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TOOLFINDING: DESIGN IN TEMPO DI EMERGENZA Politecnico di Milano Corso di Laurea in Design della Comunicazione Tesi di laurea di Jacopo Marcolini 731463 Relatore Salvatore Zingale Anno Accademico 2012/2013

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toolfinding:design in tempo di emergenza

politecnico di milano Corso di Laurea in Design della Comunicazione

Tesi di laurea diJacopo Marcolini731463

relatoreSalvatore Zingale

Anno Accademico 2012/2013

Typeface Calibre

Designer Kris sowersby

Q.D.

aBstraCt

Il tema legato alle calamità naturali, alla gestione e alla comunicazione nelle emergenze sembra aver assunto in questi ultimi vent’anni un’importanza sempre maggiore. L’inasprimento dei cambiamenti climatici, i continui mutamenti morfologici più o meno autorizzati legati all’attività umana realizzati sul territorio italiano e mondiale stanno rendendo pericolosi anche quei fenomeni atmosferici che fino a qualche decennio fa non avrebbero avuto conseguenze rilevanti.Ritardi nei soccorsi, conflitti decisionali e scarsa comunicazione tra le varie organizzazioni competenti, messaggi di allerta volutamente non comunicati per paura di scatenare paura tra la gente o pervenuti solo in parte alla popolazione a causa di difficoltà tecniche e logistiche hanno causato e peggiorato situazioni di pericolo dovute a calamità naturali o all’azione dell’uomo.Questo lavoro di tesi affronta nella prima parte il tema della comunicazione in una situazione di emergenza, per entrare poi nel

merito di come questa avviene, quali sono gli aspetti importanti e strategici e quali sono quelli su cui si può migliorare per poter fluidificare e rendere più semplice e immediato questo scambio di informazioni. La seconda parte prevede la progettazione di una sistema di segnaletica per il magazzino centrale della Protezione Civile Trentino con lo scopo di permettere al personale non direttamente e giornalmente coinvolto di riuscire a reperire materiali ed equipaggiamento nel minor tempo possibile riducendo le possibilità di sbagliare.

parte i

1. la comunicazione nell’emergenzaPagina 9

1.1 Cos’è un’emergenzaPagina 10

1.2 il ciclo di vita di un’emergenzaPagina 13

1.3 tipologie di rischio in italiaPagina 16

1.4 il sistema di allertaPagina 23

1.5 monitoraggio della rispostaPagina 29

1.6 la decisione di allertarePagina 30

1.7 reazioni psicologiche all’emergenzaPagina 37

1.8 lo stressPagina 40

1.9 Come scrivere un messaggio di emergenzaPagina 48

2. il rumore nella comunicazionePagina 50

3. la coordinazione

nell’emergenzaPagina 57

3.1 processo di comunicazione Pagina 51

3.2 esercizio dell’autorità e processo decisionalePagina 61

4. esempi di comunicazione andata malePagina 69

4.1 three mile islandPagina 70

4.2 l’emergenza a fukushimaPagina 80

4.3 l’uragano KatrinaPagina 92

parte ii

intervista con il responsabile del magazzino logistico della protezione CivilePagina 103

5.1 la lista delle attrezzature e le categoriePagina 110

5.2 i diversi gradi di lettura e la

indiCe

teoria del lettore modelloPagina 111

5.3 la percezione umanaPagina 114

5.4 la realizzazione dei pittogrammiPagina 119

parte iii

schede dei pittogrammiPagina 131

› logisticaPagina 132

› tende da campoPagina 136

› prefabbricatiPagina 140

› attrezzatura variaPagina 146

› idraulicaPagina 150

› potabilizzatoriPagina 154

› pompe idrovorePagina 158

› tubazioni variePagina 162

› serbatoiPagina 166

› esondazionePagina 170

› disinquinamentoPagina 174

› elettricitàPagina 178

› produzionePagina 182

› distribuzionePagina 186

› illuminazionePagina 190

› attrezzatura e materiali variPagina 194

ConclusioniPagina 200

BibliografiaPagina 203

linkografiaPagina 204

indice immaginiPagina 205

introduzione

Questo lavoro di tesi nasce verso la fine del 2012 quando mi fu chiesto dallo studio di comunicazione Graphic Line di Trento se fossi interessato a un progetto di tesi da svolgere in collaborazione con la Protezione Civile Trentino. Il responsabile dell’unità logistico operativa, Giovanni Tomasi, mi spiegò il problema: la Protezione Civile dispone di una serie di magazzini sparsi per l’intero territorio provinciale che ospitano attrezzature e mezzi fondamentali nel contrastare e risolvere situazioni di emergenza e non e nell’assistere le persone colpite. Queste strutture che hanno a disposizione sono nella maggior parte dei casi di dimensioni ridotte e ospitano al massimo poche unità di mezzi e materiali.Fa eccezione però il magazzino centrale di Lavis, un paesino della bassa atesina che dista circa 50 chilometri da Bolzano. Gli spazi sono decisamente più grandi e l’attrezzatura assieme ai mezzi contenuti all’interno raggiunge un numero non indifferente.Il magazzino segue orari da ufficio durante i giorni feriali con

la presenza di diversi elementi di personale ma in realtà rimane a disposizione 24 ore su 24 grazie alla presenza di un custode. Al magazzino inoltre possono accedere altre organizzazioni di soccorso e aiuto che hanno stipulato un accordo ufficiale con la Protezione Civile. Queste hanno così il permesso ufficiale per recuperare attrezzatura in caso di bisogno.La velocità di reperimento di un oggetto o di un elemento di complemento a un macchinario però può risultare difficile nel caso in cui una persona metta piede nel magazzino per la prima volta. Trovare il giusto oggetto in tempi brevi è un momento cruciale nel caso in cui scatta un’emergenza e nel caso alcune alcune di queste attrezzature devono essere trasportate sul luogo del bisogno.Quando si scatena un’emergenza, anche nel cuore della notte, può succedere che al magazzino arrivi personale di organizzazioni convenzionate però non direttamente coinvolte con le attività quotidiane della Protezione Civile che non ha mai visto prima questo spazio e al suo interno non sa assolutamente come e dove muoversi per trovare l’oggetto o il mezzo che dev’essere prelevato

e trasportato. La presenza del custode sicuramente è di aiuto ma se la situazione richiede rapidità riuscire ad orchestrare da solo le diverse richieste può diventare difficile e rischia di rallentare le operazioni, con tutte le conseguenze che questo comporta.Con il responsabile del magazzino, Giovanni Tomasi, e alcuni dei suoi collaboratori, Michele Cornella e Sergio Bonadio, abbiamo cominciato così a discutere cercando di definire al meglio il problema e cercare un ventaglio di soluzioni soluzioni che aiutassero a identificare più facilmente quest’attrezzatura limitando possibili perdite di tempo visto che la velocità con cui si riesce a rispondere è di fondamentale importanza e può fare la differenza in termini di vite umane.Siamo così arrivati alla conclusione che un sistema di segnaletica e pittogrammi in grado di identificare le categorie di appartenenza dei diversi macchinari sia in grado di velocizzare il riconoscimento di un oggetto o di un mezzo e al tempo stesso confermarlo in maniera inequivocabile alle persone che entrano per la prima volta nel magazzino.

parte ii

la ComuniCazione

nell’emergenza

10

1.1

Cos’è un’emergenza

Volendo dare una prima definizione di emergenza potremmo dire che questa è una situazione che genera domande a una velocità molto superiore a quella necessaria per elaborare risposte. La Legge 225 del 24/2/1992 la definisce, almeno in Italia, come ogni situazione in cui è necessario attivare risorse di soccorso fuori dall’ordinario. Essa chiarisce anche quali soggetti possono decretare uno stato di emergenza e a quali condizioni. Le condizioni con cui si verifica e che scatena un’emergenza infatti sono determinanti. Per questo motivo la legislazione effettua una distinzione tra incidenti semplici, incidenti complessi e catastrofi. Gli incidenti semplici sono avvenimenti dannosi naturali o legati all’attività dell’uomo che possono essere arginati grazie a interventi effettuabili da singoli enti e amministrazioni competenti per via ordinaria. Un incidente stradale, un incendio circoscritto, una frana di proporzioni ridotte sono classificati come indicenti semplici, cui sono chiamate ad intervenire le singole organizzazioni comunali.Non sono scenari di difficile gestione e risoluzione. Tuttavia rimangono situazioni che nei casi più gravi possono comunque costituire una grave esperienza esistenziale per il singolo individuo, la sua famiglia e la squadra di soccorritori.Gli incidenti complessi invece sono quelle situazioni critiche in cui sono coinvolte nello stesso momento più persone e possono essere fronteggiate attraverso un intervento coordinato di più amministrazioni o enti competenti in via ordinaria. È richiesto lo schieramento e il coordinamento di molti soccorritori appartenenti a diverse organizzazioni (vigili del fuoco,

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protezione civile, sanitari, forze dell’ordine). C’è bisogno quindi di tecniche, risorse e procedure diverse rispetto al lavoro ordinario sugli incidenti quotidiani. L’entità dei danni in ogni caso non è tale da compromettere la rete delle comunicazioni, dei trasporti, dell’accoglienza e la capacità di risposta del corpo sociale rimane efficiente.Caso diverso è quello della catastrofe o disastro. Anche se il numero di vittime è limitato le infrastrutture, i sistemi di comunicazione, il tessuto sociale e le organizzazioni vengono fortemente danneggiati. Alluvioni, terremoti, incidenti industriali possono sconvolgere fortemente il territorio e interrompere bruscamente le attività quotidiane. Si è costretti così a dover effettuare interventi di evacuazione, orientamento, ricongiungimento, ripristino delle linee di comunicazione, soccorso sanitario. Il numero delle persone coinvolte, i problemi che possono emergere, la grandezza del territorio richiedono procedure e strategie di diverso livello. Il coordinamento delle risorse ordinarie non basta più, c’è bisogno di intervenire con mezzi e poteri straordinari. Molto spesso le diverse organizzazioni che intervengono devono interagire tra loro molto più del normale e alcune perdono parte della loro autonomia.Il termine emergenza evoca un set di situazioni ben precise per ciascuna tipologia di incidente che vanno da un insieme di bisogni, di risposte possibili, di norme e procedure di attivazione.Direttamente collegato all’emergenza c’è il cosidetto ‘emergency management’, o gestione dell’emergenza, che non è altro che un processo strategico e non tattico che prevede l’integrazione di tutte le organizzazioni che sono chiamate a rispondere, dai livelli più bassi a quelli più alti.Se diamo uno sguardo all’Italia vediamo come la cultura dell’emergenza abbia subìto un forte ritardo negli anni pur essendo il nostro territorio molto suscettibile a terremoti, alluvioni e smottamenti di una certa rilevanza che hanno segnato aree geografiche e comportato costi piuttosto elevanti alle comunità e allo stato.Gli Stati Uniti per esempio hanno cominciato l’attività di studio sui comportamenti collettivi delle persone fin dagli anni ‘20. In Italia purtroppo bisognerà aspettare fino agli anni ‘80 per le prime ricerche scientifiche. E ne occorreranno altri dieci anni prima che vengano fatti dei progressi nel

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settore della comunicazione e dell’accesso dei cittadini alle informazioni. Per questo motivo risulta indispensabile acquisire una cultura dell’emergenza.Ai fini di rafforzare l’utilità e la credibilità dell’operato pubblico lo stato stesso si deve impegnare a elaborare un precisa politica di comunicazione istituzionale.Come spesso accade ci sono voluti impulsi esterni, come il terremoto dell’Irpinia o il disastro nucleare di Chernobyl per fare in modo che si cominciasse a pensare seriamente come fronteggiare in modo pianificato le emergenze e organizzare la relativa comunicazione. I ritardi italiani si inseriscono nell’ambito della più vasta arretratezza che caratterizza l’apparato pubblico, le cui cause sono diversamente studiate.La gestione di emergenze che possono compromettere l’ambiente o l’uomo coinvolge persone e enti specializzati in diverse aree di intervento e conoscenza. Campi come la gestione del rischio e l’emergenza hanno ricevuto negli ultimi anni una grandissima attenzione da diversi punti di vista: culturale, mediatico e scientifico-tecnologico.I bilanci dei morti per emergenze ambientali e non (il terremoto a cui è seguito lo tsunami in Giappone nel 2011) o lo stesso terremoto che colpì l’Aquila nel 2009 possono cambiare profondamente il rapporto della società nei confronti di questi avvenimenti.Ormai le immagini e i video quasi in tempo reale dei disastri e della distruzione che i media sono in grado di offrirci non possono non toccare la coscienza comune. L’organizzazione, la formazione, la prevenzione, la preparazione agli eventi calamitosi unita alla lotta alle emergenze ambientali, sono diventate tematiche di pubblico interesse dai cui dipende l’efficacia dell’intervento comunicativo e che vanno oltre i soli addetti al lavori.Forse l’idea generale di emergenza e rischio ancora non hanno un quadro completo nella coscienza comune o forse faticano ad essere assimilate. Una rapida spiegazione del concetto di emergenza e delle sue fasi può sicuramente aiutare. L’emergenza viene identificata con il periodo di tempo successivo allo scatenarsi di un qualsiasi evento catastrofico ma quello che solitamente non viene preso in considerazione sono le fasi precedenti all’evento e quelle che avverranno in futuro, una volta che la crisi sarà

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terminata. Gli studi sulla gestione dell’emergenza invece propongono uno schema che rappresenta l’intero ciclo di vita dell’emergenza composto da fasi differenti.

1.2

il CiClo di Vita di un’emergenza

L’emergenza è un evento temporaneo e la sua durata varia dal tipo di evento che si scatena. Quello che non cambia però è il suo ciclo di vita. Ogni emergenza infatti si può dividere secondo 4 fasi distinte.

preparedness

È la fase che precede l’eventuale emergenza. Ne fanno parte tutte quelle azioni e processi che vengono effettuati per essere pronti nel caso in cui avvenga un’emergenza vera. È quindi una fase che comporta studio e pianificazione in cui enti, esperti di settore e la stessa popolazione si impegnano per prepararla al meglio. Le procedure classiche posso essere elencate come segue:

— identificazione e studio della potenziale emergenza;

— studio dell’ambiente e del territorio;

Disastro

Response

Preparedness

Recovery

Mitigation

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— previsioni dell’impatto sul territorio; — creazione e gestione degli scenari di rischio; — progettazione di piani di emergenza.

response

I momenti più critici che seguono la calamità fanno parte della parte di response. La fase  inizia allo scatenarsi dell’emergenza e la sua durata non è definibile a priori. Si attuano i piani di emergenza, gli step previsti nella pianificazione di emergenza vengono tradotti in azioni reali e intervengono tutti gli enti e organi che sono direttamente responsabili del primo soccorso alla popolazione e, cercando di gestire al meglio le risorse disponibili, si cerca di limitare il danno. Un aspetto cruciale di questa fase è la tempestività che può avere forti ripercussioni sui possibili danni che l’emergenza può scatenare. Chiaramente le previsioni fatte a priori non coincideranno mai agli scenari che si svilupperanno nella realtà e le discrepanze che si creeranno tra la situazione reale e i piani di emergenza dovranno essere corretti al momento.

reCoVery

Una volta risoltasi e superata la situazione di emergenza la fase che segue è quella della ricostruzione della situazione di quiete, il ripristino e il ritorno alla normalità. Si ricomincia, si iniziano le opere di costruzione, a partire dal paesaggio e dalle aree più danneggiate. Sono gli enti che si fanno carico dell’assistenza alla popolazione e ripristinano le attività del luogo.

mitigation

L’ultima fase, quella della mitigation, chiude il ciclo di vita dell’emergenza e riguarda le tipologie di misure che dovranno essere adottate perché non si ripresenti in futuro un certo tipo di emergenza. Le soluzioni prese prima

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dello scatenarsi dell’emergenza vengono riviste e migliorate per avere una risposta più efficace all’evento calamitoso.È il punto comune tra la fase di recovery e quella di preparadness.

metodo augustus

In Italia il geologo Elvezio Galanti nel 1998 progettò uno strumento per la pianificazione dell’emergenza, utile sopratutto nella fase di preparedness. Il metodo si chiama così in memoria di Augusto che più di 2000 anni fa già sosteneva:

“il valore della pianificazione diminuisce con la complessità dello stato delle cose.” —1

Fu proprio con questo spirito che nacque il Metodo Augustus basato sulla semplicità e flessibilità. Ricerca un approccio semplificato per la gestione delle attività di supporto all’emergenza viste le difficoltà del contesto. Galanti dice che per affrontare e contrastare l’emergenza ci deve essere una cooperazione e coordinamento sinergico delle forze. L’insufficienza di mezzi in realtà non esiste, quello che manca è il loro utilizzo ben coordinato.  Un aspetto cruciale per esempio è avere una buon livello di cooperazione tra i diversi livelli amministrativi della protezione civile il quale dev’essere composto di tre fasi:

— definizione dello scenario: una vista della zona interessata sulla quale si attuerà il piano di emergenza;

— individuazione dei rischi ed eventuali emergenze; — attuazione delle 14 funzioni di supporto che hanno i seguenti ruoli

e compiti:

a) F1 - Tecnica e di pianificazioneb) F2 - Sanità, assistenza sociale e veterinariac) F3 - Mass-media e informazioned) F4 – Volontariato

1. da Daniele F. Bignam, Protezione civile e riduzione del rischio disastri, p. 212

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e) F5 - Materiali e mezzif) F6 - Trasporti, circolazione e viabilitàg) F7 – Telecomunicazionih) F8 - Servizi essenzialii) F9 - Censimento danni a persone e cosej) F10 - Strutture operativek) F11 - Enti localil) F12 - Materiali pericolosim) F13 - Assistenza alla popolazionen) F14 - Coordinamento centri operativi.

1.3

tipologie di risCHio in italia

La Protezione Civile elenca i rischi più comuni che possono scatenarsi sul territorio italiano. Vediamoli brevemente:

— rischio sismico; — rischio vulcanico; — rischio meteo-idrogeologico; — rischio incendi; — rischio sanitario; — rischio nucleare; — rischio ambientale; — rischio industriale.

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risCHio sismiCo

Vista la particolare posizione geografica l’Italia è uno dei paesi più soggetti a rischio sismico di tutta l’area mediterranea. Il paese si trova nella zona di convergenza tra la zolla africana e quella eurasiatica.La sismicità maggiore si concentra nella zona centro meridionale lungo la dorsale appenninica fino alla Calabria e alla Sicilia. A settentrione le aree più interessate sono quelle del Friuli, parte del Veneto e la Liguria occidentale.Negli ultimi 2500 anni trentamila terremoti di media e forte intensità si sono scatenati in Italia e nel XX secolo sono stati 7 i terremoti di magnitudo uguale o superiore a 6,5 gradi della scala Richter.Terremoti particolarmente distruttivi come quello della Val di Noto del 1693 o il lungo periodo sismico del 1783 in Calabria hanno lasciato ferite profonde sul territorio e segni evidenti degli interventi di recupero e ricostruzione.Negli ultimi quarant’anni i danni economici causati da eventi sismici sono stai stimati in circa 80 miliardi di euro a cui vanno sommati i danni al patrimonio storico e artistico. A dispetto di altri paesi ad elevata sismicità, come il Giappone o la California, in Italia il rapporto tra i danni causati dai terremoti e l’energia rilasciata è molto più alto. Il terremoto dell’Aquila ha rilasciato un’energia molto inferiore rispetto a quello avvenuto in Cile nel 2010 ma il numero delle vittime si attesta su cifre molto simili. Ciò è dovuto all’elevata densità abitativa del nostro paese e alla fragilità del nostro patrimonio edilizio.

fig. 1.3.1

Il terremoto dell'Irpinia

del 1980 fu un sisma che

si verificò il 23 Novembre

1980 e che colpì la

Campania centrale e

la Basilicata centro-

settentrionale.

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risCHio VulCaniCo

Il vulcanismo è legato, come per i terremoti, alla convergenza tra la placca tettonica eurasiatica e quella africana. Le eruzioni vulcaniche non sono così frequenti e devastanti come i terremoti ma rappresentano un grave rischio per le zone densamente popolate.I vulcani che hanno dato eruzioni in questi ultimi anni sono lo Stromboli (arcipelago delle isole Eolie) e l’Etna (costa orientale della Sicilia). Alcuni di questi eventi hanno richiesto

mezzi e poteri straordinari, con decreti a firma del presidente del Consiglio dei Ministri che ha dichiarato e poi prorogato gli stati di emergenza. Il Dipartimento di Protezione Civile è entrato in azione con uomini e mezzi per attuare i piani di emergenza, soccorrere le persone e limitare gli effetti dannosi grazie ad azioni di difesa attiva a passiva (deviazione della lava, evacuazione pianificata, raccolta e smaltimento ceneri, ecc).

risCHio meteo-idrogeologiCo

Il rischio meteo idrogeologico ha a che fare con gli effetti determinati da condizioni metereologiche avverse e dall’azione delle acque in generale, siano queste superficiali o sotterranee.È un tipo di rischio che viene fortemente condizionato anche dall’azione dell’uomo. La densità abitativa, l’urbanizzazione, l’abbandono dei terreni montani, il disboscamento, l’abusivismo edilizio e la mancata manutenzione dei versanti e dei corsi d’acqua hanno peggiorato il dissesto e accentuato la fragilità del territorio aumentando il rischio stesso.I principali eventi che causano questo tipo di rischi sono:

— temporali e fulmini; — pioggia e grandine;

fig. 1.3.2

Un eruzione notturna dell’Etna. Il vulcano ha modificato incessantemente il paesaggio, minacciando

spesso le diverse comunità umane che nei millenni si sono insediate intorno ad esso..

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— alluvioni; — frane; — neve e gelo; — valanghe; — subsidenze; — nebbia; — venti e mareggiate; — erosioni costiere; — ondate di calore; — crisi idriche.

risCHio inCendi

Il territorio italiano è costituito per il 30% da boschi che nei millenni sono stati in grado di adattarsi a climi subaridi dell’estremo sud a quelli nivali del nord. Un patrimonio forestale di grande importanza come quello italiano costituisce una ricchezza inestimabile per l’ambiente, l’economia, la conservazione della biodiversità e l’equilibrio del territorio.Ogni anno però migliaia di ettari di bosco vengono persi divorati da fiamme di natura dolosa o colposa, legate in larga parte alla disattenzione dell’uomo. In 30 anni si è perso il 12% di questo patrimonio.Gli incendi provocano gravi alterazioni del suolo, favorendo il dissesto del terreno e in caso di piogge intense lo scivolamento dello strato superficiale. Le conseguenze per l’equilibrio naturale quindi raramente sono di lieve entità.

risCHio sanitario

È un rischio di secondo grado, sempre conseguente ad altri rischi o calamità e riguarda situazioni critiche che possono avere effetti sulla saluta umana. Non è facilmente prevedibile ma può essere limitato se preceduto da una fase di preparazione e pianificazione della risposta. Il Dipartimento della protezione civile ha delineato i “Criteri di massima per l’organizzazione dei

fig. 1.3.3

Una frana in Val Tellina.

Le frane possono

dare luogo a profonde

trasformazioni della

superficie terrestre, e

a causa della loro alta

pericolosità, in alcune

aree abitate devono

essere oggetto di attenti

studi e monitoraggi.

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soccorsi nelle catastrofi” pubblicati nel 2001, seguiti dai “Criteri di massima sulla dotazione dei farmaci e dei dispositivi medici per un Posto medico avanzato” nel 2003, dai “Criteri di massima sugli interventi psicosociali nelle catastrofi” nel 2006 e le “Procedure e modulistica del triage sanitario” pubblicate nel 2007. Fin dalle prime ore dell’inizio dell’emergenza le strutture devono garantire una risposta rapida per soccorrere il maggior numero possibile di persone, il che rende l’organizzazione dei soccorsi un aspetto molto complesso.Il dipartimento ha il ruolo di coordinare le operazioni e prestare supporto ai soccorsi, invia strutture da campo, materiali sanitari, team di medici e infermieri.

risCHio nuCleare

Il rischio radiologico è il rischio corrispondente all’esposizione indebita o accidentale alla radioattività artificiale. Se nell’esposizione sono coinvolte materie fissili, in particolare uranio e plutonio, si parla anche di rischio nucleare.La radiazione è solitamente classificata in base agli effetti che produce nell’interagire con la materia: si parla quindi di radiazione ionizzante oppure di radiazione non ionizzante. Quest’ultima comprende fenomeni quali la luce ultravioletta, il calore radiante e le micro-onde. La radiazione ionizzante comprende: 

— i fenomeni di radioattività naturale non connessi alle attività umane, come i raggi cosmici e la radiazione proveniente dalle materie radioattive contenute nel terreno;

— i fenomeni di radioattività artificiale causati dall’attività umana, come le sorgenti di raggi X per usi medici.

Il rischio è riguarda la radiazione ionizzante, con particolare riguardo alla radioattività artificiale, e alla gestione dei rischi connessi all’esposizione della popolazione a tale forma di radiazione.In Italia, le quattro centrali nucleari per la produzione di energia elettrica sono state spente e svuotate del combustibile nucleare. La decisione è

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stata assunta in base alla moratoria sull’impiego del nucleare a uso pacifico con il referendum popolare del 1987. L’Italia ha interrotto così l’attività delle proprie centrali ed elaborato una prima versione del Piano Nazionale per le emergenze nucleari. L’attenzione al rischio nucleare resta comunque elevata a causa della presenza di centrali a meno di 200 km dal confine italiano. Infatti all’interno di questo raggio sono attualmente attive tredici centrali nucleari ripartite tra Francia, Svizzera, Germania e Slovenia.

risCHio amBientale

La protezione civile si interessa alle tipologie di inquinamento quando il rischio è connesso alla probabilità che un’alterazione repentina dei parametri fisico-chimici che caratterizzano acqua, aria e suolo possano provocare un evento che può portare ricadute a breve termine sulla salute della popolazione residente in una data area e che sia così necessario

fig. 1.3.4

La centrale nucleare

di Černobyl’. Il nome

divenne famoso in tutto

il mondo dopo l’incidente

del 26 Aprile 1986.

22

attivare misure emergenziali straordinarie.Il territorio è pieno di realtà che hanno vissuto o stanno vivendo ancora situazioni tali da richiedere un intervento normativo per la tutela dell’incolumità pubblica. Il Dipartimento di Protezione civile è chiamato sempre più spesso a intervenire.Il Dipartimento si occupa anche di bonificare siti contaminati, gestire i SIN (siti di interesse nazionale), quelle aree individuate “in relazione alle caratteristiche del sito, alle quantità e pericolosità degli inquinanti presenti al rilievo dell’impatto sull’ambiente circostante in termini di rischio sanitario ed ecologico nonché di pregiudizio per i beni culturali ed ambientali.”I Siti/Aree di Interesse Nazionale richiedono interventi urgenti ed interessano circa 316 comuni in tutte le regioni di italiane per circa 7 milioni di abitanti.

risCHio industriale

Esistono stabilimenti industriali che utilizzano o detengono sostanze chimiche per le loro attività. Chiaramente queste possono mettere in pericolo la popolazione e l’ambiente circostante e provocare danni alle persone e al territorio.La composizione chimica di queste sostanze tossiche, la loro concentrazione causano effetti più o meno gravi sulla saluta umana in caso di esposizione. Gli effetti sull’ambiente sono collegati alla contaminazione del suolo, dell’acqua e dell’atmosfera e gli effetti sulle cose riguardano principalmente i danni alle strutture.Conoscere questi aspetti è una prerogativa indispensabile per ridurre il rischio industriale ai livelli più bassi possibili.

