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Facolt di Economia

Cattedra di Economia e Gestione delle Imprese

LINTERNAZIONALIZZAZIONE DEL BUSINESS DEL VINO

Relatore:Prof. Matteo Caroli

Candidato:Alessandra Tiberio matr. 128501

ANNO ACCADEMICO 2008/2009

INDICE GENERALE

PrefazionePag. III Introduzione... VI

1. Dalle origini ai nostri giorni 1.1 Istantanee dal settore del vino... 2. Il mercato mondiale del vino. Dualismo tra vecchio e nuovo mondo 2.1 Produzione e consumo di vino nel mondo. 2.2 LItalia e i paesi extra europei: produzione e consumo a confronto.. 2.3 Frontiere aperte al vino italiano sui mercati asiatici 2.3.1 Il business del vino abbandona lEuropa per emigrare in Cile, Argentina e Australia.. 3. Linternazionalizzazione delle piccole e medie imprese vinicole italiane 3.1 Lo sviluppo internazionale delle Pmi vinicole. 3.2 Le principali ragioni per divenire internazionali.. 3.3 Delocalizzazione produttiva: unopportunit da non sottovalutare... 3.4 I modelli di crescita allestero delle Pmi vinicole 4. Strategie di marketing del vino per i mercati esteri24 26 29 31 8 3

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4.1 Vino e territorio: la trasformazione dei valori territoriali in valori di mercato 4.1.1 Strategie e ruolo del marketing territoriale: il branding del valore.... 4.2 Dal marketing al marketing mix del vino..

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4.3 P di product.... 4.3.1 Il posizionamento sensoriale dei vini: il management della qualit. .. 4.3.2 Consumi di alta qualit nella terra del Bel Paese......... 4.3.3 Italiani e vino: un rapporto di fiducia. 4.3.4 Il vino dealcolato: ultima novit dal settore sul fronte della produzione...... 4.4 P di price.... 4.4.1 La determinazione del prezzo e il metodo delle 3C.... 4.4.2 La sensibilit al prezzo..... 4.5 P di promotion. Tecniche di valorizzazione dei brand vitivinicoli. 4.5.1 Il packaging del lusso.... 4.6 P di placement. Strategie di distribuzione e logistica globale.. 4.6.1 Principali tendenze nel canale retail e gdo. 5. Le principali strategie competitive finalizzate al rilancio del vino Made in Italy a livello internazionale

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5.1 La gestione del brand: strategie per il conseguimento di un alto vantaggio competitivo.. 70 5.1.1 Cenni storici sulla marca e funzioni attuali degli intangibles........ 71 5.1.2 Definizione di marca e fasi dello sviluppo moderno... 73 5.1.3 Politiche di branding nel settore vitivinicolo: strategia informativa, trasformativa ele promozioni.. 75

5.1.4 Come costruire la brand identity...

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5.1.5 Il valore della marca e la costruzione della brand equity.... 81 5.1.6 Limmagine del vino: la forza nel brand o nel territorio? ... 84 5.2 Il rilancio del vino italiano attraverso la strategia delle Sei Esse.. 5.3 Dalla competizione alla collaborazione... 91 92

Conclusioni personali..... 94 Bibliografia... 98

Capitolo 1

DALLE ORIGINI AI NOSTRI GIORNISommario: Introduzione. 1. Istantanee dal settore del vino

Introduzione. Dalla terra al calice: il risultato di un prezioso binomio tra il paziente e attento lavoro delluomo e la generosit del territorio.Prelibata bevanda di origini antichissime, il vino rappresenta un tassello importante della nostra cultura ed economia. Raccontando la sua storia, si narra quella di un intero territorio, a cui la vite profondamente legata, e quella della gente che da sempre la lavora pazientemente. Il lavoro lento e attento che accompagna la coltivazione, la raccolta, la vinificazione e lattesa, si sposa oggi con la rinnovata cultura che alla quantit ha sostituito il valore della qualit. Sempre pi viva ormai la passione nei confronti di una bevanda che, attraverso il rito della degustazione, abbinata ai piatti tipici della nostra terra, pu essere esaltata in mille modi diversi accompagnando degnamente banchetti eleganti e gioviali. La consapevolezza di un prodotto di ottima qualit si abbina inoltre alla rinnovata attenzione nei confronti degli effetti benefici di una bevanda che, se assunta in quantitativi adeguati, pu aiutare nella prevenzione di numerose malattie. Concedersi un buon bicchiere di vino rappresenta non solo un piacere del palato, ma ai pi attenti, infatti, pu svelare numerosi sapori, quelli della propria terra e della propria cultura. Un aspetto molto importante della globalizzazione lo spostamento sia degli input che delle conoscenze da unarea prestabilita, quella in cui si ritiene sorse la prima uva da vino, a nuove aree di applicazione.

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La storia della vite intimamente intrecciata a quella delluomo e risulta quindi difficile tracciarne il percorso fino allepoca moderna. Alcuni rinvenimenti archeologici hanno dimostrato che questa pianta rampicante, denominata scientificamente vitis vinifera, cresceva spontaneamente nelle foreste tra il Mar Caspio e le vette himalayane gi 300.000 anni fa. Anche la storia del vino muove i primi passi in Oriente, dove inizia a rinvenire nellEt del Bronzo, tra il 3400 e 2100 a.C., una vite non pi spontanea ma domestica in zone come lEgitto, la Giordania e la Palestina dove mai era cresciuta prima. Luomo quindi aveva cominciato a coltivarla perch ne aveva scoperto il valore e, in particolare, le potenzialit del suo succo che, grazie agli effetti inebrianti e benefici che infondeva in chi lo beveva, viene da subito caricato in unaura mistica e religiosa. Infatti, presente con affini significati nelle tradizioni e nella simbologia di molte religioni: nella Genesi, appena sceso dallarca, No pianta una vigna per ottenere del vino; nel folto e variegato olimpo greco c il dio Dioniso, scopritore del vino e grande bevitore assieme al suo immancabile corteo di baccanti; nella mitologia romana questo ruolo era svolto dal dio Bacco mentre gli Egizi ne attribuivano la scoperta a Osiride, dio dellagricoltura. Bevanda dal carattere sacrale dunque, e per questo riservata a pochi eletti nonch a particolari contesti sociali. Grazie ai Greci e poi ai Fenici, la maggior parte delle conoscenze relative alla coltivazione delle migliori specie di uva da vino si diffuse gradualmente verso Occidente, seguendo le rotte del commercio marittimo. A intraprendere la successiva coltivazione nel Centro Italia furono gli Etruschi, utilizzando variet originarie del posto a partire dallottavo secolo a.C. Tuttavia, la vera produzione di vino venne introdotta dai Romani nella Francia meridionale intorno al 600 a.C. per poi diffondersi in quello che oggi chiamiamo il Vecchio Mondo e nel Nord Africa. Con i Romani la produzione di vino aument e il suo uso divenne appannaggio anche dei ceti pi bassi della societ. Particolare interessante che in questepoca il vino non era bevuto puro ma allungato con dellacqua (il verbo miscere indica sia lazione del versare sia, contestualmente, quella del mescolare) e aromatizzato con spezie. Non solo. Il suo gusto era sciropposo, denso e di alta gradazione in quanto veniva sottoposto a processi di ebollizione per poterlo conservare pi a lungo allinterno di recipienti di terracotta rivestiti di pece. La discesa dei Barbari, alla fine del III secolo, comport un periodo buio e difficile per il vino che fu superato nei consumi dalla birra, una bevanda legata alle tradizioni e alla cultura nordica allora dominatrice. Soltanto i monaci continuarono a coltivare la vite nei pressi delle abbazie, dei conventi e dei monasteri: la scelta era dettata soprattutto da motivi pratici in quanto il vino era un elemento essenziale nella celebrazione della messa e, in particolare, nel rito delleucarestia dove veniva offerto a tutti i partecipanti e non solo al prete officiante. Da questo momento in poi il vino, in quanto bene di particolare pregio, viene conservato nei seminterrati e nelle cantine e non pi, come 2

accadeva prima, allinterno della casa o nel solaio. La rinascita del vino cominci alla fine dellanno mille con la ripresa del commercio quando era, assieme alla lana, uno dei beni pi richiesti dalla nascente borghesia. La fortuna di una bevanda come il vino fu favorita anche dalle cattive condizioni igieniche dellacqua dovute alle rudimentali tecniche di estrazione. Nel Seicento, sotto la nuova agguerrita concorrenza di bevande come la cioccolata, il t e il caff, e con lenorme diffusione della birra e dei distillati in genere, il vino fu sottoposto ad ulteriori processi migliorativi specie per quanto riguarda le tecniche di produzione e conservazione. Questi miglioramenti proseguirono nel Settecento quando la fiducia nella scienza port i chimici a fare studi specifici, come quelli di Lavoisier, sulla trasformazione dello zucchero in alcol. Di questi fenomeni il Medio Oriente e il mondo arabo non furono mai particolarmente toccati per motivi religiosi legati al Corano. Al contrario, i primi esploratori del Nuovo Mondo introdussero le tecniche di coltivazione delle viti da vino in Sud America per poi risalire verso Nord fino allo Stato della California, considerato tuttoggi terra di ottimi raccolti (basti pensare ai vini di Napa Valley). NellOttocento, infine, la produzione di uva e di vino raggiunse lAustralia e la Nuova Zelanda, garantendo cos unampia copertura su tutto il globo. Si noti bene che con lespressione Vecchio Mondo si vuol intendere linsieme delle produzioni vinicole che possiedono una lunga storia e cultura in materia, come lItalia, la Francia, la Spagna e il Portogallo. Con il termine Nuovo Mondo ci si riferisce, allopposto, alle nazioni che solo di recente si sono affacciate sullo scenario internazionale come Australia, Nuova Zelanda, California, Cile e Sud Africa. Pur essendo storicamente lontane dalla viticoltura mediterranea, queste vaste localit beneficiano di tecnologie davanguardia e di vitigni di successo tali da mettere in crisi le prestazioni dei vecchi territori del vino, continuamente chiamati a rinnovare i loro vigneti e ad adeguare la produzione, sia in termini di competitivit qualitativa che commerciale, purch adeguata ai gusti del mercato. Oggi, piuttosto che in passato, lattrazione per il mondo del vino raggiunge i massimi livelli. A dimostrarlo il prestigioso meccanismo che ruota attorno al business del vino, talmente articolato da renderlo un caso straordinario di globalizzazione.

