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VESCOVO EDUARDO PARENTE S. Ecc. Il Vescovo Eduardo Parente, di origini grazzanisane, figlio di Lorenzo e di Mancini Elisabetta, nacque in Capua provincia di Caserta, il 2 ottobre 1887 e ivi morì il 25 settembre 1935 all’età di 58 anni. Iniziò e completò gli studi presso il Seminario di Capua. Fu nominato Vescovo nella sede vacante della diocesi di Terme antica dimora episcopale della provincia romana della Cappadocia, facente parte del patriarcato di Costantinopoli. E’ presente nella cronistassi dei vescovi titolari: Eduardo Parente † (4 agosto 1926 25 settembre 1935 deceduto). Nel 1933 fece parte del Comitato Direttivo per l’ampliamento del Museo Campano e per l’inaugurazione del Monumento ai Caduti in guerra della città di Capua. Riguardo a quest’ultimo, a lavori conclusi, organizzò, unitamente al Comitato, una manifestazione inaugurale alla quale intervennero, oltre alle autorità del luogo, S.A.R. il Principe Umberto di Savoia e S.A.R. la Principessa Maria José. Sono annoverati tra i partecipanti anche due nostri compaesani: il Cav. Prof. Giovanni Raimondo, Presidente del Comitato ONB e comandante dei giovani avanguardisti e il Comm. Oreste Lauro. Per l’occasione fu pubblicato un opuscolo dal titolo: “ Inaugurazione del Monumento ai Caduti in guerra e dell’ampliamento del Museo Campano”. All’interno è presente un suo discorso. Fu fondatore dell’Album in Omaggio a Francesco de Renzis XII Barone di Montanaro, e IV di S. Bartolomeo. Tra i suoi scritti si trovano: saggio monografico del 1907 “Eduardo Parente/Augusto Conti e la sua corrispondenza epistolare col Cardinale Capecelatro”; discorso “S.E.Mons. Eduardo Parente Vescovo titolare di Terme pronunciato nel salone del Municipio di Capua “In memoria del Maestro Giuseppe Martucci nel venticinquesimo anno della sua morte, 1909 1934”; discorso del 2 luglio 1913 tenuto nell’Accademia letterario-Musicale del seminario di Capua in omaggio a Mons. Gennaro Cosenza “Il nuovo Arcivescovo di Capua e l’esultanza dell’Archidiocesi”. Nella documentazione appartenente alla famiglia del Vescovo Eduardo risulta che la sorella Angelina donò alle suore Immacolatine lo stabile con ogni arredo sito in Capua alla via Oreste Salomone col vincolo di essere ospitata e con l’obbligo che in detto stabile fosse creato un pensionato per gli anziani come, in

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VESCOVO EDUARDO PARENTE

S. Ecc. Il Vescovo Eduardo Parente, di origini

grazzanisane, figlio di Lorenzo e di Mancini

Elisabetta, nacque in Capua provincia di

Caserta, il 2 ottobre 1887 e ivi morì il 25

settembre 1935 all’età di 58 anni. Iniziò e

completò gli studi presso il Seminario di

Capua. Fu nominato Vescovo nella sede

vacante della diocesi di Terme antica dimora

episcopale della provincia romana della

Cappadocia, facente parte del patriarcato di

Costantinopoli. E’ presente nella cronistassi

dei vescovi titolari: Eduardo Parente † (4

agosto 1926 – 25 settembre 1935 deceduto).

Nel 1933 fece parte del Comitato Direttivo per

l’ampliamento del Museo Campano e per

l’inaugurazione del Monumento ai Caduti in

guerra della città di Capua. Riguardo a

quest’ultimo, a lavori conclusi, organizzò,

unitamente al Comitato, una manifestazione inaugurale alla quale intervennero, oltre

alle autorità del luogo, S.A.R. il Principe Umberto di Savoia e S.A.R. la Principessa

Maria José. Sono annoverati tra i partecipanti anche due nostri compaesani: il Cav.

Prof. Giovanni Raimondo, Presidente del Comitato ONB e comandante dei giovani

avanguardisti e il Comm. Oreste Lauro. Per l’occasione fu pubblicato un opuscolo dal

titolo: “ Inaugurazione del Monumento ai Caduti in guerra e dell’ampliamento del

Museo Campano”. All’interno è presente un suo discorso. Fu fondatore dell’Album

in Omaggio a Francesco de Renzis XII Barone di Montanaro, e IV di S. Bartolomeo.

Tra i suoi scritti si trovano: saggio monografico del 1907 “Eduardo Parente/Augusto

Conti e la sua corrispondenza epistolare col Cardinale Capecelatro”; discorso

“S.E.Mons. Eduardo Parente Vescovo titolare di Terme pronunciato nel salone del

Municipio di Capua “In memoria del Maestro Giuseppe Martucci nel

venticinquesimo anno della sua morte, 1909 – 1934”; discorso del 2 luglio 1913

tenuto nell’Accademia letterario-Musicale del seminario di Capua in omaggio a

Mons. Gennaro Cosenza “Il nuovo Arcivescovo di Capua e l’esultanza

dell’Archidiocesi”. Nella documentazione appartenente alla famiglia del Vescovo

Eduardo risulta che la sorella Angelina donò alle suore Immacolatine lo stabile con

ogni arredo sito in Capua alla via Oreste Salomone col vincolo di essere ospitata e

con l’obbligo che in detto stabile fosse creato un pensionato per gli anziani come, in

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effetti, avvenne prendendo il nome di “ PENSIONATO PARENTE “. Si apprende altresì che

la stessa sorella, nel 1940, s’interessò che giungessero a Capua i frati Cappuccini ai

quali Mons. Salvatore Baccarini affidò la cura pastorale parrocchiale. Dei documenti

menzionati, una parte è conservata dagli eredi ed altra si trova nel Museo Campano di

Capua; di detti se ne riportano di seguito i frammenti essenziali.

Visione ingresso dello stabile

PENSIONATO PARENTE

sito in Capua.

Sul fascicolo personale presente nel

Museo Arcivescovile di Capua è scritto

Mons. Eduardo Parente

Vescovo Titolare di Terme

Confessa entrambi i sessi in tutte le chiese

dell’archidiocesi

TITOLI E BENEMERENZE

R. LICEO-GINNASIO

Principe Tommaso di Savoia Duca di Genova

S. MARIA C.V.

Parente Eduardo alunno della 1° classe

Liceale ha meritato il Primo Biennio

Nell’anno scolastico 1893 -94

S. Maria C.V. Giugno 95

Il Preside

N Stranieri

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REGNO D’ITALIA

LICENZA D’ONORE DAL LICEO

ANNO SCOLASTICO 1896 - 96

Consiglio degli insegnanti del liceo di S.

Maria C.V. nell’adunanza del 27 Giugno

1896. Vedute le classificazioni conseguite

ciascun anno del corso liceale dell’alunno

Signor Parente Eduardo figlio di Lorenzo

nato a Capua addì 2 Ottobre 1877 Veduto

l’articolo 62 del Regolamento per i Ginnasi e i Licei approvato con R.D. 20 ottobre

1894, dispensa il predetto alunno dall’esame per tutte le materie e gli conferisce il

presente diploma di

LICENZA d’ONORE

Dato in S. Maria C.V. il 6 Marzo 1897

Visto il R. Provveditore agli Studi

Il Preside

Luigi Moschettini

OPERA NAZIONALE

PER LA PROTEZIONE DELLA MATERNITA’

E DELL’INFANZIA (ISTITUITA CON LA LEGGE DICEMBRE 1925 – IV n. 2277)

S. E. il Mons. Parente Don Eduardo PROPOSTO DALLA FEDERAZIONE PROVINCIALE

DI Napoli E’ ISCRITTO FRA I SOCI ANNUALI

DELL’OPERA NAZIONALE PER LA PTOTEZIONE

DELLA

MATERNITA’ E DELL’INFANZIA

Roma lì 9 Dicembre 1930 - ANNO – IX –

IL REGIO COMMISSARIO

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OPERA ITALIANA PRO ORIENTE

DIPLOMA di BENEMERANZA

rilasciato a

S.E. Parente Eduardo

Vescovo di Capua

SOCIO BENEMERITO DELL’OPERA

ITALIANI!

AMATE IL PANE

CUORE DELLA CASA

PROFUMO DELLA MENSA

GIOA DEI FOCOLARI

RISPETTATE IL PANE

SUDORE DELLE FRONTE

ORGOGLIO DEL LAVORO

POEMA DI SACRIFICIO

ONORATE IL PANE

GLORIA DEI CAMPI

FRAGRANZA DELLE TERRA

FESTA DELLA VITA

NON SCIUPATE IL PANE

RICCHEZZA DELLA PATRIA

IL PIU’ SOAVE DONO DI DIO

IL PIU’ SANTO PREMIO ALLA

FATICA UMANA

Roma 1927 anno II Mussolini

DEL SUO FUNERALE NE PUBBLICO’ UN ARTICOLO IL GIORNALE:

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“ROMA”

Mercoledì 2 Ottobre 1935,

“Le onoranze funebri a S.E.

Monsignor Parente.

Capua 29

Tutta Capua e larga

rappresentanza dei paesi

vicini hanno seguito

lacrimando la salma del

Vescovo Eduardo Parente

cui sono stati resi onori

funebri di cui già uguali non

si ricordano a memoria di

uomo. Per disposizione del Comando della Divisione gli sono stati resi gli onori

militari con l’intervento della banda musicale del 10° Genio di S. Maria C.V. e del

Dopolavoro. Tutto il personale dello Stabilimento governativo, a sua richiesta, è stato

da questo Colonnello Direttore Comm. Pascucci messo in libertà per la durata delle

esequie ed ha seguito commosso il feretro. Vi era il Capitolo Metropolitano al

completo. Il Fascio di Combattimento, il Fascio Giovanile, i Balilla, le Giovani

Italiane, le Associazioni cattoliche maschili e femminili, le Confraternite cittadine, le

Società Operaie e le Suore di tutti gli ordini. Il corteo funebre occupava per ben due

chilometri le strade della città. Nell’atrio antistante al Duomo lo Avv. Cav. Uff.

Pastore Galderio ha pronunciato commosse parole rilevando i lati poliedrici della

figura di Mons. Eduardo Parente: sacerdote, cittadino, apostolo, studioso, oratore,

artista sempre ammirato, sempre ricercato, sempre esaltato da tutte le classi sociali.

