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CONSORZIO ICON – ITALIAN CULTURE ON THE NETUNIVERSITÀ DI BARI, CASSINO, CATANIA, GENOVA, I.U.L.M., MILANO STATALE, NAPOLI L’ORIENTALE, PADOVA, PARMA, PAVIA, PERUGIA
PER STRANIERI, PISA, ROMA LA SAPIENZA, ROMA TOR VERGATA, ROMA TRE, SALERNO, SIENA PER STRANIERI, TERAMO, TORINO,
TRENTO, VENEZIA
CORSO DI LAUREA IN LINGUA E CULTURA ITALIANA PER STRANIERI
[CLASSE 5 DELLE LAUREE IN LETTERE]
TITOLO DELLA PROVA FINALE:
IL DIBATTITO SULLE REGIONI A STATUTO SPECIALE ALL’ASSEMBLEA COSTITUENTE (1946-1948), CON SPECIALE
RIFERIMENTO AL CASO DEL TRENTINO-ALTO ADIGE
RELATORE:CHIARISSIMA PROFESSORESSA SARA LORENZINI
CANDIDATO:MARIANO ROCA
ANNO ACCADEMICO 2006-2007
INDICE
1. Introduzione 3
2. Accentramento e federalismo nell’Italia contemporanea 3
3. La discussione sulle autonomie all’Assemblea Costituente 7
3.1. Il dibattito in seno alla Seconda Sottocommissione 8
3.1.1. Il federalismo di Lussu, Finocchiaro Aprile e Bordon 9
3.1.2. La “regione facoltativa” di Bozzi e il “tipo misto di regioni” di Grieco 10
3.1.3. La cautela di Einaudi e il “no” di Paolo Rossi e Nobile all’istituzione della regione 11
3.1.4. L’approvazione dell’ordine del giorno Piccioni 12
3.2. Il dibattito alla Commissione per la Costituzione (“Commissione dei 75”) 14
3.2.1. Le riserve di Lucifero e Nobile e l’ordine del giorno Togliatti 15
3.2.2. La discussione giuridica, la questione Friuli-Venezia Giulia e la sospensione del dibattito 16
3.3. La discussione in seduta plenaria 17
3.3.1. Il dibattito e l’approvazione delle autonomie speciali 17
4. La discussione sullo Statuto speciale per il Trentino-Alto Adige 20
4.1. Contesto storico 20
4.1.1. L’Accordo di Parigi e la protezione della minoranza di lingua tedesca 20
4.1.2. Lo Statuto: il progetto Innocenti, l’ASAR e la Commissione dei Sette 21
4.1.3. La Commissione dei Diciotto, la SVP e le ultime modifiche al progetto di Statuto 23
4.2. La seduta del 29 gennaio 1948 all’Assemblea Costituente 24
4.2.1. L’inizio del dibattito: la struttura istituzionale della Regione 24
4.2.2. Le competenze della Regione: competenza legislativa primaria e secondaria 25
4.2.3. Le competenze delle Province: la questione della scuola 27
4.2.4. La Regione e la questione delle acque pubbliche 29
4.2.5. La finanza e il bilancio della Regione 31
2
5. Conclusioni 33
Bibliografia 35
1. Introduzione
Il presente lavoro intende offrire una visione generale del dibattito sulle autonomie locali
svoltosi all’interno dell’Assemblea Costituente tra il 1946 e il 1948, incentrandosi in particolare
sul caso delle regioni a Statuto speciale.
Dopo la fine della Seconda guerra mondiale è maturata, nei settori che avevano condotto
la lotta contro il fascismo, la convinzione della necessità di una nuova struttura istituzionale che
permettesse di rompere con la tradizione accentratrice dell’Italia postunitaria. Esistevano, però,
opinioni divergenti riguardo l’inquadramento delle autonomie locali nella futura Costituzione.
L’opportunità o meno della creazione dell’ente regione e la concessione di forme particolari di
autonomia alle zone mistilingue (Valle d’Aosta, Trentino-Alto Adige, Friuli-Venezia Giulia) e
alle isole (Sardegna e Sicilia) sono stati due argomenti che suscitarono all’interno
dell’Assemblea lunghe e accese discussioni. Cercheremo di capire le posizioni di ciascun gruppo
parlamentare.
Partendo da lì, analizzeremo il caso particolare del Trentino-Alto Adige, il cui Statuto di
autonomia è stato l’unico ad essere condizionato da un impegno preso dall’Italia in sede
internazionale e tradotto nell’Accordo di Parigi (o Patto De Gaperi-Gruber). Daremo conto del
lungo negoziato condotto dall’Italia, dall’Austria e dalla minoranza di lingua tedesca della
provincia di Bolzano, prima di entrare nel merito delle opinioni dei gruppi parlamentari e
dell’approvazione della legge costituzionale che sancì l’autonomia della regione.
2. Accentramento e federalismo nell’Italia contemporanea
Nella seduta del 27 luglio 1946, aprendo la discussione della Seconda Sottocommissione
dell’Assemblea Costituente sulle autonomie locali, l’onorevole Gaspare Ambrosini iniziava la
sua relazione con queste parole: “Il problema dell’autonomia si affaccia e si impone per
riparare agli inconvenienti dell’accentramento, cioè di tutto quel sistema che, per diffidenza
verso le popolazioni e le autorità locali, fu instaurato nel primo momento della unificazione
nazionale”1. Infatti, era stata l’unificazione italiana sotto l’egida del Regno di Sardegna,
1
? Atti dell’Assemblea Costituente, Roma, Tipografia Camera dei Deputati, 1946. Commissione per la Costituzione-Seconda Sottocommissione, Resoconto sommario della seduta di sabato 27 luglio 1946, p. 5.
3
diventato una monarchia costituzionale dopo la concessione dello Statuto albertino (4 marzo
1848) da parte di Carlo Alberto di Savoia, a determinare l’assetto istituzionale del Paese,
ulteriormente accentuato in senso unitario dal fascismo.
Fin dal periodo precedente l’Unità d’Italia, tuttavia, le tesi federaliste erano presenti nel
dibattito pubblico dell’epoca. Fautore di questo pensiero era stato in primo luogo Carlo Cattaneo,
protagonista delle cinque giornate di Milano del marzo 1848. Nel suo libro Dell’insurrezione di
Milano del 1848 e della successiva guerra, apparso nel febbraio 1849, l’autore affermava: “Ogni
stato d’Italia deve rimaner sovrano e libero in sé (...) Ogni famiglia politica deve avere il
separato suo patrimonio, i suoi magistrati, le sue armi. Ma deve conferire alle communi
necessità e alle communi grandezze la debita parte; deve sedere con sovrana e libera
rappresentanza nel congresso fraterno di tutta la nazione; e deliberare in commune le leggi che
preparano, nell’intima coordinazione e uniformità delle parti, la distruttibile unità e coesione
del tutto”2. Dopo il fallimento dell’insurrezione milanese, Cattaneo trovò esilio a Lugano, nel
Canton Ticino, dove seguì da vicino l’esperienza federale svizzera, che, insieme a quella degli
Stati Uniti d’America, sarebbe in seguito divenuta un modello sia per Cattaneo stesso sia per i
costituenti che nel 1946 si sarebbero fatti promotori del federalismo.
Tuttavia, queste proposte non trovarono rispondenza nelle politiche che vennero attuate, e
l’accentramento fu per 85 anni la nota dominante dell’organizzazione politica dello Stato
nazionale. La struttura unitaria del Regno d’Italia, proclamato ufficialmente il 17 marzo 1861, fu
confermata dal Regio Decreto n. 250 del 9 ottobre 1861, con il quale venne istituito il ruolo del
Prefetto, rappresentante del governo nelle province3. Nominato dall’esecutivo a capo
dell'amministrazione provinciale, il prefetto partecipava all'amministrazione locale, su cui
esercitava un'azione di intervento e di controllo limitandone fortemente l'autonomia. La legge n.
2248 del 20 marzo 1865 divise il Regno in Province, Circondari, Mandamenti e Comuni. E’ da
notare che le Regioni erano assenti in questo primo assetto istituzionale dell’Italia. Su tutte le
pubbliche amministrazioni locali, come rappresentante del potere esecutivo, vigilava il prefetto,
coadiuvato dal Consiglio di Prefettura, quest’ultimo composto da un numero massimo di tre
membri. Secondo l’art. 152, la Provincia era un ente autarchico territoriale con “facoltà di
possedere e con un'amministrazione propria che ne rappresentasse gli interessi”4. Ad
amministrare la Provincia erano il Consiglio provinciale, eletto da tutti gli aventi diritto al voto
2 C. Cattaneo, Tutte le opere, a cura di L. Ambrosoli, Milano, Mondadori, 1967, vol. IV, pp. 703-704.3 Il prefetto assunse il ruolo precedentemente assegnato al governatore nel Regno di Sardegna (Regio Decreto n. 3.792 del 23 ottobre 1859). Cfr. A. Petracchi, Le origini dell’ordinamento comunale e provinciale italiano, Venezia, Neri Pozza, 1962.4 http://www.provincia.terni.it/Cultura/bus/archivio_stato/invtrdir/provincia.htm
4
nei Mandamenti, e la Deputazione provinciale, composta dal prefetto che la presiedeva e dai
membri eletti a maggioranza assoluta in seno al Consiglio.
Con lo scopo di trasformare la Provincia in un vero ente autarchico territoriale, il
Governo Crispi emanò la legge n. 5865 del 30 dicembre 1888, assorbita dal Testo Unico n. 5921
del 10 febbraio 1889. I due aspetti centrali della riforma erano l'istituzione della Giunta
provinciale amministrativa – organismo misto presieduto dal prefetto e composto da due
consiglieri di prefettura designati dal Ministero dell'Interno e da quattro rappresentanti del
Consiglio provinciale scelti al di fuori dei propri membri – ed il ridimensionamento delle
funzioni del prefetto in seno all'Amministrazione provinciale.
La struttura della Provincia rimase inalterata fino al 1928. Negli anni del regime fascista
(1922-1943) alle Prefetture vennero attribuiti nuovi e maggiori poteri; in base all’art. 19 del
Testo Unico comunale e provinciale del 3 marzo 1934, “il prefetto provvede ad assicurare, in
conformità delle generali direttive del governo, unità di indirizzo politico nello svolgimento dei
diversi servizi”5. Il Regio Decreto n. 1058 del 26 giugno 1937 stabilì che i tre quinti dei prefetti
dovessero essere scelti tra i funzionari di carriera del Ministero dell'Interno.6
Dopo la caduta del regime (25 luglio 1943), il Regio Decreto Legge n. 111 del 4 aprile
1944 abrogò la legislazione riguardante i governi provinciali e locali, e stabilì norme transitorie
per l'amministrazione dei Comuni e delle Province; nel caso di queste ultime, ne affidava la
gestione ad un Presidente e ad una Deputazione provinciale nominata dal prefetto, che
continuava ad essere il rappresentante dell’amministrazione statale7.
Nell’agosto 1943 un gruppo di antifascisti guidato da Altiero Spinelli – arrestato e
mandato al confine durante gli anni del regime – fondò il Movimento Italiano per la Federazione
Europea, il cui ideale era quello dell’“Italia libera nell’Europa libera e unita”. Due anni prima,
nell’agosto 1941, Spinelli aveva redatto, insieme ad Ernesto Rossi, Eugenio Colorni e Ursula
Hirschmann, il Manifesto di Ventotene (dal nome dell’isola del Mar Tirreno in cui i quattro erano
stati confinati).“Gli spiriti sono giù ora molto meglio disposti che in passato ad una
riorganizzazione federale dell'Europa. La dura esperienza ha aperto gli occhi anche a chi non
voleva vedere ed ha fatto maturare molte circostanze favorevoli al nostro ideale”, avevano
5 L. Basso, Il principe senza scettro, Milano, Feltrinelli, 1998, p. 271.6 Cfr. A. Cifelli, I prefetti del Regno nel ventennio fascista, Roma, Quaderni della Scuola Superiore dell’ Amministrazione dell’Interno (SSAI), Serie 2º, 1999, vol. 12.7 Cfr. http://www.provincia.terni.it/Cultura/bus/archivio_stato/invtrdir/provincia.htm
5
affermato gli autori del documento, il cui obiettivo era la costituzione di un “largo stato
federale, il quale disponga di una forza armata europea al posto degli eserciti nazionali, spazzi
decisamente le autarchie economiche, spina dorsale dei regimi totalitari, abbia gli organi e i
mezzi sufficienti per fare eseguire nei singoli stati federali le sue deliberazioni, dirette a
mantenere un ordine comune, pur lasciando agli Stati stessi l'autonomia che consente una
plastica articolazione e lo sviluppo della vita politica secondo le peculiari caratteristiche dei
vari popoli”8.
