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CONSORZIO ICON – ITALIAN CULTURE ON THE NET UNIVERSITÀ DI BARI, CASSINO, CATANIA, GENOVA, I.U.L.M., MILANO STATALE, NAPOLI L’ORIENTALE, PADOVA, PARMA, PAVIA, PERUGIA PER STRANIERI, PISA, ROMA LA SAPIENZA, ROMA TOR VERGATA, ROMA TRE, SALERNO, SIENA PER STRANIERI, TERAMO, TORINO, TRENTO, VENEZIA CORSO DI LAUREA IN LINGUA E CULTURA ITALIANA PER STRANIERI [CLASSE 5 DELLE LAUREE IN LETTERE] TITOLO DELLA PROVA FINALE: IL DIBATTITO SULLE REGIONI A STATUTO SPECIALE ALL’ASSEMBLEA COSTITUENTE (1946-1948), CON SPECIALE RIFERIMENTO AL CASO DEL TRENTINO-ALTO ADIGE RELATORE: CHIARISSIMA PROFESSORESSA SARA LORENZINI

Tesi - Versione Finale

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CONSORZIO ICON – ITALIAN CULTURE ON THE NETUNIVERSITÀ DI BARI, CASSINO, CATANIA, GENOVA, I.U.L.M., MILANO STATALE, NAPOLI L’ORIENTALE, PADOVA, PARMA, PAVIA, PERUGIA

PER STRANIERI, PISA, ROMA LA SAPIENZA, ROMA TOR VERGATA, ROMA TRE, SALERNO, SIENA PER STRANIERI, TERAMO, TORINO,

TRENTO, VENEZIA

CORSO DI LAUREA IN LINGUA E CULTURA ITALIANA PER STRANIERI

[CLASSE 5 DELLE LAUREE IN LETTERE]

TITOLO DELLA PROVA FINALE:

IL DIBATTITO SULLE REGIONI A STATUTO SPECIALE ALL’ASSEMBLEA COSTITUENTE (1946-1948), CON SPECIALE

RIFERIMENTO AL CASO DEL TRENTINO-ALTO ADIGE

RELATORE:CHIARISSIMA PROFESSORESSA SARA LORENZINI

CANDIDATO:MARIANO ROCA

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ANNO ACCADEMICO 2006-2007

INDICE

1. Introduzione 3

2. Accentramento e federalismo nell’Italia contemporanea 3

3. La discussione sulle autonomie all’Assemblea Costituente 7

3.1. Il dibattito in seno alla Seconda Sottocommissione 8

3.1.1. Il federalismo di Lussu, Finocchiaro Aprile e Bordon 9

3.1.2. La “regione facoltativa” di Bozzi e il “tipo misto di regioni” di Grieco 10

3.1.3. La cautela di Einaudi e il “no” di Paolo Rossi e Nobile all’istituzione della regione 11

3.1.4. L’approvazione dell’ordine del giorno Piccioni 12

3.2. Il dibattito alla Commissione per la Costituzione (“Commissione dei 75”) 14

3.2.1. Le riserve di Lucifero e Nobile e l’ordine del giorno Togliatti 15

3.2.2. La discussione giuridica, la questione Friuli-Venezia Giulia e la sospensione del dibattito 16

3.3. La discussione in seduta plenaria 17

3.3.1. Il dibattito e l’approvazione delle autonomie speciali 17

4. La discussione sullo Statuto speciale per il Trentino-Alto Adige 20

4.1. Contesto storico 20

4.1.1. L’Accordo di Parigi e la protezione della minoranza di lingua tedesca 20

4.1.2. Lo Statuto: il progetto Innocenti, l’ASAR e la Commissione dei Sette 21

4.1.3. La Commissione dei Diciotto, la SVP e le ultime modifiche al progetto di Statuto 23

4.2. La seduta del 29 gennaio 1948 all’Assemblea Costituente 24

4.2.1. L’inizio del dibattito: la struttura istituzionale della Regione 24

4.2.2. Le competenze della Regione: competenza legislativa primaria e secondaria 25

4.2.3. Le competenze delle Province: la questione della scuola 27

4.2.4. La Regione e la questione delle acque pubbliche 29

4.2.5. La finanza e il bilancio della Regione 31

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5. Conclusioni 33

Bibliografia 35

1. Introduzione

Il presente lavoro intende offrire una visione generale del dibattito sulle autonomie locali

svoltosi all’interno dell’Assemblea Costituente tra il 1946 e il 1948, incentrandosi in particolare

sul caso delle regioni a Statuto speciale.

Dopo la fine della Seconda guerra mondiale è maturata, nei settori che avevano condotto

la lotta contro il fascismo, la convinzione della necessità di una nuova struttura istituzionale che

permettesse di rompere con la tradizione accentratrice dell’Italia postunitaria. Esistevano, però,

opinioni divergenti riguardo l’inquadramento delle autonomie locali nella futura Costituzione.

L’opportunità o meno della creazione dell’ente regione e la concessione di forme particolari di

autonomia alle zone mistilingue (Valle d’Aosta, Trentino-Alto Adige, Friuli-Venezia Giulia) e

alle isole (Sardegna e Sicilia) sono stati due argomenti che suscitarono all’interno

dell’Assemblea lunghe e accese discussioni. Cercheremo di capire le posizioni di ciascun gruppo

parlamentare.

Partendo da lì, analizzeremo il caso particolare del Trentino-Alto Adige, il cui Statuto di

autonomia è stato l’unico ad essere condizionato da un impegno preso dall’Italia in sede

internazionale e tradotto nell’Accordo di Parigi (o Patto De Gaperi-Gruber). Daremo conto del

lungo negoziato condotto dall’Italia, dall’Austria e dalla minoranza di lingua tedesca della

provincia di Bolzano, prima di entrare nel merito delle opinioni dei gruppi parlamentari e

dell’approvazione della legge costituzionale che sancì l’autonomia della regione.

2. Accentramento e federalismo nell’Italia contemporanea

Nella seduta del 27 luglio 1946, aprendo la discussione della Seconda Sottocommissione

dell’Assemblea Costituente sulle autonomie locali, l’onorevole Gaspare Ambrosini iniziava la

sua relazione con queste parole: “Il problema dell’autonomia si affaccia e si impone per

riparare agli inconvenienti dell’accentramento, cioè di tutto quel sistema che, per diffidenza

verso le popolazioni e le autorità locali, fu instaurato nel primo momento della unificazione

nazionale”1. Infatti, era stata l’unificazione italiana sotto l’egida del Regno di Sardegna,

1

? Atti dell’Assemblea Costituente, Roma, Tipografia Camera dei Deputati, 1946. Commissione per la Costituzione-Seconda Sottocommissione, Resoconto sommario della seduta di sabato 27 luglio 1946, p. 5.

3

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diventato una monarchia costituzionale dopo la concessione dello Statuto albertino (4 marzo

1848) da parte di Carlo Alberto di Savoia, a determinare l’assetto istituzionale del Paese,

ulteriormente accentuato in senso unitario dal fascismo.

Fin dal periodo precedente l’Unità d’Italia, tuttavia, le tesi federaliste erano presenti nel

dibattito pubblico dell’epoca. Fautore di questo pensiero era stato in primo luogo Carlo Cattaneo,

protagonista delle cinque giornate di Milano del marzo 1848. Nel suo libro Dell’insurrezione di

Milano del 1848 e della successiva guerra, apparso nel febbraio 1849, l’autore affermava: “Ogni

stato d’Italia deve rimaner sovrano e libero in sé (...) Ogni famiglia politica deve avere il

separato suo patrimonio, i suoi magistrati, le sue armi. Ma deve conferire alle communi

necessità e alle communi grandezze la debita parte; deve sedere con sovrana e libera

rappresentanza nel congresso fraterno di tutta la nazione; e deliberare in commune le leggi che

preparano, nell’intima coordinazione e uniformità delle parti, la distruttibile unità e coesione

del tutto”2. Dopo il fallimento dell’insurrezione milanese, Cattaneo trovò esilio a Lugano, nel

Canton Ticino, dove seguì da vicino l’esperienza federale svizzera, che, insieme a quella degli

Stati Uniti d’America, sarebbe in seguito divenuta un modello sia per Cattaneo stesso sia per i

costituenti che nel 1946 si sarebbero fatti promotori del federalismo.

Tuttavia, queste proposte non trovarono rispondenza nelle politiche che vennero attuate, e

l’accentramento fu per 85 anni la nota dominante dell’organizzazione politica dello Stato

nazionale. La struttura unitaria del Regno d’Italia, proclamato ufficialmente il 17 marzo 1861, fu

confermata dal Regio Decreto n. 250 del 9 ottobre 1861, con il quale venne istituito il ruolo del

Prefetto, rappresentante del governo nelle province3. Nominato dall’esecutivo a capo

dell'amministrazione provinciale, il prefetto partecipava all'amministrazione locale, su cui

esercitava un'azione di intervento e di controllo limitandone fortemente l'autonomia. La legge n.

2248 del 20 marzo 1865 divise il Regno in Province, Circondari, Mandamenti e Comuni. E’ da

notare che le Regioni erano assenti in questo primo assetto istituzionale dell’Italia. Su tutte le

pubbliche amministrazioni locali, come rappresentante del potere esecutivo, vigilava il prefetto,

coadiuvato dal Consiglio di Prefettura, quest’ultimo composto da un numero massimo di tre

membri. Secondo l’art. 152, la Provincia era un ente autarchico territoriale con “facoltà di

possedere e con un'amministrazione propria che ne rappresentasse gli interessi”4. Ad

amministrare la Provincia erano il Consiglio provinciale, eletto da tutti gli aventi diritto al voto

2 C. Cattaneo, Tutte le opere, a cura di L. Ambrosoli, Milano, Mondadori, 1967, vol. IV, pp. 703-704.3 Il prefetto assunse il ruolo precedentemente assegnato al governatore nel Regno di Sardegna (Regio Decreto n. 3.792 del 23 ottobre 1859). Cfr. A. Petracchi, Le origini dell’ordinamento comunale e provinciale italiano, Venezia, Neri Pozza, 1962.4 http://www.provincia.terni.it/Cultura/bus/archivio_stato/invtrdir/provincia.htm

4

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nei Mandamenti, e la Deputazione provinciale, composta dal prefetto che la presiedeva e dai

membri eletti a maggioranza assoluta in seno al Consiglio.

Con lo scopo di trasformare la Provincia in un vero ente autarchico territoriale, il

Governo Crispi emanò la legge n. 5865 del 30 dicembre 1888, assorbita dal Testo Unico n. 5921

del 10 febbraio 1889. I due aspetti centrali della riforma erano l'istituzione della Giunta

provinciale amministrativa – organismo misto presieduto dal prefetto e composto da due

consiglieri di prefettura designati dal Ministero dell'Interno e da quattro rappresentanti del

Consiglio provinciale scelti al di fuori dei propri membri – ed il ridimensionamento delle

funzioni del prefetto in seno all'Amministrazione provinciale.

La struttura della Provincia rimase inalterata fino al 1928. Negli anni del regime fascista

(1922-1943) alle Prefetture vennero attribuiti nuovi e maggiori poteri; in base all’art. 19 del

Testo Unico comunale e provinciale del 3 marzo 1934, “il prefetto provvede ad assicurare, in

conformità delle generali direttive del governo, unità di indirizzo politico nello svolgimento dei

diversi servizi”5. Il Regio Decreto n. 1058 del 26 giugno 1937 stabilì che i tre quinti dei prefetti

dovessero essere scelti tra i funzionari di carriera del Ministero dell'Interno.6

Dopo la caduta del regime (25 luglio 1943), il Regio Decreto Legge n. 111 del 4 aprile

1944 abrogò la legislazione riguardante i governi provinciali e locali, e stabilì norme transitorie

per l'amministrazione dei Comuni e delle Province; nel caso di queste ultime, ne affidava la

gestione ad un Presidente e ad una Deputazione provinciale nominata dal prefetto, che

continuava ad essere il rappresentante dell’amministrazione statale7.

Nell’agosto 1943 un gruppo di antifascisti guidato da Altiero Spinelli – arrestato e

mandato al confine durante gli anni del regime – fondò il Movimento Italiano per la Federazione

Europea, il cui ideale era quello dell’“Italia libera nell’Europa libera e unita”. Due anni prima,

nell’agosto 1941, Spinelli aveva redatto, insieme ad Ernesto Rossi, Eugenio Colorni e Ursula

Hirschmann, il Manifesto di Ventotene (dal nome dell’isola del Mar Tirreno in cui i quattro erano

stati confinati).“Gli spiriti sono giù ora molto meglio disposti che in passato ad una

riorganizzazione federale dell'Europa. La dura esperienza ha aperto gli occhi anche a chi non

voleva vedere ed ha fatto maturare molte circostanze favorevoli al nostro ideale”, avevano

5 L. Basso, Il principe senza scettro, Milano, Feltrinelli, 1998, p. 271.6 Cfr. A. Cifelli, I prefetti del Regno nel ventennio fascista, Roma, Quaderni della Scuola Superiore dell’ Amministrazione dell’Interno (SSAI), Serie 2º, 1999, vol. 12.7 Cfr. http://www.provincia.terni.it/Cultura/bus/archivio_stato/invtrdir/provincia.htm

5

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affermato gli autori del documento, il cui obiettivo era la costituzione di un “largo stato

federale, il quale disponga di una forza armata europea al posto degli eserciti nazionali, spazzi

decisamente le autarchie economiche, spina dorsale dei regimi totalitari, abbia gli organi e i

mezzi sufficienti per fare eseguire nei singoli stati federali le sue deliberazioni, dirette a

mantenere un ordine comune, pur lasciando agli Stati stessi l'autonomia che consente una

plastica articolazione e lo sviluppo della vita politica secondo le peculiari caratteristiche dei

vari popoli”8.

