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Testimoni 11/2016 1 11 Novembre 2016 TARIFFA R.O.C.: “POSTE ITALIANE S.P.A. SPED. IN A.P. - D.L. 353/2003 (CONV. IN L. 27/02/2004 N. 46) ART. 1, COMMA 1, DCB BOLOGNA” VIA SCIPIONE DAL FERRO, 4 - 40138 BOLOGNA La Georgia famiglia, ecumenismo A Tbilisi, nel dialogo con sacerdoti, seminaristi, laici, papa Francesco ha usato le espressioni più forti per di- fendere il matrimonio e denunciare l’invadenza distruttiva della «teoria del gender», ovvero il presunto dirit- to di ognuno a scegliere il «genere» sessuale cui appartenere. «Oggi c’è una guerra mondiale per distruggere il matrimonio. Oggi ci sono coloniz- zazioni ideologiche che distruggono, ma non si distrugge con le armi, si di- strugge con le idee. Pertanto, biso- D ifesa del matrimonio, pace, dialogo interreligioso come unico possibile antidoto al- la guerra mondiale a pezzi. Papa Francesco in Georgia ed Azerbai- gian – due realtà diverse, il primo un paese cristiano, il secondo un paese musulmano – ha presentato il volto di una Chiesa cattolica impegnata a tendere la mano a tutti ed allo stes- so tempo salda nella difesa dei valo- ri fondamentali della famiglia e del- la vita. Il Magistero di papa France- sco, pur riaffermato nei termini già noti, si è declinato tuttavia a contat- to con le due specifiche realtà locali. Il Papa in Georgia e Azerbaigian MESSAGGERO DI PACE Siamo interpellati a dare una risposta non più rimandabile, a costruire insieme un futuro di pace: non è tempo di soluzioni violente e brusche, ma l’ora urgente di intraprendere processi pazienti di riconciliazione. Testi moni In questo numero INTERVISTA Congregazione generale dei Gesuiti: l’eredità di p. Nicolàs 5 VITA DEGLI ISTITUTI XX Capitolo generale delle Missionarie Comboniane 11 VITA DEGLI ISTITUTI Capitolo del bicentenario dei Missionari Oblati 8 VITA DELLA CHIESA Monachesimo e Chiese protestanti 13 VITA CONSACRATA Incontro annuale dell’Ordo Virginum 16 LITURGIA Come vivere il tempo di Avvento 19 NOVITÀ LIBRARIA Figli nel Figlio 46 VITA DEGLI ISTITUTI Formazione dehoniana: Cuore Sacro 22 PASTORALE VIII edizione del Festival francescano 25 FORMAZIONE Cosa cercano i giovani religiosi? 27 PROFILI E TESTIMONI Diventare prete per il servizio degli uomini 30 QUESTIONI SOCIALI I bambini che mancano 34 VOCE DELLO SPIRITO Promessa di felicità 38 SPECIALE Il nome di Dio è misericordia 39 MENSILE DI INFORMAZIONE SPIRITUALITÀ E VITA CONSACRATA MENSILE DI INFORMAZIONE SPIRITUALITÀ E VITA CONSACRATA

Testimoni 11 Novembre 2016 - Dehoniane · Testimoni 11/2016 3 bile, a costruire insieme un futuro di pace: non è tempo di soluzioni vio-lente e brusche, ma l’ora urgente di intraprende-re

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Testimoni 11/2016 1

11Novembre 2016TARIFFA R.O.C.: “POSTE ITALIANE S.P.A.SPED. IN A.P. - D.L. 353/2003 (CONV. IN L.27/02/2004 N. 46) ART. 1, COMMA 1, DCB BOLOGNA”VIA SCIPIONE DAL FERRO, 4 - 40138 BOLOGNA

—La Georgiafamiglia, ecumenismo

A Tbilisi, nel dialogo con sacerdoti,seminaristi, laici, papa Francesco hausato le espressioni più forti per di-fendere il matrimonio e denunciarel’invadenza distruttiva della «teoriadel gender», ovvero il presunto dirit-to di ognuno a scegliere il «genere»sessuale cui appartenere. «Oggi c’èuna guerra mondiale per distruggereil matrimonio. Oggi ci sono coloniz-zazioni ideologiche che distruggono,ma non si distrugge con le armi, si di-strugge con le idee. Pertanto, biso-

Difesa del matrimonio, pace,dialogo interreligioso comeunico possibile antidoto al-

la guerra mondiale a pezzi. PapaFrancesco in Georgia ed Azerbai-gian – due realtà diverse, il primo unpaese cristiano, il secondo un paesemusulmano – ha presentato il voltodi una Chiesa cattolica impegnata atendere la mano a tutti ed allo stes-so tempo salda nella difesa dei valo-ri fondamentali della famiglia e del-la vita. Il Magistero di papa France-sco, pur riaffermato nei termini giànoti, si è declinato tuttavia a contat-to con le due specifiche realtà locali.

Il Papa in Georgia e Azerbaigian

MESSAGGERODI PACE

Siamo interpellati a dare una risposta non più rimandabile,a costruire insieme un futuro di pace: non è tempo

di soluzioni violente e brusche, ma l’ora urgentedi intraprendere processi pazienti di riconciliazione.

TestimoniIn questo numero

INTERVISTACongregazione generale deiGesuiti: l’eredità di p. Nicolàs5

VITA DEGLI ISTITUTIXX Capitolo generale delleMissionarie Comboniane11

VITA DEGLI ISTITUTICapitolo del bicentenariodei Missionari Oblati8

VITA DELLA CHIESAMonachesimoe Chiese protestanti13VITA CONSACRATAIncontro annualedell’Ordo Virginum

16LITURGIACome vivere il tempodi Avvento19

NOVITÀ LIBRARIA

Figli nel Figlio46

VITA DEGLI ISTITUTIFormazione dehoniana:Cuore Sacro22PASTORALEVIII edizione delFestival francescano25FORMAZIONECosa cercanoi giovani religiosi?27PROFILI E TESTIMONIDiventare prete peril servizio degli uomini30QUESTIONI SOCIALI

I bambini che mancano34VOCE DELLO SPIRITO

Promessa di felicità38SPECIALE

Il nome di Dioè misericordia

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MENSILE DI INFORMAZIONE SPIRITUALITÀ E VITA CONSACRATAMENSILE DI INFORMAZIONE SPIRITUALITÀ E VITA CONSACRATA

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ATTUALITÀ

2 Testimoni 11/2016

gna difendersi dalle colonizzazioniideologiche. Se ci sono problemi, fa-re la pace al più presto possibile, pri-ma che finisca la giornata, e non di-menticare le tre parole: “permesso”,“grazie”, “perdonami”». Sul tema dell’ecumenismo ha ribadi-to che un conto sono le discussioniteologiche, un altro il concreto colla-borare. «Lasciamo che i teologi stu-dino le cose astratte della teologia.Ma che cosa devo fare io con unamico, un vicino, una persona orto-dossa? Essere aperto, essere amico.“Ma devo fare forza per convertir-lo?”. C’è un grosso peccato control’ecumenismo: il proselitismo. Mai sideve fare proselitismo con gli orto-

dossi! Sono fratelli e sorelle nostri,discepoli di Gesù Cristo. Per situa-zioni storiche tanto complesse siamodiventati così. Sia loro sia noi credia-mo nel Padre, nel Figlio e nello Spi-rito Santo, crediamo nella Santa Ma-dre di Dio. “E cosa devo fare?”. Noncondannare, no, non posso. Amicizia,camminare insieme, pregare gli uniper gli altri. Pregare e fare opere dicarità insieme, quando si può. È que-sto l’ecumenismo. Ma mai condan-nare un fratello o una sorella, mainon salutarla perché è ortodossa».Nel viaggio di ritorno, sull’aereo chelo riportava a Roma, papa France-sco ha avuto parole di apprezzamen-to e ammirazione per la Chiesa orto-dossa georgiana e per il suo patriar-ca. Rivolgendosi al Capo dello Stato,ai vescovi, al Corpo diplomatico,nella cattedrale patriarcale di Tbili-si, papa Francesco ha osservato unavolta di più che «il messaggio cristia-no – questo luogo sacro lo ricorda –è stato nei secoli il pilastro dell’iden-tità georgiana: ha dato stabilità inmezzo a tanti sconvolgimenti, anchequando, purtroppo non di rado, lasorte del Paese è stata quella di es-sere amaramente abbandonato a sestesso».

—Azerbaigian: no all’usostrumentale della religione

A Baku – una città moderna, dove igrattacieli sostituiscono ormai i pa-lazzi grigi dell’era sovietica, in unpaese sulle rive del Caspio e sopraun mare di petrolio – papa France-sco ha da un lato confermato la pic-cola comunità cattolica – 7 mila fe-deli – e dall’altro ha ribadito la pri-maria importanza del dialogo inter-religioso. Un tema trattato in un am-pio discorso, che potrebbe restarecome uno degli atti più lucidamenteanalitici del suo Magistero. Davanti alle autorità musulmane hasvolto un ampio discorso che ha pre-so le mosse dalla pratica della con-cordia religiosa tra musulmani,ebrei, cristiani, e si è via via arricchi-to di citazioni di esponenti della cul-tura azera e non. «Di questa concor-dia – ha osservato – beneficia l’Azer-baigian, che si distingue per l’acco-glienza e l’ospitalità, doni che ho po-tuto sperimentare in questa memo-

rabile giornata, per la quale sonomolto grato. Qui si desidera custodi-re il grande patrimonio delle religio-ni e al tempo stesso si ricerca unamaggiore e feconda apertura: ancheil cattolicesimo, ad esempio, trovaposto e armonia tra altre religioniben più numerose, segno concretoche mostra come non la contrappo-sizione, ma la collaborazione aiuta acostruire società migliori e pacifiche.Il nostro trovarci insieme è anche incontinuità con i numerosi incontriche si svolgono a Baku per promuo-vere il dialogo e la multiculturalità.Aprendo le porte all’accoglienza eall’integrazione, si aprono le portedei cuori di ciascuno e le porte dellasperanza per tutti. Ho fiducia chequesto Paese, “porta tra l’Oriente el’Occidente” (Giovanni Paolo II, Di-scorso nella Cerimonia di benvenu-to, Baku, 22 maggio 2002: Insegna-menti XXV,1 [2002], 838), coltivisempre la sua vocazione di aperturae incontro, condizioni indispensabiliper costruire solidi ponti di pace eun futuro degno dell’uomo. La fra-ternità e la condivisione che deside-riamo accrescere non saranno ap-prezzate da chi vuole rimarcare divi-sioni, rinfocolare tensioni e trarreguadagni da contrapposizioni e con-trasti; sono però invocate e attese dachi desidera il bene comune, e so-prattutto gradite a Dio, Compassio-nevole e Misericordioso, che vuole ifigli e le figlie dell’unica famigliaumana tra loro più uniti e sempre indialogo».Nella seconda parte del discorso pa-pa Francesco ha ribadito che le reli-gioni lavorano per la pace e la cresci-ta delle persone e delle società, a fa-vore e non contro. «Una pace vera,fondata sul rispetto reciproco, sul-l’incontro e sulla condivisione, sullavolontà di andare oltre i pregiudizi ei torti del passato, sulla rinuncia alledoppiezze e agli interessi di parte;una pace duratura, animata dal co-raggio di superare le barriere, di de-bellare le povertà e le ingiustizie, didenunciare e arrestare la prolifera-zione di armi e i guadagni iniqui fat-ti sulla pelle degli altri. La voce ditroppo sangue grida a Dio dal suolodella terra, nostra casa comune (cfr.Gen 4,10). Ora siamo interpellati adare una risposta non più rimanda-

Novembre 2016 – anno XXXIX (70)

DIRETTORE RESPONSABILE:p. Lorenzo Prezzi

CO-DIRETTORE:p. Antonio Dall’Osto

REDAZIONE:p. Enzo Brena, sr. Anna Maria Gellini,sr. Francesca Balocco, Mario Chiaro,p. Marcello Matté

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Stampa: - Ferrara

Reg. Trib. Bologna n. 3379 del 19-12-68Tariffa R.O.C.: “Poste Italiane s.p.a. - Sped. in A.P.D.L. 353/2003 (conv. in L. 27/02/2004 n. 46)art. 1, comma 1, DCB Bologna”Con approvazione ecclesiastica

associatoall’unione stampa periodica italiana

L’editore è a disposizione degli aventi diritto che nonè stato possibile contattare, nonché per eventuali einvolontarie inesattezze e/o omissioni nella citazionedelle fonti iconografiche riprodotte nella rivista.

Questo numero è stato consegnato alle poste il 4-11-2016

moniTestiMensile di informazione spiritualità e vita consacrata

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ATTUALITÀ

3Testimoni 11/2016

bile, a costruire insiemeun futuro di pace: non ètempo di soluzioni vio-lente e brusche, ma l’oraurgente di intraprende-re processi pazienti diriconciliazione. La vera questione delnostro tempo non è co-me portare avanti i no-stri interessi: questa nonè la vera questione; maquale prospettiva di vitaoffrire alle generazionifuture, come lasciare unmondo migliore di quel-lo che abbiamo ricevuto. Dio, e lastoria stessa, ci domanderanno se cisiamo spesi oggi per la pace; già ce lochiedono in modo accorato le giova-ni generazioni, che sognano un futu-ro diverso. Nella notte dei conflittiche stiamo attraversando, le religio-ni siano albe di pace, semi di rinasci-ta tra devastazioni di morte, echi didialogo che risuonano instancabil-mente, vie di incontro e di riconcilia-zione per arrivare anche là, dove itentativi delle mediazioni ufficialisembrano non sortire effetti. Spe-cialmente in questa amata regionecaucasica, che ho tanto desideratovisitare e nella quale sono giunto co-me pellegrino di pace, le religionisiano veicoli attivi per il superamen-to delle tragedie del passato e delletensioni di oggi. Le inestimabili ric-chezze di questi Paesi vengano cono-sciute e valorizzate: i tesori antichi esempre nuovi di sapienza, cultura ereligiosità delle genti del Caucasosono una grande risorsa per il futurodella regione e in particolare per lacultura europea, beni preziosi cuinon possiamo rinunciare».

—Le periferie

Perché sono venuto fino in Azerbai-gian, dove i cattolici sono pochissi-mi? Papa Francesco ha sentito il bi-sogno di rispondere alla domanda. Eha toccato il tema delle «periferie»così essenziale per il suo pontificatoall’Angelus della messa della dome-nica, dopo un’omelia in cui ha riba-dito il tema della coerenza che deveanimare i credenti in Cristo, attenti anon cedere alle lusinghe mondane.«Qualcuno può pensare che il Papa

perde tanto tempo: fare tanti chilo-metri di viaggio per visitare una pic-cola comunità in un paese di 2 milio-ni. È una comunità non uniforme,perché fra voi si parla l’azero, l’italia-no, l’inglese, lo spagnolo: tante lin-gue. È una comunità di periferia. Mail Papa, in questo, imita lo SpiritoSanto: anche Lui è sceso dal cielo inuna piccola comunità di periferiachiusa nel Cenacolo. E a quella co-munità che aveva timore, si sentivapovera e forse perseguitata, o lascia-ta da parte, dà il coraggio, la forza, laparresia per andare avanti e procla-mare il nome di Gesù! E le porte diquella comunità di Gerusalemme,che erano chiuse per la paura o lavergogna, si spalancano ed esce laforza dello Spirito. Il Papa perde iltempo come lo ha perso lo SpiritoSanto in quel tempo!»

—Una visitaintensa

«È stata una visita intensa. In tanti cisiamo detti: “Ma che bello che è sta-to!”. Sono stati belli gli input che ciha dato il Papa. Il mio compito saràriprendere un po’ tutto per non la-sciarli perdere, ma anzi per andarciun po’ più dentro», ha dichiarato al-l’indomani della visita mons. Giu-seppe Pasotto, Amministratore Apo-stolico del Caucaso. Quella del Papasulla famiglia e sui giovani «è statauna grande catechesi, molto sempli-ce, con al centro i temi della donna,della famiglia, degli anziani, dei non-ni, del trasmettere la fede. A un cer-to momento ha detto anche: “LaChiesa è donna”. A me è piaciuto,perché la donna georgiana è molto

forte: è proprio quellache mantiene la società;e mi piace che abbia va-lorizzato questa figura,nella società ma anchenella Chiesa. Questo cifarà un po’ lavorare sultema della donna. E poiha parlato anche sullafamiglia: è stato moltochiaro sulle divisioni infamiglia, sul divorzio, suchi ne fa le spese, sulgender, cioè tutti temiche per noi sono impor-tanti, perché anche in vi-

sta del Sinodo abbiamo lavoratomolto – siamo una piccola Chiesa –ma abbiamo lavorato molto bene». Sui temi ecumenici «ha dato i fonda-menti del cammino ecumenico che,credo, sono novità, più che per noiche ci siamo dentro da tanto tempo,per la Chiesa ortodossa. Quindi èstato un discorso forte, anche teolo-gicamente forte, quello che ci ha da-to. Mi sono trovato con alcuni vesco-vi ortodossi al termine della giorna-ta e loro erano molto contenti. Mi di-cevano: “Dobbiamo in qualche mo-do fare qualche passo in più”. «Quando il Papa è partito sono an-dato a salutare il Patriarca e poi gliho detto: “Santità, è stato contentodella visita del Papa?”. Lui mi hadetto: “Non contento, contentissi-mo! È un uomo di Dio”. Quindi, cer-tamente è nato un feeling e il Papami ha detto del Patriarca: “Ma saquanto è buono questo Patriarca!”.Quindi il feeling c’è. E credo chel’impegno che si sono presi di prega-re l’uno per l’altro darà qualchefrutto». Per l’area del Caucaso in generale,ha concluso mons. Pasotto – il «semeche lui lascerà con il tempo – e spe-riamo che cresca – intanto è un’im-magine: un Papa sereno, che “perdetempo” con i bambini, con la gente...E poi il discorso del non difendereniente. A me lo diceva personalmen-te: “Non abbiamo niente da difende-re, noi siamo al servizio di Dio e de-gli altri”. Quindi, un uomo libero: ec-co, libero. Questa è l’immagine cherimarrà – sono sicuro – anche nellaChiesa ortodossa».

Fabrizio Mastrofini

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4 Testimoni 11/2016

Quel quadroQuesta mattina mi sono trovato a guardare con occhi diversi il quadro che staappeso davanti a me nel mio studio. In alto, tra nuvolette e angioletti, sta laVergine in trono con il bimbo scherzoso sulle ginocchia. Sotto, alcuni santi e inmezzo la luna sulla quale la Vergine posa i piedi.La luna rappresenta nell’iconografia tradizionale il limite e la separazione tra laterra e il cielo.Ma come mi è sembrato improvvisamente tutto strano e irreale, quasi mitologico!Il cielo degli astrofisici, il cielo delle sonde spaziali, il cielo dei potentissimitelescopi è ben diverso: immensi spazi vuoti punteggiati da galassie, chesembrano nuvole, popolano quegli sconfinati silenzi, percorsi da colossali forzeche muovono e regolano materia ed energia e luce. Stelle che esplodono eimplodono, galassie che si allontanano a distanze che tendono all’infinito, unospazio che si confonde con il tempo … che meraviglia!Ma anche: quanto timore reverenziale, persino quanta paura, di fronte a queldispiegamento di potenza, di forza, di ferrea razionalità che sembra uscireinspiegabilmente dal caos!Sì, è vero: i cieli cantano la gloria di Dio onnipotente, ma fanno sentire mepiccolo e insignificante. Il Potere che ha dato inizio a questa strabilianteavventura suscita la mia ammirazione, ma il mio cuore “per poco non sispaura”.Ma è vero che anche questi mondi e questi cieli non sono altro che un “ungrido tra due silenzi”, un immane sfoggio di intelligenza e potenza, destinati apassare: un enigma senza risposta.Ed eccomi ad alzare di nuovo gli occhi al mio dipinto, ai suoi angioletti, alle suenuvolette che mi parlano in forma ingenua del cielo. Ma un cielo raggiunto edafferrato dal semplice cannocchiale del cuore, che me lo rende famigliare, vicino,comprensibile, desiderabile, perché abitato da una madre che mi parla didolcezza, di attenzione di amore, con sulle ginocchia il bambino, che stadivertendosi … Un momento … ma quel bambino non è la Parola “permezzo della quale tutto è stato fatto e senza la quale nulla è stato fatto”?(Gv 1,3).Non è lui che ha disteso le orbite degli astri, che pesa sulla bilancia l’interouniverso come fosse un granello di polvere? Non è lui che ha fissato l’origine ela fine, l’alfa e l’omega, di ogni cosa, che ha fatto esplodere il Big bangdell’Amore, la cui eco riempie il creato e tocca rassicurante anche il mio cuore? E sua Madre non è la raffigurazione più amabile dell’Amore ?Di Lei non è stato detto che “ha portato nel suo grembo Colui che i cieli nonpotevano contenere”?E qui il mio quadro sembra dilatarsi a dismisura e il suo piccolo ingenuo cielodipinto pare sovrapporsi alla mappa dei cieli e riempire gli spazi più inesplorati.E avverto che il mio piccolo cielo spiega l’enigma dei cieli, salva i cieli, riempie icieli, perché l’amore tutto spiega, tutto salva, tutto permea e tutto rendeperenne.Il mio è il cielo di una mamma e di un bambino, di un amore che genera lavita e la fa crescere, di un amore che ha generato quella Parola che è venuta adirmi che all’inizio e alla fine di tutto c’è l’amore, perché quella Parola è”Amore”.Cari angioletti, cantate lieti anche per me, in attesa che io canti con voi, tra levostre nuvolette, più consistenti di tutte le galassie!

Piergiordano Cabra

E S E R C I Z I S P I R I T U A L I

PER RELIGIOSE E CONSACRATE

� 27 nov-3 dic: p. GabrieleCingolani, CP “La VergineMaria, riflesso dellamisericordia del Padre” SEDE: Casa Esercizi Spirituali “SsGiovanni e Paolo” Passionisti,Piazza SS. Giovanni e Paolo, 13 –00184 ROMA; tel. 06.772711 – fax06.77271367; e-mail:[email protected] –www.esercizidelcelio.org

� 27 nov-3 dic: p. Josè Antoniode Sousa, CGS “Esercizispirituali” SEDE: Casa “Maris Stella”, ViaMontorso, 1 – 60025 Loreto (AN);tel. e fax 071.970232; e-mail:[email protected] –www.marisstellaloreto.it

� 11-19 dic: p. Bernardino Prella,op “Vita consacrata: vitanascosta con Cristo in Dio” SEDE: Comunità di Preghiera“Mater Ecclesiae”, Via della PinetaSacchetti, 502 – 00168 ROMA; tel efax 06.3017936; e–mail:[email protected] –www.centromaterecclesiae.it

� 26-31 dic: p. GiannantonioFincato, CGS “Esercizispirituali” SEDE: Casa “Maris Stella”, ViaMontorso, 1- 60025 Loreto (AN); tel.e fax 071.970232; e-mail:[email protected] –www.marisstellaloreto.it

� 27-31 dic: don VincenzoAlesiani “È giunta l’ora disciogliere le vele” (2 Tm)SEDE: Villa San Biagio Casa dispiritualità, Via Villa SanBiagio,17 – 61032 Fano (PU); Tel.0721.823175 – fax 0721.806984;e-mail: [email protected] –www.sanbiagiofano.it

� 27 dic-1 gen 2017: p. MarioZanotti, OSB cam “Giorni diascolto e meditazione”SEDE: Monastero di Fonte Avellana61040 Serra Sant’Abbondio (PU)tel. e fax 0721.730261; e-mail:[email protected][email protected]

� 29 dic-4 gen 2017: p. RobertoDonà, capp “… Siatemisericordiosi…”SEDE: “Casa S. Cuore” SuoreSalesie, Via Rina, 2 – 35038Torreglia (PD); tel. 049.5211667 –fax 049.5212537; e-mail:[email protected]

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5Testimoni 11/2016

Il 14 ottobre i 212 padri della36ma Congregazione generalehanno eletto il venezuelano p.

Arturo Sosa Abascal, come trentesi-mo successore di sant’Ignazio. È ilprimo generale non europeo, anchese i tre suoi predecessori (Arrupe,Kolvenbach e Nicolás) avevano pas-sato la loro vita in Oriente. Uno spo-stamento geografico e culturale insintonia con il papato di Francesco econ i mutamenti profondi dellaCompagnia (16.740 membri) e dellaChiesa cattolica. Nato nel 1948 inuna importante famiglia di Caracas(suo padre, che portava lo stesso no-me, Arturo Sosa, è stato ministro deltesoro e dell’economia all’inizio de-gli anni ’80), compie i suoi studi difilosofia e teologia all’università cat-tolica e poi si laurea in scienze poli-tiche all’università statale. La suaformazione ignaziana fra la filosofiae la teologia lo vede presente in unacomunità «inserita» a contatto di-retto con i poveri. È stato introdot-

to al cristianesimo conciliare e allateologia dei poveri emersa dall’as-semblea continentale della Chiesa aMedellin (1968), senza peraltro nes-suno scontro con la famiglia di ori-gine. Come ci ha scritto un dehonia-no venezuelano, p. Manuel Teieira:«Con i suoi compagni si è recato aRoma per l’ultimo anno di teologiaper ripensarla a partire dall’inseri-mento solidale coi poveri nel pro-prio paese, con un metodo rigoro-so». Nominato direttore del CentroGumilla, direttore della rivista SIC ecoordinatore dell’apostolato socialedella Compagnia nel paese, avviauna lunga stagione di insegnamentoin diverse università del paese perpoi diventare rettore all’Universitàcattolica di Tachira. Una ventina lesue pubblicazioni e centinaia i suoiarticoli. È stato professore anche alCentro studi per l’America Latinadell’università statunitense George-town University. Come direttore delCentro Gumilla «ha sviluppato il ri-

INTERVISTA

Congregazione generale dei Gesuiti

DOPO NICOLÁSARTURO SOSA ABASCAL

Dopo l’elezione del nuovo preposito generale dei Gesuiti,p. Arturo Sosa Abascal, la Congregazione generale affronta

lo stato della Compagnia e le sfide dell’apostolato.Una intervista a p. Lombardi (2 ottobre)

evidenzia l’eredità di p. Nicolás.

ferimento a una comunità popolaree a numerosi incontri con comunitàdi base con una rigorosa analisi sto-rico-politica del paese, culminatanel suo lavoro di dottorato. Contem-poraneamente accompagnava ungruppo di universitari per introdur-li nell’ambito del servizio culturale epolitico». Profondo conoscitore del-la storia del suo paese e dell’Ameri-ca Latina ha inizialmente guardatocon benevolenza il tentativo politicodi Chavez, per poi prenderne le di-stanze.Fra il 1996 e il 2004 è stato provincia-le dei gesuiti in Venezuela. Nel 2008p. Nicolás lo nomina consigliere ge-nerale e assume il ruolo di delegatoper le case interprovinciali dellaCompagnia a Roma. Dal 2014 faparte della curia generalizia. Nellasua prima omelia (15 ottobre) haparlato dell’audacia dell’improbabi-le e dell’impossibile, sulla base dellafede. «Conservare e sviluppare ilcorpo della Compagnia è stretta-mente legato alla profondità dellavita spirituale di ciascuno dei suoimembri e delle comunità nelle qualicondividiamo la vita e la missionecon i compagni. Allo stesso tempo civuole una straordinaria profonditàintellettuale per pensare creativa-mente i modi attraverso i quali il no-stro servizio alla missione del CristoGesù può essere più efficace». E igesuiti lo possono fare se collabora-no con tutte le altre forze ecclesiali,«nella consapevolezza, provenientedall’esperienza di Dio, di esserechiamati alla missione del CristoGesù, che non ci appartiene in esclu-siva, ma che condividiamo con tantiuomini e donne consacrati al servi-zio degli altri». Membri di un corpomulticulturale non dobbiamo «smet-tere di proporre le domande perti-nenti alla teologia e approfondire lacomprensione della fede che chie-diamo al Signore di aumentare innoi».

—P. Lombardi:il lascito di Nicolás

– Dopo la seconda «dimissione»(Kolvenbach e Nicolás) del preposi-to generale si modificheranno le Co-stituzioni? Il preposito generale nonsarà più a vita?