In questo contesto, dopo la fine del fascismo, cominciarono a farsi sentire in diverse
regioni italiane, soprattutto nelle isole e nelle zone di confine, i movimenti federalisti e
separatisti che reagivano contro il centralismo dello Stato italiano. Possiamo ricordare, tra questi,
il Movimento per l’Indipendenza della Sicilia (MIS), il Partito Sardo d’Azione (PSd’A), l’Union
Valdôtaine (UV), la Südtiroler Volkspartei (SVP) nell’Alto Adige e l’Associazione Studi
Autonomistici Regionali (ASAR) nel Trentino. Il Movimento per l’Indipendenza della Sicilia
(MIS), fondato nel 1944 in continuità con il Comitato per l’Indipendenza della Sicilia (CIS)
attivo dal 1942, chiedeva apertamente l’indipendenza dell’isola, in confederazione con il resto
d’Italia; questa ipotesi fu sostenuta alla Costituente dal leader del MIS, Andrea Finocchiaro
Aprile. A sua volta, Emilio Lussu, a nome del Partito Sardo d’Azione – nato nel 1921, sopresso
dal fascismo e rifondato nel 1944 – difendeva l’autonomia della Sardegna ed era favorevole
all’idea federalista di Cattaneo. L’ASAR, attivo tra il 1945 e il 1948, voleva per il Trentino-Alto
Adige l’“autonomia regionale integrale da Ala al Brennero, entro i confini dello Stato italiano,
repubblicano e democratico”9. La SVP, nata l’8 maggio 1945 come partito di raccolta delle
minoranze tedesche e ladine del Sudtirolo, era favorevole a un’autonomia limitata agli abitanti
della sola provincia di Bolzano. Per quanto riguarda la Valle d’Aosta, la Dichiarazione dei
rappresentanti delle popolazioni alpine (o Carta di Chivasso), del 19 dicembre 1943, auspicava
che il“nuovo Stato italiano” fosse “organizzato con criteri federalistici” e parlava di tre tipi di
autonomie: quelle politiche-amministrative, quelle culturali e scolastiche, e quelle economiche10.
Nel suo scritto Federalismo e autonomie, uno dei suoi ispiratori Émile Chanoux parlava di “una
federazione italiana” con “regioni o cantoni federati”, cioè “un regime federale, sul tipo
svizzero” come “garanzia di questo reciproco rispetto nell’interno degli stati e nell’interno del
continente europeo”11; questa sarebbe stata la posizione dell’Union Valdôtaine, fondata il 13
8 http://www.romacivica.net/ANPIROMA/antifascismo/antifascismo4a.html9 D. Fedel, Storia dell’ASAR (1945-1948) e delle radici storiche dell’autonomia, Trento, Pezzini, 1980, p.59.10 Cfr. E. Chanoux, O. Coisson, G. Malan, G. Peyronel, E. Page, M. Rollier. La Carta di Chivasso o Dichiarazione dei rappresentanti delle popolazioni alpine, in “L’Unità Europea”, n. 5, luglio-agosto 1944.11 http://www.regione.vda.it/gestione/gestione_contenuti/allegato.asp?pk_allegato=126
6
settembre 1945 per “promuovere e difendere gli interessi della Valle d’Aosta e dei
Valdostani”12.
Il Decreto luogotenenziale n. 98 del 16 marzo 1946, varato dal Governo De Gasperi,
affidò a un referendum popolare la decisione sulla forma istituzionale dello Stato. Un secondo
Decreto, il n. 99 dello stesso 16 marzo 1946, stabilì le norme per il referendum e la
contemporanea elezione di un’Assemblea Costituente. La votazione, come noto, si realizzò il 2
giugno 1946 e partecipò l’89,1 per cento degli aventi diritto. Nel referendum istituzionale, il 54,3
per cento degli italiani si pronunciò a favore della repubblica, mentre il 45,7 per cento scelse la
monarchia. Nelle elezioni alla Costituente, la Democrazia Cristiana (DC) ottenne il 35,2 per
cento, mentre il Partito Socialista fu secondo con il 20,7 per cento, seguito dal Partito Comunista
con il 19 per cento. Gli altri blocchi presenti all’Assemblea furono l’Unione Democratica
Nazionale (di ispirazione liberale), il Fronte dell’Uomo Qualunque (movimento antipolitico sorto
attorno all’omonimo giornale), il Partito Repubblicano Italiano (PRI), il Blocco Nazionale della
Libertà (di matrice conservatrice) e il Partito d’Azione. Al momento della costituzione
dell’Assemblea, i difensori del federalismo confluirono nel Gruppo Autonomista (10 membri),
mentre i quattro rappresentanti del Movimento per l’Indipendenza della Sicilia integrarono il
Gruppo Misto (17 membri)13.
3. La discussione sulle autonomie all’Assemblea Costituente
La Costituente si riunì per la prima volta il 25 giugno 1946 e lavorò fino al 31 gennaio
1948. Il 15 luglio 1946 fu decisa l'istituzione di una Commissione speciale, nota come
Commissione dei 75, presieduta dall’onorevole Umberto Terracini e incaricata di elaborare il
progetto di Costituzione. Questa si organizzò, a sua volta, in tre sottocommissioni: alla seconda
veniva affidata l’organizzazione costituzionale dello Stato, ed era composta dal segretario
Tomaso Perassi (repubblicano) e da 38 membri effettivi (14 democristiani, 7 comunisti, 5
socialisti, 2 repubblicani, 3 autonomisti –tra cui, il valdostano Giulio Bordon e il sardo Emilio
Lussu–, 3 dell’Unione Democratica Nazionale, 2 del Gruppo Misto –tra cui, Andrea Finocchiaro
Aprile– e 2 del Fronte dell’Uomo Qualunque). Uno dei compiti di questa Seconda
Sottocommissione fu quello di studiare la questione delle autonomie locali, e lo fece nelle sedute
del 27, 29, 30 e 31 luglio e del 1º agosto 1946.
Prendendo in considerazione gli accordi raggiunti in seno al Comitato di redazione, la
Commissione dei 75 esaminò questo argomento nelle sedute del 17 e 31 gennaio e del 1º febbraio
12 http://www.unionvaldotaine.org/uv/index.php/1/2/9-12/5db/.html13 Cfr. http://www.camera.it/cost_reg_funz/345/4762/4763/documentotesto.asp
7
1947. Finalmente, in assemblea plenaria, la Costituente approvò il 27 giugno 1947 gli articoli
107 e 108 (primo e secondo comma) del progetto di Costituzione riguardanti le autonomie locali,
che nel testo finale della Costituzione della Repubblica Italiana si trasformarono negli articoli
114 (l’ex articolo 107), 115 (l’ex articolo 108 primo comma) e 116 (l’ex articolo 108 secondo
comma).
3.1. Il dibattito in seno alla Seconda Sottocommissione
La relazione di Gaspare Ambrosini (Democrazia Cristiana), che apriva la discussione
sulle autonomie locali, chiariva gli aspetti centrali del dibattito all’interno della Seconda
Sottocommisione:“L’autonomia dell’ente regione dovrebbe intendersi accentrata su un insieme
di diritti della regione elevata a persona giuridica”. La regione doveva esercitare, a suo
giudizio, “una competenza legislativa normativa” che “nel caso specialmente di materie
affidate (dalla carta costituzionale) alla competenza esclusiva della regione, darebbe luogo
all’emanazione di vere e proprie leggi”. Questo ente doveva avere una “funzione esecutiva
amministrativa per tutte le materie che sono di sua competenza esclusiva e per le altre che
vengono a trovare la loro esplicazione nella regione”. Per Ambrosini, tuttavia, non si doveva
arrivare ad attribuire alla regione la funzione giurisdizionale, perché ciò “metterebbe quest’ente
in una posizione di assoluto primo piano e potrebbe quindi dar luogo all’affermazione di pretesa
della regione come Stato”14.
Analizzando il nodo della competenza legislativa, l’altro relatore, il repubblicano Tomaso
Perassi, sosteneva che si dovesse scegliere tra determinare le materie nelle quali la competenza
legislativa veniva riservata allo Stato, oppure determinare direttamente la competenza della
regione “senza fare una elencazione di competenze dello Stato”. C’erano, a suo giudizio, due
opzioni sull’ampiezza di questa competenza legislativa: la prima era che la regione potesse
legiferare su “materie determinate con una competenza piena” facendo “proprie leggi con piena
libertà, salvo soltanto i limiti determinati da alcuni principi costituzionali”; la seconda
possibilità era che la legislazione regionale potesse esplicarsi “nell’ambito della legislazione
statale, che, rispetto a certe materie, dovrebbe limitarsi a fissare i capisaldi, rendendo possibile
alle singole regioni di avere una legislazione di adattamento alle condizioni locali”.15 In quanto
14 Atti dell’Assemblea Costituente, Roma, Tipografia Camera dei Deputati, 1946. Commissione per la Costituzione-Seconda Sottocommissione, Resoconto sommario della seduta di sabato 27 luglio 1946, pp. 5-7.15
? Ibidem, p. 10.
8
alla funzione giurisdizionale della regione, Perassi era favorevole a limitarla al campo
amministrativo.
In questa sezione, riprenderemo il dibattito sulla necessità o meno della creazione
dell’ente regione, e metteremo a confronto le principali proposte che vennero prospettate,
prendendo in considerazione i casi particolari della Valle d’Aosta, della Sicilia, della Sardegna e
del Trentino-Alto Adige. Prima di passare alle proposte presentate in seno alla
Sottocommissione, dobbiamo ricordare che prima dell’inizio dei lavori della Costituente, il
Governo De Gasperi aveva concesso due Statuti di autonomia: quello provvisorio della Valle
d’Aosta – promulgato con il Decreto luogotenenziale n. 545 del 7 settembre 1945 – e quello
speciale della Sicilia – promulgato con il Decreto luogotenenziale n. 455 del 15 maggio 1946 – ;
erano inoltre in discussione un progetto per la Sardegna e un altro per il Trentino-Alto Adige. “Si
deve cercare di conciliare lo stato di fatto con la nuova struttura dello Stato”, sosteneva il
repubblicano Oliviero Zuccarini, nella seduta del 27 luglio 194616.
3.1.1. Il federalismo di Lussu, Finocchiaro Aprile e Bordon
In questo paragrafo esamineremo le convergenze e le divergenze tra le proposte di tre
esponenti del pensiero federalista in seno alla Seconda Sottocommissione: il rappresentante
sardo Emilio Lussu (eletto nelle liste del Partito Sardo d’Azione e membro del Gruppo
Autonomista), il siciliano Andrea Finocchiaro Aprile (leader del Movimento per l’Indipendenza
della Sicilia -MIS-) e il valdostano Giulio Bordon (membro del Gruppo Autonomista).
“In Italia, se una eredità storico-politica si è avuta, è stata quella dei vari stati in cui era
diviso il paese, ed avrebbe dovuto condurre all’unità federale”, affermava Lussu, il quale
riteneva che il federalismo fosse “l’espressione della profonda sofferenza del Paese nel passato
e l’aspirazione ad una radicale trasformazione”17. Secondo il rappresentante sardo, dal punto di
vista geografico, alcune regioni, come ad esempio la Sicilia e la Sardegna, non potevano che
essere Stati federati; c’erano anche, dal suo punto di vista, alcune caratteristiche che
differenziavano sostanzialmente le diverse regioni italiane. La sua analisi non trascurava la
situazione degli abitanti di lingua francese della Valle d’Aosta e di quelli di lingua tedesca della
provincia di Bolzano, e concludeva che, se in Europa vi era un Paese dove c’erano le premesse
per un’organizzazione federale, quello era indubbiamente l’Italia.
Finocchiaro Aprile riprendeva il tema del federalismo, pur ammettendo che nella
Commissione prevaleva un’idea unitaria sull’organizzazione dello Stato. Il leader del MIS
16 Ibidem, p. 12.17 Ibidem, p. 15.
9
sosteneva che il sistema più adatto all’Italia era quello della confederazione di Stati; considerava
però che, dal punto di vista giuridico, per molte regioni italiane il decentramento era più che
sufficiente, mentre per alcune altre, come la Sicilia e la Sardegna, la semplice autonomia non
sarebbe bastata: “Esse hanno bisogno di autonomie larghe, complete, non soltanto per i piccoli
affari di ordinaria amministrazione, ma anche nel campo economico, finanziario, tributario,
doganale”.18 Incentrando la sua esposizione proprio sulla sua regione d’origine, Finocchiaro
Aprile ricordava l’esperienza storica del Regno delle Due Sicilie e affermava che vi era “un
diritto nelle popolazioni siciliane ad avere qualcosa di più della semplice autonomia”.19
Condividendo l’approccio federalista del collega, il valdostano Bordon non credeva
tuttavia che la Confederazione di Stati fosse una soluzione possibile perché, qualora fosse stata
adottata, sarebbe stato necessario “far risorgere gli Stati italiani”. Da un punto di vista pratico,
Bordon riteneva che i cantoni avrebbero rappresentato una possibile soluzione del problema,
poiché vi erano in Italia alcune regioni che non avevano raggiunto “una maturità democratica”,
ma a loro fianco ve ne erano altre “democraticissime e che potrebbero adattarsi benissimo al
nuovo assetto di Stato”20; egli ricordava, in merito, la Carta di Chivasso del 19 dicembre 1943,
nella quale le Valli alpine si erano pronunciate per uno Stato federale “costituito da unità
amministrative e politiche autonome sul tipo cantonale”.21 Riguardo alle esigenze federaliste
delle regioni italiane, Bordon poneva sullo stesso piano la Valle d’Aosta, l’Alto Adige, la Sicilia
e la Sardegna, per le quali era necessaria“un’autonomia a largo respiro, autonomia in cui la
potestà legislativa sia diretta e larghissima”.22
3.1.2. La “regione facoltativa” di Bozzi e il “tipo misto di regioni” di Grieco
Prendendo in considerazione l’esigenza di autonomia di alcune regioni, come la Sicilia, la
Sardegna e la Val d’Aosta, Aldo Bozzi (Unione Democratica Nazionale) si domandava, nella
seduta del 29 luglio 1946, se fosse opportuno creare la regione “dappertutto”. Egli proponeva
un’altra opzione, ossia configurare la cosiddetta “regione facoltativa”; auspicava cioè che fosse
“un atto di libera determinazione, di libera volontà, delle province il chiedere uno statuto
regionale, che dovrebbe essere sottoposto all’approvazione degli organi parlamentari riuniti”23,
precisando che gli abitanti delle regioni avrebbero potuto manifestare il loro parere attraverso un
18 Atti dell’Assemblea Costituente, cit., Resoconto sommario della seduta di lunedí 29 luglio 1946, p. 20.19 Ibidem, p. 20-21.20 Atti dell’Assemblea Costituente, cit., Resoconto sommario della seduta di martedì 30 luglio 1946, p. 47.21 Ibidem, p. 47.22 Ibidem, p. 48.23 Atti dell’Assemblea Costituente, cit., Resoconto sommario della seduta di lunedí 29 luglio 1946, p. 29.