In questo contesto, dopo la fine del fascismo, cominciarono a farsi sentire in diverse

regioni italiane, soprattutto nelle isole e nelle zone di confine, i movimenti federalisti e

separatisti che reagivano contro il centralismo dello Stato italiano. Possiamo ricordare, tra questi,

il Movimento per l’Indipendenza della Sicilia (MIS), il Partito Sardo d’Azione (PSd’A), l’Union

Valdôtaine (UV), la Südtiroler Volkspartei (SVP) nell’Alto Adige e l’Associazione Studi

Autonomistici Regionali (ASAR) nel Trentino. Il Movimento per l’Indipendenza della Sicilia

(MIS), fondato nel 1944 in continuità con il Comitato per l’Indipendenza della Sicilia (CIS)

attivo dal 1942, chiedeva apertamente l’indipendenza dell’isola, in confederazione con il resto

d’Italia; questa ipotesi fu sostenuta alla Costituente dal leader del MIS, Andrea Finocchiaro

Aprile. A sua volta, Emilio Lussu, a nome del Partito Sardo d’Azione – nato nel 1921, sopresso

dal fascismo e rifondato nel 1944 – difendeva l’autonomia della Sardegna ed era favorevole

all’idea federalista di Cattaneo. L’ASAR, attivo tra il 1945 e il 1948, voleva per il Trentino-Alto

Adige l’“autonomia regionale integrale da Ala al Brennero, entro i confini dello Stato italiano,

repubblicano e democratico”9. La SVP, nata l’8 maggio 1945 come partito di raccolta delle

minoranze tedesche e ladine del Sudtirolo, era favorevole a un’autonomia limitata agli abitanti

della sola provincia di Bolzano. Per quanto riguarda la Valle d’Aosta, la Dichiarazione dei

rappresentanti delle popolazioni alpine (o Carta di Chivasso), del 19 dicembre 1943, auspicava

che il“nuovo Stato italiano” fosse “organizzato con criteri federalistici” e parlava di tre tipi di

autonomie: quelle politiche-amministrative, quelle culturali e scolastiche, e quelle economiche10.

Nel suo scritto Federalismo e autonomie, uno dei suoi ispiratori Émile Chanoux parlava di “una

federazione italiana” con “regioni o cantoni federati”, cioè “un regime federale, sul tipo

svizzero” come “garanzia di questo reciproco rispetto nell’interno degli stati e nell’interno del

continente europeo”11; questa sarebbe stata la posizione dell’Union Valdôtaine, fondata il 13

8 http://www.romacivica.net/ANPIROMA/antifascismo/antifascismo4a.html9 D. Fedel, Storia dell’ASAR (1945-1948) e delle radici storiche dell’autonomia, Trento, Pezzini, 1980, p.59.10 Cfr. E. Chanoux, O. Coisson, G. Malan, G. Peyronel, E. Page, M. Rollier. La Carta di Chivasso o Dichiarazione dei rappresentanti delle popolazioni alpine, in “L’Unità Europea”, n. 5, luglio-agosto 1944.11 http://www.regione.vda.it/gestione/gestione_contenuti/allegato.asp?pk_allegato=126

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settembre 1945 per “promuovere e difendere gli interessi della Valle d’Aosta e dei

Valdostani”12.

Il Decreto luogotenenziale n. 98 del 16 marzo 1946, varato dal Governo De Gasperi,

affidò a un referendum popolare la decisione sulla forma istituzionale dello Stato. Un secondo

Decreto, il n. 99 dello stesso 16 marzo 1946, stabilì le norme per il referendum e la

contemporanea elezione di un’Assemblea Costituente. La votazione, come noto, si realizzò il 2

giugno 1946 e partecipò l’89,1 per cento degli aventi diritto. Nel referendum istituzionale, il 54,3

per cento degli italiani si pronunciò a favore della repubblica, mentre il 45,7 per cento scelse la

monarchia. Nelle elezioni alla Costituente, la Democrazia Cristiana (DC) ottenne il 35,2 per

cento, mentre il Partito Socialista fu secondo con il 20,7 per cento, seguito dal Partito Comunista

con il 19 per cento. Gli altri blocchi presenti all’Assemblea furono l’Unione Democratica

Nazionale (di ispirazione liberale), il Fronte dell’Uomo Qualunque (movimento antipolitico sorto

attorno all’omonimo giornale), il Partito Repubblicano Italiano (PRI), il Blocco Nazionale della

Libertà (di matrice conservatrice) e il Partito d’Azione. Al momento della costituzione

dell’Assemblea, i difensori del federalismo confluirono nel Gruppo Autonomista (10 membri),

mentre i quattro rappresentanti del Movimento per l’Indipendenza della Sicilia integrarono il

Gruppo Misto (17 membri)13.

3. La discussione sulle autonomie all’Assemblea Costituente

La Costituente si riunì per la prima volta il 25 giugno 1946 e lavorò fino al 31 gennaio

1948. Il 15 luglio 1946 fu decisa l'istituzione di una Commissione speciale, nota come

Commissione dei 75, presieduta dall’onorevole Umberto Terracini e incaricata di elaborare il

progetto di Costituzione. Questa si organizzò, a sua volta, in tre sottocommissioni: alla seconda

veniva affidata l’organizzazione costituzionale dello Stato, ed era composta dal segretario

Tomaso Perassi (repubblicano) e da 38 membri effettivi (14 democristiani, 7 comunisti, 5

socialisti, 2 repubblicani, 3 autonomisti –tra cui, il valdostano Giulio Bordon e il sardo Emilio

Lussu–, 3 dell’Unione Democratica Nazionale, 2 del Gruppo Misto –tra cui, Andrea Finocchiaro

Aprile– e 2 del Fronte dell’Uomo Qualunque). Uno dei compiti di questa Seconda

Sottocommissione fu quello di studiare la questione delle autonomie locali, e lo fece nelle sedute

del 27, 29, 30 e 31 luglio e del 1º agosto 1946.

Prendendo in considerazione gli accordi raggiunti in seno al Comitato di redazione, la

Commissione dei 75 esaminò questo argomento nelle sedute del 17 e 31 gennaio e del 1º febbraio

12 http://www.unionvaldotaine.org/uv/index.php/1/2/9-12/5db/.html13 Cfr. http://www.camera.it/cost_reg_funz/345/4762/4763/documentotesto.asp

7

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1947. Finalmente, in assemblea plenaria, la Costituente approvò il 27 giugno 1947 gli articoli

107 e 108 (primo e secondo comma) del progetto di Costituzione riguardanti le autonomie locali,

che nel testo finale della Costituzione della Repubblica Italiana si trasformarono negli articoli

114 (l’ex articolo 107), 115 (l’ex articolo 108 primo comma) e 116 (l’ex articolo 108 secondo

comma).

3.1. Il dibattito in seno alla Seconda Sottocommissione

La relazione di Gaspare Ambrosini (Democrazia Cristiana), che apriva la discussione

sulle autonomie locali, chiariva gli aspetti centrali del dibattito all’interno della Seconda

Sottocommisione:“L’autonomia dell’ente regione dovrebbe intendersi accentrata su un insieme

di diritti della regione elevata a persona giuridica”. La regione doveva esercitare, a suo

giudizio, “una competenza legislativa normativa” che “nel caso specialmente di materie

affidate (dalla carta costituzionale) alla competenza esclusiva della regione, darebbe luogo

all’emanazione di vere e proprie leggi”. Questo ente doveva avere una “funzione esecutiva

amministrativa per tutte le materie che sono di sua competenza esclusiva e per le altre che

vengono a trovare la loro esplicazione nella regione”. Per Ambrosini, tuttavia, non si doveva

arrivare ad attribuire alla regione la funzione giurisdizionale, perché ciò “metterebbe quest’ente

in una posizione di assoluto primo piano e potrebbe quindi dar luogo all’affermazione di pretesa

della regione come Stato”14.

Analizzando il nodo della competenza legislativa, l’altro relatore, il repubblicano Tomaso

Perassi, sosteneva che si dovesse scegliere tra determinare le materie nelle quali la competenza

legislativa veniva riservata allo Stato, oppure determinare direttamente la competenza della

regione “senza fare una elencazione di competenze dello Stato”. C’erano, a suo giudizio, due

opzioni sull’ampiezza di questa competenza legislativa: la prima era che la regione potesse

legiferare su “materie determinate con una competenza piena” facendo “proprie leggi con piena

libertà, salvo soltanto i limiti determinati da alcuni principi costituzionali”; la seconda

possibilità era che la legislazione regionale potesse esplicarsi “nell’ambito della legislazione

statale, che, rispetto a certe materie, dovrebbe limitarsi a fissare i capisaldi, rendendo possibile

alle singole regioni di avere una legislazione di adattamento alle condizioni locali”.15 In quanto

14 Atti dell’Assemblea Costituente, Roma, Tipografia Camera dei Deputati, 1946. Commissione per la Costituzione-Seconda Sottocommissione, Resoconto sommario della seduta di sabato 27 luglio 1946, pp. 5-7.15

? Ibidem, p. 10.

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alla funzione giurisdizionale della regione, Perassi era favorevole a limitarla al campo

amministrativo.

In questa sezione, riprenderemo il dibattito sulla necessità o meno della creazione

dell’ente regione, e metteremo a confronto le principali proposte che vennero prospettate,

prendendo in considerazione i casi particolari della Valle d’Aosta, della Sicilia, della Sardegna e

del Trentino-Alto Adige. Prima di passare alle proposte presentate in seno alla

Sottocommissione, dobbiamo ricordare che prima dell’inizio dei lavori della Costituente, il

Governo De Gasperi aveva concesso due Statuti di autonomia: quello provvisorio della Valle

d’Aosta – promulgato con il Decreto luogotenenziale n. 545 del 7 settembre 1945 – e quello

speciale della Sicilia – promulgato con il Decreto luogotenenziale n. 455 del 15 maggio 1946 – ;

erano inoltre in discussione un progetto per la Sardegna e un altro per il Trentino-Alto Adige. “Si

deve cercare di conciliare lo stato di fatto con la nuova struttura dello Stato”, sosteneva il

repubblicano Oliviero Zuccarini, nella seduta del 27 luglio 194616.

3.1.1. Il federalismo di Lussu, Finocchiaro Aprile e Bordon

In questo paragrafo esamineremo le convergenze e le divergenze tra le proposte di tre

esponenti del pensiero federalista in seno alla Seconda Sottocommissione: il rappresentante

sardo Emilio Lussu (eletto nelle liste del Partito Sardo d’Azione e membro del Gruppo

Autonomista), il siciliano Andrea Finocchiaro Aprile (leader del Movimento per l’Indipendenza

della Sicilia -MIS-) e il valdostano Giulio Bordon (membro del Gruppo Autonomista).

“In Italia, se una eredità storico-politica si è avuta, è stata quella dei vari stati in cui era

diviso il paese, ed avrebbe dovuto condurre all’unità federale”, affermava Lussu, il quale

riteneva che il federalismo fosse “l’espressione della profonda sofferenza del Paese nel passato

e l’aspirazione ad una radicale trasformazione”17. Secondo il rappresentante sardo, dal punto di

vista geografico, alcune regioni, come ad esempio la Sicilia e la Sardegna, non potevano che

essere Stati federati; c’erano anche, dal suo punto di vista, alcune caratteristiche che

differenziavano sostanzialmente le diverse regioni italiane. La sua analisi non trascurava la

situazione degli abitanti di lingua francese della Valle d’Aosta e di quelli di lingua tedesca della

provincia di Bolzano, e concludeva che, se in Europa vi era un Paese dove c’erano le premesse

per un’organizzazione federale, quello era indubbiamente l’Italia.

Finocchiaro Aprile riprendeva il tema del federalismo, pur ammettendo che nella

Commissione prevaleva un’idea unitaria sull’organizzazione dello Stato. Il leader del MIS

16 Ibidem, p. 12.17 Ibidem, p. 15.

9

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sosteneva che il sistema più adatto all’Italia era quello della confederazione di Stati; considerava

però che, dal punto di vista giuridico, per molte regioni italiane il decentramento era più che

sufficiente, mentre per alcune altre, come la Sicilia e la Sardegna, la semplice autonomia non

sarebbe bastata: “Esse hanno bisogno di autonomie larghe, complete, non soltanto per i piccoli

affari di ordinaria amministrazione, ma anche nel campo economico, finanziario, tributario,

doganale”.18 Incentrando la sua esposizione proprio sulla sua regione d’origine, Finocchiaro

Aprile ricordava l’esperienza storica del Regno delle Due Sicilie e affermava che vi era “un

diritto nelle popolazioni siciliane ad avere qualcosa di più della semplice autonomia”.19

Condividendo l’approccio federalista del collega, il valdostano Bordon non credeva

tuttavia che la Confederazione di Stati fosse una soluzione possibile perché, qualora fosse stata

adottata, sarebbe stato necessario “far risorgere gli Stati italiani”. Da un punto di vista pratico,

Bordon riteneva che i cantoni avrebbero rappresentato una possibile soluzione del problema,

poiché vi erano in Italia alcune regioni che non avevano raggiunto “una maturità democratica”,

ma a loro fianco ve ne erano altre “democraticissime e che potrebbero adattarsi benissimo al

nuovo assetto di Stato”20; egli ricordava, in merito, la Carta di Chivasso del 19 dicembre 1943,

nella quale le Valli alpine si erano pronunciate per uno Stato federale “costituito da unità

amministrative e politiche autonome sul tipo cantonale”.21 Riguardo alle esigenze federaliste

delle regioni italiane, Bordon poneva sullo stesso piano la Valle d’Aosta, l’Alto Adige, la Sicilia

e la Sardegna, per le quali era necessaria“un’autonomia a largo respiro, autonomia in cui la

potestà legislativa sia diretta e larghissima”.22

3.1.2. La “regione facoltativa” di Bozzi e il “tipo misto di regioni” di Grieco

Prendendo in considerazione l’esigenza di autonomia di alcune regioni, come la Sicilia, la

Sardegna e la Val d’Aosta, Aldo Bozzi (Unione Democratica Nazionale) si domandava, nella

seduta del 29 luglio 1946, se fosse opportuno creare la regione “dappertutto”. Egli proponeva

un’altra opzione, ossia configurare la cosiddetta “regione facoltativa”; auspicava cioè che fosse

“un atto di libera determinazione, di libera volontà, delle province il chiedere uno statuto

regionale, che dovrebbe essere sottoposto all’approvazione degli organi parlamentari riuniti”23,

precisando che gli abitanti delle regioni avrebbero potuto manifestare il loro parere attraverso un

18 Atti dell’Assemblea Costituente, cit., Resoconto sommario della seduta di lunedí 29 luglio 1946, p. 20.19 Ibidem, p. 20-21.20 Atti dell’Assemblea Costituente, cit., Resoconto sommario della seduta di martedì 30 luglio 1946, p. 47.21 Ibidem, p. 47.22 Ibidem, p. 48.23 Atti dell’Assemblea Costituente, cit., Resoconto sommario della seduta di lunedí 29 luglio 1946, p. 29.