1.1 Istantanee dal settore del vinoIn primo piano: la globalizzazione del settore. Un fenomeno vecchio come il mondo, ma che negli ultimi decenni ha subito una fortissima accelerazione, pressappoco in tutti i settori delleconomia 3

domestica e mondiale. A provocarla due importanti concause: levidente riduzione dei costi di comunicazione e di trasporto, e labolizione di numerose barriere doganali e protezionistiche nei principali paesi del mondo. Senza dimenticare che la globalizzazione ha potuto manifestarsi anche grazie alla maggior diffusione della lingua inglese allinterno della popolazione mondiale: un elemento, questo, che ha sempre avuto un certo ruolo nel determinare il successo degli stati produttori del Nuovo mondo. Studiosi ed esperti di settore, nel definire il fenomeno della globalizzazione allinterno del mercato del vino, sono soliti offrire opinioni divergenti. C chi lo considera positivamente e cio come la riduzione dei costi di transazione facendo business in tutte le parti del mondo per preservare risorse; e c chi lo ritiene uno dei peggiori mali delleconomia mondiale: perch ha accentuato nel tempo le differenze tra paesi ricchi, che continuano a prosperare, e quelli poveri che seguitano a indietreggiare; perch ha condotto allomogeneizzazione dei bisogni e dei prodotti; perch ha provocato la scomparsa delle piccole aziende a favore delle multinazionali; perch ha comportato il passaggio dalla soddisfazione di una richiesta individualistica a una domanda mondiale. A prescindere dalle diverse interpretazioni, sono tre gli effetti della globalizzazione1 maggiormente riconosciuti allinterno del settore vinicolo: la crescita del livello di concentrazione del settore, contraddistinto da operazioni di fusione e di acquisizione tra imprese per potersi rafforzare in un business sempre pi competitivo; la trasformazione da piccole aziende a multinazionali per resistere alla crescente concorrenza; il trasferimento della tecnologia a livello internazionale. Tale flusso di tecnologia enologica incentivato non solo dallo sviluppo delle multinazionali ma anche dallopera dei produttori di vino che esportano le proprie tecniche vinicole in tutto il mondo attraverso viaggi e permanenze tra un paese e laltro operando come consulenti del settore. Le preannunciate conseguenze hanno letteralmente messo in crisi il mercato del vino, costringendolo ad adeguarsi a un contesto prettamente globale. E non finita, perch la globalizzazione oggi non ha solo leffetto di incentivare gli scambi internazionali di vino, ma anche di diffondere in ogni angolo del globo la stessa tecnologia e know how, sia in campo agronomico che di vinificazione, affinamento e imbottigliamento. doveroso chiedersi a questo punto: in che modo la globalizzazione ha messo in crisi il mercato del vino; e come cambia la sua struttura in un tale contesto? Quali sono, dunque, le principali cause che hanno trasformato le tecniche di produzione e le abitudini di consumo ormai consolidate nella cultura dei popoli? In sostanza, chi sono i veri consumatori e produttori di vino nel 2009? Per trovare risposta a queste domande opportuno dare uno sguardo ai numeri dellanno appena trascorso e a quelli degli anni precedenti, in altre parole ai dati sulla produzione e sul consumo di vino nei principali paesi europei ed extra1

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europei. Per fortuna il fenomeno della globalizzazione funziona a due vie perch, oltre ad avere recentemente creato nuove opportunit per i vini del Nuovo mondo in Europa - i quali non trovano difficolt a sbarcare sulle coste del mare del Nord- ha anche consentito alle nostre aziende di fare altrettanto sui mercati esteri.

Il vino uno dei maggiori segni di civilt al mondo. Ernest Hemingway

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Capitolo 2

IL MERCATO MONDIALE DEL VINO. DUALISMO TRA VECCHIO E NUOVO MONDOSommario: Introduzione. 1. Produzione e consumo di vino nel mondo. 2. LItalia e i paesi extra europei: produzione e consumo a confronto. 3. Frontiere aperte al vino italiano sui mercati asiatici. 3.1 Il business del vino abbandona lEuropa per emigrare in Cile, Argentina e Australia.

Introduzione. La battaglia per la conquista dei mercati non si combatte pi solo sul fronte di una qualit del vino pi o meno percepita e identificabile. Vecchio e Nuovo mondo si confrontano al fine dindividuare strategie differenziate per consumatori e media.La ricreazione finita. Dopo anni di bengodi a tutti i livelli durante i quali le aziende hanno registrato crescite a doppia cifra e la sete del pubblico pareva non aver limiti n di spesa, n di consumi, il ritorno alla realt dei pi bruschi. La generale congiuntura economica sfavorevole, i problemi di cambio euro-dollaro e una situazione politica planetaria quanto meno traballante, contribuisce a tracciare un quadro poco sereno per la produzione vinicola dei paesi tradizionali produttori. A ci si aggiungono le ansie che stanno creando gli stati cosiddetti nuovi produttori, la cui concorrenza, da minaccia che era, si trasformata in dura quotidianit con la quale il Vecchio Mondo si trova a fare i conti. Nel Vecchio Mondo il vino costa. Al produttore, ma ancor pi al consumatore finale. Il quale, in tempi dincerta economia come gli attuali, smette di fare il grande e il munifico e sta attento a quello che compra e soprattutto a quanto lo paga. Anche il produttore fa i suoi conti: taglia, riduce le spese, ripensa le sue strategie produttive e commerciali nellintento di rosicchiare margini l dove possibile, il pi possibile. Il mercato del vino visto nella sua dimensione internazionale, ha subito negli ultimi trentanni importanti modifiche quantitative, sia nelle aspettative qualitative e strutturali da parte del pubblico e del mercato, trovandosi oggi in una fase di assestamento nella quale i soggetti interessati devono rimodulare strategie e comportamenti. 6

Elemento rilevante di questa evoluzione la crescita degli scambi internazionali e la realizzazione di un sistema vino mondiale pi articolato di quanto fosse trentanni fa e nel quale lequilibrio di mercato dei principali paesi produttori fortemente influenzato dalla performance delle esportazioni. Il sistema vino appare pi articolato perch sono aumentati i paesi con un forte orientamento allesportazione, grazie alla nuova vocazione di quei produttori che ormai vengono definiti comunemente, nel loro insieme, il Nuovo Mondo del vino, cui appartengono principalmente gli Stati Uniti, lAustralia, lArgentina, il Cile, la Nuova Zelanda e il Sud Africa. Laffermarsi sulla scena internazionale del vino di questi Paesi ha determinato un nuovo scenario competitivo che viene spesso letto attraverso uno schema interpretativo che vede una contrapposizione tra il Nuovo Mondo del vino e un Vecchio Mondo costituito principalmente dai Paesi produttori dellUnione Europea. In realt lo scenario competitivo molto pi complesso di quanto possa apparire, e non riducibile al semplice dualismo suddetto. Si avr modo di percepire, nelle pagine che seguono, che il gruppo dei nuovi paesi del vino tuttaltro che omogeneo e che il sistema del vino oggi non solo pi articolato per la presenza di nuovi esportatori, ma anche pi complesso perch sono nate nuove tipologie dimpresa a tutti i livelli della filiera, quindi nella produzione, nella distribuzione intermedia e nella vendita al dettaglio, in tutte le parti del mondo. Al fine di collocare lanalisi dello scenario competitivo nellambito di un quadro generale del mercato, si propone una visione sintetica dellevoluzione quantitativa della produzione, del consumo e degli scambi internazionali a livello mondiale, e successivamente, unanalisi delle modificazioni qualitative della domanda e le conseguenze che queste hanno sulla produzione. Lanalisi dello scenario competitivo viene quindi svolta analizzando dapprima i principali Paesi partecipanti al mercato come produttori ed esportatori e come importatori, e poi levoluzione dei rapporti competitivi tra i paesi esportatori, individuando anche la posizione specifica dellItalia. Considerato il processo evolutivo del sistema vino a livello internazionale, si passer a unanalisi di tipo strutturale e di mercato del vino in Italia, valutando le criticit dellintero sistema, per convergere infine a un insieme di possibili strategie da attuare, idonee a garantire alle imprese italiane dinamicit e forte vantaggio competitivo nellattuale mercato globale, spiegando come il pregiato nettare di Bacco riesca a dialogare con il consumatore di ogni parallelo e meridiano del villaggio globale.

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2.1 Produzione e consumo di vino nel mondoStando ai recenti dati relativi alla produzione e al consumo mondiale, quello del vino non sembrerebbe essere un business con particolari prospettive di crescita; anche se per moltissimi investitori e consumatori lindustria del vino offre un prodotto molto richiesto. Nella botte piccola c il vino buono recitava un antico proverbio. Quello che, mio malgrado, i saggi non potevano sapere che il vino buono diventato una delle forme di investimento pi redditizie, tanto che negli ultimi anni le societ vinicole quotate nei mercati azionari hanno battuto lindice delle Borse mondiali, dimostrandosi un valido paracadute nei momenti di crisi. Tuttavia, opinione comune che lattuale crisi finanziaria produrr effetti negativi anche sulleconomia reale, creando disoccupazione e carenza di liquidit da un lato e calo dei consumi, eccessi di produzione e un paventato rallentamento delle esportazioni, dallaltro. Questi gli aspetti che, da oltre un decennio, tormentano leconomia del vino causandone profondi cambiamenti; tra cui i pi importanti sembrano essere: la trasformazione della cultura e delle scelte di consumo, nonch le modalit di produzione e di commercializzazione. A livello mondiale2 il mercato del vino si presenta come un mercato di notevole ampiezza. Si stima che il fatturato del settore vitivinicolo superi i 150 miliardi di euro, se valutato a livello del consumo e oltre 60 miliardi, se valutato a livello della produzione. Le esportazioni mondiali, invece, si aggirano sui 15 miliardi di euro, facendo del vino uno dei prodotti alimentari pi scambiati su scala internazionale. Le stime dimostrano che circa il 58,9% del totale prodotto proviene dai paesi dellUnione Europea; il 18% distribuito nel continente americano (gli Usa rappresentano l8,7% della produzione totale); e solo il 4,3 e 2,1% rispettivamente da Argentina e Cile. La dinamica dei consumi ha seguito in parte quella della produzione, stabilizzandosi intorno a quel valore, ma spostandosi dai paesi storicamente produttori a quelli che non lo sono, o che lo stanno diventando; paesi che non sono nuovi dal punto di vista della produzione del vino, quanto per la massiccia partecipazione al commercio internazionale. Si pensi che, dopo le forti diminuzioni degli anni 80, i consumi mondiali di vino hanno ritrovato una certa stabilit, mostrando segni di ripresa tra il 1996 e il 2001, portandosi a circa 27 milioni di tonnellate, di cui il 58% registrato allinterno dei confini dellUnione Europea, facendone il primo consumatore al mondo. Tra i paesi extra UE sono da ricordare gli Stati Uniti, che rappresentano l11% dei consumi totali; la Cina che con il 3,9% delle quote di consumo si classifica settimo bacino mondiale e, infine lOceania che quanto a consumi2

Fonte dati: elaborazioni Nomisma.

Cfr.: Russo, Pantini, Gordini. Wine marketing in Europe (2004), pp. 9 e ss.