Durante la messa, battuta dal maestro Valletta e celebrata da S.E. Monsignor

Baccarini, Arcivescovo di Capua,Mons. Giuseppe Della Cioppa, Decano del Capitolo

Metropolitano tessè l’elogio funebre del Presule estinto narrandone la vita dalla

infanzia alla morte, dedito sempre alle opere di pietà, agli studi ed alla propaganda

religiosa. Presso il tumulo leggevasi le seguenti due epigrafe: « All’illuminato

sacerdozio cattolico sposò il fervore di cittadino italiano ben operante, che i suoi

cinquantasette anni occupò nello adempimento del suo apostolato, col sollievo degli

afflitti ed il perdono dei tristi. Milite della fede, apostolo della carità, sempre e su

tutto dilesse la Religione e la Patria, a cui consacrò la sua non lunga, ma operosa

giornata». Dopo l’assoluzione alla salma impartita da Mons. Baccarini, si è riformato

il corteo fino all’uscita della città a Porta Napoli ove fra una folla enorme di popolo

arrampicantesi fin sugli spalti delle vecchie fortificazioni, l’avv. Andrea Mariano

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dette l’ultimo commosso saluto alla salma in nome del compagno di tutta la vita

dall’infanzia alla maturità e del popolo di Capua, che il defunto aveva sempre amato

sorretto ed onorato. La sua commossa parola elettrizzò lo ambiente e gli occhi di tutti

si inumidirono alla rievocazione delle virtù dello Estinto. Fra gli intervenuti notai:

S.E. il Vescovo d’Isernia Mons. Tesauri, il Piodestà Barone Michele Pasca di

Magliano, il Comandante del Presidio Comm. Pascucci, il Segretario del fascio

Polito, il Pretore Dott. Paturzo, il Comandante del Presidio Colonnello Dima, il

Presidente della Congregazione di Carità colonnello Guillet, il comandante della

compagnia dei Carabinieri Cap. Manfredonia, l’Arcidiaconi di Sorrento prof

Iaccarino, il Maggiore Capaldo, il Preside del R. Istituto magistrale Cav. Graziani, il

Direttore dell’Ufficio imposte Dirette Dott. Soriano, il Vice Podestà Dott.

Treppiccione, la Segretaria del fascio Femminile Felicetta Nicoletti, la Direttrice dei

RR Educandati Emma Iossa e la Sig.na Erminia Guerrieri da Napoli, le Signore

Leonardo, Smaniotto e le sig.ne Caprio e Martellini da teano, il cav. Viciglione di

Marcianise, l’Ing. Vito di Calvi , l’Ispettore Ventriglia, l’avvocato Pepe di Casagiove,

il Segretario del Fascio di Grazzanise Rag. Parente, il Segretari Capo del Comune

cav. Petroli e tanti e tanti altri. A casa Parente affluiscono a centinaia telegrammi e

lettere di condoglianze. Tra oltre duecento telegrammi notiamo quello di S.M. il Re.

Sua Maestà il Re esprime le sue vive condoglianze per la scomparsa dell’insigne

Monsignor Eduardo Parente

Mattioli»

ALCUNI TELEGRAMMI E LETTERE DI CONDOGLIANZE.

S. A. R. la Duchessa d’Aosta: « Con vivo dolore apprendo la morte di S.E. il

Venerato Vescovo Parente che apprezzavo ed ammiravo altamente per averlo

conosciuto e rimasta molto attaccata . Iddio certamente gli avrà dato, la corona

meritata dalla sua pietà e dalla sua vita esemplare, ma per chi rimane è una grande

sciagura.

Prendo parte al loro dolore

Duchessa Heléne D’Aosta»

L’Alto Commissario:

«Apprendo con vivo cordoglio immatura perdita Venerato Presule ed invio sentite

condoglianze

Alto Commissario Baratono»

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S.E. il Cardinale Ascalesi:

«Addolorato invio condoglianze prometto preghiere

Cardinale Ascalesi»

Il Segretario Federale:

«Nome Camice Nere Napoletane e mio personale invio espressioni profondo

cordoglio improvvisa perdita Eccellenza Parente, Presule degnissimo negli studi e

nelle opere

Federale: Picone»

✽✽✽

“INAUGURAZIONE

DEL

MONUMENTO AI CADUTI IN GUERRA

E

DELL’AMPLIAMENTO DEL MUSEO CAMPANO”.

All’augusta presenza

delle LL.AA.RR. il

Principe Umberto e la

Principessa Maria José la

città di Capua ha

inaugurato il monumento

ai suoi figli caduti in

guerra, riconsacrando le

reliquie dei propri ricordi

e la coscienza delle patrie

grandezze. Omaggio di

riconoscenza, ora di

benedizione e cattedra di

ammaestramento il

monumento agli eroi, che

latinamente poggiarono

sulle altezze dell’epopea,

scrivendo col sacrificio

delle loro giovinezze i

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canti omerici del grande poema d’Italia. Omaggio di riconoscenza. E’ per vero se

ancora echeggia nei cuori l’eco di quelle ore così dense ed emozionanti della storia,

in cui la Gerusalemme ai lidi dell’eroico Belgio, alle rive del Piave ed alle nostre

cime dolomitiche tutto s’infranse quanto ieri pareva di bronzo, ed a bandiere che

erano di guerra e di sangue una se ne sostituì, che annunziò il ritorno di novelle

serenità, Capua così ricca di benemerite, patriottiche tradizioni, non poteva

dimenticare quanta balda gioventù sacrificò il fiore degli anni suoi, allorquando il

terribile flagello della guerra travolse la vantata civiltà in vortici di fiamme ed in

gurgiti di sangue. E non pure la terra rosseggiò di sangue. Ah! Quel ribollire dei mari

e degli oceani; quel palpitar dei flutti, quello avvolgersi in vortici insoliti ed in voci

nuove, quando tante vite innocenti, ancora ignare delle passioni e dei conflitti umani,

furono sepolte nel profondo, prima ancora che le passioni ed i conflitti stessi. E nel

limpido azzurro dei cieli quelle ali, che Iddio stesso c’insegnò a disattendere valide e

salde alla conquista degli spazi, quante volte quelle ali resero lacrimosa la terra! Ma

la terra ed i mari si ritemprarono nell’ardimento delle eroiche vittime. E nel momento

– simbolo di riconoscenza – Capua ha voluto effigiare Oreste Salomone, il pilota

della morte, che, fissando dappresso la pupilla immensa del sole, consacrò nel tempo

il trionfo degli ardimenti e della generosità della stessa terra natia, che oggi torna a

Capua alla testa dei cento caduti in guerra, i cui nomi sono incisi nella pietra. Non

puro omaggio di riconoscenza, ma ora di benedizione. E’ per vero sarebbe mai

possibile che ad una semplice pietra dovrebbero far naufragio tutte le altezze del

genio e del valore, tutte le risorse della forza, della virtù e dell’eroismo? Ah! No; la

speranza cristiana, questa bella figlia del cielo, batte al cuore del padre, della sposa,

dei figli, e soavemente li conforta, perché coloro che essi piangono non son morti, ma

vivono e vivranno nella gloria della patria immortale, sotto i raggi immarcesibili di

un sole, che no piega e non piegherà a tramonto. E’ però il monumento perpetuando i

nomi degli eroi, creerà monumenti nuovi e più belli, i monumenti dei cuori e

dell’affermazione cristiana; avendo saputo questi eroi ottemperare alla grande voce

dell’ubbidienza, del dovere e del sacrificio: ubbidienza, dovere, sacrificio, che sono

tre grandi idealità ed anche tre grandi cristiane realtà. Ma anche cattedra di salutare

ammaestramento. Ascoltate, infatti, la grande voce, che da quel monumento si

disprigiona, e che suona così: “ Fratelli, non più tempeste, non più onde contro onde:

unitevi, amatevi, e pace duratura e feconda sia tra di voi. Che forse non siam morti,

perché altre morti desolassero la vostra terra? Ascoltate il nostro grido : unitevi,

amatevi, imparate a non contrastare, ma a sollevare, formatevi un’eredità non di odi e

rancori, ma di amore e di carità”. Questo il monumento, che Capua ha inaugurato, e

la cui cerimonia è riuscita quanto mai solenne e degna della storia per l’intervento

delle LL.AA.RR. il Principe Umberto e la Principessa Maria José. Personificazione

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fulgidissima delle sue benemerite, millenarie tradizioni; figlio di quel Re soldato, che

ebbe ed ha sempre la sovranità quale esercizio austero di virtù e la suprema potestà

quale simbolo di sublimi doveri, e che, nel periodo della grande guerra, portò alle sue

vette alpine la sua fede pura ed incontaminata come le nevi, Umberto di Savoia,

sintesi sublime di questa Patria novella, di cui egli, nel turbinio della guerra, sentì

palpiti inenarrabilie di cui, in anni che speriamo lontani, raccoglierà scettro e corona,

Egli, fiore elettissimo della sua stirpe magnanima, insieme con l’Augusta Principessa,

che, con la grazia della sua regale grandezza, incoraggia ogni nobile iniziativa, ha

voluto dare la sovrana sanzione ai generosi intendimenti della cittadinanza capuana,

tanto lieta ed orgogliosa di trasfondere l’anima sua nell’anima sabauda e di mostrare

con manifestazioni di entusiasmo indescrivibile la sua fiducia patriottica, invitta ed

invincibile, in Casa Savoia.

Capua 8 dicembre 1933 – XII

EDUARDO PARENTE Vescovo

FOTO INAUGURAZIONE MONUMENTO

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I SUOI SCRITTI

ALBUM IN OMAGGIO A FRANCESCO DE RENZIS XII BARONE DIMONTANARO E, IV

DI S. BARTOLOMEO

(Testo composto di 263 pagine. Si riportano esclusivamente recensioni e lettere).

Capua

A

Francesco De Renzis

R. Tip.Giannini &Figli

Napoli

Strada Cisterna dell’Olio

AI LETTORI

Quando da terra straniera Francesco de Renzis ritornò

gelida salma nella sua città genitrice, ov’egli, tra l’affetto

dei concittadini all’aer dolce dei monti, pensava di

venire, un giorno, a prendere riposo e compiere

serenamente i suoi anni Capua con tenerezza di madre pianse sulla tomba del gran

figlio perduto, e il suo dolore immenso, profondo non ebbe parole. Rientra la calma

negli animi, la dura riflessione mostrò in tutta la realtà il gran vuoto che la morte

aveva prodotto, e vuoi per l’arcana voce del dovere, vuoi per il bisogno forte

dell’anima di rivivere in qualche modo con l’estinto e combattere la terribile

possanza dell’oblio che involge tutte le cose mortali, sorse l’idea di rendere solenni

onoranze alla memoria dell’Illustre cittadino. Con nobili parole, che in pochi ed

efficacissimi tocchi ricordano la cavalleresca figura del de Renzis, S.M. Vittorio

Emanuele III aderì alle onoranze, contribuendo alla loro effettuazione, alla quale

contribuirono altresì S.E. il Presidente del Consiglio dei ministri e Ministro

dell’Interno On. Giolitti e S.E. il Ministro degli affari esteri on. Tittoni – presidente

onorario del Comitato dello scorso anno, due ricordi marmorei furono qui inaugurati

in memoria di Francesco de Renzis, la cui nobile vita e geniale figura, dinanzi alla

maestà di tutto un popolo commosso e plaudente, fu lumeggiata, come meglio non si

sarebbe potuto, dall’eloquente parola di S.E. l’on Prof. Emanuele Gianturco, oggi

Ministro dei Lavori Pubblici. Ma un altro momento si volle che in omaggio alla

memoria dell’illustre cittadino sorgesse dalle pagine di un Album così solennemente

aperto dalla sovrana adesione di S.M. il Re d’Italia, da quella di S.M. il Re della Gran

Bretagna, dalla parola di S.A. il Principe Napoleone, dalle lettere degli insigni uomini

preposti alla Presidenza del Senato d’Italia e della Camera dei deputati e dalla parola

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del ministro degli Affari Esteri. Aderendo cortesemente all’invito, che loro volsi in

nome di Capua, ben centocinquanta, tra uomini politici,letterati, artisti, alcuni

stranieri e ventisei signore mandarono versi leggiadri, autografi musicali, elette prose,

articoli o brevi pensieri, che sono stati distribuiti in due parti, distinguendo quelli su

de Renzis e quelli su argomenti varj. A S.E. l’on. Gianturco, che ha consentito la

pubblicazione del suo discorso in quest’ Album a quanti hanno onorato e arricchito

l’Album della loro parola ed a coloro che nella compilazione di esso mi coadiuvarono

con tanta cortesia - al chiarissimo Direttore del Giornale d’Italia, Alberto Bergamini,

all’on Comm. Angelo broccoli, al Comm. Vincenzo Bindi e al Prof. Francesco de

Felice – rendo di gran cuore infiniti ringraziamenti. Un voto, intanto, accompagni

queste pagine, specie nella Campania felice, di cui Francesco de Renzis fu uno dei

più felici rappresentanti, dimostrando sempre e dappertutto in sé mirabilmente

congiunta alla nobiltà della prosapia la nobiltà dell’intelletto e dei voleri, come per

la tomba di lui dettò S.E. Ferdinando Martini. Quod bonum felix faustumque sit.

