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Tutto il materiale contenuto in questa sezione è dedicato ... · Tanto, tanto tempo fa il cielo, la terra e tutti gli abitanti non c'erano. Non c'era nulla di quello che noi vediamo:

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Tutto il materiale contenuto in questa sezione è dedicato ai bambini fino

ai 6 anni.

Ancora loro non sanno leggere e allora lo consegno a voi genitori che

siete i primi educatori dei vostri figli.

Ricordate? Il giorno del Battesimo dei vostri figli vi siete impegnati ad

educarli nella fede perché nell’osservanza dei comandamenti imparino ad

amare Dio e il prossimo come Gesù ci ha insegnato.

Forse, lo avevate dimenticato?

Gratuitamente vi consegno queste pagine che spero siano semplici e vi

aiutino a donare ai vostri bambini i primi insegnamenti.

La loro età è quella dei “perché”.

Molte volte è difficile trovare le parole semplici e rispondere a quei

perché.

Donate il vostro tempo a Gesù . Mettetelo al centro dei vostri pensieri e

delle vostre azioni.

Egli saprà donarvi la vera gioia e la pace. Con Lui nel cuore aiuterete i

vostri figli a crescere nell’amore e saprete rispondere a quei “perché”.

Diventate piccoli come loro.

Gesù ci insegna: "Se non diventerete come bambini non entrerete nel

Regno dei Cieli". (Mt 18,3).

I bambini sono puri di cuore, non hanno malizia, non giudicano, non

condannano.

3

Iniziate da questa tenera età ad insegnare loro l’amore di Dio e del

prossimo. Vivete nella carità e praticate la giustizia. Quando saranno

grandi, arricchiti da questi insegnamenti e sostenuti dalla grazia di Dio,

non si lasceranno fuorviare dalle cattive amicizie. Sarà il loro cuore, ricco

dell’amore di Dio, a distinguere le buone dalle cattive amicizie e voi

vivrete nella pace.

Insegnate loro col vostro buon esempio la preghiera, la sobrietà, la

tranquillità, la serenità ed un comportamento decoroso sempre.

Custodite con amore i vostri bambini, pregando sempre il Cielo tutto

affinché li allontani dal male.

La famiglia di Nazaret sia il vostro modello.

Buon lavoro!

Catanzaro 30 dicembre 2011

Rosa Angela Vallone

www.pensieridelcuore.it

4

In principio Dio creò il cielo e la terra.

Dio disse: «Facciamo l'uomo!» Ma non come le altre

creature; infatti aggiunse: «Facciamolo a nostra

immagine, a nostra somiglianza, ed egli domini sui

pesci del mare e sugli uccelli del cielo sulle bestie

che si muovono sulla terra».

5

La creazione del mondo.

Tanto, tanto tempo fa il cielo, la terra e tutti gli abitanti

non c'erano. Non c'era nulla di quello che noi vediamo: c'era

però Dio, e tutto quello che vediamo l’ha fatto lui. Le cose

andarono così. Dapprima Dio disse: «Ci sia la luce!» E la luce cominciò a sfolgorare.

Dio vide che la luce era cosa buona; allora separò la luce dalle tenebre, e chiamò la

luce giorno e le tenebre notte. E fu sera e poi mattina: e questo fu il primo giorno.

Poi Dio fece il firmamento sopra le acque, e fu come una grande volta trasparente e

tersa. Dio chiamò il firmamento cielo. E fu sera e poi mattina: secondo giorno. Dio

disse ancora: «Le acque che sono sotto il cielo si raccolgano tutte insieme, e appaia

l'asciutto». Così avvenne; Dio chiamò l'asciutto terra, e le acque mare, e vide che era

cosa buona. Aggiunse: «La terra produca germogli, erbe, fiori e alberi che diano

frutto, ciascuno secondo la sua specie». E così avvenne: sulla terra spuntarono

germogli e crebbero erbe e fiori e alberi da frutto, ciascuno secondo la sua specie.

Dio vide che tutto questo era cosa buona. E fu sera e poi mattina: terzo giorno. Dio

disse: «Ci siano luci nel firmamento del cielo, per distinguere il giorno dalla notte;

servano a segnare il passare dei giorni, delle stagioni e degli anni, e servano anche a

illuminare la terra». Così avvenne: Dio fece due luci più grandi, la maggiore per

illuminare il giorno e la minore per rischiarare la terra, insieme con tante luci

piccole; cioè creò il sole, la luna e le stelle, e li pose nel firmamento del cielo per

illuminare la terra, regolare il giorno e la notte e separare la luce dalle tenebre. Dio

vide che tutto questo era cosa buona. E fu sera e poi mattina: quarto giorno. Dio

disse: «Le acque del mare si popolino di esseri viventi, e al di sopra della terra, nel

cielo, volino tante specie di uccelli». E così avvenne: Dio creò tutti gli abitanti dei

mari, dalle grandi balene ai più minuscoli pesciolini, i coralli, le meduse e ogni altra

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creatura che vive nelle acque. Con esse creò anche tutte le creature con le ali,

ciascuna secondo la sua specie, e le mise a popolare il cielo. Dio vide che tutto

questo era cosa buona. E fu sera e poi mattina: quinto giorno. Mancavano ancora gli

abitanti della terra. Dio disse: «La terra si popoli di esseri viventi delle diverse specie:

animali buoni da mangiare, bestie selvatiche, rettili e ogni altra specie che si muova

sopra il suolo». Così avvenne: Dio creò le diverse specie di animali che vivono nelle

foreste e nei campi, nei deserti e tra i ghiacci: vide che era cosa buona. A questo

punto Dio aggiunse: «Facciamo l'uomo!» Ma non come le altre creature; infatti

aggiunse: «Facciamolo a nostra immagine, a nostra somiglianza, ed egli domini sui

pesci del mare e sugli uccelli del cielo e sulle bestie che si muovono sulla terra». E

Dio creò l'uomo a sua immagine e somiglianza, e lo creò distinto in maschio e

femmina. Dopo avere fatto ciò, li benedisse dicendo: «Date vita ad altri uomini e

popolate la terra; sottomettete a voi la terra e dominate sui pesci del mare e sugli

uccelli del cielo e su ogni essere vivente che popola la terra». Dio aggiunse: «Ecco, vi

do anche tutte le piante che crescono sulla terra e ogni albero da frutto, perché vi

servano da cibo. A tutti gli animali della terra e agli uccelli del cielo, io do come cibo

ogni erba verde». Così avvenne: dopo aver creato l'uomo a sua immagine lo pose nel

giardino dell’Eden, perché lo coltivasse e lo custodisse. Dio vide quello che aveva

fatto, ed ecco, era cosa molto buona. E fu sera e poi mattina: sesto giorno.

Così furono completati il cielo e la terra con tutti i loro abitanti. Allora Dio nel

settimo giorno cessò da ogni lavoro, lo benedisse e lo rese sacro.

Genesi 1,2

7

Eva guardò i frutti dell'albero proibito, e li trovò

desiderabili. Ne prese uno, ne mangiò una parte, poi

diede l'altra ad Adamo, il quale ne mangiò lui pure.

8

La disobbedienza di Adamo ed Eva

Adamo ed Eva vivevano felici nel giardino di Eden. Tutto là era bello da vedere, e senza dovere lavorare gli alberi davano ogni sorta di buoni frutti da mangiare. Il Signore Dio aveva dato tutto ad Adamo ed Eva, con una sola eccezione. Disse: «Potete mangiare tutti i frutti degli alberi del giardino. Ma in mezzo al giardino c'è un albero speciale, l'albero della conoscenza del bene e del male: dei suoi frutti non dovete mangiare, altrimenti morirete». Così aveva detto il Signore. Ora, il serpente era la più astuta di tutte le bestie selvatiche. Esso non voleva bene all'uomo e alla donna, anzi cercava la loro rovina, perché quel serpente in realtà era il demonio, il nemico degli uomini. Così un giorno, là nel giardino di Eden, il serpente si rivolse alla donna e le disse: «E’ vero che Dio vi ha proibito di mangiare i frutti degli alberi del giardino?» «No» rispose Eva. «Possiamo mangiare tutti i frutti, tranne quelli dell'albero della conoscenza del bene e del male. Dio ha detto che non lo dobbiamo neppure toccare, altrimenti moriremo!» «Non è vero che morireste» mentì il serpente. «Anzi, Dio vi ha proibito quei frutti perché sa che se ne mangiate diventerete come lui, perché conoscerete il bene e il male.» Allora Eva guardò i frutti dell'albero proibito, e li trovò desiderabili. Ne prese uno, ne mangiò una parte, poi diede l'altra ad Adamo, il quale ne mangiò lui pure. In quel momento si aprirono i loro occhi, si accorsero di essere nudi e subito intrecciarono foglie di fico per coprirsi. Adamo e Eva provarono una grande vergogna, e compresero allora il male che avevano commesso. Il Signore aveva dato loro tanti benefici, e loro in cambio gli avevano disobbedito. Adamo ed Eva, nel giardino di Eden, avevano disobbedito al Si-gnore Dio, mangiando i frutti dell’albero che egli aveva proibito di mangiare. Essi udirono, a un certo punto, il Signore Dio che passeggiava nel giardino; allora si nascosero in mezzo agli alberi. Il Signore chiamò l'uomo: «Dove sei?» e Adamo rispose: «Ho udito i tuoi passi e mi sono nascosto dalla paura, perché sono nudo». «Chi ti ha fatto sapere che eri nudo?» osservò il Signore: «tu hai mangiato i frutti che ti avevo comandato di non mangiare!» «Me ne ha dato da mangiare la donna che tu hai creato e mi hai posto accanto» disse l'uomo. «Che hai fatto?» chiese Dio ad Eva. «È stato il serpente a darne a me» rispose la donna; «egli mi ha ingannata e io ho mangiato!» Allora Dio pronunciò il castigo. Al serpente disse: «Tu dovrai per sempre strisciare sul ventre». E a Adamo e Eva disse: «Non potete più stare qui nel giardino. Andrete fuori e vi guadagnerete da mangiare con la fatica del lavoro». Pose poi un angelo dalla spada fiammeggiante a custodire l'ingresso del giardino.

Genesi 2-3

9

Caino era geloso di suo fratello Abele perché il

Signore gradiva i suoi doni, che egli offriva con

cuore sincero, e mostrava di non gradire quelli di

Caino stesso. La gelosia e l'ira di Caino crebbero al

punto che un giorno egli invitò Abele nei campi, e là

lo uccise.

10

La storia di Caino e Abele

Adamo e Eva ebbero due figli, di nome Caino e Abele, Caino faceva l’agricoltore e Abele il pastore. Un giorno i due fratelli offrirono un sacrificio a Dio: Caino gli offrì i migliori frutti dei campi, Abele il più bell’agnello del suo gregge. Abele presentò la sua offerta con cuore sincero: per questo il

Signore gradì il suo dono, e non gradì invece quello di Caino. Quest’ultimo si adirò molto e divenne geloso di suo fratello. Dio disse a Caino: «Perché sei irritato? Perché sei scuro in volto? Domina la tua gelosia». Caino era geloso di suo fratello Abele perché il Signore gradiva i suoi doni, che egli offriva con cuore sincero, e mostrava di non gradire quelli di Caino stesso. La gelosia e l'ira di Caino crebbero al punto che un giorno egli invitò Abele nei campi, e là lo uccise. Dio, che vede tutto, gli chiese: «Dov'è tuo fratello?» e Caino, aggiungendo anche la menzogna al suo delitto, rispose: «Che ne so io? Sono forse io il custode di mio fratello, così che debba sempre sapere dove si trova?» «La voce del sangue di tuo fratello grida verso di me» disse il Signore; «per questo tu dovrai fuggire di qui e andare ramingo per il resto della tua vita». Caino allora si impaurì. Temette che qualcuno, vedendolo fuggiasco, lo uccidesse. Ma il Signore non vuole la morte di nessuno, neppure di chi si comporta male come Caino. Per questo mise su di lui un segno di avvertimento, perché nessuno gli facesse del male. Così Caino si allontanò dal Signore, e andò ad abitare nella terra di Nod. Dopo che Caino ebbe ucciso Abele, il Signore concesse un altro figlio ad Adamo e Eva, e lo chiamarono Set.

Genesi 4

11

Trascorsi quaranta giorni, Noè aprì la finestra che

aveva fatto nell’arca e disse: «Voglio far uscire una

colomba, per sapere se da qualche parte vi è terra

asciutta».

12

Noè e l’arca

Tutti gli uomini che vivevano sulla terra erano cattivi, perché facevano quello che è male agli occhi del Signore. Tutti, tranne i componenti della famiglia di Noè. Dio si stancò di tanto male che vedeva commettere di continuo, e decise di eliminare tutti i cattivi. Per questo si presentò a Noè e gli disse: «Io manderò un diluvio, una grande alluvione che spazzerà via ogni vita sulla terra, tranne coloro che voglio salvare». E gli diede un ordine: «Costruisci un'arca, una grande nave. Deve essere a tre piani, col tetto e le finestre, lunga 150 metri, larga 25 e alta 15». Noè si mise al lavoro, insieme con i suoi tre figli Sem, Cam Iafet, mentre sua moglie e le mogli dei suoi figli raccoglievano cibo e vestiario per vivere dentro l'arca. I vicini di casa di Noè lo prendevano in giro, perché pensavano che fosse matto a costruire una nave in mezzo alla pianura, lontano dal mare. Ma Noè non si lasciava impressionare, e continuava il lavoro. Quando ebbe finito la costruzione, raccolse da tutta la regione due animali per ogni specie e li fece entrare nell'arca, dove infine si trasferì anche lui con tutta la sua famiglia. Seguendo il comando del Signore Noè aveva costruito l'arca e vi era entrato con la sua famiglia e con una coppia di animali per ogni specie. Dopo una settimana cominciò a piovere: piovve tanto ma tanto, per quaranta giorni, da provocare un'immensa alluvione che coprì tutto, case, alberi e montagne. Solo l'arca galleggiava sulle acque, proprio come il Signore aveva annunciato. Finalmente cominciarono a soffiare i venti, e l'acqua prese a calare. Apparvero le cime dei monti, e l'arca si posò sul monte Ararat. Trascorsi quaranta giorni, Noè aprì la finestra che aveva fatto nell’arca e disse: «Voglio far uscire una colomba, per sapere se da qualche parte vi è terra asciutta». Ma la colomba tornò nell'arca, poiché non trovò dove posarsi. Noè attese altri sette giorni, poi fece uscire di nuovo la colomba; ma anche quella volta essa tornò, tenendo però nel becco un ramoscello di olivo: segno che le acque si erano ritirate. Dopo altri sette giorni Noè lasciò andare di nuovo la colomba, che questa volta non tornò più. Passarono altre quattro settimane, e Dio ordinò a Noè: «Esci dall'arca tu e tua moglie, i tuoi figli e le loro mogli, e tutti gli animali d'ogni specie che hai con te: uccelli, rettili, bestiame domestico. Falli uscire dall’arca, perché si spandano sulla terra e si moltiplichino». Obbediente al Signore che aveva voluto salvare lui e la sua famiglia, Noè uscì dall'arca con tutte le persone e gli animali che essa conteneva, e subito innalzò un altare per offrire un sacrificio di ringraziamento al Signore. Il Signore Dio gradì il sacrificio di Noè; benedisse lui e i suoi figli e disse loro: «Ecco: la vita torna sulla terra, e tutto quello che si trova sulla terra io lo do a voi».

13

Quando Noè, salvato dal diluvio insieme con la sua famiglia e gli animali dell’arca, mise piede sulla terra asciutta, per prima cosa ringraziò il Signore che era stato così buono con lui. Allora il Signore gli disse: «Da oggi in poi, fino a quando durerà la terra, non vi sarà più un diluvio come questo; vi saranno sempre semina e mietitura, freddo e caldo, estate e inverno. Faccio questa promessa a te e ai tuoi discendenti, e come segno della promessa pongo tra le nubi l’arcobaleno».

Genesi 6-9

14

«Costruiamo una città» si dissero «con una torre

tanto alta che arrivi a toccare il cielo. Essa ci terrà

sempre uniti, e anche in futuro tutti si ricorderanno

di noi».

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La torre di Babele Dopo i giorni del diluvio, gli uomini erano tornati a moltiplicarsi sulla terra, ed erano come una grande famiglia; tutti parlavano la stessa lingua. Abitavano nella pianura di Sennaar, e si sentivano molto im-portanti. «Costruiamo una città» si dissero «con una torre tanto alta che arrivi a toccare il cielo. Essa ci terrà sempre uniti, e anche in futuro tutti si ricorderanno di noi». Com'erano orgogliosi della loro idea! Ma essi stavano dimenticando Dio; non si chiesero se il loro progetto era secondo la volontà del Signore: pensavano di poter fare a meno di lui. Per questo il Signore Dio intervenne. Quando la costruzione era già molto avanzata, egli cambiò il loro linguaggio, sicché tutti quegli uomini orgogliosi non riuscivano più a intendersi tra loro e dovettero interrompere il lavoro di costruzione della grande torre. Gli uomini che riuscivano a capirsi tra loro si unirono in gruppi: tutti si allontanarono dalla città e andarono ad abitare paesi diversi, disperdendosi su tutta la terra. La città che lasciarono interrotta, dove presero a parlare lingue diverse, fu chiamata Babele, nome che in effetti significa confusione.

Genesi 11

16

Dio disse ad Abramo: «Guarda il cielo e conta le

stelle, se riesci, ebbene, altrettanto numerosa sarà la

tua discendenza».

17

Abramo. Abramo era un uomo nato a Ur, una città della Mesopotamia; insieme con suo padre e tutta la famiglia si era trasferito a Carran, una città del nord, dove si guadagnava da vivere facendo il pastore e l'allevatore di bestiame. Abramo si trovava dunque a Carran, quando gli accadde una cosa straordinaria: il Signore Dio gli rivolse la sua parola. A quel tempo tutti gli uomini avevano dimenticato il Signore, e adoravano tante divinità diverse che si erano inventati e si tramandavano di padre in figlio. Ma Abramo riconobbe la voce dell'unico vero Dio, il Signore, quando egli rivolse a lui. Gli disse: «Parti di qui, dalla tua patria, dalla casa di tuo padre, e va' nel paese che io ti indicherò. Farò di te un grande popolo e ti benedirò; renderò grande il tuo nome e attraverso di te darò grandi benefici agli uomini di tutta la terra». Abramo si fidò della parola del Signore, e per quanto gli dispiacesse di lasciare Carran subito si mise in cammino verso sud, verso il paese di Canaan, portando con sé sua moglie Sara, suo nipote Lot, i servi e le greggi, con i pastori incaricati di condurle al pascolo.

Seguendo l’invito di Dio, Abramo giunse nella terra di Caanan, quella che poi si chiamò Palestina. Qui giunto, udì di nuovo la voce del Signore che gli promise: «Io darò questa terra ai tuoi discendenti!» Allora Abramo, in segno di ringraziamento e di fiducia, eresse sul posto un altare al Signore. Si mise poi a percorrere tutto il paese che era ormai divenuto la sua nuova patria. Da Sichem dove il Signore gli parlò, si spostò a Betel, dove innalzò un altro altare, e andò infine ad accamparsi nel Neghev.

Abramo aveva gran numero di bestiame, e altrettanto ne aveva suo nipote Lot. Poiché il paese dove abitavano non bastava per entrambi, decisero di dividersi. Lot andò ad accamparsi con le sue greggi e i suoi pastori presso Sodoma, mentre Abramo rimase in Canaan. Poco tempo dopo, nel corso di una guerra condotta da quattro re contro la regione di Sodoma, Lot con i suoi familiari e i servi fu fatto prigioniero e condotto via. Quando Abramo lo seppe, radunò tutti i suoi dipendenti e partì all'inseguimento dei quattro re. Li raggiunse, piombò sul loro accampamento di notte, li sconfisse e liberò Lot, recuperando anche le ricchezze di cui i quattro re avevano fatto bottino. Al ritorno incontrò Melchisedek, re di Salem e sacerdote del Dio altissimo, il quale lo benedisse. Il Signore Dio aveva promesso di dare la terra di Canaan ai discendenti di Abramo. Ma Abramo e sua moglie Sara erano già vecchi, e non avevano figli: dov'erano i discendenti? Abramo non capiva; ma Dio insisteva. «Guarda il cielo e conta le stelle, se riesci» gli disse una volta; «ebbene, altrettanto numerosa sarà la tua discendenza».

18

Abramo aveva piantato le sue tende alle querce di Mamre. Un giorno, nell'ora più calda, egli se ne stava seduto all'ingresso della sua tenda quando, alzando gli occhi, vide tre uomini davanti a sé. Subito, secondo le buone usanze dell'ospitalità, egli fece portare loro acqua per lavarsi i piedi; poi entrò nella tenda e disse a Sara di affrettarsi a preparare le focacce, corse al bestiame, scelse un vitello tenero e lo fece cucinare, e quando tutto fu pronto offrì da mangiare ai suoi tre misteriosi visitatori. Quando essi ebbero mangiato, annunciarono: «Torneremo tra un anno, e allora tu e Sara tua moglie avrete un figlio». Sara, che stava ad origliare da dentro la tenda, quando sentì quelle parole rise dentro di sé, pensando che ormai, vecchia com'era, risultava impossibile avere un bambino. Ma il Signore - perché quei tre visitatori altri non erano se non il Signore - disse ad Abramo: «Perché Sara ha riso? C'è forse qualcosa di impossibile per Dio?» E infatti tutto avvenne come il Signore aveva annunciato. Abramo e Sara, benché vecchi, ebbero un bambino, a cui fu posto nome Isacco, che significa “Dio ha sorriso”.

Gli abitanti di Sodoma e delle città vicine si comportavano molto male agli occhi del Signore: tutti, ad eccezione di Lot, il nipote di Abramo. Il Signore si stancò di tutto quel male, e manifestò al suo amico Abramo il proposito di distruggere quelle città. Ma Abramo osservò: «Forse a Sodoma ci sono cinquanta uomini onesti, che si comportano come piace a te: vuoi tu, Signore, farli morire insieme con i cattivi? Non sarebbe giusto». Rispose il Signore: «Se troverò a Sodoma cinquanta giusti, per riguardo a loro risparmierò tutta la città». «Forse i giusti non saranno proprio cinquanta... forse saranno solo quaranta» riprese Abramo. E il Signore: «Per amore di quei quaranta, non distruggerò la città». «Non arrabbiarti, Signore» disse ancora Abramo: «forse non saranno quaranta, ma trenta... venti... dieci!» E ad ogni cifra il Signore prometteva che, per riguardo a quei pochi, non avrebbe distrutto la città. Ma a Sodoma non si trovarono neppure dieci giusti; il Signore mandò i suoi angeli ad avvertire Lot di mettersi in salvo con la sua famiglia, e fece piovere fuoco dal cielo; Sodoma e le città vicine andarono distrutte.

Genesi 12-19

19

Un angelo di Dio fermò la mano di Isacco e gli disse: «Non

uccidere il ragazzo, non fargli alcun male! Ora Dio sa che tu

lo ami sopra ogni cosa, tanto che non gli hai rifiutato il tuo

unico figlio».

20

Il sacrificio di Isacco.

Un giorno Dio disse ad Abramo: «Offrimi in sacrificio il tuo unico fi-glio, Isacco». A quel tempo non era raro che gli uomini uccidessero i propri figli per rendere omaggio ai loro dèi: Abramo forse pensò che il Signore non era diverso dagli altri dèi. Ma si meravigliò ugualmente: Dio gli aveva promesso una numerosa discendenza, ed ora gli chiedeva di sacrificare il suo unico figlio. Egli era molto vecchio, altri figli non avrebbe potuto averne: come dunque si sarebbero realizzate le promesse annunciate dal Signore? Abramo non capiva: ma se quella era la volontà di Dio, bisognava obbedire. Una mattina caricò l'asino con della legna, e partì con Isacco che era ormai un ragazzo. Giunto al monte Moria, lasciato l'asino caricò la legna sulle spalle di Isacco e con lui salì il monte. Sulla cima preparò un altare, vi dispose la legna e sopra la legna mise il ragazzo; estrasse il coltello, e stava per vibrare il colpo quando un angelo di Dio gli fermò la mano e gli disse: «Non uccidere il ragazzo, non fargli alcun male! Ora Dio sa che tu lo ami sopra ogni cosa, tanto che non gli hai rifiutato il tuo unico figlio». Dio aveva messo Abramo alla prova.

Genesi 22

21

Il servo giunse ad Aram in Mesopotamia e con la carovana

si fermò presso un pozzo. Venne ad attingere acqua una

ragazza molto bella. Il servo la pregò: « Per favore, dammi

da bere ».La giovane rispose: « Bevi pure, mio signore; dopo

darò da bere anche ai tuoi cammelli ». Era la risposta che il

servo attendeva. E saputo che era Rebecca, la nipote di

Abramo, andò dal padre e la chiese in sposa per Isacco.

22

Rebecca

Isacco si era fatto un bel giovane e Abramo pensò che era ora

di trovargli una sposa. Chiamò il più anziano dei suoi servi e gli

disse: « Prometti a me e a Dio di non prendere per Isacco una

moglie tra le figlie di questi cananei che non conoscono il

Signore ma di prendergliela ad Aram tra i miei parenti. Se la ragazza non verrà qui,

tu non condurrai mio figlio ad Aram perché Dio lo farà padrone di questo paese ».

Il servo giurò che avrebbe fatto tutto questo e parti con i servi, cammelli e doni

preziosi. Per via pregava il Signore: «Signore, non so come riconoscere la fanciulla

che hai destinato ad Isacco. Fa' che sia colei alla quale chiederò da bere e che me ne

darà e ne darà anche ai cammelli»

Il servo giunse ad Aram in Mesopotamia e con la carovana si fermò presso un pozzo.

Venne ad attingere acqua una ragazza molto bella. Il servo la pregò: « Per favore,

dammi da bere ».

La giovane rispose: « Bevi pure, mio signore; dopo darò da bere anche ai tuoi

cammelli ».

Era la risposta che il servo attendeva. E saputo che era Rebecca, la nipote di

Abramo, andò dal padre e la chiese in sposa per Isacco. Betuel acconsentì e Rebecca

partì per il Canaan.

La carovana era ormai giunta nella terra di Canaan. Circondata dalle sue ancelle, la

giovane Rebecca guardava la terra che ora diveniva la sua patria. Verso sera, alzando

gli occhi vide un giovane venire verso la carovana. Quando seppe che era Isacco, il

suo promesso sposo, Rebecca scese dal cammello e si coprì il volto con un velo: lo

sposo doveva vedere il suo viso soltanto il giorno delle nozze. Isacco e Rebecca

celebrarono le nozze, e qualche anno dopo ebbero due figli gemelli, Esaù e

Giacobbe.

Genesi 24

23

E Giacobbe gli diede la minestra di lenticchie.

Giacobbe divenne l’erede delle grandi promesse che Dio

aveva fatto ad Abramo.

24

Esaù e Giacobbe

Rebecca ottenne da Dio due gemelli: Esaù e Giacobbe. Crescevano molto diversi l’uno dall’altro: Esaù amava la caccia; Giacobbe il gregge. Un giorno Esaù rientrò affamato dalla caccia e vide in mano al fratello un piatto di lenticchie. Gli disse: « Su, dammi un po’ di quella minestra; io sto morendo di fame!».

« Se mi vendi i tuoi diritti di primo figlio » - gli rispose Giacobbe.

« A che mi servono quei diritti se ora muoio di fame? ». « Giuramelo! » - gli rispose Giacobbe. « Lo giuro! » - rispose Esaù. E Giacobbe gli diede la minestra di lenticchie. Giacobbe divenne l’erede delle grandi promesse che Dio aveva fatto ad Abramo. Un giorno Isacco mandò Esaù a caccia, dicendogli: « Preparami con la selvaggina un piatto di mio gusto. Io mangerò e ti darò la mia benedizione». Rebecca aveva origliato. Si fece portare da Giacobbe due capretti e li cucinò secondo il gusto di Isacco. Poi fece indossare a Giacobbe le vesti di Esaù, gli ricoprì braccia e collo di pelli di capretto, gli mise in mano il piatto e lo mandò dal padre. Isacco mangiò con piacere e si sentì contento. Credendo che Giacobbe fosse Esaù, lo benedì: « Dio benedica le tue terre e il tuo bestiame. I popoli ti servano. Sii il signore dei tuoi fratelli » Quando giunse Esaù, Isacco comprese l’inganno. Ma disse: « L’ho benedetto; benedetto resterà! ».

Genesi 25-27

25

E avvenne che nella notte un personaggio misterioso lottò

con lui fino all’alba, ma Giacobbe gli resistette. Quell’uomo

gli disse: « Hai vinto! Per questo ti chiamerai Israele! ».

E lo benedisse. Giacobbe – Israele disse: « Ho visto Dio! ».

26

Giacobbe Siccome Esaù perseguitava Giacobbe, Rebecca gli suggerì di andarsene ad Aram dallo zio Labano. Giacobbe partì, ma fermatosi a Betel per riposare, sognò una scalinata tanto alta che toccava il cielo, e una lunga processione che saliva e scendeva. E vide il Signore che gli diceva: « Io sono il Signore di Abramo e di Isacco. La terra sulla quale riposi, io la darò a te. Per te benedirò tutte le famiglie della terra. Io sarò con te, e ti farò ritornare in questo paese ». Al risveglio, Giacobbe rizzò la pietra sulla quale aveva posato il capo e la consacrò versandovi l’olio. E disse: « Se ritornerò come Dio mi promette il Signore di mio padre sarà anche il mio Dio». Labano gli fece grande festa e lo tenne con sé. Giacobbe promise di lavorare per lui sette anni purché gli desse in moglie Rachele che egli amava. Labano accettò, Giacobbe lavorò sodo, e il tempo gli passò veloce come un lampo. Venne il giorno delle nozze. Ma quando Giacobbe sollevò il velo della sposa, scoprì che aveva sposato Lia, l’altra cugina. Labano l’aveva ingannato! Ma ad Aram non si usava maritare prima la figlia più giovane. Giacobbe promise di servire lo zio per altri sette anni, e Labano li diede in moglie anche Rachele. Poi volle ricompensarlo con pecore e bestiame. E Giacobbe fu ricco di beni e di figli. Poi il Signore disse a Giacobbe: « Io sono il Dio che ti ha parlato in Betel. Alzati! Torna nella terra da cui si venuto ». Giacobbe caricò sui cammelli il figli e le mogli e andò al fiume Iabbok; da lì inviò dei doni a Esaù in segno di amicizia. E avvenne che nella notte un personaggio misterioso lottò con lui fino all’alba, ma Giacobbe gli resistette. Quell’uomo gli disse: « Hai vinto! Per questo ti chiamerai Israele! ». E lo benedisse. Giacobbe – Israele disse: « Ho visto Dio! ». Intanto Esaù stava arrivando con i suoi soldati. Giacobbe – Israele ebbe paura, ma Esaù corse ad abbracciarlo e piangendo di gioia, fecero pace. Giacobbe andò a Sichem e vi comprò un pezzo di terra.