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rispecchia ancora una frazione marginale del totale Mondo, pari al 2,5%. In riferimento alle annate 2006-2009, i dati della FAO confermano la predominanza dellUE nel settore vino, raggiungendo un peso di quasi il 60% dei consumi mondiali. Tra i paesi produttori in atto un processo di stabilizzazione nel livello dei consumi pro capite, che per evidenzia dei cali soprattutto in Italia, Francia e Portogallo. Ragguardevole per i consumi senza dubbio la Francia (con 4,4 milioni di tonnellate) a cui segue lItalia con un consumo di 4 milioni. Questi paesi coprono da soli quasi la met dei consumi dellUE, seguiti a distanza da Spagna, Germania e Regno Unito. Questultimo, pur mantenendosi a livelli inferiori rispetto alle altre localit dellarea mediterranea, continua a registrare tassi di crescita consistenti configurandosi uno dei mercati pi attraenti per i competitori internazionali. Ci si aspetta, dunque, una forte crescita dei consumi nei paesi del Centro-Nord Europa (Germania, Gran Bretagna, Irlanda e Danimarca) e una diminuzione della domanda totale nel bacino mediterraneo. Da parte loro, gli Stati Uniti dispongono di un sistema produttivo talmente innovativo da sottrarsi allimitazione delle nazioni di pi antica tradizione vinicola, realizzando i cosiddetti vini varietali, quelli capaci di soddisfare meglio e in modo pi agevole le esigenze dei nuovi consumatori. Tuttavia, si sente e si teme anche qui la concorrenza dei paesi emergenti, a causa degli elevati costi di produzione. Per giunta, dellespansione della quota dellAmerica Latina stata artefice lArgentina grazie alla spinta espansiva degli investimenti fatti da aziende cilene e Nordamericane in cerca di nuovi terreni da impiantare. Un altro stato Sudamericano che va affermandosi nel panorama mondiale vitivinicolo il Cile, che procede alla continua riconversione dei suoi impianti. In particolare, abbandona la coltivazione dei vitigni autoctoni, ritenuti di scarso interesse commerciale, a favore di quattro vitigni altamente diffusi ed economicamente pi significativi: Merlot, Cabernet, Chardonnay e Sauvignon. Tutti i paesi sopraccitati mostrano numerose analogie con il sistema produttivo europeo: condizioni climatiche affini, imprese di trasformazione frammentate e un forte ricorso alla cooperazione. Dallo stesso sistema, per, se ne differenziano per la presenza di costi di produzione pi bassi rispetto a quelli dei tradizionali paesi produttori. A essi seguono lEuropa Orientale, la Romania, lUngheria e la Russia che insieme raggiungono il 6,3% del prodotto totale. Nel continente asiatico la superficie vitata passata dal 14% al 18% rispetto a quella mondiale e la produzione pari a circa il 6%. Allultimo posto si confermano lOceania e lAfrica con il 4,8% e il 3,3%. Laumento delle superfici vitate in Oceania, continente a vocazione vinicola di recente formazione, dovuto soprattutto alleffetto traino dovuto allespansione dei vigneti nelle terre australiane e neo zelandesi. Questo processo espansivo delle superfici agrarie investite si rileva anche nel continente africano, soprattutto in Sudafrica, precedentemente penalizzato da un regime di governo restrittivo che ne ha 9

ostacolato lo sviluppo. Le produzioni di queste due grandi nazioni sono detenute dal Sudafrica, Australia e Nuova Zelanda che, visti i tassi di crescita produttiva e lelevata capacit di penetrazione nei mercati, sono considerati i principali artefici dellespansione produttiva del Nuovo mondo. Per quanto concerne, infine, landamento della produzione relativamente agli stati membri dellUnione Europea, gi nel 1998 Spagna, Francia e Italia raccoglievano da sole oltre l85% della superficie totale investita a uva da vino. In particolare, Italia e Francia si alternavano nella veste di principale produttore di vino; mentre la Spagna raggiungeva livelli di produzione pi contenuti nonostante abbia una superficie vitata pi estesa. Dati EUROSTAT, evidenziando landamento della produzione da un punto di vista qualitativo, hanno dimostrato come negli ultimi anni sia emersa una tendenza a realizzare prodotti in grado di soddisfare le sempre pi elevate esigenze dei consumatori. In Francia, per esempio, la produzione vitivinicola di qualit detiene un ruolo storicamente importante. Caratteristico anche il caso della Germania nonostante abbia una posizione geografica poco dedita alla produzione di vino. Le dissomiglianze appena descritte fra un paese e laltro, trovano una spiegazione plausibile nel sistema di tutela della produzione di qualit fissato dalla Comunit Europea. Il quadro di riferimento comunitario definisce, a proposito, i requisiti essenziali e comuni a tutti gli stati, da considerare allorquando si stabiliscono le caratteristiche di un prodotto V.Q.P.R.D. (Vini di Qualit Per Regioni Determinate).

2.2 LItalia e i paesi extra europei: produzione e consumo a confrontoA Mumbai i medici lo consigliano al posto del whisky, i ricchi a Mosca lo preferiscono addirittura alla vodka. Si stima3 che nel 2011, in Cina, si stapper un miliardo di bottiglie e gli statunitensi diventeranno i maggiori consumatori di vino, superando i totem enologici Francia e Italia, in netto calo di consumi. Nasce, oggi, un profilo nuovo del vino nel mondo, sempre pi bevanda globale, al di fuori dei confini dei singoli paesi produttori. allora utile ridefinire la mappatura dei consumi, della produzione e del mercato mondiale del vino; e successivamente, fornire unanalisi sul posizionamento competitivo del vino italiano nei principali mercati di riferimento. La sintesi di un settore in fortissima evoluzione dove, se da una parte vi sono alti margini di crescita, dallaltra 3

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altrettanto cruciale il fattore competitivo, oggi pi che mai insediato dallEmisfero Sud dei produttori, in altre parole i winemaker del Nuovo Mondo. A proposito di geografia dei vitigni nel mondo, se Spagna ma soprattutto Francia e Italia denotano ormai da tempo una certa stazionariet nelle superfici, un maggior dinamismo arriva ancora una volta da una met del globo non soggetto a contingentamenti di sorta. Un vero e proprio caso, in questo senso, quello della Cina, la cui superficie vitata cresciuta nel giro di dieci anni del 200%, tanto da arrivare a una dimensione analoga a quella di Usa e Australia messi assieme, cio alla superficie del quarto e quinto paese produttore di vino al mondo. Ed ecco che anche sul vino si va riproponendo il pericolo Cina. In Italia4 il mercato interno sempre stato e rimane lo sbocco prioritario dei propri vini, nonostante si faccia sentire anche qui la nota dolente dellattuale crisi finanziaria che, investendo tutto il paese, ne ha di gran lunga ridotti i consumi pro capite. I consumi nella terra del Bel Paese passano da regolari a occasionali, se non addirittura festivi; la quota dei non consumatori sale vertiginosamente ma nonostante tutto il vino resta la bevanda pi acquistata dalle famiglie italiane. Dati ISTAT lo dimostrano nel grafico seguente:

Grafico 1. Fonte: elaborazione ISTAT (2007)

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Cfr. Piccoli F. La comunicazione nel food and beverage. Farsi conoscer con piccoli budget (2005), pp. 19 e ss.

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Le famiglie italiane che acquistano il vino, rappresentano circa il 40% del totale, spendendo circa 31 euro al mese. Dalla statistica emerge un chiaro superamento del vino sulla birra e su tutte le altre bevande alcoliche. Considerando questo valore medio di spesa in relazione al tasso di penetrazione del prodotto sul territorio nazionale, che di circa il 40% (46% in centro Italia, 34% nelle Isole), il grafico 2 riporta il netto sorpasso del Nord-Ovest del Paese (caratterizzato dalla presenza delle due regioni con una maggiore cultura del mondo del vino di qualit, il Piemonte e la Toscana) e del Centro, seguito a ruota dal Sud, Nord-Est e Isole.

Grafico 2. Fonte: elaborazione ISTAT

Levoluzione dei comportamenti di consumo non si esaurisce entro i confini nazionali, ma rappresenta un vero e proprio fenomeno di portata mondiale. Un tale svolgimento non pu che essere frutto di importanti cambiamenti sociologici, che confermano la prevalenza di consumi domestici e quelli outdoor soprattutto da parte della fascia giovane. Perfino la mappatura 12

psicologica del consumatore non corrisponde pi alla mera versione originaria proposta dagli esperti, che classificava sei tipologie di consumatori di vino: entusiasti, attenti allimmagine, acquirenti saggi, tradizionalisti, degustatori soddisfatti e infine gli spaesati. Da questa premessa, ci si chiede quale sia il profilo del consumatore di vino nel 2009. Recenti studi di marketing rivelano aspetti pressoch innovativi, si tratterebbe quasi di un identikit variegato del consumatore il quale, al momento dellacquisto, si mostra di gran lunga pi preparato e riflessivo rispetto al passato. A confermarlo una classifica giapponese (3) che descrive cinque tipologie a cui si rif il moderno consumatore di vino: il non abituale, che considera il vino, un prodotto da consumare nelle occasioni speciali piuttosto che come bevanda quotidiana; limmaturo nella pratica, che dichiara la sua difficolt a scegliere un vino guardando semplicemente letichetta; c poi il consumatore elitario che sceglie il vino in base al suo valore; quello informato il quale, pi che bere studia il prodotto attraverso riviste specializzate; ed infine c il consumatore sensibile agli eventi, che favorisce e promuove lincremento dei consumi in corrispondenza delle occasioni o ricorrenze speciali (si pensi, ad esempio, al caso delle Olimpiadi). Il contraccolpo pi grande che leconomia del vino ha subito a causa della recente crisi finanziaria da rintracciarsi sul fronte dei prezzi, dove continuano a registrarsi importanti acquisti ma, di certo, non con la stessa frequenza di un tempo. Tutto ci ha reso il consumatore pi volatile di fronte ai prezzi. Sul fronte dei consumi, si registrano notizie positive dallIndia, protagonista attuale dello scenario internazionale a causa dei ripetuti attacchi terroristici che hanno infiammato i simboli del paese. Il Presidente della Camera di Commercio e dellindustria indiana, Sajjan Jindal, ha rivelato alla rivista Wine consuption in India i dati sul consumo di vino nel paese. Egli afferma, nellintervista, che le previsioni sui consumi in India siano molto buone e raggiungeranno livelli di crescita del 20-25% nei prossimi anni; questo sarebbe dovuto non solo ai maggiori acquisti provenienti dalle fasce di et pi avanzate ma soprattutto al segmentogiovane. Attualmente, un buon 80% degli acquisti di vino registrato nelle citt di New Delhi, Mumbai e dintorni; di cui oltre il 60% avviene tramite il canale HO.RE.CA (hotel, ristoranti e pub, bar e caf). In relazione ai dati riportati, facile accorgersi del graduale e crescente interesse della cultura indiana per il vino. Complici di questo avanzamento, diversi fattori: laumento del reddito pro capite che oggi permette lacquisto di nuovi beni prima lasciati da parte, tra i quali il vino; linfluenza dellOccidente che modifica gli stili di vita e modelli comportamentali dellOriente; le politiche adottate dai governi locali che favoriscono la nascita dellindustria del vino e quindi del suo mercato; ultimo ma non meno importante il basso costo per limpianto dei vigneti, che oggi rappresenta la maggiore attrazione da parte di imprenditori e investitori indiani e stranieri.

