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IN CAMMINO TESI DI MATURITA’ Il sentiero cresce e va sotto i piedi come un’impresa non ha età ne marciapiedi S. Salgado Gaia Ferrario

tesina conclusa!

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IN CAMMINOTESI DI MATURITA’

Il sentiero cresce e va sotto i piedi come un’impresa non ha età ne marciapiedi S. Salgado

Gaia Ferrario

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IN CAMMINO

Il sentiero cresce e va sotto i piedi come un’impresa non ha età ne marciapiedi.

S. Salgado

Gaia Ferrario5 artistico 2015- 2016

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La vita di Sebastiao Salgado

Presentazione del libro e raccolta fotografica“In Cammino”.

Dal punto di vista storico le migrazioni immortalate.

Comte: un cammino interiore attraverso la filosofia.

Il cammino attraverso la scultura: Giacometti, Rodin, Boccioni.

INDICE:

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Di cosa non parlare se non di un cammino, che personalmente vede la fine di un grande capitolo scolastico; per un comune lavoratore può essere il tratto stradale da casa al lavoro; per un appassionato poi diventa la scalata verso la vetta ed il glorioso traguardo; ma per molti, un cammino è un’odissea, uno sradicamento doloroso e obbligatorio, per sfuggire ad atrocità ma senza alcuna direzione, verso luoghi ritenuti paradisiaci che molti però non riusciranno mai a raggiungere.

Nonostante le molteplici motivazioni ed obiettivi, un cammino rimane crescita interiore, spirituale, e culturale per tutti coloro che ne intraprendono la via.

Ogniuno ha il proprio percorso da intraprendere, la lunga salita da percorrere ed il personale obiettivo a cui giugere, l’importante tra le varie avventure è continuare a camminare.

IntroduzioneCi sono solo due errori che si possono fare nel cammino verso il vero; non andare fino in fondo e non iniziarlo

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Sebastiao SalgadoGuardare il mondo con gli occhi di chi cammina

per il mondo. Per comprendere che, in quanto umani, siamo transunti. Impermanenti. Ciascuno a modo suo.

Accomunati da una stessa, inquieta, ricerca di una meta. Per comprendere che chi cammina

spesso scappa alla ricerca di pace o di futuro.

Perché chi cammina è ancora vivo.

"Ho viaggiato per sette anni in cinquanta paesi tra milioni di fuori posto: questa è la loro battaglia contro l'invisibilità."

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VITA:

Nato l’8 febbraio 1944 in Brasile, è uno dei più famosi ed importanti fotografi contemporanei. Inizial-mente intraprende studi economici in scia al padre, successivamente però a cambiamenti politici è costretto con la moglie Lelia a fuggire, prima a Parigi e successivamente a Londra, dove tocca con mano quella che è veramente la sua passione, la fotografia.

Realizza in Africa un reportage nel 1973 sulla siccità che colpisce il Sahel seguito poi dalle situazioni dei migranti in Europa. Nel 1974 entra nell'agenzia Sygma e documenta la rivoluzione in Portogallo e la guerra coloniale in Angola e in Mozambico. Tra il 1975 ed il 1994 ha numerose collaborazioni con celebri cooperative fotografiche dopo le quali decide insieme alla moglie di fondare Amazonas Images, una struttura autonoma completamente dedicata al suo lavoro.

Salgado si occupa soprattutto di reportage di impianto umanitario e sociale, consacrando mesi, se non addirittura anni, a sviluppare e approfondire tematiche di ampio respiro.

Sebastiao SalgadoSalgado si occupa soprattutto di reportage di impianto umanitario e sociale, consacrando mesi, se non addirittura anni, a sviluppare e approfondiretematiche di ampio respiro.

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A titolo di esempio sono i 6 anni tracorsi in America latina documentando la vita rurale che danno origine alla raccolta “Others Americas”, seguita da corrispettivi altri 6 anni per sviluppare la indescrivibile raccolta di 400 dedicati ai settori base della produzione, pubblicando nel 1993 “la mano dell’uomo”.

E’ nel 2000 che presenta due capolavori riguardanti gli spostamenti etnici e migratori che colpiscono l’intero pianeta, presentati come “In cammino” e “ritrat-ti di bambini in cammino” accompagnati come sempre da mostre itineranti tra Roma, Milano e innumerevoli città straniere, l’ultimo volume è Genesi del 2013 dove si dedica alla celebrazione della terra, dopo tutto il dolore la miseria e sofferenza vista, si concede un’esaltazione alla culla di ogni essere vivente e della natura stessa.

Dati gli iniziali studi, Salgado approda tardi nel mondo della fotografia, riuscendo però ad occuparvi immediatamente un ruolo fondante. Le sue opere portano in sottofondo gli scatti tradizionali europei, con il condimento sudamer-icano che come tipicamente, tratta tematiche sociali, attirando l’attenzione su propblematiche come: i diritti dei lavoratori, la povertà, e gli effetti distruttivi dell’economia mercantilistica propria del capitalismo.

OPERE:

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Agli albori del progetto Genesi; Sebastiao ha calcolato di dover viaggiare con 600 rullini per realizzare in tutto il mondo quello che è il più celebre lavoro, ma data la complessità nel trasporto e i numerosi controlli doganali instaurati dopo l’attacco terroristico dell’11 settembre, il fotografo si trova costretto a utilizzare una Canon 1Ds da 21 megapixel riducendo il peso da 30 kg a soli 1,5 kg di memory segnando anche il suo personale approdo all’era digitale.

