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Sentieri LA RIVISTA DELLA SEZIONE TRENTINO DELL’ISTITUTO NAZIONALE DI URBANISTICA Issn: 2036-3109 Urbani Pos t e It alia ne Spa - Sp edizione in Ab bonam ento Pos ta le 7 0% NE/TN - anno I V - nume r o 8 - lug lio 2012 - 10,0 0 Bruno Kessler e il primo Pup 1961 - 1964 In questo numero

U i 8 r e i t n e V I N E T N SentieriUrbani · Nel Pup del 2008 abbiamo raccolto la lezione di Kessler adattandola ai tempi. ... Non ho mai dimenticato i ricordi dei lunghissimi

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Sentieri LA RIVISTA DELLA SEZIONE TRENTINODELL’ISTITUTO NAZIONALE DI URBANISTICA

Issn: 2036-3109

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Bruno Kesslere il primo Pup1961 - 1964

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In questo numero

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Editorialedi Giovanna Ulrici

Visione, Pianificazione, Progetto. Un'intervista a Bernardo Secchia cura di Alessandro Franceschini

Dossier: Bruno Kessler e il primo Pup 1961/1964a cura di Sergio Giovanazzi e Alessandro Franceschini

L’Italia e il Trentino all’inizio degli anni ‘60

di Giuseppe Samonà

La nascita di una nuova organizzazione territoriale: il Comprensorio

Il Trentino: la situazione culturale e socio-economica nel ‘61

Verso l’utopia “tecnicamente fondata”

La prima edizione del Pup

L’eredità del Piano Urbanistico Provinciale

Nel Pup del 2008 abbiamo raccolto la lezione di Kessler adattandola ai tempi. Intervista a Mauro Gilmozzi a cura di Giovanna Ulrici

60 anni di CIPRA Intervazionale. 20 anni di CIPRA Italiadi Luigi Casanova

Inu: eletti i vertici della “sezione Trentino”. Ulrici alla presidenzadi Elisa Coletti

Oggi la città. Pratiche dell’abitare nella città contemporanea

Biblioteca dell'urbanista

I protagonisti

Trentino 1961: alcuni dati

Cronologia degli eventi

Bibliografia di riferimento

La situazione urbanistica in Italia in rapporto alle emergenze socio-politiche

Il boom economico: un ritratto dell’Italia negli anni Sessantadi Pasquale Saraceno

Così lavorammo ad un nuovo codice dell’urbanistica

Quella maniera “disinvolta” di operare...di Giovanni Astengo

La scheda/1:

Il “programma Kessler” e l’avvio della pianificazione

La scheda/2: Le esperienze di pianificazione in atto in Trentino negli anni Sessanta

Le prime scelte di fondo e il Convegno di Torbole

La proposta di piano presentata al IX Congresso Inu

La scheda/3: Quando Samonà spiegò agli architetti...

Il 23 maggio 1964 la Giunta provinciale deliberava l’approvazione del piano

Il recupero di Castel Vasio: un sogno da conservare

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Sentieri Urbani rivista quadrimestrale della Sezione Trentino

dell’Istituto Nazionale di Urbanistica

nuova serieanno IV - numero 8

luglio 2012

registrazione presso il Tribunale di Trento n. 1376 del 10.12.2008

Issn 2036-3109

direttore responsabile Alessandro Franceschini

[email protected]

redazioneElisa Coletti, Paola Ischia,

Giovanna Ulrici, Bruno [email protected]

ha collaborato a questo numero

progetto graficoProgetto & Immagine s.r.l. - Trento

concessionaria di pubblicitàPublimedia snc

via Filippo Serafini, 1038122 Trento

0461.238913

© Tutti i Diritti sono riservati

prezzo di copertina e abbonamentiUna copia € 10 - Abbonamento a 3 numeri € 25

Per ricevere Sentieri urbani è sufficiente inviare una e_mail indicando i dati postali di chi desidera

abbonarsi alla rivista: [email protected]

I testi e le proposte di pubblicazione che pervengono in redazione sono sottoposti a valutazione secondo

competenze specifiche e interpellando lettori esterni

contattiwww.sentieri-urbani.eu

328.0198754

editoreBi Quattro Editrice

via F. Serafini, 1038122 Trento

Istituto Nazionale di Urbanistica Sezione Trentino

Via Oss Mazzurana, 54 38122 Trento

direttivo 2012/2014Giovanna Ulrici presidente

Bruno Zanon vice presidenteElisa Coletti segretario

Alessandro Franceschini tesoriereDavide Geneletti consigliere

Marco Giovanazzi consiglierePaola Ischia consigliere

Sergio Giovanazzi

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Bruno Kessler mentre firma le tavoledel Piano urbanistico provinciale

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Trovo che ci siano almeno due buoni motivi per introdurre con grande orgoglio questo numero di Sentieri Urbani, curato

da Alessandro Franceschini e Sergio Giovanazzi. Nelle pagine che seguono si ripercorre, con ampie testimonianze

dell'epoca, il processo di formazione del primo Piano Urbanistico della Provincia autonoma di Trento, per brevità

attribuito a Bruno Kessler politico e a Giuseppe Samonà urbanista e approvato nel lontano 1967.

La prima ragione. Ce ne fosse bisogno, l'“avventura del primo Pup” rende evidente che, se le norme urbanistiche

creano buone occasioni, solo le persone che pensano e agiscono con una coscienza urbanistica (e ancor prima civile)

si rendono responsabili del buon disegno di un territorio. Senza voler scivolare nella retorica del passato, va riconosciuta

la forza della personalità e della professionalità di chi all'epoca si assunse un grande onere: di dare una via di soluzione e

riscatto ad un Trentino in difficoltà, di decifrare i segnali più o meno forti del presente e di decidere di puntare su una idea

di futuro concretizzata in uno strumento di pianificazione urbanistica.

Il secondo motivo sta nella constatazione che il processo di formazione del primo Pup resta quale esemplare

costruzione condivisa di un nuovo modello insediativo, lontano dalla tradizionale contrapposizione città-campagna,

basato sulla ricerca di una giusta scala e di una corrispondente identità anche di gestione d'area vasta. Su questo

modello continua non solo a giocarsi il successo del nuovo strumento urbanistico provinciale e delle nuove Comunità di

Valle, ma anche, e ancor di più, la capacità di esercizio di democrazia, o di governo del territorio, da parte della

popolazione e delle forze che vi risiedono. Come allora è cruciale il riconoscimento che una adeguata scala territoriale

ed amministrativa non compromette l'identità delle singole comunità che vi abitano. E che scelte infrastrutturali e

insediative e produttive possono condizionare la fortuna di un territorio se armoniche al contesto ambientale e sociale:

chissà che il successo di questa idea di governo possa avere un contributo positivo, almeno uno, dalla recessione che ci

sta opprimendo disperdendo il dominio di una cattiva politica alleata al troppo facile richiamo della rendita

immobiliare.

Walter Micheli, proprio riferendosi al primo Pup, citava Adriano Olivetti che sul primo numero della rivista dell'Istituto

nazionale di urbanistica, nel 1949, scriveva: «L'urbanistica reclama la pianificazione; e può darsi una pianificazione

democratica, cioè libera? Questo interrogativo dominerà implicitamente o esplicitamente il nostro lavoro. È soltanto

nella soluzione del rapporto individuo-collettività… che è possibile anticipare la soluzione». Le parole di Olivetti

inquadrano la visione dell'Inu di allora e, superata una lunga stagione di ideologie e tecnicismi politici, anche quella

attuale.

Le successive esperienze provinciali di pianificazione a larga scala hanno esteso le loro radici nel Piano del '67, dovendo

confrontarsi anche con gli effetti di quel Piano: effetti positivi, se si guardano i dati socio-economici del Trentino del

dopoguerra e le opportunità per le valli. Ma anche negativi, se si valutano le conseguenze ambientali di certe scelte di

sviluppo insediativo industriale e residenziale sulle quali poi sia il Piano Mancuso-Mioni del 1987, promosso dall'assessore

Micheli, con le politiche di tutela e messa in sicurezza ambientale (e la nuova legge sui parchi e sulla Via), sia la Variante

del 2002, promossa dall'assessore Roberto Pinter e compiuta nel Piano generale del 2008, promosso all'assessore Mauro

Gilmozzi (con la legge sulle “seconde case”, le aree agricole di pregio) sono dovuti intervenire. Il percorso a ritroso è però

gioco pericoloso, anche perché le responsabilità per una riuscita imperfetta possono essere in parte demandate

all'attuazione del Piano, ai diversi soggetti e interessi che se ne sono poi serviti, snaturandolo.

Non ho mai dimenticato i ricordi dei lunghissimi viaggi su e giù per le strade del Trentino che a noi studenti Iuav il professor

Lorenzo Moro amava raccontare, rammentando il suo coinvolgimento come neolaureato nel gruppo di lavoro di

Samonà. In particolare il grande studio sui centri storici e sull'edilizia rurale. Per me, prima di conoscere il Piano e il Trentino,

la narrazione di quella esperienza ha rappresentato un serio modello focalizzato su di una sistematica conoscenza,

diretta e concreta, del territorio. E la bellezza di poter lavorare sperimentando nuovi strumenti e approcci interdisciplinari:

il Pup fu il primo piano di area vasta prodotto in Italia.

Vi invito quindi alla lettura di questo numero di Sentieri Urbani: inusuale perché, nel rispetto della citazione storica ma

senza voler applicare metodologie di ricerca storica, ripercorre un passaggio cruciale dell'urbanistica trentina e

nazionale.

Giovanna Ulrici

presidente INU Sezione Trentino

Editoriale

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Un’intervista a Bernardo Secchia cura di Alessandro Franceschini

Visione,Pianificazione,Progetto

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Professore, all'inizio degli anni Sessanta il Trentino, sotto la visione politica di Bruno Kessler, si appresta ad implementare un piano territoriale di area vasta e Lei è tra i professionisti chiamati da Giuseppe Samonà a far parte dell'equipe di progetto. Che ricordo ha di quell'esperienza?«In quel periodo mi occupavo principalmente di economia urbana, che avevo iniziato ad insegnare presso l'Istituto Universitario di Architettura di Venezia. Samonà, che era allora il rettore di quella Scuola, mi aveva coinvolto, giovanissimo, nel gruppo di lavoro proprio per quanto riguardava gli aspetti relativi all'economia urbana. Naturalmente, né io né tantomeno Samonà, abbiamo mai creduto molto negli specialismi della divisione disciplinare. Ogni componente dell'equipe di progetto offriva il suo contributo a tutto campo. Ricordo le lunghe serate passate assieme, dopo uno giornata di lavoro, a Samonà all'Hotel Trento. Lui non era una buona forchetta, diffidava dei piaceri della cucina. Così si passava molto tempo a parlare e a immaginare scenari di progetto e idee di sviluppo. È stato come fare una seconda università. Per questi motivi si è trattato di un'esperienza fondamentale per me. Ma, in fondo, anche per quanto riguarda la storia della pianificazione nel nostro Paese, visto che per la prima volta si intraprendeva una pianificazione di area vasta. Devo però anche aggiungere che, purtroppo, di quell'esperienza trentina non è stato capito nulla».

Può spiegare meglio questo concetto?«La vera grande intuizione di quel piano è quella della teorizzazione della “unità insediative”. Già in quegli anni era chiaro come anche nel Trentino fosse in atto un fenomeno di dispersione urbana e che fosse ormai impossibile ragionare nei termini classici di contrapposizione tra città e campagna e tra città e insediamenti diffusi. Le unità insediative, la cui formazione era una conseguenza diretta delle caratteristiche

Bernardo Secchi, professore ordinario di Urbanistica all'Istituto Universitario di Architettura di Venezia, è stato preside della Facoltà di Architettura di

Milano. Ha insegnato nell'Ecole d'Architecture di Ginevra, nell'Università di Lovanio, di Zurigo, nell'Institut d'Urbanisme de Paris e nell'Ecole

d'Architecture de Bretagne (Rennes). Ha partecipato alla redazione di numerosi piani e progetti in Italia e in Europa.

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morfologiche ed ambientali del territorio, erano un'occasione interessante per inventare nuovi scenari di sviluppo insediativo».

In effetti la presenza preponderante del sistema morfologico è una componente che ha condizionato molto le dinamiche insediative nel Trentino.«Con Samonà, scherzavamo spesso su questo aspetto. Dicevano che progettare in montagna è molto più facile che progettare in pianura, perché lì il territorio detta delle regole che è bene osservare: la morfologia, la rete idrografica, il soleggiamento… una griglia di vincoli ai quali l'insediamento si deve necessariamente conformare».

Ritorniamo, per cortesia, alle unità insediative.«Sì, il riconoscimento e la codificazione di quelle unità insediative non è stato capito fino in fondo. Quell'idea è stata ad un certo punto “burocratizzata”, ridotta a perimetri che hanno preso il nome di comprensori. Invece nell'intuizione originaria, le unità insediative non avevano perimetri, ma erano delle “macchie” che ordinavano gerarchicamente il territorio. In questo modo è stato “tradita” l'intuizione originaria di Samonà. Durante la redazione del piano emergevano sempre due posizioni dialettiche: una era quella vulcanica di Giuseppe Samonà. L'altra era quella dei funzionari della Provincia autonoma di Trento. Questi pretendevano delle definizioni univoche che potessero essere tradotte in legge. Questa distanza spesso faceva innervosire Samonà. D'altronde si trattava di un lavoro difficile, che veniva fatto per la prima volta in Italia. Esisteva solo qualche esempio internazionale. Qualcosa era stato fatto nel Piano intercomunale di Milano, esperienza urbanistica molto frustrante a cui avevo avuto l'occasione di collaborare. Tuttavia, per quanto riguarda il piano trentino, ricordo un clima molto disteso dentro il gruppo di lavoro che era caratterizzato dalla presenza di professionisti molto capaci. E poi c'era, ovviamente, Bruno

Kessler».