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Focalizzando nuovamente lattenzione sullItalia, questa volta sul fronte della produzione5, si dir che molto alto il grado di apprezzamento che tutto il mondo riserva alla qualit e alla variet della sua offerta agroalimentare, sforzandosi il pi possibile a mantenere i tassi di crescita registrati nei prolifici e indimenticabili anni 90. Le dinamiche e i confronti tra lagricoltura italiana e quella europea hanno rivalutato, nel tempo, i risultati produttivi del nostro paese in un contesto generale di scarso dinamismo: 42.5 milioni di ettolitri rendevano il nostro il secondo paese produttore di vino al Mondo, dopo la Francia. Il grafico riportato in figura 3 riporta ulteriori cambiamenti:

Grafico 3.

Fonte: elaborazione ISTAT (2008-2009) Dopo un susseguirsi di alti e bassi negli ultimi dieci anni, il centro di ricerca ISTAT ha finalmente riscoperto una certa stabilit per il nostro paese, in termini di produzione, tanto che registrer una vendemmia poco pi alta dello scorso anno pari a circa 46.3 milioni di hl. Nostro malgrado, la Francia continua a primeggiare con i suoi 48.1 milioni di hl, e con una crescita del +12% rispetto allo scorso anno, ma con una forte volatilit tra le diverse regioni: in Champagne, ad esempio, ci sar a quanto sembra una vendemmia guidata al ribasso del 30% dovuto alla scarsa domanda di mercato e dalla necessit di tenere i prezzi in crescita.

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Pi in particolare, la maggiore produzione di vini rossi di qualit si registra in Piemonte, Veneto e Toscana, che da soli spiegano pi del 50% della produzione nazionale dei vini rossi Doc-Docg; quanto ai vini bianchi, un valido contributo proviene dal Lazio. Dal lato degli Igt (Indicazione Geografica Tipica), una posizione rilevante rivestita dal Veneto, Emilia Romagna e Puglia che, da soli, rappresentano circa il 60% della produzione dei vini bianchi. Per quanto riguarda i vini da tavola, si distinguono: la Puglia, per la produzione dei rossi; la Sicilia per i bianchi e, infine, lAbruzzo. Tutti questi dati sulla produzione confermano il processo di aggiustamento che sta coinvolgendo il settore vitivinicolo italiano: infatti, la produzione di vini di pregio, che negli anni 80 rappresentava in media meno del 15%, passata al 20% del totale nella prima met del secolo successivo. Laspetto pi rilevante rappresentato dalle produzioni Igt, la cui diffusione rappresenta essenzialmente un fenomeno recente nel panorama italiano grazie alla legge 164/92, e che rappresenta una realt importante, avendo ottenuto fin dal primo anno di introduzione molti riconoscimenti. Ultimamente il numero di vini a Igt presenta una leggera flessione dovuta al passaggio a Doc. Sale, quindi, la percentuale di vini a denominazione nellambito dellintera produzione nazionale. Nel complesso, la viticoltura italiana si va progressivamente aggiustando verso una struttura produttiva maggiormente orientata verso produzioni di qualit. Tuttavia questo processo di adattamento non appare omogeneo, tra le regioni del paese; infatti, la produzione di vini a denominazione di origine continua a essere concentrata nel Centro-Nord dove si raggiunge quasi l84% del totale Doc-Docg nazionale. Nonostante ci lItalia del vino pronta per un nuovo primato: primo produttore in Europa, con un sorpasso che far discutere i rivali francesi. Dati provenienti dallAssociazione Coldiretti fanno credere che il nostro paese raggiunger presto 47 milioni di ettolitri, grazie ad unannata che ha visto lalternarsi di sole e piogge. In Francia, invece, le condizioni meteorologiche non sono state cos clementi tanto che Oltralpe la vendemmia potrebbe essere considerata una delle peggiori negli ultimi otto anni. Le stime nostrane sono positive non solo per quanto riguarda la quantit, ma anche per la qualit: il 60% del raccolto dovrebbe essere destinato alla produzione di vini Doc, Docg e Igt. Tra le regioni pi prolifiche ricordiamo il Veneto, la Puglia, lEmilia Romagna e la Sicilia dove si concentrano ben due terzi dellintera produzione. Va sottolineato che il valore aggiunto per ettaro, ovvero la ricchezza netta prodotta per unit di superficie dellagricoltura italiana: oltre il triplo di quella statunitense, il doppio di quella inglese e nettamente superiore a quelle di Francia e Spagna.

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Il grafico 4 offre, in proposito, un ottimo esempio dei dati sulla produzione regionale, potendo facilmente intuire quali, tra tutte le regioni, siano ritenute le migliori del 2009, in termini di produzione:

Grafico 4. Fonte: elaborazione ISTAT (2008-2009)

La coltura della vite e la produzione vinicola sono praticate in Italia da sempre, sin dallepoca degli etruschi, e costituiscono oggi uno degli elementi trainanti delleconomia nazionale. indubbio che la viticoltura italiana abbia raggiunto i massimi livelli mondiali grazie al bagaglio di tradizioni e di esperienze accumulate nel tempo e che, unitamente alla moderna tecnologia di vinificazione, hanno portato il vino italiano agli attuali prestigiosi livelli di commercializzazione. 16

2.3 Frontiere aperte al vino italiano sui mercati asiaticiIl vino italiano va sempre pi forte nellEst Europa, a dimostrazione di come linteresse per i mercati asiatici stia cambiando gli orientamenti6 dei produttori vinicoli, esponendoli a culture nuove e obbligandoli a utilizzare i giusti strumenti per far giungere anche l passioni ed emozioni tipiche dellOccidente. A dire la verit, si tratta di mercati ancora marginali, soprattutto se rapportati a quelli pi importanti come Usa e Germania. Pi vino e meno whisky, dunque! Consideriamo in primis, il secondo paese pi popoloso al mondo: lIndia, con il suo miliardo di abitanti da sempre influenzato dalla cultura britannica del bere; qui i player italiani nutrono grandi speranze. In India, per lappunto, limport italiano conta moltissimo e il suo tasso di crescita annuo costante al 30%. Il vino, qui, rappresenta uno status symbol e, come sottolineato7 da un famoso giornalista indiano, Magandeep Singh unopportunit per esplorare il fascino del made in Italy, introducendo aromi e fragranze totalmente sconosciute al gusto indiano. Il prodotto enologico dimportazione costa quattro volte in pi di quello locale e, a trainare il vino italiano nella fascia dei consumi delle famiglie pi ricche c anche il fenomeno del Reverse Braindrain, basato sul fatto che i professionisti emigranti indiani, una volta rientrati in patria, incoraggiano gli appartenenti allo stesso grado sociale ad adottare le abitudini scoperte nel Vecchio Mondo. Unulteriore spinta al consumo di vino proviene dai medici, che premono sullacceleratore dei consumi consigliando, a fini salutistici, di sostituire il tanto amato whisky con ben due bicchieri di vino rosso al giorno. A favorire la spinta acceleratrice , infine, lo stesso ministro dellagricoltura indiano ad annunciare prossimi tagli ai dazi. Per ora la nuova mecca commerciale vede primeggiare la Francia e lAustralia seguite dallItalia, complice la grandissima popolarit che sta riscuotendo la ristorazione italiana. In particolare, due sono principali mercati: New Delhi e Mumbai che importano un buon 20% del vino consumato; una performance che spiega quanto sia opportuno esserci al momento di raccogliere frutti di un mercato di dimensioni potenzialmente enormi. Lexport italiano ha registrato, inoltre, un forte lancio in avanti nella Repubblica Ceca, in Ungheria e in Romania. Nei primi due paesi, lItalia custodisce il primato quanto a made in Italy esportato: in territori come questi, storicamente e culturalmente produttori di vini di alta qualit, il consumatore tipo ha abitudini e stili di vita molto simili a quelli italiani. Dal canto suo, la Romania ha riscoperto a pieno la grande vocazione vitivinicola (di produrre uva, oltre che vino) in seguito al crollo del comunismo nel 1989, tanto da divenire titolare di una piccola ma crescente quota venduta allestero,6 7

Imprese vinicole e orientamento al mercato. Un connubio da costruire. Economia e Management, n.3, 2006. Cfr. Largo Consumo: rivista di economia e marketing sulla filiera dei beni di consumo, vino/produzione, n.3, 2008.

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con particolare orientamento al mercato inglese. Con ladesione allUE nel 2007 la Romania ha, inoltre, il vantaggio di beneficiare di stanziamenti agricoli per lo sviluppo rurale del paese. Da un punto di vista imprenditoriale, il vigneto in Romania si sta dimostrando un valido investimento: il mercato interno in crescita (nel 2005 i consumi locali hanno raggiunto ben 40 milioni di euro), la maggior parte del prodotto fatta in casa; pena i vini dimportazione, contraddistinti da prezzi alti, scarsa variet e convenienza. I consumi romeni sono contrassegnati da una cultura enologica di base con origini antichissime, che risalgono addirittura alla dominazione romana. Si ritiene che la stessa origine latina della Romania abbia da sempre favorito la cultura di bere vino e che, quindi, funga da volano per i consumi del paese. Da una parte una terra a basso costo di manodopera e, dallaltra, un mercato da 40 milioni di euro: la Romania, meta desiderosa e ambiziosa per i giovani produttori italiani, sempre pi convinti a investire in vigneti autoctoni o a esportare i propri prodotti. Altri paesi come Polonia, Lituania, Ucraina ed Estonia sono da ritenersi mercati emergenti per il vino made in Italy. La Lituania, il pi grande dei tre paesi baltici costituisce, grazie alla sua posizione geografica, un ponte naturale verso un mercato pi vasto, che include Bielorussia, Polonia, Estonia e Russia. Proprio qui, il consumatore di vino molto razionale nelle sue scelte dacquisto; conosce bene i prodotti, distingue i sapori e le diverse offerte che gli vengono proposte. Quanto alla Polonia, pur essendo un paese dellUE, le importazioni di vino prodotto con uve nazionali, sono soggette al pagamento di unaccisa. Ma tra i paesi dellUE lUcraina al primo posto per le importazioni di vino italiano e al terzo per le esportazioni verso di essa. I prodotti dellagricoltura esportati dallItalia sono di modeste quantit a causa alcune difficolt di accesso al mercato ucraino, la pi evidente dovuta al fatto che il numero delle ditte che importano bevande limitato a circa una quindicina a causa delle alte aliquote dimposta e dazi doganali. Lultimo, ma non meno importante riferimento va alla Russia, dove il vino molto apprezzato, dopo vodka e birra. Mosca assorbe il 65% delle vendite dei vini italiani, San Pietroburgo il 15% e il restante 20% distribuito nel territorio russo. Riguardo limport globale di vini, lItalia al terzo posto, seguita da Francia e Spagna, ma con un trend in forte crescita. Il consumatore russo preferisce i vini italiani di segmento alto, e cio quelli dlite; ma sul mercato non si esclude la presenza delle altre fasce di prezzo. Sulla scelta dacquisto influiscono notevolmente: le caratteristiche commerciali del prodotto, rappresentate dal marchio, dalla forma e dallo stile della bottiglia e dalla confezione. La quota maggiore di vendita riguarda le fasce di prezzo prevalentemente basso e medio; mentre gli acquisti nella fascia alta costituiscono il 6% del mercato, che comunque in forte crescita. In realt il prezzo finale di ogni bottiglia fortemente legato alle condizioni del mercato locale e, quindi, pu variare di area in area. Sulla sua determinazione incide 18