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Testimoni 11/20166

«La elezione del generale nellaCompagnia, secondo le Costituzioni,rimane a vita, cioè senza scadenzatemporale; ma da diverso tempo èstata prevista una procedura affin-ché, se con l’avanzare dell’età o peraltre cause le forze del generale di-ventassero meno adeguate all’eserci-zio della grande responsabilità delgoverno, sia possibile procedere se-renamente a una rinuncia. Questaprocedura prevede che il generale,quando valuti che la rinuncia sia op-portuna, faccia certi passi di consul-tazione fra i suoi più stretti collabo-ratori e fra i provinciali, e poi comu-nichi il suo proposito all’intero Ordi-ne, in modo che si prepari la Congre-gazione generale per l’accettazionedella rinuncia e l’elezione del succes-sore. Naturalmente il generale prov-vede anche ad informare opportuna-mente il Papa del suo proposito. Siail p. Nicolás, sia il p. Kolvenbach,hanno avviato la procedura per la ri-nuncia in modo tale che l’avvicenda-mento potesse avvenire intorno alloro 80° anno di età, e tutto si è svol-to molto serenamente. Perciò attual-mente non appare necessario mette-re in discussione il punto delle Costi-tuzioni di sant’Ignazio che prevedel’elezione ad vitam. Sia i gesuiti stes-si, sia i papi, hanno preferito che fi-nora non sia modificato un docu-mento fondazionale importante co-me le nostre Costituzioni in un loropunto caratteristico, ma non c’è alcu-na difficoltà a prevedere disposizio-ni e procedure adatte per far frontealle nuove situazioni».

– Quali sono gli elementi maggiori digeneralato di p. Nicolás?«Il p. Nicolás ha avuto un generala-to non lungo (otto anni e mezzo cir-ca), ma intenso, che lascia certamen-te un’eredità ricca e stimolante. È

INTERVISTA

difficile sintetizzarla in breve. Dueparole che ci ha ripetuto molto spes-so e che ci sono entrate nel cuore so-no “universalità” e “profondità”.Egli ha cercato veramente di farcisentire un corpo apostolico “univer-sale”, sia nel senso che è costituitoda religiosi di moltissime diverse na-zioni e culture ma con una comunevocazione religiosa, sia ancor più nelsenso che è un corpo nato per rice-vere missioni per tutta la Chiesa, perogni necessità dei nostri fratelli e so-relle su tutte le frontiere. Perciò ci haspinto continuamente a superareprovincialismi, nazionalismi, indivi-dualismi, per desiderare di essere adisposizione con totale generositàper quanto il papa o la Chiesa cichiedano. E poi ci ha raccomandatosempre “profondità”, cioè superaresuperficialità e “distrazione”, percoltivare una vita interiore intensa,nutrita di spiritualità, di discerni-mento, di riflessione e di studio, checi renda capaci di cercare e trovare isegni della presenza di Dio e dellasua volontà per noi e per tutti colo-ro che incontriamo nel nostro servi-zio per l’annuncio del Vangelo, per ildialogo e la ricerca di una maggioregiustizia».

—Sequela e coscienzaecclesiale

– P. Nicolás in una intervista recenteha richiamato quanti nella Chiesahanno rilevanti responsabilità pasto-rali e dottrinali a rispettare le indica-zioni di riforma di Francesco… «Penso che si riferisca alle diverseforme di resistenza o di diffidenzache si possono riscontrare verso laguida di papa Francesco. Certamen-te il dibattito sinodale è stato inten-so e ha manifestato che il camminoverso il consenso su temi pastorali

importanti e attuali non è facile daraggiungere. Mi pare che a volte sitratti di una difficoltà ad assumereuna impostazione e un approccioche sono molto impegnativi. Che co-sa vuol dire vivere davvero un ac-compagnamento spirituale di perso-ne in situazioni difficili, ed esercita-re con loro il “discernimento” per“cercare e trovare” la volontà diDio? Fare riferimento a una serie diregole chiare che dividano il biancodal nero può sembrare più facile, manon è così che si prende in carico larealtà concreta vissuta dalle persone.Perciò il Papa dice ai gesuiti di aiu-tare la Chiesa a entrare in questa di-versa prospettiva e per questo chie-de loro di essere – come dovrebberoessere – guide per apprendere edesercitare il “discernimento”. A vol-te invece le resistenze sono di gene-re più “rozzo”, come la difficoltà auscire da un atteggiamento “clerica-le”, a vivere fino in fondo l’umiltàdel servizio, della collaborazione congli altri, della semplicità di vita. Letentazioni del potere e dell’averehanno spesso forme sottili che si in-sinuano anche nella vita della Chie-sa e suscitano reazioni a una presen-tazione molto schietta e diretta del-le esigenze evangeliche nella vitaquotidiana».

– Che significa la “migrazione” deigesuiti verso l’Asia e l’Africa?«Lo spostamento dei numeri dei ge-suiti, in percentuale e in assoluto,verso Asia e Africa può essere vistoanche come un bel segno, perchérende la Compagnia di Gesù più ca-pace di orientare il suo impegno ver-so il continente dove vive la maggiorparte dell’umanità (l’Asia) o dove lacrescita del numero dei cristiani èpiù grande e rapida (l’Africa), e lacostringe a diventare sempre meno

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eurocentrica. In fondo l’elezione delprimo Papa non europeo dei tempimoderni corrisponde pure al tra-monto dell’eurocentrismo. Ciò nonvuole dire naturalmente che non cisia più motivo di impegnarci in Eu-ropa o nell’America del Nord. Anzi,il servizio della fede nel mondo seco-larizzato, caratterizzato dal dominiodel potere economico, della tecnica edella cultura moderna della comuni-cazione, per continuare a riconosce-re i segni della presenza e dell’operadi Dio in un contesto che sembra di-

menticarlo o diventare del tutto in-differente verso di lui, e in cui la per-sona umana sembra libera, ma soffredi grandi malattie spirituali, di solitu-dine e di nuove schiavitù…tutto ciòè una grandissima sfida, che riguar-da non solo l’Europa, ma anche mol-te altre regioni del mondo globaliz-zato. E anche partecipare alla tra-sformazione culturale e spiritualedell’Europa sotto la spinta delle mi-grazioni e della globalizzazione, te-nendo viva la dinamica dei valorievangelici e dell’eredità cristiana, ri-

chiede un impegno di riflessione e diimpegno intellettuale e culturale diprim’ordine a cui i gesuiti europeinon possono rinunciare».

—Un corpo mondialee multiculturale

– La decrescita in Occidente obbligaa chiusure dolorose di opere ancheimportanti. Con quale atteggiamentoprocedere?«Il p. Nicolás ha invitato frequente-mente i provinciali e le “Conferenze

Domenicani nella promozione e difesa dei diritti umani

Allargare il concetto dei diritti umani, approfondi-re la loro difesa. Sono le due principali conclusio-

ni del Congresso Internazionale sul tema «Domenica-ni nella promozione e difesa dei diritti umani: passato,presente, futuro». L’evento si è svolto a Salamanca(Spagna), dall’1 al 5 settembre, con la partecipazionedi oltre 200 religiosi e religiose dei vari rami dell’Ordi-ne dei Predicatori. Tra loro oltre a diverse Priore gene-rali, c’era anche padre Bruno Cadoré, Maestro gene-rale dei Domenicani. La discussione è stata molto ricca e articolata e ha pro-dotto alcuni documenti relativi ai diversi ambiti di im-pegno a difesa dei diritti umani sul versante dell’eco-logia, della giustizia e della pace, e come necessità diapprofondire di più la riflessione intellettuale con lamessa in pratica di azioni coerenti di vita personale ecomunitaria.Come fa notare il comunicato finale, la scelta dellacittà di Salamanca a sede dei lavori è stata dovuta albisogno di sottolineare, fin dalla sede del Congresso,l’importanza del tema. «Vogliamo respirare lo spiritoche ha ispirato i nostri fratelli Pedro da Cordoba, An-tonio de Montesinos, Bartolomé de Las Casas, Franci-sco de Vitoria e altri che nel Sedicesimo secolo si ra-dunavano attorno alla Scuola di Salamanca. Lavoran-do di comune accordo ampliavano il significato di farparte di una comunità umana. Nel sottolineare il biso-gno di riconoscere e proteggere i diritti delle popola-zioni indigene del “nuovo mondo”, Vitoria e i suoi con-fratelli gettavano le basi di quella necessità di avereuna cooperazione globale e una legge internazionale,che avrebbe in seguito ispirato i fondatori delle Nazio-ni Unite, diventata oggi la prima istituzione a promuo-vere la giustizia globale e la pace».Con il richiamo al passato – che si raccorda e dà signi-ficato al presente – il comunicato finale elenca quattroimportanti aree di impegno. Rispetto e attenzione ver-so i diritti umani significa oggi prendersi cura della«Creazione» e delle «popolazioni» perché «rispetto deidiritti umani e promozione dei diritti umani sono inse-parabili dal rispetto e protezione del Creato». In se-

condo luogo viene l’impegno per la giustizia e la pace.Quindi i partecipanti all’incontro indicano altri dueaspetti che servono ad ampliare una visione tradizio-nale dell’impegno per la promozione dei diritti umani,collegandoli strettamente con la Dottrina sociale. «I di-ritti umani vengono oggi declinati come diritti civili,politici, economici, sociali e culturali. Sono visti comeuniversali, indivisibili e interdipendenti, nel rispettodelle diversità culturali. Questi princìpi, sebbene nonsempre applicati, corrispondono a quanto sottolinea laDottrina sociale sul ruolo della persona». Infine l’ulti-mo aspetto riguarda la necessità di approfondire stu-dio e ricerca su un tema così vasto e variegato. «Parla-re di diritti umani ci impegna a esplorare e ricercare lecause strutturali delle violazioni della dignità e della li-bertà. Un obiettivo che possiamo perseguire solo sesiamo capaci di ascoltare con rispetto e compassione letestimonianze di coloro che soffrono».Da questo approccio discendono diversi obiettivi cheil comunicato finale elenca puntualmente. Tra questi sidistinguono – sul piano formativo – la necessità di in-tegrare nella formazione domenicana a tutti i livelli laconoscenza approfondita della Dottrina sociale e lostudio dell’Enciclica Laudato Si’. Occorre inoltre«adottare e promuovere la metodologia di Salaman-ca, impegnando i Domenicani, le istituzioni formative,i programmi di studi, a mettere in atto azioni, studi, ri-cerche, analisi, per cambiare il mondo, attuandoun’appassionata sinergia tra la vita apostolica e la vi-ta intellettuale». In concreto, oltre a rendere più frut-tuoso ed efficace l’impegno di azione formando «reti»di collaborazione e una maggiore presenza nei media,il documento finale ribadisce che è necessario «rinfor-zare la presenza domenicana nelle Nazioni Unite, perfare in modo che ai più alti livelli vengano ascoltate levoci delle vittime delle violazioni dei diritti umani». Epertanto si auspica che «crescenti risorse» siano desti-nate a sviluppare «concreti progetti di giustizia e pa-ce».

Fabrizio Mastrofini

INTERVISTA

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INTERVISTA

dei provinciali” (che riuniscono iprovinciali di un continente o di unagrande area geografica e sono at-tualmente sei) a riflettere continua-mente sull’insieme della opere e at-tività apostoliche nelle aree di lorocompetenza, in vista di ridurre unfronte spesso troppo ampio, con il ri-schio di portare al superlavoro deiconfratelli o alla dispersione delleforze…Ciò soprattutto dove la ridu-zione del numero dei gesuiti è piùsensibile. Altrove, come in Vietnam,dove la crescita è rapidissima, il fron-te si potrà allargare… ma in molticasi bisogna tener conto della realtàe saper “chiudere”, nel senso di ri-nunciare ad essere presenti in tutti iluoghi in cui lo eravamo. Ma atten-zione, il fatto che un’attività nonpossa più essere condotta da gesuitinon vuol dire necessariamente chedebba scomparire. In diversi casi, seè vitale e se è ben inserita nel conte-sto ecclesiale, se è stata vissuta in spi-rito di collaborazione con altri, puòpassare in altre mani o trasformarsi.E poi è molto importante che ciò chesi è fatto non sia stato consideratocome un nostro possesso. Se è statocosì, lasciarlo è necessariamente unamorte. Ma se è stato vissuto come unservizio per aiutare le persone e lacomunità ecclesiale a crescere nel lo-ro rapporto con Dio e nella loro ma-turità umana e cristiana, nulla di ciòche è stato fatto andrà perduto, an-che se noi non ci saremo più. Comeogni credente deve imparare a mori-re personalmente nella speranza, co-sì anche ogni opera umana per quan-to bella e grande. Avremo fatto quel-lo che dovevamo fare e affidiamo alSignore con fiducia il futuro dellepersone che ci sono state care e percui ci siamo impegnati. La libertà dispirito e la disponibilità a partire ead andare altrove sono la premessadel rinnovamento continuo nellaChiesa. La promessa della duratanella storia, il Signore l’ha fatta allaChiesa e non a ognuna delle nostrecomunità e neppure alla Compagniadi Gesù. Noi siamo stati chiamati peruna missione per la Chiesa e nellaChiesa, che è più grande di noi e checontinua anche dopo di noi accom-pagnata dal Signore».

Lorenzo Prezzi

«Questo non è il solitoincontro, ancora un al-tro Capitolo generale.

Sappiamo che lo Spirito di Gesù ècon noi e ci parlerà. Noi siamo chia-mati a fare di questo Capitolo gene-rale un evento che scuoterà la Con-gregazione!». Così il Superiore gene-rale ha aperto il Capitolo dei Missio-nari Oblati di Maria Immacolata, sfi-dando quell’aria di routine che spes-so circonda eventi come questo, chesi ripetono ciclicamente in manieraautomatica: «Noi crediamo che Ge-sù ci ha condotti qui come suoi mis-sionari. Egli vuole infondere su que-sto corpo speciale di Oblati, chiama-to Capitolo generale, la novità e laforza dello Spirito».P. Louis Lougen non voleva “il soli-to” Capitolo e ha puntato decisa-mente a uno sguardo di fede, indi-

cando insieme gli atteggiamenti coni quali vivere l’assemblea: «Non pos-siamo dubitare della presenza di Dioe del suo lavoro in mezzo a noi. In-vochiamo lo Spirito Santo e lo Spiri-to sarà con noi. Dobbiamo avere fe-de; dobbiamo ascoltare, vegliare,pregare, condividere e lavorare sodoper essere fedeli allo Spirito… Cre-do che il Signore risorto è tra noi,davvero presente!... Egli rivelerà ilsuo progetto missionario e comeprenderne parte. Vi invito tutti a cre-dere che il Signore risorto è qui tranoi… Vi invito ad avere l’occhio sve-glio per riconoscere Gesù in mezzo anoi, che soffia lo Spirito su di noi nel-la sala capitolare e nei corridoi, men-tre spezza il pane con noi a tavola enei nostri piccoli gruppi di lavoro». Èforse grazie a questa forte convinzio-ne che è stato rieletto al primo scru-

VITA DEGLI ISTITUTI

Capitolo del bicentenario dei Missionari Oblati

EVANGELIZZARECON PASSIONE

Il tema sul quale il Capitolo era chiamato a confrontarsiera racchiuso nella parola evangelica che ne delinea la

vocazione: “Mi ha mandato ad evangelizzare i poveri”: lamissione in un mondo che cambia velocemente.

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tinio con la quasi unanimità dei voti.Il 36° Capitolo generale degli Obla-ti, tenutosi a Roma dal 14 settembreal 12 ottobre, celebrando i 200 annidalla fondazione dell’Istituto nonpoteva non “guardare il passato congratitudine”. Al suo inizio sono sta-te ricordate le parole di GiovanniXXIII rivolte agli Oblati il 21 mag-gio 1961: «Il piccolo germoglio, pian-tato da Eugenio de Mazenod nel1816, è diventato un albero vigoroso,che estende i suoi rami in entrambigli emisferi e ha saputo adattarsi alclima gelido del Polo Nord così co-me alle terre infuocate dell’equato-re». Il primo momento è stato dun-que dedicato ad uno sguardo di “gra-titudine” sui 65 Paesi dei cinque con-tinenti dove l’Istituto è presente.

—Tra passatoe nuova creatività

Lo sguardo al passato, oltre ad espri-mere la gratitudine, è diventato im-pulso per continuare nell’oggi, connuova creatività, la missione affidataall’Istituto. Il tema sul quale il Capi-tolo era chiamato a confrontarsi eraracchiuso nella parola evangelicache ne delinea la vocazione: “Mi hamandato ad evangelizzare i poveri”:la missione in un mondo che cambiavelocemente.«Il mondo intero è un campo di mis-sione – ha fatto presente il Superio-re generale nel suo rapporto. La Po-lonia cattolica cerca un nuovo modoper raggiungere coloro che ormainon frequentano più la Chiesa. InCanada, il cattolico Québec francesesi chiede se può ancora essere consi-derato cattolico ed è alla ricerca dinuovi modi per evangelizzare oggi.In Namibia, molti posti di missione sioccupano di fedeli di nuove regioniche si aprono a una prima evangeliz-zazione. In Pakistan, la Chiesa è unapiccola minoranza e gli Oblati sonoa fianco di cristiani poveri ed emar-ginati. In tutta Europa, la realtà deirifugiati richiede una nostra risposta.In Guinea Bissau, gli Oblati hannorisposto alla richiesta dei vescovi checercavano missionari per evangeliz-zare zone indigene, anche se abbia-mo parrocchie fiorenti composte dapersone molto povere. In India, congrandi e piccole parrocchie e molte

VITA DEGLI ISTITUTI

scuole, la realtà varia: sono soprat-tutto le popolazioni tribali che chie-dono il battesimo. Non possiamo piùparlare dell’invio di Oblati in missio-ne dall’Europa in Africa e Madaga-scar, in Asia o in Oceania, o dal Ca-nada e Stati Uniti in America Latinae nei Caraibi. L’Europa, una voltacattolica, è diventata terra di missio-ne, come il Canada, l’Australia e gliStati Uniti, che hanno bisogno dimissionari provenienti da Africa,Asia e America Latina».Nelle comunità oblate più giovanicome in quelle più antiche, in quellein crescita come in quelle in calo, siriscontrano segni comuni, che deno-tano la capacità di rispondere a ur-genze diverse: nuove forme di mini-steri sono oggetto di discernimentonelle comunità; nuovi ambiti di pre-senza vengono attuate in solidarietàcon i popoli indigeni, immigrati, rifu-giati, prigionieri, donne e bambini; ilDipartimento di Giustizia, Pace e In-tegrità del Creato è parte essenzialedell’evangelizzazione; il ministero èesercitato in maniera inclusiva, coin-volgendo l’intera famiglia oblata,giovani e laici che si ispirano al cari-sma e si impegnano nella comunemissione; nuove fondazioni sono av-venute negli ultimi anni: Réunion,Russia, Malawi…Il Superiore generale ha ricordatoche non basta estendere il campomissionario, occorre soprattutto cre-scere in profondità: «Siamo chiama-ti ad andare oltre, perseguendo conradicalità la nostra crescita evangeli-ca… Questa è la sfida, più che l’e-spansione numerica e nei paesi dimissione. Il carisma, le Costituzioni ele Regole e Capitoli generali ci chia-mano costantemente a compiere lanostra missione con una profondaqualità di vita e di azione. Le paroledi Sant’Eugenio ci interpellano: “...se potessimo formare sacerdoti ze-lanti, disinteressati, saldamente vir-tuosi, uomini apostolici in una paro-la, i quali, dopo essersi convinti del-la necessità di riformare se stessi, la-vorino con tutte le forze per conver-tire gli altri...”».

—Per un nuovoimpulso alla missione

Su questo orizzonte programmatico

hanno preso il via i lavori del Capi-tolo, forte della grande varietà deipartecipanti, che esprime l’altrettan-to ricca varietà della presenza obla-ta nel mondo, portatrice di modi di-versi di leggere la realtà delle societàattuali, i segni dei tempi in esse rac-chiuse, la diversificata modalità di ri-sposta nell’unità carismatica.Fedele al proposito iniziale, il mesedi lavoro si è da subito caratterizza-to per una intensa vita di preghiera,grazie anche all’aiuto delle case diformazione delle diverse parti delmondo: per ogni giorno una di esseaveva preparato le linee di preghie-ra.L’obiettivo del Capitolo – leggiamonel documento finale – era quello didare nuovo impulso alla missione.Lo sguardo si è fatto attento e con-creto per individuare gli appelli at-tuali, in consonanza con la forte ripe-tuta richiesta di papa Francesco auscire verso le “periferie”, per scri-vere pagine nuove di evangelizzazio-ne con creatività e audacia, lavoran-do «per abbattere le barriere che se-parano e dividono le persone, e pro-muovere l’interculturalità tra gruppi

La religione può essere intesa come un

insieme di atti, osservanze rituali,

precetti da ottemperare, dogmi in cui

credere per dare lode a Dio e ottenere

la propria salvezza. Ma si dà lode a Dio

anche impegnandosi per la giustizia,

lottando perché tutti gli uomini siano

uguali in opportunità economiche e pro-

muovendo la loro la dignità.

BATTISTA BORSATO

Un Dioumano

Per un cristianesimonon religioso

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«FEDE E ANNUNCIO» pp. 144 - € 13,00

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e religioni, nel dialogo e nell’arric-chimento reciproco», «per contribui-re alla difesa dei valori della fami-glia, dei rifugiati e dei migranti, cosìcome di tutte le persone vittime diingiustizia, violenza, abusi, dei mino-ri, delle persone più vulnerabili...».Indispensabile per il perseguimentodi tali obiettivi, «rafforzare lo spiritodi famiglia e la qualità della vita co-munitaria», una seria risposta alla«chiamata alla santità, dando valorealla vita religiosa missionaria», con-sapevoli di essere «strettamente in-terdipendenti e responsabili gli uniagli altri. Presente in quasi 65 paesi,abbiamo scelto di rafforzare le mo-dalità con le quali viviamo l’intercul-turalità nelle comunità internaziona-li e nella società». Di qui la decisio-ne di «una maggiore equità e gene-rosità tra le nostre unità oblate [lecircoscrizioni territoriali], aumen-tando la condivisione del personalee delle altre risorse della Congrega-zione».

—Sei ambitidi lavoro

Sei gli ambiti di lavoro a cui il Capi-tolo si è dedicato, suddividendosi inaltrettanti gruppi: 1) i nuovi volti dei

VITA DEGLI ISTITUTI

poveri, 2) la missione con igiovani, 3) la formazionealla missione, 4) missionee inculturazione, 5) missio-ne e mezzi di comunica-zione, 6) missione e finan-ze. I risultati sono conflui-ti nel documento finale ar-ticolato secondo questi seiaspetti.Il metodo di lavoro ha se-guito le seguenti fasi: 1)identificare il contesto, ledomande, i problemi e lepreoccupazioni dei poveri;2) individuare i punti di ri-ferimento per elaborare ri-sposte adeguate partendodalla Scrittura, i testi e letradizioni dell’Istituto, ledirettive della Chiesa; 3)discernere le chiamate allaluce dei bisogni e degli im-pulsi provenienti dalle fon-ti di riferimento; 4) sceglie-re orientamenti e strategiea livello locale, provinciale,

regionale e congregazionale; 5) dise-gnare una mappa di coordinate ope-rative finanziarie e formative.

—L’incontrocon il Papa

Il suggello, e insieme lo sprone fina-le, è stato dato dal Papa. All’udienzaprivata nella sala Clementina, gli 82membri del Capitolo si sono raddop-piati, includendo anche il personaleausiliario e alcuni studenti del colle-gio internazionale.«È con particolare gioia – ha esordi-to il Papa – che accolgo voi, che rap-presentate una Famiglia religiosamissionaria dedita all’evangelizza-zione nella Chiesa». La sua “partico-lare gioia” era davvero visibile! Leparole che ha indirizzato ai presentisono andate dritte al cuore. Ecco al-cuni tra i passaggi più significativi:«Gli Oblati di Maria Immacolata so-no nati da un’esperienza di miseri-cordia, vissuta dal giovane Eugenioun Venerdì Santo davanti a Gesùcrocifisso. La misericordia sia sem-pre il cuore della vostra missione, delvostro impegno evangelizzatore nelmondo di oggi...La Chiesa sta vivendo, insieme almondo intero, un’epoca di grandi

trasformazioni, nei campi più diver-si. Ha bisogno di uomini che portinonel cuore lo stesso amore per GesùCristo che abitava nel cuore del gio-vane Eugenio de Mazenod, e lo stes-so amore senza condizioni per laChiesa, che si sforza di essere sem-pre più casa aperta. È importante la-vorare per una Chiesa che sia pertutti, una Chiesa pronta ad accoglie-re e accompagnare!...Oggi, ogni terra è “terra di missio-ne”, ogni dimensione dell’umano èterra di missione, che attende l’an-nuncio del Vangelo. Il Papa Pio XI videfinì “gli specialisti delle missionidifficili”. Il campo della missione og-gi sembra allargarsi ogni giorno, ab-bracciando sempre nuovi poveri, uo-mini e donne dal volto di Cristo chechiedono aiuto, consolazione, spe-ranza, nelle situazioni più disperatedella vita. Pertanto c’è bisogno divoi, della vostra audacia missionaria,della vostra disponibilità a portare atutti la Buona Notizia che libera econsola...La gioia del Vangelo risplenda in-nanzitutto sul vostro volto, vi rendatestimoni gioiosi. Seguendo l’esem-pio del Fondatore, la carità tra di voisia la vostra prima regola di vita, lapremessa di ogni azione apostolica; elo zelo per la salvezza delle animesia conseguenza naturale di questacarità fraterna».Nelle parole del Papa sono tornati abrillare temi del ricco patrimonio di200 anni di vita degli Oblati e sonostati rilanciati con nuova forza e lu-cidità: la misericordia cuore dellamissione; l’amore per Gesù Cristo el’amore senza condizioni per laChiesa; lavorare per una Chiesa pertutti; ogni terra è “terra di missione”,ogni dimensione dell’umano è terradi missione; audacia missionaria; di-sponibilità a portare a tutti la BuonaNotizia; la gioia del Vangelo che ri-splende sul volto; testimoni gioiosi;la carità reciproca prima regola di vi-ta e premessa di ogni azione aposto-lica; lo zelo per la salvezza delle ani-me...Sono le linee forza che hanno fattodel “Capitolo del bicentenario” ilpunto di partenza per “abbracciare ilfuturo con speranza”.

Fabio Ciardi

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“Osare la mistica dell’in-contro per vivere lamissione comboniana

oggi”: un titolo sfidante per il XXCapitolo Generale delle Suore Mis-sionarie Comboniane, Congregazio-ne fondata da san Daniele Comboninel 1872, più di 140 anni fa. Un tito-lo che è chiamata ed espressione:chiamata a rischiare nuove vie per lamissione ed espressione della grandepassione che questa Congregazione,da sempre, porta in sé. Infatti, Com-boni aveva già allora sentito l’urgen-za e la necessità di integrare la pre-senza della donna consacrata nellamissione evangelizzatrice dellaChiesa, sostenendo che la sua pre-senza “costituisce un elemento indi-spensabile e sotto ogni rispetto essen-ziale”.Cinquantadue delegate di quindicinazionalità, provenienti da ventiseipaesi di missione, che rappresenta-

no la diversità culturale e la vivacitàdi un carisma che si esprime nella vi-cinanza ai più poveri e abbandonatiin quattro continenti, attraversol’annuncio e la testimonianza di vitain condizioni a volte difficili e stres-santi.