STILE:Rappresentante di temi così fortemente d’impatto Salgado decide di utilizzare una 35 mm per i suoi lavori, ed il vecchio e tradizione scatto su pellicola in bianco e nero.Conferendo quella sacralità tipica degli scorci proposti accentuando il senso di malinconia e solitudine gia°sufficente-mente percepibili dai volti. E’ particolarmente affezionato agli obbiettivi Leica in virtù della qualità negli obbiettivi, ponendo attenzione alla definizione e alle ombreggiature, schiarite in post produzione con lo sbian-camento per ridurne l’intensità altrimenti stroncante.

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“In Cammino”

“Vorrei che il mio lavoro fosse una sorta di arringa in favore delle popolazioni in movimento e di quanti sanno e possono accoglierli; vorrei mostrare e trasmettere la dignità nel desiderio di inserirsi, il coraggio nelle prove da affrontare; e desidero sottolineare lo spirito di intraprendenza con cui accettano le nuove sfide e ricchezza delle loro differenze; infine mi meravi-glio, di come la famiglia, rimanga fondata come per il resto della specie umana, sulla solidarietà e condivisione.

Hanno visto torturare, assassinare o scomparire amici e parenti, si sono nascosti nelle cantine mentre sulle loro città cadevano bombe, hanno visto le case bruciare e rase al suolo. Mi è capitato osservando bambini dei campi profughi ridere e giocare a pallone, di chiedermi quali ferite nascondessero

dentro.1998

A Yanomami Indianchild at Lafakabuco inthe area of Surucucus.Roraima State. Brazil.

.

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“In Cammino”Sebastiao raccoglie in un unico volume la storia odierna e passata di milioni di persone colti in attimi drammatici e in innumerevoli situazioni, che si presen-tavano davanti all’obbiettivo fotografico per mostare al mondo le dure condizioni dello sradicamento e la vera fatica.

Negli ultimi decenni, centinaia di milioni di persone in tutto il mondo sono stati sradicati dalle loro case da povertà, guerre e repressione. Alcuni fuggire per salvare le loro vite; gli altri rischiano la vita per sfuggire alla miseria. La maggior parte finiscono nei campi profughi o nei bassifondi delle città del Terzo Mondo; pochi fortunati trovano una vita migliore in un paese benestante lontano dal loro.

Tutti in molteplici motivi risultano in balia di forze economiche e politiche al di fuori del loro controllo. I cambiamenti economici e politici rendono più profonde le differenze tra ricchi e poveri, maggiormente concentrata nel terzo mondo causa della migrazione contadine e la nascita delle incontrollabili metropolitane

Le fotografie di Exodus catturano momenti tragici, drammatici ed eroici di vite individuali. E’ propria di Salgado l’innata capacità di congelare un istante all’eterno catturando al meglio le emozioni che traspaoiono sui visi scavati e vuoti delle anime vagati.

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“Questo libro racconta la storia di un’umanità in cammino, è una storia che turba perchè nessun popolo si sradica per scelta. Di solito, a costringerli a trasformarsi in rifugiati, migranti o esuli, sono forze che sfuggono al loro controllo, come la miseria, la repressione, la guerra o carestie. Alcuni sanno dove andranno, e sono fiduciosi nell’attesa di miglior vita, altri invece si limitano a fuggire e sono già contenti di essere vivi, infine molti non giungono mai a destinazione. Si mettono in cammino con i pochi averi, quelli che riescono a trascinarsi, muovendosi come meglio si riesce, a piedi su treni macchine o navi.”

Quest’esperienza ha cambiato profondamente la visione del fotografo. Egli pensava che le proprie conoscenze date dalle precedenti esperienze fossero sufficienti a dar risposte e credeva fermamente che l’umanità stesse evolvendo in senso positivo; innosomma non era pronto per ciò che avrebbe visto dopo. Ciò che ha vissuto gli ha fatto venire una forte apprensione per il futuro.

“Naturalmente tante circostanze mi hanno risollevato l’animo, ho conosciu-to ed incontrato, dignità, solidarietà e speranza dove invece ci si sarebbe aspettato solamente rabbia e rancore.”

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I migranti e rifugiati: l’istinto di sopravviven-za

La tragedia africana: un continente alla deriva

L’america latina: esodo rurale e disordine urbano

L’asia: il nuovo volto urbano del pianeta

CONTENUTI:

Nella speranza di illustrare alcuni grande temi, le foto contenute sono state suddivise in quat-tro grandi capitoli.

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La maggior parte di chi emigra lascia la propria casa con la speranza di una vita migliore o perché perseguitati. Entrambi sono vittime di forze al di là del loro controllo: povertà e violenza. Per i migranti le mete più ambite sono gli Stati Uniti e l'Europa. Anche se i loro viaggi sono lunghi e pieni di pericoli, per messicani, marocchini, vietnamiti, russi e molti altri il sogno di una vita migliore li rende in grado di sopportare tutto ciò. Al contrario, i rifugiati, divenuti tali contro la propria volontà a causa delle guerre che li hanno sradicati, come kurdi, afgani, bosniaci, serbi e kosovari sognano spesso di far ritorno in patria. Per qualcuno di loro, la frattura con il passato diventa definitiva diventando esuli.

Nei trascorsi sei anni riservati ai servizi fotografici, Salgado ne spende uno intero dedicato alla zona delle immigrazioni Kurde, dove documenta attraverso il reportage, questa popolazione devastata dalla politica, frantumata nel profondo e totalmente abban-donata al coas terribile della violenza e morte.