…che è considerato il “padre politico” del Piano urbanistico provinciale.«Kessler era un “vecchio” democristiano, che possedeva una grande capacità politica e, soprattutto, idee e visioni. Era molto attaccato alla sua terra, in particolare alla natia Val di Sole. Con lui si passavano delle ore molto interessanti e devo dire che è stato uno dei pochissimi personaggi politici (oltre a lui mi viene in mente solo Mino Martinazzoli, storico sindaco di Brescia e ultimo Segretario nazionale della Democrazia Cristiana) con cui ho amato conversare. La sua caratteristica era quella di circondarsi di persone che la pensavano diversamente da lui. Metteva continuamente in discussione i suoi princìpi. Non a caso si era attorniato di professionisti che avevano anche delle idee politiche diverse da lui, come Samonà. Il quale aveva un'attrazione per i problemi sociali e non pensava – diversamente da molti altri – che l'industria fosse la panacea a tutti i problemi di sviluppo».

Tra l'altro Samonà, nel caso del piano trentino, non si comportava da “archistar” ma era spesso a Trento per seguire i lavori…«Per sua predisposizione Samonà era sempre “sul pezzo”. Amava essere lui, direttamente, a fare le cose. Non che non si fidasse dei suoi collaboratori. Ma amava molto il suo lavoro, anche negli aspetti più concreti. Il lavoro che facemmo a Trento ci impegnò molto e il capogruppo era sempre presente. Per quanto mi riguarda era il mio lavoro a tempo pieno di allora. Bisogna inoltre tener conto che il piano era completamente disegnato a mano. Eravamo abbondantemente nell'era pre-informatica. Il piano era redatto su grandi tavole con pennini a china, acquerelli, retini su trasferibili. A volte si commetteva un errore che comprometteva

Kessler era un “vecchio” democristiano che possedevauna grande capacità politica e, soprattutto, idee e visioni.Con lui si passavano delle ore molto interessantie devo dire che è stato uno dei pochissimi personaggipolitici con cui ho amato conversare

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tutta una tavola e che doveva essere, conseguentemente, rifatta da zero».

Tra l'altro le tavole originali del piano sono andate perdute, rovinate irrimediabilmente dall'alluvione del 1966…«Sì e questo è un vero peccato. Ma capita frequentemente che le amministrazioni perdano la tavole originarie di un piano anche senza eventi catastrofici, come nel caso del Trentino. Penso, ad esempio, ai disegni originari del mio piano per Siena, che l'amministrazione senese ha inspiegabilmente perduto».

Come era il Trentino degli anni Sessanta? Si ha spesso l'impressione che si trattasse di una terra arretrata e povera.«No, il Trentino di allora non era una terra arretrata, né economicamente né culturalmente. Basti pensare che già allora esisteva un fenomeno turistico significativo. C'erano però due grossi rischi. Il primo era quello del mito dell'industrializzazione. Si credeva che l'industria potesse essere la soluzione a molti dei problemi di crescita economica. Noi cercavamo di far capire che l'industria non era, a volte, la soluzione migliore e, soprattutto, che il suo arrivo non era scevro da problemi di natura urbanistica e ambientale. Le conseguenza più gravi di quelle scelte le possiamo vedere oggi soprattutto nelle zone a nord di Trento e a sud di Rovereto».

Ed il secondo rischio?«Il secondo rischio riguardava il sistema turistico, ed in particolare il suo sviluppo legato alla villeggiatura “famigliare”. Ed in effetti è stato un po' così: si è puntato su un afflusso turistico famigliare, basato principalmente sulla “seconda casa” che ha compromesso territori e paesaggi di grande interesse: penso alla Val di Fiemme, a San Martino nel Primiero, alla Val di Sole, alla

piana di Tione… In particolare non si era capito che anche il fenomeno del turismo residenziale potesse essere urbanisticamente governato in maniera creativa. Invece spesso ci si è accontentati di uno sviluppo caotico. Ma questo non può che essere considerato un effetto collaterale del grande boom economico degli anni Sessanta che vedeva l'Italia uscire, finalmente, dalla povertà e diventare un paese ricco».

C'era una percezione di “distanza” tra il Trentino di allora e i territori di pianura e di Milano, in particolare?«Devo dire che già allora si percepiva una maggiore civiltà rispetto alla pianura che abitualmente frequentavo. Se posso raccontare un piccolo aneddoto: durante i miei soggiorni a Trento ero solito frequentare una libreria collocata in via Belenzani, nel centro storico del capoluogo. Quando i proprietari mi ebbero “inquadrato” come un ricercatore e docente dell'università, mi lasciarono liberamente fare delle ricerche bibliografiche sulle scalette dei loro scaffali. Ebbene, con mia grande sorpresa in quella libreria trovavo tanti libri esauriti che a Milano era impossibile ottenere. Così il mio fornitore ufficiali di libri esauriti e rari divenne quella libreria di Trento».

Come è finita la sua avventura con il Piano urbanistico del Trentino?«Finito il piano, Samonà mi diede il compito di “tenere la posizione”. Fui nominato così all'interno della Commissione urbanistica provinciale, che aveva il compito di esaminare i piani regolatori generali e di verificarne la coerenza con il Piano urbanistico provinciale. Devo ammettere che in quella commissione godevo di una certa autorevolezza che mi portava ad essere uno dei membri più ascoltati. Ricordo, sempre come aneddoto, la bocciatura clamorosa del Piano regolatore della città di Arco, firmato da Renata Egle Trincanato, allora molto intima con Samonà. Con mia sorpresa, egli stesso mi confessò, a quattr'occhi, la sua

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solidarietà: un piano che avrebbe bocciato anche lui, se avesse dovuto e se avesse potuto. Un'altra bocciatura che fece scalpore fu quella del Piano regolatore di Rovereto, che era veramente un pessimo piano. In quel caso, per sostenere le mie tesi, dovetti farmi anche dei nemici. In generale le attese del piano, calate sulle realtà locali, facevano fatica a emergere, soffocate dalla prevalenza degli interessi localistici».

Dopo l'approvazione del piano cominciarono tuttavia i problemi. In particolare per quanto riguarda l'idea di Comprensorio e la sua attuazione sul territorio.«In effetti con la formazione dei Comprensori, iniziarono anche i problemi. Come al solito, questo non ha a che fare con la forza del piano urbanistico, ma con la distribuzione del potere. Purtroppo la classe politica di allora non era all'altezza di Kessler. Come ho già detto, lui era una persona intelligente e con grande capacità di “visione”. Però, purtroppo, era circondato da politici ed amministratori meno dotati. E questo ha portato ad un'attuazione del piano urbanistico banale e superficiale. In questo senso le successive revisioni hanno fatto perdere il carico potenziale del piano. Si è perso totalmente, ad esempio, il concetto di unità insediativa. I tanti professori che si sono succeduti a Trento, in occasione delle successive revisioni del piano, avevano l'opportunità di lavorare con maggiore profondità sul concetto di unità insediativa. Era l'occasione per uscire della dialettica tra città e campagna che ha portato nel resto d'Italia al fenomeno della dispersione».

Intende dire che la disciplina non è stata all'altezza della sfida?«Più passa il tempo, più devo ammettere che la mia generazione di urbanisti ha delle enormi responsabilità dentro alla storia della nostra disciplina. Ovvero non aver accolto gli stimoli e le intuizioni dei nostri maestri, Giuseppe Samonà, Giancarlo De Carlo,

Giovanni Astengo… Certo, abbiamo subito la grande interruzione e cesura avvenuta negli anni Settanta, quando la disciplina si è politicizzata e si è creduto di poter sostituire il territorio reale con delle teorie astratte e ideologiche. Ma non è una scusa sufficiente e oggi possiamo dire che la mia generazione ha fallito il proprio compito. Non è un caso che oggi in Italia ci sia una grandissima difficoltà, da parte di tutti, di parlare di città e di territorio. Per cui oggi lavorare nel nostro paese è simile ad una perdita di tempo. E non è un caso che attualmente i miei interessi professionali siano tutti all'estero. In Belgio, in Francia, perfino in Russia. All'estero l'importanza del territorio è accettata e voluta da tutte le componenti della società. Qui da noi l'urbanistica sembra trasformata in un mercato dei suoli, in un mercato politico».

Quale stato il ruolo dell'Inu in questa negligenza disciplinare? «L'Istituto Nazionale di Urbanistica ha avuto, in questo senso, delle forti responsabilità, perché ha portato il dibattito inerente le trasformazioni del territorio sul piano squisitamente giuridico. Pensando erroneamente che il diritto fosse il mezzo per comprendere le relazioni sociali e spaziali della nostra società che si esprimono nella costruzione del territorio. Mentre è esattamente il contrario: è dalla comprensione delle dinamiche del territorio che si possono comprendere le caratteristiche delle relazioni socio-spaziali, governandole – successivamente – con il diritto. Ma non è solo questo il problema. La dicotomia tra giurisprudenza ed urbanistica ha fatto precipitare la disciplina in un'atmosfera tetra e terribilmente noiosa. Questo ha portato gli urbanisti ad essere degli esclusi ed oggi nessuno più li ascolta. E questo è, probabilmente, l'aspetto più disastroso».

Più passa il tempo, più devo ammettere che la mia generazione di urbanisti ha delle enormi

responsabilità dentro la storia della nostra disciplina: non abbiamo saputo cogliere fino in fondo gli

stimoli e le intuizioni dei nostri maestri

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Dossier:Bruno Kessler e il

primo Pup 1961/1964a cura di Sergio Giovanazzi e Alessandro Franceschini

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Cinquant'anni fa il Trentino fu protagonista di un'importante pagina della storia

dell'urbanistica italiana: Bruno Kessler, giovane presidente della Provincia di Trento,

raccolse attorno a sé architetti, urbanisti, economisti, sociologi e demografi per dar vita al

primo piano urbanistico di area vasta realizzato nel nostro Paese. Il Piano urbanistico della

Provincia di Trento fu adottato dalla Giunta Provinciale il 23 maggio 1964 (con l’adozione

definitiva approvata il 10 agosto 1967), dopo tre intensi anni di lavori preparatori, durante i

quali di un singolare accordo tra politica e lavoro scientifico permisero la realizzazione di

quella che Leonardo Benevolo avrà modo di definire come “un'utopia tecnicamente

fondata”.

Questo numero di Sentieri Urbani intendere ripercorrere non tanto la struttura del piano,

peraltro già ampiamente contenuta in un volume monografico sul Pup edito dalla

Provincia autonoma di Trento nel 1968, quanto piuttosto le tappe della sua articolazione

politica e della sua predisposizione tecnica. L'occasione di questo lavoro è stata la

sistematizzazione di una serie di materiali raccolti negli anni Ottanta da Sergio Giovanazzi

che Giuseppe Samonà volle al suo fianco nella redazione del piano. Si tratta di documenti

spesso ancora inediti, che hanno la forza di raccontare «da dietro le quinte» l'evoluzione

del percorso di piano.

Dagli anni Sessanta ad oggi, il territorio trentino ha vissuto mezzo secolo di intenso sviluppo,

durante i quali da una parte si è creato un particolare quadro istituzionale di autonomia,

che ha registrato il momento più significativo nella modifica dello Statuto del 1972,

dall'altra parte si è tentato di incanalare il processo di trasformazione con l'utilizzo di

strumenti pianificatori in parte nuovi. Nel Trentino, durante il periodo che va dal 1960 ad

oggi, le caratteristiche strutturali delle popolazioni della campagna si sono

profondamente evolute verso forme specifiche dei gruppi urbani anche in modo parziale

e non uniforme. La composizione della popolazione attiva, per citare soltanto gli elementi

di maggiore rilevanza, si è ormai differenziata nei settori di attività verso caratteristiche

tipicamente urbane. Quasi ovunque gli addetti al settore primario costituiscono la

porzione più ridotta, mentre gli addetti al terziario superano quelli dell'industria.

La diversità, rispetto agli anni '60, aumentano considerando che la stessa attività agricola

si sta profondamente modificando verso una specializzazione che richiede agli operatori

forti capacità di astrazione, al di là del fatto concreto quotidiano. La stratificazione socio-

politica è più rilevante e differenziata che nel passato e comporta una parallela maggiore

stratificazione urbana che, se non raggiunge il grado tipico delle grandi città, è ben più

rilevante di una volta.

La scolarizzazione fino agli ultimi livelli, ha interessato nelle vallate un alto numero di

giovani e la loro presenza attiva è ovunque testimoniata dall'aumento dell'as-

sociazionismo e dalla partecipazione al dibattito su argomenti d vario interesse. Anche la

mobilità della popolazione si è accresciuta oltre i prevedibili andamenti legati all'esodo

agricolo ed è frequente il caso di spostamenti rilevanti dall'agricoltura al turismo, ma in

tempi recenti in maggior misura dall'industria ad altre attività legate al turismo, al

commercio, ai servizi.

Per la prima volta in una regione italiana cambiamenti di questa portata sono stati stimolati

anche da un complesso di interventi pianificatori variamente articolati, che hanno trovato

nell'idea di comprensorio la loro espressione unificante. La “campagna urbanizzata”, in

cui per ognuno dovevano essere effettivamente la possibilità di scelta, obiettivo primo del

piano provinciale già nel 1961, si è dunque realizzata – per certi aspetti – su larghe parti del

territorio trentino.

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I protagonisti

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Bernardo Secchi(1934)Professore ordinario di urbanistica presso l’Iuav di Venezia. Ha firmato piani urbanistici e ricerche in Italia e all’estero.

Giambosco Janes(1934)Laureato in Giurisprudenza presso l'Università di Bologna ha direttol'Ufficio Urbanistico della Provincia autonoma di Trento costituitoproprio in occasione della redazione del Pup.

Romano Prodi(1939)Economista, professore universitario, è stato allievo di Nino Andreatta. Per due volte è stato presidente del Consiglio dei Ministri della Repubblica.