—La missionecomboniana oggi

Il Capitolo Generale ordinario è sta-to vissuto come un momento per fer-marsi insieme a pregare e rifletteresulla chiamata ad essere una Con-gregazione missionaria di fronte allesfide del mondo di oggi condivisecon popoli che non hanno una vocenelle scelte politiche ed economichemondiali ma che ne risentono gli ef-fetti. Il tema ci ha coinvolto nella chiama-ta ad incarnare il desiderio di Dio diincontrarsi con l’umanità, soprattut-

VITA DEGLI ISTITUTI

XX Capitolo generale delle Missionarie Comboniane

OSARE LA MISTICADELL’INCONTRO

Vi hanno preso parte cinquantadue delegate di quindicinazionalità, provenienti da ventisei paesi di missione, che

rappresentano la diversità culturale e la vivacità di uncarisma che si esprime nella vicinanza ai più poveri e

abbandonati in quattro continenti.

to con l’umanità ferita e ai margini,per divenire quel cuore di Dio chesolleva, dà speranza, promuove, con-divide.Riconoscendo che la situazione dimolti popoli rimane particolarmentefragile di fronte alla povertà, alleguerre, allo sfruttamento e alla trat-ta delle persone, abbiamo cercato dileggere questa realtà con gli occhidella speranza, che sanno vedere ipiccoli gesti di solidarietà, coopera-zione, sostegno che nascono dalle enelle comunità più abbandonate. Nel nostro farci compagne di viaggiodi Dio e dell’umanità, siamo chiama-te ad essere missione attraverso la vi-ta di consacrazione, il rimanere ac-canto alla gente nelle situazioni diviolenza e di guerra, nell’impegnoper la promozione del dialogo tra lereligioni, le culture, le generazioni,nella promozione di valori umani edevangelici. Come donne attente algrido dei poveri, viviamo con corag-gio l’incontro con la realtà di oggiper condividere la nostalgia di Dio,nostalgia di comunione, pace e giu-stizia. Vivere questo Capitolo Generale hasignificato, per noi, entrare nel terre-no sacro della nostra storia, perascoltare e contemplare il camminocon un atteggiamento di gratitudineper tutto ciò che il Signore ci ha con-cesso di fare. Abbiamo preso semprepiù coscienza come il carisma mis-sionario comboniano si sia attualiz-zato in tempi e luoghi diversi, conte-stualizzandosi e trasformando lacomprensione di se stesso, così da ri-conoscere e accogliere sempre me-glio dentro di noi, i valori dei popolicon cui lo condividiamo.

—Con la stessa intensitàdel Comboni

Così, abbiamo rivisto l’esperienzadel Fondatore alla luce della misticadell’incontro. Incontro con Dio in-nanzitutto, che porta san DanieleComboni a sentire, con uguale inten-sità, le gioie e le sofferenze del popo-lo a lui affidato: “Il primo amore della mia giovinez-za fu per l’infelice Nigrizia… L’ani-ma mia vi corrisponde un amore illi-mitato per tutti i tempi e per tutte lepersone. Io ritorno fra voi per non

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mai più cessare di essere vostro, e tut-to al maggior vostro bene consacratoper sempre. Il giorno e la notte, il so-le e la pioggia, mi troveranno egual-mente e sempre pronto ai vostri spiri-tuali bisogni: il ricco e il povero, il sa-no e l’infermo, il giovane e il vecchio,il padrone e il servo avranno sempreuguale accesso al mio cuore. Il vostrobene sarà il mio, e le vostre pene sa-ranno pure le mie. Io prendo a farcausa comune con ognuno di voi, e ilpiù felice dei miei giorni sarà quelloin cui potrò dare la vita per voi”(Omelia di Daniele Comboni al suoritorno come primo vescovo diKhartoum, Sudan – Scritti 3156 ss.)L’immergersi nella vita della gente,quindi, è un atteggiamento interioreindispensabile che nasce da unosguardo vissuto “al puro raggiodella fede”, che fa “palpitare il

cuore” e “spingea stringere tra le braccia e

dare il bacio di pace e di amore ai fra-telli e sorelle”. Queste parole di Da-niele Comboni ci spingono ancorauna volta a vivere la nostra identitàdi donne consacrate a Dio per la mis-sione con una consapevolezza sem-pre maggiore che la missione, vissutanella mistica dell’incontro, richiededi essere incarnazione, così da scor-gere la presenza di Dio, il suo rivelar-si nei popoli, culture e religioni. Siamo chiamate a questa missioneinsieme come comunità, luogo cheDaniele Comboni chiamava “cena-colo di apostoli” per sottolineare co-me una vita vissuta insieme, nel Van-gelo, diventa testimonianza della co-munione della Trinità e irradia il de-siderio di Dio per una vita in abbon-danza, possibile solo nell’essere co-munione e nel vivere la comunione. “Questo istituto … diventa come unpiccolo Cenacolo di Apostoli per l’A-frica, un punto luminoso che manda

VITA DEGLI ISTITUTI

fino al centro della Nigrizia altrettan-ti raggi quanto sono i zelanti e virtuo-si missionari che escono dal suo seno:e questi raggi che splendono insiemee riscaldano, necessariamente rivela-no la natura del centro da cui emana-no.” (D. Comboni, Scritti 2648)

—Il cambiamentocome ricchezza

Come Congregazione, stiamo viven-do nel cambiamento, con una ric-chezza sempre maggiore di culture,esperienze, generazioni che si intrec-ciano. Soprattutto nei membri piùgiovani, la Congregazione diventasempre più multiculturale, con So-relle provenienti da 35 diversi paesi.

La vita in comune divienecosì, non solo il segnale di

un carisma vivo, che an-cora affascina e appas-siona ma anche una te-

stimonianza dellaricchezza della

diversità che,nella sequelacomune e nel

vivere la missio-ne insieme, rende

visibile come, nellacomplessità delle relazioni in-

terculturali e intergenerazionali, Diosi rivela nella sua generosità e nellachiamata dell’umanità alla condivi-sione. Come Congregazione missionaria,non poteva assolutamente mancareuna riflessione sulla missione oggi,alla luce dei grandi cambiamenti sto-rici, delle riflessioni missiologiche edel mandato carismatico che è statodonato alla Chiesa. In un mondo sempre più frammen-tato, conflittuale e diviso, la chiama-ta oggi è divenuta chiaramente chia-mata a una missione che si esprimeattraverso un ascolto delle chiese,popoli e culture per rendere il nostroannuncio di Gesù Cristo una rivela-zione costante della presenza amo-revole di Dio per ogni uomo e ognidonna. La nostra rimane una chiamata aduscire da noi stesse, dalla nostrarealtà culturale e sociale, dai nostripaesi. Una chiamata ad uscire per di-venire sempre più compagne di viag-gio di coloro che sono esclusi dalla

storia importante, dalla storia deigrandi, per annunciare la presenza diDio, nella consapevolezza che Lui ègià presente, Lui già agisce e Lui, dasempre, salva. La nostra presenza e il nostro servi-zio divengono così luogo in cui l’e-vangelizzazione si fa incontro conDio, per noi e per tutti coloro che silasciano incontrare. Incontro checambia e trasforma innanzitutto lenostre vite di donne consacrate perla missione e diventa seme per unatrasformazione del mondo.

—Verso nuovi stilidi leadership

Siamo un piccolo seme, un piccologregge, che vive sempre più i segni diuna diminuzione delle vocazioni eun invecchiamento dell’età mediadei suoi membri. Questo ci porta adaprirci a nuovi stili di leadership, piùflessibili, che siano capaci di far cir-colare l’energia presente in Congre-gazione, che siano finalizzati a crea-re relazioni sempre più umane eumanizzanti e che sappiano essereponti per vivere insieme le sfide del-la missione, in un mondo sempre piùcomplesso. Le sfide della modernità sono parti-colarmente visibili nell’universo del-la formazione iniziale e permanente.Gli stimoli che riceviamo dalla realtàintorno a noi, le possibilità tecnolo-giche e la fatica di vivere in situazio-ni sempre più violente sfidano i no-stri stili di formazione e richiamanol’esigenza di cercare percorsi che ri-spondano alle esigenze della missio-ne oggi, all’apertura all’altro e, so-prattutto, alla scelta radicale di usci-re all’incontro con Dio e con coloroa cui siamo inviate perché, insieme,possiamo sempre più testimoniare ilDio della vita. Con l’elezione del nuovo ConsiglioGenerale e la finalizzazione deimandati capitolari, non abbiamo“chiuso” un Capitolo ma ci siamoaperte ad un nuovo sessennio, riccodi possibilità ma anche di sfide, allacontinua ricerca della voce dello Spi-rito, per divenire portatrici di spe-ranza e far abbondare la vita.

sr. Mariolina CattaneoMissionaria Comboniana in Etiopia

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Testimoni 11/2016 13

A500 anni dalla Riforma diLutero le Chiese protestan-ti tornano a riflettere sul

monachesimo e la vita consacrata.Essi costituiscono «un laboratorioper la Chiesa. Le comunità monasti-che sono delle parabole dell’amorefraterno donate alla Chiesa. Le para-bole sono dei racconti che cercano diraggiungere il lettore nella sua vitaquotidiana, ma con una dimensionedi eccesso o anche di stravaganzache tenta di far esplodere le consue-tudini e i limiti, per aprirsi all’inatte-so del Vangelo. E ancora, le comu-nità monastiche sono offerte ai cri-stiani e alle parrocchie come unasorta di appello, ignorato per lungotempo e, d’improvviso, come qualco-sa che tocca i cuori». Sono le paroleintroduttive al volume Protestanti-sme e vie monastique: vers une nou-velle rencontre? (Ed. Olivetan, Lione2016), scritte da Laurent Schlumber-

ger, presidente del Consiglio nazio-nale della Chiesa protestante unitadi Francia. Vi è consapevolezza del-la crisi del monachesimo cattoliconel mondo occidentale e della suacrescita in Asia e in Africa, come an-che dell’esplosione del monachesi-mo orientale in Russia, e della «ne-cessità» spirituale dei consacrati peril cristianesimo del domani.

—Lutero svuotai conventi

La distanza della Riforma dalla vitaconsacrata e monastica rimonta allostesso Martin Lutero e alle «confes-sioni di fede» della varie Chiese pro-testanti. Nel 1522 viene pubblicato illibello Il giudizio di Lutero sui votimonastici che rimane ancora oggi lacritica più radicale alla consacrazio-ne religiosa. I voti non si fondano sul-la Parola di Dio, anzi le sono opposti

VITA DELLA CHIESA

I 500 anni della Riforma

MONACHESIMOE CHIESE PROTESTANTI

Un colloquio e un libro della Chiesa protestante unita diFrancia (luglio 2015) rilancia la nuova attenzione della

Riforma alla testimonianza cristiana della vita comune econsacrata. Le nuove domande spirituali.

perché i loro sostenitori si appoggia-no da una parte sul fatto che il Van-gelo distinguerebbe tra consigli e co-mandamenti (mentre tutto è coman-damento), dall’altra parte essi divi-dono la vita cristiana fra stato di im-perfezione (il popolo) e stato di per-fezione (i religiosi). Così il monache-simo pone la sua fiducia nelle operee non nel Vangelo. La perpetuità e lanecessità in ordine alla salvezza èdella fede e non dei voti. La fiducianelle opere svilisce la fede e la libertàevangelica. Sono quindi contro ilVangelo (che non parla di monaci),contro la fede (che salva, non le ope-re), contro la libertà del credente (lacoscienza è più grande del voto),contro i comandamenti (perché Diorisulta secondario rispetto al voto),contro la ragione e il senso comune(che prevedono l’eccezione di impos-sibilità rispetto alla promessa dellaconsacrazione). Un impianto accusa-torio che fra il 1500 e il 1540 ha mo-tivato la scomparsa dai paesi dell’Eu-ropa di 800 delle 1500 abbazie bene-dettine. L’articolo 27 della Confessio-ne di Augsburg (1530) ripete la de-nuncia di abusi e scandali, l’insoppor-tabile equazione fra voti e battesimoe la pretesa antievangelica di uno sta-to di perfezione. La vita consacrataturba il popolo cristiano, svalutandoil matrimonio, colpevolizzando ilpossesso dei beni e giustificando lavendetta (perché essendo condanna-ta nei voti non risulta impegnativaper il credente comune). Nell’Apolo-gia della confessione di Augsburg,Melantone ricorda che il monachesi-mo non è uno stato di perfezionemaggiore rispetto a un contadino o aun artigiano. Si tratta per tutti di ac-quisire la perfezione nel timore diDio. Calvino nelle Istituzioni della re-ligione cristiana nega l’antichità delmonachesimo, la sua pretesa di statodi perfezione, la distinzione fra con-sigli e comandamenti e, come Luteroe Melantone, apprezza e appoggial’immediato abbandono della vitaconventuale di quanti l’avevano scel-ta. Le successive «confessioni di fe-de» locali come quella delle Chieseriformate di Francia (1559) o dellaSvizzera (1566) stabilizzano una di-stanza del protestantesimo dalla vitamonastica e consacrata che sembradiventare incolmabile.

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ti per essere condivise da tutta la co-munità credente» (A. Birmelé, op.cit. 149-150).La coscienza ecclesiale cattolica at-tuale relativa alla vita consacrata èespressa dalla esortazione apostolicapostsinodale Vita consecrata e daidocumenti relativi all’anno della vi-ta consacrata (2014-2016). «L’amorerende uguali gli amanti; è la visibilitàpropria dell’incarnazione del Verboche è in gioco nella capacità negata(da parte protestante) e affermata(da parte cattolica) alla libertà uma-na di rendere a Dio grazia per gra-zia. Uno dei luoghi dove si attestaancora oggi la manifestazione delCristo nella carne sembra giusta-mente essere, oltre all’ambito sacra-mentale … il rapporto della vita con-sacrata con i consigli evangelici» (N.Hausman, Ou va la vie consacrée?,Lessius, Bruxelles, 2004, p. 90). Essi ciappaiono come una sorta di istitu-zione della vita evangelica (non sul-le sponde del ministero, ma del cari-sma e del dono). La vita consacrataè una ermeneutica ecclesiale degliacta et passa (atti e sentimenti) diCristo in particolare nel rapportocon la forma di vita che egli ha scel-to per se stesso e che la vergine Ma-dre ha abbracciato. La rinnovata coscienza ecclesialecattolica (Vaticano II) ha facilitato ilpercorso delle Chiese protestanti.Nel 2007 è uscito un documento del-le Chiese evangeliche tedesche(EKD) di verifica e pieno apprezza-mento per le esperienze di vita co-

14 Testimoni 11/2016

—Una inspiegabileResistenza

Nonostante ciò, fin dall’inizio dellaRiforma, vi fu una sorprendente re-sistenza di alcune comunità monasti-che – come quella dell’abbadessaPinkheimer a Regensburg – all’im-perativo della dispersione. Uno deiprimi riformatori, Martin Bucero,fondò nel 1546 una comunità di vitacomune. Non sorprende che le cor-renti spirituali protestanti del ‘600attingano di nuovo all’esperienzadella vita consacrata. Le tendenzepiù generose e radicali vanno oltre lasocietà di cristianità: alla parrocchiasostituiscono la comunità, alla Chie-sa di stato la fraternità dei converti-ti, alla tradizione la conversione, alpotere la comunione. E in questooperano una sorta di «monachesimodi sostituzione»: la de-clericalizza-zione (antiistituzionale), l’azione in-tramondana come nuova regola, lacomunità come cenobio, l’adorazio-ne e la mistica come spiritualità cari-smatica. Le successive ondate delpietismo, del metodismo, del prote-stantesimo evangelico ne portano

tracce significati-ve. Al momentodella rivoluzioneindustriale inGermania comein Gran Bretagnaesplode l’espe-rienza cenobitica,comunità di dia-conesse che simettono a dispo-sizione dei pove-ri. È del 1841 lafondazione dellediaconesse diReuilly, di Stra-sburgo e di SaintLoup, in Francia.In un contesto dirisveglio spiritua-le e di rinnovato incontro personalecon Cristo nascono comunità chetrovano accesi consensi e dissensi eche costituiscono un permanente ri-ferimento per una parte delle comu-nità protestanti del paese. Evento insintonia con quanto succedeva in al-tre Chiese d’Europa, come le diaco-nesse in Olanda e in Germania e le«suore protestanti della carità» inInghilterra. Dopo la prima e la se-conda guerra mondiale si registranoalcune tendenze di interesse per lavita comune. Basti pensare alla Bru-derhaus di Bonhoeffer e alla comu-nità di Taizé.

—La coscienzadelle Chiese oggi

Cambia nel frattempo anche il giudi-zio sull’intenzionalità autentica degliscritti di Lutero. «La situazione spi-rituale disastrosa dei conventi, la lo-ro intollerabile ricchezza materiale,il loro statuto canonico e i voti tra-sformati in molte parti in costrizioniimprigionanti giustificano lo scritto(del riformatore). La questione chesi pone è se questa critica valga pergli ordini monastici di tutti i tempi osi tratti piuttosto di uno scritto di cir-costanza». Come succede per moltialtri temi polemici di Lutero, il rifiu-to dei voti monastici va compresocome «critica delle pratiche dellasua epoca, senza diventare una ri-messa in questione delle ricchezzeautentiche della vita monastica, an-che quando esse escono dai conven-

ECUMENISMO

Il volume indaga l’anoressia come que-

stione etica. Chi soffre di disturbi ali-

mentari elabora una propria visione del

mondo e insegue un ideale normativo,

quasi una nuova figura di bellezza. Tut-

tavia il vissuto personale, anche quello

patologico, può venir compreso e reso ac-

cessibile a una positiva trasformazione.

PAOLO CATTORINI

Mangiaresolo pensieri

Etica dell’anoressia

www.dehoniane.it

«PERSONA E PSICHE» pp. 320 - € 30,00

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15Testimoni 11/2016

munitaria presenti nel contesto delprotestantesimo tedesco. Esse sono234: 56 sono comunità con voti distabile vita comune, 33 sono frater-nità di vario tipo con la presenza si-multanea di maschi e femmine, 28sono comunità di famiglie, 105 sonofraternità che rimandano all’espe-rienza delle diaconesse, 12 sono diindirizzo ecumenico. Dal 1978 è at-tiva una conferenza delle comunitàevangeliche e dal 2003 si rinnovanogli incontri delle società di vita spi-rituale. Esperienze simili sono viveanche in Olanda (a Zeiss) o in In-ghilterra. In Francia sono 13 le co-munità che aderiscono alla Federa-zione protestante unita del paese.Dagli anni ’60 esse hanno un loro di-partimento a cui riferirsi e dagli an-ni ’70 è in atto un collegamento conle comunità familiari (come Caul-mont, Moria, Ichthus, Recontre).Tutti sono convocati a un grande in-contro annuale. Già nel 1961, ri-spondendo a fr. Roger (Taizé) il pa-store Lagny de Reuilly diceva: «Lecomunità, movimenti e opere sonoparte integrante della Chiesa, nonsemplici emanazioni, satelliti o stru-menti d’azione».

—La conquista,l’ecumenismo, la spiritualità

Se nell’Ottocento, soprattutto fran-cese, il monachesimo (con due nomiemblematici di riferimento comeDom Guéranger di Solesmes e Jean-Baptiste Muard de la Pierre-qui-Vi-re) persegue la riconquista cattolicadella società moderna in una neo-cristianità, a partire dalla metà del‘900 l’attenzione si sposta alla di-mensione escatologica ed ecclesiale,in particolare al compito ecumenico,declinato nella forma del «ritorno aRoma» nelle comunità monastichetradizionaliste e nelle forme dell’in-contro nelle altre. Le sei esperienzeche vengono presentate nel volumeProtestantisme e vie monastique sonotutte su questo versante. Si trattadella fraternità ecumenica di Lom-me, della comunità di Pomeyrol, del-la comunità di Taizé, della comunitàChristustraeger, della missione diPomeyrol a Alençon. È indicativa lastoria di Lomme. La comunità nascedall’azione comune delle Oblate del-

ECUMENISMO

l’eucaristia (cattoliche) con le diaco-nesse di Reuilly sulle cure palliative.Unendo le forze delle Oblate, dellacomunità svizzera di Grandchamp(protestante), del Carmelo di SaintJoseph (cattolico) e delle diaconessedi Reuilly nasce nel 2010 una picco-la comunità di testimonianza cherende visibile il poter vivere assiemeuna consacrazione fra confessionidiverse, il pregare assieme, il condi-videre la stessa Parola.Ma all’orizzonte si profila una nuo-va domanda. Essa viene non tantodall’interno della Chiesa, ma dall’e-sterno, dalla società civile post-mo-derna, come mostra il successo difilm sul silenzio delle Certose o la te-stimonianza dei monaci martiri diTibhirine. È una domanda di spiri-tualità, di un diverso stile di vita, diun nuovo contatto con la natura, diuna nuova apertura al trascendente.Essa si esprime in particolare nellarichiesta di ospitalità. Ecologia dellalentezza, etica della frugalità, ricon-ciliazione con se stessi, nuovi legamicomunitari, alleanza con la natura:sono alcuni degli elementi che ren-dono suggestivo un soggiorno nelmonastero. Sono domande nuove,poco confessionali, che minaccianouna folclorizzazione del cristianesi-mo e della vita consacrata, ma chevanno ascoltate con attenzione, siaquando all’ospite si riconosce un no-me e una partecipazione alla vita co-mune, sia quando l’ospitalità è «in-condizionata» (non se ne richiedeneppure il nome).Un nuovo contesto che domanda dileggere di nuovo la lunga storia delmonachesimo e della vita consacra-ta, un ritorno creativo alle fonti, unanuova capacità di proporre un impe-gno coraggioso nel tempo, di rinno-vare la scuola alla preghiera, di raffi-nare e lavorare sulla domanda diDio, sulla esigenza di fraternità e sul-la distanza-appartenenza al mondoquotidiano. In tutto questo vi è an-che il recupero di una dimensioneantropologica comune alle varie for-me di monachesimo attive nelle va-rie religioni. Perseguire cioè il mas-simo dell’identità carismatica e con-fessionale con il massimo dell’aper-tura all’umano comune.

Lorenzo Prezzi

E S E R C I Z I S P I R I T U A L I

PER SACERDOTI, RELIGIOSIE DIACONI

� 11-19 dic: p. Bernardino Prella,op “Vita consacrata: vitanascosta con Cristo in Dio” SEDE: Comunità di Preghiera“Mater Ecclesiae”, Via della PinetaSacchetti, 502, – 00168 ROMA; tele fax 06.3017936; e-mail:[email protected] –www.centromaterecclesiae.it

� 12-16 dic: p. GiannantonioFincato, CGS “Esercizispirituali” SEDE: Casa “Maris Stella”, ViaMontorso, 1- 60025 Loreto (AN); tel.e fax 071.970232; e-mail:[email protected] –www.marisstellaloreto.it

� 8-13 gen 2017: mons. DanteLafranconi “Essere e vivere dadiscepoli di Gesù” SEDE: Villa Sacro Cuore, Via SacroCuore, 7- 20050 Triuggio (MB);tel.0362.919322 – fax 0362.919344;e-mail: [email protected]

� 9-13 gen 2017: don MarcoFrisina “Eccomi, chiamati alservizio di Dio. Un itinerariobiblico esplorando la nostraidentità sacerdotale” SEDE: Villa San Carlo, Via SanCarlo, 1 – 36030 Costabissara (VI);tel. 0444.971031 – fax 0444.971031;e-mail:[email protected] –www.villasancarlo.org

� 15-20 gen 2017: don GianniColzani “Libertà nella Verità enello Spirito. La pastorale traautonomia personale e aperturaalla trascendenza” SEDE: Monastero S.Croce, ViaS.Croce, 30 – 19030 Bocca diMagra (SP); tel. 0187.60911 – fax0187.6091333; e-mail:[email protected] –www.monasterosantacroce.it

� 1 gen-31 dic 2017: Relatori vari“Durante l’anno ritiri perReligiosi, Sacerdoti eseminaristi a richiesta con dateda definirsi” SEDE: Casa di preghiera SuoreSacra Famiglia, LocalitàCollerisana, 160 – 06049 Spoleto(PG); tel. 0743.223309;www.ssfspoleto.org

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tualmente, sono circa settecento ledonne che hanno emesso il proposi-to di castità nelle mani del vescovo,scegliendo di seguire Gesù povero,casto e obbediente nell’ordinarietàdi una vita intessuta di lavoro, rela-zioni sociali ed ecclesiali.L’Incontro nazionale, occasione peranalizzare il significato della presen-za della consacrata dell’Ordo “nelcuore della Chiesa” e la sua missio-ne per “la vita del mondo”, ha offer-to un programma ricco di momentidi preghiera, studio, confronto e fra-ternità. Nutrita e paterna la presenza dei ve-scovi, segno dell’attenzione pastora-le nei confronti di questa realtà ec-clesiale, le celebrazioni liturgiche so-no state presiedute da mons. Giusep-pe Marciante, vescovo ausiliare diRoma, mons. Raffaello Martinelli,vescovo della diocesi Tuscolana,mons. Paolo Lojudice, vescovo ausi-liare di Roma, mons. Romano Rossi,vescovo della diocesi di Civita Ca-stellana, p. Agostino Montan, già de-legato per l’Ordo Virginum di Roma,e don Giuseppe Capsoni, docente didiritto canonico.«La Chiesa di Roma vi accoglie congioia»: con quest’affettuoso benve-nuto, mons. Giuseppe Marciante hasalutato le donne consacrate e in for-mazione presenti. «Voi siete un se-gno concreto della Chiesa sposa cheattende lo Sposo e anticipate l’espe-rienza della vita futura», ha sottoli-neato il prelato, affidando un compi-to speciale alle numerose partecipan-ti: «mettete sempre nel cuore dellaChiesa la nostalgia dell’Amato». L’approfondimento teologico è statoaffidato a Serena Noceti, docente diecclesiologia e antropologia teologi-ca, che ha tenuto una relazione su“Identità e vita dell’Ordo virginum.Una lettura a partire dalla Lumengentium” e dall’allora vescovo diCrema, e attuale vescovo di Como,Oscar Cantoni, membro della Com-missione Cei per il clero e la vitaconsacrata e suo delegato per l’Ordovirginum. Oggetto del suo interven-to, la Nota pastorale “L’Ordo Virgi-num nella Chiesa in Italia”.Quali sono l’identità e la missionedella vergine consacrata? Cosa puòdire alla Chiesa e al mondo di oggi lascelta pubblica di una vita completa-

Negli ultimi decenni la com-prensione dell’identità edella missione della consa-

crata dell’Ordo virginum dentro laChiesa italiana ha gradualmente ac-quisito una buona considerazione alivello culturale, e di conseguenzauna crescente attenzione da parte dimolte comunità diocesane, anche sequesti risultati non sono condivisinella stessa misura da ogni Chiesalocale. Di questo impegno si sonofatte carico innanzitutto le consacra-te dell’Ordo che da circa trent’anniorganizzano annualmente un Incon-tro nazionale, tappa preziosa nelcammino di approfondimento suquesta esperienza di vita consacratache affonda le sue radici agli alboridel Cristianesimo.Quest’anno le 170 partecipanti, tra

le quali anche consacrate provenien-ti dalla Francia, dall’isola di Malta edalla Finlandia, hanno analizzato ilcarisma dell’Ordo virginum alla luce

della costituzione Lumen gentiumdel Concilio Vaticano II. È termina-to, così, il percorso di studio dellequattro costituzioni conciliari inizia-to nel 2013, con la Gaudium et spes,proseguito nel 2014 con la Sacro-sanctum concilium e lo scorso annocon la Dei Verbum.

—Il temadell’incontro

“Nel cuore della Chiesa per la vitadel mondo”: è stato il titolo sceltoper l’Incontro dell’Ordo virginumdelle diocesi italiane vissuto, dal 25al 28 agosto, presso la Fraterna Do-mus di Sacrofano (Roma).Sponsalità con Cristo, legame allachiesa locale e presenza nel mondosono i tratti peculiari di questa voca-zione, fiorita in 117 diocesi italianeda quando il Concilio ha ripristinatol’antico rito di consacrazione, pro-mulgato nel 1970 da Paolo VI. At-

VITA CONSACRATA

Incontro annuale dell’Ordo Virginum a Sacrofano

NEL CUORE DELLA CHIESAPER LA VITA DEL MONDO

Le 170 partecipanti, tra le quali anche consacrateprovenienti dalla Francia, dall’isola di Malta e dalla

Finlandia, hanno analizzato il carisma dell’Ordo virginum allaluce della costituzione Lumen gentium del Concilio

Vaticano II.

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Testimoni 11/2016 17

mente dedicata al Signore nella quo-tidianità di un’esistenza ordinaria?A questi interrogativi ha cercato dirispondere Serena Noceti nella suariflessione densa di riferimenti bibli-ci e magisteriali. La teologa ha ricor-dato come la restituzione dell’OrdoVirginum si radica nell’evento conci-liare e nel ripensamento complessi-vo della vita ecclesiale, la missione, leforme celebrative, le dinamiche del-la vita e della partecipazione. Partiredal Vaticano II è dunque essenzialeper comprendere la specificità del-l’Ordo Virginum. Un’ecclesiologiache ritorna alle sue fonti vitali, alNuovo Testamento che rilegge le tra-dizioni, ma allo stesso tempo deside-ra operare un ripensamento com-plessivo. «Guida i padri del conciliola consapevolezza che il modello tri-dentino di Chiesa cominciava a mo-strare i suoi limiti sia dal punto di vi-sta socio religioso sia dal punto di vi-sta della riflessione teologica. Il ri-pensamento dal quale l’Ordo Virgi-num rinasce è la consapevolezza chela Chiesa esiste per mantenere nellastoria l’annuncio del vangelo, la me-moria di Gesù fino al suo ritorno».Dunque una Chiesa che si ripensanon più al centro di tutto, ogni eccle-siocentrismo viene bandito dalla Lu-men gentium, ma si ripensa al servi-zio del regno che viene nella storia.La Chiesa si considera come piccologregge, come germe, piccola partedell’umanità che accoglie la venutadel regno di Dio.«Altro elemento importante – haspiegato la Noceti – è il recuperodella Chiesa locale dopo secoli in cuila prospettiva era stata universalisti-ca, guardava la Chiesa intera ovun-que diffusa e le diocesi come parte diquest’universalità». Ultimo passag-gio chiave è la riscoperta del sacer-dozio comune, «ciascuno con il bat-tesimo partecipa del sacerdozio diCristo, si tratta di un sacerdozio del-la vita, che è il dono di noi stessi peramore di Dio e dei fratelli nella sto-ria, nel lavoro, nella vita quotidiana,nelle relazioni».