10

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referendum, consentendo in questo modo di risolvere la questione con gradualità, adattando “gli

schemi giuridici alle reali esigenze degli aggregati sociali”.24

I democristiani Costantino Mortati, Salvatore Mannironi e Giuseppe Fuschini si

dichiararono contrari alla soluzione presentata da Bozzi; in particolare, Mortati era dell’idea che

si dovesse mantenere una struttura territoriale uniforme. Intanto Mannironi, respingendo la tesi

sostenuta da Bozzi, affermava: “La regione esiste e deve essere riconosciuta per tutta l’Italia:

altrimenti si avrebbero delle regioni esistenti autonomamente ed altre no; e delle situazioni

pericolose ai fini dell’unità nazionale”.25 Fuschini riteneva che fosse un errore distinguere tra

province che volevano essere costituite in regioni e quelle che non lo desideravano; a suo avviso,

la regione non poteva essere un ente facoltativo perché, se così fosse stato, sarebbe sorto “un

mosaico di organizzazioni statali contrario a quello spirito moderno, che tende al

raggiungimento del massimo risultato col minimo mezzo”.26

Il comunista Ruggero Grieco riconosceva la legittimità storica e politica della

rivendicazione di statuti regionali particolarmente ampi da parte di Sardegna, Sicilia, Trentino-

Alto Adige e Valle d’Aosta; tuttavia, allo stesso tempo, egli non ravvisava un movimento

popolare regionalista in altre regioni – citando come esempi l’Emilia Romagna, la Lombardia, il

Lazio, la Toscana, la Campania e le Marche. Grieco si mostrava, dunque, favorevole

all’esistenza in Italia di un“tipo misto di regioni autonome e di semplici regioni”, chiarendo che

le prime avrebbero dovuto avere “maggiori potestà, senza però giungere a competenza

legislativa e normativa in genere” poichè ciò avrebbe portato ad un “federalismo mascherato”.27

Il costituente comunista Vincenzo La Rocca condivideva la necessità di “riorganizzare lo Stato

sulla base regionale, ma in una maniera differenziata”, prendendo in considerazione la

necessaria autonomia richiesta dalla Sicilia, dalla Sardegna, dalla Val d’Aosta e dall’Alto Adige;

tuttavia, a differenza di Grieco, La Rocca si mostrava favorevole alla concessione di una

“potestà legislativa primaria” a queste quattro regioni, lasciando alle altre – costituite come ente

giuridico – una “facoltà legislativa delegata”.28

3.1.3. La cautela di Einaudi e il “no” di Paolo Rossi e Nobile all’istituzione della regione

La posizione di Luigi Einaudi (allora capogruppo dell’Unione Democratica Nazionale29)

era la più cauta tra quelle dei membri della Seconda Sottocommissione favorevoli alla

24 Ibidem, p. 30.25 Ibidem, pp. 31-32.26 Atti dell’Assemblea Costituente, cit., Resoconto sommario della seduta di martedì 30 luglio 1946, p. 45.27 Atti dell’Assemblea Costituente, cit., Resoconto sommario della seduta di lunedí 29 luglio 1946, p. 37.28 Atti dell’Assemblea Costituente, cit., Resoconto sommario della seduta di mrcoledì 31 luglio 1946, pp. 55-56.29 Dal 17 gennaio 1947 Luigi Einaudi risultava iscritto al Gruppo Parlamentare Liberale.

11

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costituzione delle regioni. Egli affermava, in particolare, che la creazione di questo nuovo ente

territoriale avrebbe dovuto comportare l’abolizione delle province, perché altrimenti “si

moltiplicherebbero gli uffici e i gravami fiscali”. Nella stessa linea di pensiero, La Rocca

riteneva che, una volta creata la regione, si sarebbe dovuto “abolire la provincia come ente

autarchico e conservarla come ente burocratico”30.

Inserendosi nel dibattito sul federalismo, Einaudi ricordava che l’Italia partiva dallo Stato

unitario –“che intendiamo mantenere”– e non era nella “situazione di un gruppo di stati che

intendono federarsi”, come era avvenuto in Svizzera (Confederazione Elvetica) e negli Stati

Uniti d’America. “Allora la soluzione migliore è che siano attribuite dalla carta costituzionale

alla regione determinate competenze e che la regione non ne abbia nessuna di più di quelle

stabilite dall’atto costituzionale”31, proponeva, lasciando spazio a possibili emendamenti

costituzionali qualora si fosse palesata la necessità di conferire a questo ente nuove prerogative.

Concludeva la sua esposizione con questa frase: “Via via, fatta la necessaria esperienza –

nessuna costituzione è perfetta – tali competenze potranno essere allargate o ristrette”.32

Del tutto contrari all’istituzione dell’ente giuridico regione erano, invece, il socialista

Paolo Rossi e il comunista Umberto Nobile. Quest’ultimo credeva che una tale decisione non

corrispondesse in quel momento alle necessità economiche, sociali e politiche del popolo

italiano, e potesse anzi sortire l’effetto di approfondire le divisioni proprio nel momento in cui il

Paese richiedeva una più stretta unione per lo sforzo della ricostruzione. A suo avviso, la

divisione del territorio in regioni autonome ed autarchiche avrebbe accresciuto “il dislivello

economico e sociale fra regioni ricche e progredite e regioni povere ed arretrate”33; egli

riteneva inoltre che il decentramento si sarebbe potuto ottenere dando più autonomia agli enti

locali (Comuni) e potenziando le province. Era dello stesso avviso il collega Paolo Rossi, il quale

riteneva che i casi particolari, come Sardegna, Sicilia e Valle d’Aosta, avrebbero potuto essere

regolamentati con specifiche normative. “La creazione di una regione con piena competenza

legislativa sarebbe una riforma completamente antistorica”, affermava il costituente socialista,

che era d’accordo con Nobile nel“concedere ai comuni ed alle singole province già esistenti

amplissime autonomie amministrative”.34

3.1.4. L’approvazione dell’ordine del giorno Piccioni

30 Atti dell’Assemblea Costituente, cit., Resoconto sommario della seduta di mercoledì 31 luglio 1946, p. 55.31 Atti dell’Assemblea Costituente, cit., Resoconto sommario della seduta di sabato 27 luglio 1946, p. 12.32 Ibidem, p. 14.33 Atti dell’Assemblea Costituente, cit., Resoconto sommario della seduta di giovedì 1º agosto 1946, p. 70.34 Atti dell’Assemblea Costituente, cit., Resoconto sommario della seduta di lunedì 29 luglio 1946, p. 21-22.

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Page 13: Tesi - Versione Finale

A conclusione della discussione in seno alla Seconda Sottocommissione, il 1º agosto

1946 furono presentati dieci ordini del giorno. Gli autori erano gli onorevoli Egidio Tosato

(Democrazia Cristiana), Attilio Piccioni (Democrazia Cristiana), Gennaro Patricolo (Gruppo

Misto) insieme a Pietro Castiglia (Fronte Liberale Democratico dell’Uomo Qualunque),

Vincenzo La Rocca (Gruppo Comunista), Tomaso Perassi (Gruppo Repubblicano), Umberto

Nobile (Gruppo Comunista), Andrea Finocchiaro Aprile (Gruppo Misto), Paolo Rossi insieme

ad Alessandro Bocconi (entrambi iscritti allora al Partito Socialista Italiano35), Emilio Lussu

(Gruppo Autonomista) e Giovanni Conti (Gruppo Repubblicano).

La mozione di Nobile, la cui posizione è stata accennata precedentemente, era l’unica a

non prevedere la creazione dell’ente regione; fu questo il primo ordine del giorno ad essere

messo a votazione dal presidente Terracini e, come previsto, venne respinto. Sul versante

opposto, Finocchiaro Aprile presentò una polemica mozione nella quale affermava che il sistema

unitario, praticato sino a quel momento, era stato in “vantaggio esclusivo delle Province

settentrionali” e aveva avuto come risultato “lo sfruttamento e l’asservimento della Sicilia, della

Sardegna e del Mezzogiorno agli interessi politici e capitalistici del Nord”. Il leader del

Movimento per l’Indipendenza della Sicilia (MIS) chiedeva, dunque, “un’autonomia integrale,

cioè politica, giurisdizionale, culturale, economica, finanziaria, tribuataria, e doganale”; egli

riteneva necessaria, inoltre, la convocazione di un referendum per far sí che i popoli stessi

manifestassero la loro volontà, ma allo stesso tempo assicurava che quella volontà non appariva

favorevole alla costituzione delle regioni come “enti di diritto pubblico” ma tendeva invece alla

loro elevazione a “Stati liberi” che avrebbero dovuto entrare a far parte di “una confederazione

di Stati italiani in condizioni di assoluta parità ed eguaglianza”. La creazione della regione

come “ente di diritto pubblico” doveva limitarsi, secondo Finocchiaro Aprile, “a quei territori

italiani per i quali fosse riconosciuta adatta e conveniente e le cui popolazioni la

deciderassero”36. Messo ai voti, questo ordine del giorno fu respinto dalla Sottocommissione.

Una terza mozione, anch’essa respinta, fu quella di Rossi e Bocconi, che proponeva un “vasto ed

efficace decentramento amministrativo autarchico” e lasciava aperta “l’indagine circa

l’opportunità, per la migliore realizzazione pratica del decentramento amministrativo, di

costituire l’ente regione, entro i limiti del carattere unitario dello Stato italiano”.37

Dal momento che i rimanenti sette ordini del giorno coincidevano nelle loro conclusioni,

su richiesta del presidente Terracini, Attilio Piccioni ne fece una rielaborazione allo scopo di

35 Il 3 febbraio 1947, dopo la scissione di Palazzo Barberini, Rossi e Bocconi lasciarono il grupppo per entrare in quello del Partito Socialista dei Lavoratori Italiani (PSLI).36 Atti dell’Assemblea Costituente, cit., Resoconto sommario della seduta di giovedì 1º agosto 1946, p. 71.37 Ibidem, p. 72.

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Page 14: Tesi - Versione Finale

fonderli in un unico ordine del giorno, che riconoscesse “la necessità di dar luogo alla

creazione, sancita dalla nuova Costituzione, dell’ente regione (persona giuridica territoriale):

a) come ente autarchico (cioè con fini propri d’interesse regionale e con capacità di svolgere

attività propria per il conseguimento di tali fini); b) come ente autonomo (cioè con potere

legislativo – normativo – nell’ambito delle sue specifiche competenze e nel rispetto

dell’ordinamento giuridico dello Stato); c) come ente rappresentativo degli interesi locali, su

basi elettive a suffragio universale diretto; d) come organo dotato di sufficiente autonomia

finanziaria”.38 Con un emendamento, presentato dal presidente Terracini, e accolto da Piccioni,

si volle modificare il punto b) per quanto riguardava le competenze dell’ente regione: invece di

parlare delle sue“competenze specifiche”, il testo finale fece riferimento alle“competenze che

saranno fissate”. Ancora relativamente al punto b) l’onorevole Gustavo Fabbri (Gruppo Misto)

presentò un emendamento con lo scopo di sostituire all’espressione “potere legislativo” quella

di “potere normativo”, giacché la prima formula avrebbe potuto portare a un conflitto tra leggi

nazionali e leggi regionali dal momento che “essendo leggi tanto quelle emanate dallo Stato

quanto quelle emanate dalla regione, [si potrebbe dare il paradosso che] la legge nazionale non

possa modificare la legge regionale preesistente”. La Sottocommissione, tuttavia, non sposò

questa tesi e nel testo finale si mantenne la formula “potere legislativo”.39

Alla parte finale dell’ordine del giorno Piccioni – che domandava “la formulazione di un

progetto di ordinamento regionale, tenute presenti le premesse suindicate e gli altri criteri

informatori risultati dell’ampia discussione svoltasi in seno alla Sottocommissione” –, dietro

richiesta del valdostano Bordon, il presidente Terracini propose di aggiungere: “tenute presenti

le premesse suindicate e alcuni stati di fatto creati”. Alla particolare situazione della Val

d’Aosta rilevata da Bordon, Lussu sommava quelle della Sardegna, della Sicilia e dell’Alto

Adige (Piccioni parlava addirittura di “Trentino-Alto Adige”); infine si convenne di indicare fra

parentesi le “situazioni particolari” delle quattro regioni. Il testo finale, approvato dalla

Sottocommissione il 1º agosto 1946, rilevava “le situazioni particolari esistenti (Sicilia,

Sardegna, Val d’Aosta, Trentino-Alto Adige)”.40

3.2. Il dibattito alla Commissione per la Costituzione (Commissione dei 75)

La discussione sull’ordinamento regionale in seno alla cosiddetta “Commissione dei 75”,

presieduta da Meuccio Ruini, ebbe luogo nel corso delle sedute del 17 gennaio e del 1º febbraio

38 Ibidem, p. 74.39 Ibidem, pp. 74-77.40 Ibidem, pp. 75-77.

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Page 15: Tesi - Versione Finale

194741. Il presidente Ruini affermò, all’inizio dei lavori, che la Commissione avrebbe preso in

esame soltanto le questioni che avessero implicato un“dissenso sostanziale” in seno al Comitato

di redazione, ricordando altresì che, se pure relativamente alle situazioni particolari della Sicilia,

della Sardegna, della Valle d’Aosta e del Trentino-Alto Adige, vi era stato pieno accordo sulla

concessione di “forme di autonomia particolarmente ampie” a queste quattro regioni, tuttavia

non era il caso di estenderle a “tutte le altre regioni italiane per le quali si sarebbe dovuto

adottare nella Costituzione un tipo comune di autonomia”.42 Esamineremo di seguito le

posizioni di dissenso a questa specifica linea di condotta.