Pietro Nervi(1932)Nato a Toirano, provincia di Savona. Laureato in Scienze Agrarie all’Università Cattolica Sacro Cuore di Milano, è docente di economia e politica montana e forestale all’Università di Trento.

Pietro LeonardiDomenico MaioneGiulio MenatoLorenzo Moro

Ivo PeriniUmberto PotoschnigGino TomasiGiannantonio Venzo

Bruno Kessler(1924 - 1991)Presidente della Provincia autonoma di Trento dal 1961 al 1973, è considerato il “padre” del Pup e dell’Università di Trento. Deputato e Senatore, è stato Sottosegretario della Repubblica.

Giuseppe Samonà(1898 - 1983)Fra i maggiori architetti italiani del Novecento, Samonà è stato un celebre urbanista. Nel 1936 viene chiamato dall'Istituto Universitario di Architettura di Venezia, dove prosegue l'attività accademica fino al 1971.

Il politico

Giampaolo Andreatta(1931)Dirigente della provincia autonoma di Trento è stato a lungo collaboratore di Bruno Kessler e Nino Andreatta. All’interno dell’equipe del Pup coordinava l’Ufficio Studi.

Sandro Boato(1938)Laureato in Architettura a Venezia con Giuseppe Samonà, entra a far parte dell’equipe di progetto del Pup nell’estate del 1961. In seguito ha lavorato presso il Servizio Urbanistica della Provincia autonoma di Trento.

Il coordinatore

I progettisti

I collaboratori generali

Franco Demarchi(1921 - 2004)Figura poliedrica di studioso e di sacerdote, è stato professore di sociologia all’Università di Trento, all’Università Cattolica di Milano, all’Università di Trieste e in molte altre istituzioni.

Rodolfo BeniniErcole CalcaterraAlfredo de RiccabonaBruno Gentilini

I consulenti

Gli altri consulenti

Nino Andreatta (1928 - 2007)Politico ed economista, ebbe un lungo sodalizio con Bruno Kessler sul tema dell'autonomia. Professore univeristario ha insegnato economia ad Urbino, Trento, Milano. Dal 1980 al 1998 fu più volte Ministro della Repubblica.

Sergio Giovanazzi(1937)Laureato in Architettura a Venezia con Giuseppe Samonà, entra a far parte dell’equipe di progetto del Pup nell’estate del 1961. Ha curato anche la fase attuativa del piano, firmando il Piano Comprensoriale della Val di Sole.

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Trentino 1961:alcuni dati

Comuni: 227 / Abitanti: 412.104 / Estensione: 6.212 Kmq

Trentino:Donne: 96Uomini: 304

Italia:Donne: 99Uomini: 299

Trentino:agricoltura: 26%industria 39%altro 35%

Trentino 2,2%

Trentino: analfabeti: 0,5%diplomati 3,5%laureati 8,5 %

Trentino 8,9%

Fonte: Istat del 1961

Popolazione attiva,distinta per sesso(valori ogni 1000 abitanti)

Italia:agricoltura: 30%industria 39%altro 31%

Occupati secondograndi rami di attività

Incrementodemografico (1871/1961)

Italia 6,8%

Italia 7,7%

Tassodi disoccupazione

Istruzione

Italia: analfabeti: 7,5%diplomati 3,8%laureati 11,8 %

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Cronologia1961 / 25 aprile- Bruno Kessler espone al Consiglio provinciale il suo primo programma quadriennale:«Riteniamo che la Giunta, pur con i necessari contemperamenti, debba impostare la sua attività su basi scientifiche senza tuttavia cadere nell'eccesso opposto, consistente nel considerare come sperimentale ogni risultanza scientifica».

1961 / 31 luglio- Viene affidato l’incarico a Giuseppe Samonà e Giovanni Astengo (subito ritiratosi) dell’Iuav di Venezia di redigere il Piano urbanistico provinciale.

1961 / ottobre- Si svolge a Trento il primo seminario sul tema del Pup: confronto con i primi risultati dello studio Tèkne affidato dalla Regione TAA per studiare l’industraializzazione delle province di Trento e di Bolzano.

1961 / dicembre - Fine dello studio Tèkne sulle ipotesi di localizzazione industriale nella regione. Emergono tre ipotesi di organizzazione territoriale; l'ultima prevedeva “una zona di concentrazione industriale, urbana e fatta di servizi lungo l'asta Rovereto – Bolzano e la formazione di una serie di poli di sviluppo industriale all'interno di alcune valli”. In Trentino si prevedono nove aree. Il Pup rifiuta questa schematizzazione a favore di una pianificazione più articolata, più comprensiva delle realtà e tradizioni locali.

1961 - Prime ipotesi sul Prg di Trento, formulate dal gruppo del prof. Marconi, che accentuano il ruolo del capoluogo egemone. Duri scontri con il gruppo Samonà.

1962 / inizio- Si inizia con una vasta ricognizione della realtà provinciale, con indagini dirette e coordinate (sociologiche, sull'agricoltura, sui servizi, sull'edilizia e sulle preesistenze ambientali, sull'energia);- Prime elaborazioni demografiche;- Prime verifiche con gli amministratori locali (Cles, Fondo, Malè).

1962 / aprile- Convegno Torbole, presieduto da Bruno Kessler ed organizzato dall'Ufficio Studi.Parteciparono: Samonà e i suoi collaboratori, Nino Andretta, Lombardini, Secchi, Calcaterra, Braga, Rivolta. Dibattito tra le ipotesi di localizzazione/programma economico e le prime scelte urbanistiche, orientate verso l'equilibrio territoriale, capace di formare “città senza concentrazione”, una nuova organizzazione territoriale, fondata su dimensioni opportune: si precisano dunque, anche nei loro confini, i comprensori, con le tipologie formative di queste nuove città (relative all'industria diffusa, ai servizi altrettanto decentrati, al recupero del patrimonio edilizio antico, all'uso equilibrato delle risorse ambientali finalizzate all'equilibri territoriale).Si precisa quindi il concetto di “campagna urbanizzata”. Sono individuate sette grandi unità territoriali, la prima proposta di suddivisione comprensoriale;all'interno di queste, più comuni formano le “unità insediative”, quasi quartieri della nuova città, utili per un'organizzazione unitaria dei servizi.

1962 / novembre- Presentazione della prima, completa proposta di Pup al congresso Inu di Milano:- Dieci comprensori, correlati alle valli e alla loro storia;- Lettura del territorio, attraverso le sue trasformazioni, in particolari le più recenti e quelle in corso;- Analisi della struttura insediativa;- Analisi di quella socio – economica - demografica;- Il comprensorio come struttura capace di realizzare il concetto di campagna urbanizzata, individuabile usando alcuni precisi criteri;- Trento enucleata come città comprensorio;- Superstrada della Valsugana;- Strade di completamento dell'autostrada;- Prime indicazioni sul turismo.

1963 / riunioni nei comprensori- verifiche di tutte le ipotesi con gli amministratori.

1963 / primavera- dichiarazione di Kessler al Consiglio Provinciale:«Ove si arrivasse a proporre e a far accettare nei comprensori un discorso unitario sui principali problemi con reciproci sacrifici individuali in vista di maggiori utilità collettive, già si farebbe un grosso passo in avanti. Su questa strada d'altra parte ci stiamo avviando con profitto ed in quattro comprensori – Val di Sola, Cismon, Bassa Valsugana, e Val Lagarina già si sta per iniziare la pianificazione».E inoltre: «Non ci nascondiamo che stiamo per porre in movimento una organizzazione che potrà avere oggi sviluppi imprevedibili».

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1963 / ottobre- Convegno Inu di Cagliari: presentazione dell'attività urbanistica della Provincia in una sede nazionale. Grandi consensi alla relazione di Kessler.

1963 / novembrePreparazione della stesura ufficiale del Pup in un quadro completo (scala 1:10.000).

1963/dicembrePresentazione al Consiglio della nuova legge urbanistica provinciale, redatta in funzione delle caratteristiche del progetto di piano. Previsione del piano comprensoriale e quindi dei consorzi per sua predisposizione e approvazione.

1964 / gennaio-aprile Ulteriore tornata di consultazioni nelle quali disse Kessler: «sulle premesse, sugli obiettivi di fondo e sulle indicazioni di maggior rilievo del Pup abbiamo riscontrato un'ampia e per noi significativa adesione degli amministratori pubblici locali, nonché delle rappresentanze dei vari gruppi economico-sociali».

1964/23 maggioApprovazione del progetto PUP da parte della Giunta Provinciale- Esso materialmente costituito dalla relazione illustrativa, delle norme di attuazione e della cartografia, che per tutte le parti abitate e dalla cartografia, della scala 1:10.000, era firmato dal prof. Giuseppe Samonà dal prof. Nino Andretta e dall'arch. Sergio Giovanazzi, mentre gli studi e le ricerche che lo accompagnavano erano stati coordinati dal Dott. Giampaolo Andreatta. I contenuti del piano sintetizzavano i risultati del dibattito precedente. Nel presentarli Kessler ribadiva un quadro di riferimento ormai costante nel processo di piano: «Le indagini effettuate hanno portato ad individuare l'esistenza ed il progressivo accentuarsi, anche da noi, di squilibri territoriali, settoriali e sociali che inducono gran parte della popolazione e dei capitolati a defluire dalla periferia per accentuarsi verso l'asta dell'Adige, o verso altri centri di minore importanza.I detti squilibri, inoltre, inducono buona parte della popolazione giovane, ad abbandonarla periferia per la emigrazione, all'interno o all'esterno. Un esodo così massiccio dalla periferia, con il conseguente accentramento di gran parte della popolazione nei centri principali, ed una tendenza così forte verso l'emigrazione, sono fenomeni di fronte ai quali la Giunta provinciale si è posta l'interrogativo se essi andavano passivamente accettati e se, invece dovevano essere in qualche modo fermati e corretti. Le risposta a questa domanda comportava, come appena evidente, una scelta politica di fondo, scelta che non poteva essere fatta che dall'organico che la più generale responsabilità in ordine al futuro sviluppo urbanistico del territorio».

1964 / I contenuti del progetto PUP: - I comprensori e le unità insediative per garantire a tutti le scelte proprie della vita urbana: è necessario localizzare anche nella campagna strutture produttive e di servizi di grandi dimensioni e valori; questi devono operare con la massima efficienza possibile; quindi necessita di una dimensione più grande dei singoli Comuni, capace di accogliere e di utilizzare tutte queste strutture.- l'intervento urbanistico i suoi settori:a) Settore della tutela del paesaggio anteposto a tutti gli altro perché costituisce il vincolo oggettivo fra la configurazione fisica del territorio e la dimensione e localizzazione degli interventi;b) Settore residenziale che comprende sia le zone di nuovo sviluppo che gli interventi nelle zone residenziali esistenti;c) Settore delle infrastrutture di collegamento;d) Settore dell'industria e artigianato;e) Settore agricolo;f) Settore turistico;g) Centri direzionali e commer-ciali.

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Bibliografia di riferimento

Autori variIl Piano urbanistico provinciale

Supplemento al nr. 8-9 de “Il Trentino”1968

Si tratta di un fascicolo edito all’indomani dell’entrata in vigore del Pup. Contiene un’ampia premessa metodologica una sintesi delle attività di analisi ed il contenuto delle principali scelte di piano sia a livello generale che a livello delle scelte specifiche. Uno strumento pensato per una larga diffusione e per una comprensione del Pup anche da parte dei non esperti. Presente anche un essenziale apparato cartografico con gli interventi generali del piano.

Paolo Castelnovi (a cura di)Progetto di revisione dei piano urbanistico provincialeProvincia autonoma di Trento - Trento2003

Il volume contiene l’esito degli studi effettuati durante la XII legislatura che hanno dato avvio al processo di revisione dello strumento urbanistico provinciale. Si tratta di una sorta di “documento preliminare”, coordinato dai professori Roberto Gambino e Paolo Castelnovi del Politecnico di Torino, che contiene una “Nuova idea di territorio”: un obiettivo non solo politico ma anche dettato dall’inderogabile esigenza di ridefinire il Pup del 1987.

Provincia autonoma di TrentoIl Piano urbanistico del Trentino

Marsilio - Padova1968

Il documento più completo per quanto riguarda il Pup del Trentino. Curato da Sandro Boato e Romano Prodi, con la supervisione di Nino Andreatta, facendo sintesi dei tanti documenti redatti dall’equipe di progetto a partire dal 1961. Contiene un racconto dettagliato di tutto il percorso di piano e un approfondimento di tutte le scelte progettuali. Sono inoltre contenute tutte le tavole del Piano urbanistico provinciale in scala 1:10.000.

Franco Mancuso (a cura di)L’urbanistica del territorio

Marsilio - Venezia1991

Dopo vent’anni dall’approvazione del Pup, Franco Mancuso è incaricato di redigerne la prima variante generale. Questo volume raccoglie il progetto pensato per il Trentino dopo l’attuazione delle previsioni del primo piano e, che si fonda sulla visione politica di Walter Micheli. Il lavoro di Giuseppe Samonà viene ripensato alla luce della nuove sensibilità ambientali e di tutela del territorio emerse a partire dai primi anni Ottanta.

Gianni FaustiniBruno Kessler

FSMT - Trento2011

La vita di Bruno Kessler ripercorsa nelle sue due declinazioni principali: l’attività politica e l’impegno sociale. Parlare di Kessler significa ovviamente parlare delle vicende istituzionali della provincia di Trento dal dopoguerra alla fine degli anni Ottanta. Anche se il volume non si sofferma squisitamente sulle vicende del Piano urbanistico provinciale, emerge comunque con forza la visione politica di Kessler ed il suo progetto per il Trentino.