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1.4

il sistema di allerta

Gli strumenti più usati per poter rispondere a situazioni di rischio solitamente sono composti dal monitoraggio del territorio, dalle opere di protezione, dai piani di emergenza e dai sistemi di allerta.Quest’ultimi occupano una posizione diversa rispetto agli altri, sono la linea di difesa finale. Un sistema di allerta svolge una duplice funzione: fornisce informazioni riguardo i possibili pericoli che comporta un’emergenza comunicando queste informazioni a chi ne ha bisogno. Facilita così l’elaborazione delle decisioni che dovranno essere prese affinchè la gente in pericolo possa organizzare una risposta efficace. Fornisce anche informazioni alle persone che non saranno interessate dal rischio.Scienza, tecnologia e vari livelli di amministrazione e di governo sono tutte organizzazioni che compongono un sistema di allarme. La sua complessità è tale che a sua volta si suddivide in 3 sottosistemi:

— il rilevamento; — la gestione; — la risposta.

Perché rimanga un sistema efficace l’integrazione dei 3 è fondamentale. Si devono quindi sviluppare e mantenere connessioni tra questi e tra le persone e organizzazioni che ne fanno parte.

sottosistema di rileVamento

Il sottosistema di rilevamento monitora gli ambienti naturali, civili e industriali in cui si può scatenare un’emergenza. Il sistema raccoglie dati in maniera continuativa e fa una previsione indicando la probabilità per cui un’emergenza possa verificarsi o meno.Se i dati fanno pensare che un’emergenza possa facilmente avvenire la

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previsione viene inviata al sottosistema di gestione. Nel caso di pericoli di origine naturale sono le organizzazioni scientifiche o gli istituti di ricerca che hanno il compito di informare gli organi di gestione mentre nel caso di rischi di tipo civile sono le forze dell’ordine a svolgere questo compito.Il tipo di pericolo non altera le funzioni basilari del sottosistema di rilevamento. In un sistema integrato è importante che il rilevamento ambientale sia chiaro e continuo e che i contatti tra il sottosistema di rilevamento ambientale e quello gestionale siano anch’essi precisi e ben rodati.

il sottosistema di gestione

Questo ha come obiettivo quello di integrare le informazioni sul rischio e informare le persone. Il sottosistema è composto ed è gestito per la maggior parte da responsabili della protezione civile. Dopo aver ricevuto le informazioni dal sottosistema di rilevamento questi devono interpretarle in termini di potenziali danni e perdite e si decide se il rischio possa giustificare o meno un allarme pubblico. La risposta del pubblico viene controllata costantemente e rappresenta una parte importante del sottosistema. I messaggi infatti verranno aggiustati o cambiati completamente a seconda dell’avvenuta risposta delle persone.

il sottosistema di risposta

I messaggi di allarme sono sempre soggetti a interpretazioni personali che le persone sono naturalmente portate a compiere. Queste possono essere diverse da quelle che hanno in mano scienziati e responsabili dell’informazione e l’oggettività in questi casi è molto variabile. Il sottosistema di risposta è così direttamente influenzato dal comportamento che manterranno delle persone. In caso di emergenza capita poi molto spesso che si creino messaggi

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informali o messaggi di allarme non ufficiali. La gente in queste situazioni avvisa amici, parenti, vicini di casa diffondendo le notizie fin lì apprese dai canali ufficiali.Le caratteristiche strutturali di un sistema di allerta si possono così riassumere:

— canali di comunicazione multipli per allertare la popolazione; — messaggi completi che diano alla gente tutto quello che devono

sapere; — monitoraggio della risposta per poter fare aggiustamenti; — sapere che l’ambiente può influenzare direttamente la risposta

della gente evitando così il sottosistema di rilevamento e il sottosistema di gestione;

— essere in grado di gestire la possibilità che il personale del sistema di rilevamento dia informazioni non ufficiali, in accordo o no con le comunicazioni ufficiali.

Questi sottosistemi utilizzano specifici processi per cercare di raggiungere i loro scopi, e questi processi. Ad esempio la tecnologia e la scienza sono gli strumenti principali a cui si affida il sottosistema di rilevamento. L’osservazione diretta del fenomeno è ancora utilizzata ma l’avanzamento tecnologico dei sistemi di rilevamento richiede la presenza di scienziati e tecnici qualificati. Si vedano più nel dettaglio le operazioni che sono chiamate ad eseguire i tre sottosistemi:

monitoraggio e rileVamento

Come già detto la funzione principale del sottosistema di rilevamento è quella di raccogliere dati circa la presenza di un pericolo. Ci sono due modi per svolgere questo compito, attraverso una maniera sistematica e una serendipica. Il metodo sistematico si avvale di osservazioni e misurazioni costanti riguardo i fattori indicanti

fig. 1.4.1

Una stazione di rilevamento

meteorologica dell Protezione Civile.

L’aggiornamento costante dei dati

da più punti di rilevamento permette

previsioni migliori.

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un pericolo imminente. L’approccio serendipico invece, come già dice il termine, utilizza le osservazioni rilevate da personale tecnico e non, raccolte mentre si facevano valutazioni o ricerche di natura diversa da quella di partenza.La maggior parte delle allerte ufficiali vengono da dati ottenuti grazie al monitoraggio sistematico. Rimane però una domanda. Di quanta informazione c’è bisogno per rilevare un’emergenza imminente? I fattori da cui dipende sono molteplici: la complessità del pericolo che si sta osservando, il livello conoscenza della situazione per fare previsioni, il tipo di dati che servono per fare le valutazioni e le risorse disponibili per appoggiare il rilevamento e il pericolo.

analisi dati

Per capire il comportamento del possibile pericolo nel migliore dei modi è essenziale valutare correttamente i dati e le analisi. I metodi utilizzati e i processi di ricerca che individuano anomalie vanno dai semplici calcoli matematici a complesse simulazioni in 3D.La natura dell’emergenza genera letture diverse. Nel caso di uno tsunami locale per esempio il suo potenziale è determinato da una singola variabile, cioè dalla magnitudo del terremoto. Dall’altro lato, un’inondazione che potrebbe investire una città e il territorio circostante richiederà l’analisi di molte più variabili per determinare la sua portata.I dati disponibili e le analisi di questi presentano ancora dei limiti. Il livello di adeguatezza è dato dalla loro disponibilità e dal livello di sviluppo e conoscenza teorico. Fare previsioni accurate di un terremoto per esempio non è ancora possibile non essendoci una teoria universale riguardo i tempi in cui le faglie rilasciano energia.La poca conoscenza riguardo un fenomeno, l’assenza di documentazione e la scarsezza di risorse anche di tipo economico possono sicuramente inibire la comprensione del sistema in analisi. Le persone e le organizzazioni incaricate del rilevamento e del monitoraggio di un potenziale pericolo si occupano anche di determinare se questo effettivamente costituisce una minaccia per la salute e la sicurezza

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umana e si occupano inolrew di comunicare i possibili pericoli a quelle organizzazioni che sono invece tenute ad informare la popolazione.

predire

Riuscire a predire un evento con un certo grado di accuratezza è un compito molto importante. Anticipando il comportamento che un evento pericoloso può scatenare si è in grado di lanciare un allarme mirato.Una buona predizione tiene conto principalmente di 5 fattori:1. tempo (quando si ritiene che il disastro avverrà);2. luogo (l’area che si prevede verrà colpita);3. magnitudo;4. probabilità;5. conseguenze.

Anche la predizione presenta dei limiti che sono molto simili a quelli che si riscontrano nella valutazione dei dati. Ciò che la rende però più problematica è il decidere quando le incertezze sono così basse da poter dire con un grado abbastanza alto di sicurezza che la predizione è accurata.

informare

Se le previsioni portano a pensare che un pericolo sia ritenuto significativo il personale di gestione deve decidere se avvertire o meno della possibilità che questo accada. Qualora si decida in questo senso le comunicazioni devono essere inoltrate agli organi preposti. Vengono utilizzate procedure stabilite a priori in cui è già deciso quando, chi e cosa rendere partecipi dell’informazione. Esistono problemi che possono emergere durante lo scambio di dati tra il personale addetto al rilevamento e quello di gestione dell’emergenza tali da rallentare e indebolire l’efficacia della risposta. La preoccupazione che le previsioni siano sbagliate e che quindi il disastro non avvenga ha causato

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molte volte rallentamenti nell’avvisare gli organi di gestione e allerta. A questo si sommano le incomprensioni comunicative che possono avvenire tra personale scientifico e responsabili di emergenza nel caso in cui i primi, non sapendo bene con chi avranno a che fare, facciano uso di termini troppo tecnici e specifici.

interpretazione dei dati

Dati, analisi scientifiche e previsioni sono variabili fondamentali che il personale cerca per poter convertire in informazioni riguardanti il rischio. Dev’esserci però una negoziazione tra i ricercatori e i responsabili operativi perché molte volte può succedere che chi si occupa del rilevamento non sia in grado di esprimere le previsioni nei termini in cui vorrebbero i pubblici ufficiali. Nel caso di un eruzione per esempio i ricercatori possono fare previsioni sullo spostamento della lava basato su tremori armonici e comunicarlo in questi termini. Quello che un responsabile vorrebbe sapere invece è dove la lava andrà a finire, quanto tempo impiegherà ad arrivare ad un punto specifico e quali saranno le conseguenze.L’obiettivo di un’allerta è quello di far sapere alle persone lo stato dei fatti, la natura e le possibili conseguenze di un disastro imminente e al tempo stesso suggerire azioni per poter approntare una prima difesa.Come già detto, è importante avvisare anche le persone che non saranno interessate dal pericolo informandole del fatto che saranno al sicuro. Tutto questo viene svolto grazie al messaggio di allerta, al canale attraverso cui viene comunicato e alla frequenza con cui sarà ripetuto. Può capitare che i messaggi siano scritti a priori e letti in caso di necessità. Altre volte invece vengono redatti sul momento, avendo a disposizione poco preavviso.L’esperienza ha dimostrato come alcuni tipi di messaggi siano più efficienti di altri. Un buon messaggio contiene informazioni accurate, chiare e conformi al contesto. Da istruzioni su cosa fare, quali sono i rischi e lo stile deve far trasparire il più possibile sensazioni di certezza e sicurezza e per questo motivo provengono da persone che la gente considera affidabili. Le persone però hanno diversi livelli di comprensione e accettazione riguardo la credibilità. I messaggi devono essere trasmessi da più canali e da più

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fonti: scienziati, pubblici ufficiali, esponenti politici, volontari o personalità di spicco all’interno della comunità.Importante è la frequenza con cui i messaggi vengono rilasciati, un messaggio singolo non sarà considerato e la gente farà fatica a rispondere.

1.5

il monitoraggio della risposta

Un aspetto molto spesso trascurato è proprio il monitoraggio della risposta da parte della gente. Le persone che segnalano l’emergenza dovranno seguire attentamente gli effetti che questa sta creando, vedere se la gente sta interpretando queste informazioni correttamente e se ne stanno circolando altre che non provengono dai canali ufficiali. Questo succede perché la realtà oggettiva subisce interpretazioni diverse che cambiano da persona a persona. Anche se tutti stanno ascoltando lo stesso messaggio di allerta le conclusioni sul contenuto non saranno tutte uguali e questo comporterà risposte e atteggiamenti diversi.Solitamente le strategie disponibili sono quelle di continuare con le normali attività, cercare altre informazioni o attivare qualche forma di protezione. Queste opzioni non si escludono l’una con l’altra anzi le persone solitamente si attivano in tutte e tre le direzioni.In ogni caso ci saranno persone che reputeranno il pericolo un evento concreto ma riterranno di non essere direttamente interessate, altre invece che vorrebbero attivarsi concretamente e fare qualcosa ma non hanno ricevuto istruzioni al riguardo.Il monitoraggio della risposta quindi può essere uno strumento efficace per poter eventualmente correggere o migliorare i messaggi di allerta.Il più delle volte ci si limita a controllare solamente se vengono messe in circolazione informazioni che non corrispondono alla situazione reale. È

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opportuno invece controllare attivamente le persone e i media cercando di arginare i problemi e il diffondersi di informazioni non corrette prima che queste si diffondano in maniera incontrollata.Altri problemi possono emergere dal fatto che solitamente durante un’emergenza agiscono contemporaneamente più persone e organizzazioni. Alcune con compiti formali di allerta altre i cui ruoli emergono invece durante l’emergenza. Opinioni e visioni differenti da parte di membri delle organizzazioni coinvolte e di responsabili scientifici possono a loro volta ‘disturbare’ l’idea che le persone si sono fatte riguardo il pericolo. Nei capitoli successivi si vedranno più nel dettaglio quali possono essere questi ‘rumori’ che rovinano la comunicazione.Ovviamente le persone e le organizzazioni che si occupano del rilevamento non daranno così importanza alle componenti del sistema di allerta che non hanno a che fare direttamente con l’analisi dei dati, il monitoraggio e previsione. Chi si occupa dell’allerta e la popolazione stessa invece vogliono sapere di più del semplice fatto che il pericolo esiste. Ci vuole quindi uno sforzo congiunto che integri al meglio questi livelli perché ad oggi non sempre i professionisti dell’emergenza sono in grado di vedere oltre i limiti e le responsabilità che impone l’organizzazione. Di conseguenza i sistema di allerta bene integrati rimango un’eccezione piuttosto che una prassi consolidata.

1.6

la deCisione di allertare

I casi in cui si deve diramare un allarme alla popolazione sono rari ma succedono. La probabilità che avvenga un evento catastrofico è molto bassa e si presta sempre la massima attenzione nel valutare la possibilità di

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allertare o meno. Le ragioni sono molteplici: si teme di scatenare il panico, si temono le perdite economiche a causa di un’allerta non necessaria e la perdita di credibilità che ne potrebbe conseguire.Queste preoccupazioni però non sono sempre giustificate. La gente preferisce comunque essere avvisata piuttosto che dover sentire delle scuse a posteriori ed è molto tollerante se il falso allarme e il mancato scatenarsi dell’evento vengono supportati da valide motivazioni scientifiche.Negli Stati Uniti la gente per esempio è molto tollerante riguardo gli allarmi tornado. Si è visto che nel 70% dei casi questi non hanno conseguenze rilevanti. Le persone a rischio però evacueranno tutte le volte per evitare di rimanere la volta in cui l’evacuazione sarà veramente necessaria.Le conseguenze sono molto più significative se un disastro si manifesta senza che ne sia stato dato l’allarme rispetto a una situazione in cui, pur avendo diramato l’allarme, l’emergenza non si verifica. Anche se non viene notificato un avviso ufficiale è molto probabile che ne emergano di non ufficiali non appena le informazioni diventano disponibili alla stampa e alla gente. La questione dell’avvisare o meno la popolazione riguardo un possibile rischio non si deve comunque affrontare e risolvere in questi termini. È più corretto chiedersi a che punto gli operatori e i coordinatori devono avvisare le persone per fare in modo che queste si comportino come se il disastro fosse imminente. La decisione dev’essere presa durante il corso degli eventi ma in generale dovrebbe seguire un piano già stabilito a priori piuttosto che essere influenzata da fattori imprevedibili che normalmente si manifestano durante le emergenze.

miti da sfatare

Per poter gestire al meglio la risposta della popolazione è essenziale che gli operatori di emergenza sappiano quali sono le reazioni più comuni che possono scatenarsi tra le persone e quali sono invece quelle che difficilmente avranno luogo. I mass media assieme ad Hollywood hanno

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aiutato a formare idee distorte sui comportamenti collettivi umani in caso di emergenza che non rispecchiano assolutamente la realtà. Ma è proprio da queste due fonti che la gente solitamente si fa un’idea di come le persone potrebbero reagire alla presenza di una catastrofe e la tendenza a spettacolarizzare la storia e le notizie ha dato vita all’idea che molti dei comportamenti rappresentati sono effettivamente quelli che accadono nella realtà.

Hollywood Una delle maggiori responsabilità viene sicuramente dall’industria cinematografica di Hollywood. I film che mettono in cattiva luce i comportamenti delle persone sono svariati e sembrano suggerire l’idea che in caso di emergenza la gente si comporti in maniera casuale e scomposta.Anche le notizie che provengono dalla televisione, dalle radio o gli stessi articoli di giornale tendono a mostrare i comportamenti delle persone in maniera negativa facendoli apparire come se non

fossero in grado di badare a loro stessi.In alcuni casi notizie del genere sono previste, i media sono interessati a raccontare gli eventi anormali, quelle che mantengono i lettori o gli ascoltatori interessati e che fanno salire l’ascolto.Il pericolo però è che la verità non venga raccontata per intero ma magari solo alcuni aspetti, quelli più sensazionali. O che questi vengano distorti per mancanza di informazioni.Come si diceva poco fa uno dei comportamenti che si credono più diffusi riguarda l’incapacità delle persone di agire razionalmente in caso di emergenza e che il panico sia una conseguenza naturale. Il panico è uno stato emotivo che non permette di pensare razionalmente e porta a compiere azioni sconsiderate.

fig. 1.6.1

Una scena del film

‘Lo squalo’ di Steven

Spielberg. La presenza

dell’animale in acqua

scatena il panico tra la

gente.

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L’immagine abbastanza comune è quella della massa di persone che si accalcano alle uscite tutte insieme. Nel caso un edificio debba essere evacuato le persone sicuramente lasceranno lo abbandoneranno ma la scelta non sarà quasi mai caratterizzata da panico. La sociologa americana K. Tierney dice:

“anche nel caso in cui le persone che si trovano in una situazione di emergenza sono terrorizzate a tal punto da sentire minacciate le loro stesse vite quasi mai si verificheranno comportamenti individualisti altamente competitivi che caratterizzano le scene di panico vero.” —2

Lo scatenarsi di panico vero e proprio infatti è un evento molto raro e succede solo in determinate situazioni: quando la gente percepisce di essere vicina a un rischio mortale che può scatenarsi da un momento all’altro ma non può prevederlo con sicurezza; quando non è chiaro cosa bisogna fare per potersi proteggere e quando le autorità dicono di non avere paura anche se sono evidenti le ragioni per averne. In una situazione reale non tutte le persone fanno quanto richiesto nel momento in cui viene diramato l’allarme. Molti ignorano l’allerta e non si muovono dalla zona che sarà o che è già stata colpita senza prendere provvedimenti. Questo comportamento costringe poi in un secondo tempo vigili del fuoco e squadre di soccorso a organizzare missioni di recupero.Anche i presunti comportamenti antisociali fanno leva sulle preoccupazioni delle persone. Si prenda il fenomeno dello sciacallaggio. Subito dopo un disastro molta gente pensa che episodi di questo tipo siano una conseguenza naturale e che col passare del tempo aumenteranno. Le condizioni strutturali degli edifici in seguito a un terremoto o un evento catastrofico vengono compromesse profondamente. Con porte e finestre danneggiate si pensa che certe persone cercheranno di entrare per rubare. Questo porterà così i proprietari a cercare di difendere i loro beni magari anche attraverso metodi violenti. Un’altra paura abbastanza comune riguarda il possibile innalzamento dei prezzi dei beni da parte dei commercianti o da chi ha un’attività di questo tipo.Nella maggior parte dei casi però ci sono solamente notizie che descrivono

2. Tierney 2003, p. 35

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questi comportamenti o che informano sulla possibilità che questi realmente accadano. È stato provato però che la gente solitamente ha nessuna prova tangibile riguardo presunti atti di sciacallaggio.L’alzarsi dei prezzi oltre la soglia normale è anch’esso un fenomeno non diffuso. Molti cittadini e attività commerciali che sono a conoscenza dell’accaduto solitamente non pensano di creare altri problemi alle vittime e se alcuni lo fanno rimangono in ogni caso tra le eccezioni. Alcuni esperti dicono che addirittura la frequenza di crimini commessi durante un’emergenza si abbassa.Un altro luogo comune riguarda i pubblici ufficiali e gli operatori di emergenza. Si crede che nel periodo immediatamente successivo al disastro questi si dimostrino inaffidabili, ritenendo che non completeranno, o peggio abbandoneranno i loro compiti per poter prendersi cura dei loro familiari. Anche in questo caso queste paure si sono rivelate semplici supposizioni.

Infine uno sguardo alle vittime. Alcuni pensano che queste rimarranno in uno stato di shock permanente, che non permetterà loro di pensare serenamente o di prendersi cura di loro stesse. Quarantelli dice:

“la credenza più comune è che lo stato di shock lascia le vittime intontite e confuse, non in grado di stare al passo con le attività di ripresa.” —3

Gli studi e le ricerche dicono invece che le vittime manifestano sintomi causati da shock nella minoranza dei casi. Disturbi mentali a lungo termine sono rari e la maggior parte di esse non avrà bisogno di periodi di riabilitazione psicologica in strutture specifiche.

Un ruolo importante è rappresentato dai media. Si pensa sempre che questi siano in grado di dare informazioni precise riguardo l’entità del disastro, il numero dei feriti e delle vittime. I report iniziali invece nella stragrande maggioranza dei casi sono inesatti perché nessuno, tanto meno i media, ha una chiara comprensione dell’accaduto essendo le informazioni al riguardo ancora scarse e limitate. La tendenza a gonfiare le cifre e a drammatizzare

3. Quarantelli and Dynes, 1972, p. 36

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la situazione da parte della televisione o della radio invece fa pensare alle persone che ci sarà bisogno di una grandissima quantità di aiuti quando magari non è così.Le stime riguardo le persone rimaste uccise o in qualche modo colpite sono sempre sovra o sotto stimate e per cercare di dare un aiuto concreto quasi subito si attivano canali per poter raccogliere fondi che magari non servono. Molte delle cose appena descritte, dai comportamenti irrazionali che remano contro la comunità agli operatori di emergenza che abbandonano la posizione ad un’analisi più approfondita non si rivelano quasi mai corrette. Mileti e Sorensen, professori dell’università del Colorado, hanno elencato per il FEMA (la protezione civile americana) i 7 miti più comuni riguardo i sistemi di allarme e i comportamenti delle persone che sono da sfatare che cito testualmente:

“1. il pubblico non ha reazioni di panico come risposta all’avviso di un disastro imminente. della diffusione di tale credenza hanno probabilmente colpa tanti film hollywoodiani. le ricerche documentano che reazioni di panico si hanno solo in cui ci sono degli spazi chiusi nei quali ci sia un chiaro e immediato pericolo di morte e in cui le vie di fuga non sono in grado di accogliere tutti quelli che sono in pericolo nei minuti prima che chi rimane indietro muoia. Quindi il panico non segue l’avviso di disastro se non in circostanze molto rare.

2. il pubblico non ha mai eccessive informazioni sull’emergenza in un allarme ufficiale. è vero che le persone non ricordano tutte le informazioni contenute in un allarme se lo sentono una sola volta; comunque in un’emergenza vanno ripetuti più volte messaggi dettagliati. gli avvisi d’emergenza non sono soggetti alle stesse regole di altri tipi di messaggi (ad esempio i messaggi pubblicitari): le persone in una situazione di emergenza sono affamate di informazioni.

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3. la risposta del pubblico alle allarmi non diminuisce a causa del cosiddetto effetto “al lupo, al lupo”, sempre che il pubblico sia stato puntualmente informato dei motivi dei precedenti falsi allarmi senza conseguenze. Chiaramente ci sarà un effetto negativo se i falsi allarmi sono frequenti e non c’è nessun tentativo di spiegarne il perché. invece un falso allarme, se correttamente spiegato, può aumentare la consapevolezza del pubblico su quel tipo di rischio e la sua capacità di comprendere e ricordare le informazioni date in un allarme successivo.

4. il pubblico vuole ricevere informazioni sul rischio da una varietà di fonti e non da una sola persona. molte fonti aiutano le persone a ricevere conferma della situazione e rinforzano la fiducia nel contenuto del messaggio. Questo non significa che siano desiderabili tanti messaggi diversi da persone diverse: le diverse fonti devono invece essere per quanto possibile uniformi.

5. le persone non reagiscono con le opportune azioni protettive non appena sentono il primo messaggio di allarme. la maggior parte delle persone cerca invece ulteriori informazioni sul rischio imminente da persone che conoscono o da altre fonti di informazione. le persone chiamano gli amici, parenti e vicini per sapere cosa gli altri hanno intenzione di fare. le persone di solito accendono radio o televisione per avere maggiori informazioni.

6. la maggior parte delle persone non seguirà ciecamente le istruzioni se non ne sono stati spiegati i motivi e questi motivi si accordano con il comune buon senso. se le istruzioni in un messaggio di allarme sembrano non aver senso le persone seguiranno semplicemente istruzioni provenienti da altre fonti (amici, vicini ecc.)

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7. le persone non ricordano il significato dei vari schemi sonori delle sirene, ma sono indotti a informarsi sulle ragioni per cui la sirena continua a suonare. le sirene vanno viste come un modo per avvisare il pubblico di cercare informazioni sull’emergenza piuttosto che come un mezzo per indurre il pubblico a compiere opportune azioni protettive.” —4

1.7

le reazioni psiCologiCHe all’emergenza

La lista di pericoli per la salute e l’incolumità che la gente sottostima è molto lunga e il compito di uno specialista di emergenza è quello di fare in modo che la gente prenda questi rischi seriamente, che si preoccupi e che faccia qualcosa per contrastarli.Purtroppo la preoccupazione si può trasformare in paura o addirittura rabbia e i rischi che causano queste alterazioni psicologiche spesso hanno determinate caratteristiche che Peter Sandman, consulente statunitense di comunicazione di rischio, chiama ‘outrage factors’ (documento Beyond Panic prevention).Uno di questi fattori è la distinzione tra rischio cronico e catastrofico. Lo stesso livello di pericolosità di un rischio creerà molta più paura se arriverà concentrato nel tempo e nello spazio piuttosto che in maniera dilazionata. Le sigarette e il fumo da sigaretta ad esempio fanno molti morti ogni anno. Se tutte queste persone morissero in un giorno preciso dell’anno è molto probabile che il giorno dopo il fumo sarebbe bandito definitivamente. In tempi normali le reazioni che possono verificarsi oscillano tra due estremi, l’apatia e la paura. Il compito dei responsabili di comunicazione in questo caso sarà quello di far preoccupare di più le

4. Dennis S. Mileti, John H. Sorensen, Communication of Emergency Public Warnings, Washington, D.C.

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persone totalmente apatiche e diminuire la paura o la rabbia in quelle che lo sono troppo.

paura, paniCo, diniego

Come già detto la reazione più comune a un rischio è la paura. La paura però assume diverse sfaccettature che sempre Peter Sandman elenca in:

— apatia; — preoccupazione; — paura; — terrore; — panico; — negazione.

