entro la
39
data del 27/12/2009, e l’aver svolto la stessa attività per almeno tre anni
all’estero. Gli studiosi scelti hanno registrato un contratto di lavoro a tempo
determinato riservato per lo svolgimento esclusivo di attività didattiche e di
ricerca. Il corrispettivo era di circa 40000 euro lordi, e i soggetti avevano il diritto
di ottenere la residenza in Italia, con tasse imponibili del 10%. Molte deludente
fu la domanda che registro solo 23 ricercatori, che usufruirono del programma.
Nel 2012 è stato aperto un altro bando , ma il nome del programma cambio in
“Reclutamento giovani a tempo determinato”.
Sempre nel 2010 tramite una proposta parlamentare sostenuta da deputati di
sinistra Partito Democratico, e di destra Popolo Delle Libertà venne creato un
programma chiamato “Controesodo-Talenti in movimento, iniziativa per
combattere il sempre più consistente esodo degli italiani all’estero. La legge
n.238/2010 (“Incentivi fiscali per il rientro dei lavoratori in Italia”) era la prima
del progetto. Fanno parte di “Controesodo” altre quattro proposte.
- “Talenti, welcome!”, che consiste nell’erogazione di crediti d’imposta per
individui residenti all’estero da almeno due anni che decidono di venire a
studiare e di inaugurare imprese in Italia.
- “Learn and back”, sono sempre crediti d’imposta destinati a chi investe in
formazione qualificata all’estero e ha l’intenzione successiva di tornare a
lavorare in Italia.
- “Scudo fiscale Nord – Sud”, per favorire il rientro nel meridione dei giovani
emigrati nel nord Italia.
- “Investimenti Italians”, consistono in delle agevolazioni fiscali per gli
italiani che vivono all’estero e determinano la volontà di finanziare nuove
attività nel nostro Paese.
Questa norma è caratterizzata dal valore di esaltare le esperienze e gli skills
ottenuti all’estero, con lo scopo di riutilizzarli in patria. È garantita per tutti i
cittadini under 40 della comunità europea che entro alla data del 20 gennaio 2009
erano stati residenti in Italia per almeno due anni, ed avevano condotto esperienze
di studio di lavoro o all’estero sempre per due anni. Nella legge erano comprese
agevolazioni fiscali e pressioni di tasse minori.
“Sono molte le storie con le quali siamo venuti in contatto in questi anni. Ognuna
diversa dalle altre. Si torna per molti motivi. In tutti c’è però la convinzione di
40
valere di più rispetto a quando si è partiti e la minor disponibilità a dare per
scontati i mali del nostro paese. Proprio per questo favorire il successo di chi
torna può aiutare l’Italia a cambiare in meglio”.[Rosina, presidente associazione
I-talents,2014]
Questo capitolo tratta una situazione generale della migrazione italiana, spiegando
le varie problematiche, le loro statistiche e quindi i motivi di scelta ad emigrare,
con aspirazione a migliorare per raggiungere i migliori modelli europei delle
politiche sull’emigrazione.
41
3 – Italiani fuori dall’Italia
I movimenti migratori dei giovani Italiani sono una realtà ormai consolidata e
perché questo nuovo atteggiamento si diffonda nelle nuove generazioni si
necessita di tre condizioni principali. La prima è che sia oggettivamente possibile
in termini economici e motivazionali, la seconda è che sia sotto un’ottica
totalmente positiva, quindi ben vista da parte dei giovani e ultima che sia
socialmente gradita e utile. Quindi per questo genere di condizioni la mobilità
giovanile internazionale si dimostra sempre più semplice e pienamente in sintonia
con la sensibilità delle nuove generazioni. Per di più è aumentata la
consapevolezza di quanto il fenomeno sia positivo, in quanto arricchisce il proprio
curriculum e le proprie esperienze di vita, l’ampliamento delle relazioni, stimola il
senso di autonomia, l’ open mind e la volontà di mettersi in gioco. La capacità di
spostarsi senza confini va valutata come una scelta da rinforzare e incoraggiare
perché porti dei benefici alle mentalità dei singoli.
L’obbiettivo di questo capitolo è rappresentare le destinazioni più richieste e le
mansioni più effettuate dai giovani qualificati attraverso le fonti principali di
studio del settore.
3.1 Le fonti di studio del movimento
Sono presenti alcune fonti di origine amministrativa e statistica in grado di
quantificare il numero di unità che decide di partire e di prendere la residenza
all’estero. Le principali sono : L’archivio delle anagrafi consolari, l’archivio
centrale dell’ AIRE ( Anagrafe Italiani Residenti all’Estero) e le testimonianze
degli italiani all’estero. Vi è da precisare ed evidenziare, che l’analisi delle unità
da parte degli enti elencati è un processo complicato, per avere delle stime in
modo esatto e preciso delle quantità degli individui che fanno parte della ricerca.
a) Archivio delle anagrafi consolari
Il ministero degli Affari Esteri ha istituito un ‘ente chiamato Anagrafi Consolari
per quantificare i numeri degli individui che partono all’estero. La particolarità
dell’ente riguardano i cittadini italiani, che si spostano per periodi superiori ai
dodici mesi e in quanto essendo già residenti all’estero sono obbligati a registrarsi
42
all’Ufficio Consolare della città di riferimento entro novanta giorni dall’espatrio o
dal traslocamento conclusivo. In Italia l’unico ente titolare delle funzioni
anagrafiche è il comune, la richiesta viene trasmessa ad esso, in quanto
somministra gli aggiornamenti delle posizioni di residenza e schede elettorali per
conto degli individui. I dati delle Anagrafi Consolari vengono inseriti dal
Ministero degli Affari Esteri.
b) A.I.R.E.