limpatto del sistema di tassazione russo che prevede diritti dimportazione, Iva al 18%, costi di sdoganamento e una profit tax per il 39% del margine lordo. Il consumo di vino italiano in questa regione dalle temperature nordiche e quasi polari fortemente accompagnato da una ristorazione di qualit. La cucina italiana al terzo posto nelle preferenze dei russi, dopo di quella nazionale e caucasica, staccando di almeno 10 punti percentuale tutte le altre. Accanto alla ristorazione, anche le enoteche e la grande distribuzione stanno assumendo rilevanza per volumi e valori di vendita. Le catene internazionali stanno allargando la loro rete commerciale aprendo nuovi supermercati in tutte le grandi citt; ma si ritiene che nel giro di tre o quattro anni supereranno la ristorazione offrendo notevoli opportunit alle aziende vinicole italiane per espandere e confermare la propria presenza sul mercato russo. Concludendo il mercato russo rappresenta per i nostri imprenditori vinicoli uno dei mercati-obiettivo pi importanti in ambito extra europeo. Tuttavia, non ci si pu dimenticare linteresse per il mercato vinicolo nel Paese della Grande Muraglia, grazie alle opportunit offerte dalle Olimpiadi a Pechino, dal prossimo Expo 2010 a Shanghai e dallo sviluppo di Macao, a tutti nota come la Las Vegas asiatica con i suoi trenta casin e trentamila camere di albergo. Un enorme iceberg che ancora non emerge. Questo lo scenario attuale del mercato del vino in Cina8. Per il vino italiano la Cina un sogno che di anno in anno si fa realt, grazie ad una crescita lenta ma progressiva, in attesa di una deregolamentazione che favorisca un mercato dalle potenzialit enormi. Secondo gli esperti, vale la pena pazientare e proseguire nel processo di internazionalizzazione del vino italiano nel Paese pi popoloso al mondo. Un processo di occidentalizzazione che gli analisti ritengono essere tanto ineluttabile quanto lento, a causa delle evidenti distanze culturali tra i due mondi, ma su cui lItalia deve scommettere sin dora. Grande attenzione sulla metropoli Shanghai, autentico banco di prova e allo stesso tempo di opportunit per limmagine del nostro made in Italy enologico. Scenari promettenti, quindi, per il futuro del nostro paese che gli permetteranno di conquistare con facilit i benestanti cinesi, abbinando lampia variet della produzione enologica italiana con tutti i piatti della tradizione millenaria cinese. E in questo lItalia gode di ampi vantaggi rispetto ai competitor. Il suo obiettivo , per, anche quello di puntare alla contaminazione, e cio lintroduzione di olio e formaggi nella cultura del Sol Levante. Il bacino di maggior interesse quello dei giovani, che hanno un modo di spendere pi simile a quello dei coetanei occidentali. Per i cinesi ricchi di et pi avanzata, invece, lacquisto di lusso rappresenta ancora un mezzo per dimostrare la propria fama e notoriet, piuttosto che la ricerca di nuove esperienze. In particolare, i consumatori cinesi si possono dividere in due grandi categorie: middle-aged slurpers e i white collars connoiseurs; i primi sono quelli che bevono alcolici nelle occasioni di lavoro o di festa, preferendo tra i vini quelli di produzione nazionale. Gli8

Cfr. Veronafiere. Enotria. Il quaderno della vite e del vino (2001-2007)

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altri, invece, sono giovani professionisti con buona propensione a spendere, che scelgono vini dimportazione (preferenza per quelli francesi e italiani) perch pi attenti alla qualit. Nostro malgrado, noi italiani arriviamo un po in ritardo rispetto ai francesi, giunti in oriente sin dagli anni 80; ma come si dice: meglio tardi che mai! esattamente in questi ultimi anni che il vino italiano si affaccia sul mercato cinese con ottime prospettive di vendita e promozione in quanto il bere e, naturalmente, il mangiare italiano visto come uno status symbol. Il cinese che appartiene al ceto medio/alto consuma il vino italiano in quanto chic e di tendenza. Il mercato cinese conosciuto per la sua crescita esponenziale, e la fascia di persone che possono permettersi di consumare vino italiano pari a 200 milioni, che a pensarci bene corrisponde quasi alla met della popolazione europea. Quanto alle abitudini, i consumatori cinesi amano consumare fuori casa, al ristorante e nei wine bar, che ultimamente sono di grande tendenza e chi consuma vino italiano l d segno di alta classe e distinzione. In ogni caso, il mercato che si prospetta in Cina molto appetibile poich si tratta di una grande nazione, un gran potenziale che si riveler solo andando avanti col tempo. Che la Cina sia la via duscita dalla recessione? probabile. Ma quando se ne parla, in contrapposizione al Giappone o a tanti altri paesi del Nuovo Mondo non si possono nascondere evidenti perplessit che, in una parola, chiamano falsificazione. Secondo gli esperti del settore vitivinicolo, il vino potrebbe costituire la prossima categoria di prodotto cinese ad essere accusato di falsificazione. Gli imprenditori cinesi, infatti, non si preoccupano di strutturare le etichette che, al contrario, sono fondamentali sia per fornire indicazioni dettagliate del prodotto che come garanzia per il consumatore, prima che avvenga la scelta dacquisto finale. doveroso, allora, chiedersi: cosa c dietro il vino cinese? Al momento si sa solo che un buon 20% del vino in Cina cinese; laltro 80% dimportazione. Ma per importazione sintende, in questo contesto, quello che molti chiamano junk wine o garbagerank imported wine. Nientaltro che vino spazzatura, dunque, la cui composizione sconosciuta. la qualit delle sostanze in esso presenti che sono difficili da monitorare e da distinguere. La maggior parte di questo junk wine proviene certamente da annate qualitativamente scarse non riportate in etichetta! Ultima, ma non meno importante, la posizione dei vini italiani in Giappone. Che i giapponesi non siano mai stati grandi bevitori di vino noto, cos come la loro passione per le bevande pi leggere e fruttate. Ma se vero che la cucina del Sol Levante stia entrando prepotentemente in Europa, sar altrettanto vero che gli stessi giapponesi incominciano ad apprezzare con maggior consapevolezza il delizioso nettare di Bacco. Le distanze si accorciano, insomma, e il mercato del vino in Giappone negli ultimi anni in costante espansione. Proprio qui, oltre ai vini fermi (noti con il termine still wines) e agli spumanti (sparkling wines), esistono anche altre categorie di prodotto: i cosiddetti 20

fortified wines realizzati semplicemente aggiungendo brandy allo still wine; gli aromatized wines prodotti addizionando spezie, estratti derbe o succhi di frutta allo still wine. E infine ci sono dei vini ricavati semplicemente da frutta diversa dalluva. Questi ultimi, beneficiando di un basso tenore alcolico, sono gravati da unaliquota dimposta inferiore rispetto alle bevande con maggiori tassi alcolici. Ma la ragione del loro successo non solo fiscale: piacciono, poich la maggior parte dei giapponesi non gradisce le alte gradazioni alcoliche. Il Giappone il dodicesimo importatore di vino nel mondo in termini di quantit; ma il quarto in termini di valore. La sua popolazione, per, non una grande consumatrice di vino, in quanto lapproccio a tale prodotto piuttosto recente e, poi, ama capirlo ancor prima di berlo. Limport di vino italiano9 nella terra del Sol Levante ha ormai superato i 100 milioni di euro. Il nostro prodotto pu, infatti, contare su 50 mila ristoranti di buona qualit che propongono cucina tipica italiana. Dello status di consumatore se n parlato e, alla luce di quanto detto in precedenza, ovvio che le strategie di approccio al mercato del vino debbano essere pensate attentamente per poi raggiungere il target prefissato. Sarebbe opportuno iniziare con unattivit di promozione, ma anche dalla realizzazione di eventi mediatici e di marketing. In questo i francesi hanno qualcosa da insegnare a tutti poich esattamente due anni fa sono riusciti a far pervenire in Giappone quasi 11 milioni di bottiglie di un prestigioso vino, dal nome Beaujolais Nouveau. Tra le chiavi di successo di questo capolavoro del marketing emerge la loro capacit di creare lattesa per un evento annuale che giustifica, agli occhi del consumatore giapponese, loccasione speciale per bere vino. In tutto ci anche lItalia ha un buon modo di approcciarsi al mercato orientale, proponendo prodotti di qualit a prezzi interessanti; ma lampia variet di prodotti proposti che fa letteralmente impazzire il consumatore giapponese, fortemente attratto dalla curiosit e dalla diversit, seppur difficile per loro da capire. Con questi dati lItalia conferma il secondo posto per lesportazione di vino in Giappone, preceduta solo dalla Francia e seguita dagli stati Uniti. Il vettore principale del vino italiano in Giappone il canale retail, con circa il 66% delle vendite, seguito dalla rete HO.RE.CA.

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Fonte dati: ISTAT (2006-2008), www.inumeridelvino.it.

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2.3.1 Il business del vino abbandona lEuropa per emigrare in Cile, Argentina e AustraliaStando ai dati dello scorso mese di giugno10, il consumo mondiale di vini e alcolici dovrebbe aumentare lievemente nei prossimi anni, sempre se le dinamiche dei mercati lo consentono. Non si rinuncia al vino, ma si predilige quello meno costoso. A pagarne le conseguenze, le economie dei paesi produttori del Vecchio mondo, costrette ad assistere allo sviluppo dellexport di Australia, Cile, Argentina, Nuova Zelanda e a darsi una risposta al fatto che gli spazi per i paesi tradizionali si restringono per i vini di minor valore. Lostacolo alla crescita dei consumi nelle importazioni di vino sfuso sui pi importanti mercati che, non essendo imbottigliati nel paese dorigine, costituiscono oggi la forza dei paesi emergenti, a danno dellItalia, leader di mercato da sempre ma che oggi non competere sul piano dei listini. Si beve, infatti, pi vino nei paesi nuovi consumatori e meno in quelli di pi antica tradizione, forse anche per effetto delle numerose campagne anti-alcol promosse dai diversi governi. In ogni caso, la competizione si fa ogni giorno pi aspra e, ad accrescerla, la stipulazione della New World Alliance, una coalizione voluta dai produttori del Nuovo Mondo per fare squadra e mettere a punto nuove strategie di marketing e penetrazione per contrastare la forza dei paesi dellUnione Europea. A restituire un segno di vitalit al settore vinicolo sono i dati registrati allultimo Vinitaly11 che hanno registrato la presenza di oltre il 50 % in pi di operatori esteri specializzati e oltre il 20% dei colleghi italiani. Nel breve-medio termine si direbbe che Cina, Messico, Brasile, Germania e Regno Unito siano i paesi pi promettenti per i vini basic; la Russia fra le realt pi interessanti nella fascia premium dopo Hong Kong, India e stati Uniti. Sul mercato interno, invece, i connazionali italiani si distinguono per la ricerca di un prodotto di qualit. I dati confermano che per gli italiani il vino non fuori moda, e chi beve non lo fa perch di tendenza ma, a fronte di un noto calo di consumo pro capite, si contrappone il crescente interesse e avvicinamento alla cultura del vino, tanto da richiedere perfino la realizzazione di campagne a favore dei consumi di qualit.