Le comunicazioni di rischio ordinario solitamente non superano mai il livello della paura. È importante notare che la strategia di comunicazione dipende da due cose: quanto preoccupate sono le persone (o quanto si pensa lo possano essere) e quanto preoccupate si vuole che lo siano. Organizzazioni con opinioni diverse riguardo queste due questioni cercano chiaramente strategie diverse.

il paniCo

Il panico come detto in precedenza è qualcosa che va oltre. Riuscire a prevenire il panico è uno degli obiettivi della gestione dell’emergenza perché il panico è molto contagioso e estremamente controproduttivo. Allo stesso tempo concentrarsi sulla prevenzione del panico è l’obiettivo sbagliato in quanto il panico è molto raro.In caso di eventi drammatici le persone dimostrano di essere piene di risorse e rimangono vigili. Si tende a fare quello che viene detto dalle autorità e se queste non sono presenti si cerca di capirlo da soli. Terminata la crisi ci possono essere ancora sentimenti di ansietà, paura, panico ‘ritardato’. Il fatto che molte

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persone si attivino per reagire da sole anche oltre le misure raccomandate dalle autorità può essere visto come una reazione causata dal panico ma non è così. I sopravvissuti all’attacco terroristico delle Twin Tower l’11 settembre 2001 raccontano che l’evacuazione fu ordinata e collaborativa. Il panico come già detto è molto raro.Prepararsi ad affrontare casi di panico vuol dire prepararsi allo scenario peggiore possibile. Per cercare di evitarlo bisogna dire alla gente la verità, mai dare false rassicurazione ma piuttosto dire che è normale avere paura e dire loro cosa possono fare.

diniego

Al panico si contrappone il diniego, o come risposta o addirittura come difesa contro il panico. Il diniego però è molto più comune del panico ma è difficile da individuare perché si avvicina all’apatia. Si manifesta attraverso una riluttanza a prestare attenzione al problema e se le persone sono invitate a parlare lo fanno senza lasciar trasparire emozioni. Il diniego però si scatena in maniera antitetica rispetto all’apatia perché le emozioni, solitamente la paura, vengono represse. Si scatena così un corto circuito psicologico. La differenza tra le due si verifica nel momento in cui si avvisano le persone attivando la loro attenzione. Le persone apatiche dimostrano scarso interesse iniziale ma quando si riesce a fare in modo che ricevano il messaggio correttamente cominciano a manifestare una presa di coscienza del problema. La recessione delle persone in stato di diniego invece aumenta all’aumentare della pericolosità dei messaggi che gli vengono comunicati.La domanda che sorge spontanea è se bisogna rassicurare le persone in diniego o prossime a entrare in questo stato. Certamente non vanno spaventate ulteriormente con il conseguente rischio di farle entrare in uno stato di paranoia. False rassicurazioni possono rivelarsi ancora più dannose in quanto verranno percepite come atti disonesti nei loro confronti.Si deve così legittimare la loro paura, dare loro opportunità di attivarsi concretamente, concentrarsi su quelle vittime in cerca di aiuto.

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Il continuare a rassicurare come abbiamo visto è la risposta sbagliata ma rimane l’errore più comune nella comunicazione di emergenza. Gli stessi mass media tendono ad assumere questo atteggiamento.Prima dello scatenarsi di una crisi i reportage avranno un contenuto quasi di promozione o pubblicizzazione dell’evento. Dopo la crisi diranno quanto si è rischiato e di chi è stata la colpa ma mentre la crisi è in corso i media cercano molto spesso di prevenire il panico sopprimendo le brutte notizie.Peter Sandman riporta questo esempio. Negli Stati Uniti nel 2001 durante il periodo degli attacchi all’antrace nessun canale televisivo e nessuna redazione di telegiornali utilizzò alcune delle fotografie che mostravano una lesione cutanea causata dall’antrace. Sarebbe potuto essere utile al pubblico vedere le conseguenze che l’antrace causava alla pelle ma gli editori decisero che quelle foto erano visivamente troppo forti e avrebbero potuto spaventare troppo i lettori o i telespettatori.

1.8

lo stress

In una situazione di emergenza o pericolo ogni essere umano è sottoposto in maniera più o meno accentuata a una serie di scompensi fisici e psicologici. I responsabili dell’emergenza infatti prestano molta attenzione alla tensione e allo stress che si può manifestare. In caso di urgenza o pericolo, sia questo provocato da eventi naturali o dall’uomo stesso, le decisioni che vengono prese nei primi minuti, ore e giorni sono di estrema importanza affinché la situazione si risolva positivamente.Durante un’emergenza il carico di stress può essere momentaneo oppure protrarsi per un determinato periodo di tempo. Le persone responsabili della gestione dell’emergenza hanno però il compito di elaborare in limiti

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di tempo molto ristretti grandi quantitativi di informazioni che spesso giungono incomplete e non definitive.L’uso del termine stress è molto presente in svariate pubblicazioni e ricerche che spaziano dalla psicologia alla medicina. Già a partire dal quattordicesimo secolo si trova una prima definizione di stress e viene descritta come una parola che evoca difficoltà, avversità e sofferenza.Nel diciassettesimo secolo Robert Hooke, fisico, biologo, geologo e architetto inglese fu nominato ispettore e incaricato di costruire la città di Londra dopo il grande incendio che si scatenò nel 1666. Aiutò ingegneri e architetti a realizzare banchine, fognature e ponti. Sopratutto questi dovevano essere in grado di sostenere carichi molto pesanti, resistere alle spinte dei venti e dei terremoti e di altre forze che avrebbero potuto danneggiarli. L’analisi che fece Hooke influì moltissimo il modo di vedere e pensare lo stress in campi come la psicologia e la sociologia. Egli vedeva infatti lo stress come una sollecitazione ambientale verso un sistema biologico o sociale.Una definizione comunemente accettata dice che lo stress è un processo che può manifestarsi durante uno sforzo lavorativo che richiede un processo di valutazione nel quale le domande superano le riposte e questo porta a un cambiamento psicologico, sociale ed emozionale non desiderato. È una definizione che calza molto bene con la gestione dell’emergenza, visto che il più delle volte questa è contraddistinta da una richiesta impellente di risorse e risposte che in un primo momento possono non essere disponibili. La relazione che esiste tra lo stress e gli effetti che può causare nel momento in cui si deve prendere una decisione però è un aspetto del comportamento umano che ancora rimane in gran parte inesplorato.

Fu solo nel 1988 che durante un congresso tenutosi negli Stati Uniti riguardo la discussione per il risarcimento delle vittime del volo di linea Iran Air 655 colpito per sbaglio da un incrociatore statunitense si parlò per la prima volta della possibilità che lo stress possa influenzare decisioni e comportamenti. All’epoca un gruppo di scienziati comportamentali si trovarono d’accordo sul fatto che nulla si sapesse riguardo il momento in cui le decisioni vengono compromesse da circostanze stressanti, tanto meno il modo in cui queste vengono influenzate.

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Su tre punti però questi esperti si trovarono d’accordo: — il prendere decisioni sotto stress è comportamento che non è

stato ancora studiato in maniera approfondita; — si pensa che la capacità umana di prendere decisioni venga

deteriorata dallo stress (anche se gli esperti all’epoca non furono in grado di dimostrarlo con dati empirici);

— gli scienziati riportarono che lo stress diminuisce la soglia di attenzione e che questo potrebbe avere un impatto negativo sulla capacità di giudizio.

Negli anni successivi molte risorse e attenzioni si concentrarono nello studio della risposta umana sotto stress e del suo rapporto con le numerose variabili che la influenzano. La ricerca non riporta dati conclusivi ma molti di questi studi hanno delineato aree di interesse da approfondire.

influenza della perCezione sullo stress

È d’obbligo introdurre il concetto di percezione quando si parla di stress in relazione alla prestazione che si compie durante l’elaborazione di una decisione. L’abilità nell’affrontare lo stress dipende dalla percezione e interpretazione che i singoli individui danno all’evento che si sta manifestando. Gillis suggerisce che circostanze stressanti non conducono automaticamente a problemi nel formulare un giudizio ma è il livello di esperienza con cui ognuno percepisce lo stress a influire. —5 Ad esempio i cataclismi incontrollabili esercitano molta più pressione sulle risorse fisiche e psicologiche delle persone e scatenano facilmente reazioni dovute allo stress. Il problema è che i responsabili di emergenza in questo contesto devono comunque svolgere il loro lavoro. Decidere come procedere in maniera efficace quando le informazioni critiche mancano o non sono ancora state determinate completamente non rende certo più semplice il processo decisionale. È importante sottolineare che all’aumentare dello stress sono stati riscontrati sia un miglioramento che un peggioramento della performance. Per alcune persone un alto livello di stress aumenta la capacità di rendimento. Un esempio fisiologico che

5. Gillis J.S., Effects of life stress and dysphoria on complex judgments, Psychological

Reports, Vol. 72, p. 1355-1363

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spiega questo dualismo di effetti positivi e negativi lo si riscontra negli atleti. Questi per arrivare a un ottimo livello di preparazione hanno al tempo stesso bisogno di un buon livello di stress che stimoli la performance. Non deve però essere troppo perché il quel caso porterebbe il corpo verso l’esaurimento e quindi a un peggioramento della condizione fisica.Due ricercatori tedeschi, Dorner e Pfeifer, hanno fatto un esperimento coinvolgendo una quarantina di persone. Hanno fatto svolgere un gioco al computer il cui scopo era tenere sotto controllo una serie di incendi simulati che si scatenavano in aree boschive fittizie.Metà dei partecipanti svolse il gioco in una condizione di stress causata dalla presenza di un rumore costante e l’altra metà in condizioni normali. L’esercizio prevedeva vari livelli di difficoltà e durò 5 ore. I ricercatori scoprirono che i soggetti sottoposti a stress e quelli non sottoposti a stress arrivarono agli stessi risultati seguendo però strade diverse. Le persone sottoposte al rumore costante si concentrarono più sul problema in generale mentre le altre fecero analisi più approfondite riguardo le strategie da usare. Di conseguenza le persone sotto stress fecero meno errori nel definire le priorità mentre i soggetti non sotto stress controllarono le operazione di spegnimento in maniera più efficace.Due ricercatori greci invece Kontogiannis and Kossiavelou esaminarono le strategie decisionali e di cooperazione utilizzate da squadre di comprovata efficienza nell’adattare i loro comportamenti verso emergenze ad alto tasso di stress.Gli autori conclusero che lo stress diminuisce la percezione, la vigilanza e le capacità mnemoniche assieme a quelle di valutazione delle opzioni alternative col rischio di rallentare i compiti.Uno studio riguardante i comandanti dell’esercito statunitense vide che le squadre con altissimi livelli di performance hanno in comune una caratteristica: sono in grado di adattarsi a molteplici richieste. Le squadre che presero in esame erano in grado di mantenere un alto livello di prestazione usando un terzo del tempo solitamente disponibile per prendere una decisione ma a cambiare era il modo con cui avveniva la comunicazione. Inizialmente la squadra rispondeva solamente alle richieste esplicite provenienti dai comandanti. Al passare del tempo però i componenti della squadra non aspettavano di essere interpellati

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dal comandate ma fornivano loro stessi le informazioni che ritenevano potessero essere utili. Cambiamenti efficaci nella comunicazione quindi prevedono l’aggiornare i membri della squadra, anticipare gli altri dando anche informazioni non richieste e minimizzare le interruzioni.Organizzazioni e strutture con un alto grado di affidabilità dimostrano una flessibilità simile. D’altra parte elaborare strategie per condizioni che possono diventare molto pericolose in pochissimo tempo non lascia molte possibilità di sbagliare.

stress in relazione alle informazioni

Studi riguardanti le fughe da incendi sotterranei all’intero di miniere hanno permesso di identificare diversi aspetti del comportamento umano utili a comprendere il processo con cui vengono prese le decisioni in forti condizioni di tensione e ansia.Gli allarmi iniziali in situazioni pericolose sono molto spesso poco chiari, a volte a causa della tecnologia, altre volte a causa di una comunicazione non efficace e ciò comporta una interpretazione non corretta del problema.Come già detto, sotto stress le persone non sono in grado di raccogliere le informazioni giuste e ciò impedisce loro di preparare una risposta appropriata. Una volta che la decisione è presa gli individui seguono volentieri un leader ma se questo manca le persone tendono a diventare confuse. I responsabili di emergenza non solo hanno a che fare con lo stress personale e quello che comporta ma si ritrovano a dover basare le loro decisioni su informazioni il più delle volte incomplete.

il liVello di attenzione

Nel 1989 si pensava che lo stress potesse inficiare l’attenzione e molti studi hanno confermato questa teoria. Negli anni successivi però ne sono stati condotti altri che invece hanno dimostrato il contrario. Si è visto che se una situazione prevede determinati rischi (come può essere appunto la risposta

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a un’emergenza) il soggetto diventa più cauto e adotta tutta una serie di comportamenti mirati in primo luogo ad evitare perdite.Questi studi hanno dimostrato che sotto pressione il soggetto adotta una modalità di raccolta delle informazioni che non prevede l’esame completo delle alternative e solo alcuni aspetti vengono usati per determinare la decisione.Il focalizzare l’attenzione in questo modo era considerato come una cosa negativa ma adesso potrebbe invece portare dei benefici. In questo modo si eliminano le informazioni non essenziali per lasciare in evidenza quelle importanti.Un altro ricercatore americano, Keinan G., in una sua ricerca ha cercato di capire se decisioni carenti prese in situazioni di stress sono imputabili alla mancanza del singolo di considerare efficacemente tutte le possibili alternative. In uno studio da lui condotto i partecipanti dovevano risolvere determinati problemi. Un gruppo lavorava in una condizione caratterizzata da stress ambientale rispetto all’altro gruppo che svolgeva il lavoro in condizioni normali. Si è visto così come lo stress tenda ad accelerare il processo di elaborazione di una soluzione prima che tutte le alternative siano state vagliate in maniera appropriata. Secondo Kerstholt la modalità con cui si prendono le decisioni è influenzata dalle dinamiche ambientali di un evento visto il contenuto di incertezze che può portare. Una situazione in evoluzione muta costantemente e la persona incaricata di decidere sul da farsi deve tenere in considerazione questi cambiamenti.Una volta che le decisioni sono prese e si è passati all’azione i risultati possono essere presi in considerazione e le informazioni utilizzate per elaborare le decisioni successive. Inoltre dovendo affrontare l’incertezza chi ha la responsabilità di decisione deve raggiungere un buon compromesso tra il costo di intervenire e il rischio di non farlo.

lo stress influenza i Comportamenti

Un altro campo di studio riguarda invece le modalità con cui lo stress può influire un comportamento durante un’emergenza. Alcuni ricercatori hanno esplorato i problemi e i livelli causati dallo stress a seguito incidenti

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traumatici, fughe di emergenza simulate e comportamenti adottati in caso di incendi all’interno di miniere. Uno studio prevedeva la presenza di piccoli gruppi di minatori a cui era chiesto di entrare in un’area sottoterra riempita di fumo non tossico e di camminare per 270 metri verso una porta che conduceva a un’uscita esterna. Ai singoli soggetti era poi richiesto di compilare un rapporto riguardo l’esperienza appena vissuta. In generale si è visto che i minatori più esperti erano quelli che riportavano meno stress durante l’esercizio.I ricercatori poi hanno esaminato 8 casi in cui gruppi di minatori avevano abbandonato la loro postazione di lavoro attraversando del fumo. Uno degli obiettivi era quello di determinare una possibile serie di fattori che influenzano le capacità individuali di prendere decisioni assennate durante un’emergenza. I ricercatori hanno visto che il processo di decisione è caratterizzato dei seguenti passaggi:

— individuazione del problema; — definizione o diagnosi; — considerazione delle opzioni possibili; — scelta di quella che sembra essere l’opzione migliore in rapporto

ai bisogni percepiti; — esecuzione della scelta.

In qualsiasi momento però altri fattori possono entrare in gioco e diminuire l’abilità di risolvere problemi in tempi ristretti. Questi sono:

— abilità psicomotorie, conoscenza e attitudine; — qualità e completezza delle informazioni; — stress generato dai problemi momentanei o passati; — complessità delle situazioni che bisogna fronteggiare.

studi in laBoratorio o esperienze dirette?

Il ricercatore americano Hammond ritiene che ci siano abbastanza studi riguardanti il processo di decisione in condizioni di stress. Una domanda però sorge spontanea: i risultati di laboratorio effettuati entro limiti di tempo possono davvero rappresentare un situazione di emergenza vera

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in cui se si sbaglia qualcuno può rimanere ferito o addirittura morire? Effettuare questi esperimenti in condizioni di pericolo reale sarebbe rischioso e poco etico. Il problema quindi interessa la validità oggettiva del carico di stress. In laboratorio questo potrebbe essere profondamente diverso da quello che può verificarsi in una condizione di emergenza reale. Certamente gli studi in laboratorio rappresentano l’approssimazione di stress migliore che si possa raggiungere e questo tipo di ricerca non può certo fermarsi.Come si è visto ci sono ancora poche certezze riguardo i fattori che influenzano l’abilità delle persone nel prendere decisioni durante un’emergenza. La storia è piena di successi non raccontanti ma anche di disastri importanti. Che ruolo ha lo stress nella nascita di questi errori? Da un punto di vista cognitivo ogni persona nell’atto di prendere una decisione è coinvolta in una serie di processi caratterizzati da specifici elementi che possono essere influenzati da agenti esterni in qualsiasi momento. Lo stress è uno di questi ma non si conosce ancora bene la natura di questa interazione viste le limitazioni che avvengono nell’adattare gli studi di laboratorio all’esperienza reale.Si è visto però come ogni persona reagisca allo stress in maniera diversa. Persone con più esperienza nell’affrontare emergenze o situazioni critiche avranno un carico di stress inferiore a persone non esperte. Indubbiamente casi di pericolo estremo creeranno un livello di stress minimo a tutto il personale coinvolto che però viene mantenuto basso attraverso esercitazioni effettuate prima dello scatenarsi di una crisi.Contrariamente a quello che si pensava la capacità di giudizio non è sempre compromessa sotto stress. Come è stato scritto poc’anzi alcuni studi rivelano che la diminuzione del focus di attenzione fa adottare all’individuo un modello più semplice per elaborare le informazioni. Si da così più importanza ai problemi veramente critici. Dall’altro lato però questo significa che in alcuni casi vengono prese decisioni senza avere vagliato a fondo tutte le alternative possibili.Aprendo questa discussione si è cercato di capire meglio che relazione ci fosse tra lo stress e il processo decisionale dell’individuo e se l’approfondimento di questa tematica possa aiutare a formulare decisioni migliori. Al momento gli studi sono ancora pochi, quello che si può dire è

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che lo stress e la tensione sono fattori critici in momenti in cui un grande quantitativo di variabili dev’essere esaminata in un periodo di tempo molto ristretto.

1.9

Come sCriVere il messaggio di emergenza

Un altro punto fondamentale all’interno della comunicazione nell’emergenza è rappresentato dal messaggio con cui si mettono al corrente le persone della situazione che si sta verificando.Si parte dal presupposto che le informazioni vanno sempre trasformate in messaggi. Così facendo queste acquistano significato per le persone a cui ci si sta rivolgendo, cioè il target. Infatti dei punti chiavi all’interno del processo della comunicazione nell’emergenza è proprio la redazione del messaggio di allerta. Questo deve tener conto di alcuni fattori intrinsechi al target, quali i suoi bisogni, i suoi obiettivi, le sue risorse e interessi. Il contenuto e lo stile determineranno così il livello di azione che le persone sono chiamate a seguire. Il messaggio va semplificato e reso non troppo lungo cercando di fare attenzione al linguaggio tecnico e cercando di avvicinarsi il più possibile all’esperienza della gente in modo da non creare confusione ed fare in modo che rimangano vigili.In situazioni normali le persone hanno un livello di attenzione piuttosto basso ma in caso di emergenza queste questo aumenta e le persone diventano affamate di notizie. Di conseguenza messaggi troppo brevi non funzionano e diventano pericolosi perché creano dei ‘vuoti’ di informazioni che inevitabilmente vengono colmati. La gente comincerà così a chiedere informazioni ad amici, vicini, parenti e altre fonti non ufficiali col rischio di innescare una reazione a catena che porta alla formazione di dicerie e azioni di risposta deboli da parte della popolazione.

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Ci sono 5 fattori da tenere a mente nello scrivere un messaggio di allerta:

1. il periColo Il messaggio deve contenere informazioni dettagliate riguardo l’imminente pericolo e deve descrivere l’evento che potrebbe scatenarsi e in che modo costituisce un pericolo per le persone. Per esempio, un avviso che dica solamente che una diga sta per rompersi è insufficiente. Si devono dare informazioni riguardo la portata e l’estensione dell’area che può essere interessata. Se un pericolo è descritto correttamente e si forniscono le sue caratteristiche fisiche le persone saranno in grado di capire meglio con che logica potranno prepararsi e si limiterà il numero di quelle che non intraprenderanno azioni di risposta a causa di un fraintendimento..

2. le indiCazioni Il messaggio di allertdeve fornire delle linee guida riguardo ciò che si deve fare per massimizzare la sicurezza. Non si può presumere a priori quello che può costituire un’azione di difesa appropriata per le persone. Dev’essere descritta anche questa. Se bisogna comunicare alla popolazione di spostarsi su terreni più elevati a causa di un’inondazione bisogna specificare nel dettaglio il livello di altezza o definire un’area ben precisa dove la gente dovrebbe spostarsi.

3. il tempo Di fondamentale importanza è l’aspetto del quando. Le persone in pericolo devono sapere quanto tempo hanno ancora a disposizione per poter fare qualcosa che possa contrastare il pericolo o quanto tempo hanno prima che debbano iniziare ad attivarsi.

4. la fonte La fonte del messaggio dev’essere identificabile nel messaggio stesso. I messaggi sono più credibili se provengono da un gruppo definito e qualificato di persone, come il capo della protezione civile, il sindaco della città, il direttore della croce rossa ecc.

5. lo stile Solitamente in un messaggio di allerta si tiene conto di 5 aspetti quali la specificità, la coerenza, l’accuratezza, la sicurezza e la chiarezza.

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2.

il rumore nella ComuniCazione

Il rumore è tutto quello che crea disturbo nella comunicazione. Il rapporto segnale/rumore indica la quantità reale di messaggio che arriva senza essere falsato, distorto o disturbato dal rumore. Nella comunicazione tra due persone i disturbi possono essere divisi tra:

— interni a chi comunica; — dell’ambiente in cui avviene la comunicazione; — dovuti al mezzo di trasmissione.

Il rumore che proviene internamente quando si comunica ha origini diverse, può essere influito da sentimenti, può manifestarsi a causa della superficialità di contenuto che si da a idee o concetti oppure può essere legato a preconcetti che condizionano l’espressione delle proprie idee.Il rumore esterno invece è direttamente collegato all’ambiente e può avere una natura fisica (rumori, chiasso, ecc.), economica o sociale (condizionamenti di gruppo).Stessa cosa dicasi per il rumore interno a chi riceve il messaggio, similmente influenzabile dalle stesse variabili di chi comunica.Ottenere quindi una comunicazione trasparente è difficile e bisogna essere in grado di creare sintonia e sinergia tra le intenzioni di chi comunica, il messaggio comunicato e la capacità di comprensione del ricevente.Il segno (parola o gesto) utilizzato per comunicare può essere:

— vero: esprime e comunica con trasparenza una realtà interiore; — vuoto: privo di contenuto interiore completo; — falso: contenuto esterno diverso da quello interiore.

Nella comunicazione di emergenza per poter contrastare il rumore ci vuole una retrocomunicazione, un’informazione di ritorno che permette di capire se il messaggio è stato ricevuto, capito, approvato. Si parla di feedback. Sulla base di questo si può così reagire cercando la via più efficace per

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raggiungere il risultato. In situazione di emergenza è il rischio il carattere che qualifica la situazione della comunicazione. La sua percezione, che ha una dimensione prettamente soggettiva, orienta i processi di comunicazione.Razionalmente poi l’individuo elabora il senso e decodifica il messaggio attraverso determinati passi che lo portano a valutare la probabilità e l’intensità del rischio, le alternative a sua disposizione e le conseguenze relative alle differenti scelte per arrivare a determinare l’azione migliore da seguire.In una situazione di crisi però la dimensione razionale si può perdere e il processo d’attribuzione di senso non arriva a garantire una risultato interpretativo che rispecchia la realtà. Si manifesta una ‘dissonanza cognitiva’ a causa della nuova realtà in cui l’individuo si trova immerso che porta manipolare le informazioni per cercare di ricondurre a modelli interpretativi consolidati una situazione non dominata cognitivamente, qual è quella di crisi. L’individuo ricorre così a un’opera di sovra semplificazione e di normalizzazione provando a condurre a schemi già conosciuti le realtà che gli appaiono diverse, molto spesso in maniera forzosa.C’è anche il rischio che l’individuo sovrastimi gli eventi per le caratteristiche specifiche e non per il danno obiettivo che possono causare. La complessità dell’emergenza richiede così l’utilizzo di processi comunicativi efficaci in grado di produrre comportamenti adattivi efficaci. Come si è visto però questi possono essere distorti da manipolazioni che compiono il fruitore o le stesse fonti.Emergono così le problematiche legate alla comunicazione nell’emergenza e ai suoi canali. La caratteristica principale della comunicazione di emergenza sta nel fatto che nella maggioranza degli scambi è implicita una situazione di necessità, trasmessa da una fonte a un destinatario da cui è attesa una risposta.

il Cittadino

Il cittadino è inteso come il singolo individuo ovunque egli sia sul territorio interessato dagli eventi, in maniera stabile o momentanea.

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Emerge già a questo punto una prima forma di rumore legata alla conoscenza del territorio e alla capacità di comunicare chiaramente la sua posizione o la posizione dell’evento pericoloso che potrebbe coinvolgerlo. Si scopre così che ‘essere del posto’ non sempre è vantaggioso da un punto di vista comunicativo.La toponomastica locale è diversa da quella ufficiale e alcune persone si esprimono con nomi di località che potrebbero non essere capite dal suo interlocutore. Se a questo si aggiunge l’uso del dialetto o di termini dialettali propri della zona interessata le difficoltà di comprensione per operatore di protezione civile possono non essere poche.Il lato emozionale infine crea anch’esso rumore, inficiando la comunicazione. Il cittadino che trasmette la sua comunicazione in uno stato d’animo non rilassato cercherà di renderlo più forte e credibile per ottenere una risposta in tempi rapidi e prima di altri. Stessa cosa vale per il ricevente. Se stress o stanchezza si accumulano possono verificarsi perdite di attenzione che disturbano il contenuto del messaggio.I rumori legati ai canali di comunicazione invece sono collegati al sistema di telecomunicazioni. Quello italiano è prevalentemente terrestre e di conseguenza legato all’integrità delle strutture fisiche. Si deve prendere in considerazione quindi il rumore strutturale legato al canale. in una comunicazione radio possono manifestarsi fruscii, documenti trasmessi via fax possono avere problemi di leggibilità, ecc.L’allarme può essere trasmesso in molti modi, attraverso la voce, segnali elettronici o su carta stampata. La voce poi può essere amplificata e trasmessa da altoparlanti, telefoni, radio o in televisione. Segnali di pericolo possono essere manifestati attraverso sirene e allarmi, fischi o segnali luminosi. Ognuno di questi ha vantaggi e svantaggi rispetto ad altri.In generale si possono distinguere due categorie principali di canali, quelli che trasportano i suoni e quelli che trasportano immagini e segni.