Bruno ZanonPianificazione territoriale e gestione dell'ambiente in TrentinoCittàStudi - Milano1993

Il volume ripercorre in maniera ragionata le vicende legate al primo Piano urbanistico provinciale (1967) e delle sua prima revisione generale (1987), prestando attenzione, in particolare, alla declinazione dei temi dell’ambiente e della tutela del paesaggio. Il libro contempla anche le iniziative legislative intercorse tra i due piani e le iniziative legate alla pianificazione sott’ordinata (Piani Comprensoriali)

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L’Italia e il Trentinoall’inizio degli anni ‘60

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La situazioneurbanistica in Italiain rapportoalle emergenzesocio-politiche

La ricostruzione del dopoguerra e il successivo, rapido sviluppo economico avevano provocato nel Paese un'espansione edilizia tumultuosa, che procedeva con ritmi molto più accelerati della capacità di coordinamento e di guida dell'apparato pubblico. Fu questa l'immagine concreta di un tipo di sviluppo affidato alle leggi di mercato e alle energie di uomini tesi all'affrancamento dai secolari problemi della miseria. Mentre gli urbanisti si disperavano per questa situazione e la loro voce stentava a farsi sentire, gli economisti cercavano vie per lo sviluppo più guidato.Anche nella provincia di Trento i due grandi problemi nazionali dell'emigrazione e della concentrazione (ovvero l’ammassamento di residenti nei centri principali e il conseguente spopolamento di quelli minori) con le loro conseguenze ambientali, costituivano la realtà di quei giorni.Qui la grande emigrazione era verso l'esterno e concludeva un processo iniziato almeno cento anni prima. Ma esisteva anche un fenomeno di movimenti interni, dalle valli verso le città di Trento e Rovereto, che a loro volta diventavano aree di forte concentrazione. L'impoverimento delle valli era temperato, in alcune aree, dal turismo, fenomeno di antica data, ma con andamenti ciclici, e che tendeva anch'esso a concentrarsi nelle zone più celebrate.Nelle zone di concentrazione si tentò qui, alla fine degli anni '50 una risposta di “ordine edilizio” più che di pianificazione.I primi passi dell'attività urbanistica nella Provincia autonoma di Trento, verso il 1960, si muovono in un quadro nazionale complesso, caratterizzato da espansione edilizia dovuta alla favorevole congiuntura economica, senza regole e freni, alla quale facevano da contrappunto, tra l'altro, avanzate proposte degli urbanisti raccolti nell'Inu.L'impegno culturale dell'Istituto si centrava su due temi particolarmente significativi: da una parte i rapporti con la pianificazione economica, dall'altra gli studi e le proposte per la preparazione di un vero codice dell'urbanistica.

Se si considera accanto all'attrattiva dell'Inu quella del Ministero dei Lavori Pubblici si ha l’dea di un'attività imponente, che tuttavia non riesce a fornire gli strumenti adeguati per dare ordine allo sviluppo edilizio e urbano. Il Ministero, già nel 1954, aveva predisposto e reso esecutivo il primo elenco dei Comuni tenuti, ai sensi della legge del 1942, a formare un proprio Piano regolatore generale.Accanto a questi, si stavano muovendo gli studi per i piani territoriali di coordinamento, previsti dalla stessa legge, che generalmente interessavano il territorio di una intera regione.Questa vasta attività pianificatoria rivelava in tutta la sua entità le carenze strutturali della legge del 1942, già allora inadeguata sul piano dei contenuti e dei metodi.Tre erano gli argomenti sui quali il dibattito era più acceso e che, in sostanza, frenavano la pratica utilizzazione dei piani.Il primo e il più dibattuto a livello dell'opinione pubblica, riguardava il regime di suoli, che nella sua forma assolutamente privatistica, sottraendo ai piani la disponibilità dei terreni stessi, li sottoponeva ad ogni sorta di discrezionalità e di arbitrio, pubblico e privato.Il secondo si riferiva alla necessità di individuare le grandi linee di una pianificazione nazionale e regionale, che i piani territoriali di coordinamento non erano in grado di affrontare, sia perché la loro formazione era, di fatto, sottratta all'iniziativa politica, sia per la carenza dell'ordinamento regionale che la Costituzione prevedeva estesa a tutto il Paese.Il terzo argomento, allora ristretto alla cerchia degli studiosi, riguardava la pianificazione intercomunale che si rilevava, in molti casi, sempre più necessaria, ma che non trovava i modi di realizzarsi.Al centro dunque attività urbanistica, alla fine degli anni '50, stanno gli studi e la lotta per una nuova legge urbanistica.

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Gli anni intercorsi dalla fine della parentesi post-bellica (che convenzionalmente si pone al 1950, chiusura del periodo della ricostruzione) ad oggi sono noti come gli anni del “miracolo italiano”. Gli aspetti più rilevanti di questo periodo sono costituiti dall'aumento del reddito e da quello, correlativo, dell'occupazione. Il reddito nazionale pro-capite (tenuto, quindi, conto dell'espansione demografica) ha subito un incremento annuo medio del 6%, passaggio che è di circa 7 volte superiore a quello mediamente avutosi nel novantennio trascorso dagli anni dell'Unità al 1950. Tale andamento, già di per sé notevolissimo, è reso ancor più significativo e positivo dall'aumento più che proporzionale degli investimenti netti, passati da una quota

intorno all'11% del reddito nel 1950 ad una che di stima superiore al 17% nel periodo più recente.

Questo rilevante progresso economico ha tra le sue massime manifestazioni l'intensificazione del processo di creazione dei posti di lavoro. Mentre nel 1950 l'aumento di occupazione dei settori non agricoli s'aggirava intorno alle 200.000 unità annue ( inferiore di circa 1/6 all'aumento naturale netto delle forze di lavoro), oggi si è passati alle 500/600 mila unità di nuovo occupati all'anno; entità più che doppia dell'aumento naturale delle forze di lavoro e più che tripla di tale aumento al netto del flusso migratorio. In tal modo il problema dell'inadeguata utilizzazione della nostra forza lavoro, cioè quello che non più di dieci anni fa

Il boom economico:un ritratto dell’Italianegli anni Sessanta di Pasquale Saraceno*

Pasquale Saraceno

Dossier:Il contesto

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* Il testo è tratto dall’articolo “Programma economico e pianificazione urbanistica” pubblicato su Urbanistica nr. 38 del marzo 1963.

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era giustamente considerato il massimo problema economico e sociale del Paese, può ritenersi avviato a soluzione; ed anzi si sta andando verso una situazione nella quale il mantenimento dei ritmi di progresso raggiunti negli scorsi anni troverà un ostacolo crescente nella disponibilità di mano d'opera.

Questo quadro, così confortante nel suo insieme, richiede ora di essere qualificato mediante l'identificazione di alcune modalità del processo di sviluppo in corso (...).

Il primo elemento da sottolineare è che il progresso del nostro sistema economico si è attuato senza che venissero poste in essere quelle “politiche propulsive” in assenza delle quali si riteneva, (...), che non si sarebbero potuti attingere tassi elevati di sviluppo. In effetti, il sistema si è rilevato capace di raggiungere, e mantenere un ritmo molto intenso, il progresso per effetto degli impulsi fornitigli dal mercato interno ed internazionale. L'operare di quegli stimoli e l'intensità e la continuità di quest'impulso si presentano oggi tali da consentirci di definire il nostro sistema come “auto propulsivo”, ove, con tale termine, si intende un sistema nel quale produttori e consumatori, con le loro decisioni, possono dar luogo ad una domanda globale (e ad un'accumulazione di capitale) sufficiente a dar impiego ai fattori disponibili.

Una seconda modalità del processo di cui si è discorso è costituita dall'entità delle forze di lavoro che, in aggiunta alle nove leve, potranno alimentare l'ulteriore espansione del nostro sistema produttivo. Come è noto, è soprattutto il settore agricolo quello che contiene la maggior parte della forza di lavoro che non trova quindi la possibilità di essere utilizzata altrove.

L'esodo di forze lavoro dall'agricoltura è però fenomeno in corso da decenni e anche se oggi si presentava in proporzioni imponenti, ed anzi proprio per questo motivo, è destinato ad un non lontano esaurimento, s'intende ove continui, come è lecito assumere, l'attuale moto di progresso. Si calcola infatti che intorno al 1973, la forza di lavoro agricolo sarà ridotta a circa 4 milioni di unità, da 7 milioni e mezzo qual era nel 1950; e ciò anche supponendo che nel prossimo avvenire il saggio di progresso economico del nostro Paese sia di un 20-30% inferiore agli altissimi livelli degli ultimi anni.

Ridotta la forza di lavoro agricolo a 4 milioni di unità, l'attuale grande esodo dall'agricoltura può considerarsi concluso e, in conseguenza, potremo dire che la nostra economia avrà finalmente raggiunto una situazione di pieno impiego.

Queste, dunque, appaiono essere le più notevoli caratteristiche del processo in corso: il sistema economico “auto propulsivo” tende a raggiungere il pieno impiego, trasformando radicalmente il Paese in una comunità ad alto livello industriale.

In un'economia in via di profonda trasformazione quale è oggi l'economia italiana e, in particolare, con il passaggio di ingenti forze di lavoro dall'agricoltura all'industria, e con l'estendersi, nei settori non agricoli ancora arretrati, di forme moderne di attività capaci di dar luogo ad altri ritmi di incremento di produttività, non possono mancare rilevanti fenomeni di redistribuzione di popolazione in tutto il territorio nazionale. Per rendersi conto dell'imponenza raggiunta da questi movimenti in questi ultimi anni non occorre neanche più seguire i dati offerti dalle rilevazioni anagrafiche; basta la diretta esperienza che ognuno di noi compie ogni giorno. Questo processo di redistribuzione della popolazione italiana ed il progresso civile che riflette il rilevante sviluppo economico in corso, creano nuove rilevanti esigenze che si presentano in ogni caso quale che sia la localizzazione delle nuove strutture produttive nelle quali si concreta il progresso economico. Ma noi sappiamo che questa localizzazione non si svolge in modo soddisfacente; è un giudizio, questo, intorno al quale non vi sono ormai più apprezzabili divergenze di opinioni anche se sussistono incertezze rilevanti quanto alle misure da prendere per correggere la grave distorsione oggi esistente.

L'indice più drammatico e significativo di questa distorsione è costituito senza dubbio dall'entità del flusso migratorio che oggi richiede l'Italia nord-occidentale per sostenere il ritmo di progresso economico che vi si svolge; nel decennio 1951-61 questo flusso ha raggiunto 1.050.000 unità, pari a quasi il 10% della popolazione di quelle regioni. A questo movimento le regioni centro-orientali danno ormai un contributo decrescente, pur avendo raggiunto nel decennio un'emigrazione totale di circa 460 mila unità; assume invece importanza crescente

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Il progresso del nostro sistema economico si è attuatosenza che venissero poste in essere quelle “politiche propulsive”

in assenza delle quali si riteneva che non si sarebbero potutiattingere tassi elevati di sviluppo.

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Diventa un impegno sempre più urgente ottenere che i nuovi posti di lavoro si ripartiscano

sul territorio nazionale in proporzioni più corrispondenti alla ripartizione regionale della forza lavoro disponibile.

l'immigrazione dal Mezzogiorno; l'esodo da queste regioni è stato, nel decennio, di circa 1.800.000 unità, pari ai 2/3 dell'incremento naturale avutosi nel periodo nella popolazione meridionale, e di questo flusso la parte maggiore si è diretta appunto verso il Nord e solo una parte minore verso l'estero e verso altre regioni del Paese.

Il rilevante intervento in corso nel Mezzogiorno, se ha dato luogo ad importanti fenomeni di industrializzazione, non ha potuto evitare il protrarsi di un tipo di sviluppo economico e di distribuzione delle risorse che ha finito per mettere a capo a due equilibri opposti e ugualmente gravi: situazioni di congestione di abbandono e di disgregazione sociale in vaste zone della parte arretrata del Paese.

Gli svolgimenti ulteriori, che l'esistente sistema di convenzione tende a determinare, non possono che esasperare queste situazioni: il sistema industriale italiano possiede oggi una forte capacità di espansione ed esprime normalmente una rilevante domanda di lavoro. Di fronte alla distorsione che i dati e le considerazioni ora esposte mettono in evidenza, assumono oggi grande importanza per l'avvenire non soltanto della nostra economia, i seguenti due quesiti: dove si localizzerà nei prossimi anni la domanda di lavoro che sarà espressa nel nostro sistema produttivo? E da dove può provenire l'offerta di lavoro che dovrà essere utilizzata nelle future strutture produttive?

(...)

Più ancora che in passato vale oggi la considerazione che è nell'interesse generale del Paese, e non soltanto del Sud, ottenere, in un programma economico, che il progresso della economia delle regioni nord-occidentali – progresso oggi inconcepibile senza una rilevante immigrazione – si svolga in modo da non impedire l'estensione al Mezzogiorno del nostro sistema industriale. In altri termini, diventa un impegno sempre più urgente ottenere che i nuovi posti di lavoro si ripartiscano sul territorio nazionale in proporzioni più corrispondenti alla ripartizione regionale della forza lavoro disponibile.