10
referendum, consentendo in questo modo di risolvere la questione con gradualità, adattando “gli
schemi giuridici alle reali esigenze degli aggregati sociali”.24
I democristiani Costantino Mortati, Salvatore Mannironi e Giuseppe Fuschini si
dichiararono contrari alla soluzione presentata da Bozzi; in particolare, Mortati era dell’idea che
si dovesse mantenere una struttura territoriale uniforme. Intanto Mannironi, respingendo la tesi
sostenuta da Bozzi, affermava: “La regione esiste e deve essere riconosciuta per tutta l’Italia:
altrimenti si avrebbero delle regioni esistenti autonomamente ed altre no; e delle situazioni
pericolose ai fini dell’unità nazionale”.25 Fuschini riteneva che fosse un errore distinguere tra
province che volevano essere costituite in regioni e quelle che non lo desideravano; a suo avviso,
la regione non poteva essere un ente facoltativo perché, se così fosse stato, sarebbe sorto “un
mosaico di organizzazioni statali contrario a quello spirito moderno, che tende al
raggiungimento del massimo risultato col minimo mezzo”.26
Il comunista Ruggero Grieco riconosceva la legittimità storica e politica della
rivendicazione di statuti regionali particolarmente ampi da parte di Sardegna, Sicilia, Trentino-
Alto Adige e Valle d’Aosta; tuttavia, allo stesso tempo, egli non ravvisava un movimento
popolare regionalista in altre regioni – citando come esempi l’Emilia Romagna, la Lombardia, il
Lazio, la Toscana, la Campania e le Marche. Grieco si mostrava, dunque, favorevole
all’esistenza in Italia di un“tipo misto di regioni autonome e di semplici regioni”, chiarendo che
le prime avrebbero dovuto avere “maggiori potestà, senza però giungere a competenza
legislativa e normativa in genere” poichè ciò avrebbe portato ad un “federalismo mascherato”.27
Il costituente comunista Vincenzo La Rocca condivideva la necessità di “riorganizzare lo Stato
sulla base regionale, ma in una maniera differenziata”, prendendo in considerazione la
necessaria autonomia richiesta dalla Sicilia, dalla Sardegna, dalla Val d’Aosta e dall’Alto Adige;
tuttavia, a differenza di Grieco, La Rocca si mostrava favorevole alla concessione di una
“potestà legislativa primaria” a queste quattro regioni, lasciando alle altre – costituite come ente
giuridico – una “facoltà legislativa delegata”.28
3.1.3. La cautela di Einaudi e il “no” di Paolo Rossi e Nobile all’istituzione della regione
La posizione di Luigi Einaudi (allora capogruppo dell’Unione Democratica Nazionale29)
era la più cauta tra quelle dei membri della Seconda Sottocommissione favorevoli alla
24 Ibidem, p. 30.25 Ibidem, pp. 31-32.26 Atti dell’Assemblea Costituente, cit., Resoconto sommario della seduta di martedì 30 luglio 1946, p. 45.27 Atti dell’Assemblea Costituente, cit., Resoconto sommario della seduta di lunedí 29 luglio 1946, p. 37.28 Atti dell’Assemblea Costituente, cit., Resoconto sommario della seduta di mrcoledì 31 luglio 1946, pp. 55-56.29 Dal 17 gennaio 1947 Luigi Einaudi risultava iscritto al Gruppo Parlamentare Liberale.
11
costituzione delle regioni. Egli affermava, in particolare, che la creazione di questo nuovo ente
territoriale avrebbe dovuto comportare l’abolizione delle province, perché altrimenti “si
moltiplicherebbero gli uffici e i gravami fiscali”. Nella stessa linea di pensiero, La Rocca
riteneva che, una volta creata la regione, si sarebbe dovuto “abolire la provincia come ente
autarchico e conservarla come ente burocratico”30.
Inserendosi nel dibattito sul federalismo, Einaudi ricordava che l’Italia partiva dallo Stato
unitario –“che intendiamo mantenere”– e non era nella “situazione di un gruppo di stati che
intendono federarsi”, come era avvenuto in Svizzera (Confederazione Elvetica) e negli Stati
Uniti d’America. “Allora la soluzione migliore è che siano attribuite dalla carta costituzionale
alla regione determinate competenze e che la regione non ne abbia nessuna di più di quelle
stabilite dall’atto costituzionale”31, proponeva, lasciando spazio a possibili emendamenti
costituzionali qualora si fosse palesata la necessità di conferire a questo ente nuove prerogative.
Concludeva la sua esposizione con questa frase: “Via via, fatta la necessaria esperienza –
nessuna costituzione è perfetta – tali competenze potranno essere allargate o ristrette”.32
Del tutto contrari all’istituzione dell’ente giuridico regione erano, invece, il socialista
Paolo Rossi e il comunista Umberto Nobile. Quest’ultimo credeva che una tale decisione non
corrispondesse in quel momento alle necessità economiche, sociali e politiche del popolo
italiano, e potesse anzi sortire l’effetto di approfondire le divisioni proprio nel momento in cui il
Paese richiedeva una più stretta unione per lo sforzo della ricostruzione. A suo avviso, la
divisione del territorio in regioni autonome ed autarchiche avrebbe accresciuto “il dislivello
economico e sociale fra regioni ricche e progredite e regioni povere ed arretrate”33; egli
riteneva inoltre che il decentramento si sarebbe potuto ottenere dando più autonomia agli enti
locali (Comuni) e potenziando le province. Era dello stesso avviso il collega Paolo Rossi, il quale
riteneva che i casi particolari, come Sardegna, Sicilia e Valle d’Aosta, avrebbero potuto essere
regolamentati con specifiche normative. “La creazione di una regione con piena competenza
legislativa sarebbe una riforma completamente antistorica”, affermava il costituente socialista,
che era d’accordo con Nobile nel“concedere ai comuni ed alle singole province già esistenti
amplissime autonomie amministrative”.34
3.1.4. L’approvazione dell’ordine del giorno Piccioni
30 Atti dell’Assemblea Costituente, cit., Resoconto sommario della seduta di mercoledì 31 luglio 1946, p. 55.31 Atti dell’Assemblea Costituente, cit., Resoconto sommario della seduta di sabato 27 luglio 1946, p. 12.32 Ibidem, p. 14.33 Atti dell’Assemblea Costituente, cit., Resoconto sommario della seduta di giovedì 1º agosto 1946, p. 70.34 Atti dell’Assemblea Costituente, cit., Resoconto sommario della seduta di lunedì 29 luglio 1946, p. 21-22.
12
A conclusione della discussione in seno alla Seconda Sottocommissione, il 1º agosto
1946 furono presentati dieci ordini del giorno. Gli autori erano gli onorevoli Egidio Tosato
(Democrazia Cristiana), Attilio Piccioni (Democrazia Cristiana), Gennaro Patricolo (Gruppo
Misto) insieme a Pietro Castiglia (Fronte Liberale Democratico dell’Uomo Qualunque),
Vincenzo La Rocca (Gruppo Comunista), Tomaso Perassi (Gruppo Repubblicano), Umberto
Nobile (Gruppo Comunista), Andrea Finocchiaro Aprile (Gruppo Misto), Paolo Rossi insieme
ad Alessandro Bocconi (entrambi iscritti allora al Partito Socialista Italiano35), Emilio Lussu
(Gruppo Autonomista) e Giovanni Conti (Gruppo Repubblicano).
La mozione di Nobile, la cui posizione è stata accennata precedentemente, era l’unica a
non prevedere la creazione dell’ente regione; fu questo il primo ordine del giorno ad essere
messo a votazione dal presidente Terracini e, come previsto, venne respinto. Sul versante
opposto, Finocchiaro Aprile presentò una polemica mozione nella quale affermava che il sistema
unitario, praticato sino a quel momento, era stato in “vantaggio esclusivo delle Province
settentrionali” e aveva avuto come risultato “lo sfruttamento e l’asservimento della Sicilia, della
Sardegna e del Mezzogiorno agli interessi politici e capitalistici del Nord”. Il leader del
Movimento per l’Indipendenza della Sicilia (MIS) chiedeva, dunque, “un’autonomia integrale,
cioè politica, giurisdizionale, culturale, economica, finanziaria, tribuataria, e doganale”; egli
riteneva necessaria, inoltre, la convocazione di un referendum per far sí che i popoli stessi
manifestassero la loro volontà, ma allo stesso tempo assicurava che quella volontà non appariva
favorevole alla costituzione delle regioni come “enti di diritto pubblico” ma tendeva invece alla
loro elevazione a “Stati liberi” che avrebbero dovuto entrare a far parte di “una confederazione
di Stati italiani in condizioni di assoluta parità ed eguaglianza”. La creazione della regione
come “ente di diritto pubblico” doveva limitarsi, secondo Finocchiaro Aprile, “a quei territori
italiani per i quali fosse riconosciuta adatta e conveniente e le cui popolazioni la
deciderassero”36. Messo ai voti, questo ordine del giorno fu respinto dalla Sottocommissione.
Una terza mozione, anch’essa respinta, fu quella di Rossi e Bocconi, che proponeva un “vasto ed
efficace decentramento amministrativo autarchico” e lasciava aperta “l’indagine circa
l’opportunità, per la migliore realizzazione pratica del decentramento amministrativo, di
costituire l’ente regione, entro i limiti del carattere unitario dello Stato italiano”.37
Dal momento che i rimanenti sette ordini del giorno coincidevano nelle loro conclusioni,
su richiesta del presidente Terracini, Attilio Piccioni ne fece una rielaborazione allo scopo di
35 Il 3 febbraio 1947, dopo la scissione di Palazzo Barberini, Rossi e Bocconi lasciarono il grupppo per entrare in quello del Partito Socialista dei Lavoratori Italiani (PSLI).36 Atti dell’Assemblea Costituente, cit., Resoconto sommario della seduta di giovedì 1º agosto 1946, p. 71.37 Ibidem, p. 72.
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fonderli in un unico ordine del giorno, che riconoscesse “la necessità di dar luogo alla
creazione, sancita dalla nuova Costituzione, dell’ente regione (persona giuridica territoriale):
a) come ente autarchico (cioè con fini propri d’interesse regionale e con capacità di svolgere
attività propria per il conseguimento di tali fini); b) come ente autonomo (cioè con potere
legislativo – normativo – nell’ambito delle sue specifiche competenze e nel rispetto
dell’ordinamento giuridico dello Stato); c) come ente rappresentativo degli interesi locali, su
basi elettive a suffragio universale diretto; d) come organo dotato di sufficiente autonomia
finanziaria”.38 Con un emendamento, presentato dal presidente Terracini, e accolto da Piccioni,
si volle modificare il punto b) per quanto riguardava le competenze dell’ente regione: invece di
parlare delle sue“competenze specifiche”, il testo finale fece riferimento alle“competenze che
saranno fissate”. Ancora relativamente al punto b) l’onorevole Gustavo Fabbri (Gruppo Misto)
presentò un emendamento con lo scopo di sostituire all’espressione “potere legislativo” quella
di “potere normativo”, giacché la prima formula avrebbe potuto portare a un conflitto tra leggi
nazionali e leggi regionali dal momento che “essendo leggi tanto quelle emanate dallo Stato
quanto quelle emanate dalla regione, [si potrebbe dare il paradosso che] la legge nazionale non
possa modificare la legge regionale preesistente”. La Sottocommissione, tuttavia, non sposò
questa tesi e nel testo finale si mantenne la formula “potere legislativo”.39
Alla parte finale dell’ordine del giorno Piccioni – che domandava “la formulazione di un
progetto di ordinamento regionale, tenute presenti le premesse suindicate e gli altri criteri
informatori risultati dell’ampia discussione svoltasi in seno alla Sottocommissione” –, dietro
richiesta del valdostano Bordon, il presidente Terracini propose di aggiungere: “tenute presenti
le premesse suindicate e alcuni stati di fatto creati”. Alla particolare situazione della Val
d’Aosta rilevata da Bordon, Lussu sommava quelle della Sardegna, della Sicilia e dell’Alto
Adige (Piccioni parlava addirittura di “Trentino-Alto Adige”); infine si convenne di indicare fra
parentesi le “situazioni particolari” delle quattro regioni. Il testo finale, approvato dalla
Sottocommissione il 1º agosto 1946, rilevava “le situazioni particolari esistenti (Sicilia,
Sardegna, Val d’Aosta, Trentino-Alto Adige)”.40
3.2. Il dibattito alla Commissione per la Costituzione (Commissione dei 75)
La discussione sull’ordinamento regionale in seno alla cosiddetta “Commissione dei 75”,
presieduta da Meuccio Ruini, ebbe luogo nel corso delle sedute del 17 gennaio e del 1º febbraio
38 Ibidem, p. 74.39 Ibidem, pp. 74-77.40 Ibidem, pp. 75-77.
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194741. Il presidente Ruini affermò, all’inizio dei lavori, che la Commissione avrebbe preso in
esame soltanto le questioni che avessero implicato un“dissenso sostanziale” in seno al Comitato
di redazione, ricordando altresì che, se pure relativamente alle situazioni particolari della Sicilia,
della Sardegna, della Valle d’Aosta e del Trentino-Alto Adige, vi era stato pieno accordo sulla
concessione di “forme di autonomia particolarmente ampie” a queste quattro regioni, tuttavia
non era il caso di estenderle a “tutte le altre regioni italiane per le quali si sarebbe dovuto
adottare nella Costituzione un tipo comune di autonomia”.42 Esamineremo di seguito le
posizioni di dissenso a questa specifica linea di condotta.