Genesi 28 - 33

27

Ruben, Simeone, Levi, Giuda, Dan, Neftali, Gad, Asser,

Issacar e Zabulon si presentarono davanti a Giuseppe - il

Vicerè d’Egitto ; si prostrarono davanti a lui con la faccia a

terra. Giuseppe li riconobbe, e, vedendoli prostrati, ricordò

i sogni avuti in gioventù.

28

Giuseppe e i suoi fratelli Giacobbe amava in modo particolare Giuseppe, e gli aveva regalato una tunica con lunghe maniche. I fratelli lo odiavano per questo e per i suoi sogni. Un giorno aveva narrato questo sogno: «Noi legavamo i covoni del grano appena mietuto. All’improvviso, il mio covone si rizzò e i vostri vennero a prostrarsi davanti ad esso ». Un altro volta raccontò di aver sognato che il sole, la luna e undici stelle si erano posti in adorazione davanti a lui. Giacobbe cercava di capire quei sogni, ma i fratelli, invidiosi, dicevano: « Chissà chi crede di essere! Vuole forse, che noi e i nostri genitori ci inchiniamo a lui? ». Una volta Giacobbe mandò Giuseppe a vedere se i figli, che stavano col gregge in Sichem, stessero bene. Quando essi lo videro giungere in Dortan, dissero: «Ecco, arriva il sognatore! Facciamolo fuori! Vedremo a che servono i suoi sogni! ». Ma Ruben, il loro fratello maggiore, si oppose e disse: «Non uccidiamolo, ma gettiamolo in una cisterna ». Quando Giuseppe giunse, lo spogliarono e lo gettarono in una cisterna vuota. Vedendo passare una carovana, Giuda disse: «Su, vendiamolo a quei mercanti Ismaeliti, e non macchiamoci del sangue di nostro fratello ». Gli Ismaeliti pagarono Giuseppe 20 sicli d’argento e se lo portarono in Egitto. Ruben si sentiva responsabile del fratello. « Ecco – diceva – che dirò a nostro padre? ». I fratelli sporcarono la tunica di sangue e la mandarono al padre con questo messaggio: « L’abbiamo trovata da queste parti. Osservala bene. È forse la tunica di tuo figlio? ». Giacobbe la riconobbe, e piangendo ripeteva: « È la tunica di mio figlio! È proprio la sua. Una bestia feroce l’ha divorato … ». E con la perdita del figlio, nel cuore di Giacobbe si rifece vivo anche il dolore per la morte di Rachele. Di lei, ora gli restava il piccolo Beniamino, nato pochi istanti prima della morte di Rachele. E Giacobbe pianse, né alcuno poté consolarlo.

Potifar, un ricco ufficiale del Faraone, comprò Giuseppe e gli affidò tutte le sue ricchezze. Giuseppe era molto bello. La moglie di Potifar si innamorò di lui e cercava di fargli commettere una cattiva azione. Ma il giovane le disse: « Voglio essere degno della fiducia del mio signore, e non voglio peccare contro il mio Dio ». La donna però, lo accusò lo stesso a suo marito. Potifar imprigionò Giuseppe, che ebbe come compagni il capo-coppiere e il panettiere del re d’ Egitto. Essi fecero dei sogni e Giuseppe li interpretò annunciando che uno avrebbe riavuto il suo posto, mentre l’altro sarebbe stato impiccato. Il coppiere, infatti, riprese il suo servizio. Egli

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si ricordò di Giuseppe quando seppe che nessuno riusciva a interpretare il sogni del Faraone. Andò e parlò al faraone dell’ebreo incontrato in carcere. Il faraone fece venire Giuseppe e gli narrò i suoi sogni: « Ero sulle rive del Nilo, vidi salire dal fiume sette vacche grasse e subito sette vacche magre. Le vacche magre divorarono quelle grasse. Lo stesso avvenne di sette spighe piene: vennero inghiottite da sette spighe vuote ». Giuseppe disse: « Dio ti ha mostrato ciò che avverrà: ci saranno sette anni di abbondanza e subito dopo sette anni di carestia. Il faraone trovi un uomo saggio che organizzi la raccolta e amministri la distribuzione dei viveri ». «Bene,- disse il faraone,- in te è lo spirito di Dio; tu organizzerai ciò che sarà necessario ». Il Faraone promosse Giuseppe Vicerè di Egitto: gli diede il suo anello e la sua collana d’oro, lo rivesti di abiti regali e lo presentò al popolo. La gente di Egitto si inchinava davanti a lui come davanti al Faraone e gli obbediva. In quegli anni la terra diede grano in abbondanza, e Giuseppe raccolse nei depositi grano e viveri in tanta quantità che non si poteva contare. Ma gli anni dell’abbondanza finirono e in tutto l’Egitto si cominciò a sentire la fame. Allora il Faraone disse agli Egiziani: «Andate da Giuseppe!». Ed egli aprì i granai del faraone. Anche nei paesi confinanti con l’Egitto non pioveva, e la carestia si faceva sentire. Giacobbe che era nel Canaan con tutta la famiglia, cominciava a provare il comune disagio. Allora disse ai figli: « Non state lì a morire di fame. In Egitto c’è grano. Muovetevi, scendete laggiù, e comprate viveri perché in nostri bambini possano vivere ». Allora Ruben, Simeone, Levi, Giuda, Dan, Neftali, Gad, Asser, Issacar e Zabulon presero ognuno il proprio denaro e scesero in Egitto. A casa restò solo Beniamino, perché Giacobbe si rifiutava di mandarlo con i fratelli. Diceva: « Come potrei vivere se gli accadesse una disgrazia? ».

Gli altri andarono e si presentarono al Vicerè; si prostrarono davanti a lui con la faccia a terra. Giuseppe li riconobbe, e, vedendoli prostrati, ricordò i sogni avuti in gioventù. Egli però non si fece riconoscere e si comportò come un estraneo. Anzi, li trattò con durezza, accusandoli di essere spie di un paese straniero. « No, signore – dissero – noi siamo sinceri. Veniamo da Canaan a comprare dei viveri. Siamo dodici fratelli: uno non c’è più, il più giovane invece, è a casa con nostro padre ». « Vi crederò quando uno di voi sarà andato a prender il vostro fratello più giovane e lo avrà condotto qui ». Disse Ruben: « Stiamo pagando il nostro peccato ». Ripartirono per Ebron lasciando Simeone in carcere. Ma quando furono giunti ad una locanda, uno dei fratelli aprì il sacco ed esclamò: « Mi hanno restituito il denaro. Eccolo qui!». « C’è anche il nostro! » dissero gli altri spaventati.

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Giunti a casa raccontarono tutto al padre: « Quell’uomo, che è il signore del paese, ci ha creduto spie e ci ha trattato duramente. Ha trattenuto in carcere il nostro fratello Simeone; ce lo renderà solo se gli condurremo Beniamino ».

Giacobbe, oppresso dalla tristezza, disse loro: «I miei figli Giuseppe e Simeone non ci sono più. Adesso volete portami via anche Beniamino. No, questo figlio non verrà con voi ». I sacchi si vuotavano. Era la fame! E Giacobbe disse: « Su, tornate in Egitto e comprate dei viveri ». «Padre, lo sai: non possiamo presentarci al Vicerè senza nostro fratello Beniamino ». « È così – diceva un altro – abbiamo dovuto dirgli di Beniamino perché quel signore ci domandò: è ancora vivo vostro padre? Avete altri fratelli? ». Giuda confortò il vecchio padre dicendo: «Su, lascia venire Beniamino. Ne chiederai conto a me. Se ci fossimo mossi subito, saremmo ritornati ». Giacobbe si rassegnò e disse: « Andate! E portate a quel signore balsamo, laudano, miele; e restituitegli il denaro trovato nei sacchi. Prendete Beniamino e io sarò senza i miei figli …». Essi andarono e si presentarono a Giuseppe, il quale vedendo tra loro Beniamino, figlio di sua madre, li affidò al maggiordomo che li condusse in casa. Là abbracciarono Simeone, si rinfrescarono … All’ora di pranzo, venne Giuseppe, e, indicando Beniamino, domandò: « È questo è il fratello di cui mi parlaste?... Dio ti benedica, figlio mio! ». e , commosso, uscì. Pianse a lungo, e quando ritornò dai fratelli, li fece prendere posto secondo l’ordine di età a una tavola preparata davanti alla sua. Il pranzo fu loro servito dalla mensa del Vicerè, e a Beniamino furono date porzioni abbondantissime. Pareva fosse ritornato il sereno e bevvero allegri. La mattina dopo partirono, e Beniamino era con loro. Pregustavano la gioia di riconsegnare al loro padre il figlio prediletto quando furono raggiunti dal maggiordomo, che li investì con queste parole: «Avete reso male per bene. Vi siete impossessati di ciò che il mio signore usa per vedere nel futuro. Vi siete comportati male ». I fratelli si scusarono: « Non abbiamo rubato né oro e né argento. Colui che avrà ciò che cerchi sa messo a morte, e noi diventeremo schiavi del tuo signore ». Scaricarono i sacchi e li aprirono. L’Egiziano vi frugò dentro e trovò nell’ultimo sacco, quello di Beniamino, la coppa preziosa che cercava. Ritornati da Giuseppe, Giuda si fece avanti e disse: « Non c’è nulla che testimoni la nostra innocenza. Eccoci: noi saremo tutti tuoi schiavi! ». «No – disse Giuseppe –Io temo Dio!Solo colui che aveva la coppa sarà mio schiavo». « Mio signore, io sono garante di mio fratello! Resterò io! Non posso ritornare a casa senza di lui. Vedrei mio padre morire di dolore ». Giuseppe comprese che ora si volevano davvero bene. Fece uscire tutti gli Egiziani, e piangendo esclamò: « Io sono Giuseppe! Vive ancora mio padre? Venite vicino a me.

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Non temete perché mi vendeste, Dio mi ha mandato qui per assicurarvi da vivere. Ritornate da mio padre. E portatelo in Egitto ». Giuseppe si gettò al collo di Beniamino e pianse di intensa commozione. Beniamino guardava quel fratello che Dio aveva fatto così potente, e sorrideva. Giuseppe aveva perdonato i fratelli e li abbracciò con calore, dicendo: « Non siete stati voi a mandarmi qui, ma Dio. Egli ha voluto che fossi un padre per il Faraone, che mi ha fatto governatore di tutto l’Egitto ». Giuseppe dimostrava ai fratelli di aver scoperto il vero autore della sua storia, che era sì tragica, ma anche piena di meraviglie. I fratelli si sentirono sollevati dal loro peccato del quale si erano tante volte pentiti. Intanto anche il Faraone aveva saputo che erano arrivati i fratelli di Giuseppe. E gli disse: « Dì, ai tuoi fratelli che ritornino nel Canaan, prendano il loro padre e le loro famiglie, e vengano da me. Avranno le migliori terre. Assegna loro dei carri per il trasporto delle persone e di quello che posseggono ». Giuseppe eseguì tutto, come il Faraone gli aveva ordinato, perché gli era sembrata un’offerta sincera. Diede a ciascuno fratello un cambio di vestiti, ma a Beniamino ne diede cinque. E li congedò. Ma siccome conosceva come erano fatti, mentre partivano, li ammonì con bontà: « E durante il viaggio non litigate tra voi! ». Giunti da Giacobbe, i figli, tutti insieme, dissero: « Giuseppe è ancora vivo! È lui il Viceré d’ Egitto! ». Giacobbe si smarrì: come ciò poteva essere vero? «Sì, è vero, egli è vivo e vuole che andiamo laggiù. Guarda! Qui ci sono i suoi doni e là i suoi carri, che ci trasporteranno nella terra di Gosen ». Allora lo spirito di nomade si risvegliò in Giacobbe, e pieno di gioia esclamò: « Giuseppe è vivo! Questo è ciò che conta. Partiamo! Che io lo veda prima di morire!». E la lunga carovana si avviò verso l’Egitto. A Bersabea, Giacobbe si fermò e sacrificò a Dio, che gli disse: « Non temere. Io scendo con te. Diverrai un grande popolo, e io ti farò ritornare ». Giuda arrivò per prima da Giuseppe per avvisarlo che la carovana stava arrivando. Giuseppe fece attaccare il suo splendido cocchio e salì sulle alture di Gosen incontro al padre. Appena lo vide innanzi, lo abbracciò e pianse per lungo tempo, stretto a lui. Finalmente Giacobbe riuscì a dire: « Ora posso morire, perché ti ho visto; perché tu, figlio mio, sei ancora vivo! ». Tutti si strinsero attorno a Giuseppe, felici di vederlo vivo e di saperlo potente. La famiglia di Giuseppe si era ricomposta, ed era sicura del suo avvenire in quella terra perché il Signore era sceso con loro in Egitto. Giacobbe, sentendosi morire, chiamò Giuseppe e gli fece giurare che lo avrebbe seppellito nella grotta di Macpela, dove c’era già Isacco.

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Diede una benedizione speciale ai figli di lui: Efraim e Manasse, e a ciascuno dei suoi figli. Quando vide davanti a sé il figlio di Giuda, disse: « Te Giuda, loderanno i tuoi fratelli. Tu sei come un giovane leone che nessuno può vincere, tu reggerai lo scettro del comando della tua gente finché verrà Colui al quale tutti gli uomini devono obbedire ». Giacobbe morì molto vecchio e fu sepolto a Macpela. I suoi discendenti furono chiamati figli d’Israele e formarono le dodici tribù del popolo eletto.

Genesi 37-47

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La figlia del Faraone scese al fiume con le ancelle per fare il

bagno; vide il cestello, lo mandò a prendere e vi trovò il

bambino che piangeva. « È un figlio degli Ebrei» comprese,

e ne ebbe compassione

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Mosè (prima parte) Giuseppe e i suoi fratelli morirono. I loro figli e nipoti, gli Israeliti, vissero in Egitto. Divennero un popolo grande. Trascorse molto tempo. Un nuovo faraone regnava in Egitto. Egli non sapeva nulla di quanto Giuseppe era riuscito a fare a favore degli Egiziani nel periodo della grande carestia. Temeva gli Israeliti e disse: «Essi sono forti. Presto saranno più forti di noi Egiziani. Ma io lo impedirò ». Dapprima questo faraone costrinse gli Israeliti ai lavori forzati. Dovevano costruire delle città. Poi comandò che tutti i neonati dei figli degli Israeliti venissero annegati nel Nilo. Qualche tempo dopo quest'ordine crudele, in una famiglia nacque un bimbo maschio, e i suoi genitori cercarono in ogni modo di salvargli la vita; per questo lo tennero nascosto per tre mesi. Quando non poté più tenerlo nascosto, la madre prese un cestello di papiro, lo spalmò di bitume e di pece per impedire all'acqua di penetrarvi, vi mise dentro il bambino e lo depose tra i giunchi sulla riva del fiume Nilo. La sorella del bambino, che era già grandicella, si fermò a distanza per vedere che cosa sarebbe accaduto. Poco dopo la figlia del Faraone scese al fiume con le ancelle per fare il bagno; vide il cestello, lo mandò a prendere e vi trovò il bambino che piangeva. «È un figlio degli Ebrei» comprese, e ne ebbe compassione. La sorella del bimbo si avvicinò e le disse: «Vuoi che vada a chiamare una balia ebrea, perché si prenda cura del bambino al posto tuo?» La figlia del Faraone acconsentì: così la sorella andò a chiamare la madre, e la principessa le affidò il bimbo da allevare. Fu così che il bambino fu allevato senza pericolo dalla sua stessa madre. Quando fu cresciuto, ella lo condusse alla principessa, la quale lo adottò come figlio e gli mise nome Mosè, che significa "salvato dalle acque". Mosè rimase alla corte del Faraone, dove poté studiare e diventare un uomo molto importante e rispettato: il Signore Dio lo preparava così a svolgere i grandi compiti che intendeva affidargli. Gli Ebrei, il popolo d'Israele, si lamentavano fortemente della loro condizione di schiavi in Egitto. Mosè era molto addolorato al vedere il suo popolo oppresso. Un giorno vide un egiziano che picchiava un ebreo; si guardò attorno, vide che non c'era nessuno, e allora uccise l'egiziano e nascose il suo corpo nella sabbia. Il giorno dopo vide due ebrei che litigavano tra loro; Mosè cercò di farli smettere, ma uno dei due gli disse: «Tu non sei nostro giudice. Vuoi forse uccidermi, come hai già ucciso l'egiziano?» Mosè ebbe paura perché pensò: «Il mio segreto è ormai noto a molti!» Anche il Faraone, infatti, venne a saperlo, e cercò di catturare Mosè per metterlo a morte. Allora Mosè si allontanò dall'Egitto e fuggì nel deserto. Fu così che Mosè capitò presso un pozzo, dove difese sette sorelle, che venivano ad abbeverare il loro gregge, dai soprusi di altri pastori. Riconoscenti, le sorelle lo condussero a casa del loro padre Ietro, che accolse con gratitudine Mosè e gli diede in sposa una delle sue

figlie. Mosè rimase dunque con letro, e si dedicò a pascolare il suo gregge. Esodo 1-2

35

Quando si fu avvicinato, sentì una voce provenire dalle

fiamme: «Mosè, Mosè!» «Eccomi!» rispose Mosè.

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Mosè (seconda parte)

Mentre Mosè stava pascolando il gregge di Ietro, suo suocero, sacerdote di Madian, condusse il bestiame oltre il deserto e arrivò al monte di Dio, l’Oreb. L’angelo del Signore gli apparve in una fiamma di fuoco dal mezzo di un roveto. Egli guardò ed ecco: il roveto ardeva per il fuoco, ma quel roveto non si consumava. Mosè pensò: «Voglio avvicinarmi a osservare questo grande spettacolo: perché il roveto non brucia?». Il Signore vide che si era avvicinato per guardare; Dio gridò a lui dal roveto: «Mosè, Mosè!». Rispose: «Eccomi!». Riprese: «Non avvicinarti oltre! Togliti i sandali dai piedi, perché il luogo sul quale tu stai è suolo santo!». E disse: «Io sono il Signore Dio di Abramo, Dio di Isacco, Dio di Giacobbe. Ho visto le

sventure del mio popolo schiavo in Egitto e ho scelto te per liberarlo. Ti recherai dal

Faraone a dirgli di liberare il mio popolo e lasciarlo partire». Mosè si copri il volto,

perché aveva paura di guardare verso Dio; poi disse: « Chi sono io per andare dal

faraone e far uscire gli Israeliti dall’Egitto? » Rispose: «Io sarò con te. Questo sarà

per te il segno che io ti ho mandato: quando tu avrai fatto uscire il popolo

dall’Egitto, servirete Dio su questo monte ». Mosè disse a Dio: « Che cosa dirò ai figli

di Israele che mi domanderanno il tuo nome? ». E Dio rispose: «Io sono Colui che

sono. Questo è il mio nome. Agli anziani di Israele dirai: Io sono mi manda a liberarvi

e a portarvi a Canaan. Poi vi presenterete al faraone e gli chiederete che Israele

possa andare nel deserto a sacrificare al suo Dio». Egli si opporrà ed io lo punirò.

Allora potrete andare ».

Era una promessa meravigliosa! Ma il popolo avrebbe creduto alla parola di Mosè?

Dio allora trasformò in serpente il bastone d Mosè e lo fece ritornare bastone nella

sua mano; e gli ordinò di rifare quel segno davanti al popolo. Mosè temeva di non

riuscire a dire bene al faraone quello che il Signore voleva da lui. Allora Dio gli indicò

un buon parlatore; era il fratello Aronne. Dio disse, infatti: « Aronne, tuo fratello, sta

venendo incontro a te. Egli parlerà per te; sarà la tua bocca. E tu terrai in mano il

bastone per compiere prodigi ». Dopo questa promessa, Mosè si fece coraggio;

prese la moglie e i figli e partì per l’Egitto. Sippora, però, non se la sentì di

continuare il viaggio e con i bambini ritornò dal vecchio padre. Mosè proseguì fino

all’Oreb, dove incontrò Aronne. Da quel momento, avrebbero lavorato uniti, perché

Dio compisse la liberazione del suo popolo.

Esodo 3 e 4

37

Dio ordinò ad Aronne di stendere la mano sul Nilo:

saltarono fuori tante e tante rane che tutto l’Egitto ne fu

ricoperto. Invadevano i cortili dove i bambini giocavano ,

entravano nelle case, si infilavano sotto le coperte, si

mescolavano al pane nei forni e nelle madie …

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Mosè (terza parte) Mosè e Aronne radunarono i capi d’Israele, e Aronne riferì la promessa del Signore di liberarli dalla schiavitù d’Egitto. Mosè compì davanti a loro le cose meravigliose che Dio gli aveva dato potere di fare; e i capi ringraziarono Dio che si era ricordato di loro. Poi Mosè e Aronne andarono a dire al Faraone: « Il Signore Dio ti ordina: Lascia partire Israele perché mi celebri una festa nel deserto ». Il faraone si adirò e disse: « Chi è questo Dio, perché io ascolti e lasci partire quella gente? ». Egli non volle obbedire al Signore, anzi, pretese che gli operai ebrei si cercassero la paglia e preparassero lo stesso numero di mattoni. Il popolo accusò Mosè di avergli aggravato il lavoro. Allora Mosè e Aronne ritornarono dal faraone per ripetergli il comando del Signore: « Lascia partire il mio popolo ». Ma il faraone restò fermo nel suo proposito. Allora Mosè distese la mano e gettò il bastone, ed esso diventò un serpente che divorò altri serpenti. Il faraone e la corte subirono la sfida ma non si arresero. Un’altra volta mentre il Faraone scendeva al Nilo, Aronne alzò il bastone, percosse le acque: le acque dell’Egitto divennero rosse come il sangue e tutti i pesci del fiume morirono. Il castigo pesò per sette giorni sull’Egitto, ma non piegò il faraone. Dio ordinò ad Aronne di stendere la mano sul Nilo: saltarono fuori tante e tante rane che tutto l’Egitto ne fu ricoperto. Invadevano i cortili dove i bambini giocavano , entravano nelle case, si infilavano sotto le coperte, si mescolavano al pane nei forni e nelle madie … Allora il faraone si rivolse a Mosè e promise di mandare libero Israele se avesse ottenuto la cessazione di quel flagello. Mosè domandò: « Per quando vuoi questo favore dal mio Dio? ». « Per domani! » - rispose il faraone. Mosè pregò, e Dio fece cessare quella sventura. « Ora ci lascerà andare! » - dicevano gli Ebrei. Il faraone, però, continuò a trattenere Israele. Avveniva, infatti, che appena sopraggiungeva il castigo il faraone prometteva di lasciare partire il popolo; ma quando per la preghiera di Mosè, il flagello cessava, il faraone non manteneva a promessa. Fu allora che Dio mandò la peste per tutto l’Egitto, e colpì il bestiame piccolo e grosso degli Egiziani. Il faraone mandò i ministri e vedere che ne era del bestiame degli Ebrei. Essi, molto meravigliati, ritornarono a riferirgli: « Il bestiame degli Ebrei è rimasto incolume, e se ne sta a pascolo o al lavoro ». Il faraone comprese che il castigo veniva dal Signore,ma non cedette neppure questa volta. Mosè ritornò dal faraone con questa parola del Signore: « Lascia uscire il mio popolo. Se rifiuterai farò piombare sul paese una nuvola di cavallette ».

39

Mosè lasciò la reggia e i ministri dissero al faraone: « Lasciali andare! Non vedi che l’Egitto va in rovina? ». Allora il faraone fece venire Mosè e Aronne e ordinò: «Andatevene! Però, partirete soltanto vuoi uomini ». Mosè si indignò e, giunto fuori dalla città, stese la mano: le cavallette vennero dall’est e mangiarono il tutto e non rimase una foglia verde. Chiamati in fretta Mosè e Aronne, il faraone disse: « Ho peccato contro Dio e contro di voi. Perdonatemi! E pregate il Signore che ci liberi di questa sventura ». Mosè pregò, e Dio volse il vento verso il Mar Rosso.

Esodo 5; 7-10

40

Al tramonto del giorno 14, tutte le famiglie immolarono

l’agnello e lo arrostirono al fuoco, e col sangue aspersero gli

stipiti delle porte; la notte, stando in piedi come se

dovessero partire, mangiarono l’agnello con pani azzimi ed

erbe amare.

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Mosè (quarta parte) Quei castighi non bastarono! E Dio colpì l’Egitto con la morte dei suoi primogeniti. Gli Ebrei, invece, avevano avuto da Dio l’ordine di celebrare la Pasqua. Già il giorno 10 del mese di Nisan si erano procurati un agnello, maschio e senza difetto; al tramonto del giorno 14, tutte le famiglie immolarono l’agnello e lo arrostirono al fuoco, e col sangue aspersero gli stipiti delle porte; la notte, stando in piedi come se dovessero partire, mangiarono l’agnello con pani azzimi ed erbe amare. Era la Pasqua del Signore! Egli stava passando e colpiva ogni primogenito d’Egitto; ma oltrepassava le porte degli Ebrei, segnate col sangue dell’agnello, e la morte non entrò. Nel mezzo della notte un grido di dolore si alzò dal’Egitto: erano morti tutti i primogeniti, dal figlio del faraone a quello schiavo. Allora il faraone fece venire Mosè e gli disse: « Andate, celebrate la festa al vostro Dio. E prendete pure il vostro bestiame piccolo e grosso ». E gli ebrei partirono da Ramses con carri e bestiame. Gli uomini portavano sulle spalle la pasta non ancora lievitata; le donne custodivano i doni preziosi degli Egiziani, e Mosè portava le ossa di Giuseppe. Quella fu una notte di veglia per il Signore; e Israele la rivivrà ogni anno , per sempre, per ricordare che il suo Dio è il solo Dio che salva. Dio camminava davanti al suo popolo, e manifestava la sua presenza nella colonna di nube che di giorno indicava la via e di notte rischiarava il cammino. Dio guidò Israele per la strada del deserto che conduceva al Mare dei Giunchi, o Mar Rosso. Arrivati a Sukkot, gli Ebrei si accamparono. Erano stanchi e affamati e anche tristi per tutto quello che avevano dovuto lasciare. Per sfamarsi, fecero cuocere la pasta in piccole forme di focacce non lievitate. La sosta fu breve: preceduti dalla colonna di fuoco, essi ripresero il cammino e raggiunsero Etam.

Esodo 11- 13

42

Allora Mosè alzò il bastone e stese la mano sul mare. Subito

si levò un forte vento di oriente; il mare si prosciugò e le

acque si diviserò. Ecco, il Signore aveva aperto una strada

nel mare per far passare il popolo che si era scelto.

43

Mosè (quinta parte) Gli Ebrei poi si diressero verso sud e, giunti davanti a Baal-Sefòn, si accamparono sulla riva del Mar Rosso. Ancora un poco e gli Ebrei sarebbero stati liberi. Ma il faraone si era già pentito e attaccato il cocchio, con i soldati e i carri di guerra si era messo ad inseguire i figli di Israele. Li raggiunse mentre erano accampati lungo il mare. Quando gli Ebrei videro dietro di loro gli Egiziani, pensarono di non aver più via di scampo. Allora invocarono il Signore e dissero a Mosè: « Perché ci hai fatto uscire dall’Egitto? Te lo dicevamo: lasciaci servire gli Egiziani! Erano meglio essere schiavi che morire nel deserto ». Mosè gridò forte perché tutto Israele lo udisse: « Non abbiate paura! Resistete! Oggi vedrete il Signore che verrà a liberarvi. Gli Egiziani ce sono laggiù, non li vedrete mai più. Il Signore combatterà per voi; restate calmi! ». In quel momento, la colonna di nube si mosse e andò a mettersi dietro Israele ed era luminosa, mentre dalla parte degli Egiziani era tenebrosa. Così questi non poterono avvicinarsi ad Israele. Allora Mosè alzò il bastone e stese la mano sul mare. Subito si levò un forte vento di oriente; il mare si prosciugò e le acque si diviserò. Ecco, il Signore aveva aperto una strada nel mare per far passare il popolo che si era scelto. Gli Ebrei avanzarono nell’asciutto in mezzo al mare, rischiarati dalla colonna di fuoco, mentre le acque, come una muraglia, stavano alla loro destra e alla loro sinistra. Dio combatteva per i figli di Israele; a gli Egiziani si ostinarono ad inseguirli, ed entrarono anch’essi nella strada aperta nel mare. Sul far dell’alba, l’acqua riprese a scorrere, impedendo ai carri degli Egiziani di avanzare. « Fuggiamo! – dissero – perché il Signore combatte per Israele contro di noi! ». Dio allora ordinò a Mosè: « Stendi la mano sul mare! ». E le acque ritornarono sul guado e sommersero i carri e i cavalieri. Non se ne salvò neppure uno. Gli Israeliti raggiunsero esultanti l’alta sponda. La gioia di essere stati salvati era così grande che improvvisarono un bellissimo canto al Signore. Maria, sorella di Mosè, e le altre donne danzavano suonando tamburelli e rispondendo in coro: « Cantate al Signore perché sublime trionfa: cavallo e cavaliere Egli gettò nel mare ». Ora davanti ad Israele c’era solo il deserto roccioso … Mancava l’acqua e quella che trovarono a Mara era tanto amara. Il popolo si irritò contro Mosè: « Che berremo, ora? Qui ci farete morire di sete! ». Allora Mosè prese un ramo di un certo albero e lo gettò nell’acqua, ed essa diventò dolce. Giunti a Elim, trovarono acqua sorgiva e tanta ombra.

Esodo 14 - 15

44

Gli ebrei compresero che Dio di prendeva cura di loro.