Possano queste pagine non essere un semplice tributo d’affetto e d’onore alla memori

a di Francesco de Renzis, ma tener viva nei nostri cuori l’immagine di lui, come nei

giorni in cui tanto fascino esercitava su di noi la sua parola fervida di alti sensi e

vibrante di gran fede nei migliori destini della patria. Il sacro fuoco che vivificò

quell’anima eletta riviva nelle nostre fibre; quello che fu il principio, il proposito, il

voto della dignitosa sua vita s’innovi in noi; il ricordo della virtù s’imprima e

fruttifichi efficacemente nei nostri spiriti. Così avverrà che impulsi e propositi

generosi si affermeranno moltiplicheranno; e noi, migliorando noi stessi, e

continuando in opere degne la nobile personalità di Francesco de Renzis, onoreranno

col più solenne omaggio la memoria di lui; mentre il suo spirito, alitando d’intorno,

r3enderà grazie e benedizioni. Ma, erede dell’antica grandezza, Francesco de Renzis

ci ricorda altresì tutta una eletta coorte d’illustri conterranei, che con la loro storia e

coscienza ci dettero una storia gloriosa di tanti secoli, una storia che tanto più arduo e

grave e difficile rende il compito delle nuove generazioni. Raggio di divina virtù, il

sole, che sì benefico splende, vivificando così soavemente e potentemente la

Campania felice, donde impresse all’estatica fantasia italiana le prime visioni d’una

natura redentissima,dia tanto di vigore al cuore e di luce all’intelletto, che mente e

cuore all’ombra della cara memoria di Francesco de Renzis, possano assorgere alla

più utile considerazione di tutta la gloriosa storia campana e, compresi dell’arduo

compito, preparare alla patria nuove glorie e nuovi trionfi.

Capua , 5 Giugno, 1906

Eduardo Parente

RINGRAZIAMENTI E ELOGI

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IL BARONE RIENZO DE RENZIS

Gentilissimo Signor Parente

Ho ricevuto la comunicazione riferentesi a quanto è stato

fatto per le onoranze a mio padre e all’iniziativa sua per la

compilazione di un album commemorativo. Creda che

apprezzo tutta l’opera disinteressata e ammiro il risultato

ottenuto . Questo mi dimostra non solo quanto vero e

sincero rimpianto abbia lasciato la morte prematura di mio

padre, ma anche l’intelligente e solerte attività spiegata

nel raggiungere il compito intrapreso.. A lei, come a tutti i

membri del Comitato, esprimo la riconoscenza mia e di

tutta la famiglia. All’imponente manifestazione di stima, che la cittadinanza capuana ,

la provincia e tutti gli amici e conoscenti vogliono rendere alla memoria di

Francesco de Renzis, senso vieppiù quanto sia difficile per me continuare

degnamente una stirpe, che da Cola di Rienzo tribuno e senatore, a Leopoldo martire

per la libertà e a Francesco mio padre, tanti ricordi di virtù civili e intellettuali mi

tramandò. Mi pare di esser un viandante affranto dal peso della bisaccia, e per l’aspra

strada disperi di giungere alla meta agognata. E’ solo mio scopo nella vita di

tramandare onorato un casato che illibato ed illustre ebbi quale retaggio paterno. Se

voi ricordate in Francesco de Renzis l’uomo che tutta la vita e la facoltà dedicò al

paese natio e alla patria, io piango in lui un padre che di bontà e d’affetto circondò la

mia giovinezza, e i due precetti in due parole si compendiano, onore e dovere. Scrivo

da questo paesello di Montanaro, che tante generazioni di de Renzis albergò, e in cui

mio padre agognava passare i vecchi anni. Tanto non gli fu concesso, e morì sulla

breccia, affranto da un lavoro senza tregua; ed io, pochi giorni prima di sua morte,

correggevo presso il suo letto le bozze del suo ultimo scritto in commemorazione del

Cimarosa. Morì sereno; e l’ultimo suo desiderio ho adempiuto, riportando la mortale

sua spoglie in Capua ov’egli nacque e che tanto amò in vita. Capua vuole adesso

ricordare questo suo figliolo. Rinnovo a lei, al Comitato e a tutti che di lui serbano

memoria la mia riconoscenza sincera.

Mi creda, intanto,

Castello di Montanaro, 5 dicembre 1905

Devotissimo

Rienzo de Renzis

Barone di Montanaro

Gentilissimo

Signor Eduardo Parente

Capua.

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IL SINDACO DI CAPUA

Illustrissimo e carissimo amico

Con vero intelletto d’amore avete curato la compilazionedi

un Album, il cui sommario, da me con tanto compiacimento

letto, attesta la grande importanza di esso, che, nel bel

concerto di si illustri scrittori italiani e stranieri, è un vero

monumento intellettuale. Il barone Francesco de Renzis fu

indubbioiamente un’autentica illustrazione della Campania e

uno dei più nobili esempi della genialità e versatilità

dell’ingegno meridionale. Nella lista dei centocinquanta

collaboratori ho letto nomi di personaggi, che di Francesco de Renzis negli studi,

nelle armi, nelle lettere, nel Parlamento e nella diplomazia, e ciò considerando, se

anche io non sapessi di certi interessanti articoli storici e letterari, potrei bene

argomentare che l’album sarà non solo un monimento letterario, ma un documento

storico nella secdonda metà del secolo scorso. Esso, inoltre, onorando la memoria di

Francesco de Renzis, onora altresì questa citt;ed io, a nome di essa, rimgraziando voi,

ringrazio tutti coloro che hanno collaborato al detto Album, dal quale spero che

Capua saèprà trarre ammaestramenti e impulsi a generose azioni. Con tale augurio vi

prego accogliere i sensi di mia sincera stima e affetto.

Capua, 30 maggio 1906

Devotissimo

Avv. Giovanni Rotondo

Illustrissimo

Signor Eduardo Parente

Capua

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IL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO PROVINCIALE DI TERRA DI LAVORO

Egregio Signor Parente

Apprendo con molta soddisfazione che la pubblicazione

tanto desiderata in memoria e onore di Francesco de

Renzis. Non dubito che l’Album corrisponderà alla

comune aspettativa, degna dell’uomo che fu certamente

tra i primi cittadini di questa nostra Terra di Lavoro –

una delle più geniali figure di cittadino, soldato, scrittore,

uomo politico dell’Italia nuova. E non potrà essere

diversamente, perché alla compilazione dell’opera Ella ha

dato tanto intelletto d’amore e così affettuosa premura da

meritare veramente la gratitudine non pure degli amici,

degli ammiratori del nostro Uomo dei cittadini di Terra di

Lavoro, ma di tutti gl’Italiani perché a tutti – nelle diverse

manifestazioni della sua vita - Francesco de Renzis resta

esempio d’ogni migliore virtù.

Con osservanza

Caserta 1 giugno 1906

Federico Grossi

FRANCESCO DE RENZIS

Soldato, scrittore, diplomatico, attinse le cime per vie

dirette, e adoperò la penna e la spada entrambe come armi

sacre per la patria, per la libertà, per la Verità

Vittoria Aganoor Pompilj

Illustre Signore,

La sua lettera, che è modello della cortesia squisitissima,

non so se più mi confonde o mi onori. Ne la ringrazio dal

più vivo del cuore; e a mostrarle, pure, questi miei sensi di

animo grato, sarei più che mai lieto di poter preparare

qualcosa da inviarsi a codesto onorevole Comitato per la

circostanza solenne; ma dubito che non me lo consentiranno

il tempo e le forze. Presentemente sono qua per ragioni di salute; e, tornato, oltre i

consueti lavori, avrò da proseguire il mio volume sulla vita e sugli scritti del

compianto Prof. Augusto Conti; volume che dovrà uscir tra non molto, e certamente

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non dopo l’anniversario della morte di lui. Mi scusi Ella dunque, e si accerti che

questa per me è privazione forte, che volentieri concorrerei, sia pure in molto povero

modo, a celebrare la cara memoria di quell’uomo insigne che fu Francesco de

Renzis. Tuttavia se mi si riesca di vincere questi impedimenti che io Le ho

sinceramente accennati, sarà per me una festa, e subito Le manderò quel che mi sia

riuscito di preparare. Accolga, illustre Signore, i miei osequj sinceri, e i sensi della

mia stima profonda.

Bagni di Montecatini 28 luglio 1905

Augusto Alfani

Ill.mo Sig. Eduardo Parente

Capua

Caro signor Parente

Può ben credere quanto mi sarebbe grato

associarmi alle persone cospicue, che hanno

in animo di onorare la memoria dell’illustre

barone Francesco de Renzis; ma la malattia, che mi affligge da più di sei mesi e

ancora non mi abbandona, me ne impedisce. Voglia egli intanto scusarmi e gradire la

mia adesione.

G.B. Gandino.

Signor Parente,

Non credo che si possa degnamente contribuire

all’Album da pubblicarsi in memoria

dell’Illustre de Renzis, se non toccando qualche

punto della sua mirabile operosità letteraria,

politica, patriottica e diplomatica. Ora, non

trovandomi io in grado di scrivere qualche cosa di speciale su tale argomento, debbo

rinunciare a quello che sarebbe stato mio vivo desiderio di corrispondere

all’onorevole invito era veramente quello di essere aggiunto alla schiera degli illustri

scrittori chiamati a compilare l’Album commemorativo di una delle più pure e

autentiche glorie dell’Italia contemporanea. Le chiedo, intanto, scusa, e la ringrazio

delle cortesi parole

Napoli 28 luglio 1906

Michele Kerbaker

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Egregio Signor Parente

Non so, sinceramente, se mi sarà dato di

corrispondere al cortese invito;ma questo io so,

che è dover mio, che è bisogno dell’animo mio

ringraziarla dell’onore impartitomi. Partecipo,

intanto, col pensiero e con l’animo alle onoranze, con cui Capua commemora

Francesco de Renzis.