3.2.1. Le riserve di Lucifero e Nobile e l’ordine del giorno Togliatti
Il liberale Roberto Lucifero manifestò le proprie riserve riguardo alla “creazione delle
marche di frontiera, dei quattro Cantoni, cioè, di quattro zone italiane privilegiate” perché tale
situazione avrebbe messo le quattro regioni in una “situazione di maggiorascato” in confronto
alle altre.43 La metafora di Lucifero alludeva all’istituto del maggiorasco, in base al quale i beni
di una casa nobile passavano di diritto al primogenito, creando una situazione di disparità tra i
figli. Da parte sua, il comunista Umberto Nobile riconobbe la necessità di porre in essere
ordinamenti speciali, imposti dagli accordi internazionali, per le zone di confine, cioè la Valle
d’Aosta e il Trentino-Alto Adige, pur dichiarandosi in disaccordo con la concessione di
un’autonomia speciale alla Sardegna e alla Sicilia.
Nobile riprese il discorso del leader del Partito Comunista Italiano (PCI), Palmiro
Togliatti, che, pur dichiaratosi favorevole al decentramento amministrativo e alle autonomie dei
Comuni, era in disaccordo con la via federalista, che avrebbe a suo avviso dato luogo alla
creazione di un “apparato macchinoso” rendendo “più pesante la nostra organizzazione
amministrativa” e avrebbe stimolato contro il Mezzogiorno “gli egoismi delle regioni
settentrionali più ricche”.44 Lussu, in contrasto con l’opinione di Togliatti, riteneva che fosse
stata proprio l’organizzazione centralistica dello Stato a rendere il Mezzogiorno una sorta di
“colonia” e ricordava, inoltre, che il movimento autonomista era sorto nel Mezzogiorno
41 Nel gennaio 1947, dopo la divisione del Partito Socialista Italiano di Unità Proletaria (PSIUP) – scissione di Palazzo Barberini – nel corso del suo XXV Congresso, nacque il Partito Socialista di Lavoratori Italiani (PSLI). Il maggiore riflesso sulla Costituente fu la costituzione del gruppo parlamentare del PSLI, al quale aderirono 52 dei 115 costituenti iscritti originariamente al PSIUP. Un secondo effetto furono le dimissioni di Giuseppe Saragat, leader del neonato PSLI, dalla Presidenza dell’Assemblea, il 6 febbraio 1947. L’8 febbraio venne nominato l’onorevole Umberto Terracini (Gruppo parlamentare Comunista).42 Atti dell’Assemblea Costituente, Roma, cit., Commissione per la Costituzione-Adunanza plenaria, Resoconto sommario della seduta di venerdì 17 gennaio 1947, p. 117.43 Ibidem, p. 121.44 Atti dell’Assemblea Costituente, cit., Resoconto sommario della seduta id venerdì 17 gennaio 1947, p. 123.
15
“attraverso l’elemento intellettuale e la massa dei contadini che intendevano, attraverso una
organizzazione autonomistica, di crearsi la base di partenza per futuri progressi”.45
Togliatti decise, infine, di presentare un ordine del giorno che, pur impegnando la
Commissione dei 75 a concedere “un regime di ampia autonomia per la Sicilia, la Sardegna e le
zone mistilingui”, tuttavia non accettava che nella Costituzione venissero introdotti “elementi
anche indiretti e attenuati di federalismo”.46 Questa mozione fu respinta, con 15 voti favorevoli,
32 contrari e 6 astenuti.47
3.2.2. La discussione giuridica, la questione Friuli-Venezia Giulia e la sospensione del dibattito
Nelle sedute del 31 gennaio e del 1º febbraio 1947 vennero presi in esame i quattro
articoli riguardanti le autonomie locali. Ci limiteremo ad analizzare il dibattito sull’articolo 3,
che attribuiva alla Sicilia, alla Sardegna, al Trentino-Alto Adige e alla Valle d’Aosta “forme e
condizioni particolari di autogoverno con Statuti speciali adottati con leggi di valore
costituzionale”.48 Oltre alla discussione sul quadro giuridico entro il quale sarebbero dovuti
rientrare gli Statuti speciali, ci soffermeremo sul caso particolare del Friuli-Venezia Giulia, non
previsto nella redazione originale dell’articolo 3.
L’onorevole Perassi chiese di eliminare il termine “Statuti speciali”, perché l’atto che
avrebbe dato luogo all’autonomia speciale di queste regioni sarebbe stata una norma giuridica
emanata direttamente dallo Stato ed era improprio, dal punto di vista giuridico, chiamarla
“statuto”. Secondo il rappresentante repubblicano, l’uso giuridicamente corretto della parola
“statuto” era quello relativo alle regioni ordinarie, intendendo quindi un insieme di norme
giuridiche emanate da un potere legislativo della regione (Consiglio regionale) e approvato con
legge ordinaria dello Stato49. Pur accogliendo la questione di tecnica giuridica sollevata da
Perassi – cioè, che gli Statuti speciali erano in realtà leggi costituzionali emanati direttamente
dallo Stato e non dagli organi regionali –, il presidente Ruini temeva di dare l’impressione che si
volesse “togliere” alla Sicilia lo Statuto che era già stato promulgato dal Governo.50
Sulla stessa linea di Perassi, Mortati ricordò che gli Statuti di autonomia delle regioni
nominate dall’articolo 3 dovevano essere inseriti nella Costituzione “come parti integranti di
45 Ibidem, p. 125.46 Ibidem, p. 128.47 Votarono a favore i 12 rappresentanti comunisti e i 3 socialisti. Votarono contro 22 democristiani, 2 del PSLI, 2 del Gruppo Misto, 2 dell’Unione Democratica Nazionale, 1 autonomista, 1 repubblicano, 1 liberale e 1 membro del Gruppo Democrazia del Lavoro. Si astennero i 2 membri del PSLI, i 2 del Fronte dell’Uomo Qualunque, 1 liberale e 1 del Gruppo Democrazia del Lavoro.48 Atti dell’Assemblea Costituente, cit., Resoconto sommario della seduta di venerdì 31 gennaio 1947, p. 269.49 “Lo Statuto di ogni Regione è stabilito in armonia alle norme costituzionali, con legge regionale deliberata a maggioranza assoluta dei consiglieri e a due terzi dei presenti; e deve essere approvato con legge della Repubblica” (art. 124 della Costituzione italiana).50 Cfr. Atti dell’Assemblea Costituente, cit., Resoconto sommario della seduta di venerdì 31 gennaio 1947, p. 270.
16
questa” e “sottoposti alla procedura di revisione prescritta per le altre norme della Costituzione
medesima”.51 Il relatore Ambrosini tranquillizzò sia Perassi che Mortati, ricordando ai colleghi
che quando si affermava che lo Statuto delle quattro regioni (Sicilia, Sardegna, Trentino-Alto
Adige, Valle d’Aosta) sarebbe stato adottato con legge di valore costituzionale, si faceva
riferimento al potere costituente; risultava dunque evidente che la competenza di emanare tali
Statuti spettava allo Stato. Dopo la discussione suscitata, allo scopo di evitare ripercussioni di
carattere politico circa lo Statuto siciliano approvato dal Governo, Perassi decise di ritirare la sua
proposta e fu mantenuta la parola “statuti” nella redazione finale dell’articolo.52
Sempre nel corso della seduta del 1º febbraio 1947, l’onorevole Fabbri domandò alla
Commissione se, tenendo presente il criterio di dare un ordinamento speciale alle regioni di
confine mistilingue, non fosse il caso di includere nel secondo comma dell’articolo 3 anche “la
Venezia Giulia ed il Friuli”; in alternativa, egli proponeva di “abbandonare il criterio della
precisazione e parlare soltanto, in forma generica, delle due Regioni insulari e delle Regioni di
confine mistilingui”.53 Su proposta del presidente Ruini, per associazione di temi, la questione
della Regione Friuli-Venezia Giulia fu aggiunta all’ordine del giorno firmato dagli onorevoli
Aldo Moro (Democrazia Cristiana), Enrico Molè (Democrazia del Lavoro), Ferdinando Targetti
(Partito Socialista Italiano54) e Leonilde Iotti (Gruppo Comunista), che sospendeva ogni
decisione legata al problema dell’istituzione dell’ente regione, considerando che erano in corso
“accertamenti presso gli organi locali delle popolazioni interessate”; l’esame del problema si
riprenderebbe “non appena in possesso degli ulteriori elementi di giudizio”.55 La proposta
sospensiva fu approvata.
La questione del Friuli-Venezia Giulia fu quindi discussa dall’Assemblea Costituente,
insieme agli altri articoli riguardanti l’ordinamento regionale, nella seduta del 27 giugno 1947.
3.3. La discussione in seduta plenaria
Come affermato, il 27 giugno 1947 furono esaminati in seduta plenaria l’articolo 107 e il
primo e il secondo comma dell’articolo 108 del progetto di Costituzione, che sarebbero diventati
gli articoli 114, 115 e 116 della Costituzione italiana. Ci soffermeremo, in particolare,
51 Ibidem, p. 270.52 Ibidem, pp. 270-272.53 Atti dell’Assemblea Costituente, cit., Resoconto sommario della seduta di sabato 1º febbraio 1947, p. 275.54 Il gruppo del Partito Socialista Italiano si era formato nel febbraio 1947 dopo la scissione del PSIUP e l’abbandono del gruppo parlamentare da parte dei costituenti che confluirono nel Partito Socialista dei Lavoratori Italiani (PSLI).55 Atti dell’Assemblea Costituente, cit., Resoconto sommario della seduta di sabato 1º febbraio 1947, p. 283.
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sull’articolo 108, che prevedeva nel suo primo comma la creazione delle Regioni come “enti
autonomi con propri poteri e funzioni secondo i principi fissati nella Costituzione”.56
3.3.1. Il dibattito e l’approvazione delle autonomie speciali
Il secondo comma dell’articolo 108, come proposto dal Comitato di redazione, faceva
riferimento alle regioni dotate di un tipo particolare di autonomia: “Alla Sicilia, alla Sardegna,
al Trentino-Alto Adige e alla Valle d’Aosta sono attribuite forme e condizioni particolari di
autonomia con statuti speciali adottati mediante leggi costituzionali”.57
L’onorevole Giuseppe Abozzi (Fronte Liberale Democratico dell’Uomo Qualunque),
ricordando che gli statuti della Sicilia e della Valle d’Aosta erano già stati concessi ed erano
ormai legge dello Stato, affermò che poteva rivelarsi pericoloso concedere altri statuti particolari
e chiese la soppressione del secondo comma; tuttavia la sua proposta fu respinta dall’Assemblea.
L’onorevole Perassi, riprendendo gli argomenti che aveva già espresso in sede della
Commissione dei 75, presentò un emendamento che cancellava la parola “statuti” e lasciava la
parte finale del secondo comma come segue: “(...) sono attribuite, con leggi costituzionali, forme
e condizioni particolari di autonomia”.58 Intervenne allora il presidente della suddetta
Commissione, Ruini, il quale, pur indicando che con la parola “statuto” non si voleva far
riferimento a delle vere “Carte costituzionali volute dalle sole Regioni e immodificabili se non
per volontà delle Regioni stesse”, si disse favorevole a conservare quella denominazione, sia
perché si trattava di “complessi di norme sull’ordinamento regionale” che avevano anch’essi il
“carattere di statuti”, sia perché – a suo goidizio – non sarebbe stato il caso di “sollevare, con
nuove formule, le apprensioni, ad esempio, dei siciliani”, il cui ordinamento regionale – come
ricordò il relatore Ambrosini – era stato denominato, proprio dal provvedimento legislativo del
15 maggio 1945, “Statuto della Regione siciliana”.59 Infine, Perassi accettò la proposta del
Comitato di redazione che modificava l’ultima parte dell’articolo – dove si diceva “con statuti
speciali” la redazione finale fu “secondo statuti speciali” – e ritirò il suo emendamento.60
Riguardo a questo secondo comma, furono discussi altri tre emendamenti. L’onorevole
Danilo Paris (Partito Socialista dei Lavoratori Italiani) voleva che si chiarisse nel testo che il
Trentino-Alto Adige costituiva una “Regione unica”, ma preferì ritirare la sua proposta visto che
la Commissione istituita per elaborare il progetto di statuto per quella regione si era ormai
56 Atti dell’Assemblea Costituente, cit., CLXIV. Seduta di venerdì 27 giugno 1947, p. 5230.57 Ibidem, pp. 5230-5231.58 Ibidem, p. 5232.59 Ibidem, p. 5235.60 Ibidem, p. 5237.