45

Mosè (sesta parte) Nel deserto di Sin, Dio provò Israele con la fame. «Fossimo morti in Egitto! – mormoravano gli Ebrei. Là c’erano pane e carne in abbondanza ». Il Signore disse a Mosè di rassicurare il popolo: «La sera avrete carne e la mattina avrete pane; e conoscerete che io sono il Signore, vostro Dio ». Quella sera, fitti stormi di quaglie migratrici si posarono sull’accampamento e la mattina seguente una specie di coriandolo ricopriva il suolo intorno. « Sarà questa la manna? » - si domandavano gli Ebrei. « È il cibo che il Signore vi dà! – disse Mosè. La mattina ne raccoglierete la porzione di un giorno. Il sesto giorno ne raccoglierete il doppio perché il settimo giorno è il sabato, sacro al Signore ». A Refidim, Israele dubitò dell’amore di Dio e disse: « Ma il Signore Dio è davvero in mezzo a noi? … Su mostracelo: dacci da bere! ». Mosè vide che se la prendevano con Dio, e pregò: « Vieni in mio aiuto, Signore! Che cosa posso fare io? Se non darai loro l’acqua, mi lapideranno ». Il Signore disse a Mosè: « Su, prendi con te alcuni dei capi d’Israele e va. Con il tuo bastone percuoti la roccia dell’ Oreb: ne scaturirà dell’acqua e il popolo berrà ». Mosè percosse la roccia, e l’acqua sgorgò a fiotti. Gli ebrei compresero che Dio di prendeva cura di loro. Ne ebbero un’altra prova quando Amalek li assalì e Giosuè poté sconfiggerlo per la preghiera di Mosè.

Esodo 16 -17

46

E Dio diede a Mosè i comandamenti della sua alleanza.

47

Mosè (settima parte) Quando Israele giunse al Sinai, Dio parlò a Mosè: « Di’ ai figli d’Israele: Avete visto che io vi ho portato fuori dall’Egitto come l’aquila porta i suoi piccoli alle ali. Ora voglio fare un patto con voi. Se lo osserverete, diventerete il mio popolo preferito. Sarete un regno di sacerdoti, una nazione santa. ». Mosè riferì la parola di Dio e il popolo proclamò: « Noi faremo tutto quello che il Signore vuole ». E si preparò a ricevere la legge del Signore. Il terzo giorno ci fu un fragore di tuoni e lampi; il monte fumava e la vetta era coperta da densa nube. Mosè condusse il popolo fino alle falde del mondo incontro a Dio; poi da solo risalì verso la vetta. E Dio diede a Mosè i comandamenti della sua alleanza: « Io sono il Signore, tuo Dio! Non avrai altro Dio di fronte a me. Non ti farai nessuna immagine per adorarla. Non pronunziare invano il nome del Signore tuo Dio. Ricordati di santificare il sabato. Onora tuo padre e tua madre. Non uccidere. Non commettere adulterio. Non rubare. Non dire falsa testimonianza. Non desiderare la roba degli altri. Non desiderare la moglie del tuo prossimo ». Israele accettò la legge e Mosè lo asperse, dicendo: « Ecco il sangue con il quale stringiamo alleanza con il Signore, sulla base di queste parole ».

Esodo 19-20;24

48

« Ecco il tuo Dio Israele, colui che ti ha fatto uscire dal

paese di Egitto. Domani faremo festa in onore del Signore ».

Il giorno dopo Israele celebrò una festa solenne attorno al

vitello d’oro, e ci furono sacrifici e banchetti con suoni e

danze.

49

Mosè (ottava parte) Mosè risalì sul monte Sinai e rimase a lungo con il Signore. Il popolo che era desideroso di continuare il viaggio, si strinse ad Aronne e lo pregò con insistenza: « Facci un dio che continui a camminare davanti a noi; perché di Mosè non sappiamo nulla ». Aronne cedette: si fece portare gli orecchini d’oro, li fece fondere e rivestì di metallo una immagine di vitello; poi lo presentò al popolo: « Ecco il tuo Dio Israele, colui che ti ha fatto uscire dal paese di Egitto. Domani faremo festa in onore del Signore ». Il giorno dopo Israele celebrò una festa solenne attorno al vitello d’oro, e ci furono sacrifici e banchetti con suoni e danze. Il Signore vide che il popolo aveva già dimenticato le promesse fatte e disse a Mosè: « Scendi! Il popolo ha peccato. Ecco: li distruggerò e da te trarrò una grande nazione ». Mosè supplicò il Signore: « No, non fare questo male al tuo popolo, ti prego! ». Dio amava Mosè e ascoltò la preghiera. Allora Mosè scese verso l’accampamento portando in mano le Tavole dell’ Alleanza, sulle quali erano scritti i dieci comandamenti; ma visto il vitello e le danze, scagliò le Tavole ai piedi del monte e le spezzò perché Israele aveva rotto il patto con il Signore. Poi, afferrò l’idolo, lo bruciò e ridusse in polvere. « Signore, - disse Mosè – se mi ami, ritorna a camminare in mezzo al tuo popolo. È gente di testa dura, è vero; ma tu perdona! E fa’ di noi il tuo popolo ». Dio allora scrisse su altre due tavole le parole dell’alleanza, e le consegnò a Mosè. Egli ridiscese dal Monte Sinai con le tavole dell’alleanza rinnovata per presentarle a Israele. Ma siccome il viso di Mosè era raggiante di luce, Aronne e gli altri ebbero paura di avvicinarsi a lui. Egli, allora, li chiamò a sé e comunicò loro gli ordini del Signore. Quando ebbe finito di parlare si coprì il volto con un velo, e lo toglieva allorché entrava nella tenda a parlare con Dio.

Esodo 32;34

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Nella parte più interna della Dimora, Mosè pose un cofano

di acacia rivestito d’oro dentro e fuori: era l’arca che

conteneva le Tavole dell’Alleanza. A copertura dell’arca

depose una lastra d’oro detta Propiziatorio; su di esso

stendevano le loro ali due cherubini d’oro. L’Arca era come

il trono visibile di Dio: da qui Egli manifestava a Mosè la

sua volontà.

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Mosè (nona parte) Dio aveva dato a Mosè anche altre leggi perché Israele si costituisse come popolo del Signore. Gli ordinò inoltre di erigergli un Santuario portatile. Il popolo offrì con generosità oro, argento, pietre e tessuti preziosi per rendere bello il luogo dove avrebbe abitato la gloria di Dio. Gli artisti fabbricarono le parti del Santuario e ciò che occorreva al culto del Signore. Quando tutto fu pronto, Mosè eresse il Santuario. Esso si estendeva su uno spazio rettangolare, delimitato da colonne e tendaggi, tessuti dalle donne. Qui Mosè eresse la dimora, che era una impalcature di legno coperta da una Tenda di teli pesanti, tessuti con pelo di capra, con bisso, con porpora. Nella parte più interna della Dimora, Mosè pose un cofano di acacia rivestito d’oro dentro e fuori: era l’arca che conteneva le Tavole dell’Alleanza. A copertura dell’arca depose una lastra d’oro detta Propiziatorio; su di esso stendevano le loro ali due cherubini d’oro. L’Arca era come il trono visibile di Dio: da qui Egli manifestava a Mosè la sua volontà. La Dimora venne divisa in due parti per mezzo di un velo posto davanti all’Arca. Al di qua del velo Mosè introdusse la Mensa dei pani, il Candelabro d’oro e l’Altare dei profumi. Nell’Atrio davanti alla Dimora, collocò l’Altare degli olocausti e la conca per le abluzioni. Mosè consacrò i sacerdoti che avrebbero offerto il sacrificio quotidiano dell’agnello e dell’incenso. Fece venire Aronne e i suoi quattro figli: Nadab, Abiu, Eleàzaro e Itamàr, e li lavò. Rivesti Aronne, che era il sommo sacerdote, della tunica di bisso, gli cinse la cintura, gli pose il manto di porpora, l’Efod tessuto d’oro e il pettorale, sul quale dodici pietre preziose recavano incisi i nomi delle dodici tribù d’Israele. Gli pose in capo il turbante di bisso e lo fermò con il Diadema, sul quale era inciso: « Sacro a Dio ». Poi unse con l’olio e consacrò la Dimora e Aronne. Quindi rivestì di tuniche anche i figli di lui, li cinse e legò i berretti sul loro capo. Aronne svolgeva il servizio nel luogo santo aiutato dai sacerdoti, cui era affidato l’incarico degli Altari e del Candelabro d’oro che erano nella Dimora, al di qua del velo. Le lampade del candelabro dovevano ardere di continuo dalla sera alla mattina, per ricordare davanti al Signore i figli d’Israele. Per questo gli Ebrei fecero a gara nell’offrire l’olio d’oliva puro, che doveva alimentare le lampade. Ai sacerdoti era riservato il gradito ufficio di bruciare i profumi aromatici sull’altare d’oro e di rinnovare ogni sabato i dodici pani, che deponevano sulla Mensa, davanti al Signore, perché rappresentassero le dodici tribù d’Israele. Anche altri Leviti, che non erano sacerdoti, aiutavano nel servizio del Signore. Il loro aiuto diventava concreto quando la nube, che ricopriva la Dimora, si alzava: era ora

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di levare l’accampamento e di mettersi in cammino. Allora i Leviti smontavano il Santuario, e ognuno si caricava gli oggetti che aveva in custodia. Aronne e i suoi figli, invece, ricoprivano con drappi gli oggetti che erano nella Dimora, perché i Leviti, trasportando le cose sante, non le toccassero. Agli squilli delle trombe d’argento le dodici tribù si disponevano in ordine di marcia: i Leviti di Kehat trasportavano le cose sante, preceduti da sei tribù e seguiti da altre sei. Il Signore voleva che i sacerdoti de Santuario gli volessero bene e lo servissero con diligenza, osservando le disposizioni che egli aveva dato. Un giorno, però, Nadab e Abiu avevano messo nell’incensiere un fuoco che non avevano preso dall’altare degli olocausti, vi avevano sparso sopra dei profumi aromatici ed erano entrati ad offrirlo davanti al Signore. Il Signore non gradì il profumo che Nabad e Abiu gli bruciavano; anzi, mandò un fuoco che si appiccò alle loro vesti e li fece morire. Aronne e gli altri suoi figli si spaventarono, ma compresero che bisognava servire Dio con grande fedeltà e purezza, perché Egli è santo. I figli di Israele celebravano tante belle feste in onore del Signore, prime fra tutte la Pasqua. Celebravano anche la festa dell’espiazione, nella quale avveniva un fatto straordinario: il Sommo sacerdote, Aronne, oltrepassava il velo ed entrava nel Santo dei Santi, davanti al Signore. Là chiedeva perdono al Signore dei propri peccati e di quelli dei figli d’Israele, aspergendo col sangue la copertura dell’Arca. Ritornato nell’atrio, Aronne posava le mani su un capro, gli addossava i peccati della comunità e lo mandava nel deserto perché fosse lasciato libero. Quel gesto voleva dire che i peccati non c’erano più e il Signore aveva perdonato davvero il suo popolo.

Dai libri del Levitico e Numeri.

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Alzò la mano, percosse due volte la roccia e vi fu acqua per

la comunità e tutto il bestiame. Ma in quella occasione Mosè

e Aronne non glorificarono il Signore. E Per questo motivo

anche essi non entrarono nella terra promessa ad Abramo,

Isacco e Giacobbe.

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Mosè (decima parte) Gli israeliti, a tappe, giunsero a Kades, nel deserto di Paran, dove soggiornarono lunghi anni. Mosè scelse dodici capi, uno per ogni tribù, e li mandò ad esplorare il paese di Canaan. Essi vagarono nel paese per quaranta giorni, e quando fecero ritorno alla comunità, raccontarono che nel Canaan c’erano Amaleciti, Gebusei e Cananei; che le città erano fortificate e belle; che la terra era irrigata e feconda. E come prova mostrarono un grosso grappolo d’uva, che avevano portato in due e infilato a una stanga, e melograni e i fichi, che quella terra produceva. Ma qualcuno di loro disse che quegli uomini erano giganti così forti che nessuno li avrebbe vinti. A questa notizia, gli Ebrei si ribellarono a Mosè. Il Signore si manifestò nella nube davanti a tutto il popolo e disse a Mosè: « Stanno mormorando che li farai morire nel deserto; ebbene: io farò quello che hanno detto: tutti gli adulti morranno in questo deserto; invece i vostri bambini entreranno nel paese che voi avete disprezzato ». Il popolo fu turbato per questa parola del Signore, e un gruppo di uomini volle andare a combattere contro gli Amaleciti e i Cananei. Mosè li ammoni: « Voi sarete sconfitti, perché Dio non è con voi ». L’arca dell’Alleanza non si mosse. E gli Ebrei furono battuti e respinti in Kades. Spesso gli Israeliti dimenticavano che Dio li amava. Avvenne anche a Kades. E allora minacciarono Mosè perché non avevano acqua da bere. Mosè consultò il Signore, poi convocò la comunità davanti alla roccia e disse: « Ascoltate, ribelli! Vi faremo noi forse uscire acqua da questa roccia? ». Alzò la mano, percosse due volte la roccia e vi fu acqua per la comunità e tutto il bestiame. Ma in quella occasione Mosè e Aronne non glorificarono il Signore. E Per questo motivo anche essi non entrarono nella terra promessa ad Abramo, Isacco e Giacobbe. Queste sono le acque di Merìba, dove gli Israeliti litigarono con il Signore e dove egli si dimostrò santo in mezzo a loro.

Numeri 13-14;20

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In quei giorni sbucarono dalla roccia dei serpenti e con il

loro morso velenoso uccisero molti Ebrei.

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Mosè (undicesima parte) Quando partirono da Kades, Mosè chiese al re di Edom, che discendeva da Esaù, il fratello di Giacobbe, di poter attraversare il suo territorio. Ma il re non diede il permesso di passare. Allora gli Israeliti si avviarono al monte Hor. Là Aronne morì. Mosè unse Eleazaro Sommo Sacerdote. Ripresa poi la marcia nel deserto per aggirare Edom, mormorarono ancora perché non c’era né acqua, né cibo. In quei giorni sbucarono dalla roccia dei serpenti e con il loro morso velenoso uccisero molti Ebrei. Il popolo comprese che quello era un richiamo di Dio, e si pentì del suo peccato. Dio lo perdonò e volle che Mosè innalzasse un serpente di rame, promettendo di lasciare in vita chi avesse guardato quel segno.

Numeri 20

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Balaam si avviò ugualmente verso Moab, ma l’asina

s’impuntava, ed egli la spinse con forza.

58

Mosè (dodicesima parte) Israele nella sua marcia di decenni verso il Canaan, aveva vinto Seor, re degli Amorrei e Og, re di Basan, e si era impadronito dei loro territori. Balak, re di Moab, temette la stessa fine e mandò a chiamare l’indovino Balaam affinché maledicesse Israele. Ma Dio disse a Balaam: « Tu non maledirai quel popolo, perché è già benedetto! ». Balaam si avviò ugualmente verso Moab, ma l’asina s’impuntava, ed egli la spinse con forza. Quando vide dall’alto l’accampamento d’Israele, esclamò: « Io lo contemplo, ma non da vicino: un astro punta da Giacobbe e uno scettro sorge da Israele ». E Dio liberò Israele dalla vendetta del re Balak.

59

Poi Mosè salì sul monte Nebo e il Signore gli mostrò tutta la

terra di Canaan: dal nord a sud, e gli disse: « Questo è il

paese che ho giurato di darvi. Te l’ho fatto vedere, ma tu no

vi entrerai ».

60

Mosè (tredicesima parte) Israele era giunto alle soglie della terra promessa e Mosè lo radunò per dargli l’ultimo addio e disse: « Sono ormai vecchio e il Signore mi ha detto: Tu non passerai questo Giordano! Il Signore Dio sarà colui che passerà davanti a voi e vi guiderà alla conquista delle nazioni. Il Signore vi farà padroni di quelle terre. Non temete; fatevi coraggio, perché il Signore non vi abbandonerà ». Poi chiamò Giosuè, al quale aveva già imposto le mani affinché guidasse Israele, e gli disse: « Sii forte! Tu entrerai con questo popolo, nel paese che il Signore giurò di darvi. Il Signore cammina davanti a te. Sii coraggioso! ». Poi Mosè salì sul monte Nebo e il Signore gli mostrò tutta la terra di Canaan: dal nord a sud, e gli disse: « Questo è il paese che ho giurato di darvi. Te l’ho fatto vedere, ma tu no vi entrerai ». Mosè, amico del Signore e guida di Israele, morì in quel luogo, nel paese di Moab, e fu sepolto nella Valle. Israele fece lutto e lo pianse per trenta giorni. Non è più sorto in Israele un profeta simile a Mosè, perché solo con lui Dio parlava faccia a faccia. Poi Giosuè, figlio di Num e aiutante di Mosè, che era pieno di saggezza, si pose alla guida di Israele, per introdurlo nella terra promessa.

Deuteronomio 31;34

61

Al suono delle trombe, Israele lanciò altissimo il grido di

guerra; l’aria vibrò. In quell’istante le mura di Gerico

crollarono con fragore assordante e gli Israeliti entrarono

in città.

62

Giosuè Giosuè era tra coloro che erano andati a esplorare il Canaan, e con Caleb aveva calmato il popolo che si ribellava sentendo che là c’erano i giganti. Per questo Dio aveva promesso a lui e a Caleb che sarebbero entrati nella terra promessa. Ora Giosuè attendeva che il Signore manifestasse il suo volere, come aveva fatto con Mosè. E Dio gli si manifestò e disse: «Mosè, mio servo, è morto. Orsù, alzati, attraversa questo Giordano tu e tutto il popolo; e va’ verso la terra che io dono ai figli d’Israele. Ogni luogo che calpesterete io l’ho assegnato a voi. Nessuno resisterà a te; io sarò con te. Sii forte! E agisci secondo la legge che ti ha dato Mosè ». Allora Giosuè, sentendosi forte dell’aiuto di Dio, comandò ai capi di tenere pronto Israele perché presto avrebbe attraversato il Giordano. Al di là del fiume c’era il Canaan, la terra che Dio aveva promesso in eredità ad Abramo, a Isacco, a Giacobbe e ai loro figli. Giosuè fece avanzare gli Israeliti fino al Giordano e volle che si purificassero perché il Signore potesse stare in mezzo a loro e guidarli. Quindi chiamò i figli di Ruben e di Gad, che si erano già stabiliti nelle terre conquistate, e ricordò loro che avevano promesso a Mosè di aiutare le altre tribù a conquistare le loro terre. I Rubeniti e i Gaditi gli promisero obbedienza. Intanto due ebrei si erano introdotti in Gerico ed erano andati da Raab per passarvi la notte. Il Re lo seppe e comandò a Raab di consegnarli quelle spie. Raab disse che quegli uomini erano già partiti. E, mettendo in pericolo se stessa e la sua famiglia, nascose gli Israeliti sulla terrazza, perché diceva: « Io so che il vostro Dio vi farà padroni di Gerico. Vi prego: quel giorno salvate anche me e la mia famiglia! ». Ed essi risposero: « Lo faremo! Tu, però, metti come segno alla finestra una corda rossa. E fa’ che nessuno esca di casa ». Raab aveva la casa sulle mura della città; nella notte li fece scivolare giù con una corda. Giosuè seppe da loro che poteva assediare Gerico perché la gente era spaventata dalle opere di Dio. Giosuè comandò di attraversare il Giordano. E Dio ripeté per lui quello che aveva fatto per Mosè: i monti tremarono, Il Giordano si divise e Israele lo passò a piedi asciutti. E fu nel Canaan! Giosuè celebrò il Signore erigendo una stele. Poi ordinò la circoncisione e per la prima volta celebrò la Pasqua nella terra promessa. Giunse l’ora di porre l’assedio a Gerico. « Mettetevi in marcia e girate intorno alla città!». Sette sacerdoti si mossero suonando i corni d’ariete davanti all’Arca, mentre uomini armati la precedevano e la seguivano. Israele girò intorno alla città, poi ritornò all’accampamento. Così fece per sei giorni. Il settimo giorno, all’alba, gli Israeliti erano già in ordine di guerra sotto le mura di Gerico. Girarono intorno alla città per sei volte; al settimo giro, Giosuè gridò al

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popolo: « Lanciate il grido di guerra, perché il Signore ci mette in mano la città. In essa non lascerete nessuno in vita, eccetto Raab. Gli oggetti preziosi saranno consacrati al Signore ». Al suono delle trombe, Israele lanciò altissimo il grido di guerra; l’aria vibrò. In quell’istante le mura di Gerico crollarono con fragore assordante e gli Israeliti entrarono in città. Salvata Raab e i suoi e raccolto il bottino, Gerico fu data alle fiamme, come voleva il Signore. Dopo Gerico, Giosuè mandò i suoi uomini armati a conquistare la città di Ai. Ma essi vennero sconfitti e alcuni uccisi. Giosuè entrò nella Tenda e pregò addolorato. Il Signore gli disse: « Io non sarò tra voi se non toglierete di mezzo chi ha trasgredito il comando che avevo dato ». Giosuè riunì la comunità e tirò le sorti. La sorte cadde su Acan, della tribù di Giuda. Acan confessò: «Io ho peccato contro il Signore; ho preso un bel mantello di Babilonia, alcuni oggetti d’argento e un lingotto d’oro. Ecco: sono tutti interrati nella mia tenda». Così era! E quegli oggetti furono portati a Giosuè. Allora Giosuè prese Acan con tutto ciò che aveva, lo condusse nella Valle di Acor, e disse: « Come tu hai portato disgrazia a noi, così il Signore porti disgrazia a te ». E Acan fu lapidato, cadde e fu sepolto sotto un mucchio di pietre. Il Signore si placò con Israele e gli diede vittoria quando ritornò a combattere contro Ai. Per impadronirsene, Giosuè tese un tranello: nascose i soldati d’Israele a occidente di Ai ed egli finse di avanzare dal nord. Il re uscì in battaglia e Giosuè si lasciò inseguire. Ad un tratto, Giosuè si fermò e alzò la spada: gli imboscati la videro, uscirono dal nascondiglio e, entrati in città, la diedero alle fiamme. La completa distruzione di Ai diffuse il terrore tra i popoli cananei, che fecero lega contro Israele. Gli abitanti di Gàbaon, invece, ricorsero all’inganno: fornitisi di pane secco, di otri vecchi, di vestiti strappati e di sandali rotti si presentarono a Israele e chiesero di fare alleanza. Pareva venissero da lontano! E senza consultare Dio, gli Israeliti accettarono di gustare il loro pane. Questo voleva dire: «Restiamo amici per sempre ». Ma ecco: presto si seppe che quegli ambasciatori erano vicini di casa, abitavano, cioè, nel Canaan. Ormai la parola era data: Israele rispettò le città dei Gabaoniti, ma li obbligò in perpetuo a portare acqua e a tagliare legna per la comunità. Un giorno Giosuè ricevette a Gàngala alcuni Gabaoniti: «Ti preghiamo, - dissero, - vieni da noi e salvaci perché il re di Gerusalemme, di Ebron, di Iarmut, di Lachish e di Eglon ci fanno guerra ». Giosuè marciò tutta la notte, piombò su quei re, sbaragliò i loro eserciti e inseguì i fuggitivi. La vittoria era sicura, ma ecco una nube nera oscurare il sole e impedire l’inseguimento dei nemici. Si udì allora la voce potente di Giosuè gridare: « Sole, fermati da Gàbaon; e tu luna, sulla Valle di Àialon! ». Il sole riapparve e la battaglia continuò. Non ci fu mai più un giorno come quello, perché il Signore stesso combatteva per Israele.

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Un giorno venne da Giosuè il suo amico Caleb, per ricordargli la promessa di Mosè, e disse: « Ecco, io ho ottantacinque anni ma sono ancora forte. Or dunque, dammi in eredità il monte Ebron, e io con l’aiuto di Dio, conquisterò quel territorio». Giosuè allora diede Ebron in eredità a Caleb, ed egli partì alla conquista di quelle città dalle mura inespugnabili. Quando volle prendere Kiriat-Sefer lanciò un bando: « A colui che se ne impadronirà, io darò in moglie mia figlia Acsa ». Ella portava in dote il Negheb. Ma a Otnièl, un soldato di Caleb, interessava soprattutto Acsa. Così combatté valorosamente, conquistò la città ed ebbe in sposa Acsa. Il Canaan non era stato ancora conquistato tutto, ma il sacerdote Eleazaro e Giosuè lo divisero tra le tribù di Giuda, Efraim, Manasse, Beniamino, Simeone, Zabulon, Issacar, Aser, Neftali e Dan; essi credevano che Dio avrebbe mantenuto le promesse. In questi territori Giosuè scelse sei città; in essi credevano che Dio avrebbe mantenuto le promesse. In questi territori Giosuè scelse sei città; in esse poteva rifugiarsi chi aveva ucciso un uomo in uno scatto d’ira, senza averci pensato prima. L’uccisore confessava ai capi quello che aveva fatto, ed essi lo accoglievano, gli davano casa e lavoro e lo difendevano, affinché non venisse ucciso per vendetta privata, prima di essere giudicato. Le « città-rifugio » erano state volute dal Signore, ed erano aperte ai figli d’Israele e agli stranieri. Giosuè non aveva assegnato alla tribù di Levi nessun territorio, perché Dio aveva detto: «Tu Levi, non avrai alcun possesso del Paese. Io sono la tua parte e il tuo possesso in Israele. Saranno tue le decime che Israele mi offrirà. Avrete, però, delle città dove abitare ». Secondo questa parola del Signore, gli Ebrei acconsentirono di far abitare i Leviti in alcune delle città che erano toccate loro in sorte. I Leviti ebbero quarantotto città e i loro pascoli. Tra queste c’erano le sei « città-rifugio ». Così i sacerdoti vissero in mezzo a loro fratelli; e quando compivano il loro turno nel Santuario, ne presentavano al Signore le necessità e le offerte. C’era pace e Giosuè volle rimandare alle loro tribù i figli di Ruben, di Gad e di Manasse che avevano aiutato a conquistare il Canaan. Egli li ringraziò dell’aiuto dato e raccomandò loro di osservare la legge e di amare il Signore Dio. Quei valorosi partirono e, giunti al Giordano, vi costruirono un altare molto grande e ben visibile. Agli Ebrei parve che quei fratelli rinnegassero Dio; andarono a interrogarli, e quelli affermarono: «Dio, il Signore, sa che non vogliamo abbandonarlo. Su questo altare non offriremo sacrifici, perché c’è un solo altare del Signore, il nostro altare vuol testimoniare che noi serviremo solo il Signore ». E Israele lodò Dio per la fede di quei fratelli. Prima di morire, Giosuè convocò Israele in Sichem e rinnovò l’alleanza fatta con Dio sul monte Sinai. Fece portare l’arca, e davanti ad essa ricordò le meraviglie operate da Dio per il suo popolo e disse: «Ecco: Dio, il Signore, vi ha dato una terra che voi non avete lavorato, e città che non avete costruito. Perciò servite il Signore. E se vi pesa

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obbedire al Signore, scegliete oggi a chi servire. Io servirò il Signore ». Israele gridò come se fosse un solo uomo: «Noi vogliamo servire il Signore! Obbediremo a lui! ». Allora Giosuè prese una grossa pietra e la rizzò: « Questa pietra vi ricorderà il vostro giuramento ». Dopo questi fatti, Giosuè morì e fu sepolto a Efraim.

Giosuè 1-3; 6-10; 14-24 e Giudici 1-3

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In quel tempo era giudice d’Israele una donna, una

profetessa, Dèbora. Ella sedeva sotto la palma di Dèbora,

tra Rama e Betel, sulle montagne di Èfraim, e gli Israeliti

salivano da lei per ottenere giustizia.

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Debora Il popolo era ritornato a servire gli dèi del Canaan, per questo era dominato da Iabin, re di Cazor. In quel tempo era giudice d’Israele una donna, una profetessa, Dèbora. Ella sedeva sotto la palma di Dèbora, tra Rama e Betel, sulle montagne di Èfraim, e gli Israeliti salivano da lei per ottenere giustizia. Ella mandò a chiamare Barak e gli ordinò di raccogliere un esercito tra i figli di Neftali e Zabulon e di marciare contro Sìsara, comandante dell’esercito di Iabin, perché il Signore gli prometteva la vittoria. Ma Barak disse a Debora: « Se tu vieni con me, io andrò; ma se non vieni, io non andrò! ». Dèbora si alzò e andò con Barak. Egli radunò un esercito di diecimila uomini. Fu riferito a Sìsara che Barak era salito sul monte Tabor. Allora Sìsara radunò tutti i suoi carri, novecento carri di ferro, e tutta la gente che era con lui. Dèbora disse a Barak: «Àlzati, perché questo è il giorno in cui il Signore ha messo Sìsara nelle tue mani. Il Signore non è forse uscito in campo davanti a te?». Allora Barak scese dal monte Tabor, seguito da diecimila uomini. I nemici sui carri di ferro correvano per la pianura, quando cominciò a piovere: e scese tanta acqua da allagare tutta la pianura; i carri di ferro si impantanarono e rimasero bloccati; i nemici si diedero alla fuga, inseguiti dai guerrieri d'Israele, che riportarono così una strepitosa vittoria. Intanto Sìsara sceso dal carro era fuggito a piedi verso la tenda di Giaele. Ella uscì incontro a Sìsara e gli disse: «Férmati, mio signore, férmati da me: non temere». Egli entrò da lei nella sua tenda ed ella lo nascose con una coperta. Egli le disse: «Dammi da bere un po’ d’acqua, perché ho sete». Ella aprì l’otre del latte, gli diede da bere e poi lo ricoprì. Egli le disse: «Sta’ all’ingresso della tenda; se viene qualcuno a interrogarti dicendo: “C’è qui un uomo?”, dirai: “Nessuno”». Allora Giaele prese un picchetto della tenda, impugnò il martello, venne pian piano accanto a lui e gli conficcò il picchetto nella tempia, fino a farlo penetrare in terra. Egli era profondamente addormentato e sfinito; così morì. Ed ecco sopraggiungere Barak, che inseguiva Sìsara; Giaele gli uscì incontro e gli disse: «Vieni e ti mostrerò l’uomo che cerchi». Egli entrò da lei ed ecco Sìsara era steso morto, con il picchetto nella tempia. Così Dio umiliò quel giorno Iabin, re di Canaan, davanti agli Israeliti. La mano degli Israeliti si fece sempre più pesante su Iabin, re di Canaan, finché ebbero stroncato Iabin, re di Canaan. In quel giorno Dèbora cantò allora un inno di ringraziamento al Signore, che

combatté per il suo popolo mandando la pioggia provvidenziale. Giudici 4-5

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Gedeone dubitava della sua missione e una sera pregò: «

Signore, se tu vuoi salvare Israele per mezzo mio, dammene

una prova. Ecco, stenderò una pelle di pecora sull’aia: se

domattina troverò rugiada solo sul vello, crederò che tu

vuoi salvare Israele per mia mano ».