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Dossier:Il contesto

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«Così lavorammo per un nuovo Codice dell'urbanistica…» di Giuseppe Samonà*

Nel 1959, in occasione del settimo convegno dell'Inu tenutosi a Lecce, fu solennemente stabilito, che l'Istituto di urbanistica si sarebbe occupato di studiare a fondo una nuova formulazione della legge urbanistica, non essendo possibile usare ancora quella in vigore, del 7 agosto 1942, n. 1150.Nelle more di decisione da prendere collegialmente su tale argomento da parte della giunta dell'Inu, chi scrive e l'architetto Astengo si accordavano per tracciare un primo schema di quello che avrebbe dovuto essere il nuovo codice dell'urbanistica italiana, come fu allora battezzato. Con Astengo ci incontrammo più volte durante l'inverno 1959-60 in varie città, per lavorare indisturbati sull'argomento, da cui gradatamente furono enucleati i primi lineamenti. Prese corpo quello che fu poi, nel novembre 1960, il primo schema di codice dell'urbanistica. Alla formulazione di questo schema (sulla scorta di quanto da Astengo e da me era stato già tracciato nel primo schema e dalle osservazioni fatte sullo schema stesso durante le numerose peregrinazioni per le città d'Italia) lavorò la commissione nominata dall'Inu, di cui facevano parte l'Astengo e da me, il prof. Piccinato, l'Avv. Delli Santi, il prof. Toschi. Questa commissione mise a punto, in forma definitiva, il codice dell'urbanistica, che fu ufficialmente presentato al settimo congresso dell'Inu tenutosi a Roma nell'autunno del 1960.Nel codice sono contenute tutte le idee della nuova struttura che si sarebbe poi data, negli schemi della legge successiva, alla pianificazione urbanistica nelle sue diverse scale – dalla regionale, alla comprensoriale, alla comunale – includendovi per la prima volta il concetto di integrazione fra i piani urbanistici e programmi economici.

Si creò in tal modo, attraverso l'attività dell'Inu, un forte movimento di idee per la riforma della legge urbanistica, che ebbe come conseguenza il riconoscimento ufficiale del Ministero dei Lavori Pubblici, espressosi nell’incarico affidato a proprie commissioni di esperti di studiare questo problema. Così, il 12 dicembre 1960, il ministero dei Lavori Pubblici, con On. Zaccagnini, insediava la prima Commissione nazionale per la riforma della legge urbanistica di cui facevano parte, fra numerosi altri, il prof. Astengo, il prof. Piccinato e l'autore di queste pagine.Questo primo schema, consegnato nel testo definitivo il 20 dicembre 1961, annacquava i concetti fondamentali stabiliti dal codice per l'urbanistica. Accadde quindi che, quando fu nominato ministro dei Lavori Pubblici al posto dell'On. Zaccagnini, l'On. Fiorentino Sullo, questi, avendo idee assai più radicali sulla riforma della legge urbanistica, accantonava lo schema suddetto e, con una commissione interamente rinnovata, dalla quale tuttavia facevano parte ancora chi scrive, Astengo e Piccinato, il 28 marzo del 1962 riprendeva lo studio della legge delle fondamenta. Lo schema di legge Sullo fu formulato entro il periodo brevissimo di due mesi e mezzo. Esso mise a punto, in maniera molto precisa, alcuni concetti giuridici fondamentali espressi nel modo più sintetico per la formulazione di una legge urbanistica veramente capace di avviare ad uno sviluppo vigoroso i piani urbanistici del nostro paese.Per sommi capi tali concetti riguardano:- l'affermazione della necessità che l'indirizzo e il coordinamento nazionale della pianificazione urbanistica si attuino nel quadro della programmazione economica nazionale e in riferimento agli obiettivi fissati da questa.- la competenza regionale della pianificazione urbanistica secondo i principi di una legge-quadro e il conseguente obbligo alle regioni di formare il piano regolatore generale del proprio territorio, ripartendolo in comprensori e organizzandolo in relazione alla programmazione economica nazionale.- l’individuazione, nelle regioni, di comprensori di pianificazione formati da uno o più comuni e organizzati come entità unitarie che realizzano la pianificazione regionale.- l’individuazione del fabbisogno di terreno da espropriare per realizzare la pianificazione urbanistica, calcolandone l'indennità per le aree che prima del piano non avevano destinazione urbana,

Con Astengo ci incontrammo più volte per lavorare indisturbati e così prese corpo quello che fu poi il primo schema di codice dell'urbanistica

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Giuseppe Samonà

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come se il terreno stesso avesse destinazione agricola e fosse libero da vincoli di contratti agrari; calcolando l'indennità in base al prezzo di cessione delle più vicine aree di nuova urbanizzazione, aumentate della rendita differenziale di posizione in misura non superiore a un coefficiente massimo da stabilire, per le aree inedificate già comprese in zona urbanizzata.- l'espropriazione preventiva materialmente eseguita, man mano che si presenta il bisogno di avere suoli disponibili per la formazione delle opere di urbanizzazione, da realizzare come prima fase dei piani particolareggiati di esecuzione.- la proprietà perenne dei terreni espropriati alle amministrazioni comunali, as altri enti pubblici e allo Stato, che ne cedono il diritto di superficie, dopo aver eseguito le opere do urbanizzazione e di sviluppo dei servizi pubblici, a coloro che costituiscono gli edifici secondo le previsioni del piano particolareggiato.

Con questi concetti fondamentali, che perfezionavano e andavano molto oltre quelli già formulati dalla proposta di codice dell'urbanistica, si sperava di poter cogliere, in periodo breve, un risultato positivo dai vari esami che lo schema Sullo doveva subire prima che fosse discusso in Parlamento. Purtroppo, in questi esami lo schema suscitò una serie di obiezioni che riuscirono a insabbiarlo definitivamente. Esso fu tuttavia preso dall'On. Pieraccini che, appena nominato ministro dei Lavori Pubbilci col primo governo di centro-sinistra, ne curò personalmente la stesura con una nuova commissione, di cui facevano parte gli stessi rappresentanti dell'Inu, più una serie di nuovi membri. La commissione aveva il compito di studiare una nuova proposta di legge, che tenesse conto delle

obiezioni fatta alla proposta Sullo e delle dichiarazioni programmatiche fatte dall'On. Moro sulla legislazioniamento al governo dei partiti di centro-sinistra.Quanto alle obiezioni allo schema Sullo, due fra le tante erano insormontabili: la prima sostiene l'incostituzionalità del trasferimento in forma perenne della proprietà del suolo alle amministrazioni comunali e agli altri enti pubblici, che avrebbero potuto cederlo a coloro che costituiscono secondo il piano, solo come diritto di superficie; la seconda riguarda il criterio di valutazione unificato e la generalizzazione dell'esproprio preventivo a tutti i terreni necessari alla pianificazione, entrambi accusati di essere arbitrari e incompatibili con le garanzie assegnate all'art. 42 della Costituzione alla proprietà privata.Purtroppo, lo schema di legge urbanistica, una volta accette queste due obiezioni, veniva a perdere uno degli strumenti più efficaci di tutta la sua organizzazione normativa. Infatti, dovendo affrontare il problema della determinazione dell'indennità di esproprio, la commissione Pieraccini stentò a trovare una soluzione che concordasse con l'opinione generale dei suoi membri e ne presentò, con lo schema, due diverse formulazioni. Queste, fra loro piuttosto contraddittorie, nonostante avessero, probabilmente, subito altre modifiche, contribuirono in seguito a insabbiare la proposta di legge, che, a sua volta, come quella Sullo, e la precedente Zaccagnini, venne accantonata in attesa di successivi ammodernamenti.

Percorrendo il Paese si trova in ogni dove il segno di un modo “disinvolto” di operare:

ovunque incontriamo espansioni enormi e caotiche che, o hanno travolto i piani

scrupolosamente redatti, o sono riuscite a farsi esse stesse ufficialmente riconoscere,

assoggettando i piani. Tipica per volumetria assurdamente elevata e compatta, per

deficiente strutturazione stradale, per assenza di zone di sosta e di posteggio, per totale

mancanza di verde è, ad esempio, l'estesissima espansione in atto a Salerno, che pure è fra

i Comuni ad obbligatoria redazione di piano. I risultati sono deprimenti. O i piani sono

fatti a metà e dopo il piano generale non si passa alla redazione dei piani

particolareggiati, come avviene a Torino, cosicché le approssimative indicazioni

volumetriche di Piani Regolatori Generali si prestano a tutte le possibili interpretazioni,

o il Piano Generale stesso non si cura dei centri storici, cosicché là dove sarebbe occorsa

modestia ed oculatezza, come ad Ascoli Piceno, diventa lecito inserire masse incombenti.

O si instaura un regime extra-legale, tollerato dalle autorità centrali, come ad esempio

Assisi, dove non ci si cura minimamente di dar corso ai disposti del Consiglio Superiore e

del Ministro, o come a Venezia e a Savona, dove, come documentiamo nelle pagine che

seguono, i Commissari prefettizi fanno e disfano a piacimento senza rendere conto ad

alcuno. In questo mare magno di malvezzo, di incompetenza se non anche di arroganti

soprusi c'è responsabilità per tutti: dai poteri centrali alle Autorità tutorie, alle

Amministrazioni locali, altre ché agli stessi progettisti. Cosicché il proposito di

risanamento morale, che è finalmente affiorato in solenni dichiarazioni programmatiche ,

diventa estrema urgenza nel campo della politica urbanistica

(Tratto da: “La situazione urbanistica in Italia”, pubblicato su Urbanistica nr. 31 del luglio 1960.)

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Dossier:Il contesto

Quella maniera “disinvolta” di operare...di Giovanni Astengo

* Il testo è tratto dal volume L’urbanistica e l’avvenire delle città, editori Laterza, Bari, 1973 (5^ edizione)

Giovanni Astengo

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Samonà e la nascita di unanuova organizzazione territoriale:il Comprensorio

Com’è noto, la riforma urbanistica si fermò, ma alcune proposte, quelle meno incidenti su interessi pubblici e privati, ebbero un seguito. Tra queste va sicuramente citata “l'idea” di comprensorio. Seguirne il processo formativo, la nascita, i primi sviluppi è essenziale anche per la piena composizione dell'esperienza trentina.Va ascritto a Giuseppe Samonà, nella seconda metà degli anni '50, il merito di aver dato una riposta convincente all'aspirazione di diversificare, secondo le caratteristiche proprie di ogni territorio, i dispositivi giuridici per ciascun tipo di piano.Queste aspirazioni emersero in particolare nel V Congresso dell'Inu, svoltosi a Genova nel 1956, dove fu presentata una indagine approfondita della pianificazione comunale e furono esaminati i problemi inerenti i piani di quindici grandi città, medie e piccole.Contribuì a sviluppare questa problematica anche il VI Congresso, che ebbe sede a Torino nel 1958, dove fu affrontato il problema della pianificazione intercomunale come strumento di mediazione tra piani regionali e piani comunali e furono elaborate proposte per una chiarificazione legislativa della materia.L'elaborazione di Samonà appare per la prima volta nel libro “L'urbanistica e l'avvenire della città”, nel 1959 ed è sviluppata nel quadro di una serie di considerazioni sulla situazione urbanistica italiana. La proposta di Samonà riguardava, per comuni medi e piccoli, una procedura che faceva corrispondere ai caratteri particolari di ogni territorio comunale una precisa modalità di formazione e d'attuazione del piano, secondo nuovi criteri.«Ammessa la validità dell'istanza, si tratterebbe di tipizzare gli aggregati comunali scartando il criterio troppo generico e discontinuo fondato sul rapporto fra numero di popolazione ed importanza del comune, per fissarsi su quello della determinazione tipologica dei caratteri del comune stesso, non cosa di semplice individuazione come presenza di localizzate affinità di gruppo in determinate regioni geografiche,

1economiche, etc…»Samonà rileva, in sostanza, un divario probabilmente notevole nel modo di costituire i gruppi tipologici in ogni regione d'Italia. Tale rilievo potrebbe dar luogo a osservazioni importanti, per esempio, sulla varia suscettibilità all'integrazione delle diverse parti del territorio italiano: «Entro i limiti del nostro disegno

schematico, riteniamo, tuttavia, che si possa grosso modo configurare per comuni di media grandezza una tipologia definita da tre elementi: i caratteri peculiari del comune, quelli tipici del gruppo di comuni minori con cui esso crea continue integrazioni per reciproca influenza, e finalmente quelli del gruppo a cui il comune stesso appartiene, insieme ad altri della medesima importanza, riteniamo nell'orbita di determinate grandi caratteristiche territoriali. Quanto alla norma, essa dovrebbe indicare le modalità con cui le caratteristiche peculiari di ogni comune debbano specificarsi nella configurazione zonale dello stato di fatto e dovrebbe altresì, indicare per grandi linee gli elementi di carattere geografico, economico, demografico, ecc…, che servono a definire le caratteristiche di ogni zona , in riferimento sia al gruppo a cui il comune stesso appartiene, si al sotto-gruppo di minori comuni con i quali è integrato per reciproca influenza diretta.Le funzioni precise della norma sarebbero sostanzialmente rivolte a definire in ogni comune la correlazione fra le caratteristiche zonali di gruppo, in modo tale che i comuni stessi rientrino tutti nel quadro di un “piano dei piani”, cioè di un programma visualizzato dei criteri di pianificazione di tutto il

2comprensorio» .Samonà propone che esperti italiani, sotto la guida del Ministero dei Lavori Pubblici, procedano ad una prima schematica messa a punto di una carta del territorio descrittiva della distribuzione dei comuni, aggregati in aree regionali circoscritte secondo gruppi di affinità.«In ognuno dei raggruppamenti comunali, dunque, dovrebbe essere formato un programma dei criteri di pianificazione di tutto il comprensorio, entro il quale troverebbe adeguata correlazione ognuno dei piani comunali già in atto in una qualunque delle sue fasi, e altresì quei comuni che non hanno ancora formato il piano e che dalle nuove norme di legge sarebbero chiamati a farlo secondo le modalità che appresso diremo. È dunque questo il piano comprensoriale, questo piano dei piani, lo strumento designato a norma di legge per formare l'inquadramento della pianificazione comunale. Tale piano, pertanto, basandosi sulle sommarie indicazioni di gruppo (ecco perché la raccolta generale dei dati per formare i raggruppamenti può essere assai semplificata) ne

LA SCHEDA

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estenderà e approfondirà i caratteri con analisi appropriata, in modo da poter delineare il programma generale di pianificazione. Fra i dati che il piano dovrà approfondire saranno comprese anche le situazioni discendenti dal piano regolatore dei diversi comuni, di cui il programma dovrà tener conto come dati da analizzare per assimilare sotto forma di vincoli relativi, ma ovviamente variabili entro limiti che il programma stesso fisserà in base all'indagine di tutto il comprensorio, ai nuovi elementi emersi e alle correlazioni fra questi e i programmi dei piani

3regolatori esistenti» .