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Canale dei suoni

La FEMA americana suddivide questo canale in:notifiCHe personali È necessario che personale vada a recapitare il messaggio di allerta compiendo un servizio porta a porta. Questo metodo viene usata in aree con una densità di popolazione molto bassa o che non dispongono di mezzi di allerta elettronici. Il vantaggio risiede nel fatto che le persone saranno molto più disposte a rispondere a un messaggio recapitato da una persona fisicamente presente e penseranno che il pericolo esista veramente.Al tempo stesso agire in questo modo comporta un dispendio elevato di tempo e richiede la presenza di molti mezzi e persone.

sistemi di diffusione sonora È abbastanza semplice utilizzare questi sistemi per avvisare le persone in posti che già li possiedono, come scuole, ospedali, prigioni, stadi, teatri o centri commerciali.Diffusori portatili possono essere montati sopra veicoli e usati per avvisare la popolazione in maniera rapida, cosa che può aiutare molto il metodo di notifica personale appena visto. Sono molto utili anche nel raggiungere quelle sacche di popolazione che si trovano in aree confinate magari non facilmente accessibili.I sistemi di diffusione per essere efficaci hanno bisogno di essere ben collegati all’operatore così da poter disseminare il messaggio velocemente e in maniera accurata. Il problema maggiore sta nel fatto che per le persone non è così semplice ascoltare un messaggio da un veicolo che si sta muovendo. L’ascolto del messaggio può risultare parziale ed è difficile per le persone confermare l’allarme.

sirene Una sirena in un sistema di allarme permette che un segnale di tipo uditivo possa arrivare alla popolazione a rischio in quel momento. Questi strumenti sono pensati per dare un’allerta veloce alla popolazione in pericolo emettendo un suono. Non sono in grado però di dare istruzioni.Allertano però le persone affinchè queste si attivino a cercare altre informazioni riguardanti l’allarme, a meno che non sia stato previsto un piano per cui le persone sanno già che cosa fare in caso sentano la sirena.

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Segnali multipli, ondulati o a intermittenza sono difficilmente differenziabili dalle persone. Di conseguenza affidarsi a queste cambiamenti sonori non aiuta. Un alto problema che limita e inficia l’utilizzo delle sirene sono i falsi allarmi causati da problemi tecnici, da equipaggiamento difettoso dovuto alla poca manutenzione, problemi di copertura dovuti al cattivo tempo o agli edifici e alcune volte alll’indifferenza delle persone in aree urbane molto popolate.Rimane comunque un canale molto utilizzato nei sistemi di allerta a dispetto dei problemi appena elencati.

il telefono Il telefono è il canale più usato dalle persone vista la sua disponibilità e presenza in quasi tutte le case e ormai sulla stragrande parte del territorio vista la forte diffusione della telefonia cellulare. È il canale con cui le persone hanno più confidenza, si sentono ascoltate, comprese e aiutate.Viene utilizzato anche dalle forze dell’ordine, dalle autorità e dai volontari per le comunicazioni attraverso operatori competenti. In situazioni di emergenza invece le comunicazioni avvengono con ponti radio o attraverso la telefonia satellitare che però ha bisogno di un’antenna esterna.I disturbi più comuni che possono verificarsi in questi casi sono interferenze, fruscii ed echi che distorcono l’ascolto del messaggio.

Canale di immagini e segni

Le comunicazioni legate al canale della vista ormai non si limitano al cartaceo ma vengono prodotte digitalmente per essere visualizzate su monitor. Ad oggi però la comunicazione di emergenza ufficiale prodotta dalla Protezione Civile che ha valore legale è quella effettuata tramite fax.

La televisione è un altro importante mezzo per la trasmissione dell’allarme. Può avvenire interrompendo la normale programmazione o facendo scorrere del testo in fondo allo schermo. Si riescono così a raggiungere moltissime persone sopratutto durante le ore del pomeriggio. Come la radio questo è un canale che funziona molto poco durante le ore notturne. La

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televisione va molto bene per eventi che richiedono tempo nello svilupparsi e il suo grande vantaggio è quello di poter mostrare grafici, mappe o diagrammi riguardanti l’allarme. Al tempo stesso appartengono a questo canale le comunicazioni di posta elettronica, i telegrammi, la posta tradizionale e i messaggi inviati da telefono cellulare.Quelli degli sms è una canale monodirezionale che non comporta un feedback istantaneo e non c’è interazione tra le parti durante la comunicazione. L’unico riscontro permette di sapere se il messaggio è stato consegnato o meno ma non se sia stato letto e compreso.Per ricapitolare i rumori si riassumono in quattro grandi famiglie:

Culturale amBientale Legato alla conoscenza e all’uso del linguaggio utilizzato per la comunicazione e l’ambiente fisico in cui questa si svolge

teCniCa Connessa alla conoscenza ed all’uso degli apparati e mezzi di comunicazione.

legislatiVa Inquadrata dagli strumenti legislativi che definiscono il quadro normativo di riferimento per la protezione civile;

eConomiCa Definita dai vincoli di legge alle risorse destinate alla protezione civile ed all’attività degli enti in genere.

Una volta individuate le fonti si può cercare di capire quali sono gli strumenti e le azioni per prevenire o abbattere il rumore nella comunicazione.Il concetto di rumore va oltre il limite di disturbo sui soli canali e investe tutto quello che ostacola la comunicazione, i momenti in cui il messaggio viene creato e i motivi per cui viene indirizzato verso un ricevente piuttosto che un altro.La ricezione del messaggio da parte di una persona non incaricata a tale scopo provoca già un ‘rumore’ perché la ritrasmissione di quest’ultimo al corretto destinatario può causare un’interpretazione diversa dal messaggio originario.

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Lo sviluppo dei sistemi di allarme della Protezione Civile è da sempre orientato a prevedere i rischi ovvero a favorirne la conoscenza per sapere cosa fare nel caso si verifichino.Non è mai possibile prevedere nei minimi particolari tutto ciò che può succedere, ma è sicuramente possibile predisporre una serie di strumenti e di informazioni a cui fare riferimento nel caso di emergenza per dare una risposta efficace in tempi brevi.La predisposizione di strumenti ed informazioni di prevenzione rientra in questa trattazione perché ha la funzione anche di formare un linguaggio condiviso da utilizzare in caso di emergenza per ridurre una parte del “rumore”.Conoscere i rischi permette di predisporre una serie di misure operative destinate a rendere più efficienti anche i canali di comunicazione e più efficaci le azioni di prevenzione.

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3.

la Coordinazione in emergenza

Durante la risoluzione di una crisi possono essere chiamate a intervenire diverse organizzazioni, sia private che pubbliche. In un articolo pubblicato dal sociologo americano Enrico Quarantelli l’autore cerca di evidenziare le scoperte più importanti riguardo i comportamenti organizzativi durante un’emergenza. —6

Si pensa molto spesso che in caso di crisi una buona pianificazione possa risolvere la situazione in maniera efficace, ottimizzando i tempi, ma nella maggior parte dei casi c’è una grande differenza tra quello che si era pianificato e quello che poi avviene. Il non riporre troppa attenzione alla pianificazione e una buona risoluzione della crisi sono eventi parzialmente correlati tra loro. Il motivo è duplice: la pianificazione può essere scarsa. Se è troppo segmentata, se non include tutti gli aspetti sociali ed economici o se richiede l’esecuzione di compiti straordinari sarà necessaria un’implementazione che vada a soddisfare queste richieste ad emergenza in corso.L’altro motivo è la tendenza a sovrapporre i principi organizzativi di una crisi con quelli che contraddistinguono una pianificazione di emergenza. Sono due cose diverse. Studi riguardanti disastri hanno dimostrato che i responsabili di emergenza non sempre sono in grado di distinguere bene tra queste due attività e le conseguenze sono molto spesso negative. Tante volte si ritiene poi che avendo già un buon piano di preparazione la gestione e l’organizzazione dell’emergenza saranno semplicemente un’implementazione dello stesso. Ma come dimostrano diversi studi le due cose non sono le facce della stessa medaglia. È la stessa distinzione che l’esercito fa tra strategia e tattica. La strategia adotta un approccio al problema considerandolo in maniera globale. Ci saranno però sempre fattori e circostanze che richiederanno piccoli aggiustamenti di rotta per risolvere un problema specifico e improvviso. E questa è la tattica. Durante

6. Quarantelli E., 1988. Disaster crisis management: a summary of research findings. Journal of

Management Studies, p. 373–385

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la gestione di un’emergenza tattiche particolari sono usate per risolvere situazioni impreviste che possono avvenire.È chiaro che queste tipologia di tattiche non posso essere discusse prima che avvenga il fatto e una buona gestione e organizzazione dipende da come queste verranno utilizzate.Un’altra considerazione da fare riguarda il fatto che, contrariamente a quanto si pensa, la maggior parte dei problemi di un’emergenza non viene dalle persone colpite ma proviene dalle organizzazioni incaricate di rispondere a questa. Una gestione efficiente è possibile solo se i diversi gruppi che intervengono sono in grado di coordinarsi tra loro su determinate problematiche.Nello specifico i problemi più comuni possono verificarsi nel processo di comunicazione e nel passaggio di informazioni, nell’esercizio dell’autorità, nella presa di decisioni e nello sviluppo e coordinazione della struttura di comando.

3.1

il proCesso di ComuniCazione

Il termine ‘processo di comunicazione’ viene usato in maniera impropria per definire quello che si comunica invece del come avviene la comunicazione. In molti disastri il sistema infrastrutturale di comunicazione non viene particolarmente danneggiato. Può succedere però che per una particolare emergenza l’equipaggiamento non sia sufficiente alle richieste (una situazione riguardante più i momenti precedenti lo scatenarsi della crisi difficilmente imputabile alle conseguenze)Il problema quindi è il passaggio e lo scorrere delle informazioni. Questo flusso avviene in 4 circostanze ben definite:

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— all’interno dell’organizzazione; — tra le organizzazioni; — tra le organizzazioni e la gente; — dalla gente alle organizzazioni.

flusso di informazioni all’interno delle organizzazioni

Tutte le organizzazioni devono comunicare internamente e scambiare informazioni tra i membri del gruppo in condizioni normali. Il sistema di comunicazione interno è in grado di scambiare agevolmente una determinata quantità e un determinato tipo di informazioni. Durante un’emergenza però il numero di persone che andranno ad utilizzare il sistema aumenta e il sistema può subire un aumento del volume degli scambi provocato dal maggior numero di utilizzatori. Questo inevitabilmente comporterà un sovraccarico con conseguenti perdite e ritardi nella trasmissione delle informazioni.Anche la catena di comando può cambiare. Le comunicazioni normalmente viaggiano attraverso determinati canali ma in emergenza può succedere che più persone occupino una posizione che prima ricopriva solamente una persona o che i responsabili siano chiamati ad assumere compiti a cui non sono solitamente preposti.Sono fattori questi che creano situazioni in cui i canali di comunicazione diventano insufficienti per permettere che tutte le informazioni più importanti raggiungano chi ne ha bisogno e chi deve essere informato.Una corretta pianificazione può essere di grande aiuto ma le variabili in gioco sono molto alte e le personalità che hanno il compito di gestione devono essere in grado di trovare soluzioni tattiche sul momento.

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flusso di informazioni tra le organizzazioni

Il flusso di informazioni che si crea tra le organizzazioni che intervengono mobilitandosi è spesso ignorato. Si tende infatti a pensare a un’organizzazione non come un sistema ma come un insieme di componenti che operano indipendentemente gli uni dagli altri. Ci sono strutture di tipo medico che provvedono a fornire assistenza medica mentre alla polizia e all’esercito viene affidato il compiti di sicurezza. Portare a termine questi compiti richiede più di un flusso di informazioni. Ci sono infatti comunicazioni a catena tra i differenti gruppi.Se il passaggio di informazioni è difficile già nel contesto quotidiano durante un’emergenza può diventare problematico specialmente se alcuni comportamenti interni cambiano.Nella vita di tutti i giorni i responsabili delle diverse organizzazioni comunicano spesso tra di loro in maniera informale dato che tra molti di loro ci sono rapporti di amicizia o di conoscenza. Quando si scatena una crisi invece c’è la possibilità che si debbano stabilire contatti formali con persone a capo di organizzazioni di cui non si conosce poco o niente e, almeno all’inizio, il flusso di comunicazione potrà essere difficile da mantenere. In questo caso la protezione civile Trentino ha stipulato accordi con le organizzazioni che dovranno intervenire in caso di emergenza proprio per evitare sovrapposizioni di ruoli e perdite di tempo nell’organizzazione.

flusso di informazioni tra le organizzazioni e le persone

In caso di crisi le organizzazioni potrebbero dover informare i cittadini. Se la comunicazione si rende necessaria non sempre risulta essere efficace. Questo dipende dalla mancanza delle organizzazioni nel capire quali sono le informazioni utili al personale e quali invece quelle utili alle persone in pericolo perché non necessariamente sono le stesse.Per esempio un annuncio che avvisa le persone di evacuare un determinato posto può venire trasmesso così: ‘evacuate la strada X o il quartiere Y’. È

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molto probabile che i responsabili sappiano i confini della zona in pericolo e il relativo grado di sicurezza all’esterno di questi. Non è scontato che lo sappiano le persone che in questo modo devono scoprire da sole il livello di pericolosità dell’evento che si sta scatenando. Il messaggio poi che viene mandato non sempre è essere di facile comprensione come magari lo è per gli addetti che lo redigono.

flusso di informazioni dai Cittadini Verso le organizzazioni

Come detto è molto facile che siano le persone a lanciare ad alcuni gruppi richieste di aiuto. L’effetto tipico di queste azioni sono le linee telefoniche intasate verso i dipartimenti di polizia, dei vigili del fuoco o di chi sia incaricato di rispondere.Può succedere che si debba rispondere a domande che non fanno parte del flusso di routine e le persone assegnate ai centralini potrebbero avere problemi a coordinare il volume di richieste. Il tenere sempre a mente questo tipo di variabili e designare a priori chi farà da tramite con i cittadini può essere di grande aiuto

3.2

eserCizio dell’autorità e proCesso deCisionale

Se l’autorità è debole in periodi di normale attività in quelli di emergenza lo sarà ancora di più. Le problematiche di questo tipo che emergono riguardano più la struttura dell’autorità che il processo decisionale in sé.Anche se il flusso di informazioni durante un’emergenza è inadeguato i

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responsabili continuano comunque a esercitare la loro autorità e a portare a termine i loro compiti. Se i responsabili o gli ufficiali in carica non possono essere raggiunti sarà il personale subito sotto di loro a dover prendere decisioni. E il sistema burocratico si adatta di conseguenza consentendo una certa elasticità organizzativa. Il decentramento del processo decisionale è una caratteristica comune in una situazione di crisi.Un altro luogo comune riguarda la convinzione che le organizzazioni non siano in grado di svolgere i loro compiti in maniera corretta visto il conflitto che si crea nel personale tra il continuare a svolgere la loro attività e prestare soccorso ai familiari colpiti. In alcuni occasioni è emersa la preoccupazione che responsabili chiave non si presentassero o che abbandonassero il lavoro per occuparsi dei proprio cari. Diversi studi però hanno dimostrato che questo conflitto non comporta un inadempimento nel completare i compiti assegnati. Le problematiche riguardano il processo di decisione si possono elencare così:

— mancanza di personale altamente qualificato a causa del troppo lavoro;

— conflitti tra le autorità riguardo nuovi compiti; — conflitti tra i diversi gruppi di intervento riguardo i limiti di azione; — conflitti a livello di giurisdizione.

Collasso del personale

La tendenza di alcuni responsabili ai vertici a lavorare troppo senza riposare adeguatamente può portare al collasso psicofisico, rendendoli poco efficienti nell’adempiere alle loro responsabilità e nel prendere decisioni.Quando vengono sostituiti da altro personale questo non avrà a disposizione tutte le informazioni di cui ha bisogno perché magari non c’è stato tempo per stilare rapporti ufficiali. E il processo di decisione richiede una conoscenza approfondita. A una prima occhiata il problema può sembrare semplice da risolvere attraverso la sostituzione del personale stanco. Organizzazioni che prevedono turni di lavoro li possono programmare in anticipo. Quelle che non li prevedono dovranno essere in grado di gestire tatticamente i turni per evitare un eccessivo affaticamento del personale.

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Conflitti organizzatiVi

Determinare chi dovrà essere autorizzato a eseguire compiti mai verificatisi prima è un altro grande problema. Quale organizzazione deve assumersi questa decisione? Per esempio la ricerca e il seppellimento di un grande numero di corpi sono attività che avvengono in emergenze particolarmente gravi.

Conflitti di dominio organizzatiVo

Anche quando si svolgono compiti relativamente semplici ed eseguiti già in precedenza non è detto che i problemi manchino. Per esempio il compito della sicurezza il più delle volte è svolto dalla polizia ma se entra in azione l’esercito questo tenderà a prendere il comando.La situazione può risultare ancora più complicata se l’organizzazione che si occupa di una determinata questione è esterna alla comunità colpita dal disastro. Un esempio può essere la presenza di un’agenzia di soccorso esterna o che abbia compiti di sussidiarietà. Anche se sono presenti per svolgere il loro compito queste in alcuni casi possono essere viste negativamente dalla comunità colpita che li identifica come elementi estranei e non graditi.

differenza a liVello di giurisdizione

Situazioni di crisi molto spesso rompono i confini giurisdizionali delle singole organizzazioni e la cosa è motivo di molti conflitti. In periodi non di crisi sovrapposizioni di autorità e di responsabilità si possono ignorare e non comportano problematiche particolari. Ma le situazioni di emergenza cambiano molti aspetti della normale routine e in questo caso se ci sono aspetti non risolti riguardo le singole giurisdizioni è probabile che questi emergano allo scatenarsi della situazione di emergenza. È uno dei problemi più difficili dato che proviene da situazioni pre-emergenza e può avere conseguenze anche nel periodo di post emergenza. Una buona soluzione è quella di ottenere un consenso temporaneo in aree di responsabilità che

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si presume possano portare strascichi anche nel periodo di risoluzione dell’emergenza. Questo almeno potrebbe evitare le percezione che ci siano intrusioni nelle aree di responsabilità di ognuno.

sViluppo del Coordinamento e allentamento della struttura di Comando

Chi è incaricato di pianificare e organizzare un’emergenza molte volte pensa che ci debba essere un controllo centrale sulle attività di emergenza, controllo con la classica struttura di comando che dall’alto va verso il basso. Molte ricerche e studi invece hanno dimostrato come questo modello non funziona molto bene in caso di emergenza e da indicazioni errate su quello che potrebbe succedere e su quello che sarà necessario fare. Ci vuole quindi coordinazione, non controllo. Aprire piuttosto che chiudere la catena di comando è consigliabile in situazione di emergenza. La coordinazione, anche se desiderabile, crea molti problemi durante un’emergenza. Studi identificano tre tipi di problematiche abbastanza comuni:

— mancanza di consensi tra le organizzazioni riguardo il significato di coordinazione;

— coordinazione poco efficiente tra le organizzazioni nel caso in cui ci siano da svolgere compiti mai svolti prima;

— difficoltà a raggiungere una coordinazione complessiva in un disastro qualsiasi sia la portata con cui si scatena.

manCanza di Consenso

È difficile trovare organizzazioni che non siano d’accordo riguardo il fatto che la coordinazione sia fondamentale durante un disastro. In alcuni casi per certe organizzazioni la coordinazione si limita ad informare gli altri gruppi di quelli che saranno i loro compiti in caso di emergenza. Altri invece vedono la coordinazione come un accentramento del processo decisionale verso un unico punto o verso alcuni singoli responsabili

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confondendo quindi controllo con coordinazione. Tutti questi punti di vista, diversi tra loro, possono scatenare accuse nel caso in cui alcune parti non rispettino accordi che magari erano stati decisi in precedenza. Coordinarsi a livello operativo significa che i singoli responsabili dovrebbero chiedere più che rispondere, richiedere più che ordinare, delegare e decentralizzare piuttosto che centralizzare.Come già discusso l’esperienza di un singolo disastro non necessariamente può aiutare. È possibile che non se ne tragga nessuna lezione o ancora peggio che si tragga una lezione sbagliata. Come i resoconti di guerra e di battaglie non contribuiscono molto a sviluppare strategie e tattiche, così i resoconti dei disastri possono essere completamente inutili.

Compiti mai sVolti prima

È difficile trovare una coordinazione comune tra organizzazioni che devono compiere qualcosa mai affrontato fino a quel momento. Anche enti come la polizia e i vigili del fuoco, abituati a lavorare insieme, possono avere difficoltà quando si trovano a dover integrare le loro attività all’improvviso in compiti imprevisti, come la rimozione di un gran numero di corpi a seguito di un disastro che pone un problema di coordinazione.Quello che inficia i rapporti è in parte legata alla novità dei nuovi compiti che emergono. Nelle operazioni giornaliere ci può essere uno sviluppo graduale tra i due gruppi, in cui la prova e l’errore sono permessi. In emergenza però diventano impossibili vista la velocità di riposta che gli eventi richiedono. Una pianificazione programmata può così identificare i gruppi che dovranno avere a che fare con possibili nuovi compiti. Purtroppo la mancanza di esperienza in queste iniziative congiunte può facilmente creare difficoltà a livello di gestione quando la crisi è al suo apice.

la portata del disastro

In quasi tutte le società disastri di grande impatto e portata attirano numerose organizzazioni e associazioni esterne al territorio e al luogo

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colpito dall’evento. I numeri in gioco, le organizzazioni pubbliche e private che intervengono impediscono di fatto che ci sia una perfetta coordinazione tra le parti.Una buona preparazione permette che ci sia una coordinazione migliore ma non riuscirà mai ad essere funzionante al 100% in caso di emergenza.La portata e la frequenza nel dover svolgere nuove mansioni, sommata alla necessità di dover integrare questi insieme di gruppi e organizzazioni, mina l’efficacia di una buona coordinazione organizzativa durante la crisi. In alcuni casi può succedere che ci sia un’efficacia di risposta relativamente alta rispetto ad una coordinazione tra le parti piuttosto scarsa. Non bisogna quindi considerare sempre un alto livello di coordinazione come un fattore positivo. Quanto appena detto chiaramente non significa che programmare le attività di gestione significhi accantonare l’obiettivo di sviluppare una

fig. 3.2.1

Avvenimenti ed emergenze mai affrontate prima possono portare a dover risolvere situazioni mai svolte

prima dalle squadre di emergenza. Se queste collaborano dovranno decidere il da farsi sul momento.

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coordinazione perfetta. Proprio perché non si potrà mai ottenere tutto non vuol dire che misure efficienti e funzionali siano impossibili.Lavorare in un ambiente reale per chi studia e pianifica un sistema di risposta di emergenza è fondamentale. Si devono avere bene in mente quali sono i problemi veri che possono incorrere nel processo di organizzazione e si deve sapere altrettanto bene che molti di questi dovranno essere affrontati sul momento, in piena situazione di emergenza, attraverso tattiche specifiche piuttosto che basandosi solamente sulla strategia pianificata a priori.

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4.

Casi di ComuniCazione andata male

Purtroppo la storia dell’umanità ha collezionato una serie di avvenimenti disastrosi causati dalla natura o dall’azione dell’uomo, che sono stati scatenati o che comunque hanno innescato un altissimo grado di criticità a causa di problemi e rallentamenti createsi nella comunicazione le diverse organizzazioni responsabili, tra i governi o tra questi e la popolazione stessa.La paura di diramare falsi allarmi creando allarmismi inutili e perdere credibilità agli occhi dei media e delle persone ha portato molte situazioni di pericolo verso estremi che hanno poi avuto conseguenza molto gravi che hanno avuto ripercussioni peggiori di quanto avrebbero avuto delle false segnalazioni.Il capitolo che segue racconta, attraverso un resoconto dettagliato, tre casi di disastri ‘famosi’ che a causa di una mancata comunicazione efficace, ha aggravato o addirittura causato una situazione di crisi e non è riuscita a raggiungere il suo scopo ultimo in un’emergenza: la limitazione dei danni e l’incolumità delle persone.

fig. 4.1

L’impianto nucleare di Three Mile Island

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4.1

tHree mile island

L’incidente di three mile island fu una parziale fusione del nocciolo avvenuta nella centrale nucleare sull’omonima isola, nella Contea di Dauphin, inPennsylvania, il 28 marzo del 1979. Fu il più grave incidente nucleare avvenuto negli Stati Uniti.L’incidente interessò la seconda unità del reattore nucleare presente sull’isola di Three Mile e fu il risultato di una sequenza di eventi causati da procedure di comunicazione poco efficaci tra i responsabili di emergenza.Se si guarda l’accaduto dal punto vista della saluta umana si può dire che alla fine non successe molto, ma non si può negare che ci sarebbero potute verificare conseguenze terribili. Un’analisi dell’inefficacia di queste procedure ha suggerito come queste in realtà siano importanti per migliorare la sicurezza delle centrali nucleari in generale.

l’indiCente

La mattina del 28 Marzo 1979 alcuni operatori dell’impianto lessero in maniera errata l’indicatore del pressurizzatore dell’acqua bloccando successivamente il sistema di emergenza che aveva il compito di raffreddare il nocciolo. Questo era appena stato fatto entrare in funzione dal sistema automatico di emergenza ma gli operatori per diminuire la pressione aprirono una delle valvole di sfogo che per cause ancora ignote rimase aperta facendo così uscire il liquido di raffreddamento che stava circolando.Nei molti studi che negli anni a venire hanno provato a dare una risposta al perché di questo incidente c’è una domanda in particolare che ricorre spesso: come è stato possibile che gli operatori abbiano letto male l’indicatore del pressurizzatore dell’acqua?La risposta più accreditata è che i tecnici non disponevano di tutte le

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informazioni necessarie riguardo l’impianto a causa di una comunicazione poco chiara da parte degli ingegneri e dei manager della Babcock & Wilcox.Diciotto mesi prima che avvenisse l’incidente alla centrale l’ingegnere J.J. Kelly e il manager B.M. Dunn della Babcock & Wilcox, l’impresa che costruì l’impianto di Three Mile consigliarono dei cambiamenti riguardanti alcune istruzioni operative. Scrissero una serie di istruzioni

“che avrebbero dato un aiuto importante ai tecnici del reattore numero 2 e che potrebbero aver prevenuto le azioni che hanno portato all’incidente.” —7

Queste nuove direttive però non furono mai inoltrate ai tecnici del reattore a causa di un ritardo nel processo di decisione a livello manageriale causata da una mancanza di abitudine a effettuare comunicazioni efficaci.L’incidente catturò l’attenzione pubblica per intere settimane e divenne agli occhi della storia e della memoria comune un simbolo del rischio nucleare che ebbe ripercussioni molto negative sull’industria energetica del settore. Come detto poco sopra quello che andò storto in quei giorni fu la comunicazione. E purtroppo i professionisti di comunicazione presenti all’epoca avevano ruoli marginali. Una ricostruzione interessante di quello che accadde la fornisce Peter Sandman.