La popolazione Kurda:

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Il Kurdistan è un regione popolata da circa 80 milioni di persone che si estende su un vasto territo-rio che comprende sei stati dell’area mediorientale ed asiatica: Turchia (sudest), Iraq (nordest), Siria (nordest), Iran (ovest), Armenia (sud) e Azerbaijan (sudovest).Nel 1920, gli accordi di pace presi alla fine della prima guerra mondiale, nel trattato di Sevres, riconoscevano il diritto della popolazione curda ad avere un proprio “Stato”. Tuttavia nel trattato internazionale del 1923 emanato dal presidente (della neonata repubblica), Mustafa Kemal Atat-urk, disconosce il precedente accordo gettando inoltre le basi per le successive politiche di discriminazione politica, economica e culturale. Inizia così la lotta, prima politico-culturale poi anche militare, di rivendicazione dei diritti delle differenti minoranze curde nei rispettivi Paesi di appartenenza: il Kurdistan diviene in questo modo una sorta di “colonia internazionale”.

Per quello che riguarda la Turchia, già nel 1924 il Governo decretò l’interdizione della lingua curda e di tutte le espressioni culturali. Furono chiusi giornali, associazioni e scuole, l’Assemblea nazio-nale dove risiedevano 75 deputati curdi fu sciolta e questi ultimi interdetti dalle loro funzioni.Nel 1932 il Governo avviò il processo di “turchizzazzione”, ossia lo smembramento e lo sposta-mento delle comunità curde, per la gran parte rurali, in ambito urbano, avviando un processo di assimilazione. Uno dei primi provvedimenti legislativi emanati dalle autorità fu quello di disgregare le comunità contadine e destinare le singole famiglie ed i singoli individui nei grandi centri urbani in modo che essi perdessero i loro tradizionali legami e costumi ed il loro stile di vita.

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La regione curda della Turchia fu tenuta sotto legge marziale fino al 1946 e vietata agli stranieri fino al 1965 I curdi furono in seguito ufficialmente ribattezzati "turchi delle mon-tagne"; un ulteriore modo per negare l’iden-tità e le espressioni culturali di questi ultimi.Tutto ciò, unito alla mancanza di una cons-apevolezza della società civile riguardo alle ragioni storico- politiche alla base delle migrazioni e della conseguente formazione delle baraccopoli, ha impedito una reale integrazione dei curdi nel tessuto cittadino turco.Spesso i cittadini turchi non sono adeguata-mente informati sulle reali cause della migrazione di queste persone, sulle condizioni di vita all’interno delle baraccopoli e sui problemi che i curdi devono quotidiana-mente affrontare.

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L'Africa è sconvolta da sofferenze e disperazione, i suoi popoli sono segnati dalla povertà, dalla fame, dalla corruzione, dal despotismo e dalla guerra. Ad eccezione del Mozambico dove, dopo decenni di guerra civile, centinaia di migliaia di rifugiati hanno avuto la possibilità di tornare a casa, l'Angola e il Sudan del sud sono ancora devastati dalle guerre, e continuano a spingere milioni di persone a fuggire. Ben poco è stato fatto per fermare il genocidio in Ruanda, dove nel 1994 sono stati lasciati morire quasi un milione di tutsi.

Il genocidio in Rwanda

Oggigiorno il caso Ruandese vede una popolazione spaccata, violentata e allo sbaraglio, i due gruppi etnici presenti nel territorio vedono un forte 85% Hutu ed i solo 14% Tutsi. La grande differenza numerica potrebbe essere già sufficente a comprendere le motivazioni conflittuali, e la tragicità degli eventi registrati in occasione del terribile genocidio ruandese. Ma andando più a fondo nella storia politica- culturale della popolazione scopriamo numerosi dati determinanti degli eventi.

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La rigida divisione etnica, data la presenza di innumerevoli sottogruppi tribali, venne forzatamente istituzionalizzata durante il periodo coloniale tra Ottocento e Novecento dai coloni tedeschi prima e quelli belgi poi; ai quali fu affidato il paese in seguito alla prima guerra mondiale. I tutsi beneficiarono di un trattamento preferenziale perché, oltre che maggiormente inclini ai canoni occidentali, più ricchi e ben disposti nei confronti dei dominatori europei, tanto da essere inseriti nell’amministrazione coloniale e considerati veri e propri uomini di fiducia cui affidare incari-chi politici.

Tra il 1959 e il 1961 la rivolta dell’etnia sottomessa degli hutu, riuscì a spodestare la classe dirigen-te tutsi, ad abbattere la monarchia e a proclamare la repubblica; l’1 luglio 1962, dopo l’uscita del Belgio dal territorio, il Ruanda conquistò l’indipendenza. La svolta politica avvenne però in maniera tutt’altro che pacifica: migliaia di persone morirono negli scontri interetnici e centinaia di tutsi furono costretti ad emigrare nei paesi dell’Uganda e del Burundi per non subire le persecuzioni razziste simili alle dominazione coloniale. Gli anni seguenti furono caratterizzati da ulteriori violenze, sia all’esterno che all’interno dei confini del Ruanda, dove, a partire dal 1973, il generale hutu Juvénal Habyarimana instaurò un regime autoritario per più di vent’anni.

Verso la fine degli anni Ottanta, in seno alla comunità tutsi rifugiatasi in Uganda, nacque il Fronte patriottico ruandese (Rpf), gruppo politico-militare che si prefiggeva l'obiettivo di favorire il ritorno dei profughi in patria, anche attraverso la conquista militare del potere.