L’ A.I.R.E. (Anagrafe degli Italiani all’ Estero) è la miglior fonte riconosciuta
sull’ esistenza degli italiani oltre ai propri confini, ma che è anche affetta da
importanti limitazioni sia di copertura e di dettaglio sui dati che procura (M.L
Bacci 2010). L’A.I.R.E. è stata istituita dal Ministero dell’Interno nel 1990 e
racchiude le informazioni dei cittadini italiani che hanno manifestato la proprietà
di risiedere all’estero per un periodo superiore di dodici mesi, confermandone la
residenza. I comuni unici competenti sui regolari dati, gestiscono sia i dati dei
risiedenti in Italia e sia i dati degli expatriati all’estero. Di conseguenza ogni
comune ha la propria A.I.R.E. , oltre ad un A.I.R.E nazionale presso il Ministero
dell’Interno. L’iscrizione è un diritto-dovere da parte del cittadino e provvede alla
distribuzione di dati forniti dalle Rappresentanze consolari all’estero e al
fornimento di servizi dagli stessi per i soggetti in causa, nonché alla possibilità di
votare per elezioni politiche e referendum e il rilascio di documenti d’identità.
L’iscrizione è gratuita e intenzionale e comporta ad una dichiarazione dal soggetto
in questione, all’Ufficio Consolare del paese ospitante entro novanta giorno
provocando la cancellazione dell’A.P.R (Anagrafe della Popolazione Residente)
dal comune di provenienza.
c) Il censimento degli italiani all’estero
Anche il “censimento degli Italiani” all’estero è un’ iniziativa del Ministero degli
Affari Esteri in collaborazione con l’Istat. Anche se viene denominato
censimento, non è totalmente efficace in quanto le informazioni vengono riprese
sotto forma di un questionario, quindi è molto differente a quello che viene fatto
in Italia. Le variabili d’interesse sono soltanto quelle esistenti all’anagrafe
consolare, quindi quelle demografiche di base ( età, genere, stato civile, luogo di
43
nascita, ecc.). Il secondo censimento venne effettuato nel marzo 2003, perché il
primo fu nel 1871. A seguito del censimento generale della popolazione italiana, è
stato avviato anche il terzo censimento degli italiani all’estero nel 2011.
d) Istat
Una fonte dalle proprietà statistiche per eccellenza è l’ISTAT. L’Istituto nazionale
di statistica è un ente che si preoccupa di una larga varietà di contesti compresa
l’emigrazione. In particolare modo il report “Migrazioni Internazionali e interne
della popolazione residente” o quella sulle “ Politiche relative ai cittadini italiani
residenti all’estero. Se si va più nel dettaglio nel connubio emigrazione qualificata
-estero si possono trovare altri report “Mobilità interna e verso l’estero dei dottori
di ricerca”, l’ “ indagine sull’inserimento professionale dei laureati “ e infine la
“Rilevazione sulle forze di lavoro”.
Grafico 3.1 Evoluzione degli iscritti all’ A.I.R.E (in migliaia)
Secondo le statistiche dell’ A.I.R.E., al 31 dicembre del 2012, riprendendo i dati del
censimento sono registrati un totale di 4.341.156 italiani residenti all’estero, una
costante in crescita del 3.1% rispetto al 2011 è cosi suddivisi nelle quattro
circoscrizioni elettorali estere per elezioni politiche e referendum: Europa
44
2.365.170 , America meridionale 1.338.172 , America settentrionale e centrale
400.214 e infine Africa, Asia, Oceania, Antartide 237.600 ( Ministero dell’Interno,
2012).
3.2 Dalle fonti al contesto della “nuova migrazione italiana”
Dal XXI secolo le considerazioni dell’opinione pubblica e del mondo scientifico
aumentano le loro concentrazioni nel contesto dei flussi migratori diretti dall’Italia
verso l’estero. Tali circostanze sono state messe insistentemente in riferimento alla
bassa crescita del mercato del lavoro nazionale, alla stagnazione del sistema
universitario e alla difficile condizione d’inserimento nei periodi post-studio.
L’attenzione maggiore per questi studi è stata disposta maggiormente nelle
categorie dei giovani qualificati a discapito dei soggetti impiegati nella
ristorazione, nell’abbigliamento e nelle imprese di manifattura.