3.2.1. Le riserve di Lucifero e Nobile e l’ordine del giorno Togliatti

Il liberale Roberto Lucifero manifestò le proprie riserve riguardo alla “creazione delle

marche di frontiera, dei quattro Cantoni, cioè, di quattro zone italiane privilegiate” perché tale

situazione avrebbe messo le quattro regioni in una “situazione di maggiorascato” in confronto

alle altre.43 La metafora di Lucifero alludeva all’istituto del maggiorasco, in base al quale i beni

di una casa nobile passavano di diritto al primogenito, creando una situazione di disparità tra i

figli. Da parte sua, il comunista Umberto Nobile riconobbe la necessità di porre in essere

ordinamenti speciali, imposti dagli accordi internazionali, per le zone di confine, cioè la Valle

d’Aosta e il Trentino-Alto Adige, pur dichiarandosi in disaccordo con la concessione di

un’autonomia speciale alla Sardegna e alla Sicilia.

Nobile riprese il discorso del leader del Partito Comunista Italiano (PCI), Palmiro

Togliatti, che, pur dichiaratosi favorevole al decentramento amministrativo e alle autonomie dei

Comuni, era in disaccordo con la via federalista, che avrebbe a suo avviso dato luogo alla

creazione di un “apparato macchinoso” rendendo “più pesante la nostra organizzazione

amministrativa” e avrebbe stimolato contro il Mezzogiorno “gli egoismi delle regioni

settentrionali più ricche”.44 Lussu, in contrasto con l’opinione di Togliatti, riteneva che fosse

stata proprio l’organizzazione centralistica dello Stato a rendere il Mezzogiorno una sorta di

“colonia” e ricordava, inoltre, che il movimento autonomista era sorto nel Mezzogiorno

41 Nel gennaio 1947, dopo la divisione del Partito Socialista Italiano di Unità Proletaria (PSIUP) – scissione di Palazzo Barberini – nel corso del suo XXV Congresso, nacque il Partito Socialista di Lavoratori Italiani (PSLI). Il maggiore riflesso sulla Costituente fu la costituzione del gruppo parlamentare del PSLI, al quale aderirono 52 dei 115 costituenti iscritti originariamente al PSIUP. Un secondo effetto furono le dimissioni di Giuseppe Saragat, leader del neonato PSLI, dalla Presidenza dell’Assemblea, il 6 febbraio 1947. L’8 febbraio venne nominato l’onorevole Umberto Terracini (Gruppo parlamentare Comunista).42 Atti dell’Assemblea Costituente, Roma, cit., Commissione per la Costituzione-Adunanza plenaria, Resoconto sommario della seduta di venerdì 17 gennaio 1947, p. 117.43 Ibidem, p. 121.44 Atti dell’Assemblea Costituente, cit., Resoconto sommario della seduta id venerdì 17 gennaio 1947, p. 123.

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Page 16: Tesi - Versione Finale

“attraverso l’elemento intellettuale e la massa dei contadini che intendevano, attraverso una

organizzazione autonomistica, di crearsi la base di partenza per futuri progressi”.45

Togliatti decise, infine, di presentare un ordine del giorno che, pur impegnando la

Commissione dei 75 a concedere “un regime di ampia autonomia per la Sicilia, la Sardegna e le

zone mistilingui”, tuttavia non accettava che nella Costituzione venissero introdotti “elementi

anche indiretti e attenuati di federalismo”.46 Questa mozione fu respinta, con 15 voti favorevoli,

32 contrari e 6 astenuti.47

3.2.2. La discussione giuridica, la questione Friuli-Venezia Giulia e la sospensione del dibattito

Nelle sedute del 31 gennaio e del 1º febbraio 1947 vennero presi in esame i quattro

articoli riguardanti le autonomie locali. Ci limiteremo ad analizzare il dibattito sull’articolo 3,

che attribuiva alla Sicilia, alla Sardegna, al Trentino-Alto Adige e alla Valle d’Aosta “forme e

condizioni particolari di autogoverno con Statuti speciali adottati con leggi di valore

costituzionale”.48 Oltre alla discussione sul quadro giuridico entro il quale sarebbero dovuti

rientrare gli Statuti speciali, ci soffermeremo sul caso particolare del Friuli-Venezia Giulia, non

previsto nella redazione originale dell’articolo 3.

L’onorevole Perassi chiese di eliminare il termine “Statuti speciali”, perché l’atto che

avrebbe dato luogo all’autonomia speciale di queste regioni sarebbe stata una norma giuridica

emanata direttamente dallo Stato ed era improprio, dal punto di vista giuridico, chiamarla

“statuto”. Secondo il rappresentante repubblicano, l’uso giuridicamente corretto della parola

“statuto” era quello relativo alle regioni ordinarie, intendendo quindi un insieme di norme

giuridiche emanate da un potere legislativo della regione (Consiglio regionale) e approvato con

legge ordinaria dello Stato49. Pur accogliendo la questione di tecnica giuridica sollevata da

Perassi – cioè, che gli Statuti speciali erano in realtà leggi costituzionali emanati direttamente

dallo Stato e non dagli organi regionali –, il presidente Ruini temeva di dare l’impressione che si

volesse “togliere” alla Sicilia lo Statuto che era già stato promulgato dal Governo.50

Sulla stessa linea di Perassi, Mortati ricordò che gli Statuti di autonomia delle regioni

nominate dall’articolo 3 dovevano essere inseriti nella Costituzione “come parti integranti di

45 Ibidem, p. 125.46 Ibidem, p. 128.47 Votarono a favore i 12 rappresentanti comunisti e i 3 socialisti. Votarono contro 22 democristiani, 2 del PSLI, 2 del Gruppo Misto, 2 dell’Unione Democratica Nazionale, 1 autonomista, 1 repubblicano, 1 liberale e 1 membro del Gruppo Democrazia del Lavoro. Si astennero i 2 membri del PSLI, i 2 del Fronte dell’Uomo Qualunque, 1 liberale e 1 del Gruppo Democrazia del Lavoro.48 Atti dell’Assemblea Costituente, cit., Resoconto sommario della seduta di venerdì 31 gennaio 1947, p. 269.49 “Lo Statuto di ogni Regione è stabilito in armonia alle norme costituzionali, con legge regionale deliberata a maggioranza assoluta dei consiglieri e a due terzi dei presenti; e deve essere approvato con legge della Repubblica” (art. 124 della Costituzione italiana).50 Cfr. Atti dell’Assemblea Costituente, cit., Resoconto sommario della seduta di venerdì 31 gennaio 1947, p. 270.

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Page 17: Tesi - Versione Finale

questa” e “sottoposti alla procedura di revisione prescritta per le altre norme della Costituzione

medesima”.51 Il relatore Ambrosini tranquillizzò sia Perassi che Mortati, ricordando ai colleghi

che quando si affermava che lo Statuto delle quattro regioni (Sicilia, Sardegna, Trentino-Alto

Adige, Valle d’Aosta) sarebbe stato adottato con legge di valore costituzionale, si faceva

riferimento al potere costituente; risultava dunque evidente che la competenza di emanare tali

Statuti spettava allo Stato. Dopo la discussione suscitata, allo scopo di evitare ripercussioni di

carattere politico circa lo Statuto siciliano approvato dal Governo, Perassi decise di ritirare la sua

proposta e fu mantenuta la parola “statuti” nella redazione finale dell’articolo.52

Sempre nel corso della seduta del 1º febbraio 1947, l’onorevole Fabbri domandò alla

Commissione se, tenendo presente il criterio di dare un ordinamento speciale alle regioni di

confine mistilingue, non fosse il caso di includere nel secondo comma dell’articolo 3 anche “la

Venezia Giulia ed il Friuli”; in alternativa, egli proponeva di “abbandonare il criterio della

precisazione e parlare soltanto, in forma generica, delle due Regioni insulari e delle Regioni di

confine mistilingui”.53 Su proposta del presidente Ruini, per associazione di temi, la questione

della Regione Friuli-Venezia Giulia fu aggiunta all’ordine del giorno firmato dagli onorevoli

Aldo Moro (Democrazia Cristiana), Enrico Molè (Democrazia del Lavoro), Ferdinando Targetti

(Partito Socialista Italiano54) e Leonilde Iotti (Gruppo Comunista), che sospendeva ogni

decisione legata al problema dell’istituzione dell’ente regione, considerando che erano in corso

“accertamenti presso gli organi locali delle popolazioni interessate”; l’esame del problema si

riprenderebbe “non appena in possesso degli ulteriori elementi di giudizio”.55 La proposta

sospensiva fu approvata.

La questione del Friuli-Venezia Giulia fu quindi discussa dall’Assemblea Costituente,

insieme agli altri articoli riguardanti l’ordinamento regionale, nella seduta del 27 giugno 1947.

3.3. La discussione in seduta plenaria

Come affermato, il 27 giugno 1947 furono esaminati in seduta plenaria l’articolo 107 e il

primo e il secondo comma dell’articolo 108 del progetto di Costituzione, che sarebbero diventati

gli articoli 114, 115 e 116 della Costituzione italiana. Ci soffermeremo, in particolare,

51 Ibidem, p. 270.52 Ibidem, pp. 270-272.53 Atti dell’Assemblea Costituente, cit., Resoconto sommario della seduta di sabato 1º febbraio 1947, p. 275.54 Il gruppo del Partito Socialista Italiano si era formato nel febbraio 1947 dopo la scissione del PSIUP e l’abbandono del gruppo parlamentare da parte dei costituenti che confluirono nel Partito Socialista dei Lavoratori Italiani (PSLI).55 Atti dell’Assemblea Costituente, cit., Resoconto sommario della seduta di sabato 1º febbraio 1947, p. 283.

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sull’articolo 108, che prevedeva nel suo primo comma la creazione delle Regioni come “enti

autonomi con propri poteri e funzioni secondo i principi fissati nella Costituzione”.56

3.3.1. Il dibattito e l’approvazione delle autonomie speciali

Il secondo comma dell’articolo 108, come proposto dal Comitato di redazione, faceva

riferimento alle regioni dotate di un tipo particolare di autonomia: “Alla Sicilia, alla Sardegna,

al Trentino-Alto Adige e alla Valle d’Aosta sono attribuite forme e condizioni particolari di

autonomia con statuti speciali adottati mediante leggi costituzionali”.57

L’onorevole Giuseppe Abozzi (Fronte Liberale Democratico dell’Uomo Qualunque),

ricordando che gli statuti della Sicilia e della Valle d’Aosta erano già stati concessi ed erano

ormai legge dello Stato, affermò che poteva rivelarsi pericoloso concedere altri statuti particolari

e chiese la soppressione del secondo comma; tuttavia la sua proposta fu respinta dall’Assemblea.

L’onorevole Perassi, riprendendo gli argomenti che aveva già espresso in sede della

Commissione dei 75, presentò un emendamento che cancellava la parola “statuti” e lasciava la

parte finale del secondo comma come segue: “(...) sono attribuite, con leggi costituzionali, forme

e condizioni particolari di autonomia”.58 Intervenne allora il presidente della suddetta

Commissione, Ruini, il quale, pur indicando che con la parola “statuto” non si voleva far

riferimento a delle vere “Carte costituzionali volute dalle sole Regioni e immodificabili se non

per volontà delle Regioni stesse”, si disse favorevole a conservare quella denominazione, sia

perché si trattava di “complessi di norme sull’ordinamento regionale” che avevano anch’essi il

“carattere di statuti”, sia perché – a suo goidizio – non sarebbe stato il caso di “sollevare, con

nuove formule, le apprensioni, ad esempio, dei siciliani”, il cui ordinamento regionale – come

ricordò il relatore Ambrosini – era stato denominato, proprio dal provvedimento legislativo del

15 maggio 1945, “Statuto della Regione siciliana”.59 Infine, Perassi accettò la proposta del

Comitato di redazione che modificava l’ultima parte dell’articolo – dove si diceva “con statuti

speciali” la redazione finale fu “secondo statuti speciali” – e ritirò il suo emendamento.60

Riguardo a questo secondo comma, furono discussi altri tre emendamenti. L’onorevole

Danilo Paris (Partito Socialista dei Lavoratori Italiani) voleva che si chiarisse nel testo che il

Trentino-Alto Adige costituiva una “Regione unica”, ma preferì ritirare la sua proposta visto che

la Commissione istituita per elaborare il progetto di statuto per quella regione si era ormai

56 Atti dell’Assemblea Costituente, cit., CLXIV. Seduta di venerdì 27 giugno 1947, p. 5230.57 Ibidem, pp. 5230-5231.58 Ibidem, p. 5232.59 Ibidem, p. 5235.60 Ibidem, p. 5237.