Napoli 31 ottobre 1906

Giustino Fortunato.

Signor Parente

Mio padre è da lunghi mesi ammalato;

tuttavia egli nutriva qualche speranza di

poter rispondere all’invito cortese: di qui il

ritardo di questa risposta. Ma, siccome le

sue condizioni di salute non gli permettono assolutamente di occuparsi, egli viene

nella determinazione di declinare l’invito a mio mezzo, dichiarandosi dolentissimo di

non poter partecipare attivamente alle ben degne onoranze da tributarsi alla memoria

di quell’illustre patriota e geniale scrittore, che fu Francesco de Renzis.

Venezia 19 maggio 1906

Mario Pascolato

Egregio Signor Parente

Facendo plauso alla sua bella iniziativa cittadina e

patriottica dell’onorevole Comitato per la onoranze a

Francesco de Renzis, mi pregio inviarle i seguenti distici

destinati all’Album d’omaggio in memoria dell’illustre

italiano. Alla tenuità del contributo supplisca la sincerità del

sentimento; ed Ella lo aggredisca insieme coi miei vivi

ringraziamenti per le nobili parole che le piacque

indirizzarmi.

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DISTICHA

Felix qui pulcro studio rum et laudis amore

Ductus, in haec totum contulit ingenium.

Ast animo et meritis longe felicior ille

Cui patriae decus et amxima cura salus.

Hic aerit etatum dominus. Quid enim nisi cives

Sint ominus memores splendida fama uvat?

Omnia fert tempus. Benefacta manent. Dat onorem

Quem mors ipsa fovet posteritatis amor.

Aloisa Anzoletti

Villae Rsae apud Tridentum

d.XV Kal sept. MDCCCCV.

Saggio Monografico

DEL 1907

AUTORE

EDUARDO PARENTE ≈ ≈ ≈ ≈ ≈ ≈

≈ ≈ AUGUSTO CONTI

e la sua corrispondenza epistolare

col CARDINALE CAPECELATRO

Prem stab. lito-tip. F. CAVOTTA S. Maria Capua Vetere - 1907 ≈ ≈ ≈ ≈ ≈ ≈

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A Sua Eccellenza Rev.ma Mons. Biagio Pisani

Arcivescovo Titolare di Lepanto e Ausiliare

di Capua e all’Ill.mo Padre Giorgio Brocchetti

dell’Oratorio di Napoli

Eccellenza, Rev.mo Padre,

All’antico rispetto e alla grande ammirazione per le

egregie doti di mente e di animo che vi adornano , un

sentimento di profonda gratitudine, si è unito in me in

questi ultimi mesi; sia per la gentile premura che voi, Eccellenza, e Voi,

reverendissimo Padre, avete avuta nel consigliarmi fin dal primo giorno di cui vi

manifestai il proposito di iscrivermi nella milizia ecclesiastica; sia per la squisita

cortesia che m’avete usata, concedendomi di leggere la corrispondenza epistolare di

Augusto Conti col Cardinale Capecelatro, da Voi in gran parte e con tanta cura

custodita. Dal bisogno di manifestare in qualche modo la mia riconoscenza nacque in

me il pensiero di dedicare a Voi il presente scritto; pensiero tanto più vivo per il

ricordo della stima e dell’affetto riverente che il Conti nutrì sempre per Voi e che voi,

nella grande bontà dell’animo vostro, abbiate già accennatola dedica è per me onore e

allegrezza vivissima. Ma in verità, più che sdebitarmi, avrò ora nuovi e maggiori

doveri di deferenza e di gratitudine, che m’è assai grato di attestare con vera

effusione di cuore; giacché la dedica a Voi, insieme all’attraente titolo di

quest’opuscolo, che porta in fronte i nomi illustri del Cardinale Capecelatro e di

Augusto Conti, avvalorerà non poco questo mio povero scritto. Chiedo, intanto,

copiose benedizioni, e con gran rispetto mi pregio di ripetermi

Capua, il giorno di San Carlo Borromeo del 1907

Dev.mo umil.mo servo

EDUARDO PARENTE

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DISCORSO

≈ S.E. MONS. EDUARDO PARENTE

VESCOVO TITOLARE DI TERME

PRONUNCIATO NEL SALONE DEL MUNICIPIO DI

CAPUA

IN MEMORIA

DEL Maestro GIUSEPPE MARTUCCI

NEL VENTICINQUESIMO ANNO DELLA SUA MORTE

1909-1934

1936 TIPOGRAFIA L. DI LAURO

Telefono interno 81386

Salve, o Capua, antica e cospicua capitale della

Campania, fra tutte le città italiche solo a Roma

seconda, e che, insieme con Corinto e Cartagine,

avresti potuto sostenere, secondo l’enfatica

espressione di Cicerone , il peso e la gloria

dell’impero del mondo. Quante memorie ne desta il

tuo nome glorioso; quanti fatti illustri, quante guerre

strenuamente combattute; quanti atti di eroico valore;

quanti uomini insigni nelle arti, nelle lettere, nelle

armi, nel maneggio dei pubblici uffici; quale

splendore nel magistero della chiesa;quale fulgore di civiltà non ti resero nobilissima!

Fondata dai Tirreni,iniziò il suo periodo di luminosa grandezza. Fu metropoli potente

e ricchissima al tempo della etrusca repubblica con i settanta senatori. Aprite Tito

Livio e voi leggerete le pagine luminose del progresso e della grandezza capuana.

Salve, o Capua nuova, che quantunque per magnificenza e per grandezza, non potevi

neppure lontanamente paragonarti alla Capua antica, pure se ti vennero continuate e

perpetuate tutte le antiche tradizioni. Volgete lo sguardo alla sua sede episcopale; la

serie dei Pastori risale all’età degli Apostoli: sede illustrata sede illustrata,

imporporata dal sangue di vescovi capuani, i quali confermarono col martirio quella

fede che avevano predicata al popolo capuano; sede, che vanta un San Vittore, le cui

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lettere vanno elencate fra quelli dei padri della Chiesa; un san germano anch’egli

cittadino capuano e vescovo di Capua, tanto caro al patriarca del monachismo

occidentale. Sede illustre, che, anche negli ultimi tempi,

ha avuto porporati insigni, fra cui il cardinale

Capocelatro, che fu cittadino attivo ed onorario di Capua,

ove per ben 32 anni esplicò la sua attività episcopale e

letteraria e fu il precursore dei tempi nuovi. Spaziando

limpido l’occhio nei domini della storia squarciò il velo

dell’avvenire, e, inneggiando ai progressi della scienza astronomica e degli

osservatori, il regio di Catania e il pontificio del Vaticano, auspicò che fosse questo il

preludio di ben altro incontro, che compisse il voto supremo di ogni buon italiano.

Ammirazione e strepito accolse quel voto, ma noi oggi siamo ben lieti di salutare nel

cardinale Capocelatro il precursore delle nuove fortune d’Italia. Qui nella Capua

nuova, il valore delle armi in Ettore Fieramosca; il segno politico di Pietro delle

Vigne; il genio della sapienza di san Tommaso d’Aquino, patrizio capuano, qui la

cultura storica di Camillo Pellegrino. E fermandomi al secolo XIX, mi sia concesso di

rammemorare il senso politico e patriottismo di Salvatore Pizzi e di Francesco De

Renzis, il valore militare del generale Mezzacapo, la scienza chirurgica di Ferdinando

Palasciano, chirurgo di fama mondiale e creatore della Croce Rossa sui campi di

battaglia, l’erudizione archeologica del Canonico Gabriele Iannelli, che, di per sé,

inventario vivente e parlante e geloso custode del nostro patrimonio archeologico e

bibliografico, fu il fondatore del Museo Campano di questo Museo, che costituisce il

santo orgoglio di quanti sono figli di Capua, animatissimi delle patrie grandezze e

desiderosi di vedere alto, fuori l’onda del tempo e delle lotte, i commentari espressi

nel marmo, nel bronzo, nella pietra ed ogni specie di cimeli, che raccolgono le grandi

vestigie della nostra storia e della nostra civiltà. E che dire del poema dei nostri

caduti per la patria? Vi sono giorni d’esaltazione e di memorie , in cui il popolo

sente il bisogno di ritrovarsi, per un’ora almeno, per riconsacrare la

religione dei suoi ricordi e la coscienza dei suoi fati, per riaccendere le

lampade in un rito di fraternità e di purificazione, che, disarmando gli spiriti

di ogni egoismo e di ogni scorta impura, ravvicina i fastigi del passato al ritmo

fuggente della vita che passa, e, rievocando le gesta grandiose e titaniche, l’anima

della patria elevi al cospetto della storia e di più vivi fulgori illumini, nelle sue glorie

millenarie, il volto sublime di questa patria nobilissima. Ebbene quest’ora noi la

vivemmo l’anno scorso in quella solenne cerimonia, onorata da tanta cospicue

autorità con a capo l’Alto Commissario della Provincia il Gr. Uff. Pietro Baratono:

cerimonia resa altamente nobile e suggestiva dall’ambita presenza delle LL. AA. RR.

gli augusti Principi di Piemonte, il cui intervento segnò una data quanto mai gloriosa

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nei fastigi della cittadinanza capuana; onde noi anche da queste pagine siamo lieti di

rinnovare ad essi gli atti della nostra profonda ammirazione e riconoscenza. Noi la

vivemmo quell’ora dinanzi al monumento, che perenne il

nome di Oreste Salomone ed i nomi dei nostri cento

militari, che accesero latinamente le altezze dell’epopea, e

con lo strazio delle loro carni e col sacrificio delle loro

giovinezze scrissero i canti omerici del grande poema

d’Italia. Ma anche nell’arte della musica non eccelse il

genio di Capua? Non fu sotto questo cielo incantevole, che nel secolo XVIII fiorirono

Rinaldo e Marcello da Capua e Giovanni Furno? Non fu sotto questo cielo

incantevole, che nel secolo XIX emersero Andrea De Simone e Raffaele Coppola? E

fra tutti questi musicisti non si eleva forse e non vola come aquila Giuseppe Martucci,

nato il 6 gennaio 1856 in un modesto basso a Via Monte dei pegni da Orsola

Martucciello e da un modesto suonatore di tromba Gaetano Martucci? Non vi rechi

meraviglia la povertà dei suoi natali: è tanto più bello contemplare il Martucci

nell’apoteosi della gloria, quanto più da un basso loco e tra più folti spineti cominciò

egli a salire. Piuttosto vi rechi meraviglia, che un Vescovo, affatto ignaro di musica,

vi parli oggi di un principe della musica, e ve ne parli qui, nel palazzo della città, a

questo punto, dove per vari anni tuonò autorevolissima la parola di un legittimo

rappresentate della città di Capua, che ci resse in qualità di Sindaco e che cospicue

benemerenze portarono ad altissimo ufficio della presidenza della Camera dei

deputati, la parola di S.E. l’Avvocato Antonio Casertano; qui, a questo punto, donde,

parecchi anni addietro, in memoria dell’Ambasciatore De Renzis risuonò la voce

fascinatrice di un principe del giure e della parola, di un insigne mio maestro, di un

rappresentante perfetto della feconda anima meridionale, la voce del Ministro del Re

Emmanuele Gianturco. Ma il nobile invito del benemerito Circolo di cultura Donne

Professioniste ed Artiste, egregiamente presieduto dalla gentildonna Prof Concetta

Casertano Pizzi; l’amore che ebbi sempre per il bello, sorgente di virtù e di valore;

l’esser fratello di colui, che s’adoperò nel 1914 per la commemorazione martucciana

e la mia qualità di cittadino capuano amatissimo delle glorie patrie e delle patrie

grandezze, affinché il debito onore si tributi a quelle glorie, e da quelle glorie derivi

sprone e incoraggiamento a ben fare; tutte queste ed altrettante ragioni varranno, io

credo, a riconciliarmi in qualche modo il vostro generoso compatimento; mentre io da

questo compatimento sorretto, cercherò di mostrarvi in Giuseppe Martucci una delle

più fulgide espressioni del mezzogiorno d’Italia nella sovrana arte dei suoni. Vorrei

in questo momento avere la possente parola dei grandi oratori classici e ripetere

efficacemente il sentimento profondo e vibrante del 31 maggio 1914, quando fu

consacrato, come in apoteosi, la memoria di Giuseppe Martucci. Non v’è parola

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quanto possente e colorita, che possa produrre tutte le

sfumature del sentimento e rispecchiare l’anima di

questa nobile terra. Solo la musica potrebbe descrivere

così forti sentimenti o almeno tentare di riprodurli.