“Chiesi a Jack Herbein, ingegnere e vice presidente della metropolitan edison (meted, società che si occupa della gestione e distribuzione dell’energia in pennsylvania) e che gestì l’incidente, perché continuò a ignorare i consigli del suo specialista delle relazioni col pubblico, Blaine fabian. mi rispose che l’attività di public relation non è un lavoro vero, che non è come l’ingegneria e che tutti lo possono fare. Questo comportamento credo costò caro alla meted e a tutti l’industria dell’energia.” —8

Questo comportamento sempre secondo Sandman continua a dominare l’industria del nucleare, procurando gaffe comunicative una dietro l’altra. Le tecniche per impostare una comunicazione di rischio efficace possono

7. Mitchell Rogovin, Three Mile Island: A Report to the Commissionersand to the Public, Nuclear

Regulatory Commission Special Inquiry Group, Washington DC, January 1980.

8. Peter Sandman, The Communications Failures Lessons of Three Mile Island, 2009

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essere imparate ma l’ingegnere nucleare medio non le ha certo innate.Nelle prime ore dell’incidente nessuno sapeva di preciso quello che stava accadendo. La MetEd si mise così a formulare subito comunicazioni che cercavano di essere il più rassicuranti possibili viste le poche informazioni disponibili. Al peggiorarsi delle notizie l’azienda però dovette avvisare il pubblico e le autorità dicendo che la situazione era più grave di quello che avevano previsto.Si violò così un principio fondamentale della comunicazione d’emergenza che consiglia di impostare le prima comunicazioni con sufficiente cautela in modo da poter essere in grado successivamente di dire che il fatto non è così grave come si pensava piuttosto che trovarsi a dire che è peggio di come si era previsto. Il rischio più grande che si corre è la perdita di credibilità. Le persone che stanno dalla parte di chi formula l’informazione tendono sempre a sottostimare gli eventi che si stanno verificando, mentre quelle che stanno dall’altra tendono a sovrastimarli. Ecco perché l’allora governatore della Pennsylvania Dick Thornburgh ordinò l’evacuazione delle donne incinte e dei bambini di età prescolare. La MetEd disse che il quantitativo di radiazione che stava uscendo dal reattore non giustificava un’evacuazione e come si scoprì in seguito aveva ragione. Ma l’azienda non prese mai sul serio la pericolosità della situazione fin dall’inizio. Quando il capo della PEMA, l’agenzia di gestione dell’emergenza della Pennsylvania, sbagliò la posizione di una rilevazione di radioattività durante un volo in elicottero sopra l’impianto, pensando che questa si fosse verificata al di fuori dei perimetri dell’impianto e che quindi avrebbe potuto raggiungere le aree limitrofe abitate, il governatore non si preoccupò di chiedere conferma alla MetEd (che in quel caso avrebbe potuto comunicargli l’errore della PEMA) e decise di evacuare. Better safe than sorry.Al contrario della MetEd il dipartimento sanitario della Pennsylvania adottò tutt’altro approccio, molto più cauto che però si rivelò efficace. Il dipartimento temeva che lo Iodio 131 potesse fuoriuscire dall’impianto, che finisse col depositarsi sull’erba dei campi limitrofi e che una volta mangiato dalle mandrie di mucche terminasse nel latte e in altri prodotti caseari. Per un periodo di due settimane il personale addetto trasmise molteplici avvisi

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alla popolazione dicendo espressamente di non bere latte. Nel frattempo i controlli non si fermarono e la presenza di Iodio 131 all’interno del latte non fu mai riscontrata. Gli annunci del dipartimento quindi assunsero una tono più rassicurante. Dall’annuncio che dava per quasi sicura la presenza di iodio 131 nel latte la gente cominciò a leggere annunci in cui si diceva che la presenza di questo contaminante non era mai stata riscontrata.Il momento in cui il dipartimento comunicò che il latte era nuovamente bevibile nessuno ebbe più dubbi al riguardo. L’estrema precauzione

fig. 4.1.1

Il presidente degli Stati

Uniti, Jimmy Carter,

lascia la centrale

nucleare di Three Mile

Island

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chiaramente ebbe ripercussioni sull’industria casearia ma la ripresa fu immediata. Così facendo gli ufficiali sanitari non diedero mai l’impressione di avere a cuore i profitti mancati degli allevatori ma anzi acquisirono una credibilità maggiore facendo capire che la salute umana era il loro unico obbiettivo.Compagnie e agenzie governative cercano sempre di non mentire completamente ma molto spesso si sentono autorizzate a comunicare fatti tecnicamente accurati ma fuorvianti, sopratutto in caso di emergenza quando si cerca di mantenere la calma tra le persone. Questo è un approccio che non si dimostra efficace. Le persone fanno in fretta a percepire se le informazioni che hanno in loro possesso sono complete o meno. Il panico, come si è visto, è un fenomeno raro ma paradossalmente può scatenarsi più facilmente se le autorità non sono trasparenti riguardo i metodi che usano per cercare di prevenirlo.Col passare dei giorni la centrale di Three Mile Island si trovò in una situazione di grande emergenza. Il sistema di raffreddamento era stato spento per sbaglio e una bolla di idrogeno si era creata nella struttura di contenimento e si pensava potesse esplodere da un momento all’altro distruggendo così il reattore e provocando una fusione. Nel bel mezzo di tutto questo la Metropolitan Edison comunicò che la centrale ‘si stava raffreddando come programmato’. Mesi dopo fu chiesto in un’intervista al responsabile delle pubbliche relazioni della compagnia come avesse potuto comunicare una cosa simile. Rispose che le centrali nucleari sono progettate per resistere a incidenti molto gravi e per proteggere la gente anche in situazioni decisamente critiche. Quindi anche se molte cose non stavano andando per il verso giusto a Three Mile Island l’impianto stava comunque raffreddandosi come da programma. Questo minò in modo irreparabile la credibilità della compagnia e agli occhi delle persone i suoi comunicati erano ormai scarsamente considerati.

la rassiCurazione eCCessiVa dei media

Nella vita di tutti i giorni i giornalisti tendono a rendere le notizie le più drammatiche possibili: sensazionalizzare i fatti è una pratica diffusa. In

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un’emergenza invece tende ad accadere l’opposto. I giornali assieme ad altre fonti cercano di mantenere la calma tra le persone rassicurando in maniera eccessiva.La Commissione Kemeny (istituita dal governo degli Stati Uniti e incaricata di investigare sull’incidente) condusse una ricerca per capire con quale disposizione d’animo fosse avvenuta la copertura delle notizie da parte di quotidiani e telegiornali durante la prima settimana dell’incidente. L’atteso comportamento sensazionalista però non fu riscontrato. Il 60% delle notizie cercò invece di rassicurare ma non sembrò così all’epoca per molte ragioni.Le persone spaventate tendono a cogliere di più le informazioni negative rispetto a quelle positive. Vincent Covello, direttore del Centro di Comunicazioni di emergenza a New York, dice che in una situazione di emergenza per controbilanciare un messaggio negativo ne occorrono almeno 3 positivi.Sapere che qualcosa dato per sicuro può diventare pericoloso colpisce profondamente le persone. Il sociologo Allan Mazur ha scoperto che la paura che si scatena tra la gente riguardo un avvenimento che comporta dei rischi è proporzionale alla sua copertura mediatica, non all’avvenimento in sé. L’indicente alla centrale nucleare acquistò moltissima visibilità e anche se le notizie che arrivavano erano rassicuranti il quantitativo di queste che veniva diramato era numeroso. La gente, sopratutto quella del luogo, vide che le autorità erano preoccupate e constatare che i dirigenti dell’azienda energetica continuassero a insistere sul fatto che la centrale stesse raffreddandosi e che tutto era sotto controllo peggiorò le cose.I giornalisti che riferivano dalla centrale negarono il fatto che stesse trattenendo informazioni ma si dimostrarono riluttanti nel comunicare quanto volte i tecnici e gli addetti alla comunicazione dissero di non sapere cosa potesse succedere e quanto questi erano spaventati.

la sempliCità

Il bisogno di spiegazioni semplici riguardo fenomeni complessi non è una regola che vale solo per la comunicazione di emergenza, è fondamentale

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per ogni tipo di comunicazione. Due cose però cambiano in una crisi: chi ascolta in uno stato di agitazione è meno tollerante verso argomenti complessi. Persone colte da apatia non ascoltano proprio appena si accorgono che non capiscono. Persone spaventate o arrabbiate pensano che si stia cercando di convincerle di qualcosa e per questo motivo diventano ancora più spaventate o arrabbiate.Il secondo motivo per cui è essenziale che la comunicazione rimanga semplice consiste nel fatto che le fonti stesse tendono a esprimersi in maniera più complessa se sono preoccupate anche loro. In parte è una reazione inconscia, l’ansia spinge a nascondersi dietro parole elaborate, in parte è una scelta intenzionale.Il personale della Commissione Nucleare presente alla centrale era preoccupato che una bolla di idrogeno facesse esplodere la struttura di contenimento e che si verificasse una fusione del nocciolo. Quando espresso questa possibilità davanti alla stampa lo fecero in una maniera così sibillina che i giornalisti pensarono che stessero negando quest’eventualità.Il quantitativo di tecnicismi utilizzati nella comunicazione fu ancora maggiore durante una conferenza stampa quando alcuni esperti delle centrale si misero a spiegare i problemi ai giornalisti come se stessero parlando tra di loro. Si vide dalle trascrizioni che le telefonate tra gli ingegneri nucleari erano più semplici da capire rispetto ai discorsi espressi durante quella conferenza stampa.Un uso corretto e preciso della parola è un grande strumento per poter comunicare in maniera precisa e corretta tra professionisti. In una crisi è un modo per evitare di mostrarsi preoccupati e rilasciare informazioni che possano preoccupare.

attenzione alle reazioni

Nel momento in cui si verifica un disastro o un evento di portata rilevante i giornalisti arrivano sulla scena, fanno un resoconto di quello che è successo ma è difficile che si lascino coinvolgere emotivamente. Durante l’emergenza di Three Mile Island invece successe proprio questo.

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I cittadini ovviamente ritenevano che la situazione fosse terrificante (anche se non si verificarono mai scene di panico collettivo). La reazione più diffusa che si sviluppò quei giorni fu quella di sfiducia e la sensazione sempre crescente che non tutto quello che si sapesse fosse comunicato.Questo alimentò la paura me ci furono molte altre reazioni che ebbero un ruolo importante a Three Mile Island. Il disaccordo tra gli esperti genera molte reazioni e paura più della semplice insicurezza e nel caso di Three Mile Island queste indecisioni si concentrarono sugli aspetti della salute umana e sui livelli di radiazioni. Alcuni esperti dissero che anche piccole dosi di radiazioni potevano essere cancerogene mentre altri assicurono che una leggera esposizione potesse avere effetti benefici.Un altro problema delle radiazioni è la sua difficile rilevazione. Molti giornalisti indossavano strumenti di monitoraggio, un privilegio che non tutti i cittadini avevano. Sandman racconta —9 che uno di questi gli disse che si sarebbe sentito più tranquillo se le radiazioni fossero state viola invece che incolori e un altro, un veterano di guerra, gli disse che in guerra ci si preoccupa se si viene colpiti, il problema qui è che magari si è già stati colpiti.Un’altro aspetto molto importante e difficile riguarda i modi per aiutare le persone a far fronte alla crisi dando loro cose da fare. La stampa a Three Mile Island avevo il suo da fare ma i residenti non poterono fare altro che che seguire i notiziari e sperare. Sentirsi completamente impotenti genera molta paura. Una possibilità, che fu subito scartata, fu quella di distribuire ioduro di potassio. Questo riempie la tiroide di iodio e nel caso ci fossero state fuoriuscite lo ioduro di potassio avrebbe prevenuto tumori alla tiroide. Il vero problema però fu di comunicazione. La distribuzione dello ioduro di potassio avrebbe spaventato le persone perché implicitamente si affermava che c’erano state fuoriuscite o li avrebbe rassicurati perché gli si dava qualcosa che li avrebbe protetti? Quel giorno si scelse la prima opzione e lo ioduro rimase nei magazzini.Addirittura esperti calcolarono che il particolato e altri agenti inquinanti normalmente rilasciati nell’aria attorno alla centrale venticinque anni prima sarebbero stati più pericolosi del quantitativo di radiazioni rilasciato durante la durata dell’incidente. Con la chiusura temporanea di alcune

9. Peter Sandman, The Communications Failures Lessons of Three Mile Island, 2009

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fabbriche si pensa che l’incidente potrebbe aver addirittura migliorato la qualità dell’aria. Infine non si può non menzionare il fatto che i disastri nucleari furono oggetto del genere di science fiction fin dagli anni 50 e questo non aiutò certamente ad alleviare le preoccupazioni della gente. Chiunque abbia vissuto la terribile esperienza di Three Mile Island aveva quasi di sicuro già visto molte volte scene di reattori fuori controllo in film, romanzi o fumetti.

la ComuniCazione

Molte agenzie governative e corporazioni rispondono a situazioni di crisi chiudendo il flusso di informazioni. Preoccupati che le persone sbagliate possano dire cose sbagliate nominano uno o due rappresentanti e affidano a loro e a nessun altro il compito di comunicare l’evolversi della situazione. Per attivare e migliorare questa strategia non si preoccupano di mantenere il resto dell’organizzazioni informato.C’è sicuramente un risvolto non positivo nell’autorizzare molti portavoce visto che il mantra della comunicazione di emergenza è parlare con una voce sola. Peter Sandman però ritiene che così facendo ci siano più svantaggi che vantaggi.

“è un approccio che quasi sempre non funziona e che non funzionò a three mile island. i giornalisti presero le targhe degli impiegati della meted, trovarono gli indirizzi e li chiamarono a casa, finito il turno di lavoro.” —10

Inevitabilmente molti parlarono, anche se quello che conoscevano era frammentario e molte volte errato. Nel frattempo le persone all’interno della Commissione Nucleare Nazionale incaricate della comunicazione stavano avendo i loro problemi ad ottenere i loro aggiornamenti: il personale che deteneva le informazioni era troppo occupato a dover risolvere l’incidente per poter fornire loro notizie.Al giorno d’oggi le notizie vengono trasmesse 24 ore al giorno sette giorni su sette e grazie a internet il genio dell’informazione è uscito dalla lampada.

10, 11. Peter Sandman, The Communications Failures Lessons of Three Mile Island, 2009

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Se le fonti ufficiali trattengono notizie quelle non ufficiali in qualche modo si ottengono; se le autorità parlano con una voce sola se ne cercano altre fino a trovarle.Ma le informazioni non erano così controllabili venticinque anni fa. Peter Sandman però ritiene —11 che anche nell’epoca precedente a Gutenberg tutti quanti sapevano quando stavano nascendo guai. Il genio in realtà non è mai stato nella bottiglia. Tenere le persone informate e farle parlare è una strategia più intelligente rispetto a quella che prevede di mantenerle ignoranti al riguardo e sperare che non parlino tra loro.

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4.2

l’emergenza a fuKusHima

Il mondo si ricorderà a lungo dell’incidente alla centrale nucleare di Fukushima che avvenne l’11 marzo 2011. Il disastro di Fukushima Dai-ichi in realtà fu una serie di quattro distinti incidenti occorsi presso la centrale nucleare omonima a seguito del terremoto e maremoto del Tōhoku.La storia geologica del Giappone è lunga ed è da centinaia di anni che i giapponesi combattono contro i terremoti. La frequenza e la grande intensità che solitamente sprigionano sono date dalla posizione del paese. Il Giappone si trova nella zona di collisione di 4 placche litosferiche: la placca euroasiatica, quella nordamericana, quella delle filippine e la placca pacifica. Il continuo movimento di queste genera un grandissimo quantitativo di energia che ogni tanto viene rilasciato sotto forma di terremoti e tsunami, di diversa magnitudo ed effetto.

gli eVenti

Il 24 maggio 2011 la tepCo, la società che gestisce l’impianto, confermò che nei giorni immediatamente seguenti al maremoto avvenne la fusione dei noccioli dei reattori 1, 2 e 3, con un accumulo del materiale fuso alla base dei vessel.Il quarto, il quinto e il sesto reattore della centrale furono portati in pochi giorni dall’incidente allo “spegnimento stabile” (funzionamento del sistema di raffreddamento a regime e senza aumento del livello dell’acqua accumulata e conseguente diminuzione continua della temperatura e della radioattività) mentre i primi tre raggiunsero una condizione equivalente il 16 dicembre 2011.Complessivamente l’incidente, nella prima settimana venne stimato a pari livello con il singolo Three Mile Island in cui però non si ebbero né esplosioni, né rilasci di radioattività nell’ambiente. Fu infine

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provvisoriamente classificato dall’Agenzia per la sicurezza nucleare e industriale del Giappone al grado 7, il massimo grado della scala, finora raggiunto solo dal disastro di Cernobyl, considerando l’insieme dell’evento e non più i singoli incidenti distinti.A causa del terremoto molti altri impianti nucleari giapponesi furono coinvolti, sia centrali nucleari che impianti del ciclo del combustibile.Le maggiori preoccupazioni vennero da quattro dei sei reattori dell’impianto di Fukushima Dai-ichi, e in particolare il reattore numero 4, il cui edificio fu quello maggiormente danneggiato dalle esplosioni di idrogeno, e nel quale le barre di combustibile a rischio fusione non sono quelle in uso all’interno del recipiente in pressione (vessel), ma quelle stoccate nelle vasche del combustibile esausto, che si trovano quindi al di fuori della struttura di contenimento primaria del reattore.

la relazione dell’inCidente

Un anno e mezzo dopo fu consegnata al governo una relazione redatta da una commissione indipendente per gli incidenti nucleari, che additava la responsabilità non tanto agli eventi naturali ma al comportamento dell’uomo.Il disastro fu definito made in Japan. La cause fondamentali furono trovate nelle convenzioni della cultura giapponese: obbedienza cieca, riluttanza a contestare l’autorità, il seguire il programma senza discutere.Il messaggio di apertura da parte del presidente della commissione, Kiyoshi Kurokawa, comincia con un mea culpa e chiede scusa alla comunità mondiale per come furono gestite le operazioni a Fukushima. Colpisce come il rapporto ufficiale addebiti le conseguenze dell’emergenza a comportamenti tipicamente giapponesi.Il Giappone è da sempre stato definito come un paese unico ed enigmatico. Più cento anni fa Inazo Nitobe, un quacchero giapponese, provò a dare una spiegazione alla fermezza spirituale dei giapponesi che lanciò i giapponesi verso un forte processo di modernizzazione in un libro che ebbe una grande influenza, Bushido (la via del samurai). Egli indicava i valori dei samurai come quelli che avrebbero dovuto formare un codice etico che

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governasse la popolazione giapponese. Lo stesso scrittore Britannico H.G. Wells nel suo romanzo ‘Un’utopia moderna’ chiamò ‘samurai’ la classe di persone appartenenti a quest’elite.Negli anni ‘50 e ‘60, quindi subito dopo il periodo post bellico, l’economia giapponese esplose in maniera esponenziale e negli anni a seguire questo fatto portò a compiere una serie di analisi culturali e antropologiche per provare a spiegare in parte le ragioni di questo successo compiuto da una società così unica e diversa da quella occidentale.Il report spiega il disastro nei termini di una relazione troppo stretta tra chi prendeva le decisioni e chi le decisioni doveva portarle a termine e punta il dito al complesso groviglio di interessi politici, burocratici e finanziari legati anche ad alcuni comportamenti giapponesi come l’obbedienza cieca e la riluttanza a mettere in discussione l’autorità. Tutti fattori che sicuramente non hanno aiutato a velocizzare la grave situazione creatasi all’impianto.

fig. 4.2.1

Tecnici in azione nell’impianto di Fukushima

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l’inCidente

C’è una constatazione molto importante che dice che tutte le cause dirette dell’incidente erano prevedibili prima della fatidica data, ma l’impianto nucleare di Fukushima Daiichi non fu in grado di affrontare il terremoto né lo tsunami. In particolare, per quanto riguarda il peso relativo dei due eventi naturali, il rapporto imputa alla Tepco di aver sottovalutato il danno causato dal terremoto, concentrando l’attenzione sullo tsunami che, secondo quando riferito subito dopo l’evento, avrebbe messo fuori uso i generatori di emergenza e impedito l’accesso al sito dell’impianto.Nonostante i due disastri furono le cause dirette dell’incidente vari punti di quello che successe rimangono ancora poco chiari: un’analisi completa della vicenda è impossibile, poiché quasi tutto l’equipaggiamento direttamente collegato all’incidente è rimasto all’interno degli alloggiamenti dei reattori, che sono attualmente inaccessibili e lo resteranno per molti anni ancora.Per quanto parziale possa essere l’analisi, in ogni caso, le cause profonde dell’incidente sono da ricercare nei sistemi organizzativi e normativi che hanno prodotto e protocolli e criteri inefficaci quando si è trattato di decidere sul da farsi. Inoltre, secondo la commissione, sia la Tepco e sia gli enti regolatori giapponesi evitarono le raccomandazioni a implementare norme in grado di evitare il disastro. Fu criticata duramente l’amministrazione dell’allora primo ministro, Naoto Kan, per come gestì la sua comunicazione rispetto a quello che stava succedendo. Secondo Peter Sandman —12 l’errore più grosso del governo fu quello di non indicare pubblicamente nessuno scenario di quello che sarebbe potuto accadere. Ogni emergenza pone 3 domande chiave:

— cos’è successo, come si è intervenuti e cosa dovrebbe fare la gente;

— cosa è probabile che accada dopo, cosa si sta preparando per rispondere e cosa dovrebbero fare le persone;

— cosa difficilmente può accadere (lo scenario peggiore) cosa si sta facendo per prevenire che questo avvenga e cosa dovrebbe fare la gente.

12. Peter Sandman, Future Magazine, 2012

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Si potrebbero formulare molte altre domande (in che modo può colpire l’emergenza e cosa può colpire, la mia salute, la mia famiglia, la mia casa, la mia comunità, ecc.) ma le più importanti rimangono quelle appena elencate.Nel caso del terremoto e dello tsunami che si verificarono l’11 Marzo la prima domanda era la più importante rispetto alle altre due. L’evento fu una tragedia ma le incertezze riguardo l’evoluzione erano poche, data la grande esperienza giapponese al riguardo.La crisi che si verificò alla centrale nucleare invece fu un evento dai risvolti incerti ma non una tragedia (almeno non all’inizio) e in questo caso la seconda e la terza domanda erano quelle cruciali. Il ‘cosa è successo’ per alcune settimane rimase totalmente ignoto. Il governo però non seppe rispondere, le poche risposte che diede furono inadeguate e si dimostrò incapace nel pronosticare quello che sarebbe potuto accadere da lì a una settimana e di guidare le paure della gente comunicando i peggiori scenari possibili.Il cercare di prevedere i possibili sviluppi, sia positivi che negativi, è un’azione speculativa necessaria in questi casi.Il governo però fece solo previsioni rassicuranti, i tecnici furono ben contenti di dire che molto presto le pompe di raffreddamento sarebbero rientrate in funzione ma non dissero che si sarebbe potuto verificare un aumento delle radiazioni nel latte, nella verdura e nell’acqua di mare e addirittura nell’acqua di Tokyo, che l’acqua di raffreddamento sarebbe diventata radioattiva, che si sarebbe potuta verificare una fusione, ecc.Sandman ritiene che ufficiali e tecnici furono in grado di prevedere comunque tutto questo ma lo fecero privatamente e non lo comunicarono pubblicamente. Sarebbe stato comunque un errore fare previsioni sicure su tutta una serie di eventi ma si sarebbe potuto cercare un compromesso, dicendo di ritenersi sicuri per alcune e molto incerti per altre. La cosiddetta speculazione responsabile funziona così, X è molto probabile che accada, Y può accadere al 50% e Z non sarebbe una sorpresa ma è difficile che accada.Non è così difficile comunicare il livello di certezza/incertezza. Purtroppo dover dare brutte notizie in un’emergenza già abbastanza drammatica non è facile. L’atteggiamento comune è quello di non dire nulla e sperare che il peggio non accada, finché questo accade e a quel punto non c’è altra

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soluzione che comunicarlo. Si arrivò così ad un punto in cui la situazione alla centrale di Fukushima fu ‘peggio di quanto previsto’. Come è già stato scritto in precedenza il dover comunicare l’aggravarsi di una situazione complica ulteriormente le cose perché così si viene rompere un importante principio della comunicazione che prevede il provare ad anticipare il corso degli eventi rilasciando comunicati sufficientemente allarmanti in modo da non dover poi tornare indietro. È molto meglio poter dire ‘non è così grave come si pensava’. Chiaramente tra le ragioni per cui le autorità fecero fatica a rilasciare dichiarazioni allarmanti ci fu quella di scatenare paura o panico tra la popolazione. Ci sono però pochissime prove di panico scatenato a causa di incidenti nucleari nella società giapponese. C’è scetticismo verso il

fig. 4.2.2

Il momento

dell’esplosione del

secondo reattore.

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nucleare, sfiducia e ansia, ma quasi mai si verifica panico. Il fatto poi che molti giapponesi comprarono cibarie e acqua prima che questi potessero venire contaminati da un eventuale ondata radioattiva fu solo un atto di prudenza consigliato anche da esperti e non lo scatenarsi di panico come riportato da alcuni giornali.Il governo dimostrò una grande empatia nei confronti di chi aveva perso un famigliare, una persona cara o di chi era stato evacuato ma purtroppo non fu molto presente verso le moltissime persone preoccupate di poter essere le prossime vittime.Non dare previsioni o informazioni porta a un’altra conseguenza di cui si è discusso. Un vuoto di informazioni ufficiali viene subito riempito dalle persone che si danno da fare cercando quelle non ufficiali. Avendo questo in mente chi gestisce l’emergenza deve essere in grado di condurre al meglio comunicazioni e previsioni magari poco rassicuranti piuttosto che boicottarle.

La maggior parte delle critiche e delle accuse mosse contro il governo e la Tepco riguardano quindi la loro dubbia onestà e tempestività nel comunicare. Il tipo di comunicazione che impostarono sembrò disonesta. Ipotesi non molto rassicuranti che lo stesso governo giapponese non faceva cominciarono ad arrivare da attivisti anti nucleare, dal governo americano e dall’agenzia internazionale per l’energia atomica. Quando le cose non vanno più per il verso giusto a metà di un’emergenza in continua evoluzione ci sono 3 possibili motivi:

— le autorità pensano che potrebbe succedere qualcosa e decidono di non avvertire le persone;

— le autorità sono coscienti di non sapere quello che potrebbe accadere e decidono di non avvisare la gente, per non far sapere così che la situazione è imprevedibile;

— le autorità pensavano di avere un migliore controllo della situazione e i nuovi sviluppi sono sconvolgenti tanto per loro quanto per la popolazione.