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Page 19: Tesi - Versione Finale

orientata su una forma di “autonomia regionale”. Riprenderemo la discussione sull’autonomia

speciale del Trentino-Alto Adige nel prossimo capitolo.

A loro volta, gli onorevoli Fausto Pecorari e Tiziano Tessitori61 (entrambi della

Democrazia Cristiana) tornarono su un punto sollevato dal collega Fabbri nella sede della

Commissione dei 75: la situazione del Friuli-Venezia Giulia. Pecorari chiese di aggiungere la

“Regione giulio-friulana e Zara” tra quelle che avrebbero goduto di statuti speciali di

autonomia. Poichè la sorte di quei territori, soprattutto quella di Zara, doveva ancora essere

decisa dal Trattato di pace tra l’Italia e le potenze vincitrici della Seconda guerra mondiale,

Pecorari sostenne che si trattava di un “obbligo morale” verso le popolazioni di quelle zone e

avrebbe dimostrato alla Iugoslavia, che contendeva con l’Italia il possesso dei suddetti

territori,“la nostra intenzione chiara e netta di difendere in ogni caso e in qualsiasi condizione le

minoranze che vivono in queste terre e in quelle che ci verranno assegnate”.62 L’onorevole

Tessitori ricordò che, anche se non era possibile qualificare quella regione come mistilingue, con

lo stato di fatto successivo alla guerra rimanevano allo Stato italiano il mandamento di

Monfalcone e la provincia di Gorizia, nella quale si concentravano circa 9.400 slavi; tuttavia

propose la redazione “Friuli-Venezia Giulia” sopprimerendo “Zara”, ma il collega Pecorari

insistette con la sua formula, in quanto “il piccolo pezzetto della provincia di Gorizia” che

sarebbe stato concesso all’Italia dal trattato di pace non giustificava “l’aggiunta del termine

‘Venezia Giulia’”.63

Il presidente della Commissione dei 75, Meuccio Ruini, non credeva che si potesse

considerare Zara come parte della nuova Regione speciale, perché tale affermazione avrebbe

potuto causare conseguenze internazionali non opportune in vista della ratifica del trattato di

pace; egli era però d’accordo con i colleghi Pecorari e Tessitori nell’accordare “garanzie” per le

“minoranze linguistiche ed etniche”. Il fatto di offrire queste garanzie avrebbe dato all’Italia “un

altro argomento per chiedere che anche la Iugoslavia accordi uno statuto speciale alle sue zone,

dove risiede un numero ben maggiore di italiani”. E infine aggiunse che l’istituzione della nuova

regione avrebbe avuto un “valore simbolico: di attendere, in una futura revisione del trattato, la

sua capitale: Trieste64”. 65 Dopo le parole di Ruini, Pecorari accettò di ritirare il suo

61 E’ importante tenere presente che Pecorari era nato a Trieste, mentre Tessitori era originario di Sedegliano (Udine).62 Atti dell’Assemblea Costituente Roma, cit., CLXIV. Seduta di venerdì 27 giugno 1947, p. 5233.63 Ibidem, p. 5235.64 Trieste era stata occupata dalle truppe iugoslave il 1º maggio 1945. Dal 12 giugno 1945, dopo l’accordo tra la Iugoslavia e gli Alleati, era nato il Territorio Libero di Trieste (TLT), diviso in due zone: la Zona A sotto controllo anglo-americano e la Zona B sotto controllo iugoslavo. In base al Trattato di pace, firmato a Parigi il 10 febbraio 1947, l’Italia cedeva alla Iugoslavia i territori di Fiume, Pola, Zara e le isole adriatiche allora sotto sovranità italiana. Nel 1954 la Zona A del TLT sarebbe tornata alla sovranità italiana. La situazione della Zona B sarebbe stata risolta nel 1975 con il Trattato di Osimo, in base al quale l’Italia riconobbe la sovranità iugoslava su quei territori.65 Atti dell’Assemblea Costituente Roma, cit., CLXIV. Seduta di venerdì 27 giugno 1947, pp. 5236-5237.

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emendamento, rinunciando a parlare di Zara “per non esporre i dalmati a un voto che

suonerebbe offesa per loro”.66

La redazione finale del secondo comma dell’articolo 108 (articolo 116 nella redazione

finale) della Costituzione fu la seguente: “Alla Sicilia, alla Sardegna, al Trentino-Alto Adige, al

Friuli-Venezia Giulia e alla Valle d’Aosta sono attribuite forme e condizioni particolari di

autonomia, secondo statuti speciali adottati mediante leggi costituzionali”.67

4. La discussione sullo Statuto speciale per il Trentino-Alto Adige

4.1. Contesto storico

4.1.1. L’Accordo di Parigi e la protezione della minoranza di lingua tedesca

Non si può comprendere il processo storico che ha portato all’approvazione da parte

dell’Assemblea Costituente dello Statuto Speciale per il Trentino-Alto Adige, nel gennaio 1948,

se non si tiene in considerazione il contenuto dell’Accordo di Parigi68, firmato il 5 settembre

1946 dall’allora Presidente del Consiglio italiano, Alcide De Gasperi69, e dal ministro degli

Esteri austriaco Karl Gruber70. Quando iniziarono le trattative tra l’Italia e l’Austria, la questione

dei confini era ormai risolta: le quattro grandi potenze alleate (Stati Uniti, Unione Sovietica,

Regno Unito e Francia) avevano respinto, nel maggio 1946, la richiesta austriaca di annessione

66 Ibidem, p. 5237.67 Ibidem, p. 5239.68 Cfr. Regione Trentino-Alto Adige/Region Trentino-Südtirol, A 30 anni della firma dei Patti De Gasperi-Gruber. 5 settembre 1946. Accordo di Parigi, Trento, Ufficio Stampa della Presidenza della Giunta regionale, 1976.69 Nato a Pieve Tesino nel 1881, quando il Trentino era ancora un territorio dell’Impero austro-ungarico, Alcide De Gasperi era stato eletto nel 1911 come rappresentante della minoranza italiana al Parlamento di Vienna e nel 1914 alla Dieta di Innsbruck. Dopo la caduta del fascismo, sotto il quale subì il carcere e trovò lavoro alla Biblioteca Vaticana, De Gasperi fu uno dei protagonisti della vita politica della Democrazia Cristiana. Nel 1944 assunse la segreteria del partito. Tra il 1944 e il 1945 fu ministro degli Esteri nei governi Bonomi e Parri. Nel dicembre 1945 fu nominato presidente del Consiglio dei Ministri. Guidò il governo fino al 1953, in sette successivi Ministeri.70 Nato a Innsbruck (Tirolo) nel 1905, Kart Gruber aveva partecipato attivamente alla resistenza contro il regime nazista in Austria, cooperando con i servizi di intelligence degli Stati Uniti in Svizzera. Membro del Partito Popolare Austriaco (ÖVP), di orientamento democratico cristiano, dopo la liberazione fu governatore provvisorio del Tirolo e sottosegretario agli Affari Esteri del socialdemocratico Karl Renner (1945). Dopo le elezioni del novembre 1945, Gruber entrò nel governo del democristiano Leopold Figl (1946-1953) come ministro degli Affari Esteri.

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della provincia di Bolzano e, nel giugno dello stesso anno, avevano risolto in via definitiva il

contenzioso italo-austriaco negando una rettifica della frontiera comprendente la Pustertal (Val

Pusteria), rivendicata da Vienna.71 La risposta negativa dei vincitori della Seconda guerra

mondiale lasciava al governo austriaco soltanto un’opzione per tutelare gli interessi della

minoranza di lingua tedesca residente in quel territorio: l’autonomia amministrativa.

La firma dell’Accordo di Parigi – conosciuto anche come Patto De Gasperi-Gruber –

aprì la strada per l’adozione di misure volte alla protezione delle popolazioni alloglotte del

Trentino-Alto Adige. Tra i diritti concessi agli abitanti di lingua tedesca della provincia di

Bolzano e dei vicini comuni bilingui della provincia di Trento, l’accordo prevedeva “l’esercizio

di un potere legislativo ed esecutivo autonomo”, e aggiungeva che il quadro nel quale tale

autonomia avrebbe dovuto essere applicata sarebbe stato determinato “consultando anche

elementi locali rappresentanti la popolazione di lingua tedesca” (art. 2). L’Italia si mostrava

disposta a riparare i danni del fascismo, garantendo a queste popolazioni “l’insegnamento

primario e secondario nella loro lingua materna”, così come l’uso della loro madrelingua nelle

pubbliche amministrazioni e nella nomenclatura topografica bilingue, “il diritto a ristabilire i

nomi di famiglia tedeschi” che fossero stati italianizzati e “l’eguaglianza di diritti per

l’ammissione ai pubblici uffici” (art. 1). Infine, il governo italiano si impegnava, entro un anno

dalla firma del trattato, a rivedere il regime di opzioni di cittadinanza previsto dagli accordi

Hitler-Mussolini del 1939 e ad addottare misure destinate all’agevolazione del transito di

passeggeri e degli scambi di prodotti e merci tra l’Italia e l’Austria (art. 3).72

4.1.2. Lo Statuto: il progetto Innocenti, l’ASAR e la Commissione dei Sette

Prima ancora della conclusione di questo accordo in sede internazionale73, il governo

italiano aveva nominato, nel gennaio 1946, una commissione presieduta dal prefetto di Bolzano

Silvio Innocenti per elaborare un progetto di Statuto per il Trentino-Alto Adige, che fu

consegnato ai partiti politici trentini dopo sei mesi di lavoro. In questa proposta si sopprimevano

le due province (Trento e Bolzano), si creava la “Regione Tridentina”, con una Assemblea

regionale di 45 membri e una Giunta regionale formata dal presidente e dieci assessori “scelti fra

i deputati dei due gruppi etnici” – quello italiano e quello tedesco –, e si dava a un Comitato

delle minoranze l’ultima parola nel caso dei provvedimenti relativi ai “diritti delle minoranze

etniche” che non fossero stati approvati all’unanimità dall’Assemblea. Difeso dai democristiani

71 Cfr. G. Caprotti, Alto Aldige o Südtirol? La questione altoatesina o sudtirolese dal 1945 al 1948 e i suoi sviluppi: studio degli archivi diplomatici francesi, Milano, Franco Angeli, 1990.72 Regione Trentino-Alto Adige/Region Trentino-Südtirol, A 30 anni della firma dei Patti De Gasperi-Gruber, cit., p. 13.73 L’Accordo di Parigi fu inserito come Allegato IV nel Trattato di Pace firmato a Parigi il 10 febbraio 1947. L’Assemblea Costituente italiana lo approvò il 31 luglio 1947, con 262 voti a favore e 68 contro.

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e dai liberali, il progetto Innocenti fu analizzato con molta cautela dal blocco di sinistra, di cui

facevano parte i comunisti e i socialisti trentini, che proposero all’Associazione Studi

Autonomistici Regionali (ASAR) l’elaborazione di un progetto alternativo.74

L’ASAR, riconosciuta ufficialmente dall’Allied Military Government (governo di

occupazione alleato) nel settembre 1945, si autodefiniva come un movimento “prettamente

trentino”, “democratico” e “indipendente da ogni partito politico”; una chiara idea degli

obiettivi dell’associazione si evince dalla frase che sintetizza il suo programma: “Entro i confini

dell’Italia repubblicana e democratica, Autonomia Regionale Integrale da Ala al Brennero”.75

Lo schema di Statuto per l’autonomia della Venezia Tridentina, elaborato dall’ASAR, venne

reso noto poche settimane dopo, nello stesso luglio 1946; anch’esso prevedeva l’istituzione della

Regione unica, con un’Assemblea di 45 membri e una Giunta costituita dal Presidente e dagli

assessori, dei quali almeno un terzo doveva essere del gruppo linguistico minoritario, e

contemplava l’istituzione del Comitato delle minoranze, con parità numerica dei due gruppi

etnici, che avrebbe avuto le stesse fuzioni previste nella proposta della commissione Innocenti. Il

progetto dell’ASAR estendeva l’autonomia regionale a tutti i campi dell’amministrazione,

compresi quello fiscale e quello della pubblica sicurezza, affidata a un corpo di polizia regionale.