Grande in quel giorno era la mestizia del cielo; ma più

grande era la mestizia nostra per la perdita del grande

scomparso. Alla parola del Sovrano d’Italia una parola

non meno vibrante si unì, la parola di questo popolo capuano, che amava il figlio suo,

perché sapeva, com’egli, pur giunto alle supreme altezze dell’arte, si onorasse di

essere figlio di un popolano; perché sapeva com’egli amico di grandi, non fu mai

cortigiano, e, amico del popolo, non fu mai uno dei tanti tribuni da strapazzo, che non

servono alla causa del popolo, ma alla causa propria; perché sapeva come egli, figlio

di popolano ed amico del popolo aveva sentita ed attuata tutta l’alta aristocrazia e

tutta la sovrana nobiltà dell’arte per riguadagnare all’Italia il posto che le spettava fra

le nazioni del mondo; perché sapeva che la più grande e feconda eredità che ci

abbiano lasciato i nostri maggiori non sono state specialmente le terre fecondate dai

loro sudori, non sono state le città solidalmente fabbricate, ma bensì l’eredità della

fede, delle lettere e delle arti, con le quali abbiamo conquistato il mondo.

Precocissimo fu il nostro Martucci. Aveva appena dieci anni, quando dette a Capua il

primo concerto insieme con sua sorella Teresina. Sotto ilo cielo di Capua genitrice,

egli sent’ fremere lo spirito dell’arte, a cui legò il suo nome: e quel concerto fu una

vera rivelazione, fu tutta una promessa; e di esso giova ricordare l’attestato di tre

insigni nostri concittadini, il Pizzi, il Cuccari e il Brandi, che si segnalarono nella vita

pubblica capuana; attestato che fa parte dei vari certificati custoditi dall’esimia

Signora Maria Martucci, che fu l’angelo tutelare e l’ispiratrice benefica del suo

dolcissimo Giuseppe. Poco dopo il Martucci si allontanò da Capua per entrare nel

conservatorio musicale di Napoli e seguire la su carriera artistica. Correvano gli anni

belli delle lotte audaci e delle superbe battaglie, combattute con tanta fede in difesa di

quell’alta concezione dell’arte, la quale per le vie luminose di una libertà sin d’allora

contesa, tentava di slanciarsi al possesso della storia e dell’estetica. Abbracciare in

una visione sintetica il dominio dell’arte pura con un concetto universale, senza

inciampi, senza barriere, senza vieti pregiudizi: ecco il sogno degli eletti, nella cui

schiera, fin da giovanotto, militò con tanta fede Giuseppe Martucci. E se questa

precoce anima di artista, tutta pervasa da desiderio irrefrenabile di apprendere, di

diffondere e di prodigare il verbo dell’arte pura , palpitò dei primi sogni nel Collegio

celebre, che per tradizione si era fatto proprio il concetto di un’estetica assoluta, ligia

a forme e ad atteggiamenti, generanti sana bellezza, dobbiamo riconoscere che nel

nostro giovane Martucci ebbe forza assoluta un’ampia e vigorosa energia intuitiva

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tutt’affatto personale. Beniamino Cesi aveva già inculcato

lo studio dei classici, riuscendo ad abbattere il regno della

rumorosa fantasia su motivi d’opera e della vuota

sentimentalità. Ma la sua nobile opere si era rivolta

specialmente alla letteratura pianistica. Giuseppe Martucci,

quando i perspicaci insegnanti di Paolo Serrao non ancora

lo avevano iniziato ai segreti dell’armonia e del

contrappunto, aveva avuto in quella scuola la visione del nuovo ed ancor del più

vasto orizzonte, che un giorno avrebbe dovuto aprirsi per lui. E con questa gloria si

affermò pianista squisito nel giro dei concerti, che egli fece in Italia, in Germania, in

Inghilterra, in Francia, ove Antonio Rubistein lo proclamò gloria Italiana. E quando

quei pochi spiriti eletti lo chiamarono in Napoli a insegnare nel Conservatorio ed a

dirigere la Società del quartetto, la preparazione di lui era già interamente compiuta:

il Martucci era veramente un maestro. Nei pochi anni in cui egli potette dirigere la

benefica istituzione, i suoi sapienti programmi rivelarono ad un pubblico, dapprima

stupefatto, poi a grado a grado convinto ed entusiasta, tutto un mondo di sensazioni

nuove e dolcissime, le quali di quel pubblico elevarono l’intellettualità e la

sensibilità a tal segno, da renderlo capace di comprendere le espressioni dell’arte

musicale più elevate, più ardue e più complesse . Così, in breve tempo, Napoli che,

fino verso il 1880, in fatto di cultura musicale ristagnava in una sonnolenza torpida ed

ignara, ad un tratto si trovò, per opera e per merito di Martucci, ridestata dal suo

torpore e messa alla testa della cultura musicale italiana. Compositore di aristocratica

eleganza, il Martucci seppe fondere nell’opera sua il più schietto sentimento d’Italia e

il più austero temperamento nordico. Il sapiente ed impeccabile magistero della

forma trattiene e contiene lo slancio sentimentale, lo trattiene, ma per ciò stesso ne

raddoppia le infrenate energie. Fedele alle forme del sommo maestro Bonn, egli non

rinnega nessuna delle sostanziali conquiste posteriori della musica strumentale,

intessendo soprattutto su quel classico traliccio un ricamo prettamente moderno di

ansie e di aspirazioni. E dalla mente, confusa dalla bellezza del sogno ideale, ma

immaginosa sempre; dal cuore pulsante; dall’animo vibrante di passione si

sprigionarono, con impeto e con foga, le maggiori concezioni, quelle che dovranno

divenire patrimoni della nuova Italia musicale, le Fantasie, i Concerti, i quartetti, le

Sinfonie meravigliose. Ai successi del pianista i successi del compositore: i premi

ripetutamente conseguiti alla Società del Quartetto di Milano e l’esecuzione in quel

Conservatorio dei più importanti lavori, sino allora compiuti. Se a tutto questo

aggiungete i concerti dell’Orchestra napoletana, che, iniziati a Torino nel 1884,

furono per tutti gli italiani come la rivelazione d’un nuovo aspetto della poderosa e

complessa anima artistica di Giuseppe Martucci, voi conchiuderete che ormai, a soli

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28 anni, l’esecutore, il compositore, il direttore si erano affermati in modo completo

ed assoluto. E se Beethoven sinfonista era in quel tempo quasi del tutto trascurato in

Italia, l’opera di Wagner era addirittura derisa come la

stravagante espressione di un ingegno folle. Martucci

rivelò a Napoli e all’Italia tutta la bellezza di quelle

pagine di Riccardo Wagner e ne diffuse intorno la luce

trionfale. E quando Bologna lo ebbe a direttore del suo

Liceo Musicale, a 16 anni di permanenza del maestro

valsero a conquistare a Bologna la reputazione di

cittadella della grande arte musicale e al pubblico bolognese quella del più serio ed

evoluto fra gli altri della penisola. Ma la premura dei suoi concittadini di adozione lo

richiesero con insistenza commovente nella città dei suoi studi e dei suoi uffici,

perché fosse stato possibile riprendere il raggiante commino, interrotto nel 1886.

Ebbene egli ritornò a Napoli; accettò la direzione del Conservatorio San Pietro a

Majella; e le cinque operose annate di concerti orchestrali ebbero un’efficacia

definitiva per la cultura musicale napoletana. Ma quale la ragione di questo altissimo

prestigio del Martucci? Il Martucci non era un musicista, ma era la musica, era

un’anima essenzialmente e nobilmente meridionale, era un’anima musicale, dotata di

una sensibilità sottilissima. Da questa sensibilità derivava una coscienza d’arte, che

pochissimi altri musicisti hanno posseduto a si alto grado, e di tale coscienza artistica

il compositore e l’interprete hanno dato frequenti e non dubbie prove : la prima, che

egli, a meno di trent’anni, aveva saputo ideare e comporre il Concerto per pianoforte,

col non accostarsi per molto tempo alla Sinfonia, sembrandogli di non essere

abbastanza degno dell’ardito cimento. Un’altra prova egli dette nel penetrare bene

addentro nell’anima dell’autore, da lui eseguito, riuscendo in tal modo singolare

animatore delle sublimi concezioni di Beethoven e di Wagner, e facendo vibrare di

fremiti nuovi alcune pagine italiane, che sembravano avere già ricevuta un’impronta

definitiva dalle tradizionali esecuzioni: sensibilità profondamente meridionale dello

spirito del Martucci, che aveva il suo contrapposto in una compostezza cerebrale,

quale si sarebbe pensata in un musicista nordico dei più austeri. Essa rifulge

smagliante nelle sue opere più poderose, nella Prima e nella Seconda Sinfonia, in cui

il sostrato classico beethoveniano è tutto pervaso dal grande soffio di modernità,

quasi a rilevare l’intima e ardente lotta della sua anima musicale, che gridava il

fremito, lo sgomento verso il mistero della vita. Guardatelo nelle sue esecuzioni; e

voi rimarrete fatalmente attaccati a quella magica bacchetta, che, con lieve fremito, si

agitava nell’aria per rendere più intenti e sospingere all’attacco i cento archi,

irresistibilmente avvinti alla incrollabile volontà dell’infallibile duce. Senonchè

Martucci soffrì, profondamente e nobilmente soffrì. Chi sa misurare infatti la portata

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del sagrifizio, logorante nell’anima e nel corpo, che un musicista, un direttore, artista

nel vero senso della parola, viene compiendo dinanzi ad un pubblico, allorquando nel

guidare masse numerose di esecutori non sempre agili, né spiritualmente preparate a

eseguirlo nella sfera di idealità superiori, si propone di rivelare e di far comprendere

la grandezza nobilissima dell’anima che ha concepito nel quadro di bellezza? Sono

ore di angoscia dolorosa, frammiste a lampi fugaci di gioia; incubi spaventosi, solcati

da lievi speranze; lagrime che si confondono col mesto sorriso; sconforti che si

alternano a vere esaltazioni dello spirito affranto. E quando nel dicembre del 1908, fu

chiamato alla ribalta di S. Carlo dal clamore incessante degli applausi, lo si vide

trascinare a stento la persona emaciata e disfatta. Un sorriso lieve e mestissimo gli

sfiorava con ineffabile dolcezza le labbra esangui. L’ardua prova era vinta, ma

l’eroico lottatore ne usciva ferito a morte. Il terribile male, che lo insidiava, lo aveva

assalito nella stanchezza e minacciava prostrarlo. Gaetano negri, eletto ingegno e

smagliante scrittore, che non fu credente, sebbene visse sempre nel desiderio della

fede, scrisse che la necessità di sciogliere il problema della morte è nell’uomo sentita

più fortemente ancora della necessità di sciogliere il problema della vita, ed è ciò che

ancora oggi una forza irresistibile alla ragione. La storia dell’umanità è assai più

determinata dal modo di comprendere la morte, che dal modo di comprendere la vita.