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orientata su una forma di “autonomia regionale”. Riprenderemo la discussione sull’autonomia
speciale del Trentino-Alto Adige nel prossimo capitolo.
A loro volta, gli onorevoli Fausto Pecorari e Tiziano Tessitori61 (entrambi della
Democrazia Cristiana) tornarono su un punto sollevato dal collega Fabbri nella sede della
Commissione dei 75: la situazione del Friuli-Venezia Giulia. Pecorari chiese di aggiungere la
“Regione giulio-friulana e Zara” tra quelle che avrebbero goduto di statuti speciali di
autonomia. Poichè la sorte di quei territori, soprattutto quella di Zara, doveva ancora essere
decisa dal Trattato di pace tra l’Italia e le potenze vincitrici della Seconda guerra mondiale,
Pecorari sostenne che si trattava di un “obbligo morale” verso le popolazioni di quelle zone e
avrebbe dimostrato alla Iugoslavia, che contendeva con l’Italia il possesso dei suddetti
territori,“la nostra intenzione chiara e netta di difendere in ogni caso e in qualsiasi condizione le
minoranze che vivono in queste terre e in quelle che ci verranno assegnate”.62 L’onorevole
Tessitori ricordò che, anche se non era possibile qualificare quella regione come mistilingue, con
lo stato di fatto successivo alla guerra rimanevano allo Stato italiano il mandamento di
Monfalcone e la provincia di Gorizia, nella quale si concentravano circa 9.400 slavi; tuttavia
propose la redazione “Friuli-Venezia Giulia” sopprimerendo “Zara”, ma il collega Pecorari
insistette con la sua formula, in quanto “il piccolo pezzetto della provincia di Gorizia” che
sarebbe stato concesso all’Italia dal trattato di pace non giustificava “l’aggiunta del termine
‘Venezia Giulia’”.63
Il presidente della Commissione dei 75, Meuccio Ruini, non credeva che si potesse
considerare Zara come parte della nuova Regione speciale, perché tale affermazione avrebbe
potuto causare conseguenze internazionali non opportune in vista della ratifica del trattato di
pace; egli era però d’accordo con i colleghi Pecorari e Tessitori nell’accordare “garanzie” per le
“minoranze linguistiche ed etniche”. Il fatto di offrire queste garanzie avrebbe dato all’Italia “un
altro argomento per chiedere che anche la Iugoslavia accordi uno statuto speciale alle sue zone,
dove risiede un numero ben maggiore di italiani”. E infine aggiunse che l’istituzione della nuova
regione avrebbe avuto un “valore simbolico: di attendere, in una futura revisione del trattato, la
sua capitale: Trieste64”. 65 Dopo le parole di Ruini, Pecorari accettò di ritirare il suo
61 E’ importante tenere presente che Pecorari era nato a Trieste, mentre Tessitori era originario di Sedegliano (Udine).62 Atti dell’Assemblea Costituente Roma, cit., CLXIV. Seduta di venerdì 27 giugno 1947, p. 5233.63 Ibidem, p. 5235.64 Trieste era stata occupata dalle truppe iugoslave il 1º maggio 1945. Dal 12 giugno 1945, dopo l’accordo tra la Iugoslavia e gli Alleati, era nato il Territorio Libero di Trieste (TLT), diviso in due zone: la Zona A sotto controllo anglo-americano e la Zona B sotto controllo iugoslavo. In base al Trattato di pace, firmato a Parigi il 10 febbraio 1947, l’Italia cedeva alla Iugoslavia i territori di Fiume, Pola, Zara e le isole adriatiche allora sotto sovranità italiana. Nel 1954 la Zona A del TLT sarebbe tornata alla sovranità italiana. La situazione della Zona B sarebbe stata risolta nel 1975 con il Trattato di Osimo, in base al quale l’Italia riconobbe la sovranità iugoslava su quei territori.65 Atti dell’Assemblea Costituente Roma, cit., CLXIV. Seduta di venerdì 27 giugno 1947, pp. 5236-5237.
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emendamento, rinunciando a parlare di Zara “per non esporre i dalmati a un voto che
suonerebbe offesa per loro”.66
La redazione finale del secondo comma dell’articolo 108 (articolo 116 nella redazione
finale) della Costituzione fu la seguente: “Alla Sicilia, alla Sardegna, al Trentino-Alto Adige, al
Friuli-Venezia Giulia e alla Valle d’Aosta sono attribuite forme e condizioni particolari di
autonomia, secondo statuti speciali adottati mediante leggi costituzionali”.67
4. La discussione sullo Statuto speciale per il Trentino-Alto Adige
4.1. Contesto storico
4.1.1. L’Accordo di Parigi e la protezione della minoranza di lingua tedesca
Non si può comprendere il processo storico che ha portato all’approvazione da parte
dell’Assemblea Costituente dello Statuto Speciale per il Trentino-Alto Adige, nel gennaio 1948,
se non si tiene in considerazione il contenuto dell’Accordo di Parigi68, firmato il 5 settembre
1946 dall’allora Presidente del Consiglio italiano, Alcide De Gasperi69, e dal ministro degli
Esteri austriaco Karl Gruber70. Quando iniziarono le trattative tra l’Italia e l’Austria, la questione
dei confini era ormai risolta: le quattro grandi potenze alleate (Stati Uniti, Unione Sovietica,
Regno Unito e Francia) avevano respinto, nel maggio 1946, la richiesta austriaca di annessione
66 Ibidem, p. 5237.67 Ibidem, p. 5239.68 Cfr. Regione Trentino-Alto Adige/Region Trentino-Südtirol, A 30 anni della firma dei Patti De Gasperi-Gruber. 5 settembre 1946. Accordo di Parigi, Trento, Ufficio Stampa della Presidenza della Giunta regionale, 1976.69 Nato a Pieve Tesino nel 1881, quando il Trentino era ancora un territorio dell’Impero austro-ungarico, Alcide De Gasperi era stato eletto nel 1911 come rappresentante della minoranza italiana al Parlamento di Vienna e nel 1914 alla Dieta di Innsbruck. Dopo la caduta del fascismo, sotto il quale subì il carcere e trovò lavoro alla Biblioteca Vaticana, De Gasperi fu uno dei protagonisti della vita politica della Democrazia Cristiana. Nel 1944 assunse la segreteria del partito. Tra il 1944 e il 1945 fu ministro degli Esteri nei governi Bonomi e Parri. Nel dicembre 1945 fu nominato presidente del Consiglio dei Ministri. Guidò il governo fino al 1953, in sette successivi Ministeri.70 Nato a Innsbruck (Tirolo) nel 1905, Kart Gruber aveva partecipato attivamente alla resistenza contro il regime nazista in Austria, cooperando con i servizi di intelligence degli Stati Uniti in Svizzera. Membro del Partito Popolare Austriaco (ÖVP), di orientamento democratico cristiano, dopo la liberazione fu governatore provvisorio del Tirolo e sottosegretario agli Affari Esteri del socialdemocratico Karl Renner (1945). Dopo le elezioni del novembre 1945, Gruber entrò nel governo del democristiano Leopold Figl (1946-1953) come ministro degli Affari Esteri.
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della provincia di Bolzano e, nel giugno dello stesso anno, avevano risolto in via definitiva il
contenzioso italo-austriaco negando una rettifica della frontiera comprendente la Pustertal (Val
Pusteria), rivendicata da Vienna.71 La risposta negativa dei vincitori della Seconda guerra
mondiale lasciava al governo austriaco soltanto un’opzione per tutelare gli interessi della
minoranza di lingua tedesca residente in quel territorio: l’autonomia amministrativa.
La firma dell’Accordo di Parigi – conosciuto anche come Patto De Gasperi-Gruber –
aprì la strada per l’adozione di misure volte alla protezione delle popolazioni alloglotte del
Trentino-Alto Adige. Tra i diritti concessi agli abitanti di lingua tedesca della provincia di
Bolzano e dei vicini comuni bilingui della provincia di Trento, l’accordo prevedeva “l’esercizio
di un potere legislativo ed esecutivo autonomo”, e aggiungeva che il quadro nel quale tale
autonomia avrebbe dovuto essere applicata sarebbe stato determinato “consultando anche
elementi locali rappresentanti la popolazione di lingua tedesca” (art. 2). L’Italia si mostrava
disposta a riparare i danni del fascismo, garantendo a queste popolazioni “l’insegnamento
primario e secondario nella loro lingua materna”, così come l’uso della loro madrelingua nelle
pubbliche amministrazioni e nella nomenclatura topografica bilingue, “il diritto a ristabilire i
nomi di famiglia tedeschi” che fossero stati italianizzati e “l’eguaglianza di diritti per
l’ammissione ai pubblici uffici” (art. 1). Infine, il governo italiano si impegnava, entro un anno
dalla firma del trattato, a rivedere il regime di opzioni di cittadinanza previsto dagli accordi
Hitler-Mussolini del 1939 e ad addottare misure destinate all’agevolazione del transito di
passeggeri e degli scambi di prodotti e merci tra l’Italia e l’Austria (art. 3).72
4.1.2. Lo Statuto: il progetto Innocenti, l’ASAR e la Commissione dei Sette
Prima ancora della conclusione di questo accordo in sede internazionale73, il governo
italiano aveva nominato, nel gennaio 1946, una commissione presieduta dal prefetto di Bolzano
Silvio Innocenti per elaborare un progetto di Statuto per il Trentino-Alto Adige, che fu
consegnato ai partiti politici trentini dopo sei mesi di lavoro. In questa proposta si sopprimevano
le due province (Trento e Bolzano), si creava la “Regione Tridentina”, con una Assemblea
regionale di 45 membri e una Giunta regionale formata dal presidente e dieci assessori “scelti fra
i deputati dei due gruppi etnici” – quello italiano e quello tedesco –, e si dava a un Comitato
delle minoranze l’ultima parola nel caso dei provvedimenti relativi ai “diritti delle minoranze
etniche” che non fossero stati approvati all’unanimità dall’Assemblea. Difeso dai democristiani
71 Cfr. G. Caprotti, Alto Aldige o Südtirol? La questione altoatesina o sudtirolese dal 1945 al 1948 e i suoi sviluppi: studio degli archivi diplomatici francesi, Milano, Franco Angeli, 1990.72 Regione Trentino-Alto Adige/Region Trentino-Südtirol, A 30 anni della firma dei Patti De Gasperi-Gruber, cit., p. 13.73 L’Accordo di Parigi fu inserito come Allegato IV nel Trattato di Pace firmato a Parigi il 10 febbraio 1947. L’Assemblea Costituente italiana lo approvò il 31 luglio 1947, con 262 voti a favore e 68 contro.
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e dai liberali, il progetto Innocenti fu analizzato con molta cautela dal blocco di sinistra, di cui
facevano parte i comunisti e i socialisti trentini, che proposero all’Associazione Studi
Autonomistici Regionali (ASAR) l’elaborazione di un progetto alternativo.74
L’ASAR, riconosciuta ufficialmente dall’Allied Military Government (governo di
occupazione alleato) nel settembre 1945, si autodefiniva come un movimento “prettamente
trentino”, “democratico” e “indipendente da ogni partito politico”; una chiara idea degli
obiettivi dell’associazione si evince dalla frase che sintetizza il suo programma: “Entro i confini
dell’Italia repubblicana e democratica, Autonomia Regionale Integrale da Ala al Brennero”.75
Lo schema di Statuto per l’autonomia della Venezia Tridentina, elaborato dall’ASAR, venne
reso noto poche settimane dopo, nello stesso luglio 1946; anch’esso prevedeva l’istituzione della
Regione unica, con un’Assemblea di 45 membri e una Giunta costituita dal Presidente e dagli
assessori, dei quali almeno un terzo doveva essere del gruppo linguistico minoritario, e
contemplava l’istituzione del Comitato delle minoranze, con parità numerica dei due gruppi
etnici, che avrebbe avuto le stesse fuzioni previste nella proposta della commissione Innocenti. Il
progetto dell’ASAR estendeva l’autonomia regionale a tutti i campi dell’amministrazione,
compresi quello fiscale e quello della pubblica sicurezza, affidata a un corpo di polizia regionale.