Per molto tempo gli studiosi delle migrazioni altamente qualificate hanno
denunciato l’ incompletezza di dati statistici sistematici che permettessero di
disporre di stime del fenomeno (Brandi,2001). Questo dilemma è maggiormente
sentito per l’Italia, dove scarseggiano studi quantitativi che consentano di
determinare la dimensione della fuga dei cervelli (Avveduto e Brandi 2004). Se si
guardano i dati procurati dall’A.I.R.E. prorogati al 1 gennaio 2013 si possono
rilevare i primi dieci paesi dove sono riuniti le maggiori presenze d’Italiani:
Argentina (691.481)
Germania (651.852)
Svizzera (558.545)
Francia (373.145)
Brasile (316.699)
Belgio (254.741)
Usa (223.429)
Regno Unito (209.720)
Canada (137.045)
Australia ( 133.123)
In realtà i dati A.I.R.E. hanno la capacità di analizzare non tutti i soggetti della
moderna esperienza migratoria italiana, perché da parte degli individui trasferiti
45
all’estero, non vi è l’accortezza di iscriversi all’ente e per di più parte di loro a
ricevuto la cittadinanza da genitori o parenti vari quindi non effettivamente
quantificabili nel contesto migratorio dell’ultimo decennio.
Entrando nei vari stereotipi di italiani che partono, possiamo notare delle differenze
che caratterizzano le qualità e le attitudini dei soggetti (Colucci, 2014). Vi sono i
“classici” , singoli lavoratori maschili o femminili impegnati nel lavoro dipendente,
che con un contratto di lavoro usualmente nell’industria e nei servizi che partono
prevalentemente nei paesi europei. Essi tornano spesso a fine settimana nel paese
d’origine, instaurando “catene migratorie” con paesi come Germania e Svizzera
dove la mobilità è molto forte. Un’ altra categoria comprende giovani laureati o non
che aspirano ad un investimento dei propri skills, senza necessariamente una chiara
destinazione professionale. Gli impieghi di essi sono primariamente nel settore del
commercio e della ristorazione, instaurando esperienze di mobilità per pochi mesi e
anche per anni. Questa esperienza ha come protagonista le grandi metropoli
europee come Londra, Berlino e Barcellona o anche in eccezione viaggi
transoceanici come l’Australia dove tramite al visto (vacanza-lavoro) è aumentato
negli ultimi anni il numero degli italiani impiegati nell’agricoltura nel nuovo
continente. Si può annoverare inoltre soggetti del personale dipendente di imprese
e multinazionali italiane operose all’estero. Questi individui sono soggetti ad un’
altissima mobilità. Si possono rilevare punte molto alte in Europa e Nord America
per dipendenti del settore pubblico e privato e le categorie legate alle ricerca e alla
formazione: dottorandi, ricercatori e professori ordinari. Su quest’ultima vengono
evidenziate le stime non corrette, appunto per la particolarità complicata dello
studio (Brandi, Avveduto 2006). La tendenza di spostamento per questa categoria è
più maschile e gli individui derivano da famiglie istruite (con almeno uno dei due
genitori laureati) e che raggiungono in età giovane (sotto i 32 anni) il dottorato di
ricerca. Inoltre viene anche evidenziato che le politiche pro- rientro attuate dai
governi si sono rilevate abbastanza fallimentari, infatti per i dati raccolti nel 2005
dall’Oecd sui movimenti migratori di rientro si mostra una tendenza negativa
(Beltrame, 2007). Un altro elenco molto frequente soprattutto negli ultimi anni è la
questione legata ai pendolari, quindi per coloro che la mattina partono per l’estero
(mete europee) per tornare direttamente la sera alla propria abitazione. Vengono
46
chiamati anche lavoratori frontalieri, presenti soprattutto sul confine francese e
svizzero.
«Quella degli italiani che si trasferiscono all’estero non è una fuga come chi
scappa da guerre e persecuzioni religiose, percorre deserti e mare e arriva a
Lampedusa, ma è una scelta»[…] «gli italiani che migrano all’estero non rischiano
la vita, come l’hanno rischiata i nostri nonni»[…] «tenere anche presente che
oggi, rispetto al passato, migrare significa spostarsi per mantenere un contatto
costante con la famiglia grazie a skype e la possibilità di tornare. Non si parte più
definitivamente» [Mario Giri, sottosegretario degli Esteri, 2014]
Diagramma circolare 3.1 Rappresentazione degli italiani all’estero per continente in percentuale
Fonte: Istat 2013
Nel diagramma a torta sovrastante vengono rappresentate le quantità in percentuale
a spicchi, per continente, registrando ancora un approccio predominante per il
continente europeo e una buona fetta consistente per il contenente americano, poco
rilevanti ma in crescita le restanti parti del mondo Asia, Africa e Oceania.
Per quanto riguarda le funzioni dell’A.I.R.E. si registra una calo d’adesione degli
effetti dell’ente. Infatti su un totale di 4,5 mln di plichi inviati per la campagna
elettorale, ne vengono restituiti solo il 32, 11%. Questo comportamento suggerisce
che la partecipazione dei cittadini expatriati è disinteressata. In questo contesto
47
sono protagonisti soprattutto gli studenti italiani iscritti a facoltà estere facenti parte
del programma Erasmus. Infatti secondo le stime di Eurostat del 2011 insieme a
tanti lavoratori vi era una buona parte di studenti e ricercatori che stavano
eseguendo i loro studi al di fuori del confine nazionale, ma che per motivi di
requisiti non sufficienti non hanno potuto aderire all’elezioni.