Verissimo ciò che afferma il Negri in queste parole ricche di luce e di sapienza

cristiana. E però mi è caro il rilevare che il Martucci comprese e sciolse

cattolicamente il problema della morte. In quel periodo egli sentì vivo ed imperioso il

bisogno di riconciliarsi con Dio. E si conciliò. E quando venne l’ora del supremo

passaggio, le voci superne che egli aveva saputo far vibrare ed echeggiare nel cuore

di tutta Italia, si accompagnarono a lui d’accanto, in una gigantesca sinfonia, degna di

cantare la gloria di dio immortale. E la Marcia funebre dell’Eroica e l’Inno al

Creatore e l’Inno alla Gioia, tutto questo mondo di bellezza echeggiò presso di lui a

suo grande conforto, a sua grande gioia. Capua ha voluto oggi rendere testimonianza

della comune gratitudine cittadina al figlio insigne, al felice rappresentante del

mezzogiorno d’Italia, al grande Maestro nell’arte dei suoni; ed in verità ha

degnamente operato; ben degna di tramandare gli insegnamenti che possono trarsi

dalla vita laboriosa ed artistica del Martucci. Insegnamenti ai maestri, affinché essi

siano intenti sempre meglio ai sacri diritti dell’arte e dell’onore d’Italia.

Insegnamento a tutti. Un giorno Riccardo Wagner proferiva un augurio ideale,

Giuseppe Martucci, giovinetto, lo accolse, ed, in breve, compì il miracolo di

avvicinarsi ad un’altissima visione dell’arte pura, mostrando in sé e nella prodigiosa

sua opera mirabilmente compendiate le nobilissime armonie della grande arte dei

suoni.- Questo miracolo di pure e sovrane armonie lo ricordi spesso Capua agli

italiani a monito della stessa vita individuale e sociale: lo ricordi specie in quest’ora

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solenne, in cui, per l’altissimo intelletto e per l’illuminata sapienza di Sua Santità Il

Sommo Pontefice Papa Po XI, di Sua Maestà il Sovrano d’Italia Re Vittorio

Emanuele III e di Sua Eccellenza il Duce Benito Mussolini, si è assorti alla più

consolanti armonie fra la religione e il patriottismo. Con vivo entusiasmo la

condivida Capua la sua gloria con Napoli, dove il Martucci iniziò e compì la sua

gloriosa carriera, e dove all’incanto impareggiabile della natura si disposa tutto lo

spirito sfolgoreggiante dell’arte, irradiato oggi possentemente dall’altissimo e

nobilissimo patronato delle LL.AA.RR. gli augusti Principi di Piemonte, sintesi

sublime di supreme idealità anche nel campo dell’arte. Insegnamento particolarissimo

renda Capua ai suoi figli, specie oggi che essa vive quasi soltanto di illustri e grandi

memorie, ma che può tuttavia alimentare belle e liete speranze. Il sacro fuoco, che

vivificò l’anima eletta di Giuseppe Martucci riviva nelle fibre dei cittadini capuani;

quello che fu il principio, il proposito, il voto della dignitosa sua vita s’innovi in essi;

ilo ricordo delle virtù s’imprima e fruttifichi efficacemente nei loro spiriti. Così

avverrà che impulsi e propositi generosi si affermeranno e moltiplicheranno; e i

Capuani, migliorando se stessi, e continuando in opere degne la personalità del

Martucci, onoreranno col più solenne omaggio la memoria di lui; mentre il suo

spirito, alitando dintorno, renderà grazie e benedizioni.

TELEGRAMMI

Il telegramma della Signora Martucci

_______

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La Signora Maria Martucci, dolente di non essere potuta intervenire alla

commemorazione per ragioni di salute, inviò il seguente dispaccio:

“ Esimia Signora CONCETTA CASERTANO CAPUA

“Commossa per l’omaggio alla memoria di

“Giuseppe Martucci, ringrazio dell’invito, spiacente

“che ragioni di salute mi vietano intervenire

“alla commemorazione. Assisterò in ispirito

“alla nobile città, a Sua Eccellenza Mons.

“ Parente ed a Lei.

“A tutti i componenti della odierna celebrazione

“giunga l’espressione della profonda

“riconoscenza mia e dei miei figli.

MARIA MARTUCCI

Ringraziamento del Circolo di cultura Donne Professioniste

ed Artiste di Capua

_______

Eccellenza

In nome dei Circolo, che ho l’onore di dirigere e mio personale,

sento il bisogno di ringraziare l’eccellenza Vostra vivissimamente

per la magnifica orazione, elargita in occasione della

commemorazione Martucciana al pubblico capuano,

che ascoltò riverente, ammirato, commosso

Con profondo ossequio mi creda

Obbligatissima

CONCETTA CASERTANO PIZZI

A Sua Eccellenza

Mons. EDUARDO PARENTE

VESCOVO

CAPUA

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Sac. EDUARDO PARENTE

Il nuovo Arcivescovo di Capua

e l’esultanza dell’Archidiocesi

Discorso letto il 2 luglio 1913

Nell’Accademia letterario-musicale

Del Seminario Capuano in omaggio

a Mons. GENNARO COSENZA

Eccellenza reverendissima,

Signori,

E’ davvero giocondo e commovente lo spettacolo che

da due giorni presenta la città di Capua, abbandonata ad

un vero plebiscito di esultanza e di giubilo.

Dall’entusiasmo di quel nobile corteo di dignitari

ecclesiastici, militari e civili,che, domenica, accolse

Vostra Eccellenza nel primo solenne ingresso in questa

vetusta città, alle espressioni di riconoscenza di tanti

figli della povertà e del dolore, cui ieri voi, Eccellenza,

confortando e benedicendo, distendeste la mano paterna

(I); dai frenetici applausi di tutta una fitta calca di popolo, che, domenica, fluttuante

quasi vasta marea, accompagnò Vostra Eccellenza nella nostra cattedrale; a questa

eletta adunanza di prelati, di ufficiali, di signore e di cittadini insigni, qui convenuti

per partecipare alla festa del nostro Seminario, è tutta una dolce armonia di pensieri e

d’ affetti, vibranti all’unisono come le corde di un’angelica cetra, dinanzi a cui

l’animo sentesi profondamente affascinato e commosso, come già «il rapito Patmos

Evangelista» all’udire i concenti della celeste Gerusalemme. Ebbene, dinanzi a

questo spettacolo solenne, dove troverò io la parola rispondente all’arcano

linguaggio, di tanti cuori e di tante intelligenze, dove troverò la parola scintillante di

luce, che si armonizzi per dolcezza di eloquio con i suoi musicali e con le note

melodiose di tanti canti sublimi? E però quando mi è stato

(I) Il giorno innanzi, Sua Eccellenza il nostro Arcivescovo aveva visitato l’ospedale

Palasciano e il mandicicomio femminile.

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affidato l’onorifico compito di pronunciare in si fausta circostanza il discorso di

prolusione, io, nel primo momento, ho temuto non poco; ma, soldato della religione e

della Chiesa, avvezzo non da ora alle lotte ed ai

cimenti, mi sono spinto con coraggio nell’arringo di

questa festa, confortato dal pensiero di compiere un

dovere e dalla speranza sicura che la mia parola

susciterà facile compatimento, giacché, se debole in sé,

avrà, incontra stabilmente, questo di buono, di essere,

cioè, non una parola convenzionale, ma l’espressione

viva dei miei sentimenti, che ho cercato di significare

con la stessa spontaneità e col medesimo slancio, con cui sono scaturite dal cuore del

popolo tante entusiastiche dimostrazioni: ho fatto come colui che sente vivamente ciò

che si agita dentro di sé, e senz’altro dice ciò che dentro gli suona. Consentite perciò,

Eccellenza, che, al cospetto di sì onorata assemblea, io raccolga tutte le

manifestazioni e tutti gli attestati del giubilo, sprigionatisi da mille cuori e risuonanti

su mille labbra e, componendoli tutti come fiori in un serto olezzante, lo deponga ai

vostri piedi, e, intanto, mi domandi il perché di tanta esultanza, che ne ha avvinti in

un sentimento ed in un palpito comune. E’ vero che, specie in certe occasioni, la gioia

è un dovere ed insieme un bisogno dei popoli costumati e gentili e che solo i vili non

si sollevano, né si esaltano; ma è pur vero che queste nostre sono qualche cosa dippiù

che semplici feste e semplici manifestazioni di doverosa accoglienza. Esse sono feste

di popolo che crede, di popolo che ricorda, di popolo che sa. E prima che la mia

parola si fermi a dichiarare in qualche modo questo triplice significato degli attuali

festeggiamenti, permettete, Eccellenza, che io rivolga un deferente pensiero alla

memoria del vostro predecessore, che, lustro dell’Episcopato ed onore del Sacro

Collegio, fu soprattutto gloria di questa città, al cui nome quello del Capecelatro si

era intimamente connesso, per cui anche in certi periodi difficili, che spesso

attraversa la vita così degli individui come delle città e delle nazioni, il nome di

Capua non cessò giammai di risuonare alto e rispettato perfino nelle più lontane

contrade, giacché risuonava insieme con quello di Alfonso Capecelatro. La vita

vissuta ininterrottamente in questa terra genitrice mi addita nel sentimento

schiettamente religioso una delle ragioni dell’entusiasmo del popolo capuano, devoto

con vero affetto filiale alla Chiesa cattolica, a questa immensa società, che, nata con

una piccola schiera di apostoli e di discepoli, assembrati sotto le volte del Cenacolo, è

oggi diffusa per il mondo intero, ed alla quale, fin dai primi tempi, i seguaci di gesù

Cristo dettero spontaneamente il nome di madre, il nome dell’amore più grande e più

affettuoso che commova le creatura umane. E però facendomi eco dei sentimenti dei

mie concittadini, che con tanto entusiasmo si commuovono per questa festa, la quale