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Gedeone Avveniva che in tempo di pace Israele adorava gli dèi del Canaan dimenticando il suo Dio. Questo avvenne anche nel lungo periodo di pace che seguì la vittoria riportata su Sìsara. Allora Dio permise che per sette anni i Madianiti facessero razzie nel territorio di Israele e vi si accampassero con i loro cammelli, distruggendo tutti i prodotti della terra. Per paura dei Madianiti, i figli di Israele fuggirono dalle loro case e adattarono ad abitazioni le caverne dei monti e le cime scoscese. In questo modo si ridussero in grande miseria. Allora, pentiti, invocarono il nome del Signore, ed egli accorse in loro soccorso. Dio scelse un uomo di Ofra, chiamato Gedeone. Egli era forte di braccio, ma debole nella fede. Il Signore si presentò a lui e gli disse: « Va’ con questa tua forza e salva Israele da Madian. Io sarò con te e tu sconfiggerai i tuoi nemici ». Gedeone gli offrì del cibo, ma l’ospite lo toccò col suo bastone e un fuoco lo consumò. Quella notte, per ordine di Dio, Gedeone con i servi atterrò l’altare di Baal e il palo sacro ad Ashera, che Ioas, suo padre, aveva innalzato, eresse un altare al Signore e offrì sacrifici. I cittadini dicevano « È un atto sacrilego! » - e volevano uccidere Gedeone per vendicare Baal. Ma Ioas disse: « Se Baal è dio, difenda se stesso! ». L’erezione di quell’altare suscitò una reazione: Madian, Amalèk e la gente di oltre il Giordano fecero lega, passarono il fiume e si accamparono nella pianura di Izreèl per molestare Israele. In quei giorni lo spirito di Dio investì Gedeone e gli fece comprendere ciò che era necessario fare. Egli suonò la tromba di guerra e il suo clan accorse, pronto a seguirlo in battaglia. Ma il pericolo era grave; ci volevano altri soldati. Gedeone spedì dei messaggeri alle tribù di Manasse, di Aser, di Zàbulon e di Neftali perché inviassero i loro armati, e le tribù invitate mandarono i loro uomini più validi per liberarsi dall’oppressore. Gedeone dubitava della sua missione e una sera pregò: « Signore, se tu vuoi salvare Israele per mezzo mio, dammene una prova. Ecco, stenderò una pelle di pecora sull’aia: se domattina troverò rugiada solo sul vello, crederò che tu vuoi salvare Israele per mia mano ». La mattina seguente egli trovò il terremo asciutto, ma quando strizzò il vello, ne spremette rugiada fino a riempire d’acqua una coppa. Egli però era ancora incerto, e pregò umilmente: « Non adirarti con me, Signore. Dammi un’altra prova! Il vello resti asciutto e ci sia rugiada intorno ». Per amore d’Israele, Dio gli diede anche questa prova: il vello restò asciutto e ci fu rugiada tutt’intorno. Gedeone credette al Signore; organizzò i suoi uomini e di buon mattino andò ad accamparsi a Carod. Dio gli disse: « Hai con te troppi uomini. Israele potrebbe dire: La mia mano mi ha salvato! Di’ ai tuoi soldati: Chi ha paura

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torni indietro! ». Restarono diecimila uomini, ma erano ancora troppi. «Falli scendere all’acqua! » - disse il Signore. Scesi al ruscello, alcuni bevvero inginocchiandosi, altri la portarono alla bocca con la mano. Questi ultimi erano circa trecento. Il Signore disse a Gedeone: « Con questi trecento uomini io salverò Israele ». E volle che gli altri ritornassero alle loro tende. Quella notte, Dio comandò a Gedeone: « Alzati e piomba su tuo nemico! ». Gedeone divise i suoi uomini in tre schiere, consegnò ad ogni soldato una tromba e una brocca che conteneva una torcia accesa, e disse: «Quando saremo vicini al campo, fate come farò io ». Era mezzanotte quando la tromba di Gedeone squarciò il silenzio, subito i soldati diedero fiato alle trombe e, infrante le brocche, afferrarono la torcia, gridando: «La spada per il Signore e per Gedeone! ». Tutto il campo nemico sussultò, si diede alla fuga e nella confusione si uccidevano l’un l’altro. Così Dio umiliò Madian e diede pace a Israele. Gedeone mori dopo una felice vecchiaia e fu sepolta nella tomba suo padre Ioas.

Giudici 6-8

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A Sansone piaceva una donna filistea di nome Dalila, ed

ella, d'accordo nascostamente con i capi del suo popolo,

chiese a Sansone da dove provenisse la sua forza

prodigiosa. Egli non voleva rivelarglielo, ma Dalila tanto

insistette che alla fine Sansone le disse: «La forza mi viene

dal Signore mio Dio; io mi sono consacrato a lui, come

dimostrano i miei capelli che non sono mai stati tagliati».

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Sansone In quel tempo nella tribù di Dan era nato Sansone. Prima che venisse alla luce, un angelo aveva detto: «Sulla testa di questo figlio non passerà il rasoio, perché sarà consacrato a Dio fin dalla nascita. Egli comincerà a liberare Israele dai Filistei ». Lo spirito del Signore fu su di lui e si manifestava in una forza straordinaria. La sua forza era davvero grande: un giorno, in campagna, gli venne incontro ruggendo un leone, e Sansone senza armi afferrò il leone e lo squarciò. Qualche tempo dopo ripassò da quelle parti, e volle andare a vedere i resti del leone; vide che uno sciame di api vi si era installato e aveva già cominciato a produrre miele, tanto che Sansone poté prenderne e cibarsene. Il fatto del leone e del miele gli diede spunto per proporre un indovinello a trenta giovani Filistei. Disse loro: «Se me lo spiegate entro sette giorni, vi darò trenta vesti con il loro cambio; altrimenti sarete voi a darle a me». Essi acconsentirono, ed egli propose l'indovinello: «Dal divoratore è uscito il cibo; dal forte è uscito il dolce». risolvere l'enigma, e vi riuscirono soltanto con un imbroglio, allo scadere del settimo giorno. Gli risposero: «Che cosa è più dolce del miele? Che cosa è più forte del leone?» Sansone doveva dunque dare a ciascuno di loro una veste con il suo cambio: se le procurò uccidendo altri trenta Filistei. Così cominciò a combattere contro i nemici. Un'altra volta, al tempo della mietitura del grano, catturò trecento volpi, le legò a due a due per la coda con una fiaccola accesa nel mezzo e le lasciò andare nei campi di grano dei Filistei, distruggendo il raccolto, le vigne e gli oliveti. I Filistei, furiosi, marciarono in gran numero contro il popolo di Israele, che si impaurì. Ma Sansone disse: «Non preoccupatevi: consegnate me stesso, legato, ai Filistei, ed essi se ne andranno». Così fu fatto; ma appena fu in mezzo ai Filistei, Sansone fece forza e spezzò le funi con cui era stato legato, poi trovò una mascella d'asino e con essa si mise a colpire i nemici, uccidendone un migliaio. Un'altra volta Sansone si trovava nascostamente a Gaza, una città filistea; i soldati di Gaza lo vennero a sapere, e si misero in guardia per sorprenderlo e ucciderlo. Ma Sansone li prevenne: a mezzanotte si alzò per andarsene e, poiché le porte della città erano sbarrate, con la sua forza afferrò i due battenti di una porta, li staccò con anche gli stipiti, se li pose sulle spalle e li portò fin sulla cima di un colle vicino. Poiché non riuscivano a catturarlo in altro modo, i Filistei decisero di ricorrere all'inganno. A Sansone piaceva una donna filistea di nome Dalila, ed ella, d'accordo nascostamente con i capi del suo popolo, chiese a Sansone da dove provenisse la sua forza prodigiosa. Egli non voleva rivelarglielo, ma Dalila tanto insistette che alla fine Sansone le disse: «La forza mi viene dal Signore mio Dio; io mi sono consacrato a lui, come dimostrano i miei capelli che non sono mai stati tagliati». Allora, una notte, mentre Sansone

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dormiva, Dalila gli fece tagliare i capelli e lo fece legare con salde funi. Sansone pensò di potersi facilmente liberare dalle funi, ma si accorse che non aveva più i lunghi capelli, e con essi era svanita tutta la sua forza. Così i Filistei lo catturarono; gli cavarono gli occhi e lo chiusero in una prigione dove lo misero a girare la macina. Lentamente, però, i suoi capelli ripresero a crescere, e con essi la forza. Dopo qualche tempo, nella ricorrenza di una festa di Dagon, la divinità che essi adoravano, i Filistei si radunarono numerosi nel loro tempio, e con grande giubilo si rallegravano di non avere più da temere il pericolo di Sansone. «Il nostro dio ci ha dato nelle mani il nostro nemico» si dissero, e decisero di far venire Sansone al tempio, per divertirsi vedendolo ormai vinto. Lo mandarono a prendere nella prigione, e Sansone venne nel tempio, accompagnato per mano da un ragazzo, perché era cieco. Nel tempio e sul terrazzo c'erano tutti i capi dei Filistei e una grande folla, circa tremila tra uomini e donne, che guardavano incuriositi quell'uomo di cui avevano avuto tanta paura. Sansone chiese al ragazzo che lo accompagnava: «Fammi toccare le due colonne che reggono questo edificio, perché possa appoggiarmi ad esse». Poi rivolse una preghiera al Signore: «Signore, ricordati di me! Dammi forza per questa volta soltanto, o Dio!» Subito dopo toccò le due colonne per rendersi ben conto dov'erano; poi, facendo forza con le braccia contro di esse, gridò: «Che io muoia insieme con i Filistei!» Sansone riuscì a spostare le colonne; l'edificio allora crollò addosso a tutti i presenti. Furono più i nemici che Sansone uccise con la sua morte, di quanti ne aveva uccisi durante la sua vita.

Giudici 13-16

74

Rut non si staccò da Noemi e singhiozzando disse: « Non ti

abbandonerò. Dove tu andrai tu, verrò anch’io. Il tuo

popolo sarà anche il mio; il tuo Dio sarà il mio Dio e dove

morirai tu, morrò anch’io ».

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Rut Durante una carestia, la gente del Canaan emigrò. Anche Elimeleck emigrò da Betlemme e andò nel Moab insieme con la moglie Noemi e i due figli. Questi sposarono due ragazze moabite: Orfa e Rut che si affezionarono a Noemi e, rimaste vedove, vollero seguirla a Betlemme. Ma Noemi disse: « Tornate da vostra madre, e Dio sia buono con voi come voi lo foste con me e con i nostri morti ». Allora Orfa la baciò teneramente e tornò indietro. Ma Rut non si staccò da lei e singhiozzando disse: « Non ti abbandonerò. Dove tu andrai tu, verrò anch’io. Il tuo popolo sarà anche il mio; il tuo Dio sarà il mio Dio e dove morirai tu, morrò anch’io ». Noemi cercò di insistere; ma l'altra era ben decisa. Allora entrambe raccolsero le proprie cose e lasciarono insieme la terra di Moab avviandosi verso Betlemme. Nella città di Betlemme tutti ammiravano la giovane straniera di nome Rut, che aveva accettato rischi e fatiche pur di non abbandonare la vecchia suocera Noemi. Le due donne avevano vita difficile, perché non avevano di che vivere e spesso non sapevano come fare a procurarsi da mangiare. Un giorno, era il tempo della mietitura dell'orzo, Rut andò a spigolare, e senza saperlo capitò nei campi di Booz, che era un lontano parente della suocera Noemi. Rut lavorò instancabilmente tutto il giorno. Booz se ne accorse, la ammirò e volle favorirla. Disse allora ai suoi uomini: «Lasciate cadere apposta un po' di spighe, perché il raccolto di quella donna sia più abbondante». Un'altra volta Booz le regalò sei misure l'orzo, e infine, ammirato del suo comportamento generoso verso Noemi, Booz sposò Rut. Per le due donne era la fine dei sacrifici, perché Booz era ricco. Il matrimonio di Booz e di Rut fu importante anche per un'altra ragione: essi ebbero un figlio che fu la consolazione della vecchia Noemi, la quale gli pose nome Obed. Egli divenne padre di Iesse, a sua volta padre del grande Davide.

Rut 1-4

76

Samuele era un fanciullo, quando una notte si sentì

chiamare: «Samuele, Samuele!»

77

Samuele Elkanà, uomo di Rama, si recava ogni anno a Silo per celebrare le feste del Signore. Vi conduceva anche le sue mogli: Anna e Peninnà. Egli amava molto Anna, anche se non aveva avuto figli. Quell’anno Anna pianse inconsolabilmente davanti a Dio e, muovendo le labbra, pregava in silenzio: « Signore, ricordati di me. Dammi un figlio maschio, e lo consacrerò a te ». Il sacerdote Eli che la osservava, la credette ubriaca e la riprese con forza. Ma Anna gli disse: «Mio signore, la tua serva non è ubriaca. Io sto sfogando davanti a Dio il mio dolore ». Allora Eli comprese, e benedicendola disse: « Va’ in pace e il Signore risponda alla tua domanda ». Dio ascoltò Anna e le diede un bel bambino, che fu chiamato Samuele. Anna lo allattò e, quando fu abbastanza grande, lei e suo marito lo condussero al tempio del Signore in Silo. Elkanà offrì il sacrificio, poi presento il fanciullo al sacerdote Eli. Anna fu felice di dirgli: « Il Signore mi ha dato questo figlio; ed ecco: io glielo cedo per sempre! ». Si prostrò e pregò, esultando nel Signore che è la forza del povero e del debole, e che solleva dalla polvere il misero per farlo seder con i capi del suo popolo. Samuele rimase in Silo e serviva il Signore. In seguito il Signore premiò Anna, concedendole di avere altri tre figli e due figlie. Samuele viveva nel santuario del Signore, insieme con il sacerdote Eli, che lo educava al servizio del Signore e ai suoi due figli. Questi ultimi, però, si comportavano male, svolgendo il loro servizio in un modo che offendeva il Signore. Samuele era un fanciullo, quando una notte si sentì chiamare: «Samuele, Samuele!» Egli credette che quella fosse la voce di Eli, il quale dormiva poco lontano. Prontamente allora si recò da lui: «Eccomi» gli disse. Ma Eli rispose: «Non ti ho chiamato, torna a dormire». Poco dopo si sentì chiamare una seconda volta; tornò da Eli, il quale però lo rimandò a dormire. Accadde poi una terza volta: allora Eli comprese, e disse al fanciullo: «Se ti sentirai chiamare ancora, risponderai così: Parla, Signore, il tuo servo ti ascolta». Samuele ritornò a dormire, e quando si sentì chiamare ancora rispose: «Parla, Signore, il tuo servo ti ascolta». Era infatti il Signore a chiamarlo, per affidargli un messaggio: « Sto per punire i figli di Eli a causa della loro cattiva condotta » disse il Signore «perché essi hanno fatto ciò che è male ai miei occhi, ed Eli non gliel’ha impedito. Riferisci ad Eli le mie parole». Il sacerdote Eli si rese conto che il Signore aveva parlato al fanciullo Samuele, e gli chiese che cosa gli avesse detto. Samuele riferì: il Signore Dio era molto scontento della condotta che tenevano nel santuario i due figli di Eli, e perciò aveva deciso di punirli. Poco tempo dopo i due colpevoli rimasero uccisi in battaglia. Quando

78

divenne adulto, Samuele ricevette molti messaggi da Dio: e tutti si resero conto che il Signore lo aveva scelto come suo profeta, cioè una persona incaricata di parlare per lui. In quel tempo i Filistei si schierarono presso Afek e diedero battaglia a Israele, che si batté con coraggio, ma perse molti soldati. Quelli che rientrarono nel campo si domandavano perché il Signore li avesse umiliati. E decisero di andare a prendere l’arca che era in Silo. Quando l’arca, portata dai sacerdoti Ofni e Fineès, arrivò al campo, Israele alzò un urlo così forte che fu persino udito dai Filistei. Questi dissero: « È venuto il loro Dio.! Chi ci salverà da lui? Su, combattiamo con forza, se no saremo loro schiavi ». E, attaccata battaglia, sconfissero Israele, uccisero Ofni e Fineès e si impadronirono dell’Arca. Quando Eli lo seppe, cadde a terra e morì. I Filistei portarono l’arca nel tempio del dio Dagon. Il giorno dopo, però trovarono l’idolo a terra, con la faccia riversa davanti all’arca. Rimisero la statua al suo posto, ma il giorno seguente la ritrovarono a terra, in pezzi davanti all’arca. Allora temettero il Signore Dio di Israele, e , decisi, collocarono l’arca su un carro nuovo, vi attaccarono due vacche da latte e le lasciarono libere di dirigersi a loro piacere. Le mucche, pur chiamando con muggiti i loro vitellini, presero sicure la via che saliva a Bet-Semes, dove gli Israeliti erano intenti alla mietitura. Vedendo l’arca, urlarono pieni di gioia e offrirono poi in sacrificio a Dio due vacche. Poiché gli Israeliti erano oppressi dai Filistei, Samuele li invitò a distruggere le statue degli dei, che erano causa delle loro disgrazie. Convocò poi il popolo a Mispa e lo fece purificare affinché fosse gradito al Signore. Ma quella grande assemblea insospettì i Filistei, che attaccarono battaglia per primi. Israele, allora, si rivolse a Samuele e lo supplicò: « Tu resta qui e non cessare di pregare il Signore affinché ci liberi dai Filistei ». Samuele offrì in olocausto e pregò con fiducia finché un tuono assordante mise in fuga i nemici, che per tutto il tempo in cui Samuele fu giudice non disturbarono più i figli di Israele.

1 Samuele 1-7

79

Quando fu l’aurora, Samuele svegliò Saul, lo accompagnò fin fuori

dalla città, poi comandò: « Ora fermati. Ti manifesterò la Parola del

Signore ».Prese l’ampolla dell’olio che aveva con sé, la versò sulla

testa di Saul, lo bacio e gli disse: « Il Signore ti ha consacrato capo

d’Israele. Tu libererai il popolo del Signore dai suoi nemici ».

80

Saul Un giorno i capi d’Israele vennero da Samuele, che era in Rama, la sua città, e gli dissero: « Tu sei vecchio e i tuoi figli si comportano male. Su, dacci un re che ci governi! ». Samuele pregò e Dio gli fece conoscere il suo volere: «Fa’ quello che ti chiedono. Vedi! Hanno rigettato me: non vogliono più che io regni su di loro ». In quei giorni Saul, figlio di Kis, andò a cercare le asine del padre che erano smarrite. Giunto presso Rama, un servo gli disse: « Qui c’è un profeta. Andiamo a farci indicare la via ». Alla porta della città incontrarono Samuele. In quel momento lo Spirito di Dio suggerì a Samuele: « Ecco l’uomo che avrà potere sul mio popolo ». Samuele gli disse che le asine erano state ritrovate, e Saul accettò di passare la notte con lui. Quando fu l’aurora, Samuele svegliò Saul, lo accompagnò fin fuori dalla città, poi comandò: « Ora fermati. Ti manifesterò la Parola del Signore ». Prese l’ampolla dell’olio che aveva con sé, la versò sulla testa di Saul, lo bacio e gli disse: « Il Signore ti ha consacrato capo d’Israele. Tu libererai il popolo del Signore dai suoi nemici ». E avrebbe avuto un segno tornando a casa: un uomo avrebbe offerto due pani e lo Spirito di Dio lo avrebbe trasformato. « Va’ poi a Gàlgala e aspetta sette giorni; io verrò e ti dirò ciò che dovrai fare ». Saul e il suo servo stavano arrivando a Gàbaa, ed ecco una schiera di profeti scendere dall’altura suonando timpani, flauti e cetre. In quel’istante lo Spirito di Dio investì Saul, ed Egli si mise a fare il profeta in mezzo a loro. La gente che lo vedeva fare il profeta, diceva: « Ma che cosa è successo al figlio di Kis? ». Anche lo zio se ne preoccupò e cerco di scoprire perché avvenissero in Saul quelle cose meravigliose. La sua curiosità crebbe quando venne a sapere che era stato Samuele. Allora insistette: « Su, raccontami quello che ti ha detto il veggente ». « Ci ha assicurate che le asine erano state ritrovate ». Ma Saul non disse che l’aveva unto Re d’Israele. Samuele riunì Israele a Mispa e annunciò: « Il Signore Dio dice: Io ho fatto uscire Israele dall’Egitto e l’ho liberato dai suoi oppressori. Voi oggi rinnegate il vostro Dio e dite: Dacci un re! Ora presentatevi a Dio distinti per tribù e famiglie ».Furono gettate le sorti e la sorte cadde su Saul, della tribù di Beniamino. Ma Saul non si vedeva! Lo cercarono e lo trovarono nascosto tra i bagagli. Fu presentato a Israele: Saul era bello e tanto alto che superava dalla spalla in su ogni altro uomo. E Samuele proclamò: « Ecco l’eletto del Signore! Nessuno è come lui! ». Tutto il popolo, esultante, acclamò: « Viva il re! Viva il re! ».

81

Samuele andò a Gàlgala per inaugurare il regno, e tutto il popolo lo riconobbe re d’Israele. In quel giorno Samuele ricordò ai figli d’Israele le meraviglie dell’amore di Dio per loro, e disse: « Ora volete un re. Eccolo! Se temerete il Signore, voi e il vostro re vivrete in Dio. Ma se non ascolterete Dio, sarete oppressi dai nemici. Osservate adesso che cosa fa il Signore affinché sappiate che avete peccato a chiedere un re ». Samuele pregò Dio e subito il cielo si coprì di nubi e cadde la pioggia torrenziale. Il popolo temette il Signore e Samuele aggiunse: « Ora sapete! Ma per il futuro, servite Dio con tutto il cuore, ed Egli vi salverà ». I Filistei avevano accerchiato Gàbaa, la città di Saul. Un giorno Giònata, figlio di Saul, disse allo scudiero: «Usciamo di qui e facciamoci vedere dai Filistei. Se diranno: Venite su! Vorrà dire che Dio è con noi ». I Filistei videro Giònata e lo scudiero sporgere da uno sperone della roccia e gridarono: « Salite da noi, che abbiamo qualcosa da dirvi ». Giònata allora disse al suo scudiero: «Sali dopo di me, perché il Signore li ha consegnati nelle mani d’Israele». Giònata si arrampicava con le mani e con i piedi e lo scudiero lo seguiva; quelli cadevano davanti a Giònata e, dietro, lo scudiero li finiva. La postazione fu in grande scompiglio. Saul avvertito dell’audacia dell’impresa di Gionata, corse in aiuto, imponendo ai soldati di non assaggiare nulla fino alla vittoria. Raggiunta Àialon, Saul concesse una pausa, poi propose di continuare l’inseguimento fino al mattino. Il sacerdote consigliò Saul di interrogare il Signore. Saul lo fece, ma quel giorno non ebbe risposta. Allora fece venire i capi del popolo e disse: « Si cerchi chi ha peccato e quell’uomo morra! ». Fece tirare le sorti tra lui e suo figlio Giònata; la sorte cadde su suo figlio. Saul turbato, disse: « Raccontami ciò che hai fatto ». Giònata disse che aveva assaggiato in poco di miele, ignorando la proibizione del re. Saul, per rispetto al giuramento, avrebbe fatto uccidere il figlio, ma i capi si opposero, perché quel giorno Giònata aveva salvato Israele. Secondo il comando che aveva ricevuto dal Signore, Saul era andato a combattere gli Amaleciti, però aveva preso vivo il loro re, Agag, e tenuto il bestiame più bello per offrirlo a Dio. Ma il Signore disse a Samuele: « Mi pento di aver costituito Saul, sopra Israele; Egli non ha obbedito alla mia parola ». Samuele, angosciato, pregò per tutta la notte, poi andò a Gàlgala da Saul, e udendo belati e muggiti disse: « Dio ti ha mandato a distruggere tutto ciò che era degli Amaleciti: tu non l’hai fatto! Il Signore preferisce l’obbedienza ai sacrifici. Tu hai respinto la parola del Signore; e Dio respinge te come re del suo popolo ».Ho peccato! Ho disobbedito al comando del Signore. Ma ora perdona il mio peccato e ritorna con me ». Samuele gli disse: « Non posso! Tu hai rigettato Dio, e Dio rigetta te ».

82

Samuele si voltò per andarsene, ma Saul gli afferrò un lembo del mantello e lo tenne finché si strappò. Samuele allora gli comunicò: « Così il Signore ha strappato da te il regno e l’ha dato a uno migliore di te ». Saul si sentì profondamente ferito, e implorò: « Ho peccato, è vero; ma onorami davanti Israele ». Samuele si fece vedere con Saul per non togliergli l’autorità davanti ai Capi e al suo popolo d’Israele.

1 Samuele 8-10.12.14-15

83

Samuele prese il corno dell’olio e lo unse in mezzo ai suoi

fratelli, e lo spirito del Signore irruppe su Davide da quel

giorno in poi.

84

Davide consacrato Re E Samuele pianse per Saul senza darsi pace. Il Signore disse a Samuele: «Fino a quando piangerai su Saul,

mentre io l’ho ripudiato perché non regni su Israele? Riempi

d’olio il tuo corno e parti. Ti mando da Iesse il Betlemmita,

perché mi sono scelto tra i suoi figli un re». Samuele rispose:

«Come posso andare? Saul lo verrà a sapere e mi ucciderà». Il

Signore soggiunse: «Prenderai con te una giovenca e dirai: “Sono venuto per

sacrificare al Signore”. Inviterai quindi Iesse al sacrificio. Allora io ti farò conoscere

quello che dovrai fare e ungerai per me colui che io ti dirò». Samuele fece quello che

il Signore gli aveva comandato e venne a Betlemme; gli anziani della città gli vennero

incontro trepidanti e gli chiesero: «È pacifica la tua venuta? ». Rispose: «È pacifica.

Sono venuto per sacrificare al Signore. Santificatevi, poi venite con me al sacrificio».

Fece santificare anche Iesse e i suoi figli e li invitò al sacrificio. Quando furono

entrati, egli vide Eliàb e disse: «Certo, davanti al Signore sta il suo consacrato!». Il

Signore replicò a Samuele: «Non guardare al suo aspetto né alla sua alta statura. Io

l’ho scartato, perché non conta quel che vede l’uomo: infatti l’uomo vede

l’apparenza, ma il Signore vede il cuore». Iesse chiamò Abinadàb e lo presentò a

Samuele, ma questi disse: «Nemmeno costui il Signore ha scelto». Iesse fece passare

Sammà e quegli disse: «Nemmeno costui il Signore ha scelto». Iesse fece passare

davanti a Samuele i suoi sette figli e Samuele ripeté a Iesse: «Il Signore non ha scelto

nessuno di questi». Samuele chiese a Iesse: «Sono qui tutti i giovani?». Rispose

Iesse: «Rimane ancora il più piccolo, che ora sta a pascolare il gregge». Samuele

disse a Iesse: «Manda a prenderlo, perché non ci metteremo a tavola prima che egli

sia venuto qui». Lo mandò a chiamare e lo fece venire. Era fulvo, con begli occhi e

bello di aspetto. Disse il Signore: « Alzati e ungilo: è lui!». Samuele prese il corno

dell’olio e lo unse in mezzo ai suoi fratelli, e lo spirito del Signore irruppe su Davide

da quel giorno in poi. Samuele si alzò e andò a Rama.

1 Samuele 16

85

Davide prendeva in mano la cetra e suonava. Saul si

calmava e si sentiva meglio e lo spirito cattivo si ritirava da

lui.

86

Davide entra al servizio di Saul Lo spirito del Signore si era ritirato da Saul e cominciò a turbarlo un cattivo spirito, venuto dal Signore. I servi ne ebbero pena e gli dissero: « Lascia che cerchiamo un bravo suonatore di cetra, che col suono allontani da te la tristezza ». Saul accettò e spedì dei messi a dire a Iesse: « Mandami tuo figlio, quello che sta col gregge ». Avevano infatti riferito a Saul che quel giovane sapeva suonare bene ed era anche forte e coraggioso. Iesse prese un asino, del pane, un otre di vino e un capretto e, per mezzo di Davide,

suo figlio, li inviò a Saul. Davide giunse da Saul e cominciò a stare alla sua presenza.

Questi gli si affezionò molto ed egli divenne suo scudiero. E Saul mandò a dire a

Iesse: «Rimanga Davide con me, perché ha trovato grazia ai miei occhi». Quando

dunque lo spirito di Dio era su Saul, Davide prendeva in mano la cetra e suonava.

Saul si calmava e si sentiva meglio e lo spirito cattivo si ritirava da lui.

1 Samuele 16

87

Davide gli si pose davanti: cacciò la mano dalla bisaccia, ne

trasse una pietra, la lanciò con la fionda e colpì Golia in

fronte.

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Davide sconfigge Golia Al tempo in cui regnava Saul, avvenne che i Filistei si ammassarono a Soco di Giuda, e, invece di uscire in battaglia, proposero un duello tra un israelita e il loro campione Golia di Gat. Golia era un vero gigante, alto e grosso, e ricoperto dalla testa ai piedi di un armatura di ferro. Egli avanzava verso Israele, e gridava: « Su, scegliete un uomo che venga a battersi con me! Se mi abbatterà, noi saremo vostri servi; se invece vincerò io, sarete voi nostri servi. Forza! Datemi quest’uomo e combatteremo insieme! ». Saul e tutto il suo esercito sentivano le parole del filisteo e ne restavano terrorizzati, così che nessuno osava uscire a sfidarlo. I fratelli erano anch’essi nell’esercito, e il padre lo mandava a rifornirli di pane e a portare in dono al Re delle forme di cacio. Una volta Davide arrivò al campo mentre i due eserciti si schieravano l’uno di fronte all’altro. Corse tra le file e domandò ai fratelli come stavano. Ed ecco il gigante avanzare e lanciare la sfida: ed ecco i capi di Israele incitare a raccoglierla, promettendo a nome del Re l’esenzione dalle tasse e in moglie la figlia stessa di Saul. Le promesse del Re sembravano a Davide troppo grandi; perciò continuava a domandare ai soldati: « Che farà il Re a colui che vincerà questo filisteo? ». La risposta era sempre la stessa. Riferirono al re che Davide era interessato alla sfida. Saul lo fece venire e Davide e gli disse: «Non temere! Io andrò e abbatterò questo filisteo ». Saul rispose a Davide: « Non puoi batterti con lui; tu sei solo un ragazzo! ». Ma Davide, che sapeva parlare molto bene lo convinse: « Quando era pastore, se veniva un leone o un orso a rapire una pecora, io lo abbattevo e lo uccidevo. Dio mi salverà anche dalle mani di quest’uomo, che ha insultato le schiere del Dio d’Israele ». « Ebbene, va’! – disse Saul – il Signore sia con te ». Davide, preso il bastone da pastore, scese al torrente, scelse cinque pietre lisce e le pose nella bisaccia, e roteando come per gioco la fionda, andò incontro a Golia, che scrutatolo bene, gridò: « Sono forse un cane che tu venga a me con un bastone? Fatti sotto! Voglio darti in pasto agli avvoltoi ». E Davide rispose con fierezza: « Tu vieni a me con la potenza delle tue armi. Io vengo a te nel nome del Signore Dio d’Israele ». Il filisteo si mosse, e Davide gli si pose davanti: cacciò la mano dalla bisaccia, ne trasse una pietra, la lanciò con la fionda e colpì Golia in fronte. Il gigante cadde riverso; Davide gli fu sopra, gli tolse la spada, lo uccise e gli staccò la testa. I Filistei, visto a terra il loro eroe, fuggirono, e gli Israeliti riportarono una vittoria che potevano attribuire solo al Signore Dio d’Israele.