Si parla spesso di ‘voto informato’, di ‘voto intelligente’. In quest’ottica i 25mila
studenti che si assumono l’onere di un’esperienza all’estero rappresentano
l’avanguardia intellettuale del nostro Paese e, al tempo stesso, la garanzia del
nostro futuro. Il programma Erasmus permette di acquisire una visione e una
sensibilità internazionali che sono requisiti indispensabili per la formazione di una
coscienza civile e democratica. Precludere proprio a questi studenti il diritto
basilare al voto mi sembra un’assurdità logica. [Marco Mancini, presidente del
CRUI (Conferenza dei Rettori delle Università Italiane) 2011]
3.2.1 La propensione dei laureati e ricercatori a trasferirsi all’ estero
I giovani laureati ed i ricercatori sono le categorie in maggiore crescita di migranti
all’estero. Secondo l’ISTAT nel rapporto “Migrazioni internazionali e interne della
popolazione residente” la classe dei laureati è aumentata dal 12% di inizio secolo al
30 % nel 2012. Anche per i ricercatori si registrano quote alte per i trasferimenti,
registrando d'altronde una buona produttività (OECD, Education at glance 2009).
Per le testimonianze di Enrico Giovannini (presidente ISTAT 2011), oltre ad essere
ribadita la complessità di misura e di quantificazione delle variabili di stock e flussi
del fenomeno, viene evidenziata maggiormente la crescita dell’incidenza di laureati
e dottori di ricerca. Secondo un’ indagine ,in riferimento ai dottori, viene notato
come il 6,4% degli intervistati dopo tre anni dal conseguimento della laurea fosse
già residente all’estero. Per i colleghi rimasti in Italia quasi il doppio il 12,2% ha
manifestato la volontà di espatriare. Secondo l’ISFOL (2011), la scelta dei dottori è
ben motivata, in quanto la produttività dei nostri corsi scolastici sono buoni ma
non abbastanza efficienti come nei paesi all’estero. I dati dell’indagine convincono
maggiormente la loro decisione, riportando appunto tassi di occupazione più
elevati, ed una maggiore connessione delle attività svolte con la propria specifica
formazione; di conseguenza una remunerazione del 50% in più e una complessiva
maggior soddisfazione per la professione svolta ( Brandi 2013). Per quanto riguarda
48
la valutazione della mobilità del capitale umano e nel dettaglio le scelte dei laureati,
delle buone attendibili considerazioni le ha fatte l’indagine AlmaLaurea (2013).
L’indagine riporta un aumento delle percentuali degli occupati all’estero,
prendendo come punto di riferimento cinque anni dopo i laureati del 2008. Le
capacità scientifiche e ingegneristiche dei dottori italiani sono le più ricercate e le
più retribuite all’estero (quasi il 70% in più), in rapporto alle statistiche del nostro
paese. Nel contesto delle motivazioni la frequenza è maggiore per una carenza di
lavoro in Italia (38%), paragonato ad un ‘offerta del (24%) nei territori stranieri. La
Fondazione ISTUD (“Y-ers ready for work around the world”) nel 2013, ha
confrontato il nostro paese con le altre realtà occidentali (come Germania, Uk, e
Stati Uniti ) e paesi in ascesa (Cina, India, Brasile) confermi come la scelta di
proseguire nel proprio paese non fosse presa in considerazione (85%) e anche la
quota per coloro che trovano la convinzione di emigrare come necessità e non come
scelta. In una panoramica generale secondo i dati del Rapporto Giovani dell’Istituto
Toniolo nel 2014, quasi la metà degli studenti universitari intervistati è propensa a
valutare la possibilità di trovare lavoro oltre confine. L’esodo di massa è un
fenomeno sempre più convincente per una serie di considerazioni:
Perché sta crescendo e consolidandosi nel tempo
È rilevante in un paese con una minore percentuale di laureati rispetto alle
altre economie avanzate
È caratterizzato da una maggiore uscita di profili universitari nelle discipline
più forti e ricercate
Gli studenti hanno confermato negli ultimi anni la predisposizione di
andarsene dopo la laurea
Non è compensato da un flusso equivalente dagli altri paesi all’interno della
nazione
Le stime per i lavoratori italiani maggiormente qualificati che hanno residenza
all’estero nei Paesi OECD sono circa 300 mila: tra questi il 45% si trova in Nord
America e precisamente il 32% negli USA (circa un terzo del totale) e il 12,6% in
Canada. Il 40% rimane in Europa, dove le mete preferite sono la Francia (9,3%), il
Regno Unito (8%), la Svizzera (6,9%) e la Germania (6,2%). Al di fuori del
continente il Paese che attira più italiani è l’Australia (con il 13,6% è la seconda
49
destinazione in ordine di importanza), mentre i Paesi asiatici considerati dall’OECD
(Giappone, Corea del Sud e Turchia) attirano solo lo 0,6%. Guardando i dati
dell’Unione Europea (DG-Research, 2003) ci sono circa 34 mila italiani impiegati
nel campo della scienza e della tecnologia in altri Paesi europei. Per questi le mete
privilegiate sarebbero la Germania (15 mila), la Francia e il Belgio (più di 5 mila) e
il Regno Unito (più di 4 mila). Le disuguaglianze nelle cifre possono essere
conferite dal fatto che si tratta di stime di cui non si conosce l’affidabilità, ma il
tratto che emerge sembra suggerire una maggiore concentrazione di scienziati,
tecnici e ricercatori tra gli emigrati ad alta qualificazione.