—Missione e specificitàdi ogni vocazione

Unica è la missione della Chiesa equesta missione è servita da sogget-

ti differenti. Siamo tutti chiamati aservire il regno di Dio che viene nelmondo e lo facciamo con le nostrescelte quotidiane, con il lavoro, lerelazioni umane, la lotta per la giu-stizia, l’impegno politico o nel sinda-cato, il servizio alla pace, alla colla-borazione con tutti, portando ricon-ciliazione e comunione tra le perso-ne (cf. Gaudium e spes 39). «La spe-cificità di ogni vocazione sta nel mo-do in cui ci rapportiamo al noi eccle-siale. I ministri ordinati ci custodi-scono nell’apostolicità della fede, cigarantiscono la radice e la dimen-sione sacramentale di questa vita, ilaici seguono la venuta del regno diDio richiamando i segni e i linguag-gi del nostro tempo e l’Ordo virgi-num? Qual è la vostra identità cari-smatica?». Tre i tratti che la Noceti ha eviden-ziato: «siete donne dedicate, cioè to-talmente donate per il regno, la chie-sa locale, la santità; siete segno, per-ché rinviate con tutto voi stesse lavenuta del regno: la dimensioneescatologica; siete una pluralità di fi-gure, l’aspetto che vi caratterizza èvario, molteplice, dai vestiti al mododi porvi, dalle scelte professionaliagli impegni ecclesiali. Nell’unicoOrdo non ripercorrete gli stessi ca-noni ma arricchite l’Ordo di volti, difigure, di storie». «Portate – ha esortato – nella vitadella Chiesa la logica alta del Regnodi Dio che non è quella della fecon-dità umana, della discendenza se-condo la carne, ma quella che attestae dice vitalmente un’identità per lavenuta del Regno». Infine la relatrice ha chiesto alle

presenti: «Siate presenza evocante epresenza profetica. La vostra speci-ficità è nell’essere segno dell’attesavigilante o meglio ancora la forzaparlante, l’essere custodi della pro-messa di Gesù. Voi custodite nellaChiesa non solo l’invocazione che ilRegno venga ma la parola dellapromessa. Siete le custodi nel frat-tempo della promessa dell’amore diCristo che porterà a compimento ilRegno». Ricordare che la storia è abbraccia-ta dalla promessa di Dio caratteriz-za, dunque, la consacrata dell’Ordo.«Se dovessi definirvi, vi chiamereiprima di tutto donne messianiche,cioè donne che sono in attesa, con laChiesa e nella Chiesa, del Messia.Richiamate la Chiesa intera a un ele-mento che sta a cuore a papa Fran-cesco che è la riforma della Chiesa,la sua permanente conversione. Sia-te le custodi della riforma dellaChiesa».

—Un segno di amoredi Dio per tutti

Mons. Oscar Cantoni, che ha porta-to alle partecipanti all’incontro,«l’abbraccio benedicente dei vescoviitaliani», ha più volte espresso un vi-vo apprezzamento nei confronti diquesta vocazione, definendola «unvero dono dello Spirito, offerto a tut-ta la Chiesa che è in Italia». Nel suointervento si è soffermato sulla di-mensione diocesana, ricordando che«il vescovo, che è garante della co-munione di carismi, deve custodire epromuovere questo dono». La con-sacrazione, infatti, «non è solo una

VITA CONSACRATA

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scelta personale ma è condivisa nel-la Chiesa e si nutre di un’intima par-tecipazione alla Chiesa locale, nellediverse realtà pastorali, secondo leproprie competenze».Alle consacrate ha poi rivolto un pa-terno invito, quello di essere «segnodell’amore di Dio per tutti, con tene-rezza, con impegno, con uno stile dipresenza, con lo sguardo attento aintercettare le sfide pastorali di oggi,perché la missione è quella di esser-ci. In nome della Chiesa».

—La condivisionedelle esperienze

La tavola rotonda ha voluto faremergere esperienze significative,positive ma realistiche, senza cerca-re l’eccezionalità. Ad alcune consa-crate, provenienti da diverse regionie da variegate esperienze professio-nali ed ecclesiali, è stato affidato ilcompito di condividere la propria te-stimonianza, segno della creativitàdello Spirito Santo nell’unicità dellarisposta di ciascuna all’iniziativa d’a-more di Dio. Giusy Avolio, insegnante di religione

della diocesi di Napoli, Maria Anto-nietta Nieddu, pensionata della dio-cesi di Nuoro, e Marzia Rogante, psi-cologa della diocesi di Fermo, hannoraccontato con semplicità ed emo-zione, perché hanno scelto di donar-si totalmente a Cristo Sposo e comevivono la propria vocazione vergina-le nel mondo. La centralità di Dionel vissuto quotidiano, l’impegnonella costruzione di relazioni auten-tiche, l’esperienza di una solitudine“abitata”, il rispetto e la tenerezzanell’accogliere tutte le pieghe e lepiaghe dell’umanità, la gioiosa ten-sione del “già e non ancora”: questisono i tratti caratteristici di una quo-tidianità intessuta di lavoro e impe-gno, di silenzio e preghiera, dei pic-coli e concreti gesti dell’amore. Sotto lo sguardo di Maria, è stata vis-suta la veglia notturna di adorazioneeucaristica culminata con la proces-sione aux flambeaux fino alla grottadella Madonna della sorgente, nelcuore del parco di Veio. «Il mio augurio è che siate tutte pie-ne di Dio, innamorate: questo nonvuol dire indugiare nel sentimentali-smo, ma fare ogni giorno la volontàdi Dio» è stato l’affettuoso saluto dimons. Raffaele Martinelli. «All’a-more si risponde con l’amore», ha ri-cordato mons. Romano Rossi, «valo-rizzate la fantasia spirituale dell’a-more, usate la libertà per amare dipiù, vivete nella pienezza dell’amoretutto ciò che fate». Anche il cardinale Joâo Braz deAviz, Prefetto della Congregazioneper gli istituti di vita consacrata e lesocietà di vita apostolica, ha incon-trato le partecipanti per un momen-to di gioioso confronto manifestan-do, con amorevole vicinanza, quantoquesto dono dello Spirito sia nelcuore della Chiesa. «Siate modella-bili come argilla in mano al vasaio»,ha esortato il Prefetto. «Perché Diopossa portarvi dove l’amore suovuole che siate». E ancora: «Diven-tate sempre più discepole di Gesù,seminando comunione». Prima dicongedarsi il Prefetto ha chiesto allepresenti di «far conoscere questaforma di consacrazione a tante don-ne che stanno cercando quale stradapercorrere con il Signore».

Giuseppina Avolio

VITA CONSACRATA

La Chiesaè donna

PAPA FRANCESCO

Scritti, discorsi, omelie

Il rapporto di papa Francesco con ledonne appare del tutto alieno da an-

tichi pregiudizi e da moderni conformi-smi, ma fondato su una forte attitudineempatica. I doni e le peculiarità propriedel femminile sono un elemento essen-ziale del ministero della misericordia, cheper Francesco è il compito più urgente.

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19Testimoni 11/2016

della mancanza di futuro, anche se imotivi, sociali e psicologici, sembra-no del tutto ragionevoli… Si diffon-de un’inquietudine profonda, unastanchezza mortale: viene meno l’at-tesa – l’avvento – in tutte le sue for-me. Il sistema sociale, nei suoi com-plessi meccanismi, si allontana sem-pre più dalle aspettative autentichee, in questo sistema, l’uomo, con lesue relazioni e i suoi valori, ha sem-pre meno peso.2 Più o meno consa-pevolmente, siamo travagliati dal-l’angoscia della sopravvivenza. La metafora della liquidità, coniatada Bauman, è sintomatica. L’abban-donarsi quotidiano al fruibile e al-l’immediato, al tutto e subito, allaconsumazione pronta, senza attesa,manifesta la nostra povertà. La de-cadenza tende a portare l’uomo e ladonna a non misurarsi più con la fa-tica e la passione del costruire. “Nonho tempo” è un leit-motiv del nostroquotidiano discorrere ed è l’indiziodi un malessere profondo: quello diun uomo segnato dall’accelerazionee dalla frammentazione. Viviamo inun perpetuo e trafelato presente,senza più memoria e senza più pas-sione di costruire una storia futura.L’uomo di oggi somiglia all’uomoproskairos / di un momento, incapa-ce di durata, di perseveranza… Glistessi giudizi sugli eventi e sui fratel-li sono spesso segnati dalla fretta edalla foga. Un altro aspetto contrassegna il no-stro tempo: la sete di potere. Il cam-mino dell’uomo appare sempre piùcontrassegnato dal motto che, già nel1917, Oswald Spengler descrivevacome «Macht, Macht und immer wie-der Macht / Potere, Potere e sempredi nuovo Potere». Oggi, come ieri,l’uomo è malato di onnipotenza. Inquesto senso, il racconto della torredi Babele, contenuto in Gn 11, è diestrema attualità, perché presenta lapresunzione umana, che vuole co-struire la città con il compasso delsuccesso e della sfida all’Assoluto. Sitratta dell’arroganza che adora lesue costruzioni, dimenticando Dio el’uomo.3 La comprensione che l’uo-mo ha oggi di sé è spesso legata allaprestazione e alla riuscita. L’uomocontemporaneo deve ormai conti-nuamente giustificarsi, non più da-vanti al tribunale di Dio, come al

Un filo rosso attraversa le let-ture delle domeniche di Av-vento nell’anno liturgico

che inizia: un motivo che potrebbeessere reso con la pregnante espres-sione paolina, tratta dalla secondalettura della prima domenica: siamoin un tempo cruciale. Nella Bibbiaabbiamo due vocaboli che indicanoil tempo: chronos e kairós. Con il pri-mo s’intende il tempo dell’uomo edella sua storia, il tempo quotidiano,il giorno fugace, mentre con il secon-do – che Paolo utilizza appunto inRm 13,11 – si fa riferimento a untempo speciale, pregnante e propi-zio, l’istante opportuno. Ecco, allora,la domanda a cui siamo chiamati arispondere in questo tempo di Av-vento: come vivere il tempo dell’uo-mo alla luce del kairós, il tempo diDio? Come affrontare il quotidianoe far sì che il giorno dopo giorno,spesso faticoso e banale, diventi untempo favorevole e straordinario?

—La modernitàliquida

Nella nostra modernità “liquida”,come la definisce Zygmunt Bau-man,1 non è difficile constatare laprofonda crisi che avvolge la civiltàoccidentale, anche sotto la dimensio-ne “temporale”. Si ha l’impressioneche l’Occidente, con la sua cultura ela sua fede, sia arrivato al capolineae che sia giunta l’ora di sistemi e va-lori provenienti da altri spazi e tem-pi: dall’Islam alla mistica indiana…L’Occidente sembra vivere in un si-stema parassitario, paralizzato inuna crisi diventata endemica, chemette a rischio la stessa sopravviven-za. Più volte e da più parti è statoevocato il confronto con l’impero ro-mano al tramonto: con la smorfiadella decadenza in ogni angolo, in-sieme all’immoralità, alla corruzionee al cinismo. La paura di mettere almondo nuove vite, è un indizio serio

LITURGIA

Letture dell’Avvento e la «modernità liquida»

COME VIVEREIL TEMPO DI AVVENTO

Come riscoprire il kairós nello scorrere del chronos?Come affrontare il quotidiano e far sì che il giorno dopo

giorno, spesso faticoso e banale, diventi un tempofavorevole e straordinario? Il tempo di Avvento e leletture bibliche ci offrono delle piste di riflessione.

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20 Testimoni 11/2016

tempo di Paolo, ma davanti al tribu-nale della società, del posto di lavo-ro, dell’ambiente circostante. E ci sipuò giustificare solo mediante il ren-dimento. Questa è oggi la vera male-dizione della legge: si è qualcuno so-lo in virtù delle proprie prestazionipersonali, ci si può affermare solodocumentando la propria efficienza.Ovviamente, non si tratta qui di po-lemizzare indistintamente con leopere umane, l’avanzamento profes-sionale, ecc. Il messaggio ebraico-cri-stiano non offre giustificazioni all’i-

noperosità e, del resto, la civiltà oc-cidentale lo dimostra in maniera ab-bastanza evidente. E tuttavia, c’è untarlo in tutto questo: l’obbligo – con-scio o inconscio – che ha l’uomo mo-derno di dovere, sempre e comun-que, esibire i propri titoli di merito(le opere di cui fa menzione Paolo)offre l’illusione di un’autonomia to-tale, sciolta da ogni rapporto di di-pendenza, con una vita tesa solo al«potere» sorretto, ovviamente, dasempre nuove prestazioni.La Chiesa non è immune da questopericolo. In una lezione sull’ecclesio-logia del Vaticano II, tenuta nel 2001nella diocesi di Aversa, l’allora pre-fetto della Congregazione per la dot-trina della fede, il card. J. Ratzinger,affermava: «… la prima parola dellaChiesa è Cristo e non se stessa; essaè sana nella misura in cui tutta la suaattenzione è rivolta a Lui… […] In-fatti una Chiesa, che esiste solo perse stessa, sarebbe superflua…La cri-si della Chiesa, come essa si rispec-chia nel concetto di popolo di Dio, è“crisi di Dio”; essa risulta dall’ab-bandono dell’essenziale. Ciò che re-sta, è ormai solo una lotta per il po-tere. Di questa ve ne è abbastanzaaltrove nel mondo, per questa nonc’è bisogno della Chiesa». Le dinamiche distruttive e il secola-rismo albergano nel seno delle co-munità religiose. La ricerca dell’“in-timo” degenera spesso in un’assolu-tizzazione dell’elemento emotivo,che non rende responsabili. Si co-struisce la speranza sulla sicurezzapersonale o di gruppo, come se la co-sa più importante fosse la propriasopravvivenza e la sopravvivenzadelle nostre opere. Manca la profon-

dità, si gioca in superficie: cardinalicontro papa, prete contro vescovo,vescovo contro prete… mentre iproblemi sono ben più radicali.Troppo spesso, visibilità e facciatanascondono il vuoto. C’è tanto vuo-to, e trionfa l’ipocrisia.

—Cosa fare?

Come coniugare, in questa situazio-ne, l’attesa di un avvento con il cre-puscolo di civiltà? Come ritrovare isemi di una fiducia che renda possi-bili nuovi sentieri di giustizia e il re-cupero della dignità? Come rinveni-re il senso della relazione autentica,dello stare insieme, che non sia puraemozione, ma “responsabilità” attivae passione cocente per l’altro, chiun-que egli sia?Insomma, come riscoprire il kairósnello scorrere del chronos? Il tempodi Avvento e le letture bibliche che cisono proposte nelle quattro domeni-che ci offrono delle piste di riflessio-ne, che provo a evidenziare.

———Amare“questo” mondo

L’Avvento è l’attesa di un amore in-carnato nel presente! Questo signifi-ca – lo dico con Bonhoeffer – cheDio ama l’uomo, Dio ama il mondo:«…non un uomo ideale, ma l’uomocosì com’è; non un mondo ideale, mail mondo reale. L’uomo e il mondonella loro realtà, che a noi paionoabominevoli per la loro empietà e dacui ci ritraiamo con dolore e ostilità,sono invece per Dio l’oggetto di unamore infinito che l’unisce a loro nelmodo più intimo… Noi facciamo di-

In italiano, ospite è chi è accolto, l’ospi-

tato, e chi accoglie, l’ospitale. Giocando

su questa ambivalenza, il libretto accom-

pagna in una inedita lettura del «Padre

nostro», alla riscoperta di Dio come ospi-

te inatteso dei nostri giorni, che desidera

abitare la nostra casa, le nostre relazioni.

ANNAMARIA CORALLO

L’ospiteinatteso

Il Padre nostro

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«PEDAGOGIA DELLA FEDE» pp. 64 - € 5,00

LITURGIA

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stinzioni fra pii ed empi, tra buoni ecattivi, tra nobili e comuni; Dio amal’uomo vero senza distinzioni. Eglinon sopporta che noi dividiamo ilmondo e gli uomini secondo i nostricriteri per erigerci a giudici su di lo-ro. Egli ci conduce ad absurdum di-ventando egli stesso… compagnodei peccatori, e obbligandoci così adiventare i giudici di Dio. Dio si po-ne a fianco dell’uomo vero e delmondo reale contro tutti i loro accu-satori… Dinanzi a qualche minacciao a qualche occasione inaspettata, lagrandissima maggioranza degli uo-mini mostra come la paura, la cupi-digia, la debolezza di carattere o labrutalità siano la molla delle loroazioni… Ma l’uomo onesto che vedee penetra tutto ciò, che si allontanadisgustato dagli uomini lasciandoli aloro stessi, che preferisce coltivare ilsuo orticello anziché avvilirsi parte-cipando alla vita pubblica, soccombeal pari del malvagio alla tentazionedi disprezzare gli uomini… Dio haassunto corporalmente l’umanità.Egli colloca il suo amore per gli uo-mini al di sopra di qualsiasi sospettodi inautenticità, di dubbio, di incer-tezza… Gesù Cristo non è un’uma-nità eccelsa trasfigurata, ma è il «sì»di Dio all’uomo reale… Esiste ancheun amore per l’umanità, onestamen-te inteso, che equivale al disprezzo;esso ha per fondamento una valuta-zione dell’uomo basata sui valori la-tenti in lui, nel suo carattere sano, lasua ragionevolezza, la sua bontàprofonda… Allora accade che, conun’indulgenza forzata, si interpreta ilmale come fosse bene, si chiudonogli occhi sulle viltà, si scusa ciò che èreprensibile. Per una serie di motivisi teme di dire un «no» perentorio esi finisce per approvare tutto. Si amaun’immagine dell’uomo che ci si ècostruita e che non somiglia più al-l’uomo vero: in tal modo, anche inquesto caso, si disprezza l’uomo rea-le, quello che Dio ha amato”.4

—Riconoscerei germogli

Nella seconda domenica di avventoci viene offerta dal profeta Isaia unabella metafora: il germoglio su untronco secco. Non è facile risalireagli eventi storici che sono all’origi-

LITURGIA

ne del testo. La metafora del troncosecco è, comunque, un giudizio seve-ro, perché evoca il fallimento e lasterilità di Israele, un tempo oggettodi benedizione divina, ma che oranon ha più futuro. In effetti, che co-sa ci si poteva aspettare da una dina-stia regnante che, chiamata a opera-re giustizia e pace, lungo i secoli siera mostrata sempre più incapace diessere fedele al mandato ricevuto?Che cosa si poteva sperare da uomi-ni e istituzioni che hanno fallito nelloro compito e appaiono, a tutti glieffetti, senza più linfa vitale? Israelesi trovava in una situazione di mor-te, che non consisteva tanto nel nonavere più nulla, ma nel non aspettar-si più nulla. Ma ecco il prodigio: sul tronco seccodella casa di Davide (Iesse è il padredi Davide), il profeta vede spuntare“un germoglio”, un discendente da-vidico, su cui si concentreranno nuo-vamente le speranze di Israele. Diocrea una nuova attesa e tutto iniziaancora, perché le speranze umanepossono venir meno, ma la promes-sa divina no. Artefice di questa nuo-va creazione sarà lo Spirito del Si-gnore, che il profeta vede posarsi sulnovello re. I sei attributi che avrà indote (diventeranno sette nella Bib-bia greca, nella Volgata e nella tradi-zione della Chiesa) lo renderannocapace di un discernimento e di ungiudizio che vanno ben oltre le sem-bianze umane, perché gli uomini giu-dicano secondo le apparenze, maDio guarda il cuore. Egli sarà – se-condo il piano divino – difensore deipoveri e artefice di pace, rivestito digiustizia e fedeltà. La terra vedrà an-cora fiorire la pace, che marcherànon solo la convivenza umana, maanche la natura e gli animali. Anima-li tradizionalmente nemici – come illupo e l’agnello, la pantera e il ca-pretto – passeggeranno assieme, epersino l’inimicizia tra l’uomo e ilserpente (cf. creazione) vedrà la suafine. La violenza e l’empietà scom-pariranno dal paese e la terra tor-nerà ad essere rispondente (oppurefedele) al progetto paradisiaco cuiera destinata, al volere del creatore. Il lettore contemporaneo percepiscequi, ancora una volta, un ideale avve-niristico, difficile da tradurre in realtà.Eppure, questa Parola profetica, co-

stantemente e violentemente smenti-ta dai fatti, costituisce ancora oggiuna sfida. Perché la speranza è piùforte dei fatti, e il credente è chiama-to a dirlo, quotidianamente. In unmomento cruciale della storia perso-nale e della storia del mondo, ciascu-no è chiamato a trapassare la superfi-cie, per recuperare l’invisibile e l’im-possibile. Perché, oltre a ciò che co-munemente si percepisce, al di là delbuio e della coltre di diffidenza e diodio che ci avvolge come individui,famiglie e popoli, c’è l’agire di Dio. Occorre, sempre di nuovo, che il cre-dente sappia contestare l’evidenza,sappia guardare oltre gli eventi.L’uomo che crede sa cogliere, neicrepacci della propria vita personale,della storia dei popoli e dell’univer-so, la speranza sepolta sotto le mace-rie; sa leggere gli eventi in trasparen-za, alla luce di un futuro che è sem-pre possibile, perché è il futuro crea-to da Dio. Questa non è poesia, enemmeno mero ottimismo, ma spe-ranza: l’ottimismo è fondato su edu-cazione e natura, la speranza cristia-na, invece, è fondata sulla promessadivina.

Le riflessioni sono state concepite co-

me accompagnamento mistagogico

per chi vuole comprendere la celebrazio-

ne liturgica dell’eucaristia sull’onda del-

l’intelligenza della Parola proclamata. La

lettura privilegia la via spirituale dentro

quella esegetica e teologica.

ELIA CITTERIO

Il rischiodella gioia

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Testimoni 11/2016 21

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22 Testimoni 11/2016

—Ritornareal deserto

Una bella pagina di Giacomo, offertanella terza domenica di Avvento, par-la della pazienza del contadino: Eccoche l’agricoltore aspetta il frutto pre-zioso della terra, attendendo con pa-zienza che essa riceva le prime e le ul-time piogge (Gc 5,7-8). L’attesa non èpassiva, come potrebbe apparire aprima vista. L’agricoltura, infatti, so-prattutto in Israele, dove il nemico èil deserto che avanza e carpisce lasperanza, è una lotta quotidiana. Ilcontadino lotta con il deserto, giornodopo giorno, anche quando l’attesa èsegnata dalla sfiducia e dall’impoten-za, perché solo così la vita resiste. Ilcontadino aspetta e rispetta i tempidella terra: le stagioni della semina,dei frutti e della raccolta… nella con-sapevolezza che la vita germoglia nelmistero, là dove affondano le radici edove occhio umano non può penetra-re. Nella nudità del deserto l’uomo ri-trova le sue origini, imparando ciòche veramente conta e fa vivere. Ri-scopre che solo Dio è Dio, solo Diorimane, mentre noi ce ne andiamo.Nel deserto l’uomo impara a cono-scere la sua nuda condizione di uomo,perché lì non semina e non raccoglie,non coltiva e non accumula tesori. Inquesta condizione di essenzialitàestrema, l’uomo impara a misurare lesperanze non sul compasso della sa-zietà, ma su quello dei bisogni fonda-mentali, che si chiamano pane damangiare, acqua da bere… In fondo èproprio qui che riscopriamo le nostreradici, perché l’Emmanuele, Dio-con-noi, mostra la misura del compimen-to, sulla via dell’oblazione.

Massimo Grilli

1. Z. Bauman, Modernità liquida, Bari 2011.2. J. Habermas, Theorie des kommunikativen

Handelns, Bd. 2, Frankfurt 1988, 2583. Un interessante racconto rabbinico com-

menta l’episodio della torre di Babele affer-mando che la torre aveva sette gradinate aoriente e sette ad occidente. Da una parte gliuomini salivano per portare i mattoni e dal-l’altra scendevano per andarli a caricare.Ora, se cadeva un uomo e moriva, nessuno lopiangeva, ma se cadeva un mattone, rompen-dosi, si levavano grida e lamenti: «è necessa-rio comprarne un altro! Quanto costerà? Co-me si provvederà?». Il Signore vide che gliuomini si preoccupavano più dei mattoni chedei loro fratelli; allora scese, li maledisse, e lidisperse sulla faccia della terra.

4. D. Bonhoeffer, Etica, Milano 1983, 62-65.

LITURGIA

Èpossibile partire da un patri-monio carismatico proprio,ormai rimosso dalla pratica

diffusa come il Sacro Cuore, e arri-vare a incrociare le domande eccle-siali più urgenti e le inquietudini cul-turali e civili più attuali? Si può igno-rare la propria ricchezza spirituale enon trasformare il desiderio di ag-giornamento in una rincorsa sempreinadeguata al mutare dei tempi edelle stagioni? Non è un azzardo ri-prendere anche solo il temine «de-vozione» per le ambiguità che essotrascina con sé? Sono le domandeche hanno accompagnato un singo-lare momento di riflessione e diesperienza comunitaria per la nostraprovincia religiosa dehoniana, nel-l’appuntamento annuale della setti-mana formativa (Albino, Bergamo,29 agosto – 2 settembre). Una tren-tina di confratelli hanno ripreso, inparte, i riferimenti spirituali dellapropria tradizione mettendoli allaprova della storia, delle immagini,delle esigenze pastorali contempora-nee. Con un esito che vale la penaraccontare.

In sintesi si potrebbe dire così. Lafondamentale riscoperta della Scrit-tura operata dal Vaticano II ha avu-to un significativo impatto non solonella liturgia e nella predicazione,ma, in particolare nella lectio divina.L’approccio orante al testo sacro ga-rantisce al meglio la sua fecondità eforza. La partecipazione attiva allaliturgia si è distesa in questi decenniper molti rivoli e tentativi, generosi,ma non sempre fecondi. L’insistenzasulla mistagogia, sul vivere personal-mente e comunitariamente il miste-ro celebrato, sul cogliere la sacra-mentalità dei gesti oltre le preghie-re e i testi costituisce la sfida per lenostre comunità. In parallelo la co-municazione della fede, ormai tra-montata la cristianità e preso attodella «morte di Dio» nella vita civi-le, richiede una fede che affianchi al-l’atto del credere i suoi affetti e isuoi sentimenti. In uno slogan: la lec-tio sta alla Bibbia come la liturgia al-la mistagogia, come la devozione al-la fede. Dopo secoli in cui il compi-to ecclesiale più urgente era quellodi rendere «credibile» il Dio della

VITA DEGLI ISTITUTI

Settimana formativa dehoniana

CUORE SACRONel contesto della crisi occidentale si può attingere confrutto alle tradizioni devote. Il caso del Sacro Cuore e

l’urgenza della misericordia. Come cambiano le immagini ei significati. Dal Dio credibile al Dio amabile.

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Testimoni 11/2016 23

nostra fede, oggi, i tumultuosi cam-biamenti della post-modernità im-pongono la domanda sull’«amabi-lità» di Dio, sulla sua misericordia inordine alle molte ferite e ai vissutispezzati che segnano la vita dei con-temporanei.

—Scarto storicoo archivio vitale?