In vino veritas... il vino porta alla luce i segreti nascosti dellanima. Orazio

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Cfr. Lespresso, giugno 2009 (sezione dedicata al food and wine).

Cfr. Agra News. Il settimanale dinformazione sulla filiera agroalimentare, n.7, 2009, pag 8 (analisi condotta dal Centro Studi Veronafiere-Vintaly).

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Capitolo 3

LINTERNAZIONALIZZAZIONE DELLE PICCOLE E MEDIE IMPRESE VINICOLE ITALIANESommario: Introduzione. 1. Lo sviluppo internazionale delle Pmi vinicole. 2. Le principali ragioni per divenire internazionali. 3. Delocalizzazione produttiva: unopportunit da non sottovalutare. 4. I modelli di crescita allestero delle Pmi vinicole.

Introduzione. Enti, strumenti, leggi e soldi. Ecco cosa si muove intorno a questa magica parola e come le aziende vinicole si sono attrezzate per sopravvivere a unofferta di iniziative tanto abbondante quanto caotica.La predisposizione internazionale delle imprese, e di quelle italiane in particolare, vanta una tradizione centenaria. Sin dallepoca rinascimentale dei mercati veneziani e dei banchieri genovesi, le imprese agricole e vinicole nazionali si sono sempre servite dellinvidiabile posizione geografica della penisola che, di fatto, rappresenta un ponte strategico di collegamento tra Europa e Asia. Da un punto di vista storico, la presenza di un cos alto numero di approdi naturali, saggiamente trasformati nel tempo in porti commerciali, di una popolazione attiva straordinariamente curiosa, orientata ai viaggi, alle esplorazioni, ai commerci e alla diffusione di servizi, ebbe leffetto di diffondere i prodotti e la cultura italiana in tutto il mondo, allora ignoto. Attualmente, la vocazione internazionale delle imprese italiane e lampliamento dei mercati oltre i confini geografici, rappresenta un invidiabile patrimonio di benefici per la nazione, e per lumanit intera. La nascita di un mercato mondiale, svincolato da ostacoli e barriere doganali, si pone alle imprese nazionali di qualunque settore come una sfida che sar tanto vincente quanto pi le istituzioni sosterranno 23

politiche a loro favore. Politiche finalizzate a questo scopo non devono, tuttavia, concludersi in interventi spot, estemporanei e legati alle esigenze del momento, bens interpretate come strategie di lungo periodo, volte alla conquista di nuovi mercati e, se necessario, alla revisione della struttura organizzativa interna delle imprese interessate. Seppur indispensabile, il supporto pubblico delle istituzioni al processo dinternazionalizzazione richiede costi notevoli, a causa della laboriosit degli studi da compiere e della complessit nel definire le strategie di lungo termine pi appropriate al singolo caso. Inoltre, essendo la realt italiana costituita prevalentemente da Pmi, normalmente dotate di risorse scarse, si vuole che tali programmi debbano addirittura essere in grado di orientare le suddette imprese verso forme di cooperazione commerciale, joint-venture, partnership con imprese locali, insediamento produttivo e quantaltro. Nel caso in esame, limpresa vinicola che aspiri a conquistare quote di mercato estero dovrebbe, come prima e pi ragionevole mossa, partecipare agli eventi fieristici, alle manifestazioni e ai convegni organizzati periodicamente in tutto il paese; avendo cos, limprenditore, lopportunit di realizzare il massimo approccio al mercato, facendosi conoscere. Tuttavia non sufficiente, a questo scopo, limitarsi alle tradizionali manifestazioni in paesi conosciuti, in cui il mercato ormai saturo. Sarebbe ottimale, invece, prendere parte a eventi fieristici lontani, che offrono migliori prospettive di sviluppo. In secondo luogo, sarebbe opportuno individuare e selezionare tutte le potenziali aree ad hoc in cui stabilire un futuro insediamento produttivo o strutture di cooperazione commerciale12, industriale o agricola; non dimenticando la realizzazione di unefficace rete di contatti a livello economico, sociale e politico-istituzionale nel territorio prescelto.

3.1 Lo sviluppo internazionale delle Pmi vinicoleDi l delle grandi aziende, anche quelle di media e piccola dimensione sono oggi costrette dallattuale scenario competitivo ad abbandonare la logica locale a cui sono legate e abituate (ma che al contempo le soffoca), per proiettarsi in un sistema globale. Il quale, pur non essendo ben definito in termini di mercato, si pone come una realt diversa e senzaltro migliore. La globalizzazione, alimentando da un lato la concorrenza tra i produttori e, dallaltro, offrendo12

Cfr. Ferrandina A. Marketing strategico per le piccole e medie imprese. Gli strumenti per elaborare piani e strategie

vincenti (2003).

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maggiori opportunit di sbocco su nuovi mercati, crea quelle condizioni tali da trascinare le imprese nel vortice dellinternazionalizzazione. Ci si chiede, allora, che significato abbia questo vocabolo. Nel senso comune, il termine internazionalizzazione13 diventato uno slogan, un motto, unambizione per le aziende di qualsiasi dimensione e settore. Trattasi di un processo teso a favorire la crescita delle imprese sui mercati esteri, oltre che lo scambio e la circolazione di beni e merci tra i vari paesi del mondo. Da non confondere con la globalizzazione: un contesto radicalmente nuovo rispetto al passato, in cui le diverse situazioni e specificit economiche, produttive, sociali e culturali entrano a contatto su scala mondiale e, grazie alla diffusione di conoscenze, tecnologie e informazioni, diventano parti integranti di un sistema pi ampio. Diversi elementi danno vita al fenomeno globale e a quello dellinternazionalizzazione, distinguendoli luno dallaltro, anche se spesso si ritiene che linternazionalizzazione sia una delle tante conseguenze della globalizzazione. In proposito, sarebbe opportuno sfatare alcuni miti. Ad esempio, non propriamente corretto equiparare la globalizzazione alla standardizzazione, ne tanto meno il mercato mondiale al prodotto globale perch, di fatto, non esiste nella realt un mercato globale, ma solo segmenti di esso che presentano una simile scala. Non esclusa la possibilit che un mercato globale sia addirittura minore di quello locale, in termini di clienti potenziali. Parzialmente scorretta , inoltre, luguaglianza tra prodotto globale e prodotto standardizzato; essa corrisponderebbe a verit se il vantaggio competitivo fosse perseguito attraverso le sole economie di scala. quindi lecito parlare di unomogeneit dei modelli di consumo, ma rimane pur sempre alta la variet delle richieste relativamente alle differenze locali. Al processo dinternazionalizzazione si attribuisce unulteriore definizione, quella del trasferimento degli impianti produttivi in paesi scelti come destinatari, al fine di sfruttare i minori costi della produzione e aumentare i profitti finali. Questo il significato intrinseco di un fenomeno strettamente collegato allinternazionalizzazione, e che va sotto la denominazione di delocalizzazione produttiva. A dire il vero, nel corso degli ultimi anni, stato accertato che la decisione di delocalizzare la produzione al di fuori dei consumi nazionali nasce da obiettivi molto pi ambiziosi, come ad esempio lacquisizione di know how, integrazione delle proprie attivit, conquista di quote di mercato crescenti. Questultimo, lobiettivo che le aziende vinicole nazionali desiderano raggiungere al pi presto, nellintento di creare le cosiddette teste di ponte, da cui lanciarsi alla conquista di nuovi mercati in cui consolidare la propria posizione e distinguersi, in base a questa, dai competitor. Generalmente, due sono gli elementi che descrivono il processo dinternazionalizzazione: uno attivo, laltro passivo.

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Cfr. Valdani E, Bertoli G. Mercati internazionali e marketing (2006), pp. 71 104.

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Nel primo caso limpresa in grado di gestire direttamente le fasi di promozione e distribuzione del prodotto, nellambito della propria attivit economica. Nella seconda circostanza, invece, limpresa tende ad affidare lesecuzione di tali operazioni a operatori economici specializzati quali buyer, importatori e distributori, localizzati questa volta allestero. In Italia, specie nel settore vitivinicolo e agro-alimentare, la cultura dellinternazionalizzazione non tanto consolidata quanto gli storici rapporti commerciali occasionali. Le probabili cause sono riconducibili alla scarsa conoscenza del mercato estero, lassenza della ricerca del cliente, la mancanza di unadeguata promozione del prodotto, e la certezza quasi esclusiva nelle capacit commerciali del buyer o dellimportatore cui ci si affida. Gli esperti fanno notare che se il processo dinternazionalizzazione fosse realmente la valvola di salvezza per il mondo del vino, allora la strategia vincente14 per unimpresa che si prepara a stravolgere il suo progetto di produzione e vendita, non potrebbe essere che quella dellinternazionalizzazione attiva, basata cio su rapporti commerciali sistematici, la selezione accurata dei target, le politiche promozionali mirate sul territorio prescelto. Per le imprese italiane, in definitiva, seguire la via dellinternazionalizzazione di vitale importanza, che piaccia o meno. Girovagare nel buio, restare inerti e senza punti di riferimento di fronte alle attuali necessit e allodierna crisi di settore, non pu che essere distruttivo.