1 Samuele 17

89

Davide uscì dal suo nascondiglio dietro la collinetta e corse

a incontrare l’amico; si abbracciarono come se non si

vedessero da anni; erano, invece solo tre giorni, ma per

l’angoscia causata dall’odio di Saul, un giorno era per loro

un’eternità.

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Davide perseguitato da Saul

Seguirono i festeggiamenti e Davide diventò il beniamino dei cantastorie. Si cantava infatti: « Saul ha ucciso i suoi mille; Davide i suoi diecimila ». Le lodi fatte a Davide ferirono l’orgoglio del Re, che da allora fu geloso di lui. Il giorno dopo, mentre Davide suonava per calmarlo, Saul impugnò la lancia e la scagliò, gridando: « Voglio colpire Davide e inchiodarlo al muro! ». Ma Davide gli sfuggì davanti con prontezza per ben due volte. Saul comprese che il Signore proteggeva Davide. Allora lo mise nel pericolo, nominandolo capo di un gruppo di soldati. Ma Dio era con Davide! Perciò ogni impresa gli riusciva. E Israele lo amava. Più di tutti lo amava Mical, la figlia minore del Re. Saul lo seppe, e, accertatosi che Davide avesse ucciso i cento Filistei richiestegli come prezzo di nozze, gli diede in sposa Mical. Ma quella notte stessa Saul convocò le sue spie e le mandò a tendergli un agguato per ucciderlo. Quelle andarono e si appostarono nell’oscurità. Mical intuì ciò che stava accadendo e disse a Davide: « Dammi retta: fuggi, altrimenti ti uccideranno. Ti pregò: fa’ come ti dico! ». La finestra era aperta: Davide si lasciò calar giù, e,di corsa, si allontanò nella notte e andò a Rama. Era salvo! Dio vegliava sul suo consacrato. Mical si chiuse in casa e lavorò tutta la notte. Il mattino dopo, ecco le spie di Saul si presentarono per prendere Davide; ma Mical disse: « Mio marito è malato. Dite al Re che non può venire ». I messi riferirono ciò che Mical aveva detto, ma Saul non si arrese, e comandò: « Portatemi Davide a costo di trasportarlo qui nel suo letto. Voglio toglierlo di mezzo! ». Entrati nella camera degli sposi, quegli uomini trovarono Davide ben avvolto nelle coperte, dalla quali sbucava solo qualche ciuffo di capelli. Strapparono via le coperte, ed ecco: c’era solo una statua con la testa fasciata di pelle di capra. Furono presi da grande paura e da vergogna. Dopo quei fatti Davide non si presentò a tavola e Saul se la prese con Gionata perché difendeva Davide. Gionata, infatti, amava Davide come se stesso, e si era già accordato con lui per fargli conoscere le intenzioni del Re. Perciò rispose al padre: « Perché vuoi ucciderlo? Che cosa ha fatto? ». Saul, cieco d’ira, afferrò la lancia per colpirlo. Gionata capì che aveva cattive intenzioni. Prese l’arco e andò in campagna con un fanciullo; e scoccò la freccia; poi gridò perché Davide sentisse: « Corri, corri svelto! La freccia è più avanti di te! ». Era la frase convenuta con Davide per avvisarlo che il Re aveva deciso la sua morte. Gionata consegnò le armi al ragazzo e lo mandò a casa. Davide uscì dal suo nascondiglio dietro la collinetta e corse a incontrare l’amico; si abbracciarono come se non si vedessero da anni; erano, invece solo tre giorni, ma per l’angoscia causata dall’odio di Saul, un giorno era per loro un’eternità. Gionata e Davide piansero a lungo, stretti l’uno all’altro, poi Gionata disse all’amico: « Va’ in pace! Ma ricordati che mi hai giurato che quando il Signore avrà sterminato i

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tuoi nemici, tu non lo eliminerai il nome di Gionata dalla tua casa Ora va’! E Dio sia con te, con la mia discendenza e con la tua discendenza per sempre ». Davide con i pochi uomini che erano con lui, si fermò a Nob dal sacerdote Achimèlec e gli disse: «Ti prego: se hai del pane o altro per sfamarci, daccelo! Siamo stanchi ed affamati ». Achimèlech gli rispose che l’ha c’erano solo i pani, tolti dalla presenza del Signore. Davide e i suoi figli uomini mangiarono il pane sacro. Poi Davide chiese ad Achimèlech: « Non hai qui, per caso, una lancia o una spada? Sono partito di urgenza e non ho preso armi ». Il sacerdote disse: « C’è solo la spada di Golia. È là dietro, avvolta in un drappo; prendila! ». Non c’era arma migliore di quella! Davide non se lo fece ripetere; e la portò con sé. Il ministro Doeg, che aveva assistito alla scena, riferì al re le gentilezze usate dal sacerdote a Davide. Allora Saul fece venire Achimèlech e tutti i sacerdoti che erano a Nob, e disse: « Tu ti sei accordato con il mio nemico; gli hai dato pane e spada e per lui hai anche consultato il Signore ». Achimèlech confessò di aver fatto tutto ciò di cui il re lo accusava, ma disse di non sapere che Davide fosse suo nemico. E Saul disse: « Morirete, tu e tutti i sacerdoti della tua casa ». E ordinò ai suoi ministri di uccidere quei sacerdoti. Nessuno volle commettere quel peccato. Venne Doeg e uccise tutti gli abitanti di Nob, città sacerdotale. Alla strage dei sacerdoti sfuggì solo Ebiatàr, figlio di Achimèlech, che raggiunse Davide nella foresta di Cheret. Stringendo tra mano l’efod, che suo padre usava per consultare il Signore, Ebiatàr narrò che Saul aveva ucciso i sacerdoti del Signore e distrutto Nob. Davide si addolorò profondamente per l’atto sacrilego compiuto dal Re, e disse a Ebiatàr: « Sapevo che Doeg avrebbe riferito tutto a Saul. Io sono responsabile di questi sacerdoti uccisi. Rimani con me e non aver paura: chiunque vorrà la tua vita, vorrà la mia! Tu sarai presso di me come un deposito da custodire ». Ed Ebiatàr rimase con Davide.

Saul non cessò di dare la caccia a Davide e ai pochi uomini fidati che erano con lui. Avrebbe voluto raggiungerlo a Keila, la città che Davide aveva liberato dai Filistei, ma gli avevano detto che non c’era già più. Infatti Davide andava vagando per i monti di Giuda. Quando gli abitanti di Zif riferirono al re che il suo nemico era alla gola di Maon, Saul ne seguì le tracce e scoprì che avanzavano tutti e due nella stessa gola, ma sui due fianchi opposti. Davide si vide perduto! In quei giorni però rimbalzò una notizia: i Filistei hanno invaso il paese! Saul lasciò di inseguire Davide e si precipitò a respingere i Filistei. Ma quando ebbe respinto i Filistei nei loro paesi, Saul ritorno a inseguire Davide nel deserto di Engàddi. Un giorno il Re entrò in una grotta, dove erano nascosti Davide e i suoi uomini. Subito questi dissero a Davide: «Ecco hai il nemico in mano! Non fartelo scappare ». Davide si alzò, e con una mossa rapida e abile, tagliò un lembo del mantello del Re, ma proibì ai soldati di toccare il consacrato del Signore. quando poi Saul fu lontano, Davide gli gridò: « O Re, ecco un lembo del tuo mantello! Non ti ho ucciso perché tu sei l’unto del Signore. E tu,

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perché mi insidi? Dio giudichi tra me e te ». E Saul preannunziò a Davide che sarebbe diventato Re.

Davide vagava nel deserto, ma si era accorto che Saul, accampato sull’altura di Achilà, lo insidiava. Una notte insieme con Abisài, penetrò nel campo. Il Re giaceva addormentato tra i carriaggi; la sua lancia era infissa a terra, a capo del letto; Abner e la truppa dormivano all’intorno. Abisai disse a Davide, accennando a Saul: « Lascia che lo inchiodi a terra con la lancia » « Non farlo! Non resteresti impunito » - disse Davide. Presero la lancia e la borraccia e si ritirarono. Quando fu abbastanza lontano, Davide, mostrando la lancia e la borraccia, gridò al Re: «Avrei potuto ucciderti, ma la tua vita mi è preziosa ». Saul si pentì del suo peccato e benedì Davide.

I Filistei, intanto, avevano posto il campo a Sunem. E Saul aveva appostato l’esercito sul monte Gèlboe. Volendo conoscere la volontà del Signore, andò da una indovina affinché gli evocasse Samuele. La donna riconobbe Saul e si spaventò perché sapeva che il Re aveva proibito di evocare i morti. Ma Saul le promise di non farle alcun male. Allora l’indovina mise in atto la sua arte, ed ecco: apparve Samuele e disse a Saul: « Perché consulti me, se Dio si è allontanato da te? Dio dà il regno a Davide. Domani tu e tuoi figli sarete con me e Israele sarà vinto dai Filistei ». Saul cadde a terra tramortito da queste parole. Saul tornò dai suoi soldati e la battaglia sia accese. I Filistei che, conoscendo l’arte del ferro, avevano lance a frecce in quantità, colpirono a morte Giònata, Abinadàb e Malchisuà, i figli di Saul. Allora Saul disse al suo scudiero: «Sfodera la spada e trafiggimi, prima che vengano quegli incirconcisi a trafiggermi e a schernirmi». Ma lo scudiero non volle, perché era troppo spaventato. Allora Saul prese la spada e vi si gettò sopra. Quando lo scudiero vide che Saul era morto, si gettò anche lui sulla sua spada e morì con lui. Così morirono insieme in quel giorno Saul e i suoi tre figli, lo scudiero e anche tutti i suoi uomini. L’esercito di Israele si dette alla fuga spargendo la notizia della morte del Re e dei figli. I nemici, cessata la battaglia, vennero al campo, e, trovati morti Saul e i figli, ne appesero i corpi alle mura di Bet-Sean. Ma i cittadini di Iabes di Gàlaad, riconoscenti a Saul, sottrassero i corpi e diedero ad essi sepoltura.

1 Samuele 18-24.26.28.31

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Il Re vi si stabilì sulla roccaforte di Sion, e vi iniziò delle

costruzioni così imponenti che presto la rocca fu chiamata

«città di Davide».

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Davide Re di Giuda e d’Israele Dopo questi fatti, Davide ebbe ordine dal Signore di salire ad Ebron, una città della tribù di Giuda. Egli obbedì e vi andò con la sua famiglia, con i suoi guerrieri e con le loro famiglie. Allora i capi delle tribù di Giuda salirono anch’essi a Ebron e unsero Davide loro Re. Abner, invece, prese Is-baal, figlio di Saul, e lo costituì Re su Gàlaad, su Efraim e su Beniamino. Si erano costituiti come due piccoli regni: uno a sud, detto regno di Giuda, con Re Davide, l’altro a nord, detto regno di Israele, con Re Is-baal. Ma i due regni fratelli si facevano guerra tra loro. Allora Abner, ricordando le promesse di Dio a Davide, invitò i capi d’Israele a sottomettersi a lui. Allora essi, presentatisi a Davide gli dissero: «Ecco, tu sei uno di noi e Dio ti ha giurato: Tu sarai Re sul mio popolo Israele! Per questo noi vogliamo fare alleanza con te ». Davide concluse un patto con loro e fu Re d’Israele. Poi Davide con tutto il popolo marciò su Gerusalemme per farne il centro del regno. I Gesubei che l’abitavano, dissero: « Non entrerai! ». Davide, invece, promise ai suoi uomini: « Chi colpirà per primo i Gesubei, diventerà capo ». Vi salì per primo Ioab, e Davide lo fece capo. Il Re vi si stabilì sulla roccaforte di Sion, e vi iniziò delle costruzioni così imponenti che presto la rocca fu chiamata «città di Davide». Profezia di Natan e preghiera di Davide.

Poiché dal tempo di Saul non si era più pensato all’arca, Davide stabilì di portarla in città. Fece preparare la tenda sulla rocca di Sion, e, accompagnato da una folla immensa, andò a prenderla nella casa di Obed-Edom, dove rimase tre mesi, poi, tra i canti di gioia e suono di strumenti, la fece portare nella città di Davide. Il re suonava e danzava davanti al Signore, cantando gli inni che egli stesso aveva composto. Mical, sua moglie, lo disprezzò perché si comportava come un uomo qualunque, ma Davide non le badò: egli sapeva di essere un semplice pastore che Dio aveva unto Re perché guidasse il popolo. Davide viveva in pace a Gerusalemme, dove aveva fatto trasportare l'Arca dell'Alleanza. Un giorno chiamò il profeta Natan e gli disse: « Ecco: io sto in un bel palazzo, mentre l'Arca del Signore è ancora sotto una tenda. Voglio costruire una casa, cioè un grande tempio, anche per il Signore». Natan, che come tutti i profeti parlava a nome di Dio, gli disse: «Non preoccuparti di costruire un tempio: il Signore non te l'ha chiesto. Anzi, egli ti fa una promessa. Il tempio lo costruirà tuo figlio Salomone, che sarà re dopo di te; e anche dopo Salomone a Gerusalemme regneranno i tuoi discendenti. Il tuo trono sarà stabile per sempre». Davide allora si recò davanti all'Arca, alla presenza del Signore, e disse: «Chi sono io, Signore, perché tu mi colmassi di tanti favori? E questo è parso ancora

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poco ai tuoi occhi: ecco che garantisci la mia discendenza anche per un lontano avvenire. Tu sei davvero grande Signore Dio!» La profezia si è avverata con Gesù, discendente di Davide e figlio di Dio: egli è il Re dell'universo, e il suo regno è senza fine: il suo trono è stabile per sempre.

Davide domandò ai suoi ministri: « C’è qualcuno della discendenza di Saul, al quale io possa far del bene per amore di Gionata? ». Gli fu detto che era ancora vivo un figlio di Gionata. Davide fece venire Merib–Baal che era storpio, e disse: « Non temere. Io voglio trattarti con bontà per amore di Gionata tuo padre. A te restituisco tutti i campi di Saul, e tu mangerai per sempre alla mia tavola ». Fatto poi chiamare Siba, servo di Saul, il Re ordinò: « Tu con i tuoi figli e i tuoi schiavi, lavorerai le terre di Merib-Baal e ne raccoglierai i prodotti perché la tua casa abbia pane e nutrimento ». Siba giurò che avrebbe fatto quello che il Re voleva.

2 Samuele 6-7.9

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Re Davide continuò per tutta la vita a comporre poesie, che

cantava accompagnandosi con la cetra.

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Davide canta accompagnato dalla cetra Re Davide continuò per tutta la vita a comporre poesie, che cantava accompagnandosi con la cetra. Ascolta questo salmo - così si chiamano le sue composizioni - pieno di felicità per la protezione che il Signore manifesta a chi si rivolge a lui con fiducia. «Il Signore è il mio pastore: non manco di nulla; su pascoli erbosi mi fa riposare, ad acque tranquille mi conduce. Mi rinfranca, mi guida per il giusto cammino, per amore del suo nome.» Dio conosce a fondo il cuore del uomo: Davide lo sa, e così canta la sua riconoscenza: «Signore, tu mi scruti e mi conosci, tu sai quando mi seggo e quando mi alzo, quando cammino e quando riposo. Dove andare lontano da te? Se salgo in cielo, là tu sei, se scendo negli abissi, eccoti. Se prendo le ali dell'aurora per abitare all'estremità del mare, là mi guida la tua mano. Per te le tenebre sono luce e la notte è chiara come il giorno.»

Salmi 22 e 138

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Terminati i giorni del lutto, Davide mandò a prendere

Betsabea e l’accolse in casa sua.

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Davide peccatore e penitente. La profezia di Natan Avvenne che mentre Israele faceva guerra agli Ammoniti, Davide restasse a Gerusalemme. Un pomeriggio vide dalla terrazza una donna che faceva il bagno. Era Betsabea, la bella moglie di Uria, il quale era in guerra nell’esercito di Ioab. Davide la volle alla reggia per averla in moglie., e diede ordine a Ioab di mettere Uria in prima fila, dove la battaglia era più accesa. Ioab così fece. E in un attacco, i nemici uccisero Uria e altri capi. Quando la notizia giunse a Gerusalemme, Betsabea che amava il marito, lo pianse a lungo. Terminati i giorni del lutto, Davide la mandò a prendere e l’accolse in casa sua. Ma Davide aveva fatto il male davanti al Signore. Dio mandò il profeta Natan a dire a Davide: « C’erano due uomini: uno ricco, aveva pecore e buoi e uno povero che possedeva solo una pecorella. L’uomo ricco ricevette la visita di un amico e, per preparargli la cena, si prese l’unica pecora dell’uomo povero ». Davide si accese d’ira e disse: « È un’ingiustizia! Quell’uomo merita la morte. Chi è? ». « Tu sei quell’uomo! – disse Natan- Tu che hai tutto, hai ucciso Uria per prendergli la moglie. Per questo i tuoi figli moriranno di spada ». Davide si pentì e pregò: « Abbi pietà di me, o Dio! Io ho peccato contro di te. Fammi puro il cuore ». La profezia di Natan non tardò ad avere compimento, e Assalonne uccise di spada il fratello Amnòn. Davide pianse la morte del suo primogenito Amnòn, ed il suo cuore era in rivolta contro Assalonne, che se ne era andato a Ghesur, dal Re Talmài. Dopo tre anni il Re richiamò Assalonne a Gerusalemme. Ma quando lo seppe in città, disse a Ioab: « Perché sono ritornato da Ghesur? Voglio vedere mio padre. Se no mi faccia morire ». Il Re seppe del desiderio del figlio, lo fece venire a corte e lo accolse con tenerezza. Ma Assalonne cercava di mettere disordine e di spingere il popolo contro suo padre per farsi proclamare Re d’Israele. Era riuscito a trarre dalla sua parte perfino Achitòfel, consigliere del Re. Un informatore venne da Davide e gli disse: « Il cuore degli Israeliti si è volto verso Assalonne ». Il Re allora convocò i ministri e disse: « Fuggiamo di qui prima che Assalonne giunga in città e la colpisca per causa mia ». Accompagnato da tutto il popolo il Re scese alla Valle del Cedron, la attraversò e prese la via del deserto, ma diede ai sacerdoti l’ordine di riportare l’arca in città. Mentre saliva l’erta del monte degli Ulivi Davide era oppresso dalla tristezza e piangeva. Ad un certo punto gli venne incontro Siba. Aveva un paio di asini carichi di ceste di pane, di uva e di altra frutta secca e un otre di vino. Egli confortò il Re dicendo: « Gli asini serviranno a te per ritornare alla reggia, il pane, la frutta e il vino per sfamarvi nel viaggio ».

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Davide gradì l’aiuto che offriva Siba. Ma ecco arrivare Simei, che gettando sassi, imprecava e malediceva il Re. I ministri volevano ucciderla, ma Davide disse: «Lasciate che maledica! Forse Dio guarderà al mio dolore e mi farà del bene invece di maledirmi ». Davide rimandò alla reggia Cusài affinché gli riferisse sui movimenti del figlio e di Achitòfel. Cusài andò da Assalonne e acclamò: « Viva il Re! Viva il Re!». Assolonne si stupì di udirlo gridare così e disse: « Questa è la fedeltà che hai per il tuo amico? Perché non sei andato con lui? ». E Cusài rispose ad Assalonne: « Io sono per colui che il Signore ha scelto!». E rimase presso Assalonne, e per i suoi consigli Davide non venne ucciso quella notte stessa. Egli mandò a dire a Davide: « non fermarti ai guadi, ma attraversa il fiume ». E Davide con tutta la sua gente passò il Giordano. Assalonne passò anche lui il Giordano e andò a combattere contro suo padre. Davide aveva ordinato ai capi Ioab, Abisai e Ittài: « Trattatemi con riguardo il giovane Assalonne». L’esercito uscì in battaglia contro Assalonne. Ci fu uno scontro furibondo! Assalonne cavalcava il suo mulo brandendo la spada, quando giunto un folto terebinto, si impigliò con la capigliatura tra i rami dell’albero, mentre il mulo proseguiva la sua strada. Un soldato corse ad avvisare Ioab cha Assalonne era sospeso ai rami del terebinto. Ioab accorse e immerse tre frecce nel cuore di Assalonne. Poi suonò la tromba e i soldati smisero l’inseguimento. Ioab mandò un etiope a portare la triste notizia. Giunto davanti al Re il soldato disse: «Buone notizie per il Re! Oggi il Signore ti ha reso giustizia liberandoti da coloro che erano insorti contro di te ». Davide sollecitò l’etiope: « Il giovane Assalonne sta bene? ». E l’etiope: « Diventino come quel giovane quelli che insorgono contro di te per farti del male! ». Allora il re capì, fu scosso da un tremito e, piangendo di dolore, andava esclamando: « Figlio mio! Assalonne, figlio mio! Fossi morto io! ». La vittoria si cambiò in lutto, e i combattenti rientrarono in città avviliti per la tristezza del Re. Davide lasciò Macanàim per ritornare a Gerusalemme. Al Giordano gli venne incontro la gente di Giuda, e Simèi che si era pentito dell’offesa fatta al Re, e Zibà che aiutò la famiglia del Re a passare il fiume. Ma venne incontro a Davide anche Meri-Baal: aveva i capelli, la barba e i vestiti trascurati perché da quando il Re era fuggito dalla reggia, egli non aveva più curato la sua persona. Disse: « Volevo venire anch’io con te, mio signore; ma Siba mi ha ingannato e calunniato davanti a te. Tu, ora, fa come credi meglio ». Il Re fu benevolo anche con Meri-Baal. Quella vittoria gli era costata la vita del figlio: nella sua bontà non voleva far soffrire altre persone. Poi Dio concesse a Davide altre brillanti vittorie sui Filistei, i Moabiti, gli Edomiti e i Re vicini. Finalmente il paese ebbe pace. Allora il Re si dette a organizzare Israele per farne un regno unito da Dan fino a Bersabea sotto l’autorità di un solo Re e con Gerusalemme come centro religioso e politico. Distribuì tra i suoi ministri i compiti

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per il servizio del Re e dei figli d’Israele; organizzò i Leviti per culto del Santuario, scegliendo tra loro i sacerdoti, i cantori, i portieri e i custodi dei grandi tesori sottratti ai nemici e che poi offrì per la costruzione del Tempio. E Israele amava il suo Re così saggio e buono.

2 Samuele 11-19

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Un giorno il Re Davide volle conoscere di quanti uomini

poteva disporre in caso di guerra; perciò comandò a Ioab,

capo del suo esercito, di fare il censimento di tutte le tribù

d’Israele. Ma dopo che lo ebbe fatto, Davide si sentì in

colpa, perché Israele era il popolo di Dio e non di un uomo.

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Davide fa il censimento del popolo di Israele. Un giorno il Re Davide volle conoscere di quanti uomini poteva disporre in caso di guerra; perciò comandò a Ioab, capo del suo esercito, di fare il censimento di tutte le tribù d’Israele. Ma dopo che lo ebbe fatto, Davide si sentì in colpa, perché Israele era il popolo di Dio e non di un uomo. Anche il profeta Gad glielo rimproverò, dicendogli: « Hai peccato! Il Signore punisce la tua colpa. Scegli tra la carestia, la guerra e la peste ». Davide scelse la peste che uccise molti Israeliti. Ma quando vide stendere la mano per colpire Gerusalemme di peste, pregò con umiltà: « Signore, io ho peccato. Questa gente è innocente! Punisci me e la mia famiglia ». Il profeta Gad ordinò a Davide di offrire un sacrificio, e il Re andò da Araunà il gebuseo a chiedergli l’aia perché aveva visto l’angelo alzarsi in quel luogo. All’arrivo del Re, Araunà si prostrò e domandò: « Per quale motivo il re viene dal suo servo? ». Davide gli spiegò che intendeva comperare l’aia e innalzarvi un altare affinché Dio facesse cessare il flagello della peste. Araunà gli cedette l’aia: anzi avrebbe voluto regalare i buoi e la legna per l’olocausto. Ma il Re rispose: « No! Acquisterò da te queste cose per il loro prezzo e non offrirò sacrifici che non mi costano nulla ». E pagò l’aia e i buoi a peso d’argento. Davide costruì in quel luogo un altare al Signore e vi offrì olocausto e sacrifici di comunione. Là invocò il nome del Signore Dio d’Israele che gli rispose mandando dal cielo un fuoco a consumare l’olocausto. Il flagello cessò e gli abitanti di Gerusalemme non furono toccati. Davanti all’opera del Signore, il Re esclamò: « Questa è la casa del Signore; questo è l’altare per gli olocausti d’Israele ». Da quel giorno Davide iniziò i preparativi per costruire il Tempio di Gerusalemme. E il Re di Tiro venne in suo aiuto mandandogli operai specializzati e legname prezioso. La vita che Davide aveva vissuto era stata dura; le ansie e la vita raminga causatagli dall’odio di Saul e dall’invidia dei nemici d’Israele aveva indebolito il suo fisico. Egli ormai trascorreva le sue giornate a letto, incapace di muoversi e di agire. La cura della sua persona era affidata ad Abisag, una ragazza di Sunem, giudiziosa e molto bella, che serviva il Re con l’amore di una figlia. Ma dal suo letto, Davide continuava a reggere Israele, a sopportare le discordie e le ribellioni dei figli, in particolare di Adonìa, che diceva: « Voglio essere Re d’Israele al posto di mio padre! ». Davide ne soffriva ma non riusciva a rimproverarlo. Betsabea un giorno entrò nella camera del Re, si prostrò davanti a lui e disse: «Mio signore, tu mi giurasti che Salomone tuo figlio avrebbe regnato dopo di te. Ora, invece, Adonìa si è proclamato Re a tua insaputa. Re, mio signore, tutto Israele attende che tu annunci chi siederà sul trono dopo di te ».

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Entrò poi Natan e portò al Re la stessa notizia: «Adonìa si è fatto proclamare re da Ioab e da Ebiatar ». Davanti a Natan e a Betsabea, Davide disse: « Ho giurato e giuro anche oggi che Salomone siederà sul mio trono e regnerà dopo di me ». E diede ordini precisi al sacerdote Sadòk e a Benaìa perché Salomone fosse proclamato Re d’Israele.

2 Samuele 24 e 1 Re 1

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Salomone prese il posto di Davide, e il suo regno divenne

prospero e potente, perché il Signore era con lui.

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Salomone consacrato Re

Il re Davide si era fatto molto vecchio, e il suo figlio maggiore, Adonia, pensò di approfittarne per proclamarsi re. I personaggi principali del regno erano dalla sua parte, e così molti del popolo. Già da lungo tempo, però, re Davide aveva deciso che alla sua morte il suo posto doveva essere preso da un altro figlio, Salomone. Il profeta Natan allora mandò la madre di Salomone da Davide a ricordargli la promessa e a rivelargli i progetti di Adonia. Al sentire di Adonia, Davide chiamò il profeta Natan, il sacerdote Sadoc e Benaià e disse loro: «Prendete subito la mia guardia, fate salire Salomone sulla mia mula e scendete alla fonte di Ghicon: là consacrerete Salomone come re; poi farete suonare le trombe, e griderete: Viva il re Salomone!». Allora fecero montare Salomone sulla mula di Davide e il sacerdote Sadoc con Benaià e le guardie del Re lo accompagnarono alla fonte di Ghicon. Qui Sadoc prese il corno con l’olio dell’unzione e consacrò Salomone Re d’Israele. Le trombe squillarono a festa e tutti quelli che erano presenti acclamarono « Viva il Re Salomone! Viva il Re Salomone!». Poi al suono dei flauti e facendo risuonare i luoghi di grida e gioia, ripresero la strada per Gerusalemme, condussero Salomone alla reggia e lo fecero sedere sul trono che era stato di Davide affinché tutti vedessero che aveva preso il suo posto. Quando Davide sentì che la morte poteva giungergli da un momento all’altro, chiamò Salomone e lo consigliò sul modo di governare Israele. « Figlio, - disse – io sto per andare con i miei padri. Tu sii forte e mostrati uomo. Osserva la legge del Signore tuo Dio, affinché Egli possa mantenere la promessa che mi ha fatto: se i tuoi figli vivranno davanti a me con lealtà, su Israele regnerà sempre uno di loro. Agisci con saggezza; sii buono con coloro che mi hanno soccorso nelle mie sventure e sii giusto con chi ha ucciso gli innocenti ». Davide, il Re-Profeta, morì dopo quarant’anni di regno e fu sepolto nella «Città di Davide. Salomone prese il suo posto, e il suo regno divenne prospero e potente, perché il Signore era con lui.

1 Re 1-2

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La donna il cui figlio era vivo si rivolse al re e disse:

«Perdona, mio signore! Date a lei il bimbo vivo; non dovete

farlo morire!». L’altra disse: «Non sia né mio né tuo;

tagliate!». Presa la parola, il re disse: «Date alla prima il

bimbo vivo; non dovete farlo morire. Quella è sua madre».

Tutti gli Israeliti seppero della sentenza pronunciata dal re

e provarono un profondo rispetto per il re e lodarono Dio

per la sapienza data a Salomone.

108

Dio dona a Salomone la saggezza.

Il re Salomone si recò a Gàbaon, ad offrire un grande sacrificio

di ringraziamento al Signore. E il Signore quella notte gli

apparve in sogno e gli disse: «Chiedimi quello che desideri da

me». Salomone rispose: «Tu, mio Signore, sei stato tanto

buono con me da farmi divenire re al posto di mio padre

Davide. Ma io sono come un ragazzo, privo di esperienza per

governare bene il tuo popolo. Concedimi di essere saggio.» Al Signore piacque

questa richiesta, e rispose a Salomone: «Tu non mi hai chiesto una lunga vita, né la

ricchezza, né la sconfitta dei tuoi nemici, ma mi hai chiesto la saggezza per

governare degnamente il mio popolo: ecco, io ti dono un cuore saggio e intelligente,

e ti dono anche quello che non hai chiesto. Ti dono, insieme con la saggezza, la

ricchezza e la gloria e una lunga vita». Salomone si svegliò, tornò a Gerusalemme e si

recò davanti all'Arca dell'Alleanza, alla presenza del Signore. Offrì altri sacrifici al

Signore, e il Signore mantenne le sue promesse: Salomone regnò per quaranta anni,

e il suo regno fu saggio, ricco e glorioso.