Veniva ricordato un passaggio diKarl Rahner: «La sensazione di po-ter semplicemente lasciarsi alle spal-le questo passato della nostra Chie-sa (la devozione al Sacro Cuorendr.) come una formula vuota – co-sa che, data l’ignavia dei nostri cuo-ri, siamo sin troppo tentati di fare –non prova ancora che lo possiamofare lecitamente davanti a Dio e da-vanti alla nostra responsabilità per lacontinuità della storia della Chiesa.Una sensazione del genere dovrebbepiuttosto riempirci di paura; do-vremmo domandarci se un similestanco lasciarsi ricadere in una pri-mitività spirituale, che si richiama er-roneamente ai tempi antichi, allor-ché non esisteva alcune devozione alCuore di Gesù, non sia appuntoqualcosa che può e deve essere supe-rato con decisione e con speranza sulpiano spirituale. Dovremmo doman-darci se – qualora il passato non deb-ba diventare anche il nostro giudizio– a noi non sia riservata una nuovaconoscenza dell’essenza di questadevozione e un suo nuovo esercizio.Non tutto quello che oggi ci affasci-na come una plausibilità indiscutibi-le, e viene smerciato e compratodappertutto così, è sempre solo ciòche rende grandi davanti a Dio e peril futuro della Chiesa. Questo puòanche racchiudere tanti elementi pa-zientemente e faticosamente impa-rati» (Nuovi Saggi teologici, vol. X,Paoline, Milano 1986, pp. 408-409).

—La devozionee la storia

Il paradosso iniziale può essere indi-cato così: alla tradizionalità non in-novativa della dimensione simbolicae di immagine della devozione sicontrappone un aggiornamento effi-cace a livello eucologico e teologico-liturgico. Il patrimonio iconografico

VITA DEGLI ISTITUTI

delle nostre case religiose è ripetiti-vo della iniziale dimensione devotadi Gesù che mostra il suo cuore convariazioni successive in ordine allasua regalità (Cristo Re) e con unasostanziale estraneità alle ricercheartistiche e pittoriche di tutto il ‘900.Salvo poche eccezioni come una mo-stra nazionale sul Sacro Cuore del1965 e il ciclo musivo della cappelladi Capiago-Como (casa di ritiri e ac-coglienza) ad opera di M. Rupnik(A. Viola). Con la sorpresa di veder«figliare» le immagini tradizionali inquella di Gesù Misericordia, propo-sta dalla devozione di suor Kowal-ska. Viceversa, la teologia e l’espe-rienza spirituale che alimenta il librodi preghiera proprio (A gioia e glo-ria del Padre, prima ed. 1994; T. Be-nini) mostra sia nel corale percorsodi maturazione, sia nella sua struttu-ra e riferimenti teologici un legameassai efficace fra deposito carismati-co e orientamenti conciliari (anno li-turgico, dimensione biblica, consape-volezza teologica). Le preghiere so-no rivolte al Padre (in gran maggio-ranza, secondo l’indicazione liturgi-ca), e a Gesù, con una attenzione aidestinatari dell’orazione («Chiuderegli occhi di fronte al mondo rendeciechi anche di fronte a Dio», Bene-detto XVI) e all’identità dell’offe-rente, che coincide con il noi comu-nitario. Quale volto di Dio si accen-de nel nostro pregare? «Il volto delDio che dona se stesso e accoglie ildono che noi facciamo a Lui» (F.Duci).La devozione al Sacro Cuore è statouno dei vettori principali che ha fat-to connettere la fede con la dimen-sione storica nella modernità. L’esi-to della Gaudium et spes non sareb-be stato possibile senza la dimensio-ne «politica» del Sacro Cuore, anchese rappresenta un suo superamento.In larga parte di indirizzo intransi-gente e fortemente oppositiva alleconquiste della modernità laica, ladevozione non è stata priva di adat-tabilità e di innovazione quando ladimensione storica e i dati reali han-no imposto interpretazioni diverse(D. Menozzi). Come nella contrap-posizione fra il senso apocalittico(Donoso Cortes) e quello storico(De Maistre), nella tensione fra l’in-tento trionfale e non più solo devo-

to del Sacro Cuore proposto da p.Ramiére a vantaggio dell’ancien Ré-gime e l’apertura della devozione al-la democrazia e al superamento del-le classi sociali tradizionali propostoda p. L. Dehon; come nella diversadeclinazione operata da BenedettoXV a favore della pace e quella di p.A. Gemelli di sostegno alla guerra(1914-1918); come il cambiamentooperato da Pio XI per una devozio-ne da baluardo verso il laicismo a di-fesa contro l’idolatria dello stato to-talitario.

—Le immaginiparlano e chiedono

A traghettare il Sacro Cuore nelcuore sacro della contemporaneitàha provveduto G. Zanchi. La tradi-zione mistica spagnola e francesedella Riforma cattolica, il dibattitosull’«amore puro» tra Fénelon eBossuet introducono alla devozionee alle sue immagini che sopravvivo-no fino all’inizio del ‘900, con Char-les De Foucauld e George Rouault.Poi la dimensione simbolica del cuo-re esce dall’appartenenza religiosa e

Icomportamenti degli adolescenti, vo-

lutamente trasgressivi, sono finaliz-

zati ad abbattere la sofferenza causata

dalla sensazione di trovarsi davanti al

muro insormontabile di un presente che

non finisce mai e di un avvenire che non

si riesce a intravedere. Sono appelli a vi-

vere, ma anche appelli all’aiuto e al so-

stegno.

DAVID LE BRETON

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Testimoni 11/201624

devota per rivestire altri significa-ti come nella Pop Heart del «Cri-sto piacione» del film Dogma (Ke-vin Smith 1999) o nella religione diplastica di Pool e Marianela (Bue-nos Aires 2014), o nell’iconografiadei tatuaggi. Ma anche i grafittari(Street Art) usano il riferimento alcuore per denunciare la sclerocar-dia del rapporto civile contempo-raneo (Bansky) facendo forza sul-l’elemento simbolico e sacro delcuore, come succede per altri arti-sti contemporanei: Jeff Koons, JanFabre, Damienz Hirst. Si usa la ci-tazione del Sacro Cuore per indi-care i nuovi divi o per denunciarela trasformazione della scienza innuova religione. In particolare, perprendere distanze dal nuovo cultodel consumo e del commercio.L’immagine pubblicitaria, spesso raf-finatissima, fa del cuore e dell’amo-re il traino all’adesione all’idolatriadel possesso e dell’immagine.Se per l’Occidente l’immagine delSacro Cuore, la sua festa liturgica ela pratica popolare hanno trainato lariflessione teologica e magisteriale,per l’Oriente cristiano la rigidità dei

canonici estetici (icone), la teologiadelle immagini e la loro «sacramen-talità» hanno alimentato una atten-zione spirituale ed ecclesiale di gran-de rilievo in ordine al cuore. Nelledue tradizioni, occidentale e orienta-le, le immagini giocano un ruolo di-verso: l’icona si «scrive» (come laBibbia), l’immagine si dipinge; la pri-ma vincola il rapporto col mistero, laseconda facilita la preghiera (E. Fo-gliadini). L’una e l’altra vivono, a ti-tolo diverso, una distanza dai proces-si artistici contemporanei. Fra leconclusioni di un’ampia disanima F.Boespflug ha ricordato il tema delvolto e il ruolo dell’immagine. «Solociò che ha una figura può trasporta-re e immergere nell’estasi» (H. U.von Balthasar). Il rischio è la perdi-ta di leggibilità dell’arte da parte delpopolo cristiano. «Che lo si voglia ono, le immagini religiose sono spes-so investite del compito di rappre-sentare tutta la religione (pars prototo) e acquistano, nolens volens laqualità di emblema identitario». Ge-stire il sequestro del patrimonio fi-gurativo cristiano e la sua «de-pos-sessione» chiedono alla Chiesa e al-l’arte una nuova alleanza e un reci-proco rispetto.

—La preghieradel cuore

L’Oriente cristiano ha resistito alladittatura della ragione strumentale,alla presunzione egocentrica e narci-

sistica, al dominio tecnologico del-l’Occidente, aiutandoci a «risco-prire il cuore inteso come amplifi-cazione della ragione, comprensi-va di pura coscienza, ma anche discienza, arte, poesia, religione e co-noscenza simbolica» (N. Valenti-ni). Nella teologia come nella let-teratura, nella spiritualità comenella filosofia alcuni dei massimiesponenti del cristianesimo orien-tale hanno riproposto il cuore co-me fulcro dell’uomo e del creden-te. Fino a fare della preghiera delcuore l’orizzonte della sequela:«Quando pregate cercate di fare inmodo che la vostra preghiera escadal cuore. La preghiera autenticanon è altro che un sospiro del cuo-re verso Dio» (Teofane il recluso).L’originale resistenza della devo-

zione al Sacro Cuore rispetto alla ra-zionalizzazione della fede e al para-digma economicista riemerge oggialla confluenza fra la crisi della co-scienza occidentale, la dittatura deltecno-nichilismo e le nuove doman-de della fede espresse dal magisterodi papa Francesco, con la centralitàdella misericordia nell’immagine diDio e della religiosità popolareespressiva del sensus fidei. La spiri-tualità dehoniana, che ha ereditatola devozione al Sacro Cuore all’ini-zio del suo tramonto, conosce l’in-sufficienza della «domanda di sen-so» che ha segnato la civiltà europeae la pertinenza della «domanda diagape-amore» della dignità umanafragile e ferita. Non si tratta di ri-prendere le forme di una devozione,ma la sua sostanza teologica e spiri-tuale dentro le coordinate conciliari.«Questo patrimonio va oggi rimessoin circolo fra tutti, perché in grado diparlare agli uomini e alla donne delnostro tempo. Per un privilegio sto-rico, qui in Occidente, abbiamo po-tuto curarci della bontà e del senso.Oggi l’uomo torna a fare l’esperien-za sulla carne delle difficoltà e delleferite che segnano la vita. Occorredire una prossimità del Dio di Gesùall’umano ferito, segnato e sbaglia-to» (M. Neri). Quello che sembravaun patrimonio dismesso si rivela piùprezioso del previsto. Una ricchezzaper tutti.

Lorenzo Prezzi

VITA DEGLI ISTITUTI

Il volume ripropone per la prima volta

integralmente e senza interpolazioni la

prima edizione dell’opera di don Mazzo-

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L’introduzione ricostruisce il processo che

ha portato alla pubblicazione del libro

attraverso un quindicennio di riflessioni

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Una parola oggi a volte inattuabile eincomprensibile, ma carica di signifi-cati nel contesto del giubileo dellamisericordia e in quello ancora piùstraordinario per i francescani chericordano l’ottavo centenario delPerdono di Assisi e i trent’anni del-lo Spirito di Assisi. Per questa ragio-ne, come hanno spiegato gli organiz-zatori, la manifestazione ha intesoriempirsi «di molteplici significati,nell’intenzione di attualizzare il mes-saggio del Santo Patrono d’Italia e dideclinarlo grazie al contributo diuna cinquantina di relatori e attra-verso un centinaio di appuntamentitra spettacoli, workshop e attivitàper i più piccoli».

—Lo spirito francescanoin piazza

La prima edizione del festival fran-cescano risale al 2009, nata in occa-sione dell’Ottavo Centenario dellaRegola dell’Ordine Francescano.Venne organizzata dai Frati MinoriCappuccini dell’Emilia Romagna incollaborazione con l’Ordine France-scano Secolare e gli ordini religiosifemminili a loro vicini. Dal 2010 lamanifestazione si è allargata a tuttoil Movimento francescano dell’Emi-lia Romagna. Il successo del festivalfu così grande che la stampa ne parlòcon ampiezza definendolo come una“invasione pacifica” dei seguaci diFrancesco. Il festival ottenne pure ilPatrocinio del Movimento France-scano Nazionale. Fin dall’inizio vi fu la volontà discendere in piazza e nelle strade perportare il messaggio di san France-sco attraverso un linguaggio sempli-ce e immediato. La scelta della piaz-za non è casuale, perché «è il luogodell’incontro con tutti». «La gente ri-mane un po’ sorpresa nel vederetanti frati e suore insieme che giron-zolano nella piazza – commenta unfrancescano – ma proprio questo è ilmotivo principale: farci vedere nonsoltanto nelle nostre chiese, all’inter-no delle nostre mura, ma anche fuo-ri, sulle piazze e proporre qualcosadi significativo». La caratteristica di questi eventi èporre a tema alcune questioni cen-trali non solo per il mondo france-scano, ma anche per la società civile

Dal 23 al 25 settembre la cittàdi Bologna, nella splendidaPiazza Maggiore ha ospita-

to la VIII edizione del Festival Fran-cescano. Si tratta di un evento che siproponeva di portare san Francescoe il suo messaggio più vicini alla gen-te d’oggi. I risultati di questa manife-stazione sono stati molto lusinghieri.A tracciarne un bilancio è fra Gior-dano Ferri, direttore della manife-stazione: «Circa 50.000 le personeche in queste tre giornate hanno par-tecipato a conferenze, workshop,momenti di confronto e di preghie-ra, interrogandosi e riflettendo su untema non facile, quello del perdono,ma che si è rivelato di grande attua-lità e di forte interesse. Abbiamoavuto interventi importanti, donGiovanni Nicolini e Gian Carlo Ca-selli come anche Massimo Cacciari oAndrea Riccardi; abbiamo chiuso letre giornate con un intenso momen-to di preghiera interreligiosa, nel se-

gno della pace e dell’uguaglianza:tutti momenti molto partecipati chehanno arricchito il pubblico di nuo-vi “bagagli” da portare a casa».

—Spegnere le inimicizie

Già lo scorso anno si era scelto Piaz-za Maggiore di Bologna come sededella manifestazione, poiché proprioin questa piazza san Francesco pre-dicò nel 1222. Nelle fonti francesca-ne è riportata una illuminante rifles-sione di un testimone oculare con-temporaneo di Francesco: «France-sco non aveva stile di uno che predi-casse, ma di conversazione. In realtàtutta la sostanza delle sue parole, mi-rava a spegnere le inimicizie e a get-tare le fondamenta di nuovi patti dipace». In continuità con lo stile di san Fran-cesco, il tema di questa edizione haaffrontato la difficile questione delperdono: “Per forza o per perdono”.

PASTORALE

VIII edizione del Festival Francescano

LA SFIDADEL PERDONO

Circa 50.000 persone hanno partecipato al Festivalfrancescano svoltosi a Bologna. Il tema del perdono filoconduttore di questa edizione, nel contesto del giubileo

della misericordia, dell’VIII centenario del perdonod’Assisi, dei 30 anni dallo spirito di Assisi.

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Testimoni 11/201626

e la Chiesa. Così ad esempio, nel2012, in occasione dell’VIII centena-rio della consacrazione di Chiarad’Assisi, la manifestazione pose alcentro della sua riflessione il ruolodelle donne nella società, nell’eco-nomia, nella cultura, nelle professio-ni, nelle religioni, nella Chiesa. Nel-la edizione dell’anno successivo, in-vece, il Festival Francescano ricordòil passaggio di san Francesco in Ro-magna e la figura di un altro grandepredicatore: sant’Antonio di Pado-va. Il tema fu quello del cammino,reale e spirituale, personale e collet-tivo. E ancora: in occasione della ri-correnza del 150° dell’Unità d’Italia(2011) il festival approfondì la pre-senza di Francesco e dei valori fran-cescani nella storia italiana e negliitaliani. Per la qualità del program-ma, la manifestazione fu insignita diuna Medaglia di rappresentanza delPresidente della Repubblica GiorgioNapolitano. L’edizione dello scorsoanno ha toccato il tema legato al-l’Expo e all’enciclica di papa France-sco “Laudato si’.

—Il perdono strada maestradi rinnovamento

L’edizione di quest’anno non potevanon inserirsi nel giubileo della mise-ricordia. Ma la prospettiva scelta dalfestival è stata quella del perdono.Quanto sia attuale e difficile il temalo ha affermato papa Francesco nelsuo pellegrinaggio alla basilica diSanta Maria Maggiore presso la Por-ziuncola il 2 agosto scorso, in occa-sione dell’VIII centenario del perdo-no d’Assisi. Commentando la para-bola di Matteo in cui Gesù chiede di

PASTORALE

possibile proporre anche solo unabreve sintesi. Fra i numerosi inter-venti, una grande eco e un forte di-battito ha suscitato quello di mons.Matteo Zuppi, arcivescovo di Bolo-gna. Interagendo in forma di intervi-sta con il giornalista Lorenzo Fazzi-ni il vescovo ha risposto ad alcunedomande sul tema “Quando perdo-nare è difficile”.

—Il perdono liberadall’odio e dalla vendetta

Non è facile parlare di perdono inuna città come quella di Bologna at-traversata da ferite non ancora risa-nate: dagli eccidi di Monte Sole allastrage della stazione, da Ustica all’I-talicus. E mons. Zuppi ne è piena-mente consapevole. Le sue primeparole sono state di positivo atteg-giamento che provengono dalla fedein Gesù: “Nostro Signore non cichiede mai qualcosa che non possia-mo fare e ce lo chiede perché possia-mo vivere bene”.Il perdono è strettamente legato al-l’amore e alla giustizia, ma anche al-l’odio e al rancore: «Il rancore è una

perdonare “settanta voltesette” dice: «È difficile per-donare, quando costa a noiperdonare gli altri! Chegrande regalo ci ha fatto ilSignore insegnandoci a per-donare, o almeno la vogliadi perdonare. Quella delperdono è certamente lastrada maestra da seguireper raggiungere quel postoin Paradiso. Perché dovrem-mo perdonare una personache ci ha fatto del male?Perché noi per primi siamostati perdonati, e infinita-

mente di più. Come Dio perdonanoi, così anche noi dobbiamo perdo-nare chi ci fa del male. Precisamentecome nella preghiera che Gesù ci hainsegnato, il Padre Nostro, quandodiciamo: “‘Rimetti a noi i nostri de-biti come anche noi li rimettiamo ainostri debitori”. I debiti sono i nostripeccati davanti a Dio, e i nostri debi-tori sono quelli a cui anche noi dob-biamo perdonare. Pensiamo, in silen-zio, alle cose brutte che abbiamo fat-to e che il Signore ci ha perdonato. Èla carezza del perdono, tanto lonta-no da quel gesto: “me la pagherai!”.Il perdono è un’altra cosa». «In que-sto Anno Santo della Misericordia –ha concluso papa Francesco – diven-ta ancora più evidente come la stra-da del perdono possa davvero rinno-vare la Chiesa e il mondo».

—Il perdononecessario

Francesco d’Assisi – spiega fra Ales-sandro Caspoli presidente dell’even-to francescano – è stato l’uomo del-la riconciliazione, l’uomo che cerca-va sempre una via di mediazione, siacon i suoi frati sia con le persone».Ma anche oggi è necessario il perdo-no, «perché senza perdono non du-rano a lungo né le amicizie né le fa-miglie; di perdono hanno bisogno irapporti sociali, la politica e la stessaeconomia. Il perdono è l’unica ricet-ta capace di restituirci tutti, credentio no, a una vita che possa dirsi uma-na. In questo sta l’urgenza di parlaredi perdono, oggi». Il tema è stato affrontato da varieangolature (dal punto di vista psico-logico, storico e sociale) di cui è im-

«Serve un nuovo umanesimo me-

diterraneo alternativo alla disu-

manità mafiosa». La Chiesa ha iniziato

ad affrontare il problema delle mafie

solo negli anni delle stragi e degli omi-

cidi eccellenti. Tuttavia, è mancato un

lessico specifico, ricco delle parole del

vangelo e della tradizione cristiana.

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Contro i ladridi speranza

Come la Chiesaresiste alle mafie

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Testimoni 11/2016 27

delle malattie spirituali che coltivia-mo con cura. Molte volte conservia-mo l’odio solo per orgoglio. Pensia-mo addirittura che il male dentro dinoi possa essere inerte. Ma non puòesserlo perché il male non sta fermo:ci avvelena, ci rovina. Pensiamo er-roneamente che il perdono sembriun tradimento rispetto al torto subi-to e alla sofferenza delle persone chenon ci sono più. Perdonare può sem-brare un’ingiustizia aggiunta all’in-giustizia». Naturalmente vi è unostretto rapporto tra perdono e giusti-zia: «Il perdono non vuol dire can-cellare la giustizia. Il perdono vuolela giustizia e libera dall’odio e dallavendetta». «Cercare la giustizia – hacontinuato mons. Zuppi – vuol direnon dimenticare. Sarebbe terribiledimenticare le sofferenze di quellapersona o quello che ha subito. Do-vremmo essere tutti parenti dellevittime».

—Senza perdononon c’è pace

Le parole dell’arcivescovo di Bolo-gna provengono dalla esperienza di-retta con l’orrore e la tragedia di di-versi popoli. Dalla sua diretta operadi mediatore per la pace in Mozam-bico nasce la convinzione che il per-dono è la premessa della pace «lapace può nascere solo dal perdono.In Mozambico l’amnistia è stata vis-suta come perdono per poter rico-minciare. Molte volte la pace addor-menta la giustizia e se non c’è il per-dono ricomincia l’odio. Dobbiamoreimparare a vivere insieme. Altri-menti siamo condannati a ripetere ilmale perché c’è una memoria dell’o-dio che si trasmette per generazioni.Ci vuole capacità di ritrovare nell’al-tro il mio fratello e il mio prossimo.Per cancellare il male». Una volta conclusa l’edizione del2016, i francescani hanno già apertoil cantiere per il prossimo anno. È lostesso fra Giordano Ferri che antici-pa il tema: «Il prossimo anno saremodi nuovo qui e speriamo di fare an-cora meglio, con un tema molto di-verso da quello di questa edizione,ma altrettanto insidioso, ovvero “IlFuturo”».

Sergio Rotasperti

San Benedetto, nella Regola,scrive a proposito di quantibussano alle porte del mona-

stero per poter essere accolti: “Inprimo luogo bisogna accertarsi se ilnovizio cerca veramente Dio” (58,7).È una norma di grande sapienza cheha conservato e conserva tuttora lasua piena validità. Applicandola ai nostri giorni, possia-mo affermare che i giovani che oggidesiderano entrare nella vita religio-sa cercano davvero in primo luogo ilSignore? Dalle inchieste effettuatein varie parti e in ambienti diversi, larisposta è “sì”. Risulta infatti che igiovani del nostro tempo non chie-dono di entrare in un Istituto per leopere che svolge ma per vivere unaforte esperienza di Dio e di radicalesequela di Cristo, di preghiera e divita fraterna, da cui deriva poi un ge-neroso servizio a favore dei poveri. Fra le tante testimonianze che loconfermano, vogliamo qui raccoglie-re quella narrata nella rivista dei re-

ligiosi del Cile, Testimonio (maggiogiugno 2016), da Carlos Julio Bar-ragán M., maestro dei novizi nel no-viziato latinoamericano marianista,in un numero completamente dedi-cato allo juniorato.1 Egli racconta ciòche afferma di avere ascoltato du-rante la riunione di un gruppo di unaventina di juniores del suo Istituto,provenienti dal Cile, Brasile, Messi-co, Perù e Colombia, che ha avutoluogo a Bogotà, dal 2 al 19 gennaiodi quest’anno, sul tema Giovani incammino, testimoni di misericordia.Lo scopo di quell’incontro, scrive,era «di conoscere, amare e servire ilnostro carisma e rinnovare la nostravocazione e sequela di Cristo» e divivere «un’esperienza spiritualeprofonda in un luogo di periferia».

—Un grande desideriodi rinnovamento

Il primo aspetto che ha colto ascol-tando i giovani è stato il loro grande

FORMAZIONE

Incontro di juniores marianisti a Bogotà

COSA CERCANOI GIOVANI RELIGIOSI?

I giovani che abbracciano oggi la vita religiosa non entranoper le opere e le attività che gli istituti svolgono, ma per

vivere una forte esperienza di Dio e di radicale sequela diCristo, di preghiera e di vita fraterna, da cui deriva un

generoso servizio a favore dei poveri.

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desiderio di rinnovare e ossigenarela vita religiosa dell’America latina;di fare delle comunità dei luoghi teo-logici di accoglienza, di condivisione,dove vivere i voti e incoraggiarsi avicenda nell’essere più radicali se-condo lo stile di Gesù, e fedeli e fe-condi nella loro vita religiosa.In questo cammino alcuni dicono diincontrare, a volte, degli ostacoli,delle barriere e molte paure nei lorofratelli maggiori che li bloccano enon permettono di essere felici e fe-condi. Per questa ragione desidera-no rivestire di nuovi significati mol-te cose, alleggerire le strutture ederogare ossigeno alle comunità.Nello stesso tempo, affermano diapprezzare grandemente il contri-buto e la testimonianza di questi fra-telli maggiori che hanno aperto deicammini nella vita religiosa. Ammi-rano la loro fedeltà, la costanza e te-nacia, la vita di preghiera, l’auste-rità, la loro testimonianza quotidia-na, ecc. Tutto ciò li stimola a impara-re da loro e ad adeguare tutta que-sta ricchezza ai tempi nuovi del con-tinente latinoamericano e di tutta laChiesa.

Manifestano, inoltre, un grande desi-derio di agire come famiglia cari-smatica, assieme agli altri rami dell’i-stituto, di fare squadra, di unire leforze, di non lavorare disuniti e di-sarticolati e di cercare nuove stradedi integrazione. Pensano che la si-nergia e l’unione costituiscano unfattore vitale per affrontare le nuovesfide del mondo moderno e dellarealtà internazionale della congrega-zione. Nei loro cuori avvertono tuttauna ricchezza che desiderano condi-videre e proporre alle generazionipiù adulte. Un altro tema da essi molto sentitoè l’urgente necessità di utilizzare perl’evangelizzazione e la comunicazio-ne con i fratelli più lontani i nuovimezzi della tecnologia digitale. Tuttociò senza perdere di vista i più vici-ni, i fratelli della comunità locale. Trai giovani sta fortemente emergendouna nuova cultura digitale che impli-ca una nuova antropologia per lenuove generazioni, per sentirsi sem-pre più collegate con il mondo.

—Un grande desideriodi conoscere

Un secondo aspetto emerso nell’in-contro è il profondo desiderio di co-noscere meglio Gesù, Maria, la Chie-sa, i poveri, la congregazione. I gio-vani chiedono una formazione intel-lettuale solida e hanno una grandesete di maggiori conoscenze.La grande sfida che si pone loro stanel saper integrare i processi umani,spirituali, carismatici, pastorali e ac-cademici. A questo scopo, ritengononecessario che ogni junior sia il pri-mo responsabile e artefice della pro-pria formazione, con la guida di unmaestro che la orienti e sia un com-pagno del loro cammino. Ma come riuscire a pregare senzastancarsi, leggere, studiare, fare mis-sione, lavorare, riposare... armoniz-zando tutti questi aspetti? Alcunihanno espresso il timore di un certostress, ma sentono anche l’entusia-smo di assumere la sfida in questatappa della loro vita.Molto importanti in questa tappadello juniorato sono ritenuti gli stu-di religiosi e spirituali basati su soli-di fondamenti teologici. In questodesiderio di conoscere, sentono il bi-

sogno della testimonianza di fratellie di persone che siano “più dei testi-moni che dei sapienti”, degli accom-pagnatori capaci di vibrare in sinto-nia con la vita, gli ideali e speranze ,i problemi e le incoerenze, i progettidei loro formandi... e testimoninocon la vita ciò che insegnano e pro-pongono.Inoltre, di fronte alla globalizzazionee internazionalizzazione delle no-stre congregazioni, è avvertita la ne-cessità di conoscere una seconda lin-gua e di impararla preferibilmentenel paese dove questa si parla, viven-do assieme ad altri fratelli della stes-sa congregazione che li accolgano eaccompagnino in questo processo.

—Un grande desideriodi amare

Un terzo aspetto sottolineato duran-te la riunione – scrive p. Barragán –è il grande desiderio che ciascun gio-vane ha di amare in pienezza Gesù edi appassionarsi sempre più al suoprogetto di Regno; di amare i pove-ri, amare il proprio lavoro, la loroopzione di vita e chiamata, di amareil loro carisma congregazionale.La mancanza di questo amore in cer-ti momenti della loro vita di comu-nità e, a volte, l’assenza di gesti eopere di un amore concreto verso ipoveri, suscita in loro la nostalgia diqualcosa di nuovo, di diverso. Chie-dono maggiore radicalismo nella se-quela di Gesù, con gesti concreti,non con le parole ma con i fatti.È emerso con molta evidenza ancheil desiderio di essere più mistici eprofetici, persone che con lo sguardodi Dio nel cuore sappiano riconosce-re il nuovo che sta nascendo nellaChiesa, nel mondo, nelle semplicirealtà di tutti i giorni e nella gran-dezza delle piccole cose. Infine, chie-dono testimonianza e coerenza di vi-ta per la propria vita e quella deglialtri...In un mondo sempre più scetticoverso le istituzioni e che ha perso lafiducia nel valore della parola, sento-no la necessità di far trasparire daifatti di ogni giorno un nuovo mododi vivere e di abitare. Apprezzano unvita religiosa semplice, gioiosa, acco-gliente, meno “funzionale” e più fra-terna, dove ognuno sia il benvenuto.