L’aspetto più innovativo era l’introduzione di istituti di democrazia diretta quali il referendum
popolare e il diritto di iniziativa in materia legislativa.76
Dopo questa prima bozza di Statuto, nel maggio 1947 vide la luce un secondo progetto di
Statuto del Trentino e del Tirolo del Sud, anch’esso presentato dall’ASAR. Anche in questa
nuova proposta era contemplata l’istituzione della Regione Tridentina e, per garantire ai tre
gruppi etnici (all’italiano e al tedesco, si aggiungeva quello ladino77) il rispetto dei loro diritti,
venivano previste le Curie Etniche, costituite dai deputati regionali appartenenti al rispettivo
gruppo etnico e alle quali venivano riservate le competenze in materia di scuola, nomenclatura
toponomastica, folklore, tutela del paesaggio, attività culturali, ricreative e sportive.78 Da parte
della Südtiroler Volkspartei (SVP), il partito che rappresentava i tedeschi della provincia di
Bolzano, i quali non avevano rappresentanti alla Costituente79, non giunse il sostegno atteso
dall’ASAR. E’ opportuno notare che la SVP aveva respinto anche il progetto Innocenti; il partito
74 Cfr. A. Vadagnini, Gli anni della lotta: guerra, resistenza, autonomia (1940-1948), in “Storia del Trentino contemporaneo. Dall’annessione all’autonomia”, direzione di O. Barié, Vol. 2, Trento, Associazione Trentina di Scienze Umane, 1978, p. 410.75 R. Defant, Chi siamo e cosa vogliamo, in “Autonomia”, 24 novembre 1945, n. 2, p.1. Citato in D. Fedel, op.cit., p. 254.76 Cfr. A. Vadagnini, op. cit., pp. 410-411.77 I ladini parlano una lingua antica, risalente al XV sec. a.C., derivante dalla fusione del reto col latino. Sono maggioritari nelle valli di Fassa (provincia di Trento), Gardena e Badia (questi ultimi, nella provincia di Bolzano). Cfr. A. Battisti e B. Passarella, Celebrating minorities. Ladini, cimbri e mocheni del Trentino, Bolzano, Il Brennero-Der Brenner, 2005.78 Cfr. D. Fedel, op. cit., pp. 222-231.79 Non avendo potuto partecipare alle elezioni del 2 giugno 1946, in attesa della soluzione del contenzioso tra l’Austria e l’Italia, la popolazione della provincia di Bolzano non era rappresentata all’Assemblea Costituente. La SVP assunse, dunque, il ruolo di garante dei diritti degli abitanti di lingua tedesca di quella provincia e tenne diversi incontri con rappresentanti del governo italiano e della stessa Assemblea Costituente.
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sudtirolese si appellava infatti all’articolo 2 dell’Accordo di Parigi per difendere l’autonomia
della sola provincia di Bolzano. De Gasperi sosteneva, invece, la tesi che l’autonomia del
Trentino-Alto Adige dovesse inquadrarsi nello statuto delle autonomie regionali italiane,
consentendo alla Regione competenze molto più ampie di quelle che avrebbe potuto ottenere la
provincia di Bolzano80.
Quale ultimo tentativo per sbloccare l’impasse politico, il governo italiano nominò una
nuova Commissione di sette esperti presieduta dall’onorevole Ivanoe Bonomi81. Nel giugno 1947
la SVP presentò a questa Commissione la sua proposta, basata sulla creazione di due regioni
autonome, “Südtirol” e “Trentino”, entrambe con una propria Assemblea e una propria Giunta,
che avrebbero potuto deliberare congiuntamente su un certo numero di materie di interesse
comune.82 Questa proposta sovvertiva lo schema di Regione unica previsto dai precedenti tre
progetti. Una bozza preliminare di Statuto, elaborata dalla Commissione dei Sette, fu consegnata
ai partiti politici trentini il 2 novembre 1947, con l’indicazione di non renderlo pubblico. Sia i
partiti italiani che la SVP si mostrarono insoddisfatti di questo nuovo progetto di Statuto
speciale per il Trentino-Alto Adige, che negava addirittura prerogative concesse dalla
Costituzione alle regioni ordinarie, come la potestà in materia forestale e sulle opere di bonifica,
e non trattava un tema di particolare interesse come quello della proprietà sulle acque pubbliche,
di cui parleremo più approfonditamente in seguito. Il 15 dicembre il presidente della
Commissione, Ivanoe Bonomi, presentò a De Gasperi il definitivo progetto di Statuto, che
contemplava importanti modifiche rispetto al progetto preliminare. La SVP lo respinse e il 16
dicembre organizzò una manifestazione di protesta a Bolzano, insistendo sulla presunta
violazione dell’articolo 2 dell’Accordo di Parigi.83
4.1.3. La Commissione dei Diciotto, la SVP e le ultime modifiche al progetto di Statuto
Un ultimo tentativo per trovare una soluzione negoziata al nodo dello Statuto fu
intrapreso da una delegazione della SVP, composta dal presidente Erich Amonn, dal segretario
Josef Raffeiner e dai membri del Comitato di direzione del partito Fiedl Volgger e Karl Tizl,
giunti a Roma nel gennaio 1948. Il loro scopo era quello di introdurre alcune modifiche al
progetto di Statuto, in discussione alla Sottocommissione per gli statuti regionali della
80 Cfr. A. Vadagnini, op.cit., p. 471.81 Gli altri membri della Commissione dei Sette erano Luigi Einaudi (liberale), Gaspare Ambrosini (democristiano), Tomasso Perassi (repubblicano), Giovanni Uberti (democristiano) e i consiglieri di Stato Antonio Sorrentino e Silvio Innocenti (ex prefetto di Bolzano).82 Cfr. A. Canavero, Gli anni della regione (1948-1962) in “Storia del Trentino contemporaneo. Dall’annessione all’autonomia”, direzione di Octavio Barié, Vol. 3, Trento, Associazione Trentina di Scienze Umane, 1978.83 Cfr. A. Canavero, op. cit., pp. 49-50.
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Costituente, la cosiddetta Commissione dei Diciotto84. La pressione dei delegati sudtirolesi riuscì
a far trasferire i due comuni mistilingui, Egna e Salorno, dalla provincia di Trento a quella di
Bolzano (art. 3), costituire due collegi separati – corrispondenti alle due province – per le
elezioni regionali (art. 19) e regolare l’approvazione del bilancio regionale in modo che non
fosse possibile superare l’opposizione della minoranza tedesca all’interno del Consiglio
regionale (art. 73)85.
L’ultimo ostacolo era quello della denominazione ufficiale in lingua tedesca della
regione. I delegati della SVP rinunciarono all’utilizzo della parola “Südtirol” per la
denominazione tedesca dell’Alto Adige, che fu sostuita dalla dizione “Tiroler Etschland”, cioè
Adige tirolese; in cambio, ottennero che il periodo di residenza necessario per poter partecipare
alle elezioni regionali fosse di tre anni (art. 19). I sudtirolesi temevano infatti un massiccio
trasferimento di italiani, che avrebbe favorito il successo delle liste italiane a Bolzano, e
quest’ultimo punto garantiva loro che gli equilibri etnici in quella provincia sarebbero rimasti
immutati.86
In questo clima di maggiore serenità, dopo i risultati positivi dei colloqui tra i
rappresentanti della SVP e i membri della Commissione, si svolse la seduta pomeridiana di
giovedì 29 gennaio 1948, in cui l’Assemblea Costituente fu chiamata a discutere il disegno di
legge costituzionale sullo Statuto speciale per il Trentino-Alto Adige, approvato con legge
costituzionale il 26 febbrario 1948.
4.2. La seduta del 29 gennaio 1948 all’Assemblea Costituente
4.2.1. L’inizio del dibattito: la struttura istituzionale della Regione
Aprendo il dibattito sullo Statuto speciale per il Trentino-Alto Adige, l’onorevole Perassi
– presidente della Commissione dei Diciotto – spiegò ai colleghi che il Trentino-Alto Adige
sarebbe stata, in concreto, una Regione entro i cui confini sarebbero nate “due province con una
relativa autonomia: la provincia di Trento e la provincia di Bolzano”. Aggiunse che
quest’ultima avrebbe assunto “entro l’orbita dell’unità regionale, una configurazione giuridica
tale da poter pienamente rispondere alle esigenze speciali che nascono dell’essere quella zona
84 La Commissione dei Diciotto era presieduta dal repubblicano Tomasso Perassi ed era integrata dai democristiani Gasparre Ambrosini, Elisabetta Conci (unica rappresentante trentina), Giuseppe Fuschini, Egidio Tosato e Giovanni Uberti; dai socialisti Leonetto Amadei, Michele Giua (entrambi del PSI) ed Edgardo Lami Stornuti (PSLI); dai comunisti Antonio Giolitti e Renzo Laconi; dagli autonomisti Emilio Lussu e Giulio Bordon; dal liberale Bruno Villabruna; gli altri membri erano Aldo Bozzi (Unione Democratica Nazionale); Pietro Castiglia (Unione Nazionale); Mario Cevolotto (Democrazia del Lavoro) e Gustavo Fabbri (Gruppo Misto). 85 Cfr. A. Canavero, op. cit., pp. 50-51.
86 Cfr. ibidem, p. 52.
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abitata da una popolazione composta da due gruppi linguistici”.87 La Regione, definita come la
“base della costruzione”, avrebbe avuto al suo interno due enti. Mantenendo l’unità della
Regione Trentino-Alto Adige, che era alla base dello Statuto, le due province avrebbero assunto
– come spiegò il relatore Uberti – una struttura diversa dalle altre province italiane, con una
propria “potestà, per quanto più limitata, di carattere legislativo”; era una sorta di“autonomia
nell’autonomia”, secondo le parole dello stesso Uberti.88
Nel suo intervento, il Presidente del Consiglio Alcide De Gasperi ricordò che il compito
della Costituente era quello di mantenere l’impegno preso a Parigi dall’Italia, assicurando agli
abitanti della zona di Bolzano l’esercizio di un potere autonomo. Egli non dimenticava, tuttavia,
che si dovevano soddisfare anche le aspirazioni della popolazione della provincia di Trento e
aggiungeva che era necessario “garantire anche l’esistenza e tutti i diritti alla minoranza
italiana nella Provincia di Bolzano”. Riassumendo la sua posizione, De Gasperi sottolineò la
necessità di creare “garanzie istituzionali per la minoranza: entro la Regione, dei tedeschi; e
dentro la Provincia di Bolzano, degli italiani”89; egli ebbe inoltre modo di chiarire la portata
dell’espressione “provincia” in questa nuova architettura istituzionale: “Si chiamano province –
i tedeschi traducono ‘land’ – ma, in realtà, sono circondari di carattere speciale”.90 Per
illustrare la particolarità della struttura che si sarebbe creata, soprattutto a Bolzano, Perassi prese
come esempio il Cantone dei Grigioni, in Svizzera, dove – ricordò – “da secoli convivono
insieme liberamente tedeschi, italiani e ladini”.91
Organi della regione sarebbero stati il Consiglio regionale e la Giunta regionale con il suo
Presidente (art. 18). Il Consiglio regionale sarebbe stato eletto con il sistema proporzionale in
due collegi provinciali, quello di Trento e quello di Bolzano. Il numero di consiglieri regionali
sarebbe stato in ragione di uno ogni 15 mila abitanti o frazione superiore ai 7,5 mila (art. 19). Per
l’esercizio del diritto elettorale si contemplava il requisito della residenza nel territorio della
Regione per un periodo ininterrotto di tre anni – la redazione finale dell’articolo 19 diceva “può
essere stabilito il requisito” – che, come ricordiamo, era stata una condizione posta dalla SVP.
La durata della legislatura era prevista in quattro anni e l’attività del Consiglio regionale si
sarebbe svolta in sessioni biennali con sede rispettivamente a Trento e a Bolzano (art. 21); il
presidente del Consiglio regionale in carica nel primo biennio sarebbe stato eletto tra i consiglieri
di lingua italiana e il vicepresidente tra quelli di lingua tedesca; viceversa nel secondo biennio
(art. 24). La Giunta regionale sarebbe stata composta dal Presidente e da assessori effettivi e 87 Atti dell’Assemblea Costituente, cit., CCCLXXI. Seduta di giovedì 29 gennaio 1948, p. 4144.88 Ibidem, p. 4146.89 Ibidem, p. 4147.90 Ibidem, p. 4161.91 Ibidem, p. 4145.
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supplenti, e avrebbe dovuto adeguarsi alla consistenza dei gruppi linguistici rappresentati nel
Consiglio regionale (art. 30).92
Organi delle Province erano il Consiglio provinciale e la Giunta provinciale con il suo
Presidente (art. 41). Il Consiglio provinciale sarebbe stato composto dai membri del Consiglio
regionale eletti nel collegio della rispettiva Provincia (art. 42); nel caso del Consiglio provinciale
di Bolzano, si stabiliva che nel primo biennio di attività il suo presidente venisse eletto tra i
consiglieri di lingua tedesca e il suo vicepresidente fra quelli di lingua italiana; viceversa nel
secondo biennio (art. 43). La Giunta provinciale sarebbe stata composta dal Presidente e da
assessori effetivi e supplenti; nel caso della Giunta provinciale di Bolzano, la sua conformazione
avrebbe dovuto adeguarsi alla consistenza dei gruppi linguistici rappresentati nel Consiglio
provinciale (art. 44).93
4.2.2. Le competenze della Regione: competenza legislativa primaria e secondaria
Non furono presentati emendamenti all’articolo 4 dello Statuto, che fissava le
competenze della Regione, alla quale veniva concessa la potestà di emanare norme legislative –
competenza legislativa primaria – sulle seguenti materie: 1) ordinamento degli uffici regionali e
del personale ad essi addetto; 2) ordinamento degli enti para-regionali; 3) circoscrizioni
comunali; 4) espropriazione per pubblica utilità non riguardante opere a carico dello Stato; 5)
viabilità, acquedotti e lavori pubblici di interesse regionale; 6) miniere, comprese le acque
minerali e termali, cave e torbiere; 7) impianto e tenuta dei libri fondiari; 8) servizi antincendi; 9)
agricoltura, foreste e corpo forestale, patrimonio zootecnico ed ittico, istituti fitopatologici,
consorzi agrari e stazioni agrarie sperimentali; 10) alpicoltura e parchi per la protezione della
flora e della fauna; 11) caccia e pesca; 12) assistenza sanitaria ed ospedaliera; 13) ordinamento
delle camere di commercio; 14) comunicazioni e trasporti di interesse regionale; 15) sviluppo
della cooperazione e vigilanza sulle cooperative; 16) contributi di miglioria in relazione ad opere
pubbliche eseguite dalla Regione e dagli altri enti pubblici compresi nell’ambito del territorio
regionale; 17) turismo ed industrie alberghiere.94
Si stabiliva, nell’articolo 5, che la Regione avrebbe emanato anche norme legislative nei
limiti stabiliti dalle leggi dello Stato legislative – competenza legislativa secondaria – sulle
seguenti materie: 1) ordinamento dei comuni e delle province; 2) istituzioni pubbliche di
assistenza e beneficenza; 3) incremento della produzione industriale e delle attività commerciali;