Grafico 3.2 – Risposte alla domanda “ Sarebbe risposto a cambiare città stabilmente per migliorare il suo lavoro?” –campione
18-29 anni
Fonte: Indagine Rapporto Giovani 2014
Analizzando le risposte alla domanda “Sarebbe disposto a cambiare città stabilmente
per migliorare il suo lavoro” dell’Indagine Rapporto Giovani, vi è una netta
propensione dei soggetti al trasferimento all’estero che comprende quasi il 50%
mentre una buona percentuale del 31,7% è disposta ugualmente a spostarsi, ma
sempre nel territori nazionale, prediligendo le mete di destinazione più sviluppate,
infine solo un quinto degli intervistati preferirebbe rimanere nella propria
locazione.
Rimarcando la questione dalle analisi del Rapporto Almalaurea sulla “Condizione
degli occupazionale dei laureati” è emerso che ad un anno dalla laurea, il 44% degli
50
italiani occupati all’estero è riuscita ad ottenere un lavoro fisso, undici punti
percentuali in più rispetto ai colleghi rimasti in patria. Oltre il 70% dei laureati
specialistici con occupazione all’estero è assunto nel settore dei servizi; nel
dettaglio il 15% nel commercio, in istruzione e ricerca il 14% , nel ramo delle
consulenze il 9% e informatico 7%. Secondo le analisi sempre del rapporto le
retribuzioni sono di media 1.586 euro contro i 1.024 dei colleghi rimasti.
Analizzando le statistiche in un medio-lungo periodo di cinque anni, si nota un
netto divario che parte dai 2.324 euro contro i 1378 euro nostrani.
3.3 Uno sguardo sul Made in Italy e i “nuovi” settori professionali dei giovani
Italiani all’Estero
La questione ormai nota e già rimarcata precedentemente che i salari italiani siano
tra i più bassi nella comunità europea è una triste realtà consolidata. Ma per le
opinioni degli studi di settori trovare un lavoro ben ricompensato, anche per un
giovane alla prima candidatura, è possibile. Questo tuttavia è possibile nei nuovi
settori moderni che stanno vivendo un vero e proprio Boom economico, ad esempio
quello digitale ma anche quelli dallo stampo tradizionale come il comparto
finanziario o le sezioni promosse del Made in Italy , non tralasciando ovviamente i
mestieri artigianali sulla ristorazione e l’abbigliamento. La laurea, nonostante le
ultime opinioni di sfiducia, viene ancora valutata come un buon investimento che
può raddoppiare lo stipendio.
«L’opinione corrente non tiene conto del fatto che i laureati che trovano un posto
guadagnano fin da subito il 13 per cento in più di chi ha solo il diploma di scuola
superiore»[…]«E questo vantaggio, nell’arco della vita, arriva a pesare sulla
retribuzione fino al 50 per cento in più». [Cammelli, presidente di AlmaLaurea,
2013]
Proseguendo, Cammelli ritiene che se laurea è accompagnata da un master o un
dottorato insieme ad un buon livello d’inglese, può essere davvero un notevole
investimento per il futuro. I corsi di studi più redditizi restano quelli inerenti
all’economia, all’ingegneria e all’informatica.
«A parità di tutte le altre condizioni, un laureato in economia guadagna in media
10 mila euro annui in più rispetto a un laureato in materie umanistiche fin dal
51
primo anno dopo la laurea» […]Tale premio lievita, con una busta paga che cresce
più velocemente nei primi dieci anni (15 per cento in più per anno) e non penalizza
le donne: la differenza salariale fra i due sessi si riduce al minimo» [Anelli, Peri,
Ricercatori dell’University of California, 2013]
I settori del Made in Italy esportato all’estero e quelli tipici restano tra i più
fruttuosi. Infatti secondo le rivelazioni del 2012 di Mainini Manager director di
Micheal Page ( una delle migliori società internazionali della ricerca personale) le
aree più attraenti sono essenzialmente due: i settori del Made in Italy che hanno
conservato buone prestazioni e risorse negli investimenti, come moda, lusso e
agroalimentare, e i settori sempreverdi della finanza, energia e healthcare. Inoltre
Mainini ribadisce, spiegando una maggiore propensione di ricercatori anche per il
settore digitale sempre in rinnovamento, in questo caso i soggetti qualificati,
possono ambire fin dall’inizio a buone retribuzioni. Un esempio è la Yoox.com:
l'azienda italiana nata nel 2000 per vendere online capi di alta moda e oggi quotata
in borsa con un record di incassi, con un successo riconosciuto in tutto il globo.
Prosegue nell’intervista dichiarando che sono in movimento il turismo, cultura e
beni artistici, attribuendo alla ristorazione e al settore alberghiero una buona
crescita produttiva. Collegandosi al discorso un’altra figura crescente, il
food&beverage manager: che ha la responsabilità di gestione di ristoranti, cucine,
bar di alberghi o grandi ristoranti o grandi catene di fast-food con la mansione di
decisione sulla qualità di prodotti e servizi, al compiacimento dei clienti, al checkup
dei costi operativi e cura nei minimi dettagli la gestione di tutti gli eventi. Per
questo lavoro è indispensabile la conoscenza completa dell’inglese e avere buone
capacità informatiche, oltre a doti di organizzazione e capacità oltre doti da
venditore dei propri prodotti. Le stime prevedono una buona domanda anche per
product specialist e medical advisor .