L’aspetto più innovativo era l’introduzione di istituti di democrazia diretta quali il referendum

popolare e il diritto di iniziativa in materia legislativa.76

Dopo questa prima bozza di Statuto, nel maggio 1947 vide la luce un secondo progetto di

Statuto del Trentino e del Tirolo del Sud, anch’esso presentato dall’ASAR. Anche in questa

nuova proposta era contemplata l’istituzione della Regione Tridentina e, per garantire ai tre

gruppi etnici (all’italiano e al tedesco, si aggiungeva quello ladino77) il rispetto dei loro diritti,

venivano previste le Curie Etniche, costituite dai deputati regionali appartenenti al rispettivo

gruppo etnico e alle quali venivano riservate le competenze in materia di scuola, nomenclatura

toponomastica, folklore, tutela del paesaggio, attività culturali, ricreative e sportive.78 Da parte

della Südtiroler Volkspartei (SVP), il partito che rappresentava i tedeschi della provincia di

Bolzano, i quali non avevano rappresentanti alla Costituente79, non giunse il sostegno atteso

dall’ASAR. E’ opportuno notare che la SVP aveva respinto anche il progetto Innocenti; il partito

74 Cfr. A. Vadagnini, Gli anni della lotta: guerra, resistenza, autonomia (1940-1948), in “Storia del Trentino contemporaneo. Dall’annessione all’autonomia”, direzione di O. Barié, Vol. 2, Trento, Associazione Trentina di Scienze Umane, 1978, p. 410.75 R. Defant, Chi siamo e cosa vogliamo, in “Autonomia”, 24 novembre 1945, n. 2, p.1. Citato in D. Fedel, op.cit., p. 254.76 Cfr. A. Vadagnini, op. cit., pp. 410-411.77 I ladini parlano una lingua antica, risalente al XV sec. a.C., derivante dalla fusione del reto col latino. Sono maggioritari nelle valli di Fassa (provincia di Trento), Gardena e Badia (questi ultimi, nella provincia di Bolzano). Cfr. A. Battisti e B. Passarella, Celebrating minorities. Ladini, cimbri e mocheni del Trentino, Bolzano, Il Brennero-Der Brenner, 2005.78 Cfr. D. Fedel, op. cit., pp. 222-231.79 Non avendo potuto partecipare alle elezioni del 2 giugno 1946, in attesa della soluzione del contenzioso tra l’Austria e l’Italia, la popolazione della provincia di Bolzano non era rappresentata all’Assemblea Costituente. La SVP assunse, dunque, il ruolo di garante dei diritti degli abitanti di lingua tedesca di quella provincia e tenne diversi incontri con rappresentanti del governo italiano e della stessa Assemblea Costituente.

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sudtirolese si appellava infatti all’articolo 2 dell’Accordo di Parigi per difendere l’autonomia

della sola provincia di Bolzano. De Gasperi sosteneva, invece, la tesi che l’autonomia del

Trentino-Alto Adige dovesse inquadrarsi nello statuto delle autonomie regionali italiane,

consentendo alla Regione competenze molto più ampie di quelle che avrebbe potuto ottenere la

provincia di Bolzano80.

Quale ultimo tentativo per sbloccare l’impasse politico, il governo italiano nominò una

nuova Commissione di sette esperti presieduta dall’onorevole Ivanoe Bonomi81. Nel giugno 1947

la SVP presentò a questa Commissione la sua proposta, basata sulla creazione di due regioni

autonome, “Südtirol” e “Trentino”, entrambe con una propria Assemblea e una propria Giunta,

che avrebbero potuto deliberare congiuntamente su un certo numero di materie di interesse

comune.82 Questa proposta sovvertiva lo schema di Regione unica previsto dai precedenti tre

progetti. Una bozza preliminare di Statuto, elaborata dalla Commissione dei Sette, fu consegnata

ai partiti politici trentini il 2 novembre 1947, con l’indicazione di non renderlo pubblico. Sia i

partiti italiani che la SVP si mostrarono insoddisfatti di questo nuovo progetto di Statuto

speciale per il Trentino-Alto Adige, che negava addirittura prerogative concesse dalla

Costituzione alle regioni ordinarie, come la potestà in materia forestale e sulle opere di bonifica,

e non trattava un tema di particolare interesse come quello della proprietà sulle acque pubbliche,

di cui parleremo più approfonditamente in seguito. Il 15 dicembre il presidente della

Commissione, Ivanoe Bonomi, presentò a De Gasperi il definitivo progetto di Statuto, che

contemplava importanti modifiche rispetto al progetto preliminare. La SVP lo respinse e il 16

dicembre organizzò una manifestazione di protesta a Bolzano, insistendo sulla presunta

violazione dell’articolo 2 dell’Accordo di Parigi.83

4.1.3. La Commissione dei Diciotto, la SVP e le ultime modifiche al progetto di Statuto

Un ultimo tentativo per trovare una soluzione negoziata al nodo dello Statuto fu

intrapreso da una delegazione della SVP, composta dal presidente Erich Amonn, dal segretario

Josef Raffeiner e dai membri del Comitato di direzione del partito Fiedl Volgger e Karl Tizl,

giunti a Roma nel gennaio 1948. Il loro scopo era quello di introdurre alcune modifiche al

progetto di Statuto, in discussione alla Sottocommissione per gli statuti regionali della

80 Cfr. A. Vadagnini, op.cit., p. 471.81 Gli altri membri della Commissione dei Sette erano Luigi Einaudi (liberale), Gaspare Ambrosini (democristiano), Tomasso Perassi (repubblicano), Giovanni Uberti (democristiano) e i consiglieri di Stato Antonio Sorrentino e Silvio Innocenti (ex prefetto di Bolzano).82 Cfr. A. Canavero, Gli anni della regione (1948-1962) in “Storia del Trentino contemporaneo. Dall’annessione all’autonomia”, direzione di Octavio Barié, Vol. 3, Trento, Associazione Trentina di Scienze Umane, 1978.83 Cfr. A. Canavero, op. cit., pp. 49-50.

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Costituente, la cosiddetta Commissione dei Diciotto84. La pressione dei delegati sudtirolesi riuscì

a far trasferire i due comuni mistilingui, Egna e Salorno, dalla provincia di Trento a quella di

Bolzano (art. 3), costituire due collegi separati – corrispondenti alle due province – per le

elezioni regionali (art. 19) e regolare l’approvazione del bilancio regionale in modo che non

fosse possibile superare l’opposizione della minoranza tedesca all’interno del Consiglio

regionale (art. 73)85.

L’ultimo ostacolo era quello della denominazione ufficiale in lingua tedesca della

regione. I delegati della SVP rinunciarono all’utilizzo della parola “Südtirol” per la

denominazione tedesca dell’Alto Adige, che fu sostuita dalla dizione “Tiroler Etschland”, cioè

Adige tirolese; in cambio, ottennero che il periodo di residenza necessario per poter partecipare

alle elezioni regionali fosse di tre anni (art. 19). I sudtirolesi temevano infatti un massiccio

trasferimento di italiani, che avrebbe favorito il successo delle liste italiane a Bolzano, e

quest’ultimo punto garantiva loro che gli equilibri etnici in quella provincia sarebbero rimasti

immutati.86

In questo clima di maggiore serenità, dopo i risultati positivi dei colloqui tra i

rappresentanti della SVP e i membri della Commissione, si svolse la seduta pomeridiana di

giovedì 29 gennaio 1948, in cui l’Assemblea Costituente fu chiamata a discutere il disegno di

legge costituzionale sullo Statuto speciale per il Trentino-Alto Adige, approvato con legge

costituzionale il 26 febbrario 1948.

4.2. La seduta del 29 gennaio 1948 all’Assemblea Costituente

4.2.1. L’inizio del dibattito: la struttura istituzionale della Regione

Aprendo il dibattito sullo Statuto speciale per il Trentino-Alto Adige, l’onorevole Perassi

– presidente della Commissione dei Diciotto – spiegò ai colleghi che il Trentino-Alto Adige

sarebbe stata, in concreto, una Regione entro i cui confini sarebbero nate “due province con una

relativa autonomia: la provincia di Trento e la provincia di Bolzano”. Aggiunse che

quest’ultima avrebbe assunto “entro l’orbita dell’unità regionale, una configurazione giuridica

tale da poter pienamente rispondere alle esigenze speciali che nascono dell’essere quella zona

84 La Commissione dei Diciotto era presieduta dal repubblicano Tomasso Perassi ed era integrata dai democristiani Gasparre Ambrosini, Elisabetta Conci (unica rappresentante trentina), Giuseppe Fuschini, Egidio Tosato e Giovanni Uberti; dai socialisti Leonetto Amadei, Michele Giua (entrambi del PSI) ed Edgardo Lami Stornuti (PSLI); dai comunisti Antonio Giolitti e Renzo Laconi; dagli autonomisti Emilio Lussu e Giulio Bordon; dal liberale Bruno Villabruna; gli altri membri erano Aldo Bozzi (Unione Democratica Nazionale); Pietro Castiglia (Unione Nazionale); Mario Cevolotto (Democrazia del Lavoro) e Gustavo Fabbri (Gruppo Misto). 85 Cfr. A. Canavero, op. cit., pp. 50-51.

86 Cfr. ibidem, p. 52.

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abitata da una popolazione composta da due gruppi linguistici”.87 La Regione, definita come la

“base della costruzione”, avrebbe avuto al suo interno due enti. Mantenendo l’unità della

Regione Trentino-Alto Adige, che era alla base dello Statuto, le due province avrebbero assunto

– come spiegò il relatore Uberti – una struttura diversa dalle altre province italiane, con una

propria “potestà, per quanto più limitata, di carattere legislativo”; era una sorta di“autonomia

nell’autonomia”, secondo le parole dello stesso Uberti.88

Nel suo intervento, il Presidente del Consiglio Alcide De Gasperi ricordò che il compito

della Costituente era quello di mantenere l’impegno preso a Parigi dall’Italia, assicurando agli

abitanti della zona di Bolzano l’esercizio di un potere autonomo. Egli non dimenticava, tuttavia,

che si dovevano soddisfare anche le aspirazioni della popolazione della provincia di Trento e

aggiungeva che era necessario “garantire anche l’esistenza e tutti i diritti alla minoranza

italiana nella Provincia di Bolzano”. Riassumendo la sua posizione, De Gasperi sottolineò la

necessità di creare “garanzie istituzionali per la minoranza: entro la Regione, dei tedeschi; e

dentro la Provincia di Bolzano, degli italiani”89; egli ebbe inoltre modo di chiarire la portata

dell’espressione “provincia” in questa nuova architettura istituzionale: “Si chiamano province –

i tedeschi traducono ‘land’ – ma, in realtà, sono circondari di carattere speciale”.90 Per

illustrare la particolarità della struttura che si sarebbe creata, soprattutto a Bolzano, Perassi prese

come esempio il Cantone dei Grigioni, in Svizzera, dove – ricordò – “da secoli convivono

insieme liberamente tedeschi, italiani e ladini”.91

Organi della regione sarebbero stati il Consiglio regionale e la Giunta regionale con il suo

Presidente (art. 18). Il Consiglio regionale sarebbe stato eletto con il sistema proporzionale in

due collegi provinciali, quello di Trento e quello di Bolzano. Il numero di consiglieri regionali

sarebbe stato in ragione di uno ogni 15 mila abitanti o frazione superiore ai 7,5 mila (art. 19). Per

l’esercizio del diritto elettorale si contemplava il requisito della residenza nel territorio della

Regione per un periodo ininterrotto di tre anni – la redazione finale dell’articolo 19 diceva “può

essere stabilito il requisito” – che, come ricordiamo, era stata una condizione posta dalla SVP.

La durata della legislatura era prevista in quattro anni e l’attività del Consiglio regionale si

sarebbe svolta in sessioni biennali con sede rispettivamente a Trento e a Bolzano (art. 21); il

presidente del Consiglio regionale in carica nel primo biennio sarebbe stato eletto tra i consiglieri

di lingua italiana e il vicepresidente tra quelli di lingua tedesca; viceversa nel secondo biennio

(art. 24). La Giunta regionale sarebbe stata composta dal Presidente e da assessori effettivi e 87 Atti dell’Assemblea Costituente, cit., CCCLXXI. Seduta di giovedì 29 gennaio 1948, p. 4144.88 Ibidem, p. 4146.89 Ibidem, p. 4147.90 Ibidem, p. 4161.91 Ibidem, p. 4145.