Come si suol dire la verità sta nel mezzo, e in questo caso è un mix tra i tre possibili motivi. Il governo giapponese con questo comportamento si

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inflisse una serie di danni non indifferente. Il più importante fu la perdita della sua credibilità e di rimando la sua abilità a condurre la sua gente attraverso un periodo di emergenza.Il danno maggiore però sembrò essere il fatto che la popolazione percepì la crisi di Fukushima come qualcosa di incontrollabile, imprevedibile e quindi molto spaventoso.Non si sa se la Tepco durante le prime due settimane dallo scatenarsi della crisi avesse tra i suoi dipendenti dei professionisti di comunicazione di emergenza e non si sa se questa mancanza sia stata colmata chiamando consulenti esterni. Ma già dopo questo primo periodo molto critico la situazione migliorò. Nell’incidente di Three Mile Island il dipartimento sanitario avvisò subito della possibilità di elementi radioattivi nel latte mentre il governo giapponese non disse assolutamente niente e all’improvviso annunciò i risultati di una serie di test (apparentemente segreti) effettuati sul latte di mucca prodotto nelle zone vicine a Fukushima il quale presentava un livello di radioattività di molto superiore ai limiti accettabili e decise di vietarne la vendita.Non c’è modo di comunicare una possibile fusione del reattore senza allarmare le persone e non nascondere il potenziale pericolo sarebbe solo controproducente. Si cerca sempre di attivare le persone e fare in modo che queste comincino a pensare a contromisure per loro stessi, le persone a loro care e la comunità. Prepararle logisticamente e emotivamente è l’obiettivo dell’allarme.Raggiungere quindi un livello di preoccupazione commisurato al rischio attuale è un traguardo cruciale. O quantomeno si cerca di raggiungere di far raggiungere il livello di preoccupazione degli esperti se ancora non si fa quale sia con certezza il rischio.Prendere precauzioni vuol dire fare qualcosa o prepararsi prima che il rischio diventi imminente. Visto che l’allarme serve ad attivare le persone affinché prendano precauzioni bisogna avvisare anche di quello che potrebbe succedere e non solamente di quello che sta accadendo. Il terremoto e lo tsunami furono così pericolosi perché non ci fu tempo di prendere precauzioni e allertare le persone in tempo.Ma il disastro di Fukushima non ebbe un’escalation così rapida e il tempo

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per allertare così tante le persone ci sarebbe stato. Una delle conclusioni errate più frequenti e che venne ripetuta più spesso fu che non c’era bisogno di allarmarsi perché il livello di radiazioni (a parte quello vicino all’impianto) non era pericoloso. Quello che è più spaventoso però è quello che sarebbe potuto succedere se le radiazioni fossero passate attraverso il tetto di copertura. Sandman infine ricorda il fatto che le ripercussioni e le conseguenti recriminazioni per essere arrivati impreparati alla crisi sono peggiori di quelle che possono scatenarsi per essere troppo preparati.

il senso giapponese Verso la Comunità

L’emergenza a Fukushima, il terremoto e lo tsunami che l’hanno scatenata hanno mostrato ancora una volta quanto l’uomo sia fragile di fronte agli eventi naturali. Il paradosso del terremoto giapponese ci offre uno spettacolo terribile perché mostra come una società efficiente ed

fig. 4.2.3

Interviene anche

l’esercito per prestare

soccorso alle vittime.

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economicamente florida può essere messa in pericolo e in ginocchio da quello che l’ha portata a quel successo.Le stesse infrastrutture di risposta all’emergenza sono state messe a dura prova e non sempre sono state capaci di coprire tutti i bisogni. La violenza di madre natura si è dimostrata senza pietà: ammassi di detriti che bloccavano le squadre di ricerca, gli equipaggiamenti e le scorte di materiale medico isolati dalle comunità, persone, mezzi e strade bloccate, corrente elettrica limitata, mancanza di beni di prima necessità. Fortunatamente il Giappone ha un vantaggio insito nella cultura che gli ha permesso di sopravvivere: la grande cooperazione e il prendersi cura degli altri.La capacità di riprendersi e recuperare quello che si è perduto è un sentimento molto forte nel giapponese medio. Gli permette infatti di create una rete di supporto costituita da altre persone e semplici come condividere una bottiglia d’acqua, o lo stesso tetto invece di ammassarsi nel tentativo di recuperare provviste può fare la differenza. È interessante riportare quello che ha scritto un giornale statunitense in un articolo che affronta e spiega questo comportamento. L’editore di American Thinker ed ex professore di cultura orientale ad Harvard, Thomas Lifson dice:

“sarei rimasto sorpreso se durante la crisi fossero avvenuti atti di sciacallaggio e fossero aumentati i prezzi da parte dei commercianti. la cultura e la comunità giapponese fanno in modo che le persone si comportino in maniera ‘illuminata’, gli atti di furto sono visti come riprovevoli, la proprietà privata è sempre rispettata e lo stoicismo è una qualità ammirata. sono queste le cose che permettono alla gente di crescere in armonia.” —13

Il perché non si verificarono atti di sciacallaggio è molto semplice. Continua Lifson:

“Quando un bambino trova un oggetto che appartiene ad un’altra persona, un genitore lo porta alla stazione di polizia

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a denunciare il ritrovamento. la polizia non considera quest’atto come una perdita di tempo ma come parte integrante dell’educazione morale di una persona. Viene fatto compilare un modulo apposito e se l’oggetto non trova il suo legittimo proprietario chi l’ha trovato lo potrà tenere.” —14

Le differenza maggiore tra la cultura occidentale e quella orientale riguarda la contrapposizione tra ‘colpa’ e ‘vergogna’. Nella cultura occidentale l’imperativo morale viene dall’interno della persona mentre in Giappone questo viene dall’avversione che la gente prova sentendosi giudicata

13, 14 David Lifson, intervista per Hawaii News

fig. 4.2.4

L’impianto di Fukushima visto dall’alto

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negativamente dagli altri. I giapponesi inoltre hanno un grande senso comunitario. Lifson racconta il suo anno vissuto in Giappone nel 1971 e dice che quando si trasferì nel suo appartamento per la prima volta fu salutato da un poliziotto che raccolse le sue informazioni e venne così conosciuto anche dagli altri vicini. Questo processo continua tutt’oggi. Anche in una metropoli come Tokyo le persone conoscono bene chi vive attorno a loro.‘È un modo per capire chi abita vicino a te e potersi così aiutare in caso di bisogno. Per questo motivo atti di sciacallaggio e il rincaro dei prezzi dei beni di prima necessità non si verificarono perché molte persone si sarebbero ricordate per lungo tempo di questo fatto e di chi l’avesse compiuto. Se qualcuno si fosse comportato in maniera scorretta dopo lo tsunami sarebbe stato punito dalla società. Le relazioni sono più importanti rispetto ai problemi che devono essere affrontati nell’immediato” continua Lifson, un atteggiamento contrastante rispetto a quello americano.Ed è proprio questo senso di comunità che permette ai giapponesi di riprendersi. Gli permette di organizzarsi in maniera efficiente.Dopo le due bombe atomiche del 1945 che ridussero le città in cenere uno tsunami non è paragonabile. Lifson conclude dicendo che a dispetto dei problemi economici che il paese dovrà affontare, i giapponesi recupereranno in fretta.

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4.3

l’uragano Katrina

Katrina fu l’uragano più distruttivo di quelli che si verificarono nel 2005 e tra tutti quelli che furono mai registrati fu il sesto più forte di sempre. Si stima che morirono almeno 1833 persone a causa dell’uragano stesso e dell’allagamento che causò. Katrina cominciò a formarsi nella zona attorno alle Bahamas il 23 di Agosto e attraversò il sud della Florida con una forza moderata, di categoria 1, causando alcune morti e alluvioni prima di rafforzarsi molto velocemente nel Golfo del Messico. Qui infatti aumentò parecchio la sua potenza e arrivò a categoria 5. Quando toccò terra la seconda volta nel sud est della Lousiana il 29 agosto, era però già sceso a categoria 3.Le coste del Golfo, dalla Florida fino al Texas, dovettero sopportare parecchi danni ma il maggior numero di vittime si ebbe a New Orleans. La città si trova in una zona depressa rispetto al livello del mare e le dighe che teoricamente bloccano l’accesso dell’acqua non riuscirono a respingere la gigantesca massa d’acqua che l’uragano aveva trascinato con se. Anche una volta spostatosi nell’entroterra Katrina riuscì a causare una vastissima inondazione che coprì quasi l’80% della città. I danni più gravi agli edifici si verificarono nelle zone costiere dato che l’acqua riuscì ad avanzare per quasi 20 km dalla spiaggia. Tra le molte cause che provocarono questo disastro ci furono moltissimi problemi di comunicazione tra le diverse organizzazioni che entrarono in servizio e che a causa degli ingenti danni alle infrastrutture di telecomunicazioni non riuscirono a organizzarsi e a collaborare tra loro. Non si riuscì poi ad organizzare un piano alternativo e la cosa compromise l’efficacia della risposta, del comando e non permise un aggiornamento costante della situazione. In realtà Katrina fu un evento prevedibile. Infatti alcune agenzie americane, come la guardia costiera, il centro nazionale uragani e il servizio meteorologico nazionale, avvisarono più volte e a più riprese del possibile rischio e delle conseguenze che un uragano di quella classe avrebbe causato. Questi avvertimenti però rimasero inascoltati.

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le CritiCHe

Le critiche più dure che furono indirizzate al governo riguardarono la scarsa gestione e la mancanza di leadership che caratterizzarono i giorni e le settimane di operazioni di salvataggio e di recupero che partirono con grande ritardo.Subito dopo il 29 di Agosto il dibattito pubblico si concentrò sul ruolo e le responsabilità locali, federali e governative nel preparare una risposta efficace al disastro appena consumatosi. Le prime critiche furono incoraggiate da una serie d immagini che passarono sui notiziari in televisione. Mostravano politici e autorità visibilmente scosse e frustrate da quello che era accaduto e che ancora stava accadendo. Molte persone infatti erano rimaste bloccate dall’acqua e si trovavano a dover vivere senza acqua potabile, cibo o un riparo. Le morti causate da sete, sfinimento e da atti di violenza, anche giorni dopo la fine dell’uragano non aiutarono certo a calmare la situazione. Un altro problema che causò non pochi attriti e critiche fu la gestione degli sfollati. Il Louisiana Superdome era in grado di ospitare 800 persone ma ne dovette accogliere quasi 14000. Stessa cosa per Il New Orleans Civic Center che non era pensato per ospitare persone ma lo stesso diede riparo a 25000. Le critiche non si fermarono solo all’allora presidente in carica, George W. Bush, e al segretario del dipartimento di sicurezza nazionale, Michael Chertoff. Furono presi di mira anche il sindaco di New Orleans Ray Nagin e il governatore della Louisiana, Kathleen Blanco. Entrambi furono accusati di non aver supportato il piano di evacuazione fino in fondo e di non aver dato indicazioni sufficienti ai cittadini riguardo le riserve di cibo, acqua e scorte di medicinali.L’evacuazione è un elemento critico nell’emergenza causata da un uragano. Occorrono piani dettagliati e bisogna essere sicuri che questi si possano attuare. Gli stati dell’Alabama, del Mississippi e quello della stessa Louisiana hanno anni di esperienza su come seguirli.Quandò arrivò Katrina però le due località più popolate dell’intero stato, New Orleans e Jefferson Parish dichiararono evacuazione obbligatoria molto tardi e in alcuni casi non fu neanche comunicata.

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fig. 4.3.1

Un’immagine satellitare mostra l’uragano in avvicinamento alle

coste della Louisiana.

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fig. 4.3.2

La città di New Orleans completamente sommersa.

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Sopratutto Nagin fu quello che ritardò l’ordine di evacuare e purtroppo lo fece a 19 ore dal previsto arrivo di Katrina. Questo portò alla morte di centinaia di persone che a quel punto non furono in grado di lasciare la città. Il termine obbligatorio presuppone obblighi e responsabilità che possono presentare differenze tra le autorità locali e i cittadini chiamati in causa. Certo è che se l’avviso fosse stato diramato con più anticipo si sarebbe potuta attuare un’evacuazione più efficace che avrebbe sicuramente diminuito il numero dei morti.Le autorità preposte a questo compito non riuscirono così a mobilitare le 70000 persone che dovevano essere evacuate. Molte di queste non possedevano un proprio mezzo di trasporto e a poche ore dall’arrivo dell’uragano le autorità invece che aiutare ad evacuare pensarono di aprire lo stadio Superdome per utilizzarlo come rifugio.Quando Katrina toccò terra le conseguenze furono devastanti. La sua forza

fig. 4.3.3

Lo stadio Superdome accoglie i numerosi sfollati.

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fu in grado di spingere l’acqua oltre gli argini in diversi punti e non appena l’acqua cominciò a entrare migliaia di persone si trovarono intrappolate a casa loro e dovettero arrampicarsi sul tetto o fuggire per le strade allagate.Molti fortunatamente si salvarono grazie alle numerose squadre di ricerca e soccorso che si attivarono in poco tempo. Molte altre però morirono in casa, probabilmente annegate. Chi riuscì a trovare riparo allo stadio o mettendosi in salvo dopo aver raggiunto punti più alti rispetto all’acqua fu costretto a patire condizioni terribili.Si dovette ricorrere a un’evacuazione post uragano a cui nessuno era preparato e la mancanza di un piano costrinse a elaborarne uno nel bel mezzo dell’emergenza, cosa che procurò ulteriori ritardi.

ConClusioni

Niente di tutto questo sarebbe dovuto accadere. Le potenziali conseguenze di un uragano forza 4 o 5 erano prevedibili e infatti furono previste. Ordini di evacuazioni arrivarono con grande ritardo e la decisione di dare rifugio alle persone invece che evacuarle, unita a una certa riluttanza da parte di queste di eseguire l’ordine, portò a un’evacuazione incompleta. Anche l’evacuazione che si sarebbe dovuta effettuare una volta passato l’uragano non venne portata a termine visto che ne l’amministrazione di New Orleans ne la protezione civile dello stato furono in grado di fornire i mezzi necessari. Ufficiali statali e locali non si trovarono pronti davanti a un’eventualità del genere. Dopo anni di ricerche, analisi e previsioni del possibile pericolo che si sarebbe potuto abbattere sulla città nessuno, governo federale compreso, fu in grado di stilare un piano di evacuazione nel caso l’acqua riuscisse a superare gli argini delle dighe. Le risorse di tutti furono semplicemente sopraffatte.

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parte ii

il progetto

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interVista Con gioVanni tomasiresponsaBile dell’unitÁlogistiCo operatiVa della protezione CiVile

Qui di seguito riporto l’intervista che ho avuto ancora a dicembre 2012 con il responsabile dell’unità logistica di Lavis, Giovanni Tomasi, che spiega in dettaglio il ruolo della Protezione Civile Trentino e le motivazioni alla base di questo progetto.

—Qual è il tuo ruolo all’interno

della Protezione Civile?

Sono il responsabile dell’unità logistica di Lavis che a livello di infrastrutture consta di un grande magazzino all’interno del quale

ci sono molte attrezzature e mezzi pronti per essere utilizzati in situazioni di emergenza. Con emergenza si intendono sia emergenze locali sia quelle extraprovinciali, in Italia e anche all’estero. Tra le esperienze passate infatti contiamo gli interventi in Albania e in Kosovo, sempre legati alla gestione dei campi di accoglienza. Siamo stati impegnati per circa 6 mesi e fornivamo assistenza a circa otto mila persone.

—Quando è nata la Protezione

Civile Trentino?

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La provincia di Trento e la regione Trentino Alto Adige è una regione autonoma, in realtà adesso divisa tra le due province, quella di Bolzano e Trento che hanno competenze primarie autonome, anche per quanto riguarda la Protezione civile. Avere una competenza primaria significa avere una legge di riferimento e la prima è stata la numero 2 del 1992. Prima si faceva riferimento alla legge nazionale.La legge dà competenze precise alla provincia autonoma. Ricordo che il primo intervento di sistema (intendendo con questo la presenza della pubblica amministrazione, vigili del fuoco volontari, vigili del fuoco permanenti, la croce rossa) fu effettuato con il terremoto di Umbria e Marche del ‘97. Quello fu il primo intervento congiunto, in cui c’era una figura di riferimento, il dirigente generale della protezione civile assieme alle componenti del volontariato.Chiaramente la forza della Protezione Civile anche oggi è sempre quella di avere alle spalle l’ente pubblico. La protezione civile è composta da operatori diversi ma in base al tipo di emergenza viene attinto dall’amministrazione personale tecnico particolarmente preparato per poter dare un contributo nella situazione di emergenza.

Durante il terremoto Umbria Marche per esempio abbiamo fatto scendere tantissimi tecnici, ingegneri e operatori dell’edilizia pubblica che hanno fatto valutazioni sull’aspetto strutturale delle case. Anche questi pur non svolgendo attività di protezione civile si sono inseriti nel nostro sistema. La cosa poi si è ripetuta anche nel terremoto dell’Abruzzo e quello dell’Emilia.

—I volontari come vengono

gestiti?

I volontari hanno una convenzione con la provincia di Trento. Questa cerca di mettere un po’ di chiarezza e definisce le competenze e l’ammontare dei contributi per le organizzazioni con cui hanno stipulato una convenzione.Ci sono i vigili del fuoco volontari che non hanno una convenzione vera e propria ma sono incardinati nel corpo dei vigili del fuoco provinciali. La legge della provincia autonoma prevede che il corpo permanente dipenda dall’amministrazione provinciale. All’interno di questo sistema ci sono quelli volontari e anche in questo caso c’è un’altra legge che prevede che ogni comune abbia il proprio corpo. Quindi per quanto riguarda le emergenze locali il

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referente dei vigili del fuoco è il sindaco. Per quanto riguarda gli interventi fuori dal territorio comunale si fa riferimento al presidente della giunta provinciale. Anche questi hanno una cassa antincendi, vengono così sostenuti economicamente, e hanno lo stesso compito dei vigili del fuoco permanenti: messa in sicurezza del territorio, puntellazione, interventi di soccorso, ecc.C’è poi una serie di altre organizzazioni che lavorano con noi e sono i Nu.Vo.La., i vigili del fuoco volontari, gli psicologi per i popoli, la croce rossa italiana settore provinciale che ha una convenzione sulla gestione dell’assistenza sanitaria (ne hanno due in realtà, una con noi per quanto riguarda l’assistenza sanitaria, per quanto riguarda l’emergenza sanitaria la convenzione è stipulata con l’azienda sanitaria). Infine il gruppo dei Cani da ricerca e catastrofe e il soccorso alpino. Viene individuato un certo tipo di attività per cui ogni organizzazione ha la possibilità di avere una formazione e dei soldi per organizzarsi e gestirsi. Un’organizzazione per ogni attività, non di più.Il sistema protezione civile però è più complesso. Ci sono delle strutture pubbliche, come l’azienda sanitaria che ha la gestione dell’emergenza sanitaria. Il corpo forestale provinciale, che ha la

stessa preparazione del corpo forestale dello stato, dipende dalla provincia di Trento ed è coordinato dal presidente della Giunta provinciale. La competenza suprema quindi è affidata a lui mentre le gestione dell’emergenza è affidata a un organo intermedio che è quello del dirigente della protezione civile che coordina queste forze. Vengono poi definite strategie di intervento e ognuno all’interno del suo gruppo svolge il suo compito.

—Ci sono interventi che capi-

tano più di frequente?

La calamità è qualcosa di eclatante, è definita dalla legge come evento che richiede mezzi straordinari. Un grosso incendio, un grande smottamento ecc. La nuova legge dà una competenza diversa perché con la legge del 1992 la competenza era affidata al presidente della giunta provinciale. Qualsiasi emergenza di rilievo veniva gestita dal presidente che volta per volta delegava al sindaco offrendo però supporto tecnico e fondi economici per poterla gestire.Adesso è il sindaco che ha la competenza e quando non se la senta chiede supporto all’amministrazione potendo sempre utilizzare le strutture di

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protezione civile, come succede nel resto d’Italia.A livello nazionale ci sono tre livelli, tre step: tipo A, B, C. . il tipo A prevede che

l’emergenza sia gestita dal sindaco. Riguarda eventi naturali o connessi con l’attività dell’uomo che possono essere fronteggiati mediante interventi attuabili dal singolo comune;

. Il tipo B è gestita dal prefetto e riguarda eventi naturali o connessi con l’attività dell’uomo che per loro natura, gravità ed estensione non possono essere gestiti dal singolo comune o che interessano più comuni;

. il tipo C la gestisce il presidente della regione, riguarda calamità naturali, catastrofi od altri eventi che per intensità ed estensione devono essere fronteggiati con mezzi e poteri straordinari.

Se il singolo comune non ce la fa il sindaco chiede aiuto al prefetto ed interviene una forza sovra comunale. Ma se non ce la fa neanche il prefetto e neanche la regione stessa questa chiede o al dipartimento nazionale della protezione civile oppure chiede alla regione limitrofa.Quando c’è stato il terremoto in Emilia Romagna il presidente della

regione Emilia-Romagna Errani ha chiesto al presidente Lorenzo Dellai di Trento di intervenire per fornire aiuto e così è partita quella che noi chiamiamo la colonna mobile. Questa altro non è che il sistema di organizzazione di protezione civile che si muove fuori dal proprio territorio.

—L’intervento più significativo

da voi effettuato?

Sicuramente quello dell’Abruzzo. Abbiamo lavorato su diverti paesi, da Paganica a Onna. L’intervento è stato impegnativo è durato più di un anno. Abbiamo approntato due campi, uno per i nostri operatori e l’altro per la popolazione sistemando 500 persone. E qui permettimi di spiegarti un paio di cose. La protezione civile non può sostenere vita natural durante la situazione dove si è verificata l’emergenza. L’intervento dovrebbe durare il tempo necessario per poter portare a un certa normalità la situazione locale anche perché ci sono le ditte locali che devono lavorare. Ti faccio l’esempio dei vigili del fuoco. Se un camion si ribalta in mezzo alla strada i vigili del fuoco intervengono prendono il camion e lo mettono a bordo strada. E’ un intervento che viene

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effettuato dai vigili perché si deve riaprire urgentemente la strada e ripristinare la viabilità. Il discorso del prelevare il camion, portarlo in officina e riparalo è una cosa che dev’essere gestita privatamente. La cosa molto importante per l’ente pubblico è quello di non interferire esageratamente su quello che può diventare un aspetto economico per la società. Quindi anche in emergenza noi dobbiamo intervenire fintanto che le persone si sono ristabilizzate. Poi le competenze passano alle ditte. La protezione civile aiuta a passare da una situazione di emergenza a una in cui ti sei organizzato. E’ un mordi e fuggi perché sennò si interviene su aspetti che possono ledere le economie locali.

—Parlando invece del progetto

per cui mi avete chiamato vorrei cominciare con il chie-

derti quali sono le criticità che si possono verificare in

caso di chiamata.

Con l’avvento dei telefonini i magazzini di protezione civile si sono in qualche modo trovati in difficoltà. Ti spiego il motivo. Una volta c’era la rete radio provinciale. Quando si scatenava un’emergenza, un’alluvione o un’esondazione, noi con la radio avevamo l’informazione di quello che accadeva a livello

provinciale. Quindi ad esempio noi sapevamo che a breve ci sarebbe arrivata la richiesta per alcune pompe o di camion o dell’attrezzatura specifica perché in tempo reale sentivamo quello che si comunicavano tra loro i vigili del fuoco per esempio. Avevamo così dei tempi tecnici per preparare l’attrezzatura.

—Questa da chi viene richiesta?

Non dal vigile che magari si trova sull’alveo del fiume che sta straripando ma dalla sala operativa, che si trova presso la caserma dei vigili del fuoco. In ogni caso eravamo in grado di saperlo prima ancora che la comunicazione ufficiale fosse partita. Grazie alla nostra esperienza poi eravamo in grado di capire cosa sarebbe potuto servire e questo ci permetteva di anticipare i tempi. Adesso questa è stata modificata perché la comunicazione avviene tra l’ufficiale e la sala operativa e poi tra questa e noi. C’è quindi un passaggio in più e magari la persona che comunica è in agitazione, la persona che risponde non capisce bene e il messaggio che arriva a noi può essere distorto e non corrispondere a quello originario.Prima invece potevo aiutare nella

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scelta dell’attrezzatura. Le radio ci sono ancora ma la comunicazione telefonica l’ha sostituita. Adesso si vuole tornare a ripristinarle perché la comunicazione aperta fra tutti in emergenza è fondamentale. E questo è il primo aspetto che non dipende da noi.L’altro problema riguarda invece il magazzino. Si sa comunque già prima quello che ci possiamo aspettare grazie ai bollettini meteo e alle previsioni ma vorrei poter garantire, vista l’attrezzatura, una rapida individuazione di questa con tutti i suoi accessori. E questa capacità o questa rapidità di poter far partire l’attrezzature che mi viene richiesta la deve avere anche una persona che entra per la prima volta in magazzino. Magari non potrai capire dove si trovino i sotto scaffali ma il settore dovrà essere facilmente identificabile. Ci tengo a precisare Jacopo che rispetto ai vigili del fuoco che quando sono chiamati devono comunque partire noi siamo una struttura che contiene una serie di materiali che viene utilizzata solo quando c’è un’emergenza conclamata. Al momento del prestito di questa attrezzatura poi si emette una bolla che serve a sapere e ricordare dove il mezzo è andato. Tieni presente che su attrezzature composte c’è la necessità di dare una documentazione prevista

dalla legge sulla sicurezza. Devo dare il libretto di istruzioni, che la macchina non deve essere modificata, che deve essere utilizzata per gli scopi previsti ecc.

—Le chiamate possono arrivare

anche di notte?

Assolutamente sì. Abbiamo anche noi abbiamo le nostre reperibilità. C’è un coordinatore con due operai e normalmente inserisco un elettricista e un autista.

—Operatori esterni si possono mettere a cercare oggetti?

Certo. Se c’è necessità di organizzare un intervento complicato possono aiutare ma la regia rimane del nostro personale. Se però riesco a semplificare o a rendere veloce la possibilità dell’accessorio ottengo un vantaggio. E’ chiaro che un generatore da 1200 Ampere è grande come una corriera e si vede subito. Dietro a questo però ci vuole un quadro o dei cavi e quelli non si trovano così facilmente. E’ questo il punto che vorrei migliorare.

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5.1

la lista delle attrezzature

e le Categorie

Inquadrato quindi il problema, i responsabili mi hanno fornito l’intera lista delle attrezzature presenti in magazzino. Questa è divisa principalmente secondo sei grandi categorie. A loro volta tre di queste presentano delle sotto categorie che entrano più nel dettaglio riguardo la tipologia di attrezzatura.