3.2 Le principali ragioni per divenire internazionaliPer quanto piccole siano le dimensioni, due sono i presupposti che incentivano

linternazionalizzazione delle imprese italiane: conseguire una maggiore produttivit rispetto alle vendite e la capacit di produrre potenzialmente di pi nel caso in cui il mercato lo richieda. Queste due alternative sono presenti nella realt delle nostre aziende, ma talvolta la scarsa mentalit imprenditoriale e spirito diniziativa fa s che limprenditore nazionale spesso si accontenti della piccola vendita al dettaglio (che lo lascer perennemente nel suo limbo), anzich preoccuparsi di programmare e realizzare nel tempo strategie vincenti e di crescita per la propria azienda. Intraprendere la via dellinternazionalizzazione non poi cos semplice: servono accurati progetti di pianificazione, organizzazione, ma soprattutto pazienza e competenza nei confronti del mercato. Da qui la necessit per le imprese del settore di essere guidate verso quelle condizioni ideali allo scopo

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Cfr. Foglio A. Marketing globale. Prodotti, alleanze e strategie per il mercato globale (2004)

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di conseguire il benessere aziendale che consenta loro di riemergere dal perenne oblio e fare un salto di qualit. Ebbene, la prima ragione che dovrebbe invogliare una Pmi italiana allinternazionalizzazione quella di vendere i suoi prodotti in un nuovo mercato. Motivazione banale a primo impatto, eppure affinch ci avvenga, bisogner erudire i produttori italiani, a non rivolgersi al mercato internazionale nella stessa maniera in cui ci si dedica a quello limitrofo alla propria residenza. Per cui individualit, cultura, tradizioni e abitudini di ciascuna nazione costituiranno sempre una prerogativa imprescindibile nel corso della pianificazione di un progetto export vincente. Nella terra del Bel Paese i prodotti di qualit esistono in abbondanza, il vino uno di questi, e per di pi sono ricercati in tutto il mondo. Le capacit logistiche non mancano. Tuttavia, in alcuni settori come quello dellagroalimentare, deve ancora maturare quella forma mentis internazionale che semplificherebbe molto ladozione di strategie volte alla conquista dellestero. Io stessa, se fossi al posto di unimpresa, ammetterei la grande difficolt di pensare internazionale. come quando mi trovavo tra i banchi di scuola del liceo a studiare linglese e la professoressa mi diceva che il miglior modo per impararlo e soprattutto ricordarlo quello di pensare in inglese! Mi piacerebbe, a questo punto, spiegare ulteriormente il concetto con una metafora: la complessit nel costruire e poi far propria una struttura mentale internazionale trova i suoi elementi caratterizzanti nei due piatti di una bilancia. Quelli contenuti nel primo si mescolano fino a rappresentare la paura di intraprendere la nuova avventura, e ci non pu che significare per limpresa in questione unavversione allinternazionalizzazione e una retrocessione da questi piani. Quelli che, invece, si ritrovano nel secondo piatto, rivelano ottime speranze di successo; ed per questo che si tratta di fattori che incentivano limpresa allinternazionalizzazione. Tutto ci spiega quanto sia controversa la mentalit dellimpresa e le strategie che da questa ne scaturiscono! Riflettere sulla possibilit di operare in mercati nuovi allude al caso dei paesi con alto tenore di vita, ma anche a quelli emergenti come Cina, India, eccetera. Purtroppo, le potenzialit non sono facilmente individuabili: paese grande non significa necessariamente opportunit; potrebbe trattarsi invece di un grande rischio15. Lesperienza insegna che ciascunimpresa deve programmare la reale capacit dacquisto e, contestualmente, la propensione alla spesa, primancora di compiere unimportante avventura come quella estera. Una seconda motivazione che potrebbe giustificare il ricorso allinternazionalizzazione dirigersi in paesi con disponibilit tecnologiche elevate o con manodopera a basso costo, con lintento di15

Non sempre, infatti, un settore o un paese presenta i connotati della globalit e richiede, pertanto, strategie globali.

A volte la globalit coinvolge verticalmente solo una fase della catena del valore, come accade, tipicamente, nella produzione di diversi componenti oppure, in senso orizzontale, uno o pochi segmenti. In questi casi, si creano opportunit per strategie di focalizzazione globale, nelle quali eccellono imprese di dimensioni nettamente inferiori a quelle dei principali concorrenti.

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goderne i benefici e massimizzare la competitivit rispetto alle altre imprese dello stesso settore. Questultima la condizione di base per la delocalizzazione produttiva: prospettiva rischiosa, visto che si tratta di trasferire sedi e impianti di produzione in parti diverse del mondo. Ulteriore impulso allinternazionalizzazione delle imprese italiane deriva dalla necessit di seguire un grande cliente che si sposta o apre nuove sedi altrove. In questo caso il rischio per limpresa dato dalla scarsa disponibilit di risorse con cui gestire la presenza allestero. Questo fenomeno meglio conosciuto come la difficolt da parte dellimpresa interessata a scegliere e poi fidarsi di un operatore che conduca e amministri lattivit oltre i confini nazionali. A tutto ci si somma la scarsa attitudine dellimpresa nazionale a monitorare e vigilare a distanza la condotta e le performance di quelle persone a cui sono stati affidati una serie di lavori. Tanto che in alcuni casi questa incapacit ha avuto come conseguenza la scelta di inviare una risorsa interna allestero, sottraendola cos alla casa madre. Un tale problema risulterebbe marginale, se focalizzassimo per un istante lattenzione sulle imprese nate di recente. Unazienda che nasce oggi dispone, infatti, di un management giovane, che conosce bene linglese, che ha una visione internazionale sin dallinizio, quasi fosse congenita, e abituato a pensare in termini di mercato globale. Di conseguenza sa dove produrre: l dove pi conveniente. Si chiamano imprese born global, a prescindere dal tipo e dalla dimensione. In conclusione, mentre si fanno sempre pi stretti i legami tra paesi e realt territoriali del pianeta, le imprese nazionali si adeguano a questa tendenza e si aprono a mercati sempre pi vasti. Ci in due diversi modi: aumentando la propensione allexport dei propri prodotti per soddisfare oltre il mercato domestico anche quello straniero; espandendo la propria attivit in altri paesi, attraverso investimenti diretti, alleanze con imprese estere, e via dicendo. Le odierne forme dinternazionalizzazione16 sono sicuramente pi numerose di quelle del passato e costituiscono una svariata gamma di tipologie: accordi di cooperazione commerciale, produttiva e tecnologica con partner esteri, alleanze, joint-venture, partecipazioni, presenza diretta con sussidiarie e filiali commerciali, di servizio e di assistenza, eccetera. Sebbene non sia questa la sede per approfondirle tutte, si nota chiaramente landare oltre la tradizionale e primitiva attivit di commercio con lestero. Analogamente, le aree geografiche di potenziale interesse sono altrettanto varie: la globalizzazione coinvolge nello sviluppo economico capitalistico i paesi di tutti i continenti, attingendo da ognuno le proprie peculiarit, in termini di risorse naturali, costo e qualit dei fattori produttivi, tecnologie e competenze disponibili. Allinizio del presente capitolo, stata segnalata la difficolt per delle imprese di organizzare al meglio una strategia dinternazionalizzazione; e si detto che le ragioni di questa complessit sono eterogenee. Tra queste, mi sembra opportuno evidenziare, ora, alcuni fattori determinanti: la necessit di sottoporsi a un obbligato processo di16

Cfr. Valdani E., Bertoli G. Mercati internazionali e marketing (2006), pp. 177 273.

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trasformazione aziendale, spesso irreversibile, che coinvolge tanto gli assetti finanziari, quanto la struttura organizzativa e tecnica, il posizionamento sul mercato e la gestione delle risorse umane. Anche per le imprese pi dotate in termini di competenze e risorse, le incognite ci sono e sono non eludibili, dato che le operazioni internazionali vengono decise e realizzate senza la possibilit di esercitare una piena razionalit: troppi e imprevedibili sono i fattori da considerare; mai perfettamente conosciuti sono i mercati e le condizioni ambientali allestero. Tutto ci alimenta incertezza, timori e disagi per limpresa, come pure ostacoli aggiuntivi allo sviluppo internazionale. In passato, linternazionalizzazione era la soluzione adottata quasi esclusivamente dalle imprese provenienti dai paesi industrializzati, le uniche capaci di realizzare e garantire una stabile presenza diretta sui grandi mercati, superando impedimenti e barriere. Oggi, uno dei significati pi profondi della globalizzazione da rintracciarsi nello sviluppo di una nuova era, nota come internazionalizzazione diffusa. Caratterizzata dalla presenza di mercati integrati e infrastrutturali; costi di trasporto, di comunicazione e di esercizio delle attivit allestero notevolmente ridotti; dallabbassamento delle barriere economiche, tecniche e istituzionali tra paesi; dalla partecipazione di nuovi protagonisti (imprese, industrie, paesi) nellarena competitiva; da preferenze e gusti internazionali dei consumatori, la summenzionata epoca implica che nessuna impresa sia attualmente immune dal processo dinternazionalizzazione. Daltro canto levidenza di tutti i giorni la migliore testimonianza della nuova condizione in cui le imprese vertono!

3.3 Delocalizzazione produttiva: unopportunit da non sottovalutarePerch le imprese puntano sullestero? Coniata di recente nel vocabolario aziendale, la delocalizzazione produttiva si rivela a cospetto delle imprese come uno straordinario fenomeno nascente dalla globalizzazione, imperniato sullaccesso ai nuovi mercati e sullevoluzione del quadro competitivo mondiale. Obiettivo: il trasferimento della produzione di beni e servizi in paesi diversi da quello nazionale, generalmente in via di sviluppo o in transizione, da cui trarre i massimi benefici in termini di costi di produzione e delle materie prime. Loutput conseguito dalloperazione di delocalizzazione non sar oggetto di vendita sul mercato di destinazione, bens riacquisito dallimpresa per poi essere venduto nel paese dorigine, con il proprio marchio. In una prospettiva pi ampia, la delocalizzazione rappresenta un caso unitario e al tempo stesso composito, date le diverse forme in cui pu realizzarsi: dagli IDE alle joint-venture, dalloutsourcing alla subfornitura. Quanto agli effetti della delocalizzazione, gli studiosi manifestano opinioni divergenti: alcuni di essi 29

fanno prevalere gli svantaggi sugli aspetti positivi, perch ritengono che la delocalizzazione possa impoverire leconomia nazionale, comportando la perdita di posti di lavoro e valore aggiunto; per altri, invece, si tratta di un processo virtuoso finalizzato al rafforzamento delle imprese italiane. In altre parole, un importante strumento competitivo. Sta di fatto che, pur giustificando i timori e le perplessit connesse allavvio di un progetto di delocalizzazione, non si pu daltra parte nascondere linsieme dei suoi punti di forza. Tra gli altri, degna di nota la riduzione dei costi di produzione, la disponibilit di manodopera specializzata a basso costo di materie prime in loco, nonch la possibilit di creare nuovi sbocchi di mercato. Tuttavia, i rischi legati al trasferimento dellattivit produttiva allestero non sono da sottovalutare. Primo tra tutti il riadattamento della struttura produttiva e la riconfigurazione della natura stessa delle imprese, in quanto inserite in un conteso diverso da quello di origine, caratterizzato da maggiori flussi di capitali e di conoscenze tecnologiche, da importazioni meno costose e mercati delle esportazioni pi estesi. In secondo luogo, come gi detto, la riduzione del livello di occupazione, almeno per quanto riguarda i mercati europei, caratterizzati da rigidit salariale. Non meno importanti sono altri fattori di rischio, quali la perdita del controllo di qualit e di immagine, il trasferimento di know-how e, non ultimo il rischio paese. Quali potrebbero essere, allora, le precauzioni da tenere in considerazione prima dellimplementazione di un simile progetto? Naturalmente, bisogna capire se per limpresa si tratti di una strategia17 efficace o meno, se sia profittevole oppure no; individuare i fattori critici e necessari a determinare la scelta del paese di destinazione e, infine, organizzare il processo di produzione in base alle potenzialit tecniche e ambientali che ciascun contesto territoriale pu offrire. Imprescindibile la conoscenza degli aspetti legati alla legislazione del paese ospitante, e quindi la necessit di valutare attentamente gli aspetti normativi, legali e fiscali. Nellottica delle Pmi, il processo di delocalizzazione rappresenta una grande sfida competitiva, se si pensa che uno dei loro obiettivi sia la conquista del mercato estero. Al mercato estero si pensa non solo in termini di opportunit di business, ma anche di insediamento per la creazione di nuovi sbocchi. Tuttavia, alle varabili proprie di ciascun paese, se ne aggiungono altre a costituire nuovi ostacoli allo sviluppo dellinternazionalizzazione; difficolt di carattere strategico, organizzativo, manageriale, finanziario e normativo. Anche nella scelta dei paesi in cui delocalizzare la produzione, le Pmi prediligono aree geografiche pi vicine al proprio settore merceologico. Non va per trascurato laspetto fiscale e doganale, che non di rado costituisce uno dei principali limiti alla penetrazione sui mercati esteri. Ultima nellordine, ma non meno importante, la cultura dellimpresa che non sempre risulta favorevole alla scelta dellinternazionalizzazione; piuttosto si17

Cfr. Mandelli A. Strategia dimpresa. Strumenti e analisi di decisione (1989), pp. 97 e ss.