Un giorno vennero dal re due donne e si presentarono innanzi a lui. Una delle due

disse: «Perdona, mio signore! Io e questa donna abitiamo nella stessa casa; io ho

partorito mentre lei era in casa. Tre giorni dopo il mio parto, anche questa donna ha

partorito; noi stiamo insieme e non c’è nessun estraneo in casa fuori di noi due. Il

figlio di questa donna è morto durante la notte, perché lei gli si era coricata sopra.

Ella si è alzata nel cuore della notte, ha preso il mio figlio dal mio fianco, mentre la

tua schiava dormiva, e se lo è messo in seno e sul mio seno ha messo il suo figlio

morto. Al mattino mi sono alzata per allattare mio figlio, ma ecco, era morto. L’ho

osservato bene al mattino; ecco, non era il figlio che avevo partorito io». L’altra

donna disse: «Non è così! Mio figlio è quello vivo, il tuo è quello morto». E quella, al

contrario, diceva: «Non è così! Quello morto è tuo figlio, il mio è quello vivo».

Discutevano così alla presenza del re. Il re disse: «Costei dice: “Mio figlio è quello

vivo, il tuo è quello morto”, mentre quella dice: “Non è così! Tuo figlio è quello

morto e il mio è quello vivo”». Allora il re ordinò: «Andate a prendermi una spada!».

Portarono una spada davanti al re. Quindi il re aggiunse: «Tagliate in due il bambino

vivo e datene una metà all’una e una metà all’altra». La donna il cui figlio era vivo si

rivolse al re e disse: «Perdona, mio signore! Date a lei il bimbo vivo; non dovete farlo

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morire!». L’altra disse: «Non sia né mio né tuo; tagliate!». Presa la parola, il re disse:

«Date alla prima il bimbo vivo; non dovete farlo morire. Quella è sua madre». Tutti

gli Israeliti seppero della sentenza pronunciata dal re e provarono un profondo

rispetto per il re e lodarono Dio per la sapienza data a Salomone.

1Re 3

110

Salomone poi si pose presso l'altare, e davanti a tutto il

popolo innalzò una preghiera al Signore. Disse: «Signore,

ascoltaci quando verremo in questo luogo a pregarti. Tu,

dal cielo, ascolta le nostre suppliche e perdona i nostri

peccati». Poi Salomone offrì un sacrificio al Signore e

benedisse il popolo.

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Salomone fa costruire il regno di Dio In quel tempo c’era in Gerusalemme tanta ricchezza perché da tutto Israele e dai paesi che erano stati assoggettati venivano pagati grossi tributi al Re. Salomone li usava per fortificare la città e costruire il tempio e la reggia. Spesso invitava al palazzo reale i suoi ministri e la gente del popolo, e offriva loro buone pietanze e vini inebrianti, e intanto li istruiva con i suoi saggi proverbi. La fama della sua sapienza e delle sue ricchezze varcò i confini d’Israele e giunse al Re d’Egitto, il quale fu molto felice di dare sua figlia in sposa a Salomone. Salomone fece anche alleanza con il Re di Tiro e gli scrisse che voleva edificare un tempio grande e bellissimo al Signore Dio d’Israele e una reggia per sé e per la sua famiglia. Perciò lo pregava di mandargli un uomo che sapesse lavorare l’oro e l’argento, e di fargli avere legno dei famosi cedri e abeti del Libano. Gli uomini di Tiro e d’Israele tagliarono molti di quegli alberi giganteschi e, facendoli rotolare lungo le pendici del monte, li portarono fino al mare, li caricarono sulle zattere e li trasportarono a Giaffa. Da qui Salomone li fece portare in città. Salomone sottomise al lavoro obbligatorio e pesante richiesto per la costruzione del tempio del Signore, tutti gli uomini che erano nel suo territorio ma che non appartenevano al popolo di Israele. Egli volle che il tempio fosse innalzato sul Moria, sull’aia che Davide aveva comperato da Ornan. Il disegno era quello stesso sul quale Mosè aveva eretto il Santuario nel deserto. Ma questo era tutto di legno e drappi; il tempio, invece, fu costruito con pietre pregiate e rivestito di legno di cedro e d’oro finissimo. Tutti gli oggetti per il culto del Signore erano d’oro e di bronzo e rifiniti con molta cura, perché il Re voleva che Dio fosse onorato degnamente. Dopo sette anni il tempio era terminato. Il grande tempio costruito da Salomone sul monte Sion, a Gerusalemme, era pronto: solenne, magnifico nella sua costruzione e nei suoi arredi. Era pronto, ma mancava l'essenziale per cui era stato costruito: l'Arca dell'Alleanza, su cui era l'invisibile presenza di Dio. Dal tempo del re Davide, l'Arca dell'Alleanza si trovava con la sua tenda a Gerusalemme. Il re Salomone, quando il tempio fu terminato, convocò gli anziani del popolo, i principi e i capi, e con grande solennità fece trasportare l'Arca dell’Alleanza nel tempio. I sacerdoti e i leviti la sollevarono, e con gran tripudio generale l'Arca fu trasportata nella parte più interna del tempio, il Santo dei Santi. Appena essi ne furono usciti, la gloria del Signore, sotto forma di una nube, riempì il tempio: il Signore prendeva possesso della sua dimora tra gli uomini. Il re poi si pose presso l'altare, e davanti a tutto il popolo innalzò una preghiera al Signore. Disse: «Signore, ascoltaci quando verremo in questo luogo a pregarti. Tu, dal cielo, ascolta

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le nostre suppliche e perdona i nostri peccati». Poi Salomone offrì un sacrificio al Signore e benedisse il popolo.

1 Re 6-9 Dovunque abitassero, anche molto lontano da Gerusalemme, gli Israeliti avevano come loro più grande desiderio di recarsi nella città santa, nel tempio del Signore dove si trovava l'Arca dell'Alleanza. Che cosa poteva esserci di più desiderabile? Ecco che allora tra il popolo di Israele era stato composto questo canto:

Salmo 84(83)

« Quanto sono amabili le tue dimore, Signore Dio dell'universo! L'anima mia è triste perché è lontana dal tuo tempio. Anche il passero trova la casa e la rondine il nido dove porre i suoi piccoli là, vicino al tuo altare, o Signore, mio re e mio Dio. Beato chi abita la tua casa: sempre canta le tue lodi! Beato chi trova in te la forza di compiere il santo viaggio. Lungo il cammino cresce il suo vigore finché compare davanti a te. Per me un giorno nel tuo tempio è più che mille giorni altrove.» Il viaggio di cui parla questo canto è quello che gli Israeliti compivano per Pasqua e nelle altre feste principali, recandosi a Gerusalemme, sul colle di Sion dove sorgeva il tempio del Signore.

I pellegrini che si recavano a Gerusalemme lungo il cammino usavano pregare con alcuni salmi. «Alzo gli occhi verso i monti: da dove mi verrà l'aiuto? Il mio aiuto viene dal Signore che ha fatto il cielo e la terra.» Salmo 121(120) Così pregavano i pellegrini, per chiedere soccorso nelle difficoltà del cammino. Per presentarsi davanti al Signore bisogna essere pentiti dei propri peccati; è quello che i pellegrini chiedevano con questo salmo: «Dal profondo a te grido, Signore; Signore, ascolta la mia voce. Se consideri le nostre colpe, chi potrà stare davanti a te? Ma presso di te è il perdono! Io spero nel Signore; la mia anima lo attende

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più di quanto le sentinelle attendano l'aurora.» Salmo 130(129) Dopo avere ottenuto il perdono, i pellegrini ringraziavano il Signore con questo salmo: «Se il Signore non fosse stato con noi, le acque ci avrebbero travolti, un torrente ci avrebbe sommersi. Noi siamo stati liberati come un passero dal laccio dei cacciatori: il laccio si è spezzato, e noi siamo volati via!» Salmo 124(123)

I pellegrini che andavano a Gerusalemme viaggiavano in gruppo, ed era bello ritrovarsi con chi aveva la stessa fede: era bello e gradevole come la rugiada che scende dal monte Ermon: «Ecco quanto è buono e quanto è soave, che i fratelli vivano insieme! E come rugiada dell'Ermon che scende sui monti di Sion ». Salmo 133 (132) L'Ermon è il monte più alto del territorio di Israele, e le sue nevi erano simbolo di refrigerio per gli abitanti di quel paese assolato. Dopo i giorni trascorsi presso il tempio, i pellegrini si preparavano alla partenza. Prima, però, chiedevano ai sacerdoti, che avevano la fortuna di restare nel tempio di Gerusalemme, di continuare a pregare per loro: «Ecco, benedite il Signore, voi tutti, servi del Signore; voi che state nella casa del Signore durante le notti. Alzate le mani verso il tempio e benedite il Signore. » In risposta, i pellegrini che partivano ricevevano dai sacerdoti un'ultima benedizione: «Da Sion ti benedica il Signore che ha fatto cielo e terra ». Salmo 134(133)

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Attirata dalla fama di Salomone venne un giorno a fargli

visita a Gerusalemme una regina di un regno d'Arabia, la

regina di Saba. Ella partì dal suo paese con una lunga

carovana di cammelli carichi di doni davvero degni di un

re: oro, pietre preziose, aromi e profumi che intendeva

donare a Salomone.

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Salomone e la Regina di Saba

Re Salomone superava per ricchezza e saggezza tutti i re della terra. Da ogni parte della terra si desiderava avvicinare Salomone per ascoltare la saggezza che Dio gli aveva messo nel cuore. Attirata dalla fama di Salomone venne un giorno a fargli visita a Gerusalemme una regina di un regno d'Arabia, la regina di Saba. Ella partì dal suo paese con una lunga carovana di cammelli carichi di doni davvero degni di un re: oro, pietre preziose, aromi e profumi che intendeva donare a Salomone. Partita dal suo regno d'Arabia, dopo un lungo viaggio la regina di Saba arrivò a Gerusalemme. Ella si presentò al re Salomone e gli offrì i suoi doni. Poi volle mettere alla prova la sua saggezza: per questo, come si usava tra i sovrani orientali, gli pose molte domande difficili, e Salomone a tutte rispose. La regina di Saba rimase molto ammirata. Poi Salomone mostrò alla regina il tempio del Signore che aveva costruito e la reggia che aveva abbellito; le spiegò le leggi che erano state stabilite nel suo regno e l'attività dei suoi ministri. Quando la regina di Saba ebbe ammirato tutta la saggezza di Salomone e ciò che egli aveva costruito, rimase senza fiato. Allora disse al re: «Era vero, dunque, quanto avevo sentito nel mio paese sul tuo conto e sulla tua saggezza! Io non avevo voluto credere a quanto si diceva finché non sono venuta qui e i miei occhi non hanno visto: ebbene, non me ne era stata riferita neppure la metà! Beati i tuoi ministri, che ascoltano la tua saggezza; beato il tuo popolo, governato da te; benedetto il tuo Dio, che ti ha fatto re!». Dopo di ciò Salomone offrì anche egli molti doni alla regina di Saba, ed ella tornò nel suo regno.

1 Re 10

116

Salomone fece quello che è male agli occhi del Signore. Per

questo il Signore gli disse: «Tu non ti sei comportato come

tuo padre Davide; tu non hai osservato l'alleanza con me.

Perciò dovrei toglierti il regno che ti ho dato. Ma per amore

di Davide lascerò una parte del regno ai tuoi discendenti».

117

La divisione del Regno Salomone regnò per quarant'anni con saggezza e gloria. Non però negli ultimi anni, quando si allontanò dal Signore: le sue mogli straniere lo attirarono verso i loro dèi, e Salomone fece quello che è male agli occhi del Signore. Per questo il Signore gli disse: «Tu non ti sei comportato come tuo padre Davide; tu non hai osservato l'alleanza con me. Perciò dovrei toglierti il regno che ti ho dato. Ma per amore di Davide lascerò una parte del regno ai tuoi discendenti». Un giorno Geroboamo mentre era al servizio del re Salomone alzò la mano contro il Re e uscito da Gerusalemme, incontrò per strada il profeta Achia.

Achia afferrò il

mantello nuovo che indossava e lo divise in dodici pezzi dicendo: « Ecco, dieci pezzi sono per te, perché Dio dice: Farò a pezzi il regno di Salomone perché Egli non ha obbedito ai miei comandi. A te darò dieci tribù e tu sarai re d’Israele. Questo avverrà durante il regno del figlio del re, che regnerà solo sulle tribù di Giuda e di Beniamino ». Infatti, iniziando il regno, Roboamo, figlio del re, volle imporre agli Israeliti lavori faticosi; allora il popolo si ribellò e proclamò Geroboamo re di dieci tribù, dando inizio al regno d’Israele. Geroboamo si stabilì in Sichem, e perché le sue tribù non andassero a Gerusalemme per celebrare le feste del Signore fece fondere due vitelli d’oro e li collocò uno al nord, nella città di Dan, e l’altro a Betel, sulla via per Gerusalemme. Istituì un giorno di festa e andò a sacrificare davanti al vitello che era in Betel, e disse: « Ecco, o Israele, il tuo dio, quello che ti ha fatto uscire dall’Egitto! ». Egli dimenticava che doveva obbedire a Dio se voleva che il suo regno durasse, e stava conducendo il popolo lontano dal Signore. E questo era il peccato più grave. Un giorno, mentre il Re offriva un sacrificio, si udì una voce gridare: «Così dice il Signore: verrà un discendente di Davide che brucerà su questo altare coloro che celebreranno il culto contro il Signore. Eccone la prova: l’altare si spaccherà ». «Prendete quell’uomo! – gridò il Re – Prendetelo! ». E con la mano indicava colui che aveva parlato. Ma quando volle ritirare il braccio, Geroboamo si accorse che era rimasto paralizzato. In quel momento l’altare andò a pezzi. Allora Geroboamo pregò l’uomo di Dio di chiedere al Signore che gli guarisse la mano. L’uomo pregò e la mano del re diventò sana. Come Dio gli aveva comandato, quell’uomo partì senza prendere né cibo, né bevanda in quel luogo. Ma un vecchio profeta lo invitò a casa sua e lo tentò, dicendogli che Dio gli aveva parlato e voleva che mangiasse e bevesse alla sua tavola. Allora quell’uomo tornò indietro, entrò in casa del profeta e mangiò e bevve. Là il Signore manifestò il suo peccato. Sulla via del ritorno un leone lo uccise. Il profeta riconobbe che quello era un uomo di Dio, venne a prenderne il cadavere e lo seppellì lontano dai suoi e fuori della sua terra.

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Così si compiva la parola del Signore sull’uomo che aveva disobbedito al suo comando. In quel tempio Abia, figlio di Geroboamo, si ammalò. La malattia fu subito grave e il re se ne preoccupò. Allora chiamò la moglie e le disse: « Togliti le vesti e gli ornamenti regali, vèstiti come le altre donne ebree affinché nessuno ti riconosca. Prendi del pane, delle focacce e un vaso di miele e va’ a Silo dal profeta Achia affinché ti dica che cosa ne sarà di nostro figlio ». La moglie di Geroboamo obbedì: depose le vesti e gli ornamenti di regina, pose in un cestello i doni per il profeta e partì, addolorata per la malattia del figlio ma sperando che il profeta intercedesse per lui. Il Signore intanto annunciava ad Achia che la moglie di Geroboamo, travestita da contadina, stava giungendo a casa sua. Achia era cieco, ma sentendo dei passi, disse: « Entra, moglie di Geroboamo. Perché ti sei travestita? Io sono stato incaricato di annunciarti una dura notizia. Su, riferisci a Geroboamo: Io ti ho dato il regno che ho tolto a Davide, ma tu non sei stato fedele ai miei comandi: hai fatto delle immagini ed eretto altare agli dei. Per questo distruggerò la tua casa; dei tuoi figli solo Abia avrà un sepolcro. Anzi, farò scomparire Israele e lo disperderò ». Con queste minacce del Signore la regina partì e appena mise piede in casa, il figlio morì.

1 Re 11-14

119

Elia obbedì e andò a nascondersi nelle grotte vicino a

Cherìt. si dissetò all’acqua limpida del torrente, e la

mattina e la sera veniva visitato dai corvi che, per ordine di

Dio, gli portavano pane e carne affinché potesse sfamarsi e

vivere perché la sua missione doveva durare a lungo.

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Dio manda la siccità ma aiuta Elia Mentre nel regno di Giuda governò a lungo Asa, nel regno di Israele i re si susseguirono l’uno l’altro, finché fu proclamato re un capitano chiamato Omri. Egli edificò Samaria e la fece capitale del regno. Alla sua morte salì al trono suo figlio Acab. Egli non amò il Signore, anzi, edificò un tempio al dio Baal e insieme a Gezabele sua sposa, lo adorò. Allora Elia, profeta del Signore, gli annunciò: « Ti giuro, per il Signore Dio d’Israele, che io amo e servo con fedeltà: non ci sarà né rugiada né pioggia fino a quando lo dirò io da parte del Signore ». E ci fu una lunga siccità con la quale Dio punì il re e il popolo che lo aveva dimenticato. Invece, Elia, l’unico profeta rimasto fedele a Dio, ricevette quest’ordine dal Signore: « Alzati, parti da qui, va’ oltre il Giordano e nasconditi vicino al torrente Cherìt. Potrai bere l’acqua del torrente e i corvi ti porteranno da mangiare perché io lo vorrò ». Il profeta obbedì e andò a nascondersi nelle grotte vicino a Cherìt. Egli si dissetò all’acqua limpida del torrente, e la mattina e la sera veniva visitato dai corvi che, per ordine di Dio, gli portavano pane e carne affinché potesse sfamarsi e vivere perché la sua missione doveva durare a lungo. Ma non pioveva più neppure oltre il Giordano; così dopo qualche tempo il torrente si seccò. Dio, allora, gli disse: «Alzati e va' a Sarepta di Sidone: ecco, ho dato ordine a una vedova di quella città di darti

da mangiare». Elia andò a Sarepta.Presso la porta della città vide una vedova: si riconosceva che era vedova, dal vestito che indossava. Il profeta la chiamò: «Prendimi un po' d'acqua da bere, e anche un pezzo di pane!» La donna rispose: «Tutto quello che mi resta è un pugno di farina e un po' d'olio; stavo andando a rac-cogliere qualche pezzo di legna, per cuocere la farina per me e per mio figlio. La mangeremo e poi moriremo, perché non abbiamo altro!» Ma il profeta la rassicurò: «Non temere. Con l'olio e la farina prepara una focaccia per me e portamela; poi ne preparerai una per te e per tuo figlio, perché il Signore ti assicura che la farina della giara non si esaurirà, e l'orcio dell'olio non si svuoterà». E così avvenne: Elia, la vedova e suo figlio ebbero tutti da mangiare per giorni e giorni, perché olio e farina non si esaurivano mai. Dopo qualche tempo il figlio della donna si ammalò, e la malattia si aggravò al punto che il ragazzo morì. La povera vedova cominciò a piangere e lamentarsi, sospettando che il profeta Elia fosse in qualche modo la causa della morte del suo unico figlio. Nel suo immenso dolore, la donna gridò al profeta: «Sei venuto qui a punirmi facendo morire mio figlio?» Ma il profeta le prese il ragazzo dalle braccia, lo portò al

121

piano di sopra, nella propria camera, e lo stese sul letto. Poi invocò il Signore, dicendo: «Signore, aiuta questa vedova che mi ospita. Fa' che l'anima torni nel corpo del ragazzo!» Il Signore ascoltò la preghiera di Elia; l'anima del ragazzo tornò nel suo corpo, ed egli riprese a vivere. Elia riprese il ragazzo tra le braccia, lo riportò al piano di sotto e lo rese alla madre dicendole: «Ecco: tuo figlio vive!» La donna allora si rallegrò grandemente e disse ad Elia: «Ora so con certezza che tu sei un uomo di Dio; ora comprendo che quando parli, tu parli a nome del Signore».

1 Re 17

122

Una fiamma ardente scese allora dal cielo, consumò la

vittima, prosciugò l’acqua intorno e bruciò la legna e le

pietre dell’altare. Tutti credettero nel Signore e prostrati

esclamarono: « Il Signore è Dio! Il Signore è Dio! ».

123

Elia, profeta del vero Dio Elia ritornò da Acab che gli gridò in faccia: « Sei tu colui che manda in rovina Israele?». «No – disse Elia – Tu e la tua famiglia lo rovinate, perché avete dimenticato il Signore e onorate Baal. Su raduna sul Carmelo i popolo e i sacerdoti che hai consacrato, e vedremo chi è Dio ». Quando tutti furono sul monte, Elia disse: « State comportandovi male verso il Signore. Se lui è il vero Dio, seguitelo! Se, invece, è Baal, seguite lui! Oggi il Signore stesso farà vedere chi è il vero Dio. Voi offrirete un sacrificio a Baal e io al Signore; ma non vi appiccheremo il fuoco. Il Dio che darà il fuoco, è il vero Dio ». I devoti di Baal sacrificarono la loro vittima e le danzarono intorno invocando da Baal il fuoco. Elia diceva: « Gridate più forte perché Baal non vi sente ». A mezzogiorno non era successo ancora nulla. Allora Elia fece avvicinare il popolo, eresse l’altare, immolò la vittima, la fece aspergere d’acqua e pregò: « Signore, mostra a tutti che sei tu il Signore Dio, che fa buono il cuore dei tuoi figli ». Una fiamma ardente scese allora dal cielo, consumò la vittima, prosciugò l’acqua intorno e bruciò la legna e le pietre dell’altare. Tutti credettero nel Signore e prostrati esclamarono: « Il Signore è Dio! Il Signore è Dio! ». Elia sapeva che Dio ora avrebbe fatto piovere. Perciò disse al ragazzo che era con lui: « Guarda verso il mare! ». Il ragazzo andò per sei volte e non vide nulla. La settima volta tornò correndo e disse: « Ecco, c’è una nuvola piccola come la mano di un uomo che sale dal mare! ». « Corri da Acab, digli che attacchi i cavalli e parta prima che venga la pioggia ». Acab salì sul cocchio e spronò i cavalli verso Izreèl.Il cielo in un baleno divenne nero come la notte e la pioggia cominciò a scrosciare a dirotto. Allora Elia si tirò su la veste e con l’aiuto di Dio corse tanto che giunse a Izreèl prima di Acab. Dopo la sconfitta dei sacerdoti di Baal la regina voleva uccidere Elia e glielo fece sapere. Il profeta si spaventò e, per salvarsi dal suo odio, fuggì a nascondersi nel deserto di Bersabea. «Signore, - disse, - io sono stanco! Prendimi! ». Era triste! Si buttò sotto una pianta e si addormentò. Ma ecco, qualcuno lo toccò e gli comandò: « Alzati e mangia ». C’era là una focaccia e una piccola anfora d’acqua; Elia mangiò e bevve, poi si addormentò. Ma l’Angelo tornò a svegliarlo e gli disse: « Su, mangia! Devi fare ancora una lunga strada!». Elia mangiò, e, fortificato da quel cibo, camminò per quaranta giorni e quaranta notti fino al monte Oreb, incontro al Signore.

1 Re 18-19

124

Eliseo comprese quello che il Signore voleva da lui, lasciò i

suoi buoi e disse al profeta: « Vado a dare un bacio a mio

padre e a mia madre e torno subito qui da te ». E così fece.

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Dio comandò ad Elia di ungere Eliseo come profeta Dio comandò a Elia di ritornare in Israele, di andare nel paese di Abel-Mecolà e di ungere Eliseo profeta al suo posto. Elia trovò Eliseo che arava il suo campo. Gli passò vicino e gli gettò sulle spalle il suo mantello. Eliseo comprese quello che il Signore voleva da lui, lasciò i suoi buoi e disse al profeta: « Vado a dare un bacio a mio padre e a mia madre e torno subito qui da te ». E così fece. Al ritorno sacrificò due buoi e distribuì la carne cotta alla gente del paese. Poi seguì Elia, mettendosi al servizio del Signore.

1 Re 19 Acab rifiuta di ascoltare la Parola di Dio Intanto il re degli Aramei Ben-Adàd venne per distruggere Samaria. Ma Acab lo sconfisse con l’aiuto del Signore. L’anno dopo, Ben-Adàd ritornò con carri e cavalli; Acab, incoraggiato dalla parola di un profeta, lo sconfisse per una seconda volta e distrusse la città dove il re si era rifugiato. Allora Ben-Adàd si vestì di sacco e si presentò ad Acab per chiedergli grazia. Acab non lo uccise, anzi, fece alleanza con lui. Ben-Adàd promise di restituire le città conquistate e di lasciare che Israele esercitasse il suo commercio sui mercati della città di Damasco. Quell’alleanza, però, non piacque al Signore. Acab si era costruito in Izreèl un bel palazzo e voleva che Nabot gli cedesse la meravigliosa vigna che confinava con i suoi possedimenti. Ma Nabot disse: «Non posso! Questa è l’eredità di mio padre! ». Acab si rattristò per questo rifiuto e ne parlò alla moglie. E Gezabele, che aveva il cuore cattivo, mandò delle lettere ai capi di Izreèl perché condannassero Nabot come traditore del re. Nabot, che era innocente, fu ucciso a sassate. Poi Acab andò e si prese la vigna, ma Elia gli disse: « Questo ti dice il Signore: Sterminerò la tua casa, e i cani divoreranno Gezabele nel campo di Izreèl ». Acab si pentì del suo peccato e fece penitenza. Dimenticata la parola di Elia, Acab volle andare a riconquistare una città che gli era stata tolta; chiamò in suo aiuto il pio Giòsafat, re di Giuda, poi consultò i falsi profeti che gli dissero: « Attaccala! Dio metterà quel re nelle tue mani ». Ma Giòsafat volle che si consultasse Michea, che venne alla porta di Samaria e disse: «Vedo gli Israeliti andare per i monti come pecore senza pastore ». Profetizzava la sconfitta, ma Acab non gli credette, anzi, lo fece mettere in prigione a pane e acqua. Ma Michea gli disse: « Se ritornerai vivo, vorrà dire che io non sono un profeta del Signore ».

126

Così il re d’Israele e il re di Giuda marciarono con i loro eserciti contro Ben-Adàd. Il re Acab per non venire riconosciuto si travestì, e quando la battaglia cominciò, i soldati di Ben-Adàd accerchiarono Giòsafat credendolo il re d’Israele. Allora Giòsafat emise un forte grido; i capi nemici lo riconobbero e lo lasciarono in pace. Un arciere però scoccò a caso una freccia e colpì al petto Acab, che gridò al suo cocchiere: « Sono ferito!Portami fuori della battaglia ». A sera Acab morì. Quando i soldati lo seppero, spaventati, fuggirono ognuno a casa propria. Il re Acab fu portato a Samaria e là sepolto.

1 Re 20-22

127

Elia era scomparso nel fuoco. Là per terra c’era solo il suo

mantello; Eliseo lo raccolse e , giunto al Giordano, ne

percosse le acque; esse si divisero ed egli raggiunse Gerico,

sull’altra sponda. La gente che aveva osservato la scena

diceva: « La potenza di Elia è passata a Eliseo ».

128

Dio dona a Eliseo lo spirito profetico Elia camminava verso Gerico con il suo fido discepolo Eliseo. Questi sapeva che proprio quel giorno il Signore avrebbe preso con sé il suo maestro, il grande profeta che lo aveva servito fedelmente per tutta la vita. Elia disse ad Eliseo: «Rimani qui, perché il Signore mi manda al fiume Giordano». Ma Eliseo rispose: «Per la vita del Signore e per la tua stessa vita, non ti lascerò!» E tutti e due si incamminarono. Giunti alla riva del fiume Giordano, Elia decise di attraversarlo: arrotolò il suo mantello e con esso percosse le acque che si divisero, lasciando un sentiero asciutto. Elia ed Eliseo si avviarono su quel sentiero. Allora Elia chiese al suo discepolo: « Che cosa desideri che io faccia per te? ». Elia espresse il desiderio di diventare profeta fedele a Dio come Elia. Questi gli disse: « Se mi vedrai salire, vorrà dire che ciò ti sarà dato ». E camminarono fin oltre il Giordano, che era ritornato ad occupare il suo letto. E mentre parlavano, ecco scendere dal cielo un carro con cavalli di fuoco e dividere il maestro dal discepolo. Elia viene preso in un turbine di vento e di fuoco e portato verso l‘alto. Eliseo lo vedeva salire e gridava verso di lui: « Padre mio, padre mio! Guida d’Israele!». Poi non vide più nulla: Elia era scomparso nel fuoco. Là per terra c’era solo il suo mantello; Eliseo lo raccolse e , giunto al Giordano, ne percosse le acque; esse si divisero ed egli raggiunse Gerico, sull’altra sponda. La gente che aveva osservato la scena diceva: « La potenza di Elia è passata a Eliseo ». Allora quella gente disse ad Eliseo: «La nostra città è molto bella e ci si sta bene, però la sua acqua è cattiva e tutta la campagna intorno è secca ». Eliseo si fece portare del sale in una pentola nuova, andò alla sorgente e vi versò il sale, dicendo: «Dice il Signore: rendo sane queste acque; esse non diffonderanno più né malattia né morte ». L’acqua divenne potabile e rese feconda tutta la campagna intorno. Il Signore aveva premiato la fede degli abitanti di Gerico, che avevano riconosciuto in Eliseo il successore di Elia e il profeta del Signore. Il re d’Israele Ioram e i re di Giuda e di Edom si allearono per combattere Mesa, re dei Moabiti, che non voleva pagare il tributo a Israele. Marciarono uniti verso Moab ma non trovarono acqua. Allora il pio re di Giuda, Giòsafat, disse: « Diciamo ad Eliseo che consulti il Signore per noi ». Eliseo annunciò: « Domani avrete acqua e riporterete vittoria ». La mattina dopo i Moabiti vennero a fare guerra: la valle era allagata e il riflesso del sole la faceva sembrare un lago di sangue. Mesa disse: « I re si sono uccisi tra loro; andiamo a fare bottino!». Ma i tre re alleati erano pronti all’assalto: sconfissero i Moabiti e presero le loro città.

2 Re 2-3

129

Allora la donna andò da Eliseo, l'uomo di Dio, a

raccontargli che il suo poco olio si era moltiplicato. «Ed

ora, che devo fare?» chiese la donna. Il profeta le rispose:

«Va' a vendere l'olio dei vasi: con quello che ricaverai

pagherai il debito, e te ne resterà per mantenere te e i tuoi

figli».