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Il 1994Il 6 aprile 1994 il presidente del Ruanda Habyarimana e quello del Burundi Cyprien Ntaryamira, entrambi di etnia hutu, morirono in un tragico e misterioso incidente: l’aereo sul quale viaggiavano fu colpito in fase di atterraggio presso l’aeroporto di Kigali (la capitale ruandese) da un missile terra-aria; i responsabili dell’accaduto sono ancora ignoti, ma l’ipotesi più accreditata porta ad estremisti hutu insoddisfatti dall’accordo di pace e dal conseguente ritorno dei profughi tutsi.

Il 4 agosto 1993, in un clima difficile caratteriz-zato da una forte crisi economica e da una guerra civile che si prolungava da ormai tre anni presso i confini del Paese, il presidente Habyarimana sottoscrisse in Tanzania gli Accor-di di Arusha, i quali prevedevano il rientro dei profughi tutsi dal Burundi e dall’Uganda e concedevano ad alcuni membri dell’Rpf ruoli istituzionali e militari di rilievo.

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Da quel giorno maledetto niente fu più come prima. Per vendicare l’accaduto, l’indomani a Kigali e nelle zone controllate dalle Forze armate ruandesi (Far) venne dato l’ordine, attraverso l’unica radio non sabotata, di “uccidere gli scarafaggi tutsi”; per cento giorni non ci fu tregua. Uno dei massacri peggiori fu compiuto a Gikongoro, dove vennero uccise a colpi di machete oltre 27mila persone. 8mila in un giorno. 333 in un’ora. Cinque vite al minuto.

Il massacro ebbe termine solo intorno alla metà di luglio con la vittoria del Rpf. In cento giorni vennero uccise in maniera siste-matica tra 800mila e 1.071.000 persone. Testimonianza della brutalità del genocidio ruandese è la difficoltà nell’identificare i carn-efici in quanto la direttiva era, Hutu parte attiva del massacro, chi si rifiutava era ucciso a sua volta. Per questo le persone coinvolte nel geno-cidio sono oltre mezzo milione tra mandanti, esecutori e persone coinvolte in crimini come lo stupro.

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Numerosi autori delle stragi rimasero impuniti o indirettamente protetti da paesi occidentali, come la Gran Bretagna, a causa dell'assenza di trattati di estradizione con il Ruanda. L'UNAMIR restò in Ruanda fino all'8 marzo 1996, con l'incarico di assistere e proteggere le popolazioni oggetto del massacro. L'ufficio dell'ONU fu capace di lavorare a pieni ranghi solo dopo il termine del genocidio, e questo ritardo costò alle Nazi-oni Unite una quantità di accuse che le portarono, nel marzo 1996 appunto, a ritirare i propri contingenti.

Nel corso del mandato, avevano perso la vita 27 membri dell'UNAMIR, 22 caschi blu, 3 osservatori militari, un membro civile della polizia in collaborazione con l'ONU e un interprete. Gran parte dei responsabili trovarono rifugio nel confinante Zaire (poi Repubblica Democratica del Congo). Gli odi razziali passarono così alle nazioni vicine: si suppone infatti che essi abbiano alimentato la Prima e la Seconda guerra del Congo (rispettivamente, 1996-1997 e 1998-2003), e che siano stati uno dei principali fattori della Guerra civile in Burundi (1993-2005).

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La storia dell'America Latina è plasmata dai flussi migratori che hanno portato decine di milioni di contadini nelle aree urbane. La maggior parte di queste persone sono spinte dalla povertà, poiché le aree coltivabili si trovano concentrate nelle mani di una ricca minoranza. Alcuni si rifiutano di andarsene: gli indios dell'Amazzonia combattono per restare nei loro territori, i ribelli zapatisti lottano per recuperare la terra perduta nel Messico del sud, il movimento brasiliano dei Senza Terra sfida i grandi latifondisti. Ma nella maggior parte dei casi si tratta di una battaglia persa. Le conseguenze di tutto ciò sono un'emigrazione che riempie le metrop-oli, come Città del Messico e Sao Paulo.

Movimento dei lavoratori rurali senza terra:Dotato di un enorme potenziale di risorse umane e naturali, il Brasile è il più importante Paese dell'America meridionale, ma è anche quello in cui si testimonia maggiormente il trascorso sudamericano. Un paese meraviglioso ma pieno di contrad-dizioni: sua caratteristica è la concentrazione della ricchezza nelle mani di una ristretta élite, rispetto all’enorma popolazione. Una società estremamente disuguale, di esclusione sociale, nella quale 85 milioni di brasiliani su 160 sono sotto la linea di povertà. Categorie maggiormente a rischio sono l’infanzia e adolescenza, in quanto scaricati nel mondo lavorativo già da giovane età; dai 9 anni infatti lavora il 50% della popolazione.