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preferisce rimanere cauti e programmare ladattamento culturale con gradualit, in modo da cogliere tempestivamente i cambiamenti nel mercato e rispondervi con unopportuna trasformazione delle attivit. Essendo la competizione internazionale fortemente sentita dagli imprenditori, essi vogliono fare squadra, e cio unirsi a formare consorzi, fusioni o acquisizioni, affinch luniverso delle Pmi possa continuare a competere sul mercato globale. In genere, sono le piccole imprese del made in Italy a decidere di investire allestero e, nel farlo, dimostrando grande dinamismo (in questa categoria rientrano ovviamente le imprese vinicole). necessaria una precisazione. Di recente, nei paesi con alti livelli di sviluppo e crescita, specialmente in quelli dellest europeo, va diffondendosi un fenomeno conosciuto come la rilocalizzazione della produzione, e consiste nel fatto che un numero sempre maggiore di imprese estere trasferisce progressivamente nel nostro paese la base della propria attivit produttiva. Trattasi esattamente del procedimento inverso a quello della delocalizzazione; infatti, anzich muoversi dal paese di origine verso lestero, si procede allincontrario. Questo processo finalizzato al presidio del mercato nazionale ed sostenuto da tutte le imprese posizionate su settori maturi, che soffrono la pressione competitiva sui mercati di tradizionale inserimento. Lidea della rilocalizzazione sembrerebbe, in casi come questi, garantire uno spiraglio in pi di sopravvivenza e un recupero del contesto competitivo precedentemente perduto.

3.4 I modelli di crescita allestero delle Pmi vinicoleLa tradizione vuole che la piccola dimensione rappresenti, nel caso dellimpresa vinicola nazionale, il principale limite al processo dinternazionalizzazione. Pertanto, quando lobiettivo da raggiungere diventa quello della conquista dei mercati internazionali, la scelta del modello pi conforme alla sua dimensione e alle sue prospettive di crescita Si cadr tratta, sullexport; di fatto, in di altri un termini, modello sullinternazionalizzazione commerciale18.

dinternazionalizzazione abbastanza singolare, se posto a confronto con quello adottato dagli altri paesi: fortemente indirizzato sul versante commerciale, meno su quello produttivo. Prima di entrare nel dettaglio , tuttavia, importante chiarire alcuni aspetti. Il primo riesamina quanto esposto allinizio del paragrafo. Generalmente, la dimensione aziendale non determinante per la realizzazione dellinternazionalizzazione commerciale o produttiva. La vocazione

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Cfr. Valdani E., Bertoli G. Mercati internazionali e marketing (2006), pp. 71 e ss.

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internazionale di unimpresa nasce a prescindere dalla sua dimensione, che sia piccola, media o grande, purch soddisfi ogni singola necessit. Lelemento differenziale tra queste tipologie dimprese sta nel fatto che, mentre nel caso di quelle grandi linternazionalizzazione dar vita a unoperazione indispensabile per sedurre il mercato estero (visto che quello interno gi saturo) e massimizzare, di conseguenza le proprie quote di mercato; nel caso delle piccole imprese questo stesso processo da considerarsi una potenziale strategia di crescita. Diversi sono anche gli impulsi che muovono luna e laltra impresa a operare a livelli sopralocali, i modi di attuare la presenza allestero e, infine, lentit delle performance conseguite. Il secondo aspetto da puntualizzare riguarda la tesi, ormai avvalorata, che classifica le imprese come micro, piccole, medie e grandi in relazione al numero di dipendenti, entit del fatturato e libert di detenere capitale e titoli autonomamente. Ci nonostante, nel corso degli ultimi anni, un nuovo termine divenuto duso comune, lasciando un po da parte la suddetta ripartizione: Piccole e medie imprese. Questa formula racchiude le prime tre tipologie dimprese allinterno di ununica categoria. Tuttavia, lesperienza insegna che i casi e le vicende aziendali variano da impresa a impresa, a testimonianza del fatto che ogni evento nasce come caso singolo e, in relazione a questo, ogni impresa acquista una propria originalit. Si spiegano, allora, i limiti legati allutilizzo (talvolta improprio) dellacronimo Pmi e, da questi, lesigenza di continuare la trattazione considerando il solo caso delle piccole imprese, vero emblema della realt aziendale italiana. Da questa premessa ci si sposta verso il cuore del capitolo e dellintera ricerca. Si approfondiscono, qui di seguito, le cause del processo di espansione estera della piccola impresa vinicola, le fasi tipiche del processo dinternazionalizzazione, le modalit di accesso ai mercati esteri e la necessit di una gestione innovativa interna. La propensione delle imprese vinicole a spingersi oltre i confini nazionali definita dalla combinazione di pi fattori. Alcuni di essi traggono origine allinterno della stessa impresa, per effetto di esperienze passate oppure di esiti positivi derivanti da strategie adottate in precedenza. Li possiamo chiamare fattori interni e, ne sono esempi: la volont di rafforzare la posizione competitiva in paesi esteri, per godere le condizioni di vantaggio locale; sviluppare nuove competenze e aumentare il livello di apprendimento; ampliare le quote di mercato. Altri nascono dai benefici e soddisfazioni che, evidentemente, limpresa ha conseguito stando allestero, anche per un breve periodo. Li chiamiamo fattori esterni. Tra i pi importanti, si ricordano: la crescita internazionale dei principali clienti; linternazionalizzazione dellintera filiera produttiva; lintento di frenare la capacit di espansione dei concorrenti che gi operano a livello internazionale. Come queste, molte altre ancora. Vi sono, tuttavia, aspetti imprescindibili a riguardo.

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Infatti, il vero elemento che muove una tipica impresa vinicola allinternazionalizzazione il contesto competitivo che la circonda. Lattuale congiuntura economica impedisce alla suddetta impresa di avere spazi liberi nel settore vitivinicolo e, indirettamente, le impone di cercare nuovi sbocchi altrove. In pi, la domanda dei consumatori non si limita a un contesto nazionale ma va oltre, inseguendo gusti internazionali, sapori che unimpresa deve essere in grado di garantire, se vuol aggraziarsi la fiducia del consumatore internazionale. A tutto ci si aggiunge la disponibilit di un bagaglio di risorse e competenze che, oltre a supportare limpresa durante il percorso internazionale, determinante delle sue performance finali. Unimpresa che ha capitale da investire, competenze e reputazione riuscir, pi di qualunque altra e senza troppi problemi, a reggere una competizione a livello sovranazionale. Tra gli altri, non va dimenticato il progetto dinternazionalizzazione: un piano di lavoro, ma anche una valida guida per aiutare limpresa a non perdersi allinterno dellingarbugliato mondo esterno. Molteplici gli elementi che lo costituiscono: dalla pianificazione degli obiettivi allanalisi dei mercati esteri (gusti e preferenze dei consumatori, strategie adottate dagli altri produttori vinicoli, il contesto normativo locale); dalla programmazione delle risorse da investire/risparmiare alle strategie con cui realizzare lestensione geografica delle attivit. Una parentesi a riguardo: pi volte, nel corso della trattazione, si fatto riferimento alle istituzioni e al contesto normativo del paese scelto come destinazione. Perch? La motivazione semplice: evidente che le leggi non sono uguali in tutti i paesi, soprattutto in riferimento al consumo di alcol. In alcuni posti, piuttosto che in altri, la legislazione limita fino a impedire il consumo di alcolici ad alcune fasce di consumatori, considerata la giovane et. Ad aggravare il tutto, le cosiddette prove etilometriche, sempre pi di frequente condotte dagli organi di polizia per misurare la gradazione alcolica assunta dal consumatore il quale, in caso di eccesso, sar sottoposto a sanzione. Tali forme di proibizionismo si traducono in un ulteriore limite alla produzione e alla vendita di vino e, soprattutto, in una maggiore difficolt per limpresa di proporre un simile prodotto in territori in cui la legislazione locale molto vincolante. Lunica soluzione favorevole sarebbe quella di sviluppare maggiore versatilit anche nel contesto legislativo del paese di destinazione. Il secondo punto da soddisfare capire con quali modalit le imprese del settore vitivinicolo accedono ai mercati esteri, e quali siano i vantaggi conseguiti. In verit, limpresa vinicola che decida di intraprendere uno sviluppo internazionale segue, di solito, un percorso caratterizzato da quattro operazioni non necessariamente sequenziali: lindividuazione dellarea geografica in cui fissare una presenza stabile; la gestione economica e organizzativa nel territorio prescelto; ladeguamento delle condizioni aziendali alla nuova realt; e infine, la gestione del portafoglio delle attivit e dei mercati in cui conservare la propria presenza. Questultima operazione richiede la 33

razionalizzazione della posizione internazionale, e cio la capacit di scartare le opzioni di presenza estera meno profittevoli a favore di quelle pi redditizie, allo scopo di evitare dispendi inutili di risorse. In precedenza, si detto che la modalit operativa che le imprese vinicole prediligono ai fini dellespansione estera quella dellesportazione dei propri prodotti. Le ragioni di questa scelta sono abbastanza evidenti: da un lato per cercare nuove opportunit di mercato, dallaltro per trasferire allestero il prodotto, dato il largo successo e la piena copertura del mercato nazionale. Le esportazioni si distinguono in dirette e indirette e, in entrambi i casi, costituiscono valide soluzioni alle necessit dellimpresa vinicola. Nel primo caso, limpresa esportatrice svolge lattivit di commercializzazione dei suoi prodotti allestero, servendosi dellapparato strutturale di cui dotata. Nel secondo, invece, si avvale del supporto di operatori localizzati nel paese estero a cui spetta, questa volta, la direzione delloperazione di vendita. Riferendoci ai benefici che limpresa vinicola trae dalla strategia orientata allexport si ricorda, tra gli altri, il pi importante e cio il raggiungimento del massimo vantaggio competitivo e di una posizione sul mercato di gran lunga pi interessante di quella occupata dagli altri competitor. Lestensione della produzione oltre i confini nazionali e la conciliazione tra competenze locali e strategie internazionali, garantiscono allimpresa in questione la capacit di servire appieno un mercato eterogeneo e pi esigente di quello nazionale. Questo significa crescere! Se quando detto indubbiamente vero da un lato, dallaltro non bisogna trascurare les