FORMAZIONE

«Quand’ero protestante, la mia vita

era tranquilla e la mia preghiera

infelice; da quando sono cattolico, la mia

vita è infelice e la mia preghiera tran-

quilla». Il diario di Newman (1801-1890)

è composto di pagine scarne, paragonabi-

li a certe riflessioni di sant’Agostino.

JOHN HENRY NEWMAN

Diariointimo

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Non più facce scure e tristi, ma voltiluminosi come riflesso dell’amore edella misericordia di Dio.È urgente, hanno sottolineato anco-ra, vivere una vita religiosa che par-li di Dio e della nostra fiducia in lui,in maniera semplice, trasparente,schietta e onesta anche nei più pic-coli dettagli e nell’uso del denaro edelle risorse. Nessuno è padrone as-soluto dell’opera in cui svolge la suamissione. Siamo inviati – hanno det-to – non padroni, siamo amministra-tori di qualcosa che è comune e ap-partiene a Dio e dove i poveri devo-no essere i suoi beneficiari più predi-letti.

—Un grande desideriodi servire

Forse uno degli aspetti che rendonoragione della donazione della pro-pria vita in un giovane junior consi-ste nell’avere un perché e un per chivivere.Senza dubbio, Gesù sta ritrovando lacentralità che andava scomparendoin altri tempi. I giovani voglionosvolgere la propria parte nel recupe-rare il progetto di Gesù; voglionoche la missione sia un servizio ai piùpoveri e pertanto sentono la neces-sità di aprire un maggior numero dicampi di missione in mezzo ad essi.Si nota in loro anche una grandesensibilità per il volontariato, la curadel creato, l’ecologia, le specie inestinzione.... In questi campi, è stato

FORMAZIONE

detto, dobbiamo essere presenti eimpegnare tutte le forze per portareil messaggio del Vangelo e la testi-monianza della Chiesa e della con-gregazione.Anche altri settori come i campi esti-vi e invernali, le missioni, le colonie,le campagne a favore delle personebisognose o l’impegno in momenti dicalamità costituiscono un mezzo ef-ficace per esprimere in maniera con-creta la solidarietà e sono ritenuteun modo molto attraente e credibileper i giovani di essere cristiani. Lostesso, hanno sottolineato, si deve di-re per la presenza nelle periferie fi-siche ed esistenziali, nel mondo del-lo sport, nei gruppi giovanili, gliscouts ecc., tutti ambiti che costitui-scono i nuovi scenari in cui la vitagrida e dove la nostra presenza è ur-gente e vitale...La maggior parte dei giovani inoltreha ribadito che vogliono vivere così,in maniera semplice tra, con e per ipoveri, nel servizio quotidiano, e ac-compagnare i processi di liberazio-ne. Ricercano inoltre una vita frater-na in comunità più aperte alla gente;non vogliono né muri né muraglienelle loro case, e auspicano una vitaquotidiana più ariosa e meno strut-turata, più gioiosa, più fedele a Gesùe più radicale.Senza dubbio – sottolinea p. Bar-ragán, – la missione e la vicinanza aipoveri, in questo periodo di forma-zione, nonostante il poco tempo cherimane per gli studi accademici e le

occupazioni proprie della loro con-dizione di juniores, è vitale e lasceràin essi un’impronta per tutta la vita.È importante conoscere le personepiù bisognose dell’ambiente circo-stante, le loro storie, i loro nomi evolti facendo in modo che le elabo-razioni intellettuali più elevate e raf-finate si traducano in azioni concre-te di solidarietà, cominciando daquelli di casa. In altre parole: unirefede e vita.

—Un grande desideriodi celebrare

Non posso, infine, dimenticare – con-clude p. Barragán – un altro aspettofondamentale: celebrare. Si celebra-no i compleanni, i titoli di studio, loscopo di un’opera... ma ci si dimenti-ca di celebrare la vita, l’incontrogioioso con il Signore nella liturgia.La vita liturgica quotidiana in alcunicasi, anche se non sempre, sembraloro un modo molto “sciatto” e rigi-do di celebrare la fede perché si ba-da più alla forma che alla sostanza, siguarda ai particolari e si perde di vi-sta la celebrazione gioiosa dell’in-contro con il Signore....Secondo i nostri juniores bisognaaprire spazi per un nuovo modo divivere la liturgia. Non si tratta dibuttare via tutto ciò che si faceva inpassato, ma di trovare delle moda-lità che sappiano unire l’antico e ilnuovo...Si auspicano infine esperienze spiri-tuali nuove e più creative di preghie-ra (più che ripetere preghiere),unendo sempre fede e vita, metten-do sempre Gesù al centro. In altreparole, celebrazioni liturgiche piùgioiose, ariose, giovanili e semplici.Questo è quanto p. Barragán scrivedi aver sentito nell’incontro con igiovani marianisti dell’America La-tina e si augura che tutto ciò servaper ringraziare il Signore per la vo-cazione ricevuta e i formandi stessiche aiutano anche noi ogni giorno aformarci. Tutti siamo infatti in cam-mino.

A.D.

1. “lo que oí en un encuentro de una veintenade juniores marianistas de America Latina”,in Testimonio maggio-giugno 2016

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Testimoni 11/201630

gno di fare casa con tutti e di abita-re in ognuno e di sentirsi abitato. Iltestamento di don Lorenzo Milani ètutto mio: “Caro Michele, caro Fran-cuccio, cari ragazzi... Ho voluto piùbene a voi che a Dio, ma ho speran-za che lui non stia attento a questesottigliezze...”Con loro e attraverso loro ho rivissu-to la riconciliazione, il perdono el’incontro con il mistero della morte,anche con quelli che si sono tolti lavita; un’affermazione tremenda del-la vita stessa. Devo tutto a loro.Oggi continuo a dividere questa av-ventura con adolescenti di ventiset-te paesi del mondo, con musulmani,con non praticanti, con difficilmentecredenti.La vita di prete è diventata ancorapiù essenziale, è scesa nei sotterraneidell’umanità dove tutti abbiamo leradici ma non ancora le parole perrivelarcele.I segni sono così poveri e quotidianida tradursi solo nel resistere controil male, nel cercare insieme parole si-lenziose che nutrano. Guardo negliocchi queste nuove generazioni sog-gette al trasmigrare da altri mondi,che si misurano con difficoltà tre-mende, con fatiche, solitudini e ab-bandoni, e penso al passaggio di gra-zia tra Dio e loro, tra tutti noi insie-me, tra noi e Dio, per riconoscerlonei momenti difficili dove il dono re-ciproco si esprime nella testarda pre-senza fatta di fiducia, di sensibilitàalla condivisione, di intelligenza del-lo sguardo, di umiltà della ricerca, didesiderio di un bene.

—Essere creatura

Sperimentiamo la vulnerabilità diun Dio che si è fatto carne umana. Iosono in bilico a raccogliere il mio es-sere prete che confessa “E se Dionon mi aiuterà più, allora sarò io adaiutare Dio’ (Etty Hillesum). “Sututta la superficie terrestre si staestendendo piano piano un unicogrande campo di prigionia e non cisarà quasi più nessuno che potrà ri-manerne fuori. È una fase che dob-biamo attraversare”.Sento di essere nell’ultima stagionedella vita. Ho sempre più vivo den-tro di me il frammento del salmo 37(36): “Sta’ in silenzio davanti a Dio e

Per trentacinque anni continuiho condiviso la vita con giova-ni con problemi di droga, di

prostituzione, di difficoltà relaziona-li, abitando e lavorando con loro, as-sistendoli nel momento della parten-za, riconciliandoci con il passato,aprendo sogni e desideri sul futuro.Le loro vite sono entrate prepoten-temente nella mia; la mia umanità siè dilatata fino a diventare familiaredi ognuno di loro. Mi hanno fattopassare da un sacerdozio creduto,amato e costruito secondo canonidelle spiritualità istituzionali a unprocesso che mi ha tolto tutto e miha costretto ad una rialfabetizzazio-ne, giorno dopo giorno.Il lavoro e l’economia, la tavola e ilservizio, la morte e la vita, la fecon-dità e la tristezza hanno ritessutotutta la mia vita. Mi sono ritrovatosempre “fuori posto” secondo glischemi offerti, sempre al confine. Misono impegnato a non fare del con-fine un luogo omologato ma unospazio di frontiera, di passaggio, di

incontro, di riconoscimento. Ho im-parato a leggere i piccoli passi e iframmenti di eucaristia (raccoglietegli avanzi come ha chiesto Gesù) nelservizio di donne affaccendate attor-no a tavole frequentate da figurenon pratiche di culto; tavole dellagioia e della speranza, della festa perun figlio che ritorna, spesso silenzio-se per l’attesa di chi se ne è andato.Ho pensato, come Etty Hillesum,che l’unica cosa che potevo fare eraquella di offrirmi come “campo dibattaglia” dove i problemi degli ami-ci potessero trovare ospitalità e nonpre-giudizio, un luogo fecondo dovele loro battaglie potessero placarsi;ho offerto il mio spazio interiore,senza sfuggire, sperimentando unpercorso di grazia.

—Fare casa

Se penso al mio sacerdozio lo sentoaperto all’amicizia con gli uomini;questa amicizia ha aperto la porta al-la giusta relazione con Dio, al suo so-

PROFILI E TESTIMONI

Per il servizio degli uomini

DIVENTAREPRETE

Nel “ricordo” della mia ordinazione sacerdotale, avvenutaa Roma il 24 settembre del 1966, avevo scritto: “prete per

il servizio degli uomini”. Non immaginavo quello che lavita mi avrebbe offerto.

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Testimoni 11/2016 31

spera in lui’ Il gesuita Pio Parisi di-ce che questo è “il versetto conmaggior carica rivoluzionaria cheesista’ Sto provando a capire que-sta carica; quello che ho afferratoè il legame con la mia creaturalità,sperimentata come unico spazio didialogo e di relazione. Mi pongofrequentemente le domande: “chisto diventando attraverso le tantecose vissute?” e “che cosa ci sonostato a fare al mondo?” La rispo-sta dice di una ricerca di senso at-traverso l’esperienza del limite,della vulnerabilità.La domanda di autorealizzazione“chi sono?” da molto tempo è sta-ta sostituita da “cosa devo fare?” Ri-spondere all’imperativo “tu devi” fariscoprire qualche frammento sul chisono. È radicata in me la coscienzadi essere in “debito con tutti”. Daquesta condizione di creatura, che sisente carica del male, prorompe ilgrido, inizio della salvezza, perchéDio ascolta il grido degli oppressi,come documenta la Bibbia.

—La passione per Dioe per gli uomini

La passione per l’umanità mi fa spe-rimentare un’appartenenza alla radi-ce da permettere di superare i confi-ni delle culture e delle diversità. Miriscopro a contemplare l’umanità nelsuo quotidiano, nelle storie di fatichee di gioia; mi sento di poter fare ca-sa con tutti, parte di uno stesso po-polo. Questo riconoscimento sottoli-nea la vicinanza con gli altri oltre-passando le differenze. Il compitoche sento più profondamente mio inquesto tempo è quello di aiutare Dioa mettersi fuori dal recinto delle ap-partenenze.Le religioni, come la vita di ognunodi noi, falliscono quando pensano diavere in mano il libretto di istruzio-ni per conquistare Dio e il divino osemplicemente l’altro che è di fron-te a noi. La conquista di Dio, dellasua protezione o lo scambio contrat-tuale con lui per avere un ricambioprotettivo non ha nulla di religioso,tanto meno della sorpresa del Dio diGesù Cristo. Spesso è un contrattosottilmente mafioso, che si esprimenel potere sull’altro. Conquistare, lousiamo nel linguaggio delle relazio-

PROFILI E TESTIMONI

ni umane, è fare dell’altro l’oggettoper un nostro possesso.L’elemento che sento prioritario inme è quello di lasciarmi sorprenderedall’altro, da Dio, misterioso pelle-grino o mendicante della nostraumanità.Questa chiave esistenziale è la fontedalla quale esce l’acqua che disseta ilcuore, ci porta nella magia della no-stalgia e ci svela il più profondo emisterioso di noi.

—Spiritualitàe politica

Nello stare in silenzio di fronte a Diosento accentuata la solitudine e la fa-tica di rinnovare uno sguardo collet-tivo che coniughi spiritualità e poli-tica; sento che la vita si deve rigene-rare in una condizione di ascolto“autorevole”, cioè fondante. Per es-sere adulti, sia come persone che co-me associazioni, dobbiamo maturarela capacità di interrogarci, di lasciar-ci interrogare e di offrire risposte.Dove sono ora. Ritorno per un mo-mento al tema del silenzio e del tem-po che sto vivendo; definisco la miaposizione come quella di chi c’è per-ché gli altri possano esserci e fare. Misono chiesto quale sia la vitalità diquesto momento, cioè quale sia lacapacità di essere custodi del passa-to e generatori del futuro; pensoquando sappiamo far abitare la vitanell’anima e nel corpo e ci lasciamotoccare dalla vulnerabilità collettiva(abbiamo la vocazione di guaritoricon la coscienza e la sofferenza del-le proprie ferite), e al tempo stessosappiamo attingere al pozzo della

bellezza e dell’attesa.Penso allora che la mia missioneeducativa (di trasmettere quantoho ricevuto) e pedagogica, siaquella di rintracciare tra le pieghedelle fatiche della gente – le tantepersone che incontro – le “traccedi una fede elementare”, quellache Gesù dichiarava nelle personeche chiedevano aiuto: “Donna, latua fede ti ha salvata” (Mc 5,34).

—Personae/o ruolo

Dentro questo processo mi è capi-tato di essere eletto superiore pro-

vinciale del mio Istituto, quindi hoanche sperimentato la responsabilitàdi gestione e il ruolo di autorità. Civuole sempre molta simpatica autoi-ronia per pensare che non si vieneeletti per meriti e competenze (unsaggio confratello alla notizia dellamia elezione ha esclamato: mai ca-duti così in basso!).Un maestro di teologia oltre che divita, Carlo Molari, mi ha offerto gliindicatori per vivere questo rappor-to tra ruolo e persona nella logica

«Io amo la scuola, l’ho amata da alun-

no, da studente e da insegnante. E

poi da vescovo». Occasione di «apertura

alla realtà», luogo d’incontro e non par-

cheggio, tappa fondamentale nell’età

della crescita «come complemento alla

famiglia», la scuola deve educare «al

vero, al bene e al bello».

PAPA FRANCESCO

La scuolaInterventi, discorsi, omelie

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evangelica richiamandosi al compi-mento della nostra vita.Cosa ci chiederà la morte?• di aver consolidato la propria iden-tità al punto da sapere abitare il pro-prio nome senza dover ricorrere a ri-ferimenti esteriori;• di aver imparato ad amare in mo-do autentico, così da interiorizzaregli altri senza possederli;• di aver saputo donarsi interamen-te senza rimpianti in modo oblativo;• di aver acquisito un distacco taledalle cose da saper partire senzaportare nulla con sé;• infine di avere imparato a fidarsicosì della vita da saperla perdere perritrovarla.(Carlo Molari, La vita del credente,LDC, Torino 1996)La conclusione l’ho tradotta per mein “abitare il proprio nome” e non lacarica che si ricopre.

—Essere salee lievito

Per contaminazione si vive, o comedice Martini, per fermentazione sicresce e ci si trasforma.

Il ruolo personale, delle comunità, diun istituto non è legato tanto alleproprie definizioni ma alla crescita esviluppo della coscienza collettivache si interroga su cosa ci stiamo afare in un territorio; forse solo a farcrescere amicizia, come ci ha conse-gnato una sera padre Gilles, il parro-co del monastero di Tibhirine, dicen-doci il senso profondo della piccolis-sima chiesa cattolica algerina: amici-zia come fine e non come mezzo.Chi stiamo diventando abitando evivendo in questo contesto, in questotempo, in queste difficoltà? Forse al-lora più che avere una grammatica ouna regola bisogna diventare noigrammatica e regola, misura per iltempo che si vive.Se siamo sale o lievito il nostro desti-no vocazionale è quello di scompari-re. La funzione del sale è dare sapo-re, quella del lievito far fermentare:non importa molto (e non lo si è fat-to per millenni) descrivere la lorospecifica identità (chimica), interessail compito che svolgono, la parabolache disegnano mescolandosi e dis-solvendosi in altro. Quel che conta èla funzione svolta, nella logica delgettarsi e scomparire.Quando diventiamo parabole saran-no i contesti in cui si opera a ricono-scere e descrivere, non l’identità, mail preciso ruolo svolto.Come istituti o piccole realtà do-vremmo preoccuparci di far fermen-tare i tempi che viviamo, di insapori-re il quotidiano di molti e non preoc-cuparci della nostra perfetta defini-zione. Solo “dopo”, quando l’eventoci ha preceduto e lì ci siamo giocaticome parabole, ci sarà dato di intra-vedere un contorno di identità, solo

di spalle e in controluce (Es. 33,18-23), perché lo sguardo faccia a facciacon l’identità ci abbaglia, lo confon-diamo con lo splendore - che invecedà giusta luce alle persone e alle co-se - e non vediamo nient’altro.

—Compagni di vita

La mia generazione che frequentavale aule universitarie durante il Con-cilio sta ritrovando in questi ultimitre anni le connessioni con quantoavevamo ascoltato incantati da Gio-vanni XXIII: “i poveri’. Abbiamovissuto cinquant’anni spesso al buio,testardamente aggrappati alla fidu-cia, sempre con la richiesta a dover-ci dichiarare di fronte alle scelte cheandavamo compiendo; spesso siamostati vissuti con sospetto. Ora nelraccogliere i giorni della fatica siamoinondati da una grande pace e dauna grande speranza; siamo in untempo inedito ma di questo tempoconosciamo la fragilità, la durezza eil desiderio; una “stupenda e dram-matica scena temporale e terrena”come ha scritto nel suo testamentoPaolo VI. Nessuno di noi osava spe-rare il tempo che stiamo vivendo og-gi con Papa Francesco.La venuta di Papa Francesco ha per-messo al nostro fiume carsico dirompere la crosta delle strutture e difar uscire la polla d’acqua. Acquaper la sete del popolo che si è senti-to riconosciuto come soggetto, cometerminale della Parola e della spiri-tualità della re-esistenza.Il travaglio delle nostre vite ha tro-vato una dichiarazione di riconosci-mento; le parole che ascoltiamo cisono familiari perché masticate nel-

PROFILI E TESTIMONI

Dalla situazione attuale della Chiesa

viene una particolare spinta a rimet-

tere a fuoco il tema del magistero. Dopo

l’avvento al papato di Jorge Mario Ber-

goglio si sono mosse le acque. In qual-

che misura si rivive il clima di dibattito

del concilio Vaticano II.

SEVERINO DIANICH

Magisteroin movimento

Il caso papa Francesco

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Testimoni 11/2016 33

lo scorrere dei giorni divisi con il po-polo; un linguaggio che sta diventan-do ecclesiale perché nasce dal cuoredella gente.In questi quarant’anni ci sono stateprofezie dette da donne e uomini,ma soprattutto da piccoli collettivi dipersone che nelle varie esperienzehanno anticipato pensieri e prassi;hanno aperto una tradizione e unmagistero, “quello di restare”... di la-sciarsi sciogliere come il sale primadi dare sapore di vita.

—Lo stile con il qualevivere l’oggi

Lo stile lo ha proposto ancora PapaFrancesco quando, scrivendo sulleomelie, ha detto che dobbiamo con-templare la Parola e il popolo. Il po-polo viene salutato, abbracciato, so-stenuto, riconosciuto come presenzae fonte evangelica. Gli si augura ilbuongiorno e la buona sera, il buonpranzo; un’accoglienza cordiale enormale. Lo stile nasce da una vitacontemplativa e creativa attraversola quale incontriamo gli impoveriti eil popolo, sapendo guardare, ascolta-re e rispondere impegnativamente.Matura così uno sguardo critico che“analizza” le cause e le conseguenze,si lascia coinvolgere (toccare) dallavita della gente, e “interrogare” dal-la realtà. È un ascolto attivo ed em-patico; un “ascolto mite”. Cito unpensiero di Martini che è stato il pa-dre che ha nutrito il mio/nostro cam-mino: “Credo che la Chiesa debbafarsi comprendere, innanzituttoascoltando la gente, le sue sofferen-ze, le sue necessità, i problemi, la-sciando che le parole rimbalzino nelcuore, lasciando che queste sofferen-ze della gente risuonino nelle nostreparole” (dalle dichiarazioni del car-dinale Carlo Maria Martini, riferiteall’omelia tenuta a Betlemme il15.3.07).

—Il rapportocon la Parola

La mia famiglia clarettiana ha cosìsintetizzato il riferimento alla Parola.Testimoni profetici attraversati daun amore che convoca e mobilita conpassione e coraggio per il Regno; cheincide per uno stile di vita nella fra-

ternità, semplicità e sobrietà.La missione è di Dio, noi siamo i ser-vitori e mediatori della sua missione.Questo esige un discepolato intelli-gente della sua Parola alla quale de-dichiamo la vita. Una Parola che de-ve essere accolta e abitata dal silen-zio; questo ci permette di sentire ledimensioni più profonde della storiadegli altri, della nostra storia.

—Il processocome criterio

Il criterio dei processi e non tantoquello dei luoghi o delle iniziative èquanto abbiamo imparato a vivereassieme alla necessità di uscire sem-pre più dall’autoreferenzialità pergiocare un intreccio a rete delle va-rie esperienze, comprese quelle diuna economia che abbia conto deipoveri.È vitale l’affido reciproco, espressio-ne di una fiducia che ci viene dona-ta e per la quale stiamo in piedi, percostruire una rete che promuovauna fermentazione personale e col-lettiva.Il verbo “fermentarsi” è un verbo ag-gressivo, di contagio, di tramutazio-ni, di perdita e di spaesamento; ri-chiede il riconoscersi e l’entrare ingioco di due soggetti che si “tocca-no” e ne accettano il rischio.Sottolineo che possiamo essere duesoggetti stranieri gli uni agli altri,chiamati a superare le barriere del-le paure per vivere rapporti di cono-scenza, di curiosità, di interesse reci-proco per arrivare a una possibileamicizia che è strada verso la frater-nità.Credo che questo sia la questionepiù seria del nostro tempo: renderciconto che siamo chiamati a entrarein un processo di cambiamento, dalsingolo, alla rete, all’umanità.

—Cambiareè ritmo difficile

Il cammino della nostra libertà si ènutrito della sapienza e del saporedelle persone incontrate. Siamo cre-sciuti assieme agli altri, ma ci è statochiesto di perdere qualcosa di noi, eche non abbiamo timore di sprecare,in tempi di crisi, il meglio di noi peroffrire sementi per il futuro.

La notte imminente ci chiede di vigi-lare, vegliare; non tanto per la pauradel male dal quale difenderci ma perl’arrivo del Signore, che ci sorpren-derà con la sua abbondanza di vita.

Care amiche e amici che leggete: unsaluto e un augurio per la vostra vi-ta personale e per quella delle perso-ne con le quali vivete.Grazie per la vostra amicizia e per lafiducia con la quale avete sostenutoil mio servizio e mi avete rivelatocon la vostra vicinanza l’amore diDio. Grazie alla mia famiglia missio-naria, i clarettiani, che hanno accom-pagnato tutta la mia vita, per il donodella Parola e della fraternità. Gra-zie alle donne e uomini che nell’e-sperienza di via Gaggio, del CNCA,dei vari servizi svolti negli anni han-no segnato i miei passi. Grazie al pic-colo nucleo della mia famiglia: i mieigenitori che mi hanno trasmesso laserietà e la fatica di vivere, la fiducianegli altri che ho diviso con mia so-rella e le sue figlie e con quanti hoincontrato nella vita.

Angelo Cupini

PROFILI E TESTIMONI

La paternità riassume in sé i due volti

di Dio: quello della misericordia, del-

l’amore, della tenerezza e quello severo

di colui che deve correggere, educare,

formare. Il libro indaga un concetto cen-

trale nel mondo antico e nella Bibbia,

nella consapevolezza che «tutti gli uo-

mini ricevono il «mantello d’oro» della

paternità di Dio».

GIANFRANCO RAVASI

Nel nomedel Padre

La paternità divina nella Bibbia

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Si, perché con questi numeri e con letendenze che essi richiamano c’èben poco da stare allegri. O almenonon dovrebbe esserlo chi ha a cuoreil futuro del nostro Paese.È ben noto che il persistere di livel-li di natalità come quelli attuali ciporterebbe non solo a un ridimen-sionamento del totale degli italiani– con 450mila nati annui e una “vi-ta attesa” di 85anni una popolazio-ne si stabilizza, in assenza di appor-ti migratori, attorno a 38milioni diabitanti (oggi siamo 60milioni)– masoprattutto modificherebbe per al-cuni decenni i parametri che stannoalla base del “patto” tra le genera-zioni. La scarsità di giovani, e quin-di di potenziali lavoratori, finirebbeper mettere in crisi un welfare co-munque ”condannato” per granparte del secolo a prendersi cura difolte schiere di anziani (i numerosifigli del baby boom andranno inpensione attorno al 2030) senza po-ter contare su adeguati supporti daparte del ridotto numero di lavora-tori/contribuenti.Anche le stesse immigrazioni – chepur ringiovaniscono il Paese e forni-scono un importante apporto al bi-lancio della natalità – non possonovenir pensate come del tutto risolu-tive nel panorama del cambiamentodemografico. L’esperienza insegnache l’accoglienza e la successiva in-tegrazione di chi viene da altri Pae-si non è né immediata né priva dicosti. E ciò che è indiscutibilmentedoveroso sul piano etico non è det-to che sia esente da obiezioni e op-positori sulla base di logiche di con-venienza e di sostenibilità: il giova-ne immigrato di oggi può diventaredomani un pensionato a rischio dipovertà se, come spesso potrà acca-dere, sarà privo di un’adeguata car-riera lavorativa e contributiva. D’al-tra parte anche sul fronte del contri-buto alle nascite i dati più recentimostrano che la fecondità delle don-ne straniere, pur restando decisa-mente più alta rispetto a quella del-le italiane, si è fortemente ridottanell’arco di pochi anni. Nel 2015 es-se sono scese sotto il livello del ri-cambio generazionale (1,93 figli inmedia) e il loro contributo in termi-ni di numero assoluto di nati è in ca-lo a partire dal 2012.

Chi pensava che il 2015, eti-chettato come “l’anno dei re-cord” - dal minimo di nascite

mai registrato prima, alla forte cre-scita anomala dei decessi, sino a uncalo di popolazione che ha evocato itempi della Grande Guerra - doves-se rappresentare un caso isolato nel-la storia demografica del nostro Pae-se sembra già costretto a ricredersi.Anche nel 2016, nonostante la reali-stica prospettiva di un ritorno ai li-velli di mortalità “clementi” comequelli di cui si è beneficiato nel 2014,il bilancio demografico della compo-nente naturale della popolazione ita-liana (nascite e morti) continuerà adessere pesantemente “in rosso”. Idati del primo semestre dell’anno incorso segnalano, infatti, un saldo ne-gativo (più morti che nati) pari a93mila unità: solo 10 mila in meno ri-spetto allo stesso periodo del 2015che pur si era caratterizzato per ben25 mila morti in più. Cosa è dunque che determina quel

persistente stato di criticità sul fron-te del ricambio generazionale, vero-similmente destinata a portare l’Ita-lia a perdere popolazione per il se-condo anno consecutivo?

—Il futuroche non si vuol vedere

La spiegazione è nel numero dei na-ti. O meglio: nella variazione/ridu-zione del numero dei nati. Mentrenell’anno dei record si è toccato ilminimo di 486mila nascite, di cui236mila nei primi sei mesi, durante ilprimo semestre del 2016 si è scesi ul-teriormente del 6% (con 222mila na-ti) e si stima che a fine anno il nuo-vo record verrà stabilito a 456milaunità. Parafrasando, in direzionecontraria, lo slogan di una famosapubblicità degli anni ’80 viene da di-re: «Sempre più in basso!». Magarievitando di aggiungere, come si face-va allora, un propiziatorio: «Alle-gria! ».