Samonà riteneva che l'amministrazione dei piani comprensoriali dovesse essere affidata in un primo tempo al Ministero dei Lavori Pubblici e passare successivamente, a pianificazione avviata, ai comuni riuniti in consorzio.Riteneva che da questo sistema dovessero essere esclusi i comuni più grandi, con gli altri congiunti e già integrati, mentre i piani comprensoriali sarebbero stati limitati alla regione circostante.Per Samonà il piano comprensoriale sarebbe stato altresì l'occasione di risolvere il problema del finanziamento dei piani. Anche questo significava una temporanea limitazione dell'autonomia amministrativa. Infatti lo Stato avrebbe dovuto assumersi il compito di fornire adeguati finanziamenti alle opere produttive più onerose previste dal piano.

«Il piano comprensoriale dovrebbe, dunque, avere tra i suoi compiti quello di formare un piano economico di tutte le opere necessarie al comprensorio, sulla falsariga di ciò che prevede la legge tedesca. A tale piano dovrebbe essere allegato quello dei relativi finanziamenti, concordato nei tempi d'attuazione con tutti gli enti che fanno parte dell'impresa. In tale piano economico dovrebbero entrare anche i finanziamenti per avviare tutte le procedure di esproprio indispensabili alla creazione dei demani comunali e

4per gli espropri interni al nucleo urbano» . Il dibattito, seguito a questa prima proposta, ha consentito di indicare con maggiore precisione il ruolo, la funzione e quindi i contenuti del comprensorio che trova una sua completa formulazione nel secondo progetto della nuova legge urbanistica, presentato nel giugno del 1962 dal Ministro Sullo.Qui l'originaria proposta di Samonà è modificare nel senso che si affidano ai piani regionali e non allo Stato il compito di ripartire il territorio regionale in comprensori e di indicare per quali di essi fosse obbligatoria la formazione del piano.Si precisa poi che le leggi regionali devono prevedere “la creazione di appositi Enti a carattere consorziale per la formazione, per l'adozione e per l'esecuzione del piano”. A questi dovranno partecipare le amministrazioni provinciali, quelle comunali e gli altri enti pubblici interessati e potranno essere loro delegate particolari attribuzioni spettanti ai comuni che ne fanno parte.Il piano comprensoriale, che è essenzialmente un piano

territoriale, finge anche da piano regolatore generale nei territori dei comuni non tenuti alla sua formazione. Da esso è dunque possibile passare direttamente alla formazione dei piani particolareggiati.Il progetto di legge specifico poi che anche gli enti pubblici, oltre i privati, sono tenuti ad assumere le prescrizioni e i vincoli del piano stesso, dando in questo modo un decisivo contributo alla coordinata gestione urbanistica del territorio.Questa indicazione tendeva a correggere una situazione di tensione che molto spesso vedeva le amministrazioni dello Stato agire indipendentemente dalle indicazioni dei piani. Nel comprensorio invece le amministrazioni e gli enti pubblici sarebbero stati associati sia alle decisioni nel momento di formazione del piano, sia alla sua gestione. Tuttavia il concetto di “gestione del piano” non era ancora chiaro nemmeno a livello teorico.Infatti la proposta di Samonà, sopra riportata, di un piano economico esecutivo come parte integrante del piano comprensoriale, non trova accenno nel progetto di legge, mentre non è specificato il ruolo delle amministrazioni e degli enti pubblici all'interno del consorzio.Va invece sottolineata la carica innovatrice di questo esercizio collegiale dei poteri di pianificazione, in grado di dare nuove capacità alla periferia nei confronti delle grandi aree metropolitane e concrete possibilità di successo alle nuove tendenze che proiettavano l'urbanizzazione in una campagna organizzata.L'esperienza della Provincia di Trento avrebbe dimostrato che doveva essere ancora approfondito il rapporto tra piano regionale e comprensoriale e, in particolare, tra questo e la pianificazione comunale.È abbastanza singolare che il progetto di legge abbia lasciato un tale grado di indeterminatezza in una questione così rilevante. Tanto più che altre, contemporanee legislazioni europee avevano affrontato il problema di questo rapporto, dando pertinenti soluzioni. Si desidera citare al proposito la legge sulla pianificazione territoriale e sulla urbanistica del Belgio, del 29 marzo 1962, che prevede tre livelli: regionale, comprensoriale e comunale e che assegna loro compiti precisi ed integrati. Il piano regionale, tra l'altro, deve prevedere l'indicazione dei limiti approssimativi dei comprensori, che sono poi definiti per decreto reale. Il piano comprensoriale, a sua volta, deve comprendere«le misure regolatrici richieste dalle esigenze socio-economiche del comprensorio» e delle relative alle principali vie di comunicazioni. Può altresì riferirsi a tutte o a parte delle materie comprese in un piano generale comunale, a cui sono affidate le destinazioni d'uso del suolo e le norme “estetiche” che regolano le costruzioni.Questo insieme di proposte, di studi e dibattiti accompagnava quel vasto movimento politico che avrebbe preso il nome di centro-sinistra e che, a partire dal 1962, avrebbe aperto così grandi speranze agli urbanisti.

Le citazioni 1, 2, 3 e 4 sono tratte dal libro di Giuseppe Samonà, L’urbanistica e l’avvenire della città, op.cit.

Dossier:Il contesto

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Il quadro demografico ed economicoLa provincia di Trento fa parte della regione Trentino-Alto Adige, che occupa un territorio di circa 13.600 Kmq in gran parte montuoso, su cui vivevano, nel 1961, 775.000 abitanti.La situazione nelle due province è diversa: il Trentino aveva una popolazione più numerosa dell'Alto Adige; diversa è anche la densità: 66 ab/Kmq nel Trentino contro 49 ab/Kmq nell'Alto Adige. Il territorio della regione è produttivo e coltivabile solo in piccola parte; appena il 10% dell'intera superficie è rappresentato dai fondovalle fertili e coltivabili.Nell'ultimo secolo l'incremento demografico assoluto è stato molto meno sensibile che nel resto dell'Italia per la costanza e l'importanza delle emigrazioni, le quali, nel solo Trentino, hanno provocato un esodo, in cento anni, grosso modo pari in valore numerico alla attuale popolazione della provincia.Infatti il grado di depressione e la conseguente staticità demografica del suo territorio, verso il 1960, possono in parte essere evidenziati dal confronto tra il numero di persone presenti circa un secolo prima, nel 1869, e quello indicato dall'ultimo censimento.Nella provincia, nel 1869, i presenti erano circa 335.000; novanta anni più tardi, circa 396.000, con un aumento di soli 60.000 residenti, mentre l'incremento naturale superava le 120.000 unità. Tale vistosa differenza dovuta alla continua emigrazione, va localizzata soprattutto nelle valli, dove la situazione economica si presentava particolarmente difficile.L'aumento del reddito, verificatosi negli anni '50 specie nel nord Italia, si era fatto sentire in ritardo ed in misura ridotta, talché la struttura economica non era riuscita ad assorbire tutte le forze-lavoro presenti nella provincia.Verso il 1960, circa 11.000 persone, vale a adire il 10% della popolazione attiva, emigravano stagionalmente dalla provincia, mentre permaneva una forte aliquota di emigrazione stabili.Accanto a questi vistosi movimenti verso l'estero o il

Il Trentino:cenni sulla situazione politica e socio-economicaintorno al 1961

resto del paese, si registrava all'interno del territorio provinciale un forte movimento pendolare convergente verso i maggiori centri di Trento e Rovereto, i quali, nel decennio precedente, avevano assorbito tutto l'incremento assoluto di popolazione verificatosi nella provincia, altri e meno intensi movimenti si svilupparono verso i centri delle vallate.L'esodo agricolo aveva assunto proporzioni assai rilevanti, provocando un invecchiamento della popolazione attiva nell'agricoltura, che aveva un'età media di 45 anni, contro i 35 anni, età media nei servizi e nell'industria.Favoriti da agevolazioni di varia natura, molti comuni, nel tentativo di combattere questo esodo generale, hanno cercato con ogni mezzo di localizzare impianti industriali, ubicandoli frammentariamente dovunque ci fosse un territorio libero sufficientemente ampio e non lontano dalle grandi comunicazioni.Questo fatto ha spesso portato alla distribuzione di molte possibilità di trasformazione dell'agricoltura, di un incremento qualificato del turismo, che tendeva a divenire uno degli elementi trainanti dello sviluppo.

Il quadro storico I caratteri singolari di questa terra di montagna si sono formati lentamente nei secoli e le componenti più rilevanti della sua storia sono assai significative per la comprensione della situazione attuale. L'istanza dell'autonomia, formulata in varie forme, ha sempre costituito un elemento dominante nelle storia del Trentino, sia nei rapporti esterni, della provincia con i potenti stati confinanti, sia nei rapporti interni, dei gruppi vallivi con il centro e nelle frequenti relazioni tra loro.Dal medioevo 1800 la storia della regione è caratterizzata dal dissiduo, a volte rapido, a volte emergente, tra i Principi Vescovi di Trento ed i Conti del Tirolo i quali, nel corso dei secoli, riuscirono a capovolgere la primitiva posizione di sudditanza per

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Dossier:Il contesto

La piana tra Arco e Riva del Garda, 1960 circa (tratto da Pat, Il piano urbanistico del Trentino, Marsilio, 1968)

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diventare dominatori di fatto del Trentino.Questo avvenne tuttavia con una lunga serie di resistenze, mentre nelle valli, alcuni gruppi formati essenzialmente da contadini riuscirono a mantenere e rafforzare una certa autonomia, prima nei confronti del Vescovo e poi della Casa d'Austria.Queste vicende mettono in giusto rilievo la differente formazione di fondo fra la popolazione trentina e quella dell'Alto Adige: tra le genti di questa terra più settentrionale, più legate alle sorti del Tirolo e dell'Austria, e le genti del Trentino, la cui formazione come gruppo unitario nei diversi nei diversi nuclei vallivi, si venne determinando sotto l'urto delle alterne vicende di una lotta di predominio locale tra il Principe-Vescovo ed i Conti del Tirolo.Questi gruppi acquistarono in tal modo una più ampia comprensione dei propri titoli di autonomia e raggiungono così, lentamente, una condizione di relativa indipendenza nella gestione del proprio interesse, che li pone in singolare contrasto con le genti dell'Alto Adige, più stabilmente incorporate all'Austria e assorbite senza contrasto da quel governo.Quando, dopo le guerre napoleoniche, sparisce anche ogni parvenza di indipendenza politica ed il Principato viene stabilmente acquistato dall'Austria, la coscienza di autonomia locale, stabilmente inserita nell'Impero e diretta soprattutto alla salvaguardia dei valori tradizionali operanti, diventa l'elemento preponderante di una certa politica locale ed il traguardo verso cui essa tendeva con ogni forza.Nel Trentino la lotta per ottenere tale autonomia amministrativa fu molto dura ed alterna e continuò per tutto il secolo scorso. I deputati trentini alla Dieta di Innsbruck ed il Parlamento di Vienna tentarono con ogni mezzo legale di ottenere il loro scopo, senza peraltro nulla ottenere con l'ostruzionismo, l'opposizione ed infine la volontaria astensione dei lavori parlamentari che essi misero in atto.Contemporaneamente a proprio per irrobustire alla base il senso dell'autonomia, nelle vallate si precisavano una serie rilevante di organizzazioni di tipo comunitario e cooperativo con lo scopo di realizzare opere di interesse pubblico spesso di mole assai rilevante, tanto che nel corso del secolo mentre i comuni, aiutati dal governo centrale, riuscirono a costruire o a migliorare gran parte della rete stradale primaria e secondaria della provincia, i movimenti

cooperativi costituirono una solida rete strutturale per lo sviluppo economico.I governi italiani, dopo la fine della prima guerra mondiale, e, successivamente, l'esperienza fascista volsero in senso nazionalista la lotta dei trentini per l'autonomia e, nel mito dello stato centralizzato, soffocarono le aspettative autonomistiche, premessa per la creazione di strumenti operativi della democrazia.Le istanze represse per vent'anni esplosero dopo la seconda guerra mondiale attraverso un largo movimento popolare, che richiese con decisione una propria dorma di amministrazione autonoma.Dalla caduta del fascismo divenne inoltre vivo il problema della minoranza tedesca, impostato negli accordi Degasperi-Gruber con la promessa di una larga autonomia per quel gruppo etnico.Nella contestuale richiesta di autonomia i trentini si trovarono così solidali con il gruppo etnico tedesco, anche se diversa era la motivazione della richiesta.Per il gruppo tedesco si trattava infatti di garantire la difesa dei valori e delle tradizioni etniche, per i trentini di affermare esigenze di autonomia contro ogni forma di centralismo.Di qui lo Statuto Speciale per il Trentino-Alto Adige che fu approvato con la legge costituzionale il 26 febbraio 1948. In esso, tendo conto delle fondamentali differenze sociali, culturali ed economiche dei gruppo etnici della regione, fu prevista l'articolazione della Regione in due Provincie autonome.La distribuzione, operata dallo Statuto, delle competenze legislative tra Regione e Provincia induce a rilevare, grosso modo, una assegnazione alla Regione di un generale potere nel campo degli interventi economici degli interventi medesimi.La vita della Regione fu ben presto travagliata da incomprensioni e contrastanti con il gruppo tedesco, che, già dall'inizio, tendeva ad una forma di autonomia più integrale, ponendo le premesse per uno stato di profonda crisi istituzionale e politica.Già nei primi anni del 1950, anche attraverso il ricorso al governo austriaco, il gruppo tedesco richiedeva la revisione degli accordi che avevano portato alla formazione della Regione. Dopo una lunga serie di vicissitudini politiche e legislative, con le leggi costituzionali 10 novembre 1971 n° 1 e 28

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febbraio 1972 n° 1 il nuovo Statuto speciale per il Trentino-Alto Adige fu composto con sostanziali ed essenziali modifiche rispetto al primo.La Regione sussiste ancora, ma la massima parte delle sue potestà e competenze è stata trasferita alle due Provincia, che fatta eccezione per alcune materie riguardanti gli ordinamenti, sono divenute di diritto titolari anche di poteri di intervento in tutti i settori economico-sociali riservati alla loro autonomia.Provincia di Trento e Provincia di Bolzano, salvo alcune materie di specifica importanza nazionale per la tutela e sviluppo del gruppo minoritario sudtirolese, sono poste su un piano di uguaglianza, con potestà e competenze veramente amplissime, il che rende arbitri e responsabili del proprio destino e futuro.