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Page 26: Tesi - Versione Finale

supplenti, e avrebbe dovuto adeguarsi alla consistenza dei gruppi linguistici rappresentati nel

Consiglio regionale (art. 30).92

Organi delle Province erano il Consiglio provinciale e la Giunta provinciale con il suo

Presidente (art. 41). Il Consiglio provinciale sarebbe stato composto dai membri del Consiglio

regionale eletti nel collegio della rispettiva Provincia (art. 42); nel caso del Consiglio provinciale

di Bolzano, si stabiliva che nel primo biennio di attività il suo presidente venisse eletto tra i

consiglieri di lingua tedesca e il suo vicepresidente fra quelli di lingua italiana; viceversa nel

secondo biennio (art. 43). La Giunta provinciale sarebbe stata composta dal Presidente e da

assessori effetivi e supplenti; nel caso della Giunta provinciale di Bolzano, la sua conformazione

avrebbe dovuto adeguarsi alla consistenza dei gruppi linguistici rappresentati nel Consiglio

provinciale (art. 44).93

4.2.2. Le competenze della Regione: competenza legislativa primaria e secondaria

Non furono presentati emendamenti all’articolo 4 dello Statuto, che fissava le

competenze della Regione, alla quale veniva concessa la potestà di emanare norme legislative –

competenza legislativa primaria – sulle seguenti materie: 1) ordinamento degli uffici regionali e

del personale ad essi addetto; 2) ordinamento degli enti para-regionali; 3) circoscrizioni

comunali; 4) espropriazione per pubblica utilità non riguardante opere a carico dello Stato; 5)

viabilità, acquedotti e lavori pubblici di interesse regionale; 6) miniere, comprese le acque

minerali e termali, cave e torbiere; 7) impianto e tenuta dei libri fondiari; 8) servizi antincendi; 9)

agricoltura, foreste e corpo forestale, patrimonio zootecnico ed ittico, istituti fitopatologici,

consorzi agrari e stazioni agrarie sperimentali; 10) alpicoltura e parchi per la protezione della

flora e della fauna; 11) caccia e pesca; 12) assistenza sanitaria ed ospedaliera; 13) ordinamento

delle camere di commercio; 14) comunicazioni e trasporti di interesse regionale; 15) sviluppo

della cooperazione e vigilanza sulle cooperative; 16) contributi di miglioria in relazione ad opere

pubbliche eseguite dalla Regione e dagli altri enti pubblici compresi nell’ambito del territorio

regionale; 17) turismo ed industrie alberghiere.94

Si stabiliva, nell’articolo 5, che la Regione avrebbe emanato anche norme legislative nei

limiti stabiliti dalle leggi dello Stato legislative – competenza legislativa secondaria – sulle

seguenti materie: 1) ordinamento dei comuni e delle province; 2) istituzioni pubbliche di

assistenza e beneficenza; 3) incremento della produzione industriale e delle attività commerciali;

92 Cfr. ibidem, pp. 4168-41714.

93 Cfr. ibidem, pp. 4172-4173.94 Cfr. ibidem, pp. 4151-4152.

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4) ordinamento degli enti di credito fondiario, di credito agrario, casse di risparmio e casse rurali,

nonché delle aziende di credito a carattere regionale; 5) utilizzazione delle acque pubbliche; 6)

assunzione diretta di servizi di interesse generale e loro gestione a mezzo di aziende speciali; 7)

opere idrauliche della quarta e quinta categoria; 8) opere di bonifica.95

Riguardo a questo specifico articolo, di fronte all’osservazione del collega Giuseppe

Dossetti (Democrazia Cristiana) sulla possibilità che le leggi regionali avessero potuto derogare

norme stabilite dalle leggi dello Stato, Meuccio Ruini chiarì che nello spirito della Costituzione

vi erano le cosiddette leggi “cornice”, cioè leggi dello Stato che avrebbero dovuto stabilire “dei

limiti entro i quali si potrà sviluppare la competenza, chiamamola legislativa secondaria, della

Regione”. In questo modo, aggiungeva Ruini, non c’era “nessuna possibilità” che le leggi

regionali potessero “contradire alle norme dello Stato”.96

Maggiori polemiche avrebbe suscitato in seguito – anche se tale discussione supera l’arco

temporale del nostro lavoro – l’articolo 14, il cui primo comma recitava: “La Regione esercita

normalmente le funzioni amministrative delegandole alle province, ai comuni ed ai loro enti

locali o valendosi dei loro uffici”.97 La SVP avrebbe dato successivamente, con l’appoggio

dell’Austria, una interpretazione di questo articolo diversa da quella della Democrazia Cristiana,

partito di maggioranza sia nel Trentino che a livello nazionale italiano: secondo i sudtirolesi, la

delega delle funzioni alle Province avrebbe dovuto essere la regola, e l’amministrazione diretta

da parte della Regione l’eccezione; per gli italiani, invece, si trattava soltanto di un semplice atto

amministrativo, lasciato alla discrezionalità della Regione.98

4.2.3. Le competenze delle Province: la questione della scuola

L’articolo 11 faceva riferimento alle competenze delle Province, cui era demandata la

potestà di emanare norme legislative sulle seguenti materie: 1) ordinamento degli uffici

provinciali e del personale ad essi addetto; 2) istruzione postelementare e di avviamento

professionale ad indirizzo agrario, commerciale ed industriale; 3) toponomastica; 4) usi e

costumi locali e istituzioni culturali; 5) manifestazioni artistiche locali; 6) urbanistica e piani

regolatori; 7) tutela del paesaggio; 8) usi civici; 9) ordinamento delle minime proprietà culturali,

incluso l’ordinamento dei “masi chiusi”99 e delle comunità familiari rette da antichi statuti o

consuetudini; 10) artigianato; 11) case popolari; 12) porti lacuali; 13) fiere e mercati; 14) opere

95 Cfr. ibidem, p. 4152.96 Ibidem, p. 4154.97 Ibidem, p. 4165.98 Cfr. A. Canavero, op. cit., pp. 206-207.99 La regola del “maso chiuso” aveva sempre rivestito, in ambito altoatesino, un’importanza notevole; essa prevedeva che l’eredità della proprietà agricola spettasse unicamente al primogenito della famiglia. Cfr. Assessorato all'Agricoltura della Provincia di Bolzano, Il maso chiuso: istituzione giuridico-economico-sociale tra passato e presente, Bolzano, Università delle Alpi Dolomitiche (Upad), 2001.

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di pronto soccorso per calamità pubbliche. L’articolo 12 conferiva potestà normativa alle

Province “nei limiti indicati nell’articolo 5” – cioè, nei limiti stabiliti dalle leggi dello Stato –

sulle seguenti materie: 1) polizia locale urbana e rurale; 2) scuole materne; istruzione elementare,

media, classica, scientifica, magistrale, tecnica ed artistica; 3) assistenza scolastica100.

L’onorevole Tristano Codignola (Gruppo Autonomista), relativamente al punto 2

dell’articolo 11 e al punto 2 dell’articolo 12, fece notare che l’articolo 117 della Costituzione

italiana appena approvata dava alle Regioni la competenza di “legiferare (...) in materia

d’istruzione artigiana e professionale, e di assistenza scolastica”, sempre nei “limiti della

legislazione dello Stato”, domandandosi perché, nel caso del Trentino-Alto Adige, l’intero

complesso dell’organizzazione scolastica avrebbe dovuto passare “alla competenza legislativa

delle Province”, attribuendo a esse “una ingiustificata posizione di privilegio in materia

scolastica”.101 La posizione di Codignola era condivisa dal socialista Tomaso Tonello, che si

dichiarò contrario a togliere allo Stato italiano la giurisdizione sulle scuole del Trentino-Alto

Adige.102

Perassi, presidente della Commissione dei Diciotto, ricordò a tale proposito che, per il

Trentino-Alto Adige, l’istituto della Regione era stato congegnato “con qualche difformità”

rispetto al tipo comune; infatti, erano state attribuite alle due “cosiddette Province” funzioni che

spettavano in generale alle Regioni, dal momento che esistevano “in quella parte d’Italia delle

situazioni particolarissime determinate dalla composizione delle popolazioni che l’abitano” 103.

Elisabetta Conci (Democrazia Cristiana), unica rappresentante trentina nella Commissione dei

Diciotto, aggiunse che l’Italia non poteva “venir meno” all’Accordo di Parigi, che faceva

espresso riferimento a questo punto. Analogo parere espressero gli onorevoli Giuseppe Maria

Bettiol, Luigi Carbonari e Aldo Moro, del gruppo della Democrazia Cristiana, i quali fecero

presente che, senza l’autonomia scolastica, sarebbe stato inutile parlare di autonomia culturale

per la minoranza di lingua tedesca dell’Alto Adige. Il Presidente del Consiglio, De Gasperi,

intervenne per spiegare che si trattava di introdurre negli organi scolastici “una garanzia

personale (per la minoranza), cioè persone che conoscano bene il tedesco”, fermo restando

l’obbligo di applicare la legislazione dello Stato italiano.104

Spiegando il suo voto favorevole al testo della Commissione, Gustavo Fabbri (Gruppo

Misto) fece notare la differenza tra “scuole che ci sono sempre state (cioè le scuole elementari,

le secondarie e l’insegnamento superiore)” e le “scuole di recente tipo e introduzione”. Delle 100 Cfr. Atti dell’Assemblea Costituente, cit., CCCLXXI. Seduta di giovedì 29 gennaio 1948, p. 4159.101 Ibidem, p. 4159.102 Ibidem, p. 4162.103 Ibidem, p. 4160.104 Cfr. ibidem, p. 4161.

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prime parlava, appunto, il punto 2 dell’articolo 12, secondo il quale la legislazione provinciale

avrebbe dovuto adeguarsi ai principi fissati dalle leggi dello Stato. Una maggiore libertà sarebbe

stata invece consentita – secondo il punto 2 dell’articolo 11, che prevedeva la competenza

legislativa primaria delle Province – nel caso delle “scuole di tipo moderno”, cioè quelle di

“avviamento professionale ad indirizzo agrario, commerciale e industriale”.105 Fabbri sottolineò

che questa potestà non avrebbe inciso sulla struttura dell’istruzione di primo grado, di secondo

grado e superiore.

Dopo l’intervento del trentino Danilo Paris (Partito Socialista dei Lavoratori Italiani), il

quale propose che la possibilità offerta dal comma 2 dell’articolo 11 venisse concessa

“limitatamente alla provincia di Bolzano”, Codignola si dichiarò favorevole, giacché a suo

avviso per la provincia di Trento non interveniva “nessuna ragione di carattere internazionale”,

presentando il seguente emendamento da inserire nell’articolo 15 dello Statuto106: “La provincia

di Bolzano ha potestà di emanare norme legislative entro i limiti indicati nell’articolo 5 in

materia di istruzione elementare, post-elementare e secondaria”107. In vista del pronunciamento

della Commissione dei Diciotto e del Governo circa il dettato degli articoli 11 e 12, non dando

spazio a nessuna modificazione del testo originale, messa ai voti la proposta ma non fu

approvata.

4.2.4. La Regione e la questione delle acque pubbliche

Anche la questione della gestione delle acque pubbliche108 non mancò di suscitare grandi

discussioni in seno all’Assemblea Costituente; in particolare, oggetto del dibattito furono gli

articoli 10, 62, 63 e 91, riguardanti le “concessioni di grande derivazione a scopo idroelettico”.

L’unica obiezione di fondo sulla materia di questi articoli fu presentata dall’onorevole Francesco

Marinaro (Fronte Liberale Democratico dell’Uomo Qualunque), il quale fece notare che la

Costituzione escludeva l’ingerenza della Regione – anche di quelle Regioni con particolari

condizioni di autonomia, come il Trentino-Alto Adige – in materia di sfruttamento, disciplina ed

uso delle acque pubbliche109. Marinaro non presentò, tuttavia, alcun emendamento e la sua

posizione rimase isolata all’interno dell’Assemblea. Il relatore Uberti spiegò che il testo degli

articoli proposti al voto dell’Assemblea era il frutto del compromesso fra la richiesta di affidare

105 Ibidem, pp. 4160.106 L’articolo 15 dello Statuto speciale per il Trentino-Alto Adige regolava, per la provincia di Bolzano, l’insegnamento in lingua materna nelle scuole materne e nelle scuole d’istruzione elementare, post-elementare, media, classica, scentifica, magistrale, tecnica e artistica. L’ultimo comma di questo articolo prevedeva l’obbligo di insegnamento della lingua italiana, impartito da docenti di madrelingua italiana, nelle scuole con lingua di insegnamento tedesca.107

108107 Atti dell’Assemblea Costituente, cit., CCCLXXI. Seduta di giovedì 29 gennaio 1948, p. 4164.? I due progetti dell’ASAR stabilivano che le acque pubbliche facessero parte del “demanio regionale”, insieme alle foreste, alle miniere, alle cave e alle torbiere, “nulla importando –si aggiungeva– che le une o le altre abbiano già formato oggetto di regolare concessione a terzi”. D. Fedel, op. cit., pp. 218 e 230.109 Cfr. Atti dell’Assemblea Costituente, cit., CCCLXXI. Seduta di giovedì 29 gennaio 1948, p. 4156.

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alla Regione le concessioni di grande derivazione a scopo idroelettrico e l’interesse superiore di

conservare questo diritto allo Stato; per giungere a questa soluzione, i membri della

Commissione dei Diciotto avevano ritenuto necessario assicurare al Trentino-Alto Adige “una

contropartita” e ciò non per attribuire alla Regione “privilegi particolari”, bensì per

indennizzarla per i danni derivanti dalla costruzione di quegli impianti.110

Si trattava di definire, in primo luogo, la quantità di energia che il concessionario degli

impianti avrebbe avuto l’obbligo di fornire alla Regione. Nel testo originale dell’articolo 10, si

parlava dell’obbligo del concessionario, nelle concessioni accordate successivamente all’entrata

in vigore dello Statuto speciale, di “fornire gratuitamente alla Regione per servizi pubblici o

qualsiasi altro pubblico interesse una quantità pari al sei per cento di quella ricavata dalla

portata minima continua”.111 Per gli usi domestici, artigianali e agricoli, sia nel caso delle

concessioni già accordate che in quelle da accordarsi, i concessionari sarebbero stati vincolati

alla fornitura “al prezzo di costo” di una quantità di energia che, nel testo originale veniva

stabilita al 6%, ma che sarebbe stata elevata successivamente al 10% grazie all’opera del relatore

Uberti.

Su proposta dell’onorevole Tito Oro Nobili (Partito Socialista Italiano), la discussione di

questo articolo fu rinviata al momento dell’esame degli articoli 62, 63 e 91, anch’essi riguardanti

le acque pubbliche e gli impianti elettrici. Il dibattito riprese, in coda agli altri articoli dello

Statuto, al momento di votare l’articolo 91.