Di fondamentale importanza e di buona prospettiva perché in rapida crescita sono le
mansioni degli export manager.
Noi Italiani amiamo l’esoticità. Straniero è bello per definizione. Per fortuna non
siamo soli. Il Made in Italy è adorato e apprezzato ovunque nel mondo e non solo
per la moda. [ P.Pugni,2013 p.20]
52
Negli anni Novanta è stata dato molto interesse al binomio concettuale di Stato-
Nazione, in quanto ai prosperanti processi di globalizzazione dell’economia che
non sono imparziali rispetto alla consolidata produttività nazionale agendo come un
potente artefice di riallocazione delle produzioni a livello mondiale (Mistri, 2006)
Infatti l’ export data ormai la contestualità globale è diventata una delle professioni
dove vi sono effettuati più investimenti in quanto al processo di creare reti di
vendita in giro per il mondo, aprendo ad un circuito di continuo spostamento ai
giovani qualificati italiani. Lo scopo dell’esportazione è la vendita di prodotto
all’estero, cercare nuove piazze e stringere nuove alleanze sbaragliando la
concorrenza. Si tratta spesso di laureati con competenze economiche e competenze
tecniche sul prodotto che s’inseriscono nei vari mercati internazionali.
L’importanza è saper comunicare in inglese o talvolta con qualche lingua in più,
riuscendo ad arrivare negli anni a buoni introiti salariali (Mainini, 2012) .
Un ‘altro settore in forte rinnovamento è quello dei rapporti transnazionali, per via
degli acquisti sempre più frequenti per conto di molte società sul web. Questo
comporta a delle vendite non solo nell’ambito statale, ma soprattutto europeo e
internazionale. Perciò anche per quanto riguarda l’ambito degli avvocati che
devono offrire la propria consulenza si apre a nuove ottiche extrastatali e quindi è è
importante perciò conoscere il diritto comunitario e internazionale e, almeno,
l’inglese» conclude (Alpa, presidente del consiglio nazionale forense, 2012).
Gian Ettore Grassani , presidente nazionale degli avvocati matrimonialisti nel
2014, sottolinea la problematica della incompleta conoscenza nei confronti
dell’inglese da parte dei suoi colleghi. Questa negligenza, rischia di far perdere
tante opportunità.
«Il diritto internazionale, il diritto ambientale, quello marittimo o aereo, i
contenziosi con i paesi esteri per l’e-commerce, l’antitrust, le operazioni di fusione
e acquisizioni, sempre più frequenti con la globalizzazione, sono tutti ambiti con
forte richiesta» [G.Grassani, 2014]
53
Grafico 3.3 Dinamica italiana delle esportazioni di merci e servizi e propensione all’ export
Il grafico rappresentato in sovrastruttura mostra la dinamica italiana delle
esportazioni di merci dal 1991 al 2012. Si può notare ,ad eccezione del 2009 anno
post-crisi, una notevole propensione all’investimento delle imprese e dei servizi
italiani operanti all’estero. Questo grafico sintetizza come nel corso dell’ultimo
ventennio sia cambiato l’orientamento di vendita da una questione statale ad
internazionale. Questo processo ha comportato una maggiore mobilità dei soggetti
qualificati in giro per il mondo, esportando prodotti e servizi di matrice italiana
nel corso degli anni. La mobilità internazionale giovanile è ormai una questione
attuale di grandi interesse che domina oramai in un ‘ottica di un mondo sempre
più piccolo e sempre più mischiato da varie culture differenti.
54
Conclusioni
L’argomento della mobilità internazionale giovanile è diventata una questione ai
giorni d’oggi presa d’assalto dagli studi sociali, economici e politici. I giovani
degli anni 2000 non sono più visti come dei normali figli che devono “solo”
creare una situazione di benessere personale, ma soprattutto sono una classe che
determina gli elementi di sviluppo economico di ogni paese. In un’ ottica sempre
più capitalista, sempre più concorrenziale sono diventati una delle chiavi
principali d’investimento, in quanto i governi attuano politiche nei loro confronti,
per migliorarne le loro prospettive i loro interessi.
Il brain drain o detto all’italiana fuga dei cervelli può essere qualificato come un
fenomeno recente, che è cresciuto e si è sviluppato nel tempo molto rapidamente,
favorito dall’ammodernamento delle tecnologie che ha permesso di ridurne i costi
e i tempi. Siccome è un movimento di portata internazionale, non è possibile
quantificare con certezza i numeri degli spostamenti della classe giovanile
mondiale, ma secondo alcune analisi del settore si riesce a capire la forza e la
costanza di esso. In Italia soprattutto si è cercato di analizzare, attraverso
statistiche e studi o facendo ricorso ad enti specializzati, l’importanza e i motivi
della migrazione qualificata ai giorni nostri .
Per capire le realtà attuali, sul tema dell’emigrazione, si è iniziato con la
rappresentazione del primo capitolo delle principali teorie a riguardo, dando
un’infarinatura generale e primitiva, ma specializzata sugli inizi del processo.
Inizialmente sono state analizzate le teorie migratorie suddividendole in teorie
macro-micro-meso sociali. Di maggiore importanza nelle teorie macro ho cercato
di interpretare le quattro principali correnti di pensiero degli ultimi centocinquanta
anni. La teoria neomarxista della dipendenza dove viene esaminato il processo
come un “colonialismo prolungato” spinto dalle varie disuguaglianze geografiche.