130

Dio conferma la missione di Eliseo

Un giorno si recò dal profeta Eliseo una donna a dirgli: «Mio marito è morto. Come tu sai, egli era un uomo buono, che sempre ascoltava e metteva in pratica le parole del Signore. Ora però un nostro creditore è venuto a prendersi i miei due figli come schiavi, in pagamento dei nostri debiti». Eliseo le chiese: «Che cosa posso fare per te? Dimmi che cosa hai nella tua casa». «In casa ho soltanto un vasetto d'olio» rispose tristemente la donna. «Va' a chiedere vasi vuoti a tutti i tuoi vicini» ordinò il profeta «e chiedine molti. Entra in casa. Chiudi la porta dietro di te e i tuoi figli. Poi dal tuo vasetto versa olio in quei vasi, e metti da parte quelli pieni». La donna fece così; i suoi figli le porgevano i vasi ed ella li riempì tutti d'olio; e l'olio del suo vasetto finì soltanto quando tutti i vasi furono pieni. Allora ella andò da Eliseo, l'uomo di Dio, a raccontargli che il suo poco olio si era moltiplicato. «Ed ora, che devo fare?» chiese la donna. Il profeta le rispose: «Va' a vendere l'olio dei vasi: con quello che ricaverai pagherai il debito, e te ne resterà per mantenere te e i tuoi figli».

Un giorno il profeta Eliseo andò da una donna molto ricca, che dava sempre da mangiare a lui e al suo servo quando passavano. Eliseo sapeva che la donna non aveva bambini, e desiderava molto averne uno. Allora le chiese: «Ecco, per tutto il bene che hai fatto a me, il Signore Dio ti concede di avere un figlio». Così avvenne. Quel figlio poi crebbe, ed era ormai un ragazzo. Un giorno era nei campi con il padre, quando sentì un gran male alla testa. Fu condotto a casa, la madre lo tenne sulle ginocchia fino a mezzogiorno, ma poi il ragazzo morì. La madre allora lo distese sul letto, e subito, fatta sellare un'asina, si affrettò a recarsi da Eliseo. Quando seppe dell'accaduto, Eliseo si avviò con la donna alla casa di lei; qui giunto, entrò solo nella stanza dove il fanciullo era stato adagiato, e chiuse la porta. Eliseo stette dapprima a pregare il Signore; poi si distese sul ragazzo, mise le mani sulle sue e la bocca sulla sua, e gli alitò il proprio respiro. Il corpo del ragazzo riprese calore, poi il bambino starnutì e aprì gli occhi. Eliseo chiamò la madre e le disse: «Ecco, riprendi tuo figlio».

La potenza del Signore era con il profeta Eliseo, ed egli la manifestava affinché gli Israeliti restassero fedeli al loro Dio. Un giorno in cui aveva con sé un gruppo di profeti, ordinò al servo di preparare una minestra per tutti. Uno di loro trovò in campagna una vite selvatica, ne colse i frutti e , fattili a pezzi, li mise nella pentola a cuocere. Quando i profeti assaggiarono la minestra, gridarono: « Uomo di Dio, in questa minestra c’è la morte!». Allora Eliseo fece portare della farina e la versò nella pentola. La minestra divenne ottima e tutti mangiarono e si saziarono di quel cibo miracoloso.

2 Re 4

131

Naamàn scese al Giordano, vi si immerse sette volte, ed ecco

che la sua lebbra scomparve! Allora egli disse: «Ora com-

prendo che non vi è altro Dio se non il Signore, Dio

d'Israele!»

132

Eliseo manifesta la bontà di Dio a Naamàn Il capo dell'esercito del re di Siria era un uomo valoroso e molto onorato dal suo re; ma aveva quella terribile malattia che si chiama lebbra. Il nome di quell'uomo era Naamàn. Durante una guerra contro Israele, i Siriani avevano preso prigioniera una fanciulla, che divenne la serva della moglie di Naamàn. La fanciulla un giorno disse alla sua padrona: «Se Naamàn andasse dal profeta che è nel mio paese, egli lo guarirebbe dalla lebbra» La moglie ne parlò al marito ed egli ne parlò al re, che gli dette una lettera per il re d’Israele; in essa lo pregava di guarire il suo servo. Il re, letta la lettera, pensò che il re di Aram cercasse un pretesto per fargli guerra. Lo seppe Eliseo e disse al re di mandargli Naamàn, che avrebbe conosciuto la bontà del Dio d’Israele. Così Naamàn, con il suo carro e i suoi servi, arrivò alla casa di Eliseo e si fermò davanti alla porta. Eliseo, senza riceverlo in casa, gli mandò a dire: «Va' a lavarti sette volte nel fiume Giordano, e guarirai». Allora Naamàn si adirò e se ne andò dicendo: «Pensavo che il profeta mi sarebbe venuto incontro, avrebbe pregato il suo Dio, mi avrebbe toccato nella parte ammalata e così la lebbra sarebbe scomparsa; invece mi manda a dire di lavarmi nel Giordano! Forse che i fiumi della mia città non sono migliori di tutte le acque d'Israele? Era necessario che venissi fin qui?». Ma i suoi consiglieri gli dissero: «Se il profeta ti avesse comandato di compiere qualcosa di difficile, non l'avresti forse fatta? A maggior ragione perciò esegui la cosa semplice che ti ha detto». Naamàn ascoltò il consiglio; scese al Giordano, vi si immerse sette volte, ed ecco che la sua lebbra scomparve! Allora egli disse: «Ora comprendo che non vi è altro Dio se non il Signore, Dio d'Israele!» Tornò dal profeta, ad offrirgli ric-chi doni in cambio della guarigione; ma Eliseo li rifiutò. Con ciò egli intendeva dire che Naamàn era guarito dalla lebbra non per opera sua, ma per la volontà del Signore. Naamàn ripartì dopo aver preso un po’ di terra per innalzare un altare al Dio d’Israele. Il servo di Eliseo si rammaricò che il padrone non avesse accettato i bei doni di Naamàn, lo rincorse e, mentendo, disse che il profeta gli chiedeva un po’ di argento e due vesti. Naamàn glieli diede con gioia e cortesia. Il servo li porto a casa sua, poi, come niente fosse avvenuto, si presentò ad Eliseo. Il profeta gli annunciò il castigo del Signore: «La lebbra di Naamàn colpirà te e i tuoi figli».

2 Re 5

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Quando all’alba, il servo di Eliseo uscì di casa, scoprì che un

esercito assediava la città.

«Non spaventarti! – gli disse il profeta. Quelli che ci

difendono sono più numerosi ».

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Dio combatte in favore del suo popolo Da qualche tempo il re dell’Aram era turbato e credeva che qualche ministro lo tradisse perché gli andava a monte ogni piano contro Israele. Ma gli ufficiali gli dissero che era colpa di Eliseo. Il re, allora ordinò di andare a prenderlo. Quando all’alba, il servo di Eliseo uscì di casa, scoprì che un esercito assediava la città. «Non spaventarti! – gli disse il profeta. Quelli che ci difendono sono più numerosi ». In quel momento il servo vide il monte pieno di cavalli e di carri di fuoco. I soldati nemici vennero colpiti da cecità ed Eliseo li catturò e li condusse dal re, che dopo averli sfamati, li rimandò al re di Aram. Ma il re di Aram ritornò ad assediare Samaria, e in città la carestia fu tale che era impossibile resistere a lungo. Allora il re se la prese con Eliseo, che gli disse: «Non scoraggiarti! Domani ci saranno farina ed orzo in abbondanza! ». Quella notte, infatti, il Signore spaventò i nemici con rumori di carri e di scalpitio di cavalli. Gli Aramei, credendo che fosse un forte esercito, fuggirono dall’accampamento, lasciando sul posto carri, cavalli, oro, argento e vesti in quantità. La scoperta fece impazzire di gioia gli Israeliti, che si riversarono nel campo e lo saccheggiarono. Come aveva annunciato Eliseo, la fame era finita. Poi Ben-Adàd si ammalò e mando Cazaèl da Eliseo affinché consultasse Dio sulla sua malattia. Cazaèl si presentò con ricchi doni e disse: « Ben-Adàd, re di Aram, ti domanda « Guarirò o no?». Eliseo gli rispose: « Digli che guarirà; ma io so che egli morrà». Poi divenne triste e, piangendo, disse: « Io so che tu, diventato re, farai tanto male ad Israele ». Cazaèl ritornò dal re per annunziargli che Eliseo gli prometteva la guarigione. Ma il giorno seguente, Cazaèl, che gli aveva dato al re la speranza di guarire, lo tradì togliendogli la vita.

2 Re 6-8 Dio punisce la casa di Acab Cazaèl, diventato re di Aram, ferì in guerra Ioram re d’Israele, che andò a curarsi in Izreèl. In quei giorni Eliseo fece consacrare re uno dei capi dell’esercito d’Israele, Ieu, e gli fece annunziare che avrebbe sterminato i discendenti del cattivo re Acab. Ieu salì sul cocchio e si avviò alla reggia forzando cavalli ad una corsa pazza. La sentinella dalla terra annunciò a Ioram: « Vedo arrivare gente. È guidata certo da Ieu, perché il modo di guidare è il suo ».

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Non sapendo cosa pensare, Ioram e Acazia re di Giuda gli andarono incontro fino al campo di Nabot.La Ieu uccise Ioram e poco dopo anche Acazia. Gezabele, mamma di Ioram, era anche lei al palazzo; quando conobbe ciò che Ieu aveva fatto al figlio, si adornò da regina e attese al balcone la sua fine. Vedendo Ieu entrare per la porta della città lo riprese con fierezza: «Che fai, assassino del tuo re?». Ieu non le badò, ma gridò: « C’è qualcuno, qui , che sta dalla mia parte?». Due servi comparvero dietro la regina. Ieu disse: «Gettatela giù! » – E così fecero. Quando andarono a prendere il corpo per seppellirlo, non c’era nulla. Anche su Gezabele si era avverata la parola che il Signore aveva annunciato per bocca del profeta Elia.

Quando Eliseo si ammalò della malattia di cui morì, Ioas re di Israele andò a visitarlo. Egli scoppiò in pianto davanti al profeta dicendo: «Padre mio, padre mio, protezione di Israele!» Eliseo gli disse: «Prendi arco e frecce». Il re prese arco e frecce. Aggiunse Eliseo: «Impugna l'arco». Quando il re l'ebbe impugnato, Eliseo mise la mano sulla mano del re, quindi gli disse: «Apri la finestra verso Oriente». Dopo che la finestra fu aperta, Eliseo disse: «Tira!» Ioas tirò. Eliseo disse: «Freccia vittoriosa per il Signore, freccia vittoriosa su Aram. Tu sconfiggerai gli Aramei». Eliseo disse ancora al re d'Israele: «Prendi le frecce». Quando Ioas le ebbe prese, gli disse: «Percuoti con le tue frecce la terra». E Ioas la percosse tre volte, poi si fermò. Eliseo si indignò contro di lui e disse: «Avresti dovuto colpire con le tue frecce la terra cinque o sei volte. Allora avresti sconfitto definitivamente Aram. Ora, invece, sconfiggerai Aram solo tre volte». Poi Eliseo, l'uomo di Dio, morì e Israele perdette il profeta che il Signore gli aveva dato per ricordargli che solo Lui è Dio : la fine del regno di Israele era stata profetizzata.

2 Re 8-9; 13

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Neemia si alzò di notte e con pochi uomini che erano con lui

senza parlare loro di quello che Dio gli aveva messo in

cuore di fare e a Gerusalemme disse loro: « Venite andiamo

a ricostruire le mura di Gerusalemme ». E quelli: « Su,

costruiamo ».

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Esdra e Neemia

Venne finalmente il giorno in cui Ciro, re di Persia, fece diramare quest’ordine in tutto in regno: « Il Signore del cielo mi ha dato tanti regni. Ora Egli vuole che io edifichi un tempio in Gerusalemme. Chi proviene dal suo popolo, torni a Gerusalemme e ricostruisca il tempio del Signore Dio d’Israele. Tutti costoro riceveranno dai loro vicini oro, argento, beni e bestiame». Ciro stesso volle restituire gli oggetti preziosi che Nabucodònosor aveva sottratti al tempio. Da ogni parte del vasto impero di Ciro i capo famiglia di Giuda si misero in marcia. Una processione di uomini, donne, bambini, che, a piedi o su cammelli, cavalli, asini e muli, avanzava cantando i canti di Sion, che non aveva potuto risuonare lungo i fiumi stranieri di Babilonia. I cantori, uomini e donne sostenevano i cori e nei momenti di sosta, facevano udire il suono di qualche strumento musicale. La gioia di ritornare alla città santa, di poter ricostruire il tempio del Signore faceva loro dimenticare le sofferenze dell’esilio. I Giudei rimpatriati giunti a Gerusalemme, fecero offerte per la ricostruzione del tempio, poi andarono a stabilirsi nelle loro città. Ma qualche mese dopo erano tutti a Gerusalemme. I sacerdoti ricostruirono l’altare al suo posto e offrirono al Signore gli olocausti prescritti. L’anno seguente i rimpatriati, guidati da Zorobabele, posero la prima pietra del nuovo tempio. Fu un giorno di grande festa e di intensa commozione. I sacerdoti e i leviti indossavano le vesti sacre e suonavano le trombe e i cembali, guidavano il popolo che cantava le lodi del suo Dio. Gli inni festosi coprivano il pianto degli anziani, che ricordavano lo splendore del tempio antico. Ma ben presto la costruzione si fermò; riprese solo quando Dario scoprì il decreto di Ciro e ordinò al governatore della Palestina di lasciare ai Giudei la libertà di innalzare il tempio del Signore. Anzi, il re gli comandò di pagarne le spese con le tasse che riscuoteva. I lavori proseguirnono e tra l’esultanza di tutti si celebrò la consacrazione del tempio. L’anno seguente si celebrò la Pasqua. Mangiarono la Pasqua i Giudei tornati dall’esilio e quelli che erano rimasti in patria, e fu una Pasqua di ringraziamento sincero. Dopo questi avvenimenti, sotto il regno di Artaserse, re di Persia,il sommo sacerdote Esdra partì dalla Babilonia. Egli era uno scriba esperto nella legge di Mosè, data dal Signore, Dio d’Israele. Poiché la mano del Signore, suo Dio, era su di lui, il re aveva esaudito ogni sua richiesta. Anche in quel tempo Dio suscita Neemia, coppiere del re, il quale chiede il permesso di recarsi a Gerusalemme per ricostruire le mura. Giunto a Gerusalemme rimase tre

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giorni. Poi si alzò di notte e con pochi uomini che erano con lui senza parlare loro di

quello che Dio gli aveva messo in cuore di fare e a Gerusalemme disse loro: « Venite

andiamo a ricostruire le mura di Gerusalemme ». E quelli: « Su, costruiamo ». E cominciarono l’impresa. Lavorarono molto ma tra tante difficoltà. Le mura furono condotte al termine in cinquantadue giorni. Allora il popolo si riunì e disse allo scriba e sacerdote Esdra di portare il Libro della Legge. Fatta erigere nella piazza un’alta tribuna, Egli salì e aprì il libro delle Legge del Signore, Il popolo scattò in piedi e ascoltò attento la lettura del libro dell’Alleanza da molti dimenticato. Riscoprirono allora di essere il « popolo del Signore», e, pieni di gioia, fecero insieme un banchetto di festa. Qualche giorno dopo tutta l’assemblea d’Israele fece un digiuno solenne, ascoltò di nuovo a Legge, poi in umiltà, confessò al Signore di aver mancato contro la sa Legge nonostante il grande amore che Egli aveva sempre dimostrato al suo popolo. Riconobbe di aver meritato l’esilio e promise nuovamente di servire solo lui. Poi tutta l’assemblea si impegnò con giuramento a osservare la legge dell’alleanza, e specialmente a santificare il giorno del Signore e a non contrarre matrimoni con i pagani. Queste promesse furono scritte su una pergamena e vennero firmate dai capi del popolo, dai leviti e dai sacerdoti.

Dal libro di Esdra e dal Libro di Neemia.

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Il giovane scese nel fiume per lavarsi i piedi, quand’ecco un

grosso pesce balzando dall’acqua tentò di divorare il piede

del ragazzo, che si mise a gridare. Ma l’angelo gli disse:

«Afferra il pesce e non lasciarlo fuggire». Il ragazzo riuscì

ad afferrare il pesce e a tirarlo a riva.

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Tobia

Nella città di Ninive viveva un ebreo di nome Tobi molto buono e caritatevole. Era cieco e aveva un figlio di nome Tobia. Erano diventati poveri .Tobi aveva imprestato del denaro ad un certo Gabaèl che viveva nei pressi di Ecbàtana. Ma come andare fin là per riscuotere il debito? Tobi era vecchio e cieco. Tobia era ancora un ragazzo. Ed ecco un giorno si presenta alla casa di To-bia un giovane. Racconta di essere diretto proprio verso Ecbàtana e di conoscere bene le strade. Tobia si fida del giovane e, con la benedizione del padre, si mette in cammino col suo compagno di viaggio. Anche il cagnolino di Tobia li segue. Il viaggio è avventuroso. Camminarono e passarono la notte sul fiume Tigri. Il giovane scese nel fiume per lavarsi i piedi, quand’ecco un grosso pesce balzando dall’acqua tentò di divorare il piede del ragazzo, che si mise a gridare. Ma l’angelo gli disse: «Afferra il pesce e non lasciarlo fuggire». Il ragazzo riuscì ad afferrare il pesce e a tirarlo a riva. Gli disse allora l’angelo: «Apri il pesce e togline il fiele, il cuore e il fegato; mettili in disparte ma getta via gli intestini. Infatti il suo fiele, il cuore e il fegato possono essere utili medicamenti». Il ragazzo squartò il pesce, ne tolse il fiele, il cuore e il fegato. Arrostì una porzione del pesce e la mangiò; l’altra parte la conservò dopo averla salata. Poi ambedue ripresero il viaggio, finché non furono vicini alla Media. Allora il ragazzo rivolse all’angelo questa domanda: «Azaria, fratello, che rimedio può esserci nel cuore, nel fegato e nel fiele del pesce?». Egli rispose: «Quanto al cuore e al fegato, ne puoi fare inalazioni in presenza di una persona, uomo o donna, posseduta dal demonio o da uno spirito cattivo, e cesserà da lei ogni maltrattamento e non ne resterà più traccia alcuna. Il fiele invece serve per spalmarlo sugli occhi di chi è affetto da macchie bianche; si soffia su quelle macchie e gli occhi guariscono». Erano entrati nella Media e già erano vicini a Ecbàtana, quando Raffaele disse al ragazzo: «Fratello Tobia!». Gli rispose: «Eccomi». Riprese: «Questa notte dobbiamo alloggiare presso Raguele, che è tuo parente. Egli ha una figlia chiamata Sara e all’infuori di Sara non ha altro figlio o figlia. A te, come parente più stretto, spetta il diritto di sposarla più di qualunque altro uomo e di avere in eredità i beni di suo padre. È una ragazza saggia, coraggiosa, molto graziosa e suo padre è una brava persona». E aggiunse: «Tu hai il diritto di sposarla. Ascoltami, fratello: io parlerò della fanciulla al padre questa sera, per dartela come fidanzata. Quando torneremo dalla città di Rage, celebreremo le sue nozze. So che Raguele non potrà rifiutarla a te o prometterla ad altri; egli incorrerebbe nella morte secondo la prescrizione della

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legge di Mosè, poiché egli sa che prima di ogni altro spetta a te avere sua figlia. Ascoltami, dunque, fratello. Questa sera parleremo della fanciulla e ne domanderemo la mano. Al nostro ritorno dalla città di Rage la prenderemo e la condurremo con noi a casa tua». Allora Tobia rispose a Raffaele: «Fratello Azaria, ho sentito dire che ella è già stata data in moglie a sette uomini ed essi sono morti nella stanza nuziale la notte stessa in cui dovevano unirsi a lei. Inoltre ho sentito dire che un demonio le uccide i mariti. Per questo ho paura; il demonio a lei non fa del male, ma se qualcuno le si vuole accostare, egli lo uccide. Io sono l’unico figlio di mio padre. Ho paura di morire e di condurre così alla tomba la vita di mio padre e di mia madre per l’angoscia della mia perdita. Non hanno un altro figlio che possa seppellirli». Ma quello gli disse: «Hai forse dimenticato gli insegnamenti di tuo padre, che ti ha raccomandato di prendere in moglie una donna del tuo casato? Ascoltami, dunque, o fratello: non preoccuparti di questo demonio e sposala. Sono certo che questa sera ti verrà data in moglie. Quando però entri nella camera nuziale, prendi il cuore e il fegato del pesce e mettine un poco sulla brace degli incensi. L’odore si spanderà, il demonio lo dovrà annusare e fuggirà per non farsi più vedere in eterno intorno a lei. Poi, prima di unirti con lei, alzatevi tutti e due a pregare. Supplicate il Signore del cielo perché venga su di voi la sua grazia e la sua salvezza. Non temere: ella ti è stata destinata fin dall’eternità. Sarai tu a salvarla. Ella verrà con te e penso che da lei avrai figli che saranno per te come fratelli. Non stare in pensiero». Quando Tobia sentì le parole di Raffaele e seppe che Sara era sua parente, della stirpe della famiglia di suo padre, l’amò molto senza poter più distogliere il suo cuore da lei. La prese in moglie e entrando nella camera da letto allora si ricordò delle parole di Raffaele: prese dal suo sacco il fegato e il cuore del pesce e li pose sulla brace dell’incenso. L’odore del pesce respinse il demonio, che fuggì verso le regioni dell’alto Egitto. Raffaele vi si recò all’istante e in quel luogo lo incatenò e lo mise in ceppi. Tobia mandò Raffaele a chiamare Gabaèl e condurlo alla festa nuziale. Appena giunto da Tobia, Gabaèl gli consegnò il danaro. La festa nuziale durò 14 giorni e Tobi era preoccupato. Tobia, Sara e Raffaele presero la via del ritorno. Raffaele e Tobia giunsero per prima a casa. Appena giunto a casa, Tobia prese il fiele come gli aveva ordinato Raffaele e Tobi guarisce dalla sua cecità. Allora Tobi uscì verso la porta di Ninive incontro alla sposa di Tobia, lieto e benedicendo Dio. La gente di Ninive, vedendolo passare e camminare con tutto il vigore di un tempo, senza che alcuno lo conducesse per mano, fu presa da meraviglia. Tobi proclamava davanti a loro che Dio aveva avuto pietà di lui e che gli aveva aperto gli occhi. Tobi si avvicinò poi a Sara, la sposa di suo figlio Tobia, e la benedisse dicendole: «Sii la benvenuta, figlia! Benedetto sia il tuo Dio, che ti ha condotto da noi, figlia! Benedetto sia tuo padre, benedetto mio figlio Tobia e

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benedetta tu, o figlia! Entra nella casa, che è tua, sana e salva, nella benedizione e nella gioia; entra, o figlia!». Quel giorno fu grande festa per tutti i Giudei di Ninive. Quando per Tobia giunge il momento di separarsi dal giovane sconosciuto che gli ha fatto da guida, Tobi dice al figlio: « Dobbiamo pagarlo. Diamogli la metà dei soldi che abbiamo riscosso». Tobia risponde: « Come potremo ricompensarlo di tutto ciò che ha fatto? Mi ha liberato dai pericoli, ha recuperato il denaro, mi ha fatto trovare moglie e, infine, ha ridato a te la vista ». Allora il giovane sconosciuto si rivela: « Io sono Raffaele - dice - un angelo di Dio. Egli stesso mi ha mandato a voi per aiutarvi ». Allora furono presi da grande timore tutti e due; si prostrarono con la faccia a terra ed ebbero una grande paura. Ma l’angelo disse loro: «Non temete: la pace sia con voi. Benedite Dio per tutti i secoli. Quando ero con voi, io stavo con voi non per bontà mia, ma per la volontà di Dio: lui dovete benedire sempre, a lui cantate inni. Quando voi mi vedevate mangiare, io non mangiavo affatto: ciò che vedevate era solo apparenza. Ora benedite il Signore sulla terra e rendete grazie a Dio. Ecco, io ritorno a colui che mi ha mandato. Scrivete tutte queste cose che vi sono accadute». E salì in alto. Essi si rialzarono, ma non poterono più vederlo. Allora andavano benedicendo e celebrando Dio e lo ringraziavano per queste grandi opere, perché era loro apparso l’angelo di Dio.

Tobia 1-12

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Ma Giuditta, una vedova ricca e pia, li rimproverò: « non si

possono dare scadenze al Signore ».

Occorreva invece pregare, perché Lui la sostenesse in

quanto stava per fare.

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Giuditta

Nabucodònosor, re degli Assiri, nel tredicesimo anno del suo regno ordinò al capo del suo esercito, Oloferne, di preparare l'invasione di Israele. Questi allestì un esercito di centoventimila combattenti e dodicimila arcieri, oltre ai carri e rifornimenti, e marciò contro Israele. Contro un esercito così numeroso, un popolo di pastori male armati non aveva pressoché speranze. Soltanto Dio, come aveva già fatto, poteva proteggere il suo popolo. La prima città ebraica che Oloferne incontrò fu Betùlia. La prese d'assedio, tagliandole i rifornimenti d'acqua, e ben presto gli abitanti furono ridotti allo stremo. Alcuni proposero la resa. Un sacerdote propose di aspettare ancora cinque giorni, passati i quali, se il Signore non fosse giunto in soccorso, avrebbero aperto le porte. Ma Giuditta, una vedova ricca e pia, li rimproverò:

« non si possono dare scadenze al Signore ». Occorreva invece pregare, perché Lui la sostenesse in quanto stava per fare. Si vestì con gli abiti migliori, si adornò di gioielli, e disse a una serva di seguirla con olio, farina, formaggio e fichi. Alle porte della città, gli anziani la salutarono con rispetto, e tutta la città rimase in attesa, pregando per lei. Giunta al campo nemico, riuscì a farsi ricevere da Oloferne, che rimase colpito dalla sua bellezza e sapienza, e presto la invitò ad un banchetto, dove fu ricevuta come una regina. Ma Giuditta mangiò e bevve solo quello che si era portata, mentre Oloferne e i suoi ufficiali mangiavano e bevevano senza freni, tanto che alla fine il generale assiro si addormentò, ubriaco. Rimasti soli, Giuditta prese la spada di Oloferne e con due colpi gli tagliò la testa che avvolse in un panno e consegnò alla serva. Poco dopo era in città, e mostrava agli anziani attoniti la testa tagliata, che venne issata sulle mura di Betùlia. Al levare del sole, gli Israeliti attaccarono gli Assiri, che corsero dal generale per svegliarlo, e trovatolo morto, si sbandarono; e vennero travolti dai concittadini di Giuditta. Giuditta, piena di riconoscenza, intonò allora un inno di grazie che ci è stato tramandato, e che dice, tra l'altro: Il Signore onnipotente l'ha atterrato,l'ha dato in mano ad una donna che l'ha trafitto.

Giuditta 1-16

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Il terzo giorno, dopo una lunga preghiera al Signore, Ester

indossò le vesti regali e così adornata si presentò al re. Ella

piacque al re, il quale puntò lo scettro verso di lei e le

chiese: «Che cosa desideri, regina Ester? Qualunque cosa mi

chiedi te la concederò, fosse anche la metà del mio regno».

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Ester

Nel palazzo di Assuero, re di Babilonia, viveva un israelita di nome Mardocheo. Egli apparteneva a quegli israeliti che da Gerusalemme erano stati portati in esilio a Oriente, e ora prestava servizio alla corte del re. Mardocheo aveva allevato come se fosse sua figlia una giovane, figlia di suo fratello, di nome Ester; ella era rimasta senza i genitori, e lo zio si prese cura di lei. Accadde che Assuero preferì Ester a tutte le altre donne del suo regno: la sposò, le mise in capo la corona reale e la nominò regina. Un giorno Mardocheo udì il complotto di due ministri che progettavano di uccidere il re. Mardocheo lo disse a Ester, e Ester lo disse al re. Fu fatta un'indagine, il complotto si rivelò vero e i due ministri furono entrambi giudicati colpevoli e meritevoli di morte. Dopo qualche tempo, il re mise un uomo di nome Aman a capo di tutti i principi che governavano il regno. Aman odiava Mardocheo e tutto il popolo d'Israele; per questo un giorno si presentò ad Assuero e gli disse: «C'è un popolo sparso per tutte le province del tuo regno. Le sue leggi sono differenti da quelle degli altri popoli, e non osserva le leggi che tu hai emanato. Se così ti piace, dà ordine che sia sterminato e le sue proprietà siano requisite. Io stesso verserò gran parte delle loro ricchezze nel tesoro reale». Assuero si tolse l'anello con il sigillo e lo consegnò ad Aman, per dire che gli dava pieni poteri in quella questione, e precisò: «Il danaro tienilo per te; e di quel popolo fa' come ti piace: è tuo». Aman scrisse ai principi di tutto il regno una lettera con il sigillo del re, per annunciare che in un certo giorno, il tredici del mese di Adar, tutti gli Israeliti dovevano essere sterminati, e tutti i loro beni dovevano essere confiscati. Quando seppe di quella decisione, Mardocheo si stracciò gli abiti, si vestì di sacco in segno di grande dolore e con il capo cosparso di cenere andò per la città, levando grida di dolore. In quel modo egli intendeva anche richiamare l'attenzione di Ester. Non poteva andare da lei, perché nessuno sapeva che Ester, la regina, apparteneva anch'ella al popolo d'Israele. Quando riferirono a Ester che Mardocheo si comportava in quello strano modo che indicava un grande dolore, Ester chiamò un fidato funzionario del re e lo mandò nascostamente da Mardocheo a vedere che cosa era accaduto. Mardocheo informò il funzionario del progetto di Aman, e fece pregare Ester di presentarsi al re a difendere il suo popolo. Ma questo era molto rischioso, Ester lo sapeva bene: se qualcuno, non importa se uomo o donna, se sconosciuto o amico, e compresi i ministri e la stessa regina, si fosse presentato al re

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senza essere stato chiamato, sarebbe stato messo a morte; a meno che il re avesse puntato lo scettro contro quella persona, concedendole di parlare e di restare in vita. Mardocheo tuttavia pregò ancora Ester di intervenire, e tentare di salvare il suo stesso popolo anche a rischio della vita. La regina gli mandò questa risposta: «Va', raduna tutti gli Israeliti che abitano in questa città e digiunate per me per tre giorni; anch'io, con le mie ancelle, digiunerò per chiedere l'aiuto di Dio. Poi mi presenterò al re e, se dovrò morire, morirò». Il terzo giorno, dopo una lunga preghiera al Signore, Ester indossò le vesti regali e così adornata si presentò al re. Ella piacque al re, il quale puntò lo scettro verso di lei e le chiese: «Che cosa desideri, regina Ester? Qualunque cosa mi chiedi te la con-cederò, fosse anche la metà del mio regno». «Ti chiedo di intervenire oggi al banchetto che ho preparato per te e per Aman» rispose la regina. Il re e Aman andarono al banchetto, e Assuero disse ancora: «Che cosa desideri, regina Ester? Qualunque sarà la tua richiesta, sarà soddisfatta». Ester allora disse: «Se ho trovato favore ai tuoi occhi, o re, come primo desiderio concedimi la vita, e come secondo desiderio sia risparmiato il mio popolo. Poiché io e il mio popolo siamo condannati ad essere distrutti, uccisi e annientati». «Chi è, dov'è colui che osa progettare ciò?» chiese il re, sorpreso e adirato. «L'oppressore, il nemico è quel malvagio di Aman» disse coraggiosamente Ester, puntando il dito contro il ministro del re. Aman fu preso da paura; tentò di implorare perdono per quello che aveva fatto, ma Assuero non volle sentire altro e lo condannò a morte. Poi diede ordine a tutto il regno di salvare la vita a tutti gli appartenenti al popolo d'Israele. In seguito Mardocheo si presentò al re, perché Ester gli aveva detto chi era Mardocheo per lei. Assuero prese l'anello con il sigillo reale, che aveva tolto ad Aman, e lo diede a Mardocheo, ordinando che il suo nuovo ministro avesse onori regali. Tutti gli Israeliti ebbero in quei giorni gioia e onore, grazie a Ester, la regina che salvò il suo popolo.