92 Cfr. ibidem, pp. 4168-41714.
93 Cfr. ibidem, pp. 4172-4173.94 Cfr. ibidem, pp. 4151-4152.
26
4) ordinamento degli enti di credito fondiario, di credito agrario, casse di risparmio e casse rurali,
nonché delle aziende di credito a carattere regionale; 5) utilizzazione delle acque pubbliche; 6)
assunzione diretta di servizi di interesse generale e loro gestione a mezzo di aziende speciali; 7)
opere idrauliche della quarta e quinta categoria; 8) opere di bonifica.95
Riguardo a questo specifico articolo, di fronte all’osservazione del collega Giuseppe
Dossetti (Democrazia Cristiana) sulla possibilità che le leggi regionali avessero potuto derogare
norme stabilite dalle leggi dello Stato, Meuccio Ruini chiarì che nello spirito della Costituzione
vi erano le cosiddette leggi “cornice”, cioè leggi dello Stato che avrebbero dovuto stabilire “dei
limiti entro i quali si potrà sviluppare la competenza, chiamamola legislativa secondaria, della
Regione”. In questo modo, aggiungeva Ruini, non c’era “nessuna possibilità” che le leggi
regionali potessero “contradire alle norme dello Stato”.96
Maggiori polemiche avrebbe suscitato in seguito – anche se tale discussione supera l’arco
temporale del nostro lavoro – l’articolo 14, il cui primo comma recitava: “La Regione esercita
normalmente le funzioni amministrative delegandole alle province, ai comuni ed ai loro enti
locali o valendosi dei loro uffici”.97 La SVP avrebbe dato successivamente, con l’appoggio
dell’Austria, una interpretazione di questo articolo diversa da quella della Democrazia Cristiana,
partito di maggioranza sia nel Trentino che a livello nazionale italiano: secondo i sudtirolesi, la
delega delle funzioni alle Province avrebbe dovuto essere la regola, e l’amministrazione diretta
da parte della Regione l’eccezione; per gli italiani, invece, si trattava soltanto di un semplice atto
amministrativo, lasciato alla discrezionalità della Regione.98
4.2.3. Le competenze delle Province: la questione della scuola
L’articolo 11 faceva riferimento alle competenze delle Province, cui era demandata la
potestà di emanare norme legislative sulle seguenti materie: 1) ordinamento degli uffici
provinciali e del personale ad essi addetto; 2) istruzione postelementare e di avviamento
professionale ad indirizzo agrario, commerciale ed industriale; 3) toponomastica; 4) usi e
costumi locali e istituzioni culturali; 5) manifestazioni artistiche locali; 6) urbanistica e piani
regolatori; 7) tutela del paesaggio; 8) usi civici; 9) ordinamento delle minime proprietà culturali,
incluso l’ordinamento dei “masi chiusi”99 e delle comunità familiari rette da antichi statuti o
consuetudini; 10) artigianato; 11) case popolari; 12) porti lacuali; 13) fiere e mercati; 14) opere
95 Cfr. ibidem, p. 4152.96 Ibidem, p. 4154.97 Ibidem, p. 4165.98 Cfr. A. Canavero, op. cit., pp. 206-207.99 La regola del “maso chiuso” aveva sempre rivestito, in ambito altoatesino, un’importanza notevole; essa prevedeva che l’eredità della proprietà agricola spettasse unicamente al primogenito della famiglia. Cfr. Assessorato all'Agricoltura della Provincia di Bolzano, Il maso chiuso: istituzione giuridico-economico-sociale tra passato e presente, Bolzano, Università delle Alpi Dolomitiche (Upad), 2001.
27
di pronto soccorso per calamità pubbliche. L’articolo 12 conferiva potestà normativa alle
Province “nei limiti indicati nell’articolo 5” – cioè, nei limiti stabiliti dalle leggi dello Stato –
sulle seguenti materie: 1) polizia locale urbana e rurale; 2) scuole materne; istruzione elementare,
media, classica, scientifica, magistrale, tecnica ed artistica; 3) assistenza scolastica100.
L’onorevole Tristano Codignola (Gruppo Autonomista), relativamente al punto 2
dell’articolo 11 e al punto 2 dell’articolo 12, fece notare che l’articolo 117 della Costituzione
italiana appena approvata dava alle Regioni la competenza di “legiferare (...) in materia
d’istruzione artigiana e professionale, e di assistenza scolastica”, sempre nei “limiti della
legislazione dello Stato”, domandandosi perché, nel caso del Trentino-Alto Adige, l’intero
complesso dell’organizzazione scolastica avrebbe dovuto passare “alla competenza legislativa
delle Province”, attribuendo a esse “una ingiustificata posizione di privilegio in materia
scolastica”.101 La posizione di Codignola era condivisa dal socialista Tomaso Tonello, che si
dichiarò contrario a togliere allo Stato italiano la giurisdizione sulle scuole del Trentino-Alto
Adige.102
Perassi, presidente della Commissione dei Diciotto, ricordò a tale proposito che, per il
Trentino-Alto Adige, l’istituto della Regione era stato congegnato “con qualche difformità”
rispetto al tipo comune; infatti, erano state attribuite alle due “cosiddette Province” funzioni che
spettavano in generale alle Regioni, dal momento che esistevano “in quella parte d’Italia delle
situazioni particolarissime determinate dalla composizione delle popolazioni che l’abitano” 103.
Elisabetta Conci (Democrazia Cristiana), unica rappresentante trentina nella Commissione dei
Diciotto, aggiunse che l’Italia non poteva “venir meno” all’Accordo di Parigi, che faceva
espresso riferimento a questo punto. Analogo parere espressero gli onorevoli Giuseppe Maria
Bettiol, Luigi Carbonari e Aldo Moro, del gruppo della Democrazia Cristiana, i quali fecero
presente che, senza l’autonomia scolastica, sarebbe stato inutile parlare di autonomia culturale
per la minoranza di lingua tedesca dell’Alto Adige. Il Presidente del Consiglio, De Gasperi,
intervenne per spiegare che si trattava di introdurre negli organi scolastici “una garanzia
personale (per la minoranza), cioè persone che conoscano bene il tedesco”, fermo restando
l’obbligo di applicare la legislazione dello Stato italiano.104
Spiegando il suo voto favorevole al testo della Commissione, Gustavo Fabbri (Gruppo
Misto) fece notare la differenza tra “scuole che ci sono sempre state (cioè le scuole elementari,
le secondarie e l’insegnamento superiore)” e le “scuole di recente tipo e introduzione”. Delle 100 Cfr. Atti dell’Assemblea Costituente, cit., CCCLXXI. Seduta di giovedì 29 gennaio 1948, p. 4159.101 Ibidem, p. 4159.102 Ibidem, p. 4162.103 Ibidem, p. 4160.104 Cfr. ibidem, p. 4161.
28
prime parlava, appunto, il punto 2 dell’articolo 12, secondo il quale la legislazione provinciale
avrebbe dovuto adeguarsi ai principi fissati dalle leggi dello Stato. Una maggiore libertà sarebbe
stata invece consentita – secondo il punto 2 dell’articolo 11, che prevedeva la competenza
legislativa primaria delle Province – nel caso delle “scuole di tipo moderno”, cioè quelle di
“avviamento professionale ad indirizzo agrario, commerciale e industriale”.105 Fabbri sottolineò
che questa potestà non avrebbe inciso sulla struttura dell’istruzione di primo grado, di secondo
grado e superiore.
Dopo l’intervento del trentino Danilo Paris (Partito Socialista dei Lavoratori Italiani), il
quale propose che la possibilità offerta dal comma 2 dell’articolo 11 venisse concessa
“limitatamente alla provincia di Bolzano”, Codignola si dichiarò favorevole, giacché a suo
avviso per la provincia di Trento non interveniva “nessuna ragione di carattere internazionale”,
presentando il seguente emendamento da inserire nell’articolo 15 dello Statuto106: “La provincia
di Bolzano ha potestà di emanare norme legislative entro i limiti indicati nell’articolo 5 in
materia di istruzione elementare, post-elementare e secondaria”107. In vista del pronunciamento
della Commissione dei Diciotto e del Governo circa il dettato degli articoli 11 e 12, non dando
spazio a nessuna modificazione del testo originale, messa ai voti la proposta ma non fu
approvata.
4.2.4. La Regione e la questione delle acque pubbliche
Anche la questione della gestione delle acque pubbliche108 non mancò di suscitare grandi
discussioni in seno all’Assemblea Costituente; in particolare, oggetto del dibattito furono gli
articoli 10, 62, 63 e 91, riguardanti le “concessioni di grande derivazione a scopo idroelettico”.
L’unica obiezione di fondo sulla materia di questi articoli fu presentata dall’onorevole Francesco
Marinaro (Fronte Liberale Democratico dell’Uomo Qualunque), il quale fece notare che la
Costituzione escludeva l’ingerenza della Regione – anche di quelle Regioni con particolari
condizioni di autonomia, come il Trentino-Alto Adige – in materia di sfruttamento, disciplina ed
uso delle acque pubbliche109. Marinaro non presentò, tuttavia, alcun emendamento e la sua
posizione rimase isolata all’interno dell’Assemblea. Il relatore Uberti spiegò che il testo degli
articoli proposti al voto dell’Assemblea era il frutto del compromesso fra la richiesta di affidare
105 Ibidem, pp. 4160.106 L’articolo 15 dello Statuto speciale per il Trentino-Alto Adige regolava, per la provincia di Bolzano, l’insegnamento in lingua materna nelle scuole materne e nelle scuole d’istruzione elementare, post-elementare, media, classica, scentifica, magistrale, tecnica e artistica. L’ultimo comma di questo articolo prevedeva l’obbligo di insegnamento della lingua italiana, impartito da docenti di madrelingua italiana, nelle scuole con lingua di insegnamento tedesca.107
108107 Atti dell’Assemblea Costituente, cit., CCCLXXI. Seduta di giovedì 29 gennaio 1948, p. 4164.? I due progetti dell’ASAR stabilivano che le acque pubbliche facessero parte del “demanio regionale”, insieme alle foreste, alle miniere, alle cave e alle torbiere, “nulla importando –si aggiungeva– che le une o le altre abbiano già formato oggetto di regolare concessione a terzi”. D. Fedel, op. cit., pp. 218 e 230.109 Cfr. Atti dell’Assemblea Costituente, cit., CCCLXXI. Seduta di giovedì 29 gennaio 1948, p. 4156.
29
alla Regione le concessioni di grande derivazione a scopo idroelettrico e l’interesse superiore di
conservare questo diritto allo Stato; per giungere a questa soluzione, i membri della
Commissione dei Diciotto avevano ritenuto necessario assicurare al Trentino-Alto Adige “una
contropartita” e ciò non per attribuire alla Regione “privilegi particolari”, bensì per
indennizzarla per i danni derivanti dalla costruzione di quegli impianti.110
Si trattava di definire, in primo luogo, la quantità di energia che il concessionario degli
impianti avrebbe avuto l’obbligo di fornire alla Regione. Nel testo originale dell’articolo 10, si
parlava dell’obbligo del concessionario, nelle concessioni accordate successivamente all’entrata
in vigore dello Statuto speciale, di “fornire gratuitamente alla Regione per servizi pubblici o
qualsiasi altro pubblico interesse una quantità pari al sei per cento di quella ricavata dalla
portata minima continua”.111 Per gli usi domestici, artigianali e agricoli, sia nel caso delle
concessioni già accordate che in quelle da accordarsi, i concessionari sarebbero stati vincolati
alla fornitura “al prezzo di costo” di una quantità di energia che, nel testo originale veniva
stabilita al 6%, ma che sarebbe stata elevata successivamente al 10% grazie all’opera del relatore
Uberti.
Su proposta dell’onorevole Tito Oro Nobili (Partito Socialista Italiano), la discussione di
questo articolo fu rinviata al momento dell’esame degli articoli 62, 63 e 91, anch’essi riguardanti
le acque pubbliche e gli impianti elettrici. Il dibattito riprese, in coda agli altri articoli dello
Statuto, al momento di votare l’articolo 91.