Quelle di Piore e Wallerstein, rispettivamente la “dualistica del mercato del
lavoro” e del “sistema mondo” , dove gli autori cercano di esprimere che il fattore
migrazione dipende da forti divisioni sia a carattere personale, nel caso di Piore
(lavoratori tutelati e non) sia di stampo gerarchico delle nazioni per Wallerstein,
catalogando i paesi per aree di centro e di periferia. Infine la teoria di Sassen del
1997 che rimane la più consona, il quale definisce le città come poli di attrazione,
55
attribuendo a loro i nuclei del commercio e dei servizi in vari settori.
Successivamente sono state esaminate le teorie micro-sociali caratterizzate da un
volere di scelta individuale, quindi non spinti dai fattori push&pull delle esogene.
Qui appunto vengono risaltate la razionalità delle scelte condite da un progetto
individuale, per trarre vantaggio dalle possibilità di emigrazione o anche da
investimento familiare come appunto viene citata nella teoria della nuova
economia delle migrazioni. Infine si è arrivati ad analizzare le teorie meso-
sociologiche che appunto dalla definizione stessa suggeriscono un’ amalgama dei
due grossi filoni. Queste teorie sono le più recenti elaborate dai migration studies
e le principali sono la teoria dei network e la transnazionalista. Le caratteristiche
principali della teorie meso, sono le relazioni sociali che i migranti dal paese di
origine possono intraprendere a quello di destinazione come nella teoria dei
network o addirittura la possibilità di vivere in due paesi rimanendo operosi nei
due versanti, in quella transnazionalista. Tutto questo è stato possibile alla
modernità e alla globalità della società. Dopo una breve elaborazione
dell’andamento migratorio si è passati definitivamente al concetto principale della
tesi, la mobilità internazionale di oggi che comprende maggiormente i soggetti
qualificati. Specificatamente si è mostrato come lo studio del brain drain
s’interroghi in una profonda revisione rispetto al tradizionale modo in cui è stato
studiato. Il concetto della standard view, formulata soprattutto internamente della
teoria economica (grazie all’unione della teoria del capitale umano e dalle teorie
neo-marxiste dei rapporti centro-periferia), deve essere riguardata, posando una
maggiore attenzione non solo alle rotte e alle combinazioni dei flussi, ma anche
alle tecniche con cui il capitale umano genera esternalità positive. Il suggerimento
comporta l’abbandono della standard e view che si espone per i rapporti
unidirezionali, per un approccio più moderno circolazionista, caratterizzato da
moti policentrici, di scambio temporanei e appunto circolatori.
Dopo un ragionamento di stampo sociologico si è voluto sostenere il percorso a
tappe cronologiche dell’emigrazione italiana caratterizzato dal classico stereotipo
dell’individuo della bassa classe sociale, “ la classica valigia di cartone con lo
spago” per l’appunto, si è passati alle circostanze che caratterizzano questo
movimento moderno, sempre più sponsorizzato dalla generazione attuale,
rappresentato dal giovane con alti requisiti studenteschi che si predispone ad una
56
migliore carriera all’estero. Si sono spiegate le varie differenze di esportazione di
cervelli, i cosiddetti brain exchange, brain gain, brain waste, brain circulation,
dinamiche protagoniste in un globo sempre più internazionale, sempre più alla
portata di tutti.
Di notevole centralità sono state anche le analisi inerenti soprattutto alla questione
italiana. Partendo dai cenni storici dove sono stati esaminati quattro periodi
principali di esodi italiani quelli delle persone povere poco istruite del post-
rinascimento e tra le due guerre, per arrivare al contesto post II War con le
importanti emigrazioni interne fino ad accentarci alla problema attuale. Da qui
sono state messe in primo piano tutte le tematiche di arretratezza nell’ambito della
migrazione, che colpiscono questo paese, spiegando le ragioni principali che
affliggono le aspettative dei giovani italiani. Una carente propensione del paese
nell’investimento all’istruzione prima e all’occupazione poi ha messo in evidenza
i complicati temi della perdita del valore di studio, della difficile transizione tra
scuola – lavoro e di un mercato del lavoro che risulta poco trasparente. Queste
considerazioni ovviamente hanno portato ad una visione generalmente negativa
della situazione italiana, che si rappresenta ancora un cantiere in evoluzione con
dei limiti rilevanti, contraddistinti da allarmanti problemi di disoccupazione e da
sbagliate politiche di welfare state. Il concetto è stato esteso inoltre in paragone
alle realtà europee, in particolare come i paesi dell’europa continentale
(Germania, Francia e Olanda) e l’Europa scandinava (Svezia, Danimarca,
Norvegia), in corrispondenza alle loro predisposizioni di investimento riguardo a
lavoro e istruzione.
Con questa serie di valutazioni si è riusciti a determinare le ragioni di partenza
degli individui, riuscendo a marcare i vari profili di migratori qualificati e le loro
varie professioni. Nel secondo capitolo vi è appunto un paragrafo con le varie
definizioni a riguardo. Qui si è aperto un ampio discorso, sulle scelte dei migranti
italiani centralizzando il ragionamento sui giovani laureati italiani. Vari grafici e
varie statistiche dell’Istat e di Eurostat hanno determinato come i giovani italiani,
siano penalizzati dalle situazioni professionali e di come essi cercano in massa di
emergere economicamente in altri paesi con la maggiore probabilità
d’inserimento.