Logistica

Tende da campo

Prefabbricati

Uso abitativo

Uso bagno

Uso doccia

Attrezzaturalogistica varia

Potabilizzatori

Pompe

Tubazioni varie

Potabilizzatori

Pompe

Tubazioni varie

Serbatoi

Idraulica

Esondazione Disinquinamento

Elettricità

Attrezzatura e materiali vari

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Era presente un ulteriore livello di suddivisione all’interno delle sottocategorie ma ai fini della semplicità visiva e della facilità di comprensione generale del sistema è sembrato un passaggio eccessivo che avrebbe potuto confondere e rallentare la comprensione.L’obiettivo principale quindi è sempre rimasto quello di trovare un sistema efficace, flessibile e coerente a livello visivo per realizzare i pittogrammi rappresentanti le famiglie maggiori e le relative sottocategorie. Nel progettare il sistema ho dovuto tenere a mente una serie di considerazioni piuttosto importanti che hanno spaziato dai processi cognitivi che impegnano l’essere umano durante la visione, come e cosa è in grado di riconoscere più velocemente, come il sistema di segnaletica stesso può essere facilmente aggiornato in caso di spostamento del materiale e quali potrebbero essere gli sviluppi futuri. Ho cercato di rispondere e motivare ognuna delle scelte che ho seguito in maniera esaustiva per arrivare a una risposta organica, visivamente gradevole che però si dimostri funzionale allo scopo.

5.2

i diVersi gradi di lettura e la teoria del lettore modello

Il fine ultimo del sistema è quello di riuscire a rendere facilmente identificabili gli strumenti a una persona che arriva al magazzino per la prima volta. Non sono però solo questi gli utilizzatori. Il sistema quindi dovrà dimostrarsi efficace verso persone con livelli di lettura diversi tra loro. Per spiegare e implementare questo concetto ho ripreso la teoria di Eco del lettore modello. Con lettore modello s’intende un lettore immaginario a cui un testo è indirizzato. Eco dice:

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“durante la stesura di un testo, un autore, detto autore empirico, definisce quale immagine vuole dare di sé al lettore e definisce così l’autore modello. a sua volta però questo stabilisce un lettore modello, un individuo immaginario che potrebbe leggere il suo testo. lo scritto però finisce tra le mani di una persona vera e propria: il lettore empirico, il quale non sempre corrisponde al lettore modello. un testo può prevedere un lettore modello che può fare infinite congetture. si tratta di una serie di condizioni che devono essere soddisfatte affinché il testo possa esprimere interamente il suo contenuto potenziale: ci si aspetta che il lettore modello possa interpretare a fondo il testo – o meglio, in un modo simile a quello usato dall’autore per crearlo – ed essere d’accordo nel rispettare le regole che crea [il testo] per […] ricavarne una comprensione coerente. ad esempio, questo significa che, anche se il lettore empirico di Cappuccetto rosso sa perfettamente che i lupi non parlano, perché la fiaba abbia senso il lettore modello deve accettare non solo le regole che questa fiaba impone, ma anche l’esistenza di un mondo in cui gli animali sanno parlare.” —15

Il sistema di segnaletica deve così funzionare per diverse persone che possiedono diversi gradi di lettura che ho suddiviso in questo modo:

— operatore assoluto: una persona che entra per la prima volta nel magazzino che non ha mai visto lo spazio e come sono disposti i materiali. Il sistema deve funzionare come una guida che gli permetta di reperire rapidamente quello che sta cercando;

— operatore occasionale: una persona che è entrata almeno una volta. Il sistema funziona come conferma visiva di elementi già memorizzati in precedenza;

— operatore esperto: una persona che è entrata più volte o che comunque entra regolarmente. Il sistema deve essere traducibile verbalmente nel caso egli dovesse descriverlo a chi non l’ha mai visto.

— tecnico esperto: un membro del personale permanente che

15. Umberto Eco, Interpretazione e sovrainterpretazione, Bompiani, Milano, 2002

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non solo conosce molto bene lo spazio e la disposizione dell’attrezzatura ma è informato riguardo le possibili nuove sistemazioni di questa. Il sistema dovrà risultare facilmente traducibile anche per lui.

fig. 5.2.1

Un’illustrazione di Jean-

Manuel Duvivier

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5.3

la perCezione umana

Per ottimizzare i tempi di lettura dei diversi pittogrammi sono andato a ricercare informazioni sui meccanismi fisiologici e psicologici che regolano la percezione umana. In che modo è regolata la visione e quali elementi siamo in grado di percepire o riconoscere prima?La nostra cultura è legata all’immagine, siamo attratti dall’immagine e il cervello stesso è cablato appositamente per l’esperienza visiva. È il senso con cui preleviamo più informazioni. Più di un milione di fibre nervose trasmettono informazioni dall’occhio al cervello e circa 20 miliardi di neuroni le analizzano. La capacità di ricordare immagini è sorprendente e l’essere umano è in grado di stivarne migliaia e riconoscerle senza problemi. Gyorgy Kepes, designer e insegnante, nel 1944 disse:

“la comunicazione visiva è universale e internazionale, non conosce limiti di vocabolario, di lingua o di grammatica, e può essere letta sia da una persona istruita che da un analfabeta.” —16

il sistema umano di elaBorazione dell’informazione

Come conosciamo il mondo che ci circonda? Molti di questi aspetti vengono affrontati da quelle che sono chiamate scienze cognitive.Comprendono diverse discipline e campi, la psicologia cognitiva, l’informatica, le neuroscienze e la filosofia. Studiano quindi la cognizione di un sistema pensante, sia esso naturale o artificiale.Le informazioni esterne che arrivano a noi attraversi i sensi sono grezze e vengono trasformate in informazioni utili a cui rispondiamo sul momento o immagazziniamo per un uso successivo.

16. Gyorgy Kepes, Language of Vision, Dover Publications, 1995

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L’immagazzinamento si affida a tre strutture mnemoniche distinte che però utilizziamo costantemente: la memoria sensoriale, la memoria a breve termine e quella lungo termine. L’input esterno arriva alla memoria sensoriale, una piccola porzione di questo passa a quella a breve termine e un’altra parte è codificata per essere immagazzinata in quella a lungo termine sotto forma di conoscenza.La memoria sensoriale possiede due componenti, una iconica che segue la vista e una onomatopeica legata all’udito. Il tutto passa poi per la memoria a breve termine dove si mantengono e manipolano le informazioni e che ci permettono di dare senso a quello che ci circonda. Anche qua sono presenti due sistemi, uno che elabora le informazioni visive e l’altro quelle verbali.

Stimoloesterno

Memoriasensoriale

Memoria abreve termine

Memoria alungo termine

proCessi Bottom up e top down

Il processo visivo inizia chiaramente dagli occhi. Siamo in grado di vedere perché le radiazioni luminose emesse dalle cose che ci circondano arrivano sulla retina dove 100 milioni di recettori convertono quest’energia in impulsi elettrici che mandati al cervello vengono poi interpretati. Si può dire che il meccanismo della visione si concentra sulla fovea, la regione della retina che mette a fuoco quello che vediamo, e che ci permette di distinguere oggetti piccoli, dettagli e i colori. La fovea è molto piccola e questo spiega come mai siamo in grado di vedere ciò che ci circonda di momento in momento. Il movimento continuo dell’occhio è necessario per permetterci di continuare a vedere l’oggetto che ci interessa. Questi piccoli e rapidi movimenti sono chiamati saccadi e l’occhio ne compie svariati ogni secondo.

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Al contrario dell’elaborazione passiva che effettua un computer noi percepiamo gli oggetti come partecipanti attivi. La nostra conoscenza visiva è guidata da stimoli che giungono dall’esterno e fanno parte di quei processi chiamati bottom up. Quello che percepiamo però è anche in parte guidato dalla nostra memoria, dalle nostre aspettative, dalle nostre intenzioni e conoscenze. I processi top down sono propri di queste caratteristiche.I processi bottom-up invece sono quelli che attiviamo ai fini del riconoscimento immediato di un elemento visivo. Sono quei processi che accadono senza che ci sia attenzione o sforzo da parte di chi vede dato che sono le naturali conseguenze dell’attività del cervello che continuamente cerca significati in quello che elabora. Rileviamo così il movimento, le forme, i colori, i contorni e i contrasti e il cervello comincia a distinguere le diverse profondità e gli elementi raggruppati insieme.Accade tutto molto rapidamente e l’output viene passato a diverse aree del cervello che influenzano la nostra attenzione. A questo punto si inserisce il processo top-down che come si diceva è molto influenzato da quello che già conosciamo e la percezione finale è un mix di entrambi. A questo punto però si pone un problema di interpretazione soggettiva. Non è possibile predire con sicurezza come gli operatori di emergenza interpreteranno un’immagine, un pittogramma, vista la complessa natura umana e il probabile diverso bagaglio di conoscenze di ognuno. Le caratteristiche cognitive infatti dipendono da 4 fattori abbastanza comuni tra tutte le persone, di cui ho tenuto grande considerazione durante la fase di progettazione:

— livello di sviluppo (chi possiede poca esperienza può intendere un messaggio alla lettere piuttosto che in senso metaforico);

— distrazione (concentrare l’attenzione su quello che è importante e inibire quello che non lo è);

— motivazione (dipende dal livello di interesse che ha una persone nei confronti di quello che sta vedendo);

— cultura (molte abilità cognitive dipendono dal bagaglio culturale di ognuno).

117

early Vision

La early vision è la fase che si verifica all’inizio del processo visivo e riguarda l’abilità dell’essere umano di distinguere una serie di caratteristiche visive senza sforzo particolare, in maniera automatica, prima quindi che si presti attenzione a un determinato oggetto. Queste sono: la forma geometrica, la texture e il colore, la dimensione. Nelle fasi preattentive della percezione la persona infatti elabora tutta l’informazione in arrivo nei propri canali sensoriali, indipendentemente dal numero di oggetti percepiti. Nelle fasi postattentive, viceversa, la persona elabora soltanto i dati riguardanti l’oggetto selezionato. Il primo tipo di operazioni è compiuto dal cervello in parallelo, in quanto alcune operazioni sono effettuate contemporaneamente nei confronti della rappresentazione di innumerevoli oggetti; le elaborazioni postattentive sono, viceversa, seriali, poiché si applicano ad un solo oggetto alla volta.Durante l’osservazione si cerca così di riconoscere e trovare una serie di caratteristiche già acquisite dalla nostra mente e ricondurle a quello che stiamo osservando nell’ambiente che ci circonda. Questa fase è fondamentale per la persona che entrerà nel magazzino per la prima volta, quello che ho chiamato ‘operatore assoluto’. Uno sguardo veloce dovrà permettere a chiunque di individuare velocemente il pannello o i pannelli contenenti il pittogramma e capire quello che questi rappresentano, senza dover ricorrere a un’eccessiva elaborazione cognitiva.Quindi un linguaggio che comunica ai processi preattentivi permette in sostanza di comunicare in fretta, di attirare la giusta attenzione e dare significato. Soddisfare questi processi richiede chiaramente pensare a come questi potranno essere rilevati, organizzati o raggruppati.

ridurre il realismo

Lo sforzo di elaborazione visiva che le persone dovrebbero fare se si trovassero davanti disegni dettagliati invece di pittogrammi sarebbe decisamente elevato. L’identificazione delle diverse categorie invece deve avvenire riducendo il livello di realismo degli oggetti che sono

118

rappresentati. Il realismo si può definire in termini di fedeltà cioè quanto un’immagine assomiglia a qualcosa di riconoscibile. Le fotografie a colori e i render foto realistici in 3d sono gli oggetti che più si avvicinano alla realtà dato che mostrano numerosi dettagli, profondità diverse, ombre, texture e tonalità di colori che interpretano meglio di qualsiasi altra cosa l’ambiente circostante.All’opposto si trovano disegni, le silhouette e le icone. Questi diminuiscono gli elementi che permettono ad un oggetto di essere riconosciuto. Se però l’obiettivo è spostare l’attenzione sui dettagli essenziali di un elemento per produrre una risposta rapida o fornire una spiegazione anche a chi ha una conoscenza limitata questa riduzione di elementi grafici si dimostra molto efficace. L’intento comunicativo, le caratteristiche delle persone che saranno coinvolte nel processo visivo influenzeranno il livello di realismo che si utilizzerà. Progettare con un approccio minimalista ha molti vantaggi. Limitare la complessità permette di facilitare il sistema di elaborazione delle informazioni. Durante la ‘lettura’ di un’immagine vengono estratte immediatamente le informazioni più significative e subito dopo vengono l’elaborate le informazioni più complesse che portano a riconoscere le forme più coerenti.C’è bisogno inoltre di minori trasformazioni cognitive per fare in modo che le informazioni vengano immagazzinate nella memoria a lungo termine. Il cervello inoltre ha più facilità a mantenere solamente immagini convertite in rappresentazioni semplificate. Per definizione tutte le rappresentazioni pittoriche in qualche modo deviano dall’ambiente fisico di cui facciamo parte. Manfredo Massironi parla di astrazione e semplificazione. Per raggiungere un alto livello di astrazione si deve ridurre il livello di dettagli e limitare alcune caratteristiche visive, come il colore o le texture.Il pittogramma si rivela così il linguaggio grafico più adatto allo scopo e a permette che le diverse categoria possano essere individuate con facilità, rapidamente e senza un grande sforzo cognitivo.

119

5.4

la realizzazione dei pittogrammi

Le sei macrocategorie non identificano un oggetto specifico, un elemento fisico che possa essere ‘tradotto’ in un’icona. Ogni voce descrive una categoria, un raggruppamento di oggetti e per poter descrivere la loro totalità è stato necessario sceglierne uno tra questi in grado di rappresentarli tutti e trasformarlo in un pittogramma.Il pittogramma per definizione è un’immagine creata con lo scopo di attirare l’attenzione in maniera rapida e chiara senza ricorrere a una lingua o a parole. Per realizzarle occorre in primo luogo eseguire una schematizzazione di quello che si vuole rappresentare. Rappresentare prima di tutto vuol dire ridurre, decidere cosa perdere e quale livello di riduzione si può considerare accettabile.Giovanni Anceschi dice:

“ogni rappresentazione è già in partenza, oseremmo dire, in linea di principio una semplificazione, cioè uno schema; anzi in un certo senso non può essere altro che una semplificazione, nel senso di una riduzione. nel senso cioè della distanza che esiste fra la ricchezza del complesso fenomenico del reale, la sua infinità godibilità sensoriale, la sua inesauribile indagabilità percettiva e cognitiva, la sua infinita profondità interpretativa, insomma fra il mondo e la singola selezione operata secondo una qualche forma di criterio o punto di vista. (...) rappresentare è dunque prima di tutto ridurre e subito poi schematizzare, e cioè, in fondo, trarre partito della ineluttabilità della riduzione. in altre parole decidere cosa perdere, quale forma o livello di riduzione accettare.” —17

Studi sulla schematizzazione figurativa cominciarono a svilupparsi verso gli anni ’60 e fu A.A. Moles presso la Scuola di Ulm che nel 1965 stilò il

17. Giovanni Anceschi, L’oggetto della raffigurazione, Milano, Etaslibri, 1992

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catalogo dei livelli di iconicità suddiviso inizialmente in dodici gradi e poi in sette secondo le classi di maggior astrazione.Si poteva stabilire una sequenza di categorie ordinata secondo il criterio di progressivo aumento del grado di astrazione e decremento del livello di iconicità. Più il disegno è astratto e meno è interpretabile a prima vista. I livelli sono:

— fotografia ritoccata (o disegno prospettico realistico); — semplificazione al tratto; — disegno costruttivo; — schema costruttivo normalizzato; — diagramma di flusso; — schema di campo; — astrazione perfetta.

Uno degli aspetti più complicati nel disegnare un pittogramma infatti è quello di riuscire a raggiungere una semplificazione efficace. Con questo intendo dire che si deve cercare di bilanciare la perdita dei dettagli che una rappresentazione iconografica inevitabilmente comporta e il livello di riconoscibilità che però deve mantenere per poter essere compreso. Oltre a questo si deve cercare anche uno stile e un motivo che funzioni bene per tutto il sistema.Per produrre una rappresentazione schematica ancora Anceschi dice:

“il disegnatore o illustratore che sia, si trova nella necessità di ricondurre l’oggetto/evento/processo in questione (o piuttosto ciò che abbiamo chiamato oggetto della rappresentazione) ad un’immagine, nel nostro caso, bidimensionale.” —18

Il procedimento usato per rappresentare visivamente ognuna di queste categorie ha tenuto conto di tre passaggi. Per ottenere un pittogramma il più possibile corrispondente alla realtà tutti i ragionamenti sono sempre partiti dall’osservazione di una fotografia dell’oggetto o dell’insieme di oggetti appartenenti alla categoria in questione. Nei casi in cui non è stato possibile tradurre visivamente un singolo elemento fisico sono state prese

18. Giovanni Anceschi, L'oggetto della raffigurazione, Milano,

Etaslibri, 1992

121

in considerazione fotografie raffiguranti l’operazione che la categoria è chiamata a eseguire o la situazione in cui questa viene utilizzata. Dalla documentazione fotografica poi ho realizzato una ricerca semantica di parole, verbi e aggettivi che a mio parere evidenziavano le caratteristiche più importanti dell’oggetto della rappresentazione e dalle quali questo non poteva prescindere.Da queste poi il passaggio successivo è stato quello di estrarre i tratti pertinenti dalla documentazione fotografica che ho inserito per ogni categoria. Questo passaggio è stato fondamentale perché dovendo mantenere basso lo sforzo cognitivo per riconoscere i singoli pittogrammi era opportuno che il quantitativo di elementi grafici utilizzati per la loro rappresentazione fosse limitato in modo da non creare un eccessivo ‘rumore’ visivo. Il processo coinvolge quindi la necessità di ricondurre l’oggetto, la situazione o l’operazione a un immagine bidimensionale lineare che però mantenga la forma tipica dell’elemento di origine.

le pertinenze

Il dizionario definisce la pertinenza come qualcosa che concerne, che appartiene o si riferisce direttamente a qualcosa o a qualcuno.Ho creato così quattro possibili tipologie di queste:

— formali; — strutturali; — operazionali; — situazionali.

Per ogni categoria delle attrezzature ho valutato su una scala di massimo due punti (molto rilevante, poco rilevante, ininfluente) quanto fosse importante ciascuna pertinenza ai fini della sua rappresentazione sotto forma di pittogramma. Le pertinenze formali si riferiscono, come dice il termine stesso, alla forma stessa dell’elemento che viene rappresentato, se questo si presenta in forma quadrata, circolare, ecc.

122

Le pertinenze strutturali riguardano la struttura dell’oggetto, di quali elementi è composto. Un’automobile per esempio perché venga riconosciuta come tale non può prescindere dalla presenza delle ruote.Le pertinenze operazionali invece descrivono l’operazione che un oggetto compie, la funzione che svolge quando entra in azione. Infine le pertinenze situazionali riguardano la situazione in cui l’oggetto dovrà essere usato, il contesto in cui questo si trova più facilmente ad essere usato.

l’uso della linea

Perché usare la linea come metodo di rappresentazione piuttosto che la forma piena? Ma l’approccio a soluzioni lineari non si limita solamente a ragioni di tipo stilistico. Attraverso variazioni di tonalità minime la linea è in grado di descrivere i dettagli essenziali di un oggetto anche con poco dettaglio. Sempre nelle prime fasi del processo visivo il cervello elabora le caratteristiche proprie delle linee, quali la curvatura, l’orientamento e le estremità dell’oggetto. Mentre analizziamo un’immagine la maggior parte dell’attività visiva e cerebrale si verifica sui bordi che delimitano un elemento. Com’è possibile

allora che elementi non presenti nella realtà e in natura come le linee siano comunque in grado di farci percepire forme e oggetti?La spiegazione in parte la fornisce un principio della Gestalt, quello della chiusura o della forma chiusa, che si riferisce ad una particolare capacità

fig. 5.4.1

Le immagini usate da Ryan & Schwartz nel loro esperimento.

123

percettiva tale per cui le linee e le forme familiari, anche se non sono chiuse e complete, vengono comunque considerate tali. In altre parole, se la forma in studio è conosciuta, le informazioni mancanti vengono reintegrate in modo da ricostruire la forma originale. Oltre a questo bisogna considerare che nelle fasi avanzate del processo visivo entra in gioco la memoria a lungo termine che ci permette di trasformare l’immagine o ciò che stiamo guardando in qualcosa che calza con la nostra esperienza e conoscenza. Riporto un interessante esperimento realizzato da Ryan e Schwartz, due psicologi americani, in cui mettevano a confronto una fotografia, un disegno illusionistico, un disegno al tratto e una stilizzazione tipo fumetto di una mano. Quella che veniva riconosciuta nel minor tempo tra tutti era la rappresentazione a fumetto. Il risultato secondo gli autori stava nella semplicità dello stile. Secondo Falcinelli invece la cosa è più complessa. —19 I disegni lineari sono più semplici da riconoscere rispetto a una foto perché sopprimono le informazioni tonali e danno alla retina un’immagine più facile da digerire che piace alle cellule gangliari. Queste cellule sono le prime del sistema visivo nelle quali si generano potenziali d’azione.La mano di Topolino si coglie al volo come una lettera. E‘ una convenzione memorizzata, scrittura e non pittura. La rappresentazione lineare come si diceva non ha bisogno di eccessivi dettagli, è efficace quando è in grado di catturare i tratti essenziali e, nel mio caso, pertinenti di un oggetto eliminando le informazioni irrilevanti.

griglia di Costruzione

Ogni pittogramma è stato costruito all’interno di una griglia quadrata, dimensionata a 10x10 cm e suddivisa in 50 moduli da 2 mm ognuno. Tutte le forme che compongono i pittogrammi sono facilmente riconducibili a classiche forme geometriche, come quadrati, rettangoli, cerchi, triangoli e trapezi per aiutare la ‘leggibilità’ grafica. Gli arrotondamenti prodotti sugli angoli e le dimensioni delle forme stesse sono tutti multipli del modulo base.Lo spazio minimo che intercorre tra due linee o due elementi non è mai inferiore al doppio del singolo modulo a causa della sovrapposizione visiva

19. Falcinelli R., Guardare, pensare, progettare, Nuovi Equilibri, 2011

124

che avviene nel momento in cui si guarda la rappresentazione dal lontano.Le linee oblique seguono anch’esse uno schema preciso e si muovono a raggiera coprendo una distanza costante a passi di 15 gradi.

la tipografia

L’uso della font in questo particolare progetto di tool finding non ha avuto un’importanza strategica all’interno del sistema di rappresentazione

SPESSORE LINEA

GRIGLIA DI COSTRUZIONE MODULO BASE

100 mm

100 mm4 mm

CURVATURE

FORME USATE

LINEE OBLIQUE

SPAZIO MINIMO

La griglia è sudddivisa in 50 parti uguali, sia orizzontalmente che verticalmente. Si forma così un reticolo di 2500 quadrati di 2x2 mm.

2 mm

/2 x2 x3

4 mm 8 mm

0° - 15° - 30° - 45° - 60° - 75° - 90°

12 mm

4x4 mm

4 mm

125

iconografica. A parlare sono i pittogrammi stessi e la presenza di testo svolge una funzione quasi didascalica, dà la conferma finale riguardo l’identità di un determinato pittogramma fugando ogni possibile dubbio e possibilità di errore di interpretazione che potrebbe essere causato da agitazione o da stress.Il testo però è diventato decisamente più importante nel caso in cui per alcuni mezzi è stato necessario far risaltare alcune delle caratteristiche tecniche considerate fondamentali nel momento in cui questo debba essere trasportato e utilizzato in caso di emergenza.Per i gruppi elettrogeni ad esempio si è visto, grazie sopratutto all’esperienza del personale della Protezione Civile, che le informazioni utili a un tecnico per capire se l’oggetto corrisponde alle sue necessità o meno sono il suo peso, la sua potenza e le sue dimensioni.Assieme ai responsabili abbiamo pensato fosse necessario realizzare un pannello apposta da agganciare direttamente allo strumento e che riporti queste informazioni ad una dimensione adeguata per poter essere lette da lontano permettere così che risaltino in maniera efficace.La scelta della font quindi è stata vagliata attentamente. Alcuni dei requisiti a cui ho prestato più attenzione riguardavano proprio il livello di lettura che questa permetteva dalla lunga distanza, viste le dimensioni del magazzino, unita alla sua gradevolezza visiva in relazione allo stile dei pittogrammi.Sono due i fattori che inficiano la leggibilità di un testo: l’altezza delle lettere minuscole (o altezza della x) e lo spazio tra le singole lettere. Ho scelto così la font Wayfinding Sans Pro, ideata proprio per progetti di questo tipo e per segnaletica di tutti i tipi, dal designer tedesco Ralf Hermann.Come spiega lui stesso il processo di realizzazione di una font di questo tipo differisce notevolmente da una pensata per la stampa. Secondo Hermann di solito un tipografo comincia schizzando i contorni di alcune lettere che influenzano i dettagli stilistici. I dettagli però sono i primi che inevitabilmente spariscono quando il testo viene letto da una certa distanza. Quello che conta a quel punto è lo scheletro delle lettere.Applicando diversi spessori e confrontandoli con font già esistenti è stato in grado di ottimizzare al massimo la leggibilità. Il risultato di questo lavoro

126

si nota infatti nella lunghezza aumentata delle aste traversali ad incrocio delle lettere f e t. Lo scheletro quindi è abbastanza generico proprio perché risulti familiare e facile da riconoscere.L’altro elemento che percepiamo se leggiamo del testo da lontanto è lo spessore delle aste delle lettere. Come molti credono aumentare lo spessore aiuta fino ad un certo punto perché incrementando troppo si riducono gli occhielli e diminuisce lo spazio tra le singole lettere creando confusione e rallentando la leggibilità complessiva.Oltre all’evidenza formale riguardo l’alto livello di leggibilità di questa font esiste una comprovata evidenza scientifica, condotta dall’Università

aiylèQç

fltBR 1Il Illumensee 1km

Illumensee 1km

BR 1Il

OG

Alcune lettere possono venire confuse se le condizioni di lettura non sono ottimali. Un’attenzione specifica verso alcuni di questi dettagli rende il carattere nettamente più chiaro permettendo la lettura anche a distanze maggiori.

Lo spessore del segno è un altro fattore da considerare. Non sempre una larghezza marcata migliora la visibilità delle lettere.

127

di Scienze Applicate di Berlino. Lo studio ha confrontato la leggibilità di diverse font disposte in contesti di segnaletica, tra cui Frutiger, Futura e il Johnston Underground e il Wayfinding Sans pro è risultato essere il più leggibile tra tutte.

parte iii

le sCHede dei pittogrammi

132

logistica

tende da campo

sottoCategorie

prefabbricati

attrezzatura logistica varia

La logistica comprende tutta una serie di attrezzature e materiali che riguardano la gestione e l’approntamento di una tendopoli. Sono presenti svariate tipologie di tende da campo, dai gazebi a struttura fissa alle tende pneumatiche, e sono le strutture che fisicamente ospitano le persone che stanno affrontando una situazione di emergenza, come può essere un terremoto, e che non può ristabilirsi all’interno della loro abitazione. Assieme a queste si affianca una serie di strutture prefabbricate: servizi igienici, docce da campo e dormitori.In generale quindi è attrezzatura ingombrante che richiede mezzi di movimentazione speciali. Il più usato all’interno di moltissimi magazzini è il carrello elevatore, più comunemente conosciuto come muletto.Essendo uno dei mezzi sempre presenti all’interno di magazzini o aree di stoccaggio di qualsiasi tipo (da quelli industriali a quelli militari) mi ha convinto fin dall’inizio del fatto che la sua forma e struttura sia ormai largamente diffusa nel patrimonio visivo delle persone e che quindi potesse considerato come l’oggetto rappresentante l’intera categoria

in questione. La rappresentazione del pittogramma è cominciata da una fotografia scattata all’interno del magazzino di Protezione Civile che mostra il muletto più grande che il personale ha in dotazione. Sempre per limitare al minimo eventuali confusioni visive ho estratto le pertinenze tipiche dell’oggetto, cercando di rispondere alla domanda ‘cosa possiede un muletto perché si possa definire tale?’. Ho individuate 3 caratteristiche:• montante e forca anteriore;• ruote;• forma trapezoidale della cabina.Dalla presenza o assenza di solo uno di questi elementi queste prescinde la riconoscibilità dell’oggetto rappresentato.

parole CHiaVeMovimentazione, efficienza, muletto, mezzi speciali, organizzazione, materiali/carichi pesanti.