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Il "Movimento dos Trabalhadores Rurais Sem Terra", è la più grande organizzazione contadina latinoamericana, oggi presente in quasi tutti i 26 stati del Brasile. Nasce nel 1985 su tre obiettivi fondamentali:

1. La lotta per la terra, 2. La riforma agraria 3. Ampia trasformazione sociale.

L’obbiettivo comune è dunque una equa ripartizione delle terre di proprietà pubblica e privata, che i contadini raggiungono tramite l’occupazione. La represessione è durissima, in quanto i proprietari e latifondisti dispongono delle milizie private e la polizia statale detentore del potere registra il maggior numero di morti degli ultimi anni.L’associazione MST gestisce ed organizza 1.600 accampamenti, dove negli ultimi in particolare viene instaurata la scuola. Ogni insediamento ha la facoltà di organizzarsi individualmente o in forma associata, quest’ultima maggiormente incentivata, offre innumerevoli servizi e vantaggi anche nei centri urbani.Il MST si batte contro la "colonizzazione interna", attraverso le deportazioni di persone dal Sud al Nord impiegate poi nel disboscamento della selva per creare aree per la produzione di carne da fast-food per le multinazionali: i lavoratori impiegati subiscono trattamenti schiavistici, gli indigeni vengono scacciati dalle loro terre e la distruzione della foresta provoca danni irreversibili all'ecosistema.

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Tutta la storia del colonialismo è fatta di massacri, rapine di risorse naturali e sfruttamento dei poveri. Recita una canzone dei Sem Terra “il massacro dell’America Latina è stato progettato in Europa, vennero in nome della civiltà, impugnando in una mano la spada e nell’altra la croce”.

Per 500 anni è stato esportato zucchero, caucciù, caffé, oro destinato all’Europa. Anche dopo la fine della schiavitù legale nel 1888, la terra è rimasta nelle mani di pochi latifondisti; per i poveri e gli ex-schiavi l’unica possibilità era quella di continuare a vendersi.

Dal 1964 la dittatura militare, creata per stroncare le lotte contadine, sviluppò:

1) l’industrializzazione2) la rivoluzione verde, cioè un’agricoltura intensiva e in monocultura, soprattutto ad uso esportazione.

Negli ultimi 20 anni si è consolidata un’alleanza tra i latifondisti storici e le multinazionali della terra, rivolti alle terre meno sfruttate come l’Amazzonia e il Mato Grosso, scatenando il fuoco contro la foresta per disboscarla e la violenza contro gli indios.

Questo processo è in pieno sviluppo soprattutto nello stato del Parà (in Amazzonia), generando un conflitto sociale permanente, la maggior parte della terra coltivabile è improduttiva. I movimenti contadini, sono composti da persone povere che vogliono lavorare la terra, che non vogli-ono andare a vivere nelle favele e quindi fuggono dalle città.

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La fuga dalla povertà rurale ha dato all'Asia un nuovo profilo urbano. Per i braccianti dello stato indiano del Bihar, per i contadini dell'isola filippina di Mindanao, per i pescatori del Vietnam, le città rappresentano un'attrattiva magnetica. Dal Cairo a Shangai, da Istanbul a Giakarta, da Bombay a Manila, la migrazione interna ha portato le megalopoli ad un livello comparabile con Città del Mes-sico e Sao Paulo.

Questo esodo parte soprattutto da Pakistan, Bangladesh, Indonesia e Filippine per arrivare nei paesi asiatici mag-giormente industrializzati. In Cina i flussi migratori sono in prevalenza interni al paese, dalle aree rurali più povere, verso le ricche città protagoniste del miracolo economico.

Un discorso particolare è necessario per chi fugge dalla Birmania, dove la miseria e la dittatura militare hanno ridotto alla fame centinaia di migliaia di persone abban-donate poi in Tailandia, Malaysia, Cambogia. Disposte a tutto pur di non tornare all’inferno, si adattano a lavorare nelle fabbriche vicino a Bangkok o Kuala Lumpur, a volte in condizioni di semi schiavitù.

Le migrazioni asiatiche:

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Anche per gli altri immigrati, però, la vita non è un paradiso: le tutele sindacali, già scarse in quasi tutti i paesi asiatici per i lavoratori regolari dell’industria, sono del tutto assenti per quelli in nero. Il fenomeno ha raggiunto in molti Stati proporzioni allarmanti. In Malaysia vi sono tre milioni di lavoratori stranieri, provenienti soprattutto dalla vicina Indonesia, un terzo dei quali è entrato illegalmente. La maggior parte degli occupati in nero si trova nelle piantagioni o nell’edilizia, accettando mansioni poco pagate.

Il governo ha deciso di usare il pugno di ferro contro chi non ha le carte in regola, mandan-done migliaia nei campi di detenzione, nonos-tante le vibrate proteste dell’Onu e di molte organizzazioni per i diritti umani. In Giappone è ufficialmente vietato impiegare stranieri poco specializzati, ma in realtà è pratica comune assumerli nei negozi o nelle fabbriche, utilizzando come escamotage gli “haken geisha”, vale a dire gli intermediari di mano-dopera.

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Auguste Comte

“Che l’ordine sociale, fino ad ora organizzato a

vantaggio di gente inutile, sia interamente

organizzato per gente utile, ecco amico mio, un

dovere per noi, per noi che usciamo dalla

classe degli oprressi e che possiamo contribuire

un po’ con i nostri lumi ad effettuare questo

grande cambiamento. Siamo in rapporto con gli

uomini, per lavorare al miglioramento della loro

sorte”.

« L'Amore per principio e l'Ordine per fondamento; il Progresso per fine »

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Auguste Comte

Nasce il 19 gennaio 1798, è conosciuto oggigiorno come padre del Positivismo e della sociologia.

il termine sociologia fu coniato dal filosofo per differenziarsi ed allontanarsi dagli intellettuali rivali molto vicini ai medesimi studi; Comte elabora uno studio scientifico e minuzioso della società; all’in-terno delle sue ricerche, abolisce la metafisica, prediligendo invece un esaltazione quasi religiosa della scienza tramite la quale mira ad un conoscere universale escludendo gli apriorismi. Testo chiave, che segna l’inizio della sua scuola è il “corso di filosofia positiva”, monumentale opera a raccolta dei cicli di lezioni. Comte, non ottenendo la cattedra universitaria tanto ambita visse una forte crisi celebrale che lo portò alla pazia, morirà infatti nel 1857 totalmente folle dopo aver fondato religione atea e scien-tifica chiamata catechismo Positivo.