A quel punto, il democristiano Bortolo Pat presentò un emendamento dei primi due
commi, che riservava direttamente alla Regione “a prezzo di costo, per servizi pubblici o
qualsiasi altro pubblico interesse, nonché per usi domestici, l’artigianato e l’agricoltura della
Regione stessa, una quantità di energia non superiore al 12 per cento di quella ricavata dalla
portata minima continua”.112 Dossetti propose, con un altro emendamento, sia di sostituire nel
testo originale l’espressione “pari al sei per cento” con la dizione “fino al sei per cento”, sia di
eliminare le parole “qualsiasi altro pubblico interesse” al fine di evitare che tale quota fosse
impiegata per altri scopi “molto lontani rispetto a quello dei servizi pubblici, ove si volesse fare
una lata interpretazione della già latissima frase ‘qualsiasi altro pubblico interesse’”.113 A sua
volta, il ministro Corbelli presentò un emendamento aggiuntivo per esentare le Ferrovie dello
110 Cfr. ibidem, p. 4157.111 Ibidem, p. 4155.112 Ibidem, p. 4184.113 Ibidem, p. 4185.
30
Stato dall’obbligo previsto nell’articolo 10, “nei riguardi dell’energia prodotta e utilizzata per i
propri servizi”.114
Uberti, a nome della Commissione dei Diciotto, modificò nel testo dell’articolo 10
l’espressione “pari al sei per cento” con quella proposta da Dossetti “fino al sei per cento”,
lasciando questa quantità di energia come limite massimo, e accolse l’emendamento aggiuntivo
del ministro Corbellini riguardante le Ferrovie dello Stato; tuttavia non venne eliminata
l’espressione “qualsiasi altro pubblico interesse”, come chiesto da Dossetti, perché si volle
lasciare alla Regione una certa flessibilità nell’utilizzo dell’energia ad essa riservata115.
L’Assemblea approvò, dunque, l’obbligo per le concessioni accordate successivamente
all’entrata in vigore dello Statuto della fornitura gratuita di “una quantità di energia fino al sei
per cento” di quella ricavata dalla portata minima continua per “servizi pubblici o per qualsiasi
altro pubblico interesse” (art. 10, comma 1); inoltre, sia per le concessioni già accordate che per
quelle ancora da accordarsi, fu prevista la fornitura al prezzo di costo di una “quantità di energia
nella misura del dieci per cento” per “usi domestici, per l’artigianato o per l’agricoltura” (art.
10, comma 2)116.
L’articolo 62 determinava la cessione dello Stato a favore della Regione dei nove decimi
dell’importo del canone annuale dovuto dai concessionari delle grandi derivazioni di acque
pubbliche presenti nel territorio del Trentino-Alto Adige. Con gli articoli 63 e 91 dello Statuto
Speciale si prevedeva la possibilità per la Regione di stabilire un’imposta per ogni chilowatt-ora
di energia elettrica prodotta nel suo territorio e veniva ridimensionata l’applicazione nel territorio
trentino-altoatesino del testo unico delle leggi sulle acque pubbliche e sugli impianti idroelettrici
(decreto n. 1775 del 11 dicembre 1933117), eliminando nell’ambito della Regione la previsione di
applicazione dell’articolo 53 del testo unico del 1933, che conferiva al Ministro per le Finanze la
possibilità di stabilire un canone annuo, a carico del concessionario, a favore dei Comuni
rivieraschi e delle rispettive Province, dal momento che, a norma dell’articolo 62 dello Statuto
speciale, lo Stato trasferiva alla Regione Trentino-Alto Adige i nove decimi dell’importo del
canone e lasciava aperta, nell’articolo 63, la possibilità di stabilire un’ulteriore imposta regionale
per ogni chilovatt-ora di energia elettrica prodotta nel suo territorio.
Dossetti si oppose a questo provvedimento, ribadendo che la soppressione dell’articolo
53 del testo unico del 1933, oltre ad essere in contrasto con i “principi di unitarietà di direttive
114 Ibidem, p. 4186.115 Cfr. ibidem, p . 4194.116 Ibidem, p . 4195-4196.117 Il testo del Regio Decreto 11 dicembre 1933 n. 1775 è consultabile sul sito web del Ministero della Giustizia. Cfr. http://www.giustizia.it/cassazione/leggi/rd1775_33.html
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dell’economia nazionale”118, avrebbe attribuito alla Regione Trentino-Alto Adige un potere al di
là dei principi disposti dalla Costituzione. A sua volta, il ministro Corbellini presentò la richiesta
di esentare le Ferrovie dello Stato dall’imposta regionale, prevista dall’articolo 63 dello Statuto
speciale, riguardo“l’energia prodotta e utilizzata per i propri servizi”119. Questa proposta fu
accettata dalla Commissione, che però respinse l’emendamento di Dossetti. Messi ai voti, furono
approvati sia l’articolo 62, relativo alla cessione dello Stato in favore della Regione dei nove
decimi dell’importo del canone annuale sulle concessioni di grandi derivazioni di acque
pubbliche, sia gli articoli 63 e 91, che ridimensionavano l’applicazione del testo unico del 1933.
4.2.5. La finanza e il bilancio della Regione
Essendo il Trentino Alto-Adige una Regione a Statuto speciale, la questione della finanza
e del bilancio era e continua ad essere un nodo centrale della sua autonomia. Tuttavia, nel corso
del dibattito all’Assemblea, il tema non suscitò le stesse polemiche che avevano prodotto, ad
esempio, le questioni della scuola e delle acque pubbliche. Infatti, gli articoli corrispondenti al
titolo VI dello Statuto,“Finanza della Regione e delle Province”, furono rapidamente approvati.
Gli articoli 59 e 60 stabilivano la devoluzione alla Regione dei “proventi delle imposte
ipotecarie percette nel suo territorio” (art. 59) e di “una percentuale del gettito del lotto, dei
monopoli e delle tasse e imposti sugli affari, riscosso nel territorio della Regione” , percentuale
che sarebbe stata determinata “ogni anno d’accordo fra il Governo e il Presidente della Giunta
regionale” (art. 60).120 Mortati domandò se questo accordo avrebbe impegnato il Parlamento, e il
relatore Uberti rispose che, essendo una proposta del Governo, avrebbe potuto essere respinta dai
legislatori; Mortati prese dunque atto che si trattava di un “accordo amministrativo” che il
Parlamento avrebbe potuto eventualmente derogare.
L’articolo 61 indicava la devoluzione alla Regione “dell’importo dell’imposta
governativa sul consumo dell’energia elettrica e del gas”. A seguito dell’intervento
dell’onorevole Tomaso Corsini (Unione Nazionale), il quale aveva fatto notare che nell’articolo
non si specificava se si trattasse dei proventi dell’imposta riscossi nel Trentino-Alto Adige
oppure in tutta l’Italia, intervenne il Ministro delle Finanze Giuseppe Pella con la richiesta di
aggiungere le parole “nella Regione”; a sua volta, l’onorevole Paris propose di inserire una nota
che facesse riferimento all’imposta governativa “sull’energia consumata nella Regione”. La
redazione finale, su indicazione di Pella, fu la seguente: “È devoluto alla Regione l’importo
dell’imposta governativa riscossa nella Regione per l’energia elettrica e il gas consumati nella
118 Cfr. Atti dell’Assemblea Costituente, cit., CCCLXXI. Seduta di giovedì 29 gennaio 1948, p. 4195.119 Atti dell’Assemblea Costituente cit., CCCLXXI. Seduta di giovedì 29 gennaio 1948, p. 4186.120 Ibidem, pp. 4176.
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Regione stessa”.121 L’articolo 64 prevedeva la possibilità di stabilire, da parte della Regione,
“un’imposta di soggiorno, cura e turismo”; mentre il 65 aveva ad oggetto la facoltà regionale di
“istituire con legge tributi propri in armonia coi principi dei sistemi tributari dello Stato e di
applicare una sovraimposta sui redditi dei terreni e fabbricati”.122 L’articolo 66 conferiva alla
Regione la facoltà di “emettere prestiti interni da essa esclusivamente garantiti per provvedere
ad investimenti in opere di carattere permanente per una cifra non superiore alle entrate
ordinarie” 123.
Gli articoli 67 e 68 stabilivano la devoluzione alle Province di Trento e Bolzano dei nove
decimi del gettito delle imposte erariali sui redditi dei terreni, dei fabbricati e agrari (art. 67), e
dell’imposta sui redditi di ricchezza mobile riscossa nei loro territori (art. 68). In base al dettato
dell’articolo 69, la Regione avrebbe avuto facoltà di “autorizzare con legge aumenti di imposte,
di tasse e di contributi, comprese le imposte di consumo spettanti ai Comuni e alle Province,
nonché le eccedenze delle sorvrimposte fondiarie, nella misura necessaria a conseguire il
pareggio dei bilanci”.124 L’articolo 70 dello Statuto riguardava l’assegnazione annuale alle
Province, da parte del Consiglio regionale, di una “quota delle entrate tributarie della Regione
in proporzione del gettito ricavato rispettivamente nel territorio delle due Province”125.
L’ultimo punto che intendiamo esaminare è quello relativo al bilancio della Regione,
regolato dall’articolo 73. Come già sottolineato, la revisione delle modalità di approvazione della
legge sul bilancio regionale era stata una delle richieste avanzate dai rappresentanti della SVP
alla Commissione dei Diciotto. La redazione finale, definita in accordo tra il partito sudtirolese e
la Commissione e approvata dall’Assemblea Costituente, recitava:“Per l’approvazione è
necessario il voto favorevole della maggioranza dei consiglieri della provincia di Trento e di
quelli della provincia di Bolzano. Se tale maggioranza non si forma, l’approvazione stessa è
data al Ministero dell’Interno”.126 Si trattava di un punto sensibile per la minoranza di lingua
tedesca, la quale si assicurava in questo modo di avere un peso determinante che le avrebbe dato
un eventuale potere di veto nei confronti della maggioranza italiana della provincia di Trento.
5. Conclusioni
121 Ibidem, pp. 4178.122 Ibidem, pp. 4178.123 Ibidem, pp. 4177-4178.124 Ibidem, p. 4179.125 Ibidem, p. 4179.126 Ibidem, p. 4179.
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Il dibattito in seno alla Costituente sulle autonomie locali fu condizionato, sin dall’inizio,
dalle critiche rivolte da un’ampia maggioranza dei deputati che ne facevano parte al modello di
Stato accentratore dell’Italia postunitaria, ulteriormente rafforzato dal regime fascista. Pertanto,
prevalsero, all’interno dell’Assemblea, le posizioni favorevoli alla creazione dell’ente regione
come persona giuridica territoriale, istituto assente fino a quel momento nell’ordinamento
istituzionale italiano.
Si dovette, allo stesso tempo, determinare il tipo di competenze da attribuire al neonato
ente. Furono sconfitti i difensori del modello federalista, che, riprendendo le idee di Carlo
Cattaneo, avrebbero voluto fare dell’Italia una Confederazione di Stati sul modello degli Stati
Uniti, oppure un insieme di Cantoni sul modello della Svizzera. Alla fine, la via scelta dai
costituenti fu quella di costituire le Regioni come “enti autonomi con propri poteri e funzioni”
che sarebbero stati definiti dalla stessa Costituzione (art. 115); in tal modo, era lo Stato che
decentrava il potere nelle Regioni e non viceversa, come avrebbero voluto i federalisti. Furono
attribuite a cinque regioni – le due Isole e le zone di confine con presenza mistilingue – “forme e
condizioni particolari di autonomia, secondo statuti speciali adottati mediante leggi
costituzionali” (art. 116).
Il Trentino-Alto Adige era, insieme alla Sicilia, alla Sardegna, al Friuli-Venezia Giulia e
alla Valle d’Aosta, una delle regioni alle quali fu riconosciuta una forma particolare di
autonomia. Come abbiamo visto, il percorso che portò all’approvazione dello Statuto speciale
del Trentino-Alto Adige non fu semplice. Dopo la firma dell’Accordo di Parigi tra Alcide De
Gasperi e Karl Gruber, si accentuarono le divergenze tra il governo italiano e il partito di raccolta
della minoranza alloglotta della provincia di Bolzano (la SVP). Aspri furono anche i contrasti tra
il modello di “autonomia regionale integrale” proposto dall’ASAR e la più ristretta autonomia
concessa dall’Assemblea su proposta della Commissione dei Sette nominata dal governo De
Gasperi.
L’approvazione dello Statuto speciale rappresentò, secondo Armando Vadagnini, “una
specie di transazione tra il governo e le popolazioni locali, poiché da una parte venivano
garantiti i diritti di una minoranza etnica nel rispetto di un impegno assunto in sede
internazionale, dall’altra, invece, era evitata la concessione di un’autonomia territoriale
separata per l’Alto Adige”127. Il tempo avrebbe poi dimostrato l’ambiguità della decisione presa
dall’Assemblea Costituente, che era stata motivata dalla necessità di trovare un punto di
equilibrio tra le domande della minoranza di lingua tedesca dell’Alto Adige, tutelata
127 A Vadagnini, La lunga strada dell’autonomia, in “Quaderni del Trentino”, marzo 1998, n. 105, p. 85.
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dall’Accordo di Parigi, e l’interesse nazionale dell’Italia di mantenere inalterata la frontiera del
Brennero.
Le incomprensioni tra la maggioranza italiana e la minoranza tedesca all’interno della
Regione derivarono dalla diversa interpretazione, che gli uni e gli altri diedero, dell’Accordo di
Parigi e di alcuni articoli dello Statuto speciale del 1948, come, ad esempio, quello che avrebbe
permesso di decentrare, conferendole alle Province, le funzioni amministrative della Regione
(art. 14 dello Statuto speciale).
Si deve però dare merito ai costituenti del 1946-1948 per il lavoro compiuto, in un
periodo assai difficile per la storia italiana ed europea, perché, lontani dalle posizioni
nazionalistiche, dimostrarono che era ancora possibile la convivenza pacifica, anche nei dissensi,
tra popoli di culture diverse in un territorio di confine che era stato campo di battaglia della
Prima guerra mondiale (1915-1918) e scenario negli anni successivi degli abusi, sia del regime
fascista (1922-1943), sia di quello nazista (1943-1945).
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