133

pertinenze

oggetto della rappresentazione

pertinenze formali

pertinenze strutturali

pertinenze situazionali

pertinenze operazionali

134

Versioni studio

sCHema di Costruzione

135

pittogramma finale

136

logistica

tende da campo

Le tende costituiscono un elemento strategico durante le prime fasi di un’emergenza nel caso in cui ci siano persone sfollate e sia necessario appontare un campo di accoglienza. Il magazzino conta al suo interno diverse tipologie di queste, dalle tendostrutture alle tende pneumatiche. Dopo aver confrontato alcune immagini presenti sul web, data l’impossibilità per la Protezione Civile di approntarne alcune per me da fotografare, ho scelto di rappresentare quella che secondo me è la più rappresentativa, la tenda montana con struttura a 3 archi.Le pertinenze in questo caso si limitano a quelle formali e strutturali, lasciando pochissimo spazio a quelle operazionali e situazionali. È la forma della tenda stessa che ne permette la sua riconoscibilità.

parole CHiaVeVerde, tiranti, gonfiabile, riparo/protezio-ne, archi.

137

pertinenze

oggetto della rappresentazione

pertinenze formali

pertinenze strutturali

pertinenze situazionali

pertinenze operazionali

138

Versioni studio

sCHema di Costruzione

139

pittogramma finale

140

logistica

prefabbricati (uso abitativo)

I prefabbricati sono suddivisi tra servizi igienici da campo, le docce da campo, quelli ad uso abitativo e ad uso speciale (cucine, lavanderie, ecc.). Anche questi come le tende vengono prelevati per completare la realizzazione di un campo di accoglienza che si possa definire funzionante al 100%. I moduli sono molto simili a container per il trasporto di merci, sia per le dimensioni che per gli ingombri e quindi richiedono mezzi speciali per poter essere spostati o trasportati.La Protezione Civile dispone di tre tipi di prefabbricati che precisa a distinguere. Ci sono quelli ad uso abitativo, ad uso doccia e ad uso bagno. Ognuno di questi è stato rappresentato da un pittogramma apposito. Per rafforzare la coerenza visiva la forma del prefabbricato è rimasta uguale e a seconda della destinazione d’uso è stato cambiato l’interno.

parole CHiaVeContainer, parallelepipedo, docce, abita-re, trasportabile, resistenza, ingombro.

141

pertinenze

oggetto della rappresentazione

pertinenze formali

pertinenze strutturali

pertinenze situazionali

pertinenze operazionali

142

Versioni studio

sCHema di Costruzione

143

pittogramma finale

144

logistica

prefabbricati (uso bagno)

145

logistica

prefabbricati (uso doccia)

146

logistica

attrezzatura logistica varia

All’interno di questo gruppo si trovano oggetti di complemento come letti, materassi, coperte, cuscini ma anche tavole e panche da campo e pianali di legno che vengono utilizzati nel caso in cui ci sia da allestire un campo di accoglienza. Gli oggetti sono molto eterogenei tra di loro, hanno pochissima affinità a livello visivo viste le dimensioni e le forme molto diverse tra loro. Quali e quanti di questi utilizzare allora per rappresentare l’intero gruppo? Sono partito dal fatto che l’essere umano se osserva un gruppo di oggetti è in grado di riconoscerne in maniera automatica al massimo 4, senza dover ricorrere a un conteggio manuale. Visto lo spazio e i possibili ingombri che gli elementi avrebbero potuto avere all’interno della griglia di rappresentazione ho deciso di inserirne 3 e tra questi ho scelto quelli che sono più importanti e che completano l’approntamento di una tenda: un materasso, un letto e una coperta.Le pertinenze più importanti sono state quelle formali e in minima parte quelle strutturali.

parole CHiaVeMaterassi, cuscini, coperte, oggetti vari, raggruppare, tavoli e panche.

147

pertinenze

oggetto della rappresentazione

pertinenze formali

pertinenze strutturali

pertinenze situazionali

pertinenze operazionali

148

Versioni studio

sCHema di Costruzione

149

pittogramma finale

150

Il reparto dell’idraulica è anch’esso molto variegato e comprende numerose attrezzature che lavorano con l’acqua e altri liquidi, siano essi da movimentare o da raccogliere e stoccare. Il nome stesso è un ottimo punto di partenza per rappresentare questa categoria. Il termine infatti deriva dal greco, dalla parola hydraulikos composta da hydor che significa acqua e aulos che significa condotta. La condotta o la conduttura è un oggetto che può essere facilmente tradotto in termini visivi, e la semplicità della forma di un tubo per esempio mantiene un ottimo livello di efficienza percettiva che non deve mai mancare.In questo caso quindi le pertinenze formali e strutturali assumono un’importanza cruciale. Per ricavarle ho esaminato una serie di fotografie di questi elementi reali e ho ritenuto fondamentale inserire questi aspetti:• la forma più comune di una condotta è

quella cilindrica;• spesso sono presenti snodi per

permettere cambiamenti di direzione;• c’è la presenza di una valvola o di un

rubinetto;

• le giunzioni di collegamento possono sporgere.

Ho considerato così tutti questi elementi in quella che è la rappresentazione di un percorso idraulico composto da 4 snodi e un rubinetto.

parole CHiaVeAcqua, condutture, valvole, nodi, scambi, leve, attacco.

idraulica

potabilizzatori

sottoCategorie

pompe idrovore

tubazioni varie

serbatoi

151

pertinenze

oggetto della rappresentazione

pertinenze formali

pertinenze strutturali

pertinenze situazionali

pertinenze operazionali

152

Versioni studio

sCHema di Costruzione

153

pittogramma finale

154

idraulica

potabilizzatori

I potabilizzatori in dotazione alla Protezione Civile sono macchinari decisamente ingombranti, esternamente piuttosto anonimi che però una volta aperti si rivelano essere molto complessi. Presentano numerosi collegamenti idraulici che si collegano a cisterne, cilindri di filtraggio, valvole e rubietti in un complicato mosaico di tubazioni. Rappresentare anche solo alcuni di questi elementi riducendo la complessità non mi avrebbe portato ad una soluzione visivamente comprensibile. Così invece di concentrarmi sugli aspetti formali e tecnici di questi apparecchi ho pensato di spostare l’attenzione verso quello che fanno, cioè rendere l’acqua potabile. Molto spesso i cartelli che segnalano la possibiltà di bere da una fonte ritraggono un rubinetto da cui scorre dell’acqua. Ho adattato e reinterpretato così questa specifica situazione allo stile grafico del progetto.

parole CHiaVeAcqua, rubinetto, filtri, purificare, cristal-lino, scorrere, fluire.

155

pertinenze

oggetto della rappresentazione

pertinenze formali

pertinenze strutturali

pertinenze situazionali

pertinenze operazionali

156

Versioni studio

sCHema di Costruzione

157

pittogramma finale

158

idraulica

pompe idrovore

L’idrovora è un tipo di pompa usata per assorbire ed asportare grandi masse d’acqua, in particolare per opere di bonifica o in casi di alluvione. La protezione civile ne possiede svariate, di potenze diverse e divise tra alimentazione diesel e elettriche. Ognuna di queste possiede una doppia mandata, una di entrata che aspira l’acqua e una di uscita che espelle l’acqua. A queste vanno collegate delle tubazioni per permettere un migliore incanalamento dell’acqua.La forma di questi apparecchi è abbastanza anonima e una rappresentazione semplificata dell’oggetto non avrebbe permesso un facile riconoscimento. Mantenendo una struttura che comunque mostrasse le due mandate per rendere più semplice la comprensione ho deciso di utilizzare gli elementi che descrivono il suo funzionamento interno e quindi rappresentare la turbina che permette il pompaggio dell’acqua.

parole CHiaVePassaggio acqua, doppia mandata, turbina, potenza, tubi, motore diesel, motore elettrico, immersione.

159

pertinenze

oggetto della rappresentazione

pertinenze formali

pertinenze strutturali

pertinenze situazionali

pertinenze operazionali

160

Versioni studio

sCHema di Costruzione

161

pittogramma finale

162

idraulica

tubazioni varie

Il magazzino dispone di una serie di tubature e collegamenti idraulici che vengono utilizzati nel momento in cui viene allestito un campo di accoglienza. Sono quelli che trasportano l’acqua potabile dalle cisterne ai rubinetti o quelle che permettono all’acqua usate dalle docce e dai sanitare di defluire verso il sistema fognario.Ho rappresentato così le due tipologie opposte di queste tubature, una flessibile, leggera, con una portata ridotta e l’altra rigida, di dimensioni decisamente maggiori che consente un grande trasporto di acqua.

parole CHiaVeTubi, plastica, irrigazione, trasporto, flessibile, gomma, cilindro.

163

pertinenze

oggetto della rappresentazione

pertinenze formali

pertinenze strutturali

pertinenze situazionali

pertinenze operazionali

164

Versioni studio

sCHema di Costruzione

165

pittogramma finale

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idraulica

serbatoi

I serbatoi sono grosse strutture solitamente in acciaio o leghe metalliche che consentono lo stoccaggio e il trasporto di acqua o altri liquidi. La Protezione Civile dispone di un nutrito gruppi di questi, con destinazioni d’uso e dimensioni diversi tra loro. La forma dei serbatoi solitamente è semplice e permette di riconoscerli facilimente. Il corpo è costituito da un grande cilindro con le estremità bombate verso l’esterno, il tutto saldato ad una base squadrata che ne permette il suo appoggio a terra. La sommità presenta spesso un apertura ad oblò per permettere di riempirlo o di controllare il contenuto e nei casi in cui le dimensioni del serbatoio siano ragguardevoli è presente una scala che permette di raggiungere la parte alta. È un oggetto ingombrante, di non semplice trasporto. Le pertinenze che ho ritenuto decisive per realizzare il pittogramma sono state quelle formali e strutturali, trovando nelle bombature, nella scala e nell’apertura in alto gli elementi essenziali al suo riconoscimento.

parole CHiaVeContenere, liquido, provvigione, riserva, forma, bombatura, cilindro, trasporto.

167

pertinenze

oggetto della rappresentazione

pertinenze formali

pertinenze strutturali

pertinenze situazionali

pertinenze operazionali

168

Versioni studio

sCHema di Costruzione

169

pittogramma finale

170

esondazione

Il reparto esondazione interviene in tutte quelle situazioni che riguardano possibili straripamenti di corsi d’acqua o lacustri che possono scatenare allagamenti e mettere in difficoltà la popolazione interessata.I macchinari presenti non sono numerosi, al contrario. Fanno parte di questa categoria due macchine insacchettatrici, il cui scopo è di riempire di sabbia i sacchi di juta. Questi verranno poi posizionati nei punti critici in cui l’acqua è straripata e così facendo si cerca di arginare o quantomeno deviare la sua corsa.Lo strumento mi è apparso subito complicato e difficile da semplificare ai fini di una rappresentazione chiara. Le numerose componenti meccaniche e la difficoltà di esprimere visivamente la sabbia mi hanno convinto del fatto che in questo caso le pertinenze formali, strutturali e operazionali non avevano senso di essere raccolte. Ho cercato quindi una rappresentazione alternativa che guardasse alle pertinenze situazionali, a quegli elementi essenziali che descrivono una scena di esondazione.Partendo anche in questo caso da alcune fotografie che mostrano le conseguenze

di alluvioni all’interno di contesti urbani e agresti ho ritenuto più pertinenti i seguenti elementi:• presenza di acqua;• presenza di un argine da cui l’acqua

sta uscendo o è già uscita;• presenza di un’unità abitativa e di

un arbusto in parte sommersi che contestualizzano la rappresentazione.

parole CHiaVeSabbia, acqua alta, argini, allagamento, fiume, sacchi juta..

171

pertinenze

oggetto della rappresentazione

pertinenze formali

pertinenze strutturali

pertinenze situazionali

pertinenze operazionali

172

Versioni studio

sCHema di Costruzione

173

pittogramma finale

174

disinquinamento

In caso si rovesci un mezzo trasportante benzina o altre sostanze altamente inquinanti per l’ambiente la Protezione Civile dispone di alcune attrezzature in grado di arginare la fuoriuscita di queste e di ripulire il terreno o un eventuale ambiente acquatico. Dispongono principalmente di alcune boe di contenimento realizzate con un materiale altamente spugnoso in grado di assorbire liquidi oleosi e di una polvere di colore azzurro abbastanza grossa capace anch’essa di assorbire idrocarburi e altre sostanze.Le boe spugnose una volta utilizzate vengono poi raccolte in appositi bidoni di plastica che vengono successivamente mandati alle aziende incaricate del loro smaltimento.E’ attrezzatura che a prima vista presenta una forma quasi troppo semplice perché si possa rappresentare efficacemente. Ho concentrato quindi l’attenzione sull’azione, sul lavoro che questa svolge, il disinquinare e tra tutte le parole chiave che ho ricercato quella del filtraggio mi è sembrata la più opportuna ed efficace a livello visivo. La goccia in alto rappresenta l’acqua inquinata che fatta passare attraverso un’

apposita apparecchiatura ne permette la sua ripulitura.

parole CHiaVeContenimento, smaltire, pulizia, pericolo, attrezzature speciali, idrocarburi, recupero, assorbire, filtrare, aspirare.

175

pertinenze

oggetto della rappresentazione

pertinenze formali

pertinenze strutturali

pertinenze situazionali

pertinenze operazionali

176

Versioni studio

sCHema di Costruzione

177

pittogramma finale

178

Con il termine elettricità il personale della Protezione Civile raggruppa tutte quelle tipologie di attrezzature che producono o distribuiscono corrente elettrica o che ne fanno uso per scopi di illuminazione.Abbiamo quindi un numero consistente di gruppi elettrogeni che vanno dalle unità più piccole in grado di produrre 3Kw a quelle decisamente più grandi ed ingombranti capaci di generarne 300.In questo caso il trovare o riconoscere uno di questi elementi come diceva lo stesso responsabile dell’unità logistica di Lavis non è un problema cruciale considerati gli ingombri e le dimensioni non indifferenti.Tutt’altro discorso vale chiaramente per il comparto della distribuzione e dell’illuminazione di cui parlerò a breve.Per quanto riguarda la costruzione visiva del termine ‘elettricità’ il rimando più immediato è stato quello dell’icona della scossa o del fulmine. E’ un’icona decisamente radicata nella cultura comune visto il largo utilizzo che ha avuto e che ha tuttora, dai libretti di istruzioni di qualsiasi strumento elettrico fino ai segnali di elevate tensioni di corrente. I diversi stili grafici usati per rappresentarla ci hanno mostrato la sua forma declinata secondo

proporzioni differenti ma la struttura di base rimane inconfondibile. Ho realizzato alcune alternative attraverso l’uso di elementi e forme non convenzionali per rappresentare il concetto di elettricità ma sono arrivato alla conclusione che sperimentare un nuovo linguaggio visivo in un contesto in cui l’obiettivo della riconoscibilità è determinante è un procedimento rischioso che può compromettere il lavoro.

parole CHiaVeFulmini, elettroni, luce elettrica, pericolo, corrente, luce, scossa.

elettricità

produzione

sottoCategorie

distribuzione

illuminazione

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pertinenze

oggetto della rappresentazione

pertinenze formali

pertinenze strutturali

pertinenze situazionali

pertinenze operazionali

180

Versioni studio

sCHema di Costruzione

181

pittogramma finale

182

elettricità

produzione

Il gruppo elettrogeno è una macchina costituita da un motore termico accoppiato ad un generatore elettrico (alternatore), in grado di produrre energia elettrica a partire da energia termica di combustione tramite opportuna conversione, passando attraverso una conversione intermedia in energia meccanica. I gruppi elettrogeni più comuni producono corrente alternata a bassa tensione, monofase o trifase, con tensioni di uscita generalmente di 220 Volt e 380 VoltLa Protezione civile ha in dotazione diversi, alcuni di potenza ridotta, altri in grado di sviluppare migliaia di kVA soddisfando il fabbisogno elettrico di un intero ospedale.Visti dall’esterno i generatori presenti in magazzino non presentano nessuna forma particolare che possa tradursi efficacemente in un pittogramma riconoscibile. Lo stesso vale per l’interno. Come per i potabilizzatori il livello di dettaglio delle parti meccaniche è troppo elevato. Ho così preso in considerazione i generatori di piccole dimensioni e di uso più comune. Possiedono molto spesso una struttura cilindrica, al cui interno ruota il motore, a cui è collegato l’albero di trasmissione, un elemento metallico

che esce da un’estremità. Per rendere più chiara la rappresentazione e più immediato il rimando alla produzione di corrente ho inserito al posto dell’albero un cavo collegato a una presa.

parole CHiaVeCorrente, voltaggio, generatore, mecca-nismo, motore, magneti, benzina.

183

pertinenze

oggetto della rappresentazione

pertinenze formali

pertinenze strutturali

pertinenze situazionali

pertinenze operazionali

184

Versioni studio

sCHema di Costruzione

185

pittogramma finale

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elettricità

distribuzione

Dai gruppi elettrogeni la corrente prodotta presenta un voltaggio molto elevato, e per la troppa potenza non è possibile collegare nessun dispositivo di uso comune. Al generatore va infatti collegato un quadro elettrico o un dispositivo in grado di abbassare il voltaggio alla potenza che tutti conosciamo di 220 V e distribuire la corrente verso diverse uscite permettendo l’uso di più apparecchiature contemporaneamente.Ho rappresentato quindi non un quadro elettrico classico ma l’idea che sta alla sua base costruttiva: da un unico punto di ingresso è possibile distribuire corrente a due o più punti distinti e indipendenti.

parole CHiaVeCorrente, distribuzione, uso multiplo,splittaggio, ciabatta, prolunga.

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pertinenze

oggetto della rappresentazione

pertinenze formali

pertinenze strutturali

pertinenze situazionali

pertinenze operazionali

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Versioni studio

sCHema di Costruzione

189

pittogramma finale

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elettricità

illuminazione

Questa categoria raccoglie molte fonti di illuminazione di diversa grandezza. Dalle lampade da tavolo a quelle a sospensione da inserire nelle tende fino ai grandi gruppi di lampade che permettono di illuminare grandi spazi all’aperto. Sempre per ottenere una maggiore facilità di riconoscimento ho deciso di rappresentare una comune lampadina, elemento facile da disegnare che la grande maggioranza delle persone ha già visto ed è in grado di riconoscere.

parole CHiaVeLampadina, luce, corrente, trasportabile, cavi, attacco, filamento, bulbo sferico.

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pertinenze

oggetto della rappresentazione

pertinenze formali

pertinenze strutturali

pertinenze situazionali

pertinenze operazionali

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Versioni studio

sCHema di Costruzione

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pittogramma finale

194

materiali e attrezzatura varia

Questa categoria contiene al suo interno una serie di attrezzature e strumenti abbastanza eterogenei tra loro, sia per la dimensione che per l’uso che devono svolgere. Sono presenti al suo interno nastri trasportatori, carriole, motoseghe, carotatrici, battipali e transenne. Rappresentano quindi strumenti di supporto e aiuto alle attività logistiche e di soccorso della protezione civile o delle organizzazioni convenzionate con questa.In un primo momento avevo deciso di scegliere due utensili molto comuni e sempre presenti in un qualsiasi luogo di lavoro che interagisca con macchinari e mezzi, il cacciavite e la chiave meccanica. Mi sono accorto però che questi sono anche gli strumenti più usati per rappresentare un’officina meccanica. Per evitare possibili confusioni ho deciso così di rimpiazzare il cacciavite con la motosega, strumento comunque facilmente riconoscibile e molto usato sopratutto in località montane.Dalla loro visualizzazione mentale sono passato a ricercare le pertinenze proprie di questi due oggetti. Per essere facilmente riconosciuti questi non possono prescindere dalla loro forma e dalla loro

struttura. Una chiave meccanica definita a forchetta ha entrambe le estremità a U che formano un’apertura ai lati paralleli. Queste possono avere la stessa dimensione e solitamente una è specchiata rispetto all’altra.La motosega invece ha una catena dentata che scorre su una guida rettangolare e circolare all’estremità, solitamente molto più lunga del comparto motore. È bastato guardare alle loro pertinenze formali e strutturali vista la solidità visiva che i due utensili esprimono.

parole CHiaVeOggetti più usati, chiave meccanica, gruppo, triade.

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pertinenze

oggetto della rappresentazione

pertinenze formali

pertinenze strutturali

pertinenze situazionali

pertinenze operazionali

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Versioni studio

sCHema di Costruzione

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pittogramma finale

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ConClusioni

L’emergenza come abbiamo visto è una situazione critica momentanea che genera tutta una serie di reazioni psicofisiche alle persone direttamente coinvolte. Si è visto che la comunicazione è un elemento cruciale che se ben utilizzata e coordinata è in grado di gestire correttamente la situazione fino al ritorno della normalità. E si è visto anche come questa se invece non viene usata in maniera coerente può portare all’aggravarsi della situazione e a scompensi nelle attività di coordinazione.Da questo primo studio che mi ha permesso di capire alcuni dei meccanismi psicologici e sociali legati alla comunicazione nell’emergenza e cosa la possa influire ho potuto elaborare questo sistema di pittogrammi per il magazzino della protezione civile. Lo scopo ultimo è permettere così a una persona che entra per la prima volta all’interno del magazzino di riuscire a trovare nel minor tempo possibile quello di cui ha bisogno. Il lavoro presentato in questo percorso di tesi non finisce oggi con la sua esposizione. Ci sono ancora alcuni aspetti di cui vorrei discutere brevemente che devono essere ancora affrontati e implementati di cui vorrei parlare brevemente.

201

Quella che io reputo essere una buona leggibilità e comprensione dei pittogrammi è in realtà una valutazione ottenuta da diverse fonti: dalle ricerche di percezione fisiologica e psicologica che ho svolto durante la progettazione, dalla mia esperienza di grafico, dai preziosi consigli che mi sono stati dispensati dal personale di protezione civile e dai commenti di amici, professionisti e non. Manca però una valutazione oggettiva, empirica, che avrei ottenuto mostrando i singoli pittogrammi a un campione di persone raggruppate in maniera eterogenea tra di loro per età, cultura e sesso. Un calcolo dei tempi di reazione per riconoscere il pittogramma in questione magari in situazioni di luce differenti mi avrebbe permesse di capire in maniera empirica se il disegno e lo stile con cui è stato realizzato permettono al campione di riconoscerlo.

Il lavoro di segnaletica inoltre prevede il trasferimento di questi pittogrammi su dei supporti fisici da collocare all’interno dello spazio. Ad oggi è stato possibile però fare solamente un ragionamento ipotetico riguardante le possibili dimensioni di questi. E prima di poter trovare una collocazione stabile all’interno della struttura occorre che venga redatto un piano di sicurezza per capire quali spazi potranno essere adibiti a quest’uso e in che

punti poterli collocare per non impedire il corretto svolgimento delle operazioni carico e scarico senza che questi compromettano l’incolumità delle persone che ci lavorano. Un altro punto importante riguarda la possibilità di aggiornamento del sistema. E’ probabile che negli anni alcune attrezzature e materiali vengano sistemati in aree diverse da quelle di origine. Elementi magnetici da fissare in maniera permanente a cui poter agganciare i pannelli potrebbero così permettere un rapido e veloce spostamento di questi qualora ci fosse la necessità di aggiornare la posizione dell’attrezzatura. L’assenza di un budget monetario quindi mi ha permesso di fare solamente una serie di ragionamenti ipotetici, le mie sono solo indicazioni che credo arricchirebbero quello che considero un buon progetto.Stesso discorso vale per il materiale su cui realizzare i diversi pannelli e che tecnica di stampa utilizzare. Non appena si avranno dei dettagli economici più precisi verranno effettuate le relative valutazioni.

202

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indiCe immagini

fig 1.3.1Il terremoto dell’Irpinia del 1980 fu un sisma che si verificò il 23 novembre 1980 e che colpì la Campania centrale e la Basilicata centro-settentrionale.Pagina 17

fig 1.3.2Un eruzione notturna dell’Etna. Il vulcano ha modificato incessantemente il paesaggio, minacciando spesso le diverse comunità umane che nei millenni si sono insediate intorno ad esso.Pagina 18

fig 1.3.3Una frana in Val Tellina. Le frane possono dare luogo a profonde trasformazioni della superficie terrestre, e a causa della loro alta pericolosità, in alcune aree abitate devono essere oggetto di attenti studi e monitoraggi.Pagina 19

fig 1.3.4La centrale nucleare di Černobyl’. Il nome divenne famoso in tutto il mondo dopo l’incidente del 26

Aprile 1986.Pagina 21

fig 1.4.1Una stazione di rilevamento meteorologica dell Protezione Civile. L’aggiornamento costante dei dati da più punti di rilevamento permette previsioni migliori. Pagina 25

fig 1.6.1Una scena del film ‘Lo squalo’ di Steven Spielberg. La presenza dell’animale in acqua scatena il panico tra la gente. Pagina 32

fig 3.2.1Avvenimenti ed emergenze mai affrontate prima possono portare a dover risolvere situazioni mai svolte prima dalle squadre di emergenza. Se queste collaborano dovranno decidere il da farsi sul momento.Pagina 66

fig 4.1.Vista aerea dell’impianto nucleare di Three Mile IslandPagina 54

fig 4.1.1Il presidente degli Stati Uniti, Jimmy Carter, lascia la centrale

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nucleare di Three Mile IslandPagina 73

fig 4.2.1Tecnici in azione nell’impianto di Fukushima.Pagina 82

fig 4.2.2Il momento dell’esplosione del secondo reattore.Pagina 85

fig 4.2.3Interviene anche l’esercito per prestare soccorso alle vittime.Pagina 88

fig 4.2.4L’impianto di Fukushima visto dall’altoPagina 90

fig 4.3.1Un’immagine satellitare mostra l’uragano in avvicinamento alle coste della Louisiana.Pagina 94

fig 4.3.2La città di New Orleans completamente sommersa dal’acqua.Pagina 95

fig 4.3.3Il Superdome accoglie le persone sfollatePagina 96

fig 5.2.1Un’illustrazione di Jean-Manuel DuvivierPagina 113

fig 5.4.1Le immagini usate per l’esperimento di riconoscibilità di Ryan e Schwartz.Pagina 122

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