L'attività urbanistica degli anni CinquantaNonostante un quadro politico travagliato, l'attività legislativa ed operativa delle due provincie andava precisando ed acquistava sempre maggiore consistenza.Già alla fine degli anni '50, le provincie di Trento e Bolzano, ognuna con una propria legge urbanistica, hanno dato il via all'attuazione della loro competenza in materia.L'evoluzione degli studi urbanistici tuttavia e la loro scarsa diffusione locale, non aveva allora permesso di formulare ipotesi di lavoro coordinate in tutti i settori e di tradurle in strumenti legislativi idonei ed efficienti.Questi due strumenti legislativi erano assai simili tra loro e non riflettevano ancor la sostanziale difformità della situazione socio-economica delle due provincie. Mentre infatti nel Trentino i temi del sottosviluppo di larga parte del territorio, dell'emigrazione, del reddito procapite inferiore alla media nazionale costituivano i dati di fondo anche per l'intervento urbanistico e lo avrebbero poi orientato verso una politica di sviluppo, nel Sud-Tirolo il maggior benessere economico, soprattutto del gruppo tedesco, unito alla difesa dei valori etnici spingeva anche l'urbanistica in direzione di un'attività di controllo e di tutela piuttosto che di promozione. Questa differenza tra le due provincie sarà destinata a dilatarsi e

produrrà due disegni di politica urbanistica opposti, che si tradurranno in strumenti di pianificazione senza punti di contatto.Le due prime leggi urbanistiche in vigore nella provincia di Trento dall'8 luglio 1960 e nel Sud-Tirolo dal 10 dello stesso mese, recepivano integralmente i principi della legge urbanistica dello Stato del 1942 e sotto il profilo tecnico, salvo per la pianificazione a livello provinciale, risultavano una trasposizione in sede locale dei criteri e delle premesse che avevano giustificato questa legge vent'anni prima. Per quanto riguarda il Trentino le difficoltà di giungere all'approvazione trascinarono la discussione per tre anni con due successive approvazioni del Consiglio Provinciale di Trento, essendo le prime formulazioni respinte dal Governo.È interessante rileggere qualche brano della relazione al disegno di legge, presentato l'11 novembre 1958.«Fra i mezzi di attuazione della disciplina urbanistica si presenta per primo, in ordine logico, il piano urbanistico provinciale la cui progettazione spetta alla Giunta Provinciale disporre. È il caso di rilevare come la diversa denominazione di tale piano, rispetto a quello corrispondente previsto dalla legge dello Stato (che parla di piano territoriale di coordinamento), vuole avere un suo significato: in un ambito territoriale limitato (come quello della Provincia), occorre, non tanto un piano di coordinamento (che sembrerebbe appunto voler “coordinare” lo sviluppo urbanistico dei singoli comuni) ma piuttosto un piano di direttiva generale, che non solo coordini, ma promuova anche lo sviluppo dell'intero territorio, provvedendo razionalmente a tutto ciò che sfugge alla pianificazione separata dei singoli comuni. Ciò spiega anche il contenuto del piano urbanistico provinciale e, correlativamente, da ragione degli elementi di cui esso deve essere costituito».I livelli di pianificazione indicati sono essenzialmente di sue tipi: a livello provinciale, il piano urbanistico provinciale, a livello comunale, i piani regolatori generali ed i piani intercomunali, anche questi sullo schema della legge del 1942.Sul piano pratico tuttavia, il piano urbanistico

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Dossier:Il contesto

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provinciale per poter essere efficace nelle indicazioni da esso prospettate avrebbe dovuto presupporre l'esistenza o, quantomeno, la previsione di presenza entro breve tempo di una pianificazione più dettagliata, che, data la legge, non poteva che essere a livello comunale o al massimo intercomunale.I comuni della provincia erano però 227 di cui 206 sotto i 3000 abitanti: comuni molto piccoli, dunque, nei quali era difficile precisare, caso per caso, le prospettive di sviluppo indicate dalla pianificazione territoriale.D'altra parte nella formulazione di questa prima legge urbanistica si era considerato solo il rapporto tra le due forme di autonomia, la provincia da una parte ed i comuni dall'altra. Il rapporto indicato si esauriva, infatti, in una funzione o coattiva o di stimolo da parte della provincia verso i comuni ed in una partecipazione ridotta a semplici proposte dei comuni verso il piano provinciale.In tutto il Paese l'istituto dei piani intercomunali si era rivelato del resto, per il modo comunque dissociante ed autonomo con cui raccoglieva esigenze complementari, non idoneo come strumento operativo. Infatti da un lato le procedure per la formazione del piano non tutelavano a sufficienza la reale autonomia dei singoli comuni e dall'altro non consentivano la promozione di efficaci rapporti di programmazione tra Regione e Provincia autonoma da una parte e comuni di una stessa area dall'altra.L'impossibilità avvertita di far procedere in tempi adeguati la pianificazione urbanistica a scala provinciale e a scala comunale con i piani regolatori generali aveva portato così a definire nella legge provinciale con maggiore dettaglio il contenuto dei programmi di fabbricazione, che, nelle intenzioni degli estensori avrebbero dovuto sostituire i piani regolatori generali della maggior parte dei comuni. E in questo senso si era organizzata una struttura minima, - un solo ufficio retto dal geometra Attilio Solari con un consulente di Bologna – che mirava a redigere un regolamento- tipo da far approvare da tutti i comuni minori.Tre quelli maggiori, solo Rovereto e Tesero disponevano di Prg, approvati verso il 1957 con apposite leggi provinciali.Sotto il profilo istituzionale, la legge provinciale prevedeva e preordinava l'istituzione ed il

funzionamento di un organo consultivo a disposizione sia della Giunta che dei singoli comuni.Ideato come organo di consulenza tecnica, non lo si era potuto sottrarre alle esigenze di rappresentatività categoriale. Nel contesto complessivamente positivo del suo funzionamento composto fra il tecnico-urbanistico e il corporativo, si sono tuttavia carenze per la precarietà dei collegamenti fra i singoli problemi ed i temi generali.Un tale apparato tecnico-giuridico non era certo in grado di affrontare i gravi problemi edilizi che già allora vi ponevano in tutte le loro urgenze come, ad esempio, a Trento che, senza piano e senza direttive, invadeva le aree lasciate libere nelle urbanizzazioni di fine ottocento e di inizio secolo; a Madonna di Campiglio, dove era cominciato l'assalto dei condomini, a Canazei ecc…Tanto meno aveva la forza di proporre un piano provinciale che affrontasse i complessi problemi di sviluppo di quel periodo.

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Verso l’utopia “tecnicamente fondata”

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Il “Programma Kessler” el’avvio della pianificazioneNel maggio 1961 la Provincia autonoma di Trento - sotto la guida del nuovo Presidente Bruno Kessler - mise a punto per la prima volta un piano quadriennale, un esame complessivo cioè delle proprie possibilità di intervento, sia nel campo legislativo che in quello operativo, seguito da un programma di azioni su direttrici ben individuate.Da tale esame emerse la necessità di coordinare tra loro gli interventi urbanistici che, per la recente legge, dovevano iniziarsi, e, in relazione a quanto esposto, di trovare il modo di superare le difficoltà evidenti di tale processo. Questo insieme di indicazioni, comunemente chiamate “Programma Kessler”, costituivano il primo, organico tentativo di programmare l'attività dell'ente pubblico su un certo arco di anni, indirizzandolo al raggiungimento di obiettivi condivisi. Fu esposto al Consiglio provinciale il 26 aprile 1961.Kessler, da poco eletto presidente della Giunta, portò una forte carica di novità nell'attività della amministrazione, scuotendo il torpore che l'aveva avvolta per anni, con l'introduzione, tra l'altro, della programmazione come metodo di governo.Questo impegno è così formulato: «Riteniamo che la Giunta, pur con i necessari contemperamenti, debba impostare la sua attività su basi scientifiche senza tuttavia cadere nell'eccesso opposto, consistente nel considerare come sperimentale ogni risultanza scientifica; il dato scientifico dovrà essere mediato sia dal buon senso, sia dalla realtà delle necessità delle

1popolazioni» .

Il centro-sinistra in corso di attuazione nel paese, aveva aperto, come si è osservato, grandi speranze anche gli urbanisti che finalmente vedevano riconosciuta la programmazione come metodo unificante di tutti gli interventi pubblici.Da parte sua, Kessler aveva intuito che in queste proposte stavano grandi possibilità di rinnovamento per la realtà provinciale e nel suo programma aveva dato un obiettivo ben preciso alla sua azione politica e quindi a tutta l'attività di programmazione.«Il movente ed insieme la giustificazione – scriveva Kessler – di questo impegno di programmazione vengono individuati in un diverso ordine di fattori che richiamiamo qui in sintesi, anche se, per la loro appartenenza alla nostra formazione politico-culturale, potrebbero essere dati per scontati.Non si vorrebbe che queste enunciazioni fossero intese come un utile esercizio accademico o, dunque, sproporzionate alle esigenze del nostro lavoro. Con esse vogliamo soltanto inquadrare razionalmente uno sforzo, indipendentemente dalla sue dimensioni.Il primo fattore è di ordine culturale. Un'azione politica è veramente efficace nella misura in cui riesce ad interpretare le esigenze e le aspirazioni delle popolazioni ponendosi, in questo contesto umano, come elemento di sviluppo sia economico che sociale. Poggiata su questi presupposti, l'azione politica diventa azione diretta alla crescita civile e morale delle popolazioni, senza sovrapposizioni o paternalismi. Una riflessione attenta sui comportamenti delle nostre popolazioni ci porta alla conclusione che, consapevolmente o inconsapevolmente, queste aspirano a darsi un assetto compiutamente democratico.

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Dopo il periodo della ricostruzione e del soddisfacimento dei più urgenti bisogni il nostro paese si avvia verso un periodo di più acuto esame del sistema socio-economico, tendendo a pervenire ad una società nella quale, eliminate le situazioni di disagio e di squilibrio, l'uomo possa realizzare la propria pienezza di cittadino libero.È per questo che quando parliamo di programmazione, vogliamo che siano ben chiare queste premesse: nello studio e nel lavoro si ha di mira l'uomo e non la struttura od il fenomeno economico, considerati come valori finali. D'altra parte in questa azione, non si vuole imporsi l'uomo ma, interponendolo, tentare di favorirne in tutte le direzioni una completa e libera espansione. Ci sembra anche nostro dovere l'assisterlo in questo momento di evoluzione sociale, in modo da non compromettere quei valori spirituali che nel tempo, hanno costituito la forza morale della società trentina. Il secondo fattore è di natura economica. Abbiamo, a questo proposito, esperienze storiche direttamente sentite dalle nostre popolazioni e facilmente documentabili, che confrontano questo spunto d'analisi. Come l'industria milanese, alla sua prima rivoluzione, spezzò anche nel Trentino la piccola industri locale, portando la nostra terra al margine dello sviluppo industriale, così oggi, in periodo di terza rivoluzione industriale, occorre proporsi precisi obiettivi e metodi certi di lavoro, nei tempi tecnici che sono propri dei momenti di espansione industriale, per non vedere accentuata nella nostra provincia la

2depressione, sia in senso relativo che assoluto» .Dal programma del 1961 non emerge ancora lo stretto legame che subito dopo si stabilì tra attività politica e proposta urbanistica. Questa maturò con sorprendente rapidità lungo il corso dello stesso anno e si precisò nella primavera successiva in occasione di un convegno interdisciplinare svoltosi a Torbole.All'inizio della legislatura, la funzione del piano provinciale non era ancora ben definita per

l'indeterminatezza della legge del 1960 e per gli echi del dibattito nazionale. Nel suo programma Kessler avverte la portata della problematica, ma non ha ancora preso una decisione circa il senso da dare all'azione urbanistica.Egli asseriva che: «Notevoli divergenze di indirizzo sussistono in sede di pratica attuazione della disciplina urbanistica e tali divergenze di manifestano, sia sul piano della metodologia, sia sul piano più

3propriamente del contenuto» .Subito dopo proponeva alcuni orientamenti operativi tendenti alla individuazione di zone in grado di essere considerate unitariamente sotto il profilo territoriale, economico e sociale. Annunciava infine che sarebbe stato costituito entro breve tempo, un comitato di progettazione del piano. Nell'estate del 1961 il gruppo di esperti, con a capo Giuseppe Samonà, iniziò il lavoro (31 luglio) con la prima visita e la stesura di un programma operativo.Questo si precisò nel settembre dello stesso anno, durante un seminario promossodall’Ufficio Studi della Provincia, che vide riuniti tutti consulenti incaricati degli studi di settore annunciati da Kessler nel suo programma. Partecipò inoltre la Regione Trentino Alto Adige, alla quale allora spettavano le competenze dei settori economici e che aveva incaricato per conto suo una società di consulenza specializzata (la Tèkne Spa di Milano) di predisporre un piano di localizzazioni industriali sul territorio regionale. In quell'occasione furono discussi soltanto gli indirizzi più generali del piano e si convenne di finalizzare al piano tutte le ricerche di settore già in elaborazione. Si stabilì inoltre di dar corso ad alcune specifiche indagini.