Ester 1-10

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La casa crollò seppellendo tutti e dieci i figli.

Quando Giobbe lo seppe, piangendo, si prostrò e disse: « Il

Signore ha dato, il Signore ha tolto; sia benedetto il nome

del Signore ».

E amò il suo Dio.

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Giobbe accetta da Dio la gioia e il dolore In quei tempi lontano, c’era nella terra pagana di Us, vicino a Canaan, un uomo stimato anche dagli Ebrei. Si chiamava Giobbe e aveva sette figli e tre figlie. Essi si riunivano spesso per far festa insieme, e Giobbe, che non era ebreo ma temeva il Signore, offriva sacrifici speciali per i figli. Dio volle provare la sua fedeltà. Un giorno, mentre i ladri piombavano tra i suoi armenti depredandoli e uccidendo i guardiani, un uragano investì la casa dove erano i figli. La casa crollò seppellendo tutti e dieci i figli. Quando Giobbe lo seppe, piangendo, si prostrò e disse: «Il Signore ha dato, il Signore ha tolto; sia benedetto il nome del Signore ». E amò il suo Dio. Giobbe si era sottomesso alla volontà del Signore: molto si era addolorato, ma non aveva odiato Dio. Ma Satana non era soddisfatto: voleva che Giobbe si allontanasse da Dio. Allora Satana disse al Signore: «Io so perché Giobbe continua a benedirti: è ancora vivo e in buona salute. Prova a colpire il suo corpo, e ti maledirà!» E il Signore disse a Satana: «È in tuo potere, ma risparmiagli la vita. Vedremo se mi ama davvero!» Satana allora colpì Giobbe con piaghe in tutto il corpo, dalla pianta dei piedi alla cima del capo. Giobbe, in segno di lutto, andò a sedersi su un mucchio di cenere. Molto grande davvero era la sua sofferenza! Sua moglie gli disse: «Insisti ancora ad accettare la volontà di Dio? Ormai devi maledirlo, dopo tutto quello che ti è successo!» «Tu parli come una sciocca» rispose Giobbe. «Se da Dio accettiamo il bene, perché non dovremmo accettare il male?» Eppure egli rimaneva fedele al Signore. Un giorno vennero tre suoi amici: essi commiserarono Giobbe e mostrarono comprensione per lui, ma non poterono fare a meno di dirgli che se soffriva tanto, doveva avere commesso qualche male. A questi discorsi Giobbe replicava che quello non era il suo caso. Egli non aveva commesso alcun male: soffriva senza saper il perché. Giobbe, provato da tante sofferenze, levò infine la sua voce a Dio, chiedendogli la causa della sua grande tribolazione. Ma il Signore da un turbine gli rispose che non tutto possono capire gli uomini. Soltanto Dio sa il perché di tante cose, lui che è il creatore del cielo e della terra. Disse il Signore: «Chi è costui che vuole insegnare a me? Dov'eri tu quando io ponevo le fondamenta della terra? Dillo, se sei tanto intelligente! Chi decise le sue dimensioni? Chi l'ha resa salda, mentre cantavano in coro le stelle del mattino e applaudivano tutti gli angeli? «Da quando vivi, hai mai comandato al mattino di avanzare, hai mai detto al sole dove sorgere? Sei mai arrivato dove comincia il mare, hai mai passeggiato sul fondo degli abissi? Qual è la strada per andare dove abita la luce? Sei mai giunto ai serbatoi della neve e della grandine? Puoi tu alzare la voce fino alle nubi, e ordinare che piova?» Allora Giobbe rispose al Signore e disse: «Si tratta di cose troppo grandi per me. Perciò mi pento di

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avere osato chiederti conto, e non dirò altro né replicherò, ma farò penitenza sulla cenere!» Benché colpito da tante sventure, Giobbe non si ribellò al Signore, né pretese di capire quello che soltanto il Signore conosce. E il Signore apprezzò la pazienza e l'umiltà di Giobbe, e gli ridiede la salute e la ricchezza: anzi, gli diede il doppio di quello che aveva prima. Tutti gli amici vennero a far festa con lui, e lo consolarono di tutte le sue disgrazie. Così il Signore benedisse gli ultimi giorni di Giobbe più dei primi. Egli vide figli e nipoti, fino alla quarta generazione. Per propria esperienza Giobbe seppe che Dio dà la sofferenza al peccatore, ma non la risparmia all’uomo che lo ama.

Giobbe 1-42

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Allora uno dei serafini volò verso di lui, e gli parve come se

con un carbone ardente gli toccasse la bocca dicendo:

«Ecco, le tue labbra ora sono purificate; i tuoi peccati sono

perdonati».

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Il profeta Isaia

Uno dei grandi profeti del regno di Giuda fu Isaia. Egli seppe che il Signore aveva scelto lui un giorno in cui si trovava a pregare nel tempio di Gerusalemme ed ebbe una visione grandiosa. Egli vide il Signore su un trono alto ed elevato; i lembi del suo manto lambivano il tempio. Attorno a lui stavano dei serafini, i quali cantavano e proclamavano: «Santo, santo, santo è il Signore Dio dell'universo; i cieli e la terra sono pieni della sua gloria». Isaia a quella visione fu preso da un grande timore e disse: «Povero me, sono perduto, perché io sono solo un uomo, e peccatore: eppure i miei occhi hanno visto il Signore!» Allora uno dei serafini volò verso di lui, e gli parve come se con un carbone ardente gli toccasse la bocca dicendo: «Ecco, le tue labbra ora sono purificate; i tuoi peccati sono perdonati». Isaia comprese il significato di quel gesto: il Signore aveva tolto ogni impedimento, perché egli potesse parlare a nome suo. Perciò, quando udì la voce del Signore che diceva: «Chi manderò? Chi andrà a parlare per noi?» Isaia subito rispose: «Eccomi, manda me!» .

Isaia 6

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Geremia era un giovane timido; quando il Signore lo

chiamò, rispose: « Vedi: io non so parlare bene, perché sono

giovane!» Ma il Signore gli rispose: «Non dire: sono giovane;

tu devi soltanto ripetere quello che io ti ordino di dire ».

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Il Profeta Geremia

Geremia era un giovane timido; quando il Signore lo chiamò, rispose: « Vedi: io non so parlare bene, perché sono giovane!» Ma il Signore gli rispose: «Non dire: sono giovane; tu devi soltanto ripetere quello che io ti ordino di dire ».

Geremia era un profeta nato vicino a Gerusalemme. Egli, parlando a nome del Signore, spesso rimproverava il popolo ebraico perché, invece di adorare il Signore, unico e invisibile, preferiva le divinità degli stranieri. Così Geremia non si stancava di ripetere: «Le false divinità non esi-stono, anche se sono raffigurate da statue. Non sono che legno tagliato nel bosco, opera di un falegname. Sono ornate d'argento e d'oro, ma non sanno parlare; e bisogna portarle, perché non camminano. Sono come uno spaventapasseri in un campo di cocomeri! Non dovete avere paura di loro, perché non fanno alcun male. Ed è inutile pregarle, perché esse non possono fare alcun bene!»

Geremia vedeva anche che i popoli vicini erano più forti degli Israeliti, e capiva che Dio si sarebbe servito di loro per castigare il suo popolo. Geremia tentò in tutti i modi di convincere il popolo di Israele che, se avesse continuato ad adorare le false divinità, sarebbe stato sconfitto dai nemici. Geremia continuava a ripetere: «Dio vuole che torniate da lui!» Ma il popolo d'Israele non l'ascoltava.

Gli uomini d'Israele mostravano di non credere al profeta Geremia, che temeva i castighi del Signore per tutto il popolo ebraico, se esso non si fosse deciso a ritornare ad adorare il vero Dio e a rinunziare a onorare i falsi dèi.

Un giorno il Signore invitò Geremia a spiegarsi al suo popolo con un esempio pratico. Gli disse dunque: «Prendi e scendi nella bottega del vasaio: là ti farò udire la mia Parola». Geremia obbedì: andò nella bottega di un vasaio e vide che stava fabbricando dei vasi d'argilla, modellando appunto l'argilla con l'aiuto del tornio. Quando un vaso riusciva male, il vasaio impastava di nuovo l'argilla per modellare un vaso migliore. «Ecco» disse allora il Signore per bocca di Geremia: «Io potrei agire con voi, popolo d'Israele, proprio come questo vasaio. Voi siete come argilla nelle mie mani; se adorate i falsi dèi, siete come un vaso riuscito male, che bisogna rifare». Le parole dì Geremia non piacevano ai capi della città, che se ne lamentarono con il re. «Geremia sta seminando paura» dicevano. Ma Geremia, come tutti i profeti, non poteva fare a meno di dire al popolo quello che il Signore Dio gli ordinava.

Geremia 10;18

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Dio gli disse: « Ascolta quanto ti dico e non essere ribelle

come loro: apri la bocca e mangia questo rotolo e poi va e

parla al popolo d’Israele ». Egli aprì la bocca e lo mangiò e

per la sua bocca quel rotolo fu dolce come il miele. Ed ebbe

inizio la sua missione.

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Il profeta Ezechiele

Al suo popolo che soffriva nella terra d'esilio e che si era pentito dei suoi peccati, il Signore mandò i profeti a rincuorarlo. Uno di loro, Ezechiele, trascorse con gli esuli quasi tutta la sua vita.

All’inizio della sua missione egli ebbe in visione la gloria del Signore. Appena la vide cadde con faccia a terra e udì la voce che parlava a Lui e diceva: « Figlio dell’uomo, io ti mando ai figli d’Israele, a una razza di ribelli che si sono rivoltati contro di me. Non temere loro. Ascolta quanto ti dico e non essere ribelle come loro: apri la bocca e mangia questo rotolo e poi va e parla al popolo d’Israele ». Egli aprì la bocca e lo mangiò e per la sua bocca quel rotolo fu dolce come il miele. Ed ebbe inizio la sua missione.

Egli ricordava bene il tempio di Gerusalemme, e annunciò al popolo del Signore che un giorno il Signore avrebbe concesso ai suoi fedeli di tornare a pregare nel tempio. Il Signore anzi avrebbe fatto di più, assicurava Ezechiele: avrebbe cambiato il loro cuore, e invece del loro cuore cattivo, come di pietra, gliene avrebbe dato uno capace di amare il Signore.

Ezechiele esponeva al popolo le visioni che Dio gli mandava. Una riguardava la ricostruzione del popolo di Dio. Narrò il profeta che Dio lo aveva condotto in una valle, piena di ossa aride, e gli aveva detto: «Parla a queste ossa: dì loro che sto per riportarle in vita, e tutti di nuovo sapranno che io sono il Signore!» Appena ebbe detto ciò, si sentì un gran rumore: erano le ossa che si ricomponevano. Ezechiele aguzzò la vista, ed ecco notò che le ossa si ricoprivano di muscoli, i muscoli si coprivano di pelle, e poi si mettevano in piedi: i morti erano tornati in vita, ed erano numerosi come un esercito. Dio spiegò al profeta: «Queste ossa sono tutti i figli d'Israele. Ora essi sono come morti, come ossa aride. Nell’esilio in cui si trovano, essi pensano che non vi sia speranza per loro. Ma tu và, e riferisci loro che io, il Signore, li richiamerà in vita e li riporterò nella loro terra, quella terra d' Israele che io ho pro-messo di dare ad Abramo e alla sua discendenza». «Farò entrare in loro il mio spirito ed essi rivivranno», disse ancora il Signore. «Così sapranno che io sono il Signore. L'ho detto e lo farò».

Ezechiele 1;11; 37

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Daniele si era attirato la benevolenza del capitano, che gli

aveva permesso di restare fedele al Signore. E Dio gli diede

il dono di interpretare i sogni.

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Il tempio distrutto

Malgrado i tanti segni dell'aiuto di Dio, il popolo d'Israele continuava a tradirlo, commettendo quello che era male agli occhi del Signore. E allora egli permise che sui regni di Giuda e d'Israele scendesse un grave castigo, dopo di che il popolo sarebbe tornato a lui. Così i due regni, uno dopo l'altro, furono conquistati dai nemici. Tutto si avverò come i profeti avevano annunciato. Nabucodònosor, re di Babilonia, venne con un immenso esercito e assediò Gerusalemme. La città resistette per circa quattro mesi, fino a quando i suoi abitanti non ebbero più nulla da mangiare. Poi, attraverso una breccia nelle mura, i Babilonesi entrarono nella città. Il re tentò di mettersi in salvo con la fuga, ma fu catturato e molti furono uccisi. Il Tempio costruito da Salomone fu distrutto. I soldati di Nabucodònosor rubarono tutti i suoi tesori, tutti gli oggetti e le decorazioni in oro, argento e bronzo. Un gran numero di Israeliti fu fatto prigioniero, e mandato a vivere a Babilonia. Là, in quella terra straniera, essi ebbero molto a soffrire. Ma, secondo il piano di Dio, là essi compresero il male che avevano fatto e ripresero a pregare il Signore.

2 Re 17-25

Daniele fa conoscere Dio in Babilonia Nella deportazione, erano giunti a Babilonia molti giovani delle famiglie nobili di Giuda. Nabucodònosor comandò al sovraintendente della sua casa che fossero scelti tra essi dei giovani intelligenti e di bell’aspetto e volle che per tre anni venissero istruiti nella scrittura e nella lingua caldea per affidar loro alcuni compiti a palazzo. Tra i ragazzi prescelti vi furono Daniele, Anania, Misaele e Azaria. Ad essi, come agli altri, veniva dato il cibo della tavola del re. Ma i buoni israeliti non mangiavano il cibo degli stranieri; perciò Daniele chiese al sovrintendente di non costringerli a questo. «Ma se il re vedrà i vostri volti meno floridi di quelli degli altri ragazzi» - disse il sovrintendente - «incolperà me, e mi condannerà a morte!» Mettici alla prova per dieci giorni» - lo pregò Daniele. «Dacci soltanto acqua e legumi; poi farai il confronto con gli altri ragazzi, e deciderai tu stesso». Il sovrintendente accettò, e al termine della prova i volti dei quattro ragazzi apparvero più belli e floridi degli altri. Essi si dimostrarono anche intelligenti e saggi, e così Daniele, Anania, Misaele e Azaria al termine del periodo di istruzione rimasero al servizio del re.

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Daniele si era attirato la benevolenza del capitano, che gli aveva permesso di restare fedele al Signore. E Dio gli diede il dono di interpretare i sogni. Il re Nabucodònosor una notte fece un sogno che lo turbò molto. Allora fece venire Daniele; egli lo assicurò che gli avrebbe svelato il sogno. Con i compagni pregò Dio e, compreso il mistero, - « Re, - disse, - tu vedesti una statua enorme, che aveva la testa d'oro, il petto e le braccia d'argento, il ventre e le cosce di bronzo, le gambe di ferro e i piedi parte di ferro e parte di terracotta. Poi vedesti una piccola pietra frantumare la statua e diventare grande come una montagna. La testa d'oro della statua è il tuo regno glorioso, o re; ma dopo il tuo ne verranno altri sempre meno forti e gloriosi del tuo, fino a quando Dio farà sorgere un regno che toglierà valore a tutti gli altri, crescerà fino ad occupare tutta la terra e non avrà mai fine». Il regno di cui aveva parlato il profeta Daniele è quello fondato da Gesù, il Figlio di Dio venuto in questo mondo, il Re dell’Universo il cui regno non avrà mai fine. Allora Nabucodònosor si prostrò e disse: « il tuo Dio è il vero Dio perché ha svelato il sogno».

Daniele 1;2

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Ma l’angelo del Signore, che era sceso con Azaria e con i

suoi compagni nella fornace, allontanò da loro la fiamma

del fuoco della fornace e rese l’interno della fornace come

se vi soffiasse dentro un vento pieno di rugiada.

Così il fuoco non li toccò affatto, non fece loro alcun male,

non diede loro alcuna molestia.

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Dio salva dal fuoco tre giovani ebrei

Il re Nabucodònosor, re di Babilonia, fece erigere una statua d'oro alta trenta metri e larga tre; poi radunò i principi, i governatori, i capitani, i giudici, i tesorieri, i consiglieri e i prefetti, insomma tutti i funzionari del suo vasto regno. E un araldo intimò: «Al suono degli strumenti musicali, tutti devono prostrarsi ad adorare la statua d'oro. Chi non la ado-rerà, sarà gettato in una fornace ardente». Al suono degli strumenti musicali tutti si prostrarono e adorarono la statua d’oro. I tre giovani israeliti che erano alla corte di Babilonia, cioè Anania Misaele e Azaria, si rifiutarono però di adorare la statua. Il re Nabucodònosor lo seppe e ne fu irritato. Fece venire i tre giovani e minacciò di gettarli nella fornace ardente se non avessero adorato la statua. E aggiunse: « Nessun dio vi libererà dalla mia mano ». « Dio solo si deve adorare» risposero i tre giovani. «Tu puoi anche gettarci nella fornace. Se Dio vuole, ci libererà; e se anche non vorrà salvarci, noi non andremo mai contro la sua volontà. » Nabucodònosor divenne furibondo; fece aumentare il fuoco della fornace sette volte e vi fece gettare i tre giovani legati.

Ma l’angelo del Signore, che era sceso con Azaria e con i suoi compagni nella fornace, allontanò da loro la fiamma del fuoco della fornace e rese l’interno della fornace come se vi soffiasse dentro un vento pieno di rugiada. Così il fuoco non li toccò affatto, non fece loro alcun male, non diede loro alcuna molestia. Passeggiavano in mezzo alle fiamme lodando Dio dicendo: «Benedetto sei tu, Signore, Dio dei nostri antenati; tu sei degno di lode e di gloria per sempre ». Allora il re Nabucodònosor rimase stupito e alzatosi in fretta si rivolse ai suoi ministri: «Non abbiamo noi gettato tre uomini legati in mezzo al fuoco?». «Certo, o re», risposero. Egli soggiunse: «Ecco, io vedo quattro uomini sciolti, i quali camminano in mezzo al fuoco, senza subirne alcun danno; anzi il quarto è simile nell’aspetto a un figlio di dèi». Allora Nabucodònosor si accostò alla bocca della fornace di fuoco ardente e prese a dire: « Anania Misaele e Azaria, servi del Dio altissimo, uscite, venite fuori». Allora essi uscirono dal fuoco e constatò che neppure un loro capello era stato sfiorato dal fuoco. Stupito, il re disse: « Questi giovani hanno preferito la morte pur di non disobbedire al loro Dio, e il loro Dio li ha salvati. Perciò io decreto che nessuno nel mio regno deve recare offesa al Dio di Anania, Misaele e Azaria, poiché nessun altro è potente come il loro Dio»

Daniele 3

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Ora Nabucodònosor lodava il Re del Cielo, e riconosceva

davanti ai suoi sudditi che tutto ciò che Dio fa è vero e

giusto, anche se umilia coloro che sono orgogliosi.

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Nabucodònosor e il sogno dell’albero

Molti anni dopo quei fatti, Nabucodònosor fece conoscere ai sudditi un grande miracolo che Dio aveva operato per lui. Egli raccontò di aver visto in sogno un albero altissimo, carico di tanti frutti che potevano sfamare una grande quantità di gente. Una voce, però, aveva comandato di tagliarlo, ma di lasciare in terra il ceppo, legato con catene, affinché ricevesse la rugiada del cielo come le bestie della campagna. Daniele gli aveva spiegato il sogno così: « Quell’albero era il re, diventato grande e forte. Ma anche il ceppo era il re, che una malattia avrebbe reso simile ad una bestia ». Infatti la pazzia aveva colpito il re, ed egli, perso il regno e cacciato dalla reggia, era vissuto nella campagna mangiandone l’erba, il suo corpo era bagnato dalla rugiada, e i capelli e le unghie gli erano cresciuti come quelli degli animali. Ma il Signore gli aveva ridato la conoscenza ed egli lo aveva lodato e benedetto, riconoscendo davanti a lui di essere un niente. Dopo questo gli era stato restituito il regno. Ora egli lodava il Re del Cielo, e riconosceva davanti ai suoi sudditi che tutto ciò che Dio fa è vero e giusto, anche se umilia coloro che sono orgogliosi.

Daniele 4

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All'improvviso, però, apparvero le dita di una mano che

scrivevano sulla parete della sala. Il re Baldassàr si

spaventò moltissimo e fece venire i suoi saggi per

interpretare la scrittura misteriosa tracciata sul muro.

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La scritta sulla parete

Quando divenne re di Babilonia, Baldassàr imbandì un grande banchetto per mille dei suoi nobili, e davanti a loro incominciò a bere vino. Dopo aver molto bevuto, ordinò ai servi di portare le coppe preziose e i vasi d'oro e d'argento che suo padre Nabucodònosor aveva tolto dal tempio del Signore che era a Gerusalemme, e li usò per brindare ai suoi falsi dèi. All'improvviso, però, apparvero le dita di una mano che scrivevano sulla parete della sala. Il re Baldassàr si spaventò moltissimo e fece venire i suoi saggi per interpretare la scrittura misteriosa tracciata sul muro. Nessuno seppe darne il significato; per questo il re si spaventò ancora di più, e con lui i suoi consiglieri. Intervenne allora la regina, la quale disse al re: «Non turbarti; conosco io un uomo che saprà spiegarti la scritta». E mandò a chiamare un ebreo, che già un'altra volta aveva saputo spiegare i sogni del re. Si chiamava Daniele, ed era un profeta del Signore. Daniele disse al re Baldassàr: «Tu hai disprezzato il Signore Dio, usando i vasi del suo tempio per glorificare i tuoi falsi dèi. Essi non vedono, non sentono, non comprendono: non sono nulla! E invece il Signore, nelle cui mani è la tua vita, tu non l'hai glorificato». Daniele proseguì: «È per questo che il Signore Dio ha mandato la mano a tracciare quella scritta sulla parete. Essa va letta così: MENE, TEKEL, PERES. E questa ne è l'interpretazione: MENE, Dio ha contato il tuo regno e gli ha posto fine. TEKEL, : tu sei stato pesato sulle bilance e sei stato trovato insufficiente. PERES, il tuo regno è stato diviso e dato ai Medi e ai Persiani » Come Daniele aveva preannunciato, quella stessa notte Baldassàr, re di Babilonia, fu ucciso. E al suo posto Dario, il Medo, divenne re.

Daniele 5

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Daniele rispose al re: « Il mio Dio ha mandato il suo angelo a

chiudere la bocca ai leoni, che non mi hanno fatto alcun

male ».

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Daniele nella fossa dei leoni

Per Daniele non erano finite le sofferenze: egli doveva testimoniare anche al nuovo re che c’è un solo Dio, quello che adorava e che lo liberava dai nemici. Infatti alcuni ministri, gelosi di Daniele, chiesero al re di emanare un decreto che proibiva di onorare altri dei all’infuori del re. Daniele, conosciuto l’editto, entrò in camera sua, aprì la finestra che guardava verso Gerusalemme e pregò come aveva sempre fatto. I suoi nemici conoscevano la sua fede e l’ora della preghiera, s’introdussero nel suo palazzo e lo trovarono prostrato presso la finestra, che lodava il suo Dio. Subito corsero dal re e gli sussurrarono che Daniele non aveva alcun rispetto di lui e del suo decreto. Il re si addolorò perché stimava Daniele. Ma sollecitato da quegli invidiosi, lo fece gettare nella fossa dei leoni, dicendo: « Il Dio, che servi con amore, ti salvi! ». Il re sigillò col suo anello la pietra della fossa e tornò alla reggia, dove trascorse la notte digiunando e vegliando per Daniele. All'alba, subito si recò alla fossa, e chiamò: «Daniele, servo di Dio, il Dio che tu ami ha potuto salvarti?» Daniele rispose: «Il mio Dio ha mandato il suo angelo a chiudere la bocca ai leoni, che non mi hanno fatto alcun male». Il re si rallegrò molto che Daniele fosse salvo; lo fece uscire, e tutti poterono vedere che neppure un graffio lo aveva segnato e scrisse ai suoi sudditi di temere e onorare il Dio di Daniele, il Dio che salva e libera.

Daniele 6

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Dopo tre giorni e tre notti il Signore comandò al pesce, e il

pesce rigettò Giona, vivo, sulla spiaggia del suo paese, da

dove era partito.

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Il profeta Giona Un giorno il Signore scelse come suo profeta un uomo di nome Giona. Gli disse: «Alzati e va' a Ninive, la grande città, e avverti gli abitanti che devono cessare di comportarsi male, perché la loro cattiveria ha ormai sorpassato ogni limite ed è giunta fino a me». Ninive era una città straniera: il Signore voleva dire che egli è Dio non soltanto del suo popolo, ma anche di tutti gli altri popoli, e di tutti si prende cura. Ma Giona ebbe paura di recarsi in quella città: e se lo avessero messo a tacere con la forza? Per questo Giona fuggì dalla presenza del Signore; scese a Giaffa e si imbarcò su una nave diretta a Tarsis, nella direzione opposta a quella di Ninive. Durante la navigazione, però, mentre Giona se ne stava a dormire sotto coperta, si levò un forte vento che lacerò le vele e si scatenò una tempesta così forte che mise in pericolo la nave. I marinai si misero a invocare i loro dèi e a gettare in mare tutto il carico, perché la nave potesse galleggiare meglio. Quando si accorsero di Giona addormentato, si chiesero come mai anche lui non pregasse il suo Dio. E incominciarono a chiedersi come mai fossero stati tanto sfortunati da finire in quella tempesta. Allora i marinai si dissero l'un l'altro: «Tiriamo a sorte, per sapere chi è la causa della sciagura che si è abbattuta su di noi». Tirarono a sorte e la sorte cadde su Giona. «Chi sei?» gli chiesero. «Da dove vieni? Dove sei diretto? Di che colpa ti sei macchiato? Perché si è abbattuta su di noi questa sciagura?» «Sono un ebreo, e temo il Signore Dio del cielo, che ha fatto il mare e la terra» rispose Giona ai marinai. «Ora però mi sto allontanando da lui, perché ho disubbidito al suo comando. » «Che cosa possiamo fare perché la tempesta si calmi?» chiesero allora i marinai. «Prendetemi e gettatemi in mare, e la tempesta si placherà, perché so che essa si è abbattuta su questa nave per causa mia» disse Giona. Dapprima i marinai non vollero farlo, ma quando videro che il mare diventava sempre più forte, pregarono Dio perché non li punisse per la morte di Giona; poi lo presero e lo gettarono in mare. Subito la tempesta si placò! Il Signore allora fece in modo che Giona fosse inghiottito da un grosso pesce e là, nel ventre del pesce, Giona rivolse un'ardente preghiera al Signore, piena di pentimento per non aver seguito il suo comando e di speranza nel suo perdono. Dopo tre giorni e tre notti il Signore comandò al pesce, e il pesce rigettò Giona, vivo, sulla spiaggia del suo paese, da dove era partito. Giona aveva cercato di sottrarsi al comando del Signore, ma invano. Allora si decise, e come voleva il Signore andò nella grande città straniera di Ninive a parlare al suo re e ai suoi abitanti. Camminava per le strade, e ripeteva: «Ancora quaranta giorni, e Ninive sarà distrutta! Se non cambierete la vostra condotta, non potrete sopravvivere!» I cittadini di Ninive credettero a Dio che parlava per bocca di Giona, e

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dal più grande al più piccolo si vestirono di sacco in segno di penitenza, cioè per mostrare che volevano cambiare la loro condotta. Anche il re di Ninive si vestì di sacco, e per penitenza andò a sedersi sulla cenere. Il re disse: «Preghiamo perché Dio abbia pietà di noi e deponga il suo sdegno!» E, infatti, Dio vide l'operato del re e dei cittadini di Ninive; vide che si erano pentiti della loro cattiva condotta, ebbe pietà di loro e non distrusse la città. Giona avrebbe dovuto rallegrarsi che gli uomini di Ninive si fossero pentiti e perciò fossero stati salvati. Invece ne fu indispettito e pensò che lo avrebbero ritenuto uno sciocco, dal momento che aveva annunciato una distruzione che non c'era stata. Allora Giona prese a lamentarsi con il Signore, e gli disse: «Lo sapevo che sarebbe andata così già la prima volta che mi hai ordinato di venire a Ninive. Per questo ho cercato di fuggire a Tarsis! Perché tu sei un Dio buono e misericordioso, e anche se minacci di punire, poi ti impietosisci. Dunque ora toglimi la vita, perché per me è meglio morire che vivere!» «Ti pare giusto di essere così sdegnato?» gli disse il Signore. Ma Giona, tutto corrucciato, uscì dalla città e si fermò poco distante; si fece un riparo di frasche e si sedette in attesa di vedere che cosa sarebbe accaduto a Ninive. Allora il Signore fece crescere presso Giona una pianta di ricino, all'ombra della quale egli potesse ripararsi. Giona provò una grande gioia per quel dono. Ma il giorno dopo il Signore mandò un verme a rodere la pianta, ed essa si seccò. Giona rimase al sole e disse: «Meglio per me morire che vivere!» «Ti pare giusto sdegnarti per una semplice pianta di ricino?» gli chiese il Signore. E aggiunse: «Ti dai pena per quella pianta, che non hai piantato e per la quale non hai fatto alcuna fatica: e io non dovrei preoccuparmi di Ninive, in cui vivono più di centoventimila creature umane?» Giona capì che Dio è padre di tutti gli uomini.

Giona 1-4