57
Infatti la tesi conferma come nell’ottica attuale gli italiani siano un popolo di
“avventurieri” che vogliono dimostrare le loro capacità in ambito internazionale,
dopo anni d’investimento negli studi, instaurando nuove attività o applicandosi
come nuovi impiegati all’estero risaltando finalmente la loro volontà di emergere
e di sentirsi utili, in cambio di retribuzioni maggiori, non possibili nel contesto
attuale italiano.
Questo genere di circostanze però riporta una situazione non favorevole
nell’ambito italiano dove è sempre più frequente la voglia di andarsene e quindi la
conseguente perdita di capitale umano qualificato. È di fondamentale importanza
accentuare, il fatto che non vi è nessun rimpiazzo di cervelli in Italia, perché
risulta un paese non di attrazione per gli studenti del mondo quindi nel lungo
periodo vi si risentirà questa problematica nello scenario professionale nazionale.
Infatti l’ultimo paragrafo del secondo capitolo intona gli interventi effettuati
nell’ultimo quindicennio in Italia non andati a buon fine, ma in via di sviluppo
soprattutto negli ultimi anni. Qui vi è una suddivisione di decenni con i primi
interventi degli anni 2000 con scarsi risultati ottenuti per la bassa disponibilità
economica ad investire sia per i nostri studenti e che per i loro colleghi stranieri,
constatando l’Italia come un paese di carente attrazione per laureati e ricercatori.
Successivamente anche nel 2010 vi sono stati interventi più ottimisti nell’ambito,
prediligendo un’internazionalizzazione delle università ricollegandosi a quelle
europee. Le proposte maggiori furono il decreto ministeriale 515/2010 e la legge
n. 238/2010 e gli interventi del Controesodo-talenti.
Dopo il capitolo centrale, si è passati direttamente alle funzioni e agli aspetti che
distinguono i soggetti qualificati italiani fuori dall’Italia. Prendendo spunto dagli
enti di studio delle statistiche sui fattori della mobilità internazionale, cioè tramite
A.I.R.E, Istat, Anagrafi Consolari e i Censimenti all’estero si è riuscito a stabilire
un numero, mai esatto, di italiani all’estero e le varie destinazioni principali. Le
stime non sono mai giuste, per via della bassa adesione degli italiani all’estero agli
enti di riferimento e per di più c’è una buona parte di emigrati che ha già ottenuto
la cittadinanza in passato. Nel paragrafo dedicato ai laureati si è riuscito a capire
come siano preferite le università americane o canadesi dagli studenti italiani e di
come siano aumentate negli ultimi anni le candidature per Germania, Regno Unito
58
e Svizzera. Secondo l’A.I.R.E. si è stimato un totale di 4 milioni di individui
italiani all’estero, che hanno intrapreso una carriera lavorativa o direttamente dal
profilo studentesco, ciò ha rimarcato come siano maggiormente favorevoli le
condizioni all’estero e la volontà di essi di continuare la propria esperienza. Si può
capire dai nostri connazionali come la partenza sia una risveglio, un riutilizzo
della persona stessa, un beneficiare a partire già dalle retribuzioni e soprattutto
dalle tutele dei welfare state avanzati. Queste testimonianze vengono rimbalzate
immediatamente nell’ambito nazionale, incoraggiando i connazionali alla
partenza, per provare a sistemarsi definitivamente in un'altra nazione o per lo
meno per arricchire il curriculum. Infatti le statistiche confermano ulteriormente
come il fenomeno siano in aumento, affiancate anche dai sondaggi effettuati che
convalidano le intenzioni dei giovani italiani.
L’ultimo paragrafo mostra il made in italy, uno dei cardini fondamentali degli
italiani all’estero e le novità professionali a cui i giovani, spinti da una tecnologia
sempre più rilevante, si adeguano a nuove professioni. Da questi due spunti si può
interpretare anche per l’italiani, come sia ormai cambiata l’ottica di vendita non
più in direzione interna ma maggiormente in relazione esterna. Nuove attività e
nuove professioni inducono soprattutto per i giovani qualificati italiani, a spostare
i business fuori e ad allargare le partnership, instaurando nuovi legami dalla patria
all’estero.
Con questo contesto si vuole affermare soprattutto come la globalizzazione sta
portando a cambiare il concetto di individuo. L‘unione dei pensieri delle culture e
soprattutto in ambito lavorativo ha promosso il cittadino da unità di patria ad unità
mondiale.
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Con questo elaborato ho voluto approfondire un tema di alta attualità per la mia
generazione e per il mio paese: la mobilità internazionale giovanile italiana.
Questa tesi è solo un piccolo contributo per l’analisi di un fenomeno dagli ampi
margini e dalle notevoli sfaccettature, anche perché gli studi a riguardo non sono
completamente quantificabili, ma per lo meno risultano estremamente interessanti
e derivano ovviamente dalle caratteristiche di un mondo sempre più accessibile,
più piccolo, più globalizzato. Essendo un fenomeno costante quindi in rapida
crescita, richiederà in futuro di studi sempre più approfonditi per capirne
l’evoluzione dello stesso.
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