QUESTIONI SOCIALI

Demografia in Italia

I BAMBINICHE MANCANO

Il bilancio demografico italiano è gravemente “in rosso” damolti anni. La crisi demografica minaccia la sopravvivenza

del sistema. Valori umani, spirituali e di “interesse” peraprire una attenzione non episodica sulla famiglia.

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Testimoni 11/2016 35

QUESTIONI SOCIALI

sizione tributaria e nelle politiche ta-riffarie, alla conciliazione famiglia-lavoro, ai contratti relazionali sinoalle politiche abitative a misura difamiglia.Quanto poi all’individuazione di chidovrebbe farsi carico della progetta-zione e dell’esecuzione dei necessa-ri interventi di natura terapeutica, vapreso atto che l’impressione oggi-giorno è di grave latitanza da partedelle istituzioni e della politica.L’agire in campo demografico ri-chiede un’ottica lungimirante, coe-rente nelle scelte e paziente nell’at-tesa dei frutti. Si semina oggi per rac-cogliere domani. Ma tutto ciò mal siconcilia con una politica che ha unrespiro di breve periodo – si opera,quando va bene, entro l’orizzontemassimo di una legislatura – e chenon può/vuole certo impegnarsi (erischiare il consenso su scelte talvol-ta impopolari) per fornire strumentiin grado di orientare decisioni, comequella di fare un figlio, che impegna-no tutta una vita.Che fare dunque? La posta in giocoè troppo alta per accettare gli even-ti senza tentare di riprenderne ilcontrollo. Le azioni e i soggetti su cuiintervenire sono chiaramente identi-ficati, così chiari sono i risultati che,alla luce di esperienze di altri Paesi,si potrebbero conseguire se ci simettesse seriamente in moto. Ciòche manca ancora è una cultura con-divisa del cambiamento demograficocome fenomeno da conoscere, nellemanifestazioni e nelle conseguenze,ma soprattutto da governare accet-tando gli eventuali costi e i sacrificiche ne derivano. Senza dimenticare

che anche in un mondo globalizzato,con una popolazione in crescita esempre più aperta alla mobilità, legrandi problematiche sul fronte de-mografico sono e restano “locali”. Ilcrollo della natalità in Italia va in-nanzitutto risolto in Italia, restituen-do a chi vive nel nostro Paese (italia-no o non) il piacere/coraggio discommettere sul futuro, per sé e peri propri cari.

Gian Carlo Blangiardo

Il libro analizza i tratti essenziali della

riforma del processo matrimoniale

canonico realizzata da Papa Francesco.

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ti al vescovo diocesano e sull’analisi dei

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ITALIA: NATI VIVI. ANNI 1862-2016

Fonte: Istat (stime per il 2016)

—I quattro pilastriper ripartire

Se questa è la diagnosi, viene allorada chiedersi quale sia la terapia, sene esiste una, e quali siano i mediciche, al capezzale di una demografiacosì malata, si adoperano per rimet-terla in sesto.Sul primo punto viene facile riman-dare alla parte conclusiva di un re-cente volume, “Il cambiamento de-mografico” (Laterza, 2011), con cui il“Progetto Culturale” della CEI hacercato di indicare una proposta pergovernare i fenomeni e le trasforma-zioni in campo demografico. La “te-rapia” suggerita dal Rapporto consi-ste nel fare in modo che venga recu-perato il ruolo della famiglia qualemediatore fondamentale delle deci-sioni individuali che incidono sul be-ne di tutta la comunità. Entrando neldettaglio delle azioni, il Rapporto sifa promotore di una strategia orien-tata al sostegno della famiglia sullabase di quattro pilastri fondamenta-li che vanno dall’equità nella impo-

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Haiti*

Assassinio di sr. Isabel Solá MatasIl 2 settembre scorso, a Port-au-Prince, capitale dellaRepubblica di Haiti, è stata uccisa la suora spagnolaIsabel Solá Matas, 51 anni, della Congregazione delleSuore di Gesù e Maria. Era originaria di Barcellona eviveva ad Haiti dal 2008 dove era arrivata due anniprima che il paese fosse devastato da un terrificanteterremoto che provocò 200.000 vittime.Stava tornando dalla banca dove aveva prelevato deldenaro ed era diretta al Centro-protesi che lei stessaaveva fondato per la cura di quanti erano rimastimutilati nella catastrofe. Mentre il vecchio Suv su cuiviaggiava era rimasto imbottigliato nel traffico, fuaccostata da due rapinatori, uno dei quali le sparò abruciapelo uccidendola sul colpo, portandole poi via laborsa col denaro e fuggendo. Assieme a lei viaggiavaanche una donna che rimase ferita e fu portataall’ospedale.Sr. Isabel aveva donato tutta la vita ai poveri.Conosceva i pericoli che correva, ma aveva dichiarato:«Mi sento chiamata a servire in Haiti. Credo nellamissione per cui sono qui e sono pronta a donare lamia vita fino alla fine, qualunque essa sia». Era una donna piena di energia, intraprendente,creativa, coraggiosa ed esperta. Oltre a fondare ilcentro di ortopedia per i mutilati, si interessava anchedi raccogliere aiuti per aprire delle scuole nelle zonepiù lontane e svantaggiate, e si occupava di numerosiprogetti, compresa una clinica mobile a Port-au-Prince.Inoltre era impegnata anche nella formazione diinsegnanti per le scuole. Padre Hans Alexandre, della parrocchia del SacroCuore dove la suora risiedeva, saputa la tragica notizia,ha dichiarato: «Compiendo questo crimine, non hannoucciso solo una persona, ma anche la speranza di tantagente».Come è potuto avvenire? Questo genere di crimini, haaffermato Ghislaine Landry, una suora franco-canadesedelle Suore della Provvidenza, che vive anch’essa adHaiti, sono comuni, soprattutto a Port-au-Prince.«Penso, ha affermato, che le principali cause di questotipo di delitti che generano un clima di insicurezza,siano la povertà, la mancanza di lavoro, la debolegovernance dello Stato, la scarsa efficienza della poliziahaitiana e la corruzione».Un parere confermato anche da un’altra suora, sr. JudyDohner, americana della Religiose dell’Umiltà di Maria,secondo cui le uccisioni e le ruberie sono comuni inun paese che lotta con la fame, la povertà, l’insicurezza.Sr. Isabel, ha affermato suo fratello Javier, era unadonna a cui «la sola cosa che interessava era diservire gli altri, aiutare coloro che non potevanoprovvedere a se stessi». «È una martire di Dio», hadichiarato da parte sua una suora indiana delleMissionarie della Carità di Madre Teresa di Calcutta,presente ai funerali.

Due giorni dopo la sua uccisione, all’Angelus del 4settembre, al termine della cerimonia dicanonizzazione di Madre Teresa di Calcutta, papaFrancesco, ricordando quanti si spendono al serviziodei fratelli in contesti difficili e rischiosi, hadichiarato: «Penso specialmente a tante religiose chedonano la loro vita senza risparmio. Preghiamo inparticolare per la suora missionaria spagnola, suorIsabel [Solá Matas] che è stata uccisa nella capitale diHaiti, un Paese tanto provato, per il quale auspicoche cessino tali atti di violenza e vi sia maggioresicurezza per tutti». E ha aggiunto: «Ricordiamoanche le suore che, recentemente, hanno subitoviolenze in altri Paesi».

Sud Sudan*

Situazione drammatica«Se il Sud Sudan viene ignorato, l’ondata di profughiche raggiungono le coste europee potrebbeingrossarsi» avverte in una dichiarazione giuntaall’Agenzia Fides mons. Barani Eduardo HiiboroKussala, vescovo di Tombura-Yambio e Presidentedell’Inter-Faith Council for Peace Initiative (ICPI) nellaGreater Western Equatoria.Mons. Kussala ha rivolto un appello alla comunitàinternazionale perché «continui a svolgere il suo ruolochiave nel persuadere il Presidente Salva Kiir e l’exvice Presidente Riek Machar a tornare al tavolonegoziale e ad attuare l’accordo di condivisione delpotere firmato nell’agosto dello scorso anno».I nuovi combattimenti tra le fazioni di Kiir e Machar,esplosi a luglio, hanno costretto quest’ultimo a fuggiredalla capitale Juba. Machar che, in base agli accordidell’agosto 2015, era divenuto Primo vicepresidente, èstato destituito dalla sua carica. Il suo posto è statooccupato da Taban Deng Gai, un membro dellaformazione di Machar (SPLA-IO) che è passato nelcampo di Kiir.La situazione umanitaria a Juba e nel resto del Paese èprecaria e sono soprattutto le organizzazioni cattolichee di altre confessioni cristiane a farsi caricodell’emergenza. «Con l’aiuto internazionale, e quellodella Chiesa cattolica e degli altri membri della SouthSudan Council of Churches, di agenzie come Cafod eTrocaire, Caritas, e altre organizzazioni umanitarie,aiutiamo le popolazioni a sopravvivere, e possiamoassicurare che il nostro Paese abbia un futuro»,afferma mons. Kussala. Il Vescovo sottolinea che il SudSudan è potenzialmente molto ricco, non solo dipetrolio ma anche di diversi minerali e dispone di unforte potenziale agricolo. Ma il conflitto, provocato da“una piccola minoranza” impedisce al Paese disvilupparsi. La tragedia del Sud Sudan, conclude mons.Kussala, è sovrastata nei media dagli attentatiterroristici in Europa e in altre parti del mondo, mal’Europa, non può ignorarla altrimenti sarà travolta da

brevi dal mondobrevi dal mondo

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Testimoni 11/2016 37

un’altra ondata di profughi. (fonte Agenzia Fides2/8/2016).Nel frattempo il card. Peter Turkson, presidente delPontificio Consiglio della Giustizia e della pace, havisitato il Sud Sudan avvolto nella spirale della guerraper invitare a mettere fine alla violenza e a stabilire ildialogo tra le parti belligeranti.È giunto nella capitale Juba per dare sostegnoall’arcivescovo e incontrare i capi del Paese. Haportato con sé anche una lettera del papa Francescoper il presidente Salva Kiir e un’altra pervicepresidente Riek Machar che sono storicamentenemici e rappresentano i differenti gruppi etnici.In un’intervista alla Radio Vaticana, il card. Turkson haaffermato che «la situazione è difficile» e ha aggiuntoche le condizioni della popolazione sono molto dure.La gente è costretta a fuggire dalla violenza persalvarsi, abbandonando le proprie case che vengonosaccheggiate, occupate o distrutte.

Messico – Brasile*

Uccisi quattro sacerdoti Due sacerdoti sono stati uccisi in Messico il 18settembre scorso, e due in Brasile il 15 ottobre. I duemessicani si chiamavano Alejo Nabor Jiménez Juárez eJosé Alfredo Suárez de la Cruz. Erano stati sequestratidurante la notte da uomini armati nella parrocchia diNostra Signora di Fatima nella località di Poza Rica,nello stato di Veracruz. I loro cadaveri sono statitrovati il giorno dopo “massacrati” lungo la strada checonduce a Papantla. Pare che all’origine dell’assassiniovi sia stata una rapina ad opera della delinquenzaorganizzata, molto attiva da quelle parti. In questostato orientale del Messico nel 2013 erano statiassassinati altri due sacerdoti, Hipólito VillalobosLima(45 anni) e Nicolás Cruz Martínez (31 anni); dal2012 avevano perso violentemente la vita 14 sacerdoti,un seminarista e un sacrestano. Altri 2 figuranoufficialmente come “scomparsi”. Le vittime degli uominidi Chiesa, se si risale al 2006, sono 28.In Brasile, l’assassinio dei due sacerdoti è avvenutonella notte tra sabato e domenica del 15 ottobre,durante quello che è stato definito il fine settimanatragico. Si chiamavano João Paulo Nolli e FranciscoCarlos Barbosa Tenório, rispettivamente di 35 e 37anni. Padre João è stato assassinato a Rondonópolis,nel Mato Grosso, mentre padre Francisco Carlos èstato ucciso a Nova Iguaçu, nella poverissima periferiadi Rio de Janeiro. Padre Francisco si occupavadell’assistenza ai tossicodipendenti. Era ritenuto unprete scomodo dai gruppi malavitosi e aveva ricevutomolte minacce. Padre Carlos invece pare sia statoucciso in seguito a una rapina. La violenza dilaga in Brasile e nel resto dell’AmericaLatina. Per stare solo al 2016, dal mese di gennaiosono stati uccisi 9 sacerdoti e 4 catechisti.

Libreria Editrice Vaticana*

Un libro di p. Angel PardillaAngel Pardilla, clarettiano, docente presso varieuniversità pontificie, autore di varie opere, tra cui ilcorposo volume di oltre 1.400 pagine Vita consacrataper il Nuovo Millennio, concordanze, fonti e linee maestredell’esortazione apostolica “vita consecrata”(LEV 2003), hapubblicato ora sempre con la Libreria Editrice Vaticana,un altro voluminoso studio di 701 pagine, dedicato a“La realtà della vita religiosa – analisi e bilancio dicinquant’anni (1965 -2015) e prospettive”.Nel volume spiega in maniera dettagliata cosa èaccaduto negli ultimi 50 anni, dal 1965 al 2015, nelleistituzioni religiose cattoliche. L’analisi è effettuata perogni singolo Istituto o società.Per gli istituti religiosi e le società di vita apostolica nelsettore maschile in 50 anni si è registrato un calo si130.545 membri, pari al 39,58%. Si è passati da unnumero di 329.799 membri nel 1965 a 199.254 nel 2015.Per quanto riguarda il settore femminile, si è passati

da 961.264 membri del 1965 a 532.436 del 2015. Ciòsignifica una perdita di 428.828 unità, con un calopercentuale del 44,61%.Ma è interessante notare – scrive p. Angel – che nelperiodo post Concilio c’è stata anche la fioritura e lacrescita, in alcuni casi impetuosa, di istituti e società divita religiosa. Sono 58 istituzioni maschili che hannoregistrato una crescita, tra questi i maggiori inpercentuale: la Congregazione di San Giovanni BattistaPrecursore (+816,66%), la Congregazione VincenzianaMalabarese (+ 610,30%), la Congregazione deiLegionari di Cristo (+605,71%), i Preti dellaMisericordia (+457,14%), i Canonici Regolari dellaSanta Croce (+ 325%).In campo femminile le suore Missionarie della Carità diMadre Teresa sono cresciute del 2.914,20 %. Le suoremissionarie di Maria aiuto dei Cristiani +388%, lesuore Carmelitane Teresiane di Verapoly +275,125% lesuore dell’Adorazione del S. Sacramento +157,35%, lesuore della Congregazione del Sacro Cuore +137,97%.Per quanto riguarda gli abbandoni, secondo padrePardilla il fenomeno non è attribuibile solo alla fatalitào alle nefaste e inevitabili condizioni sociali di unadeterminata epoca della storia, quali il calo dellenascite, il materialismo, il secolarismo, bensì“all’inadeguata e lacunosa recezione dei contenuti delConcilio Vaticano II sulla vita religiosa” e a “unasemplicistica interpretazione dei suoi contenuti”. Ilpadre sostiene che il futuro della vita religiosa dovràessere costruito coltivando in un modo più chiaro edeciso i valori positivi di una forte identità cristologica,mariana e comunitaria. La vita religiosa è chiamata adessere soprattutto una positiva “memoria vivente” delCristo del Vangelo, il Cristo consacrato, obbediente,casto, povero, orante e missionario.

a cura di Antonio Dall’Osto

brevi dal mondobrevi dal mondo

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Testimoni 11/201638

VOCE DELLO SPIRITO

PROMESSADI FELICITÀ

La domanda di fondo che possiamo farci è la seguen-te: ci sentiamo toccati dalla promessa di felicità di Ge-sù ai suoi discepoli: «Beati i poveri [...] Beati i miseri-cordiosi [ ... ] Beati i puri di cuore [...]»? Ci sentiamodestinatari in verità di questa solenne promessa di Ge-sù? Ci possiamo riconoscere nella generazione che cer-ca il volto del Signore?Sarebbe come doman-darci se l’invito allasantità ci riguarda an-cora. La visione celeste del-l’Apocalisse presenta lamoltitudine dei salvaticome in due quadri di-stinti, che però si fon-dono insieme. Primacompaiono i segnaticon il sigillo del Dio vi-vente, i 144.000 (il qua-drato di 12 - numerodelle tribù di Israele -moltiplicato per 1000 -numero dell’universa-lità), gruppo che designa i martiri, coloro che hanno pa-gato il prezzo della fedeltà al Signore Gesù con la vita.Poi si presenta la moltitudine immensa, proveniente daogni popolo e nazione, così definita: «Sono quelli chevengono dalla grande tribolazione e che hanno lavatole loro vesti, rendendole candide nel sangue dell’Agnel-lo» (Ap 7,14). Sono coloro che hanno cercato di vive-re la loro vita, nella precarietà degli sforzi e dei risulta-ti, nella prospettiva del vangelo con il loro quotidianomartirio che la coerenza della vita spesso esige. Anchequesti hanno riconosciuto il fascino del loro Signorecrocifisso e risorto. Nel suo amore salvatore hanno con-fidato nonostante i tradimenti e gli affievolimenti dellafede in lui. Ma tutti e due i gruppi si fondono all’uniso-no nella comune proclamazione: ora sappiamo che ilnostro Dio è pieno di amore per noi. «Rallegriamoci tutti nel Signore in questa solennità ditutti i santi: con noi gioiscono gli angeli e lodano il Fi-glio di Dio». È motivo di gioia la santità perché nonpuò esserci gioia se non a partire da un amore accoltoe condiviso. E la santità, come proclamano i beati da-vanti al trono dell’Agnello, è questo amore accolto e

condiviso. Nella preghiera dopo la comunione diciamo: «Fa’ cheraggiungiamo anche noi la pienezza del tuo amore».Non preghiamo semplicemente per arrivare anche noiin paradiso, ma preghiamo perché quell’amore costitui-sca l’orizzonte della nostra vita. La proclamazione dei

santi, come viene de-scritta nel brano dell’A-pocalisse, non si riferi-sce a un futuro dopo lastoria, ma esprime laverità della nostra sto-ria, verità che non pas-serà e riempirà tutto delsuo splendore. Maquello splendore costi-tuisce già il senso dellanostra storia, anche sespesso i nostri occhi so-no così velati da nonaccorgersene più. Lasantità parla di quel mi-stero di riconciliazionein atto nella storia, nel-

la carne della propria vita, perché risplenda per tutti lapossibilità della visione dell’amore di Dio per l’uomo.È caratteristico che l’antifona alla comunione, ripren-dendo la serie delle otto beatitudini proclamate nel van-gelo, le riduca a tre: puri di cuore, operatori di pace, per-seguitati a causa della giustizia. La purità di cuore ca-pace di vedere Dio è quella che scaturisce dall’esperien-za della compassione, della misericordia, così tipicadella santità di un cuore che consola e conforta, che ac-coglie in benevolenza e solidarietà, che rimanda a tuttiquello che lui stesso riceve, cioè il perdono rigenerantedel suo Signore, che viene così conosciuto come il Sal-vatore, come l’Amore che ti sottrae all’abisso. La puritàperò, intrisa di gioia, è solo quella che si traduce in unagire che porta pace a tutti, che rende capaci i cuori dipace, che si fa dono di pace. E la pace donata è a pro-va di persecuzione.

Elia Citterioda Il rischio della gioia

Omelie. Anno AEDB, Bologna 2016

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PER CONTINUARE LO SPIRITO DEL GIUBILEO

Un amore chesi fa misericordia

Mentre termina il Giubileo della misericordia è necessario ora tradurrenella vita l’esperienza vissuta: la misericordia che il Signore ci ha donato

deve sempre accompagnarci e diventare misericordia verso i nostri fratelli,sullo stile di Gesù, affinché diventi quello di ogni suo vero discepolo.

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SPECIALE Testimoni

Il 20 novembre, solennità di Cristo Re dell’universotermina il Giubileo. Ma non finisce il tempo della mi-sericordia, quella che Dio ci dona e quella che la

Chiesa continuerà a proclamare e a testimoniare al mon-do e che anche noi dobbiamo donare agli altri. La mise-ricordia, infatti, scriveva il papa nella Bolla di indizioneMisericordiae vultus è «l’architrave che sorregge la vitadella Chiesa. Tutto della sua azione pastorale dovrebbeessere avvolto dalla tenerezza con cui si indirizza ai cre-denti; nulla del suo annuncio e della sua testimonianzaverso il mondo può essere privo di misericordia. La cre-dibilità della Chiesa passa attraverso la strada dell’amo-re misericordioso e compassionevole».Come continuare a vivere questo grande dono che abbia-mo ricevuto con tanta abbondanza e come donarlo aglialtri? Come essere in concreto, soprattutto noi religiosi,“missionari della misericordia” nel mondo d’oggi? Ci vie-

ne in aiuto lo “Speciale” che qui pubblichiamo, tutto de-dicato alla risposta a queste domande. È una riflessionedel padre gesuita Victor M. Martinez Morales, pubblicatanella rivista Vinculum dei superiori maggiori della Co-lombia, in un quaderno intitolato “Uscire profeticamenteverso il cuore della vita che soffre”. Dopo un accenno al-la situazione spesso drammatica di alcuni paesi latinoa-mericani, Martinez Morales entra nel vivo del tema e of-fre indicazioni quanto mai appropriate per vivere noi og-gi la misericordia che abbiamo ricevuto e che dobbiamodonare agli altri.1 Apre la riflessione una citazione delcard. K. Kasper: «Bisogna che sia chiaro che una Chiesasenza carità e senza misericordia non è la Chiesa di Ge-sù Cristo”.2

Il papa Francesco l’11 aprile 2015 annunciava al mondola convocazione del giubileo straordinario della miseri-

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SPECIALE Testimoni

cordia con la Bolla Misericordiae Vultus. Che cosa signi-fica per l’umanità e per la Chiesa questo giubileo? Chesignificato ha questo tempo di misericordia per noi, co-me vita religiosa, e per i nostri popoli? In che consistequesta iniziativa del papa Francesco a soli tre anni delsuo pontificato?In una realtà come la nostra, dell’America latina e Ca-raibi, caratterizzata dalla violenza, corruzione, traffico didroghe, violazione costante dei diritti umani, disprezzodella dignità delle persone e di aumentata indifferenzadi fronte alla precarietà e alla miseria, dove mettiamo lamisericordia?Più ancora, in una Colombia bagnata di sangue per tan-ti decenni di guerra, in cui a lungo andare è aumentatoun orgoglio che ha indurito i cuori dell’una e dell’altraparte, provocando profonde rotture e accrescendoprofondi odi e rancori, la misericordia avrà una parolada dire e da offrire? È necessario, inoltre, rispondere come comprendere og-gi la misericordia a partire da Dio allorché per alcuni èun argomento di una carica ideologica tale da portare al-la rassegnazione, per altri è sentimentalismo che paraliz-za e ostacola ogni sviluppo e non possiamo negare cheper coloro che, in pieno secolo XXI, si allontanano daicriteri del vangelo non cessa di essere qualcosa di inge-nuo, assurdo e del tutto strampalato.Secondo altri autori, la misericordia sta nel nucleo difondo di ogni religione: è un patrimonio dell’umanità. «Ilfatto che la compassione e la misericordia siano virtùumane universali ci può incoraggiare a stabilire un dia-

logo con le altre culture e religioni e a lavorare insiemeper la concordia e la pace nel mondo. Ma questa comu-ne tradizione dell’umanità deve farci anche pensare. Af-ferma infatti che ovunque si smarriscono la compassio-ne, la clemenza, l’altruismo reciproco e il perdono vicen-devole lì si trovano a proprio agio l’egoismo e l’indiffe-renza verso il prossimo e le relazioni personali si limita-no a dei processi di interscambio economico, mettendoa grave rischio l’umanesimo della cultura e delle societàinteressate”.3

Essere umanitàvuol dire essere misericordia

La prossimità dell’uomo a Dio, a partire delle sue espe-rienze e dagli avvenimenti, ha il sapore della misericor-dia. Così l’avverte il popolo d’Israele e in maniera mol-to chiara è percepita da coloro che furono i discepoli diGesù, i cui racconti sono contenuti nei vangeli. La misericordia viene da Dio, questa è stata l’esperien-za del popolo d’Israele il quale, leggendo il suo cammi-no storico, scopre in esso la presenza di Dio che lo sal-va. Leggere la storia come storia di salvezza vuol direscoprire l’azione misericordiosa di Dio negli avvenimen-ti personali e collettivi. Dio è amore e il suo manifestar-si agli altri si fa misericordia. Questa è l’esperienza chesi verifica nel corso della tradizione dell’umanità. La misericordia si incarna; questa è la lettura che possia-mo fare quando sottolineiamo che Gesù è frutto dell’a-zione misericordiosa di Dio. Sant’Ignazio di Loyola, nel testo degli Esercizi Spiritua-li (ES 101 e 109), contemplando l’incarnazione invita chifa gli esercizi a considerare le tre persone divine e adascoltare ciò che dicono: “Facciamo la redenzione del ge-nere umano” come risposta del loro sguardo misericor-dioso su “tutta la faccia e rotondità della terra, e su tut-te le genti che sono in tanta cecità e come muoiono escendono all’inferno” (ES 106).La risposta dello sguardo misericordioso di Dio sull’u-manità lo porta a compiere l’incarnazione (ES 108).Sant’Ignazio ci rimanda a nostra Signora e all’angelo chela saluta: “Non temere, Maria, perché hai trovato graziapresso Dio. Concepirai e darai alla luce un figlio, e lochiamerai Gesù” (Lc 130-31). Sant’ Ignazio termina lacontemplazione con un colloquio in cui si deve chiederedi “seguire e imitare nostro Signore, così nuovamente in-carnato” (ES 109).Dio che è amore si fa misericordia nella persona di Ge-sù. La misericordia si fa carne in Gesù di Nazareth. Vor-rei attirare l’attenzione sull’espressione “così nuovamen-te incarnato” di sant’Ignazio, poiché vuol dire prendereatto che in Gesù Cristo noi ci facciamo misericordia.Da Dio a Gesù, da Gesù a noi, ecco l’azione dell’amoremisericordioso di Dio. La misericordia, come affermapapa Francesco, «è la via che unisce Dio e l’uomo, per-ché apre il cuore alla speranza di essere amati per sem-pre nonostante il limite del nostro peccato» (MV 2).Inoltre, che «la misericordia sarà sempre più grande diogni peccato, e nessuno può porre un limite all’amore diDio che perdona» (ib 3).

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AL BATTESMO ALLA CRESIMA

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SPECIALE Testimoni

Siamo chiamati ad amare; siamo stati creati a immaginee somiglianza del nostro Dio. Ciò significa che a somi-glianza di Gesù i cui gesti e le cui parole furono rivela-zione della misericordia di Dio, anche noi “in cui lo Spi-rito “nuovamente incarnato” agisce, siamo azione mise-ricordiosa dell’amore di Dio.

Diventiamo testimoni di Cristo

Se vogliamo essere misericordiosi dobbiamo essere uo-mini e donne di preghiera, avere una relazione moltostretta con la persona di Gesù per imparare così, comelui da suo Padre, a chinarci con riverenza davanti al do-lore e alla sofferenza dell’umanità.La misericordia ci viene da Dio nella persona del Figlio.«Gesù Cristo è il volto della misericordia del Padre»(MV 1). Questa è la testimonianza che, consegnata neivangeli, giunge oggi fino a noi.In Gesù costatiamo che la misericordia diventa realtà, lesue opere e parole sono espressione dell’amore miseri-cordioso di Dio. «Un amore che si dona gratuitamente.Le sue relazioni con le persone che lo avvicinano mani-festano qualcosa di unico e di irripetibile. I segni checompie, soprattutto nei confronti dei peccatori, dellepersone povere, escluse, malate e sofferenti, avvengonoall’insegna della misericordia. Tutto in Lui parla di mise-ricordia. Nulla in Lui è privo di compassione» (MV 8).Ogni brano narrato dagli evangelisti sulla vita di Gesùlascia trasparire questo amore che diventa azione. Lascelta di qualsiasi parabola per la nostra preghiera ci ma-

nifesta che questo sentimento sgorga dal più profondodella sua esistenza: sembra scaturire dalle sue viscere, dalprofondo della sua intimità che salendo in superficie di-venta guarigione e perdono, tenerezza e compassione,indulgenza e riconciliazione.Questa è l’opera di Gesù, il risultato del suo sguardo mi-sericordioso che lo portava a rispondere, in ogni situa-zione e circostanza, ai bisogni più sentiti di coloro che loavvicinavano.Essere testimoni della misericordia vuol dire essere di-scepoli missionari di Cristo, uomini e donne che lascia-no agire dentro di sé il suo Spirito. Dal Padre al Figlio,dal Figlio a noi, la misericordia diventa impronta di filia-zione. Siamo figli nel Figlio, con il nostro modo di agireal modo di Gesù: misericordiosamente.È in questa maniera che la misericordia diventa ragiond’essere, criterio ultimo e ideale vitale della nostra fede.Comprendiamo la misericordia come un agire di Dioverso di noi poiché in Gesù suo Figlio, la misericordia siè incarnata nei suoi fatti e nei suoi detti, nelle sue azio-ni e parole. Gesù, operando l’amore misericordioso, lorende realtà, vita concreta, possibilità verificabile nellaquotidianità. La misericordia rende credibile la nostrafede. “Beati i misericordiosi, perché troveranno miseri-cordia” (Mt 5,7).