Note 1, 2, 3: Provincia autonoma di Trento, Programma della Provincia di Trento per il 1961-1964, Trento, 1961.

Dossier:Il progetto

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LA SCHEDA

2 Il Pup e le primeesperienze di pianificazionein Trentino negli anni ‘60

Lo studio della TèkneAlla fine degli anni '50 si produsse in Trentino, come in altre aree marginali rispetto ai grandi poli dello sviluppo economico, uno sforzo considerevole per creare nell'industria nuovi posti di lavoro in grado di frenare l'emigrazione e l'esodo agricolo. Le prime dislocazioni, furono individuate in aree spesso non idonee. Valga per tutti l'esempio della fabbrica di siliciuri di Mezzocorona, nella Piana Rotaliana, che non solo occupò un'area pregiata per la produzione del Teroldego (vino principale del Trentino), ma produsse, e ancora continua, un notevole degrado per i fumi molesti.L'assessorato regionale all'Industria, cercò di razionalizzare il fenomeno, predisponendo, tramite una ampia consulenza, una serie di proposte, che tendevano a configurarsi come un vero e proprio piano generale di sviluppo, sul modello delle analoghe esperienze svolte nel Mezzogiorno.Lo studio, elaboratto dalla Tèkne con la supervisione di Bernardo Secchi, venne presentato alla discussione alla fine del 1961. Per quanto interessa la pianificazione urbanistica, considerate le caratteristiche della regione esso proponeva tre alternative.La prima considerava lo sviluppo industriale lungo l'asta Rovereto-Trento-Bolzano. Questo avrebbe comportato un accentramento della popolazione in questa area, con conseguente forte immigrazione interna, deterioramento della tradizionale tipologia urbana, aumento dei costi di insediamento. Per contro avrebbe consentito un'utilizzazione ottimale delle maggiori infrastrutture esistenti e l'uso di possibili economie esterne in misura assai elevata.La seconda ipotesi si contrapponeva alla precedente e considerava un'industrializzazione diffusa e capillare su tutto il territorio regionale. Tra i fattori positivi di questa alternativa si elencavano il mantenimento della distribuzione territoriale della popolazione, la buona utilizzazione dei servizi esistenti, un più agevole incremento della occupazione femminile. Tra quelli negativi «l'eccessiva dispersione degli investimenti e infrastrutture, la difficoltà a costruire centri capaci di esercitare un'attrazione, la difficile riduzione della superficie agraria, a causa della permanenza della popolazione in luogo, un aumento dei costi di distribuzione e vendita e, infine, la persistenza di una struttura cosmologica di tipo rurale, con effetti che, alla

1lunga, potevano ritardare lo sviluppo socio-economico» . La terza alternativa si inseriva tra le due prime e

considerava una distribuzione per poli, realizzata attraverso «una zona di concentrazione industriale, urbana e di servizi lungo l'asta Rovereto-Bolzano e nella formazione di una seria di poli di sviluppo

2industriale all'interno di alcune valli» .Per quanto riguarda la provincia di Trento, si proponevano nove aree, la più grande convergente su Trento, la più piccola ridotta al Primiero.In alcuni casi i termini del problema si ponevano in modo drammatico. Esistevano infatti alcune sacche di particolare depressione nelle vallare laterali dell'Adige – Vallarsa, Terragnolo, Val di Cembra – nelle quali le caratteristiche geografiche sembravano impedire qualsiasi plausibile previsione di sviluppo industriale o turistico. Nello stesso tempo la difficoltà di costruire una nuova rete viabile con un accettabile grado di scorrimento sembrava impedire movimenti pendolari tollerabili verso la valle dell'Adige e quindi rendeva inoperante e non applicabile lo schema della città-regione. Questi schemi fondati sul criterio di individuazione dei poli di sviluppo, riferito alla gravitazione spontanea su un centro, si dimostrarono troppo poco comprensivi della realtà e delle tradizioni locali e in alcuni aspetti particolari furono aspramente avversati.

Il Piano regolatore generale di TrentoSi pone in questo quadro la contemporanea attività urbanistica del comune di Trento che, nella redazione del proprio piano regolatore, stava seguendo un percorso autonomo, assai vicina all'idea della concentrazione dello sviluppo sulla Val d'Adige e in particolare nel territorio del comune maggiore.Il lavoro di progettazione del Prg di Trento era iniziato qualche tempo avanti quello del piano urbanistico provinciale e si era mosso su una prospettiva che isolava la città dal territorio, facendola sì emergere come il fatto più rilevante nei riguardi dell'intera regione, ma senza rilevarne le connessioni più profonde.Si può dire che il Prg di Trento si risolse in un disegno di schematica tecnica urbanistica e questo può far comprendere le difficoltà di dialogo con il piano provinciale che tentava di definire un quadro di prospettive assai più articolato.Il dibattito si schematizzò molto presto su due

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visioni: da una parte “Trento” con la proposta di accentramento dello sviluppo; dall'altra la “Provincia” con i comuni delle valli, che, in tutte le riunioni di quel periodo, reclamavano una diversa concezione dello sviluppo.La Regione, sostenuta, come sembrava, da motivi di ordine tecnico e da considerazioni strettamente economiche, proponeva la sua terza alternativa, cioè la concentrazione sulla Val d'Adige contemporanea a una concentrazione minore dello sviluppo in alcuni poli periferici collocato dentro le vallate della provincia.

Le indagini di base per il PupFu chiaro già dal dibattito finale dell'incontro dell’ottobre 1961 (si veda la “cronologia” alle pagg. 16-17) che il gruppo di Samonà non poteva accettare le conclusioni alle quali tendevano lo studio della Regione e quelli per il Prg di Trento senza sottoporle ad attenta verifica e soprattutto senza esplorare altre possibilità.Il convincimento che fosse possibile operare altrimenti orientò le prime indagini verso una ricerca conoscitiva sul territorio che partiva dai fatti e dai fenomeni più direttamente legati all'uomo, alla sua vita, all'ambiente.Si decise dunque di compiere una vasta ricognizione della realtà provinciale, per precisare i contorni di uno spazio, urbanisticamente intenso, in cui le relazioni tra i fatti fossero intese nei loro aspetti conoscitivi, di individualità e di vitalità.In primo luogo fu promossa un'indagine sociologica affidata a Franco Demarchi, intesa a individuare le possibili reazioni popolari alla realizzazione del piano, in quanto esso, se inteso nel solo senso astratto della dimensione economico, avrebbe potuto compromettere l'efficienza dei sistemi culturali locali senza offrire valide alternative.Considerata altresì l'importanza che la lettura dell'insediamento umano presentava nella comprensione dei fatti salienti di un determinato territorio – delle sue condizioni attuali e delle trasformazioni subite – venne impostato il rilevamento di tutti i nuclei abitati della provincia, con particolare riguardo alle loro parti più antiche, definite “preesistenze ambientali” e ai singoli edifici, valutati rispetto alle caratteristiche architettonico-ambientali, allo stato di conservazione, alla destinazione d'uso.Connesse alla finalità più generale di ordine conoscitivo ve ne erano altre aventi relazioni con gli aspetti operativi della pianificazione e cioè l'individuazione dei centri di maggior interesse storico, dei loro caratteri urbani, della loro localizzazione sul territorio e delle loro eventuali interrelazioni; la misurazione dell'entità delle trasformazioni subite dal patrimonio storico-architettonico in generale; la valutazione del fabbisogno di vani abitativi da restaurare e da costruire ex-novo.Questa indagine, compiuta dall'autunno del 1961 alla primavera dell'anno successivo, contemporaneamente ad un'altra relativa ai servizi e infrastrutture esistenti a livello comunale, consentì di penetrare più a fondo nella realtà provinciale.Ci si accorse subito che il territorio era «caratterizzato da un notevole numero di insediamenti

antichi, che ne costituiscono ancora la struttura più significativa. Le trasformazioni dei modi di vita nell'ultimo secolo sono intervenute su di esso snaturando, dove sono state più massicce, l'equilibrio ed i caratteri primitivi o progressivamente impoverendo i valori storici e degradando l'ambiente fisico, dove si sono fatte sentire meno.Nel passato, il triplice rapporto di gruppo sociale – struttura insediativa – ambiente naturale adeguava con continuità le caratteristiche proprie alle nuove esigenze; il gruppo sociale agiva, con maggiore o minore lentezza a seconda della sua forza interna, sulle strutture per adattare l'ambiente in cui viveva; d'altra parte l'ambiente stesso condizionava le strutture e il gruppo sociale. La continuità fra centro antico e nuovo sviluppo era mantenuta per una crescita dall'interno verso l'esterno: le caratteristiche antiche suggerivano per propria forza quelle nuove.Recentemente invece l'urbanesimo nelle città, i flussi turistici nei borghi delle vallate, hanno in parte distrutto la continuità con l'antico tessuto edilizio, sostituendo sviluppi indifferenziati e quasi sempre generici alla lenta caratterizzazione del passato.Tale processo è ancora in atto, e in modo sempre più incidente. Anche l'ambiente naturale, la campagna o il paesaggio montano, così ricco d'interessi, ha subito profondi mutamenti nel corso degli ultimi decenni; gli insediamenti sono aumentati e le distanze tra di essi conseguentemente ridotte, i grandi spazi liberi, che una volta esaltavano la funzione della città in rapporto agli insediamenti minori, sono spariti. Si assiste, in ritardo rispetto ad altre regioni, ad una progressiva integrazione delle culture, a una tendenza ad un

3livellamento sempre più accentuato» .Altre indagini, più specifiche, riguardavano il turismo, l'energia, la situazione della viabilità e degli acquedotti.Oltre a queste, fu di sostanziale aiuto il lavoro svolto in campo agricolo da Ercole Calcaterra e da Pietro Nevi. La loro indagine, pur principalmente diretta alla individuazione delle premesse economiche riguardanti la minima proprietà culturale, venne in quella sede agganciata agli studi per il piano provinciale, in considerazione della vastità dei problemi che sarebbero emersi da un'indagine svolta alla identificazione dell'assetto ottimale dell'azienda agricola nel Trentino. Si trattava, infatti di individuare la dimensione ottimale dell'azienda in relazione al tipo di indirizzo culturale, attuale o previsto, e di dedurre conseguentemente la qualità degli addetti che potevano trovare nell'agricoltura un'adeguata fonte di reddito. I risultati delle indagini, la problematica da essi sollevata, gli interrogativi del piano di industrializzazione furono discussi in diverse riunioni di sindaci e di amministratori, svoltosi all'inizio del 1962 a Cles, Fondo e Malè. Queste riunioni si infittivano mano a mano che il piano prendeva corpo e divennero metodo di confronto e di verifica.

1 - 3: le citazioni sono tratte da S. Giovanazzi, A. Boato, R. Moro, Indagine nell’edilizia e nelle presistenze ambientali, Provincia autonoma di Trento, 1963

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L’intenso lavoro di approfondimento fu presentato in una prima sintesi, pubblicata nell'aprile del 1962 e discusso a fondo nell'ambito di un convegno sui problemi strutturali della Provincia, svoltosi a Torbole nel maggio dello stesso anno, promosso dall'Ufficio Studi dell’ente provinciale.La parte generale di questa relazione, nel testo predisposto da Samonà costituisce un primo insieme dei criteri elaboratori per la successiva fase di progetto e risulta di particolare interesse se si adotta come chiave di lettura la ricerca degli elementi più significativi di uno spazio riferibile all'intervento urbanistico e alla nuova configurazione dei territori aperti della campagna, nei quali – secondo gli urbanisti – contatti sempre più distanziati avrebbero potuto formare un nuovo tipo di città, senza concentrazione.Inizia dunque da qui, dalla prima “idea di campagna urbanizzata”, il lungo cammino che porterà, tredici anni dopo, alla più complessa ed articolata proposta della “città in estensione”.La parte centrale della relazione fu presentata all'attenzione degli studiosi presenti, che erano le punte più avanzate della cultura socio-economica di quel momento.In essa si riconosce facilmente il pensiero di Samonà, come si era venuto maturando nell'incontro con la realtà trentina. Dà un'idea delle profonde differenze, si potrebbe dire ideologiche, con le proposte della Regione e della ricchezza di indicazioni che stavano emergendo dalle indagini territoriali e dagli incontri con gli amministratori locali.Finalizzando la lettura di questa relazione alla ricerca delle idee che poi, nel piano, avranno uno sviluppo articolato e un'applicazione più matura, sembra utile dividerla in quattro parti, anche se l'edizione originale non presenta alcuna suddivisione.In una prima parte infatti si possono trovare i criteri di base della pianificazione, in particolare dei territori aperti della campagna, che costituiscono l'elemento tipico del Trentino.Nella seconda sono incisivamente precisati gli obiettivi centrali dell'attività di pianificazione verso un equilibrio territoriale capace di formare “città senza concentrazione”.Nella terza si descrivono i fenomeni che possono concorrere alla realizzazione di questi; e cioè un esodo graduale dall'agricoltura all'industria, senza impoverimento di alcune zone e arricchimento di altre, realizzato anche con spostamenti di popolazioni, ma accettati, lenti, sedimentati; uno sviluppo turistico che faccia perno sull'ambiente, sull'edilizia tradizionale, sulla storia; localizzazioni industriali distribuite sul territorio ed integrate a questo. Nella quarta, infine partendo dalla costatazione della

Le prime sceltedi fondo e il “ ”Convegno di Torbole

richiesta di dimensioni nuove, si propone una campagna che diventa città senza concentrazione fondata su alcune grandi strutture e organizzata in grandi unità di decentramento, formate con il consenso dei comuni e degli uomini che in esse vivono.

I principi della pianificazioneLa prima parte dunque si apre