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torna anche ad onore della Chiesa cattolica, io con quanto ho di cuore la saluto questa

nostra grande Madre comune, gloriosa di una storia tante volte secolare e ricca di

dottrina divina, che da diciannove secoli si va

ripetendo in tutto l’universo, in Occidente ed in

Oriente, fra popoli civili e popoli barbari, fra ricchi e

poveri, fra villici dalle mani incallite dal lavoro e fra

contadini abbronzati dal sole, come fra i potenti ed i

grandi, viventi nella luce del cattolicesimo. Ma la

storia e la gloria della Chiesa cattolica, che dura da

tanti secoli, e che durerà quanto il moto lontana, é

insieme gloria e storia di un’istituzione nata con la Chiesa stessa, il giorno in cui

Gesù pose in Pietro il fondamento di essa, onde nacque nel mondo una grande parola,

che raccoglie in sé tante idee, tanti affetti, tante speranze, la grande parola il Papato,

venutaci dall’Oriente, come dall’Oriente ci viene la luce. E’ il Papato infatti la

sorgente donde derivano quasi tutti i fonti di vita, che largamente si spargono nei

popoli cristiani; è esso il principio unitivo di tutte le verità, l’alto potere collocato sul

vertice della santa monarchia della Chiesa, potere, in cui vive e vigoreggia lo stesso

Episcopato cattolico, il quale è come il corpo di un’unica persona morale con a capo

il Sommo Pontefice,l nello stesso tempo in cui con la sua autorità di giurisdizione, col

suo carattere sacramentale, con la grazia del suo ufficio e con la sua celeste dignità è

limpida e viva fontana di tutta l’operosità del Vescovo. Oh la grande figura del

Vescovo! Ritto sul fastigio della gerarchia, tutto premuroso nella fedeltà alla Chiesa,

nel culto delle scienze sacre, nella tutela della tradizione, nell’educazione dei fedeli,

nel soccorso di tutti i miserabili, santificato dalla rugiada della santa unzione;

cavaliere di Dio dall’anello simboleggiante il connubio con la Chiesa e dai guanti

della grazia e della benedizione, affinché le sue mani si serbino pure e innocenti al

servizio di un’anima generosa e attiva; capitano, armato di scettro pastorale e

ricoverta dalla gemmata mitria, simboleggiante nella sua forma la doppia forza che

egli deve ricavare dal V. e dal N.; oh! Come è nobile e grandiosa la figura del

Vescovo, sacerdote perfetto nella grandezza, ricongiungentesi, per una successione

non interrotta, ai primi eletti di Cristo. Fu la sua mano feconda che diede alla Chiesa

primitiva il sacerdozio; e d’allora in poi le onde sacre della gerarchia non cessarono

di scaturire dalla medesima fonte. E’ vero che talvolta la sublime gerarchia

ecclesiastica è vituperata, o tenuta a vile; ma è pur vero che, assai delle volte l’ostilità

contro il cattolicesimo non è ostilità alle sue dottrine, ma contro a ciò che gli

avversari immaginano che esse siano, non è ostilità contro gli istituti della nostra

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gerarchia, ma contro l’idea nebulosa e falso che essi ne hanno nella loro mente e che

turba i loro sonni. Però, vivaddio, il popolo di Capua e di tutta la nostra Archidiocesi,

insieme con la fede nella Chiesa cattolica, ha serbato

sempre vivo il sentimento di sottomissione, di rispetto, di

ossequio, all’Autorità, e specialmente al proprio Vescovo,

per cui le feste di questi giorni sono state e sono non

soltanto feste di preti, ma feste di popolo e di ogni ordine

di cittadini, dai più alti rappresentanti civili agli umili

popolani, dai forti commercianti agl’innocenti fanciulli,

dai cultori esimii degli studii e dagli alti operai del pensiero e della penna ai modesti

lavoratori dell’officina e dei campi. Ma è questo altresì un popolo che ricorda, e che

perciò reca nelle sue sublimi manifestazioni i generosi impulsi di una coscienza

temprata alla grandezza del Passato ed ai fasti immortali di quest’antica Metropoli, di

cui voi, Eccellenza, avete fatto parola nella lettera pastorale, che testé pubblicata,

augurando che i figli s’ispirino sempre meglio agli esempi luminosi dei padri. Certo,

noi ricorderemo sempre con santo orgoglio l’avere una sede episcopale così vetusta,

che risale ai tempi degli Apostoli, e che ebbe come primo vescovo San Prisco, uno

dei discepoli di Gesù. Noi li ricorderemo con affetto vivo ed efficace tutti quei grandi

vescovi, cha da San Prisco fino all’841dopo Cristo illustrarono la Chiesa capuana: da

San Quarto a San Quintino; da San Panfilo, sotto di cui fu celebrato in Capua il

famoso Sinodo plenario di tutta la Chiesa occidentale, a San Simmaco ed a San

germano; da San Vittore a San decoroso, che tanta parte ebbe nella lotta contro i

Monoteliti, a da san Vitaliano a san Paolino. Né il periodo dei vescovi Sicopolitani,

quando la sede vescovile da Capua, distrutta per opera dei saraceni, fu trasferita a

Sicopoli, resterà un periodo triste per noi; giacché, senza dire che i vescovi

Sicopolitani si dissero pur sempre Capuani, quel periodo è una delle tante prove

luminose di ciò che possa la forza e la vitalità del Cristianesimo. La Chiesa capuana,

infatti, battezzata da San Prisco e irrigata dal sangue di tanti Martiri, aveva in sé

germi quando mai fecondi di vita: e però essa doveva necessariamente risorgere a

fasti più gloriosi, come in effetti rispose, quando la sede vescovile, trasferita da

Sicopoli nella Capua nuova, fu elevata a prima sede metropolitana di tutte le

provincie meridionali d’Italia, e s’iniziò quella serie di arcivescovi e Cardinali, che

sono stati nostro vanto e nostra gloria , e fra i quali si annovera anche il nome di

Roberto Bellarmino con tanto entusiasmo ricordato nella lettera pastorale di Vostra

Eccellenza, come illustrazione teologica italiana e principe fra i controversisti contro

l’eresia protestante. Certamente i cittadini di Capua, e in special modo il clero, le

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ricorderanno e rievocheranno con ardore sempre vivo queste glorie fulgidissime per

trarne stimolo a ben fare; ma, in verità, non è stato solo il ricordo delle glorie testé

accennate uno degli elementi ispiratori dell’attuale

esultanza. I più vecchi fra i nostri concittadini, specie in

questi giorni hanno ricordato ciò che essi videro

personalmente nel tempo della loro giovinezza; ricordi

personali, che hanno spesso manifestati ai loro figliuoli,

perché li custodissero come un patrimonio sacro e come

una delle glorie più pure di questa fortunata città.

Ripetuti anche a me fin dai miei teneri anni, quei ricordi erano costantemente

vivificati da due ritratti custoditi con tanta cura in famiglia , e sotto di cui erano

rispettivamente scritti a chiari caratteri il nome del cardinale Giuseppe Cosenza e

quello del cardinale Francesco Saverio Apuzzo, i quali nomi furono tra i primi che io

cominciassi a compitare, e che spesso ripetevo ad alta voce, quasi a prova dei miei

progressi nella mia lettura. Ebbene, oggi soprattutto i nostri vecchi e con essi anche i

loro figliuoli hanno ricordato quei due campioni della dottrina cattolica e della pietà

cristiana, che furono appunto monsignor Giuseppe Cosenza e monsignor Francesco

Saverio Apuzzo, i quali vissero una vita veramente degna dei tempi apostolici e

ascesi sul fastigio dell’episcopato e decorati dalla porpora cardinalizia, rifulsero tanto

più luminosamente, a guisa del sole, che quando si eleva sull’orizzonte, più illumina

la terra, inondando di luce i monti e rischiarando la pianura e le valli. Membro

d’importanti Accademie e dell’Almo Collegio dei teologi di Napoli, F.S. Apuzzo,

dopo di avere insegnato ed essere stato rettore dell’Università di Napoli, ove

sedevano quei giganti del pensiero, che riscuotevano l’ammirazione dell’Europa,

dopo di avere insegnato ai principi reali, facendo rifulgere fra le dolcezze della Corte

lo spirito di mortificazione e di preghiera; dopo di essere stato presidente per la

pubblica istruzione, non cessando giammai di lumeggiare le grandi armonie fra la

scienza e la fede ; egli, che aveva già rette così felicemente le sorti della Chiesa

Sorrentina, legò il suo nome benemerito alla sede arcivescovile Capuana,

continuando le gloriose tradizioni dell’Immortale suo zio Giuseppe Cosenza, teologo

insigne e Vescovo esemplarissimo. Giacchè o illustri signori la vita del cardinale

Giuseppe Cosenza era stata tutta una serie di alte benemerenze e di carità operosa, per

cui egli, vescovo di Andria, era chiamato il Borromeo delle Puglie , e, promosso ad

arcivescovo di Capua, era rassomigliato ora a San Vincenzo dei Paoli ed ora a San

Francesco di Sales per quella sua soave dolcezza, che piegava ogni volontà più

riluttante e disarmava i cuori più inclinati a vendetta. Entrate nel nostro Duomo, e

quelle sacre mura vi ripeteranno un cantico di osanna a Lui, che volle profondervi

magnificenze, oro e capolavori. Entrate col vostro fantasioso pensiero nelle prigioni

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di quel tempo, e vi troverete i monumenti della sua carità, la quale valse a spezzare

molte catene. Entrate negli ospedali, e vi sentirete l’eco della sua generosità. Entrate

nei tuguri, e, anche lì, voi troverete i segni della carità di lui, che visse beneficando

sempre, e recando tutto il possibile sollievo alla miseria

ed al dolore, triste sfondo nel quadro della vantata

prosperità di ogni popolo. Con memore e grato

pensiero il 30 di questo mese i cittadini capuani

trasporteranno da l cimitero comunale nella nostra

cattedrale le spoglie mortali di questi due campioni

della Chiesa, compiendo così un dovere, che insieme

voto ardentissimo di tanti anni (I). Ebbene alle sacre urne, che racchiuderanno quelle

spoglie, noi andremo spesso a inchinarci; ad esse noi condurremo spesso i nostri

giovani leviti, affinché s’ispirino ad opere egregie. Io non so ridire la indicibile

commozione provata pochi giorni or sono, quando, insieme col rappresentante della

città di Capua e col rappresentante del Capitolo metropolitano vidi dischiudere

l’avello contenente gli avanzi dei cardinali Cosenza ed Apuzzo. Mi si consenta però

di manifestare un pensiero, che allora mi balenò alla mente. Io pensai e dico che

quell’avello si è oggi dischiuso dopo tanti anni, forse perché le ossa di Giuseppe

Cosenza e di Francesco Saverio Apuzzo hanno dovuto avere anch’esse un fremito di

esultanza per il novello Pastore, che viene a reggere con fedeltà e prudenza

l’Archidiocesi capuana ; io credo che esse, apparendo oggi, dopo tanto tempo,ai

nostri sguardi, abbiano voluto mandare un saluto beneaugurante a voi ,

Eccellenza,che vi siete assiso sulla sede degli illustri zii, e di essi siete il benemerito

erede; erede non di beni ecclesiastici, giacché questi beni i cardinali Cosenza e

Apuzzo li elargirono a pro della Chiesa e dei poverelli, ma di un patrimonio

incomparabile nobile e grande che voi avete saputo ben custodire ed accrescere, il

patrimonio delle più eletti virtù. La conoscenza di queste virtù, le quali per tanti anni,

in terra a voi vicina, hanno dato in Vostra Eccellenza manifestazioni così fulgide,

costituisce appunto l’altra e principalissima cagione dell’esultanza del popolo

capuano, che entusiasticamente saluta ed ammira nell’Eccellenza Vostra il fedele e

prudente dispensatore dei doni di Dio, sia nel campo della scienza che in quello della

pietà. Giovinetto ancora, nella tenera età di 17 anni, voi eravate già Principe nel

circolo teologico del liceo arcivescovile di Napoli. Laureato in teologia con

pienissimi voti, diveniste ben presto Maestro e poi Decano dell’almo Collegio

teologico.