La misericordia, l’agire di Dio in noi

La misericordia sgorga dalle profondità del nostro esse-re umanità. Si tratta di un sentimento intimo, viscerale,

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SPECIALE Testimoni

un “sentire con il cuore” affranto e umiliato di fronte al-la sofferenza dell’altro. Per questo ci sentiamo imbarazzati se pensiamo che mi-sericordia voglia dire sentire compassione, ma la rispo-sta mi lascia come ero prima. La mia reazione di com-passione verso l’altro mi lascia tranquillo davanti a ciòche poteva turbarmi. La risposta mimantiene nel mio habitat soddisfat-to per ciò che ho fatto e nella tran-quillità che avevo prima dell’incon-tro con quella persona colpita, feri-ta, sofferente o dolorante. La misericordia commuove al didentro, vale a dire, mi spinge a ri-spondere in maniera commossa. Laprima cosa consiste nel fare miei laferita, il dolore e la sofferenza dell’altro. È un sentire co-me proprio ciò che sente l’altro che è vittima. Fare mioil suo vuol dire prendere su di sé la sua la situazione e larealtà che ha infranto la sua esistenza. È fare propria lasua vita distrutta, infranta, spezzata.La misericordia scaturisce così da un movimento di ap-propriazione naturale del dolore e della sofferenza del-l’altro. Esco da me stesso per fare mio ciò che è dell’al-tro, in una solidarietà esistenziale di comunione.La misericordia mi porta a rispondere in modo da alle-viare, calmare, sostenere, aiutare, risolvere in certa misu-ra e in qualche modo le rotture, le rotture e le ferite diquella persona sofferente.La misericordia ci trasforma dal di dentro, ci induce a

non accontentarci, a non rimanere indifferenti davantialla situazione di chi è indigente, privo di difesa e vitti-ma, di cui siamo testimoni. Né mettendo a tacere la co-scienza con palliativi assistenzialisti e compassionevoli,né scaricando sugli altri la responsabilità di una rispostaresa unica e non trasferibile per la nostra esistenza, ora

commossa. Si tratta di un movimento che cercadi rispondere, di risolvere e fare no-stro il suo dolore e la sua sofferenzaper liberare l’altro da ciò che lo ri-guarda e opprime. La misericordianasce così da un movimento che in-duce a fasciare le ferite, a curare lemiserie dell’altro. Esco da me stessoper offrire una doverosa attenzione

e solidarietà esistenziale di liberazione.È così che la misericordia si manifesta in noi in manie-ra concreta in forza di questa dinamica di solidarietà, apartire da un movimento centripeto di appropriazionee da un movimento centrifugo di donazione. Comunio-ne e liberazione di fronte alle situazioni di precarietà edi sofferenza. La misericordia si traduce in gesto e pa-rola di consolazione, in risposta alle invocazioni di aiu-to, e mitiga ogni privazione della dignità.

Uscire, l’azione propria dellamisericordia

Ritengo che la misericordia si esprima in maniera dina-mica nell’intimo dell’essere umano. Ciò significa che l’a-more misericordioso di Dio operante in ciascuno di noimediante il suo Spirito, fa sì che ogni persona intrapren-da dentro di sé un’esperienza di pellegrinaggio. Uscireda noi stessi, metterci in cammino è già un segno dell’a-more misericordioso di Dio che ci trasforma.Il primo movimento avviene nel nostro intimo. Usciredai propri ragionamenti, affetti e dalle proprie inclina-zioni. Si tratta di prendere coscienza del modo con cuil’amore misericordioso di Dio in noi fa sì che possiamolasciare i nostri pregiudizi, abbandonare i nostri voleri elasciare le nostre giustificazioni. Sperimentare la miseri-cordia in noi è un atto che libera dalle nostre paure e dainostri vincoli, dai nostri stessi giudizi e atteggiamenti, dainostri fantasmi e progetti fallaci.Dentro il cuore, la misericordia ci fa uscire da noi stessi,vale a dire è un decentrarsi, un uscire dalla nostra auto-referenzialità e dalla autosufficienza che ci chiude nelnostro ego, giungendo a soffocare nell’egoismo ed ego-centrismo. Questo movimento interiore di uscita da noistessi avviene nel silenzio, nell’intimità della coscienza enel cuore di chi si sente toccato da Dio e fa sì che il cen-tro della sua vita sia Gesù Cristo.Uscire dalla nostra realtà di peccato è opera della mise-ricordia, ci aiuta a riconoscere il nostro peccato, ci spin-ge ad uscire da situazioni che ci soffocano e asfissiano,fa in modo che si metta allo scoperto ciò che intorbida eintorpidisce la nostra autenticità e dedizione.Il secondo movimento si verifica all’esterno di noi. L’a-zione dell’amore misericordioso di Dio ci invia all’incon-

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La misericordia nasceda un movimento

che induce a fasciarele ferite, a curare

le miserie dell’altro.

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loro condizione di persone indifese, il loro stato di vul-nerabilità e di vittime. L’azione della misericordia ci por-ta a sentire e a fare nostro il loro dolore.Si tratta di sentire interiormente la loro situazione, di fa-re propria la loro fame, miseria, nudità e infermità. Lamisericordia ci spinge a rispondere, ad abbracciare l’al-tro, nella sua realtà ferita, percossa e umiliata, perché lesue ferite, le sue percosse e le sue umiliazioni le abbia-mo fatte anche nostre. Ce le prendiamo sulle spalle noncome qualcosa di esterno, ma per far nostra la sua realtàvitale.È per questo che la nostra risposta sgorga da un cuoreaffranto e umiliato, capace di abbassarsi per comprende-re, perché abbiamo fatto nostra l’afflizione e l’umiliazio-ne del fratello. Solo quando giungiamo a guardare con ilcuore, con un cuore misericordioso, possiamo cogliereciò che la vita ci sta dicendo.Se consideriamo questa realtà in maniera più dettaglia-ta, riusciremo a capire cosa avviene in noi quando ci la-sciamo portare dalla misericordia. Anzitutto, l’amore mi-sericordioso di Dio che agisce dentro di noi fa sì che nonpossiamo girare al largo di fronte al dolore e alla soffe-renza dell’altro. Vale a dire, l’indifferenza, l’intolleranza,l’abulia e l’apatia non sono atteggiamenti della personain cui opera la misericordia. In secondo luogo, la dinamica della misericordia ci por-ta a fare nostra quella situazione di noncuranza. Si trat-ta di sentire interiormente, nel profondo di noi stessi ciòche l’altro sta soffrendo. E, in terzo luogo, la misericor-dia, tradotta in azione, ci induce a rispondere cercando

tro con gli altri, a cogliere il loro dolore e la loro soffe-renza, ci rende sensibili in una maniera compassionevo-le tale da suscitare solidarietà e giustizia, soprattutto concoloro che sono nel bisogno.All’esterno del cuore, la misericordia ci spinge ad uscireda noi stessi per andare incontro agli altri. L’azione del-l’amore misericordioso di Dio ci mette in uno stato diesodo, in un desiderio di metterci in cammino per incon-trare gli altri. Questo movimento esterno si realizza nelservizio, nella relazione con gli altri, nella socializzazio-ne e condivisione di ciò che siamo e abbiamo.Allo stesso modo, la misericordia ci induce ad uscire al-l’incontro dell’altro, del nostro ambito, dell’ambiente edella natura che ci circonda, di quella casa comune checostituisce il nostro habitat. L’incontro con la creazionee le creature è opera dell’amore misericordioso di Dionell’uomo, e lo porta all’ammirazione, contemplando l’o-pera di Dio e ad inchinarsi davanti alla sua protezione ecustodia.

Dal basso, il dinamismo proprio dellamisericordia

L’esperienza della misericordia ci induce ad uscire da noistessi per andare incontro agli altri con uno sguardo cheinduce a fare nostra la loro esperienza concreta e la lo-ro situazione.La misericordia ci rende sensibili in maniera particolaredavanti al dolore e alla sofferenza dei nostri simili. Sitratta di una sensibilità che va oltre al saper cogliere la

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ti al dolore e alla sofferenza del prossimo? Metterci incammino verso gli altri, soprattutto verso coloro che sof-frono, è frutto dell’azione dello Spirito. Avviene in mo-do naturale, spontaneo e generoso, scaturisce dal cuore

uscire per andare incontro, mettersiin cammino, andare in strada, e inalcune occasioni lasciarci incontra-re.Accogliere è abbracciare. Si tratta dicondividere la mia vita con l’altro,nella sua realtà e situazione. Il gestodi abbracciare implica fare mia, far-mi carico della vita dell’altro. “Sonocon te” “conta su di me”, “abbando-nati a me”. L’affetto diventa concre-

to nella risposta solidale di voler fare nostri il suo dolo-re e la sua sofferenza. L’abbraccio viene dalla prossimità,non è frutto della consanguineità, del genere, della lin-gua o religione, ma di un cuore la cui sensibilità porta afare propria la vita dell’altro, in alcune occasioni fino adonarla. Accogliere è riconciliare. Ciò che è diviso si unisce, ciòche è spezzato e infranto torna al suo stato, la ferita è ri-sanata. Da qui deriva l’impegno ad unire e a evitare ognischema dualista che ci ha indotto a fare della realtà unartificio di buoni e cattivi, colpevoli e vittime, stigmatiz-zando, minimizzando o massimizzando situazioni, avve-nimenti e persone.Il cuore si riconcilia nella verità e nella memoria, nellaresponsabilità e giustizia. Nell’assumere i crocifissi e levittime, che sono un prodotto del peccato. La riconcilia-zione ci porta alla conversione facendoci passare dalpeccato alla grazia.Per questa ragione, la conversione del cuore, il cambia-mento di vita e l’impegno per la giustizia sono l’effettodi un cuore che è stato toccato dall’amore misericordio-so di Dio, di un cuore che affidato alla volontà di Dio ècondotto a fare del suo essere e operare una trasparen-za di questo agire misericordioso.

La giustizia si fa perdonoin forza della misericordiaLa misericordia diventa realtà in forza del perdono chepossiamo interpretare semplicemente come dimentican-za dell’offesa, non castigo per il reato commesso o nonimposizione della pena di fronte all’errore compiuto. Ilperdono deriva dalla misericordia che porta all’apertu-ra del cuore e induce ad uscire da noi stessi e ci pone inun atteggiamento di servizio. La misericordia ricostruisce dal di dentro, fa sì che il cuo-re del peccatore che ha vissuto facendo del male, giungaa compiere il bene in maniera reale, contribuendo al tes-suto fraterno. Possiamo perciò affermare che l’azionedell’amore misericordioso di Dio ci riedifica pienamen-te, perché conduce colui che ha vissuto facendo del ma-le a fare del bene agli altri e nel suo ambiente.Il perdono che deriva dalla misericordia passa attraver-so la giustizia. Una giustizia umana, mentre camminia-mo con la sete e il desiderio di raggiungere la giustizia

di lenire il dolore e la sofferenza dell’altro.Il comune denominatore di questo modo di agire è di ab-bassarsi per metterci sullo stesso livello di chi soffre. Nonpossiamo comportarci in maniera misericordiosa se ri-maniamo nella nostra situazione dicomodità o di soddisfazione, quandonon ci lasciamo commuovere, quan-do sentiamo senza ascoltare o guar-diamo senza vedere, quando ci la-sciamo portare dalla compassione evogliamo rispondere per risolverequello che ci disturba e ci ha fattoperdere, per un momento, la tran-quillità del nostro benessere.

La misericordia si fa incontro,abbraccio, riconciliazioneUno dei modi con cui opera in noi l’azione dell’amoremisericordioso di Dio è l’accoglienza. Vale a dire, l’amo-re di Dio si esprime in noi attraverso azioni concrete euna di queste è l’accoglienza. Saper accogliere gli altri el’altro è una conseguenza della misericordia che agiscein noi. L’abbandono fiducioso nelle mani di Dio ci ren-de capaci di agire in maniera misericordiosa nel rappor-to con gli altri. Possiamo definire questa accoglienza unincontro di abbraccio e di riconciliazione.Accogliere è incontrare. Uscire all’incontro è frutto del-l’azione dello Spirito in noi. Cosa avviene nel nostro in-timo per farci accorrere con prontezza e premura davan-

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Accogliere è abbracciare.Si tratta di condividerela mia vita con l’altro,

nella sua realtàe situazione.

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che ci viene da Dio. Ciò significa che dobbiamo supera-re la giustizia distributiva, commutativa e punitiva, le-gale o restauratrice. Resta in noi la convinzione che co-lui che ha commesso un reato deve pagarlo, in propor-zione al danno perpetrato. Ma se il cuore vuole arriva-re alla giustizia divina, deve passare attraverso il perdo-no che non possiamo ridurre al non castigo o alla nonimposizione della pena a chi ha provocato il danno aglialtri.

Il perdono mira alla trasformazione del cuore a partiredal cuore stesso. Ciò significa che esso agisce a partiredal nostro intimo nella ricerca di apertura e nell’atto diuscire da sé, da noi stessi. Si tratta della docilità al mododi agire amorevole di Dio che ci fa uscire da noi stessi eci invia al servizio degli altri.Il perdono ci rigenera dal di dentro, nel profondo dellanostra esistenza. L’azione del perdono avviene nell’inti-mo di noi sul piano del cambiamento, della conversionee di una trasformazione radicale che ci spinge ad uscireda noi stessi e ad abbandonare ogni affetto disordinato,ogni inclinazione al male, ogni tendenza a tornare su noistessi, a chiuderci, isolarci e rifugiarci nelle nostre bra-mosie e nei nostri interessi. In questo modo il perdonoci apre all’azione amorevole di Dio che ci fa uscire, ci in-duce a metterci in cammino e a peregrinare al serviziodegli altri.L’amore misericordioso di Dio ci rigenera in manierapiena e definitiva in Gesù Cristo. È il miracolo della mi-sericordia di Dio in noi. Il perdono che ci porta a viverel’amore che si fa bontà, bellezza, verità, servizio e comu-nione con coloro che nella loro vita erano dediti al ma-le, all’egoismo, alla menzogna, alla disonestà e alla disu-nione.

Chiamati a evangelizzaremediante la misericordiaDopo il cammino compiuto, possiamo affermare qual èil nostro modo di agire, in quanto cristiani e cristiane, re-ligiosi e religiose, e come compierlo alla maniera di Ge-sù. Ciò significa che dobbiamo operare in maniera mise-ricordiosa. Chinarci davanti ai malati, feriti, miserabili;davanti a coloro che sono privati della loro dignità. Agi-re verso di loro in maniera misericordiosa vuol dire farenostri il loro dolore e la loro sofferenza, la loro miseriae infermità, il loro grido di aiuto.Diventa impegno di misericordia testimoniare oggi la fe-de, rendere ragione del Dio in cui crediamo. Si tratta diuna Chiesa che assume la responsabilità di impregnareil mondo di misericordia, di essere discepoli missionaridi misericordia, tutti inviati a proclamare la tenerezza diDio: siamo una Chiesa samaritana, una vita religiosa sa-maritana.Essere Chiesa samaritana significa metterci in camminoverso le frontiere, giungere alle periferie geografiche edesistenziali che richiedono la nostra presenza. Essereuna Chiesa che deve annunciare il vangelo in manieranuova, a partire dalla misericordia che agisce alleviandoe curando, consolando e fasciando le ferite di tante per-

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sone, uomini e donne, crudelmente maltrattati dallerealtà ingiuste di sistemi e strutture disumanizzanti.Essere una vita religiosa samaritana ci porta ad agire conl’amore misericordioso e compassionevole di chi ascol-ta le invocazioni di un popolo che cerca aiuto. Una Chie-sa la cui azione pastorale sia anzitutto manifestazionedella tenerezza di Dio che diventa realtà nella protezio-ne e difesa della vita, nell’appoggio e sostegno di ogniimpegno per rendere reale la verità e la giustizia, la pa-ce e l’unità, la liberazione e il perdono.Essere una vita religiosa samaritana ci rende testimonidi indulgenza e di perdono. L’azione dell’amore miseri-cordioso di Dio diventa nella Chiesa liberazione da ognigenere di schiavitù, allontana da ogni chiusura del cuo-re, da ogni forma di violenza e discriminazione, da ogniindifferenza. Essere ed agire in maniera samaritana cimette in grado di riconoscere la verità, il pentimento ela dignità delle vittime. La Chiesa è portatrice del per-dono che ci viene da Dio senza alcuna esclusione, unperdono che ci induce ad abbandonarci docilmente e inmaniera fiduciosa alla sua volontà.

Victor M.Martinez Morales, sj

1. Il testo originale spagnolo è stato pubblicato dalla rivista Vinculumdella Conferenza dei religiosi della Colombia in un quaderno intito-lato Uscire profeticamente verso il cuore della vita che soffre.

2. KASPER Walter, Misericordia. Concetto fondamentale del vangelo –Chiave della vita cristiana, Queriniana

3. ib

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«La strutturazione di una disci-plina scientifica, in questo

caso la teologia morale, non può maidirsi compiuta e definitiva. Nel cor-so della storia, infatti, intervengonoinevitabilmente profondi cambia-menti culturali ed empirici che do-mandano, da un lato, una puntualeconoscenza della nuova condizionesocioculturale e, dall’altro, una coe-rente risposta a livello teologico eteologico-morale. La plausibilità ditentare la stesura di un nuovo tratta-to è motivata da tre fattori: i profon-di mutamenti culturali e sociali chesono intervenuti; la considerazionedell’esposizione sistematica postcon-ciliare e delle varie fasi del rinnova-mento della teologia morale fino adoggi; la lacunosa e insufficiente rece-zione del vero volto della morale cri-stiana che pone la questione della di-stanza tra la teologia morale e la pa-storale». (cf. presentazione di p. Lo-renzetti)

Triplice prospettiva

In ambiente laico, e in buona parteanche cristiano, la morale cristiana èconsiderata un insieme di norme e diprecetti, per lo più al negativo e ri-dotta alla questione del lecito/illeci-to, permesso/proibito. Il trattato diteologia morale fondamentale deli-nea alla pastorale una triplice pro-spettiva importante, anzi determi-nante, per un nuovo annuncio con-vincente e desiderabile della moralecristiana.La prima prospettiva riguarda l’im-magine di Dio che, in Gesù Cristo enel suo mistero di morte e di risurre-zione, si rivela come Padre, amore,misericordia, rivelazione determi-nante per configurare la morale cri-stiana non come morale del timore

ma dell’amore. «Abbiamo conosciu-to l’amore e vi abbiamo creduto»: èquesto il fondamento dell’agire cri-stiano. La seconda prospettiva riguarda l’i-dentità dell’essere umano. In rispo-sta, l’antropologia mette radiciprofonde nel mistero di Cristo, «veraluce» che illumina la verità dell’esse-re umano che solo in Gesù Cristo co-nosce «la sua altissima vocazione»:essere e agire da figli/figlie di Dio.La terza prospettiva tocca le relazio-ni interpersonali, dalla più piccola al-la più grande fino all’umanità intera,e si caratterizza come fraternità: figlidi Dio e, quindi, fratelli/sorelle; fra-telli/sorelle perché figli/figlie dellostesso Padre.

Centralità dell’amore/agape

Per trasmettere il vero volto dellamorale cristiana, occorre recuperarela centralità dell’amore/agape: pri-mo principio teologico che definiscee identifica Dio e anche primo prin-cipio antropologico che identifica lapersona, «creata a immagine e somi-glianza di Dio». L’amore/agape di-venta così anche il primo principioetico, capitolo fondante e strutturan-te l’intero discorso morale.Nella consapevolezza che la divinarivelazione raggiunge la sua pienez-za nel mistero pasquale, nel qualesiamo stati costituiti nuove creaturee siamo divenuti figli nel Figlio, oc-correrà cercare nella Scrittura quegli

insegnamenti e quei gesti che orien-tano e armonizzano morale e fede.

Riflessione morale contemporanea

Il Concilio, intendendo rinnovare lateologia morale, a essa attribuisceun’esposizione scientifica che attin-ga le sue argomentazioni innanzitut-to dalla Scrittura. L’esposizione mo-rale ha il compito di mettere in lucedue fattori: la vocazione dei fedeli inCristo e il conseguente impegno/re-sponsabilità di crescere nella carità.Il punto di partenza per riflettere sulrapporto tra l’uomo e Cristo, neces-sario per una vita morale di tipo fi-liale, è il Cristo stesso nel suo miste-ro pasquale. C’è una circolarità tral’opera di Dio e la partecipazionedei credenti. Più si raffina la vita mo-rale dei figli, più i figli camminano ri-solutamente incontro al «segno delFiglio dell’uomo» (cf. Mt 24,30; Ap1,7). San Paolo così descrive il primomovimento di questa circolarità:«Rivestite l’uomo nuovo, creato se-condo Dio nella giustizia e nella san-tità vera. Perciò, bando alla menzo-gna... » (Ef 4,24s). «Rivestitevi dun-que, come amati di Dio, santi e dilet-ti, di sentimenti di misericordia, dibontà, di umiltà, di mansuetudine, dipazienza; sopportandovi a vicenda eperdonandovi scambievolmente, sequalcuno abbia di che lamentarsi neiriguardi degli altri» (Col 3,12-13). Ilsecondo movimento di questa circo-larità si potrebbe ritrovare nella tra-dizione giovannea, quando Gesù sirivolge ai suoi discepoli paragonan-dosi al ceppo: «Ogni tralcio che inme porta frutto, il vignaiolo, il Padrelo pota perché porti più frutto» (cfGv 15,2). Essere “potati” dal Padreimplica un’esperienza tipica dellasua sollecitudine paterna (cf. Eb12,5; Ap 3,19; Pr 3,12). In diversi mo-di Dio ha manifestato la sua bontà,prendendosi cura dell’uomo rispon-dendo alle sue domande fondamen-tali. La risposta che Dio inizialmen-te ha dato nella legge naturale rag-giunge il vertice nel Figlio, il quale ri-fulge pienamente dello splendoredel Padre (cf. 2 Co1 4,6), schiude aifedeli le Scritture, insegna la veritàsull’agire morale ed effonde lo Spi-rito.

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NOVITÀ LIBRARIE

Questo piccolo libro presenta una tren-tina di lettere che don Efrem Cirliniscrisse a Emanuela Ghini, monaca car-melitana scalza. Nella introduzione essatraccia il percorso spirituale del suo in-terlocutore dentro la vicende della co-munità orante della Piccola Famigliadell’Annunziata, fondata nel 1956 daGiuseppe Dossetti nella Chiesa di Bolo-gna, e chiamata dagli arcivescovi Man-fredini prima, e Biffi poi, a prestare il suoservizio monastico diocesano nel luogodelle stragi naziste di Monte Sole (Mar-

zabotto, 1944). Il libro ha un’attenta pre-fazione di don Athos Righi, per molti an-ni superiore della Comunità di donEfrem.

Efrem Cirlini, Emanuela GhiniIn comunione con Dossetti. Lettere di un monaco della

piccola famiglia dell’Annunziata a una carmelitana scalza (1961-1996)

Pazzini Editore, Villa Verrucchio (RN) 2016

Questo coinvolgente e interessante li-bro, scritto da p. Garello dal Bangladesh,è una bella testimonianza di vita edesprime il desiderio di condividere unalunga e intensa esperienza missionaria ela riflessione su vie e stile proponibili pertestimoniare “la gioia del vangelo”.Non ha la pretesa di presentare in modoesaustivo ciò che i cristiani fanno in Ban-gladesh, né di offrire formule o vie nuo-ve per l’apostolato missionario. I docu-menti del Capitolo generale dei missio-nari saveriani del 2013, sottolineano giu-stamente la necessità di “ripartire dalprimo annuncio”. La bella e ricca testi-monianza di p. Garello mira semplice-mente a dar fiducia alle “porte aperte”.

Lo storico tedesco Thiede (1952-2004),papirologo e docente nelle università diOxford, Londra, Ginevra e Basilea, stu-dia i linguaggi, le fonti contemporanee, ireperti archeologici, le strutture socialiebraiche e romane, rilegge documenti didiversa origine per datarne i frammenti,verificarne gli autori, e sostenere la cre-dibilità storica della figura di Gesù e la“solidità degli insegnamenti che abbia-mo ricevuto”. In poco più di 160 pagine,arricchite da un’ampia bibliografia, l’A.offre un testo molto accurato nella ricer-ca storica, semplice e chiaro nella espo-sizione, utile e accessibile per chiunquesi interroghi su chi era veramente Gesù;particolarmente interessante e opportu-no per gli studenti di Teologia fonda-mentale e di Storia del cristianesimo.

Nello sviluppo dei capitoli, Thiede ricer-ca come cominciò la tradizione scritta ein quale ordine apparvero i Vangeli;prende in esame le testimonianze ar-cheologiche relative a vari luoghi diret-tamente collegati a Gesù, in particolareNazaret e Cafarnao. Documenta come ilVangelo raggiunse Roma e quale ruolohanno avuto nella sua diffusione Pietroe Paolo.

Carsten Peter Thiede

Gesù, storia o leggenda?EDB, Bologna 2016, pp. 184, € 16,50

Silvano Garello, sx

Frontiera del vangelo. BangladeshEdizioni CSAM, Brescia 2016

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Un Dio umano.Per un cristianesimo non religioso

EDB, Bologna 2016, pp. 144, € 13,00

L’A., presbiteroe teologo delladiocesi di Vicen-za, docente all’I-stituto teologicodi Monte Beri-co, attualmenteè direttore diCasa Mamre,centro diocesa-no di educazio-ne all’amore eall’affettività edi consulenza matrimoniale. Il suo libro, sviluppa in 14 capitoli com-pletati da una postfazione di Carlo Mo-lari, un’ampia riflessione sulla verità e laqualità del cristianesimo, partendo dauna rilettura del pensiero di Dio e dellavita di Gesù. Si dà lode a Dio osservando meticolosa-mente il culto e le leggi religiose o impe-gnandosi per la giustizia, lottando per-ché tutti gli uomini siano uguali in di-gnità e in opportunità economiche, pro-muovendo la loro dignità?In un’omelia del dicembre 1977 il vesco-vo Oscar Romero affermava: «Una reli-gione di messe domenicali, ma di setti-mane ingiuste, non piace al Signore, unareligione piena di preghiere, ma senzadenunciare le ingiustizie non è cristia-na». Dio non risolve i problemi umani marende capaci di risolverli o di portarli inmodo positivo con gli occhi fissi su Cri-sto. Gesù non vuole che facciamo dellareligione qualcosa di appartato, lontanodalla realtà come se fosse un altro piane-ta, ma desidera che i credenti si immer-gano nel mondo, lasciandosi interrogaredai problemi, insieme con tutti gli uomi-ni, per trovare insieme delle soluzioni. Per questo Gesù si è dedicato totalmen-te a guarire gli ammalati, ad alleviaresofferenze, ad accogliere i lebbrosi e gliemarginati, a difendere donne, a ridaredignità alle prostitute, a benedire e ab-bracciare i piccoli. Sapeva che, per Dio,non c’è niente di più importante dellepersone. Il desiderio di Dio è che cer-chiamo e viviamo ciò che è bene per noi,ed evitiamo ciò che può farci del male erenderci infelici. Non si sostituisce a noi,ma vuol far crescere la fede in Lui e in-vita ad assumere la nostra responsabilitànei riguardi della storia e della vita. «L’uomo non può andare a Dio senza gliuomini e senza il mondo. I riti, la liturgia,i sacramenti sono importanti purchéportino alla vita e non fuori della vita».

Con questo intento, come ultima fatica,compiuta nel suo 50mo anniversario diordinazione sacerdotale, l’A. ha appenascritto in lingua bengalese due libri checercano di illustrare il contenuto del pri-mo annuncio.

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