Perché trattare Comte all’interno della mia tesina?

Comte, all’interno dei sui studi si concentra particolarmente sulla condizione della società e della popolazi-one disagiata. All’interno dell’opera del 1822, “piano dei lavori scientifici necessari per riorganizzare la società” (ristampato nel 1824 col titolo “Politica positiva”) come intuibile dal titolo, il filosofo tenta di ricostruire l’organizzazione popolare sconvolta dalla Rivoluzione Francese.

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Mise a punto per tal proposito una teorizzazione sulla società nella storia, un cammino evoluzionistico del pensiero, una crescita delle facoltà dell’uomo e una salita verso il ritorno all’ordine quotidiano della vita. Stipula una così detta legge dei tre stadi perche articolata su tre distinti livelli, si tratta di un procedi-mento di sviluppo, una crescita effettiva che riguarda contemporaneamente il singolo individuo come quello dell’umanità intera.

Stadio teologico: Chiamata anche età teologica o «fittizia», corrispondente al periodo dell'infanzia dell'umanità; dove si ricercano le cause dei fenomeni, attribuendo l’inspiegabile ad esseri soprannaturali come oggetti sacri, poi a diverse divinità ed infine si giunge ad un unico Dio. Si tratta dell'età dell'immag-inazione in cui gli uomini sono sottoposti a regimi come il Papato, che detiene il potere spirituale; e la casta militare, che detiene quello temporale; praticamente si descrive il Medioevo.

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Stadio metafisico: chiamato anche età metafisica o «astratta», corrisponde al periodo dell'adolescenza o giovinezza del pensiero; in cui gli agenti soprannaturali sono rimpiazzati da forze astratte: la «Natura» di Spinoza, il «Dio-geometra» di Cartesio, e la «Ragione» dell'intero Illuminis-mo. Si è dunque compiuto un primo cammino verso un piano politico con maggiore consape-volezza rispetto a prima e rispetto all’uomo in se; tramite libertà di coscienza e sovranità popolare. Il pensiero risulta però ancora prigioniero di concetti filosofici astratti.

Stadio positivo: In questo tratto di strada chiamato anche età positiva, l’uomo smette di sognare non diva-gando più tra sogni e astrazioni bensì viene finalizzato alla concretezza. L'umanità è arriv-ata sulla strada di questo stadio grazie all'opera di uomini come Galileo Galilei, Cartesio e Bacon, passando per l'illuminismo e approdando al positivismo nel XIX secolo, come inizio di questa nuova era.

Comte stesso tratta il discorso utilizzando il termine cammino, o in quanto francese marche, per sottolineare il lungo percorso tra una fase e l’altra della vita/storia umana. Rileggo i tre distinti momenti in chiave logica effettiva, come traduzione teorica della vita di un migrante, che parte sognante illuso e ricolmo di convinzi-oni puramente astratte concependo mondi inimmaginabili, man mano che procede e incontra i primi disagi percepisce il cambiamento, ma come un adolescente è in grado di risolvere i problemi in maniera non del tutto completa, fino a giungere alla maturità, consapevolezza e obbiettività della vita, che gli palesa avanti le tristi realtà che ci circondano.

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Alberto Giacometti“Come se il movimento non fosse più che una successione di punti di immo-bilità . Una persona che parlava non esprimeva più un cammino, ma delle immobilità completamente staccate l’una dall’altra, momenti che potrebbe-ro durare, dopotutto delle eternità, interrotti e seguiti da altre immobilità. Si incrociano, si sorpassano, senza vedersi, senza guardarsi”.

Ho visto le sue sculture così delicate e allo stesso tempo così potenti, da far venir voglia di descriverle come neve che conserva l’impronta di un uccello.

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Alberto Giacometti:

Nato il 10 ottobre del 1901 a Borgonovo, Giacometti cresce nell’ambito familiare affiancato dal padre (pittore postimpressionista) nella piccola cittadina svizzera italiana di Stampa, accostando subito la propria passione all’arte, in particolare nella scultura, ritraendo innumerevoli volte il fratel-lo Diego e la madre Annette. Porta avanti inoltre molte passioni, come la letteratura scienze natu-rali e storia, fino all’autunno del 1919 quando inizia gli studi d’arte a Ginervra.

Nel 1920 va per la prima volta in Italia, dove incontra l’arte rinascimentale, barocca (che maggior-mente lo colpisce), l’arte antica egizia dalle quali rimane profondamente folgorato. Il 9 gennaio del 22, si reca a Parigi, dove frequenta l’accademia de la grande-chaumierè. Ma è solo nel 1926 quando scolpisce Torse che il suo stile cambia totalmente divenendo da postcubista a surrealista. Aderisce a quest’ultima avanguardia con Aragon, Breton e Dalì; partecipando attivamente alle pubblicazioni ed attività sino al 1935 quando ritornerà allo studio del vero. Nel 1932 apre la sua prima mostra personale a Parigi trattando temi come l’aggressione sessuale e la crudeltà della morte, tramite opere come donna sgozzata e il palazzo alle quattro di mattina.