A quel punto, il democristiano Bortolo Pat presentò un emendamento dei primi due

commi, che riservava direttamente alla Regione “a prezzo di costo, per servizi pubblici o

qualsiasi altro pubblico interesse, nonché per usi domestici, l’artigianato e l’agricoltura della

Regione stessa, una quantità di energia non superiore al 12 per cento di quella ricavata dalla

portata minima continua”.112 Dossetti propose, con un altro emendamento, sia di sostituire nel

testo originale l’espressione “pari al sei per cento” con la dizione “fino al sei per cento”, sia di

eliminare le parole “qualsiasi altro pubblico interesse” al fine di evitare che tale quota fosse

impiegata per altri scopi “molto lontani rispetto a quello dei servizi pubblici, ove si volesse fare

una lata interpretazione della già latissima frase ‘qualsiasi altro pubblico interesse’”.113 A sua

volta, il ministro Corbelli presentò un emendamento aggiuntivo per esentare le Ferrovie dello

110 Cfr. ibidem, p. 4157.111 Ibidem, p. 4155.112 Ibidem, p. 4184.113 Ibidem, p. 4185.

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Stato dall’obbligo previsto nell’articolo 10, “nei riguardi dell’energia prodotta e utilizzata per i

propri servizi”.114

Uberti, a nome della Commissione dei Diciotto, modificò nel testo dell’articolo 10

l’espressione “pari al sei per cento” con quella proposta da Dossetti “fino al sei per cento”,

lasciando questa quantità di energia come limite massimo, e accolse l’emendamento aggiuntivo

del ministro Corbellini riguardante le Ferrovie dello Stato; tuttavia non venne eliminata

l’espressione “qualsiasi altro pubblico interesse”, come chiesto da Dossetti, perché si volle

lasciare alla Regione una certa flessibilità nell’utilizzo dell’energia ad essa riservata115.

L’Assemblea approvò, dunque, l’obbligo per le concessioni accordate successivamente

all’entrata in vigore dello Statuto della fornitura gratuita di “una quantità di energia fino al sei

per cento” di quella ricavata dalla portata minima continua per “servizi pubblici o per qualsiasi

altro pubblico interesse” (art. 10, comma 1); inoltre, sia per le concessioni già accordate che per

quelle ancora da accordarsi, fu prevista la fornitura al prezzo di costo di una “quantità di energia

nella misura del dieci per cento” per “usi domestici, per l’artigianato o per l’agricoltura” (art.

10, comma 2)116.

L’articolo 62 determinava la cessione dello Stato a favore della Regione dei nove decimi

dell’importo del canone annuale dovuto dai concessionari delle grandi derivazioni di acque

pubbliche presenti nel territorio del Trentino-Alto Adige. Con gli articoli 63 e 91 dello Statuto

Speciale si prevedeva la possibilità per la Regione di stabilire un’imposta per ogni chilowatt-ora

di energia elettrica prodotta nel suo territorio e veniva ridimensionata l’applicazione nel territorio

trentino-altoatesino del testo unico delle leggi sulle acque pubbliche e sugli impianti idroelettrici

(decreto n. 1775 del 11 dicembre 1933117), eliminando nell’ambito della Regione la previsione di

applicazione dell’articolo 53 del testo unico del 1933, che conferiva al Ministro per le Finanze la

possibilità di stabilire un canone annuo, a carico del concessionario, a favore dei Comuni

rivieraschi e delle rispettive Province, dal momento che, a norma dell’articolo 62 dello Statuto

speciale, lo Stato trasferiva alla Regione Trentino-Alto Adige i nove decimi dell’importo del

canone e lasciava aperta, nell’articolo 63, la possibilità di stabilire un’ulteriore imposta regionale

per ogni chilovatt-ora di energia elettrica prodotta nel suo territorio.

Dossetti si oppose a questo provvedimento, ribadendo che la soppressione dell’articolo

53 del testo unico del 1933, oltre ad essere in contrasto con i “principi di unitarietà di direttive

114 Ibidem, p. 4186.115 Cfr. ibidem, p . 4194.116 Ibidem, p . 4195-4196.117 Il testo del Regio Decreto 11 dicembre 1933 n. 1775 è consultabile sul sito web del Ministero della Giustizia. Cfr. http://www.giustizia.it/cassazione/leggi/rd1775_33.html

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dell’economia nazionale”118, avrebbe attribuito alla Regione Trentino-Alto Adige un potere al di

là dei principi disposti dalla Costituzione. A sua volta, il ministro Corbellini presentò la richiesta

di esentare le Ferrovie dello Stato dall’imposta regionale, prevista dall’articolo 63 dello Statuto

speciale, riguardo“l’energia prodotta e utilizzata per i propri servizi”119. Questa proposta fu

accettata dalla Commissione, che però respinse l’emendamento di Dossetti. Messi ai voti, furono

approvati sia l’articolo 62, relativo alla cessione dello Stato in favore della Regione dei nove

decimi dell’importo del canone annuale sulle concessioni di grandi derivazioni di acque

pubbliche, sia gli articoli 63 e 91, che ridimensionavano l’applicazione del testo unico del 1933.

4.2.5. La finanza e il bilancio della Regione

Essendo il Trentino Alto-Adige una Regione a Statuto speciale, la questione della finanza

e del bilancio era e continua ad essere un nodo centrale della sua autonomia. Tuttavia, nel corso

del dibattito all’Assemblea, il tema non suscitò le stesse polemiche che avevano prodotto, ad

esempio, le questioni della scuola e delle acque pubbliche. Infatti, gli articoli corrispondenti al

titolo VI dello Statuto,“Finanza della Regione e delle Province”, furono rapidamente approvati.

Gli articoli 59 e 60 stabilivano la devoluzione alla Regione dei “proventi delle imposte

ipotecarie percette nel suo territorio” (art. 59) e di “una percentuale del gettito del lotto, dei

monopoli e delle tasse e imposti sugli affari, riscosso nel territorio della Regione” , percentuale

che sarebbe stata determinata “ogni anno d’accordo fra il Governo e il Presidente della Giunta

regionale” (art. 60).120 Mortati domandò se questo accordo avrebbe impegnato il Parlamento, e il

relatore Uberti rispose che, essendo una proposta del Governo, avrebbe potuto essere respinta dai

legislatori; Mortati prese dunque atto che si trattava di un “accordo amministrativo” che il

Parlamento avrebbe potuto eventualmente derogare.

L’articolo 61 indicava la devoluzione alla Regione “dell’importo dell’imposta

governativa sul consumo dell’energia elettrica e del gas”. A seguito dell’intervento

dell’onorevole Tomaso Corsini (Unione Nazionale), il quale aveva fatto notare che nell’articolo

non si specificava se si trattasse dei proventi dell’imposta riscossi nel Trentino-Alto Adige

oppure in tutta l’Italia, intervenne il Ministro delle Finanze Giuseppe Pella con la richiesta di

aggiungere le parole “nella Regione”; a sua volta, l’onorevole Paris propose di inserire una nota

che facesse riferimento all’imposta governativa “sull’energia consumata nella Regione”. La

redazione finale, su indicazione di Pella, fu la seguente: “È devoluto alla Regione l’importo

dell’imposta governativa riscossa nella Regione per l’energia elettrica e il gas consumati nella

118 Cfr. Atti dell’Assemblea Costituente, cit., CCCLXXI. Seduta di giovedì 29 gennaio 1948, p. 4195.119 Atti dell’Assemblea Costituente cit., CCCLXXI. Seduta di giovedì 29 gennaio 1948, p. 4186.120 Ibidem, pp. 4176.

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Regione stessa”.121 L’articolo 64 prevedeva la possibilità di stabilire, da parte della Regione,

“un’imposta di soggiorno, cura e turismo”; mentre il 65 aveva ad oggetto la facoltà regionale di

“istituire con legge tributi propri in armonia coi principi dei sistemi tributari dello Stato e di

applicare una sovraimposta sui redditi dei terreni e fabbricati”.122 L’articolo 66 conferiva alla

Regione la facoltà di “emettere prestiti interni da essa esclusivamente garantiti per provvedere

ad investimenti in opere di carattere permanente per una cifra non superiore alle entrate

ordinarie” 123.

Gli articoli 67 e 68 stabilivano la devoluzione alle Province di Trento e Bolzano dei nove

decimi del gettito delle imposte erariali sui redditi dei terreni, dei fabbricati e agrari (art. 67), e

dell’imposta sui redditi di ricchezza mobile riscossa nei loro territori (art. 68). In base al dettato

dell’articolo 69, la Regione avrebbe avuto facoltà di “autorizzare con legge aumenti di imposte,

di tasse e di contributi, comprese le imposte di consumo spettanti ai Comuni e alle Province,

nonché le eccedenze delle sorvrimposte fondiarie, nella misura necessaria a conseguire il

pareggio dei bilanci”.124 L’articolo 70 dello Statuto riguardava l’assegnazione annuale alle

Province, da parte del Consiglio regionale, di una “quota delle entrate tributarie della Regione

in proporzione del gettito ricavato rispettivamente nel territorio delle due Province”125.

L’ultimo punto che intendiamo esaminare è quello relativo al bilancio della Regione,

regolato dall’articolo 73. Come già sottolineato, la revisione delle modalità di approvazione della

legge sul bilancio regionale era stata una delle richieste avanzate dai rappresentanti della SVP

alla Commissione dei Diciotto. La redazione finale, definita in accordo tra il partito sudtirolese e

la Commissione e approvata dall’Assemblea Costituente, recitava:“Per l’approvazione è

necessario il voto favorevole della maggioranza dei consiglieri della provincia di Trento e di

quelli della provincia di Bolzano. Se tale maggioranza non si forma, l’approvazione stessa è

data al Ministero dell’Interno”.126 Si trattava di un punto sensibile per la minoranza di lingua

tedesca, la quale si assicurava in questo modo di avere un peso determinante che le avrebbe dato

un eventuale potere di veto nei confronti della maggioranza italiana della provincia di Trento.

5. Conclusioni

121 Ibidem, pp. 4178.122 Ibidem, pp. 4178.123 Ibidem, pp. 4177-4178.124 Ibidem, p. 4179.125 Ibidem, p. 4179.126 Ibidem, p. 4179.

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Il dibattito in seno alla Costituente sulle autonomie locali fu condizionato, sin dall’inizio,

dalle critiche rivolte da un’ampia maggioranza dei deputati che ne facevano parte al modello di

Stato accentratore dell’Italia postunitaria, ulteriormente rafforzato dal regime fascista. Pertanto,

prevalsero, all’interno dell’Assemblea, le posizioni favorevoli alla creazione dell’ente regione

come persona giuridica territoriale, istituto assente fino a quel momento nell’ordinamento

istituzionale italiano.

Si dovette, allo stesso tempo, determinare il tipo di competenze da attribuire al neonato

ente. Furono sconfitti i difensori del modello federalista, che, riprendendo le idee di Carlo

Cattaneo, avrebbero voluto fare dell’Italia una Confederazione di Stati sul modello degli Stati

Uniti, oppure un insieme di Cantoni sul modello della Svizzera. Alla fine, la via scelta dai

costituenti fu quella di costituire le Regioni come “enti autonomi con propri poteri e funzioni”

che sarebbero stati definiti dalla stessa Costituzione (art. 115); in tal modo, era lo Stato che

decentrava il potere nelle Regioni e non viceversa, come avrebbero voluto i federalisti. Furono

attribuite a cinque regioni – le due Isole e le zone di confine con presenza mistilingue – “forme e

condizioni particolari di autonomia, secondo statuti speciali adottati mediante leggi

costituzionali” (art. 116).

Il Trentino-Alto Adige era, insieme alla Sicilia, alla Sardegna, al Friuli-Venezia Giulia e

alla Valle d’Aosta, una delle regioni alle quali fu riconosciuta una forma particolare di

autonomia. Come abbiamo visto, il percorso che portò all’approvazione dello Statuto speciale

del Trentino-Alto Adige non fu semplice. Dopo la firma dell’Accordo di Parigi tra Alcide De

Gasperi e Karl Gruber, si accentuarono le divergenze tra il governo italiano e il partito di raccolta

della minoranza alloglotta della provincia di Bolzano (la SVP). Aspri furono anche i contrasti tra

il modello di “autonomia regionale integrale” proposto dall’ASAR e la più ristretta autonomia

concessa dall’Assemblea su proposta della Commissione dei Sette nominata dal governo De

Gasperi.

L’approvazione dello Statuto speciale rappresentò, secondo Armando Vadagnini, “una

specie di transazione tra il governo e le popolazioni locali, poiché da una parte venivano

garantiti i diritti di una minoranza etnica nel rispetto di un impegno assunto in sede

internazionale, dall’altra, invece, era evitata la concessione di un’autonomia territoriale

separata per l’Alto Adige”127. Il tempo avrebbe poi dimostrato l’ambiguità della decisione presa

dall’Assemblea Costituente, che era stata motivata dalla necessità di trovare un punto di

equilibrio tra le domande della minoranza di lingua tedesca dell’Alto Adige, tutelata

127 A Vadagnini, La lunga strada dell’autonomia, in “Quaderni del Trentino”, marzo 1998, n. 105, p. 85.

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dall’Accordo di Parigi, e l’interesse nazionale dell’Italia di mantenere inalterata la frontiera del

Brennero.

Le incomprensioni tra la maggioranza italiana e la minoranza tedesca all’interno della

Regione derivarono dalla diversa interpretazione, che gli uni e gli altri diedero, dell’Accordo di

Parigi e di alcuni articoli dello Statuto speciale del 1948, come, ad esempio, quello che avrebbe

permesso di decentrare, conferendole alle Province, le funzioni amministrative della Regione

(art. 14 dello Statuto speciale).

Si deve però dare merito ai costituenti del 1946-1948 per il lavoro compiuto, in un

periodo assai difficile per la storia italiana ed europea, perché, lontani dalle posizioni

nazionalistiche, dimostrarono che era ancora possibile la convivenza pacifica, anche nei dissensi,

tra popoli di culture diverse in un territorio di confine che era stato campo di battaglia della

Prima guerra mondiale (1915-1918) e scenario negli anni successivi degli abusi, sia del regime

fascista (1922-1943), sia di quello nazista (1943-1945).

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Sito web dell’Unione Valdôtaine. http://www.unionvaldotaine.org

Sito ufficiale della Rete Civica di Roma. http://www.romacivica.net

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