(I) Il 30 dello scorso luglio, infatti, con solenne e commovente cerimonia, ebbe luogo la

traslazione degli avanzi dei due illustri Cardinali, di cui S.E. Monsignor Mario Palladino

tessé l’elogio con dotta e magistrale parola.

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Professore di scienze sacre nel liceo arcivescovile di Napoli e nel collegio

ecclesiastico di Maria, che, per parecchi anni, fu la più alta scuola teologica per il

clero di tutto il Mezzogiorno d’Italia; professore di scienze sacre nel seminario di

Caserta, che, specialmente per lo studio delle discipline teologiche è salito così alto

da gareggiare con i primi d’Italia, voi, a buon diritto,

Eccellenza, rifulgete tra coloro che sanno sedere in

teologica famiglia; e però tutta un’eletta schiera di discepoli

e d’ammiratori molti dei quali sono anche vescovi o

membri cospicui dell’illustre clero napoletano si sono

inchinati e s’inchinano riverenti, onorando in voi il maestro

ideale, sia per la profonda coltura, che per il metodo d’insegnamento, per cui con

parola facile e limpidissima piacevole ai giovani d’ingegno e accessibile nello stesso

tempo anche alle tarde intelligenze , sapete spiegare gli alti e profondi misteri della

fede. Come più conosciuta e più amata sarebbe la Chiesa, se molti fossero i maestri

sullo stampo di Vostra Eccellenza! Grande n’è il bisogno specie oggi che la coltura

profana, progredendo di pari passo con la ignoranza religiosa, tenta continuamente

d’infrangere le grandi armonie fra la scienza e la fede, e determina quei contrasti, che,

sebbene impossibili teoricamente, sorgono così spesso in pratica fra una scienza mal

digerita ed una scienza ignorata o mal intesa. E però in quest’ora solenne e dinanzi a

voi, Eccellenza, m’è assai grato di manifestare l’augurio fervido, che sorgono

numerosi i maestri, i quali con profonda conoscenza della dottrina cattolica, con

parola limpida, vivificata dallo spirito buono e con l’intelletto saturo di scienza seria

e soda, ridicano alle nuove generazioni la parola della fede. E se così avverrà, allora

soltanto noi cattolici potremo sperare di riprendere completamente quel primato

intellettuale, che prima del secolo XVI ci apparteneva senza contrasto, e la cui mercé

potemmo mantenere l’unità della fede nel pensiero attraverso quel portentoso Medio

Evo, che, fra tanti capolavori, ci dette Somma di San Tommaso d’Aquino e il poema

dell’Alighieri, i quali basterebbero essi soli a glorificare il Medio Evo e l’Italia. Ma

se voi, Eccellenza, non cessando giammai di seguire tutto il movimento scientifico,

specie per ciò che riguarda la Bibbia e la Teologia, vi siete levato così alto nella

conoscenza delle cose divine; d’altra parte avete sentito come non meno nobile, né

meno fruttuoso sia quel catechismo cattolico, che è il tentativo più ardito e santo fatto

nelle età antiche e moderne di un insegnamento nobile e condensato. E però avete

voluto e curato che l’istruzione religiosa s’impartisse in tutta la diocesi di Caserta con

vari incoraggiamenti di premi agli alunni delle scuole catechistiche; vi siete adoperato

sia perché sodalizi di signore si costituissero per promuovere viepiù la cristiana

educazione delle giovanette, sia perché nelle case fondate da Vostra Eccellenza in

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Caserta, in Maddaloni e Cervino le suore del Sacro Cuore e le Immacolatine

esercitassero nel modo migliore la loro operosità efficacemente educatrice. Non

contento di tutto ciò, avete voluto voi medesimo, per il

corso di tanti anni, impartire lezioni di catechismo alle

alunne delle scuole normali: opere tutte, che, insieme con

le conferenze per gli uomini e con l’impulso efficacissimo

dato al culto dell’Eucarestia, dinanzi alla quale s’impara

talvolta più che in lunghe ore di studio, costituiscono una

scuola bene ordinata per la progressiva educazione dei

cuori e delle coscienze e per la conoscenza sempre più larga e profonda del Vangelo,

che ha in sé un insegnamento così popolare e sublime da nutrire ed educare in pari

tempo l’umile intelletto di una femminetta e di un bambinello e la mente acuta e

nobilissima di Sant’Agostino, di un San Tommaso, di un Galileo, di un Vico,. Ma,

egregi Signori, chi, come il novello nostro Pastore, ha studiato profondamente la

scienza delle cose divine e quindi è entrato nella conoscenza più viva della grandezza

dei benfizii di Dio, non poteva non sentire tanto più imperioso il bisogno d’innalzare

a Dio la mente e il cuor, di benedirlo e di ringraziarlo, elevandogli templi, eternando

sui marmi i sensi della propria ammirazione, ed apprestando nello stesso tempo ai

fedeli i mezzi per poter esplicare nel miglior modo quel culto eterno, che è così

naturale e necessario alla nostra natura, e che, mentre è manifestazione di fede e di

pietà, ne costituisce insieme l’alimento. E qui come mi torna grato ricordare quelle

soavi impressioni dell’animo mio, quando, anche nella vita laicale, di passaggio per

la città di Caserta, io assistevo spesso alle sacre funzioni, che Vostra Eccellenza

rendeva più solenni con quel sentimento di fede viva e fervorosa pietà, che traspariva

dal volto. Ma particolarmente mi torna grato e vivissimo il ricordo di quel sermone

vibrante di spirituale entusiasmo, che, voi, Eccellenza, pronunziaste nella cattedrale

di Caserta, quando con l’incoronazione dell’Addolorata vedeste effettuato quello che

per tanti anni era stato il sospiro ardente dell’anima vostra, e quell’incoronazione che

voi voleste considerare come trionfo di fede al cospetto dell’incredulità, come trionfo

di devozione dinanzi al dominante indifferentismo, come trionfo di sentimento

cristiano contro il materialismo pratico, che pervade tutti gli ordini sociali. Ma a che

dilungarmi su ciò che abbiano potuto gli slanci di una pietà fervorosa e di uno zelo

ardente per il decoro della casa di Dio?La cappella sorta nel seminario di Caserta,

l’adornamento della cattedrale, la chiese intitolata a San Gennaro, il tempio che si va

edificando a Maddaloni in onore di sant’Alfonso, la benemerita istituzione del lavoro

per le chiese povere: tutte queste e altrattali opere, sorte per Vostra Eccellenza, hanno

forse bisogno d’illustrazione, non parlano forse da sé con l’eloquenza della realtà,

dimostrando anch’esse come in Vostra Eccellenza alla profonda coltura si sia

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disposata in ogni tempo una grande pietà? E però, a buon diritto, i Capuani, consci

del passato, e dal passato traendo i più lieti auspici per l’avvenire, salutano

entusiasticamente nell’Eccellenza Vostra il fedele

dispensatore dei doni divini, sia nel campo della scienza che

in quello della pietà. Fra gli inestimabili benefizi di Dio c’è

pure questo che Egli ha creato per noi il diletto della musica,

la quale non solo serve a ricreare onestamente i nostri animi,

ma anche a nobilitarli ed a elevarli alla infinita Cagione di

tutte le cagioni. Ebbene Monsignore Gennaro Cosenza, nella sua anima misticamente

artistica, non poteva non avvertire l’importanza ed il fascino della preghiera

accompagnata dalla musica, per cui noi diventiamo sulla terra gli emuli dei

comprensori celesti. Certo la preghiera fervente è l’alito dell’anima, è la chiave che

apre i tesori della misericordia celeste; ma la musica, che meglio ci parla della

misericordia di Dio e dei suoi attributi, e che ha misteriose ma pur verissime e

profonde attinenze con i pensieri e con gli affetti dell’animo nostro, vivifica, solleva e

corrobora la nostra prece, ond’è che quando più ci eleviamo a Dio col suono e col

canto,tanto più copiosa e benefica discende la pioggia vivificatrice, tanto più larghi e

fecondi si diffondono per l’universo i rivi della vita divina, che rallegrano la terra di

salute, di conforto, di tranquillità, di vittoria. E però monsignor Cosenza pensò, e

premurosamente attuò anche questo pensiero, che, cioè, delicate armonie musicali

accompagnassero nella cattedrale di Caserta la grandezza delle funzioni e

accrescessero la maestà delle cerimonie religiose (I). Arcano è il linguaggio dei

suoni, non mai smentito presso di noi, che, fra tanto sorriso di cielo e di terra, siano

sempre rimasti i grandi signori della musica. Ebbene lo compia ancora oggi la musica

il suo altissimo ufficio. Col potente suo linguaggio dica essa a Vostra Eccellenza ciò

che la mia debole parola non ha saputo dire, ed insieme col cantico entusiastico

dell’animo mio echeggi ancora una volta nelle note melodiose dei suoni l’esultanza

del popolo di Capua e di tutta l’Archidiocesi, esultanza, che auguro feconda di fiori e

frutti sani, in modo che tutti, e clero e popolo, e vecchi e giovani, e madri e suore, e

operai della penna e operai delle officine e dei campi, compiano la loro missione,

rispondendo agli alti valori manifestati da Vostra Eccellenza nella lettera pastorale. E

meglio che non sappia io dire, esprima altresì la musica un voto vivo e fervidissimo,

che ci sia dato, cioè di solennizzare, non a lungo andare, un altro fausto evento, per

cui alla violacea tunica si sostituisca la fiammante porpora: voto, che nei cuori di

(I) Per opera di S.E.Mons. Cosenza un grandioso organo adorna oggi la Cattedrale di

Caserta

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quanti, ammirando in Vostra Eccellenza il fedele dispensatore dei doni di Dio e

l’erede benemerito della mistica dolcezza del cardinale Cosenza e della nobilissima

energia del cardinale Apuzzo, riconoscendo nell’Eccellenza Vostra una gloria

dell’Episcopato ed uno dei più felici rappresentanti della Campania felice, di questa

terra più feconda, che per la grandezza del suo sentimento religioso, vide elevarsi

sublime e maestosa la millenaria Badia di Montecassino; e per la possente energia

sprigiona dosi dal suo seno vide spingersi in alto le infocate e fumanti vette del

Vesuvio.

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