Rompe bruscamente i rapporti con la scuola perchè accusato di aver tradito i principi basici del surrealismo avendo lavorato per l’arredatore Jean-Michael Franck. Così torna allo studio del vero, avvicinando a se gli occhi interessati di numerosi collezionisti, come Peggy Guggenheim che comprerà una seconda versione della donna sgozzata, fusa appositamente per lei.

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Nel 46 la rivista “Chaiers d’art” dedicò ben 16 pagine recensendo le ultime opere dello scultore e annotando i cambiamenti stilistici in riferimento solo all’ultimo anno; si tratta non più di minuziose figurette, bensì di donne filiformi alte più di un metro; descritte dal giornale come in “working progress” o alla francese “en voie d’execution”. L’anno dopo sposa Annette Arm che l’aveva seguito a Parigi, in questo periodo, rappresenta gruppi di uomini e donne in movimento, più precisamente in cammino.

Numerose retrospettive e mostre lo portano frequentemente a New York dove nel 1958 ottine, commissionato da Bunsharf, una statua per la piazza annessa alla banca newyorkese; sfortunatamente il progetto non va in porto, la realizzazione è interrotta nonostante gli iniziati lavori su cartoni e statue di “donna in piedi”, e “uomo che cammina”.Nel 1963 un tumore allo stomaco lo avvia ad un progressivo declino fisico che lo porteranno il 6 dicembre 95 al ricovero nell’ospedale di Coira e la morte per arresto cardiaco un mese dopo, l’11 gennaio del 1966.

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Le figure umane di Giacometti sembrano scheletri corrosi dal tempo, che rappresentano la drammati-ca e assurda condizione esistenziale dell’uomo mod-erno. Il soggetto, rozzamente rifinito, possiede una strana potenza, accentuata attraverso la forma innatural-mente allungata, tramite il quale viene accentua la dismessa condizione di precarietà e fragilotà.

STILE:

A differenza di molti scultori, Giacometti non partiva da un blocco per liberare la forma, bensì da uno scheletro in metallo al quale sommava la materia prima di fonderla, tramettendoci l’idea di simultaneità temporale ed annullando dunque, un tempo passato o presente, nell’unico tentativo di manifestare un’idea di forma. Fa proprie le problematiche esistenziali dell’umanità, come l’individualismo che allontana i singoli fra loro e la fragilità col quale si interrompe un ciclo esistenziale. Utilizza a sostegno delle teorie racchiuse un’arte primitiva, semplice ed immediata alla comprensione.

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L’uomo che cammina L'Homme Qui Marche Scultura bronzea, del 1960, ha detenuto il record per il prezzo di acquisto (che non sia un quadro) per più di 100 milioni di dollari americani.Quest’opera d’arte così famosa oggigiorno, deve la sua riconoscenza mondiale alla strut-tura stessa che la compone; chiunque osservi il soggetto infatti tende a sviluppare un forte senso di inquietudine derivante dalla sottile ed esile massa corporea eretta su un blocco che pare frenarne la forza.Molto forte è la sensazione di precarietà del movimento dato dall’uomo che, dopo aver fatto un primo passo, si trascina dietro la seconda gamba inchiodata nel supporto. A sotto-lineare la pericolosità del movimento è il materiale stesso che la costituisce, il metallo appli-cato per piccoli pezzi e successivamente fuso ripetutamente conferisce alla superfice una sorta di corrosione, che ne sgretola le forme conferendole l’aspetto di vecchio e decadente.

Ho associato ques’opera alla mia tematica, perchè trascrizione materica di una sensazione ben superiore, un sentire interiore straziato, angosciato impaurito e stanco, che però mostra al mondo tramite un piccolo movimento la forza spirituale umana; più in particolare di un migrante (minuziosamente) di un uomo che cammina.

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Auguste Rodin

“L'artista è il confidente della natura; i fiori portano avanti un dialogo con lui attra-

verso la graziosa piega dei loro steli e le sfumature armoniosamente tinte dei loro petali. Ogni fiore ha una parola cordiale

che la natura dirige verso l'artista”.„

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VITA

Rodin, nato a Parigi nel 1840, è considerate il progeni-tore della scultura moderna, nonostante I suoi studi poco ortodossi, in quanto tentò ben tre volte l’esame d’ammissione all’Ecole des Beaux-Arts. La ripetuta bocciatura oltre ad un profondo sconforto portò l’artista a studi più semplici come in botteghe di orefici o scalpel-listi, evitando dunque la tipicamente rigida impostazi-one, conservando però il desiderio di essere accettato nelle più importanti scuole parigine.

Tanta libertà portò anche grandi fatiche nell’essere riconosciuto, solo a 37 anni nel 1877 ottenne la prima affermazione esponendo al Salon (unico luogo aperto ad artisti emergenti), “l’età del bronzo”. Egli ebbe la capacità di plasmare l’argilla in maniera unica, comp-lesse, vigorose e cariche di significato. Si scontro dunque immediatamente con la tradizione dell’epoca che prevedeva una raffigurazione stereotipata, deco-rativa ed in richiamo al classico.

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STILE

Per il suo lavoro Rodin scelse temi mitologici ed allegorici studiandone successivamente l’anatomia ed il movimento, capì sin da subito le problematiche del suo lavoro, ma rimase coerente rifiutandosi di modificare il proprio stile. Due anni dopo la prima esposizione presentò sempre al Salon il “San Giovanni Battista”, prendendo come modello semplici persone, in questo caso infatti utilizzo un conta-dino abruzzese. Sin da subito è chiaro la sua inclinazione e stilistica, una dettagliata resa anatomica, modelli naturali, ed una accurata ricerca di essenzialità.

Fù folgorante il primo viaggio in Italia, del 1875 dove a Firenze incontro Michelangelo, “Andando in Italia mi sono d’un tratto innamorato del grande maestro fiorentino e le mie opere hanno certamente risentito di questa passione”, coinvolgendo non soluzioni formali ma anche la concezione stessa dell’opera, rendendo come il predecessore un corpo espressivo e comunicante gli stati d’animo.La ricerca vede il liberare la forma, con attenzione posta al “non finite” del fiorentino come per la scultura romana, portandolo a concepire ed ideare volutamente opera parzialmente o formalmente mancate.

Ebbe la capacità di vedere in un singolo elementi una grande potenzialità, questa capacità gli prem-ise di progettare opere assemblate fra loro come “l’uomo che cammina”.

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Realizzato nel 1907 viene interpretato dai critici come, un primo studio dell’opera realizzata successivamente del “San Giocanni Battista”, mentre altri vedono in essa l’assemblaggio stesso tra la sovracitata ed un busto acefalo trovato nello studio nel 1887. L’opera inizialmente igno-rata dalla critica fu esposta nel 1900 su una piccola colonna, venne successivamente ( nel 1907) ingrandita da Henry Labossè, destinandola al palazzo Farnese a roma (progettato da Michelangelo e per questo facendo gioire l’artista), venne poi tolta nel 1923.

Con quest'opera Rodin compie un importantissimo primo passo di avvio verso la scultura contemporanea; il non finito inizialmente criticato esprime il puro movimento sul quale egli voleva concentrarsi, l'anatomia dei passi, dalle gambe si vedono linee raccordate all'inclinazione del busto che in quanto mancanti non hanno possibilotà di continuare nella testa o braccia.Oltre al cammino fisico che questa scultura compie, come sempre Rodin mostra anche un lato molto umanitario e sentimentale, la scultura a differenza di quella giacomettiana, presentando gambe e busto forte-mente strutturati e massicce il senso del movimento è carico di energia e forza, mostrando tramite l'incompiutezza una crescita ed un cammino ben oltre quello puramenrte fisico quanto interiore.

L’uomo che cammina:

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” Gli scultori tradizionali fanno girare la statua su se stessa davanti allo spettatore,

e lo spettatore intorno alla statua, ma ciò non fa che aumentare l’immobilità dell’opera

scultorea. La mia costruzione, invece, crea davanti allo spettatore una continuità di

forme e di movimento”.

Umberto Boccioni

“Questo succedersi, mi sembra ormai chiaro, non lo afferriamo con la ripetizione di gambe, di

braccia, di figure, come molti hanno stupidamente supposto, ma vi giungiamo attraverso la ricerca

intuita della forma unica che dia la continuità nello spazio”.

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VITA

Umberto Boccioni nasce nel 1882 a Reggio Calabria, si trasferì a Roma dove inizia gli studi artistici presso la scuola libera del nudo, entrando in contatto con Severini e Balla.Si stabilisce a Milano dopo vari viaggi tra Venezia Parigi ed in Russia; nel nord Italia ha dunque una fase pre futurista modellato in base dall'iniziatore Balla, con pittura dal vero e tecnica divisionista, inter-essandosi sulla vibrazione del colore e della luce.Allo scoppio del primo conflitto mondiale è chiamato alle armi, il 17 giugno 1916 all'età di trentaquattro anni muore in un incidente nelle retrovie dei campi di battaglia.

STILE

I soggetti riportati vedono periferie urbane in costruzione, anticipando i successivi futuristi, riprenden-do inoltre interessi per naturalismo dopo aver studiato il simbolismo viennese ed l'espressionismo tedes-co, esempio è il trittico degli stati d'animo e del 1910 “La città che sale”, nel quale vennero definiti con precisione tutti i caratteri propri del futurismo, divenendo esso stesso il manifesto dell'avanguardia.

Dal 1911 si dedica alla scultura, scoprendo la propria genialità e bravura, infatti l'anno dopo redige il manifesto scultoreo teorico futurista, con l'opera simbolo “forme uniche nella continuità dello spazio”.

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“Forme uniche nella continuità dello spazio”:

Il tempo è qui annientato, solidificato in unico istante, la simultaneità del movimento è intrappolata nella figura senza porsi il problema delle varie fasi, in quanto viva, in movimento ed in cammino.

Gia intuibile dal titolo, vediamo come Boccioni studia e sperimenta attraverso la scultura la percezione tra pieni vuoti, oltre all’ovvio dinamismo;la materia corporea propria dell’opera risulta dunque manifestazione di un’energia e movimento tramiteprofonde concavità e convessità non più plasmate in conseguenza all’anatomia ma al cammino stesso della figura.

Cito quest’opera come manifestazione della forza umana, comprenden-do una parte puramente fisica come dall’altra una totalmente sentimen-tale, pronto e lanciato verso il futuro. L’oggetto viene concepito come qualcosa che non termina e non ha limiti, propagandosi nello spazio e divenendo esso stesso parte del contesto in cui viene inserito, una totale compenetrazione tra l’uomo e lo sfondo. Vediamo lo spostamento solidifi-carsi, le gambe paiono infatti rivestite da lembi di stoffa svolazzanti che invece indicano il moto progressivo dell’uomo.

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Grazie per l’attenzione

Gaia Ferrario 5 artistico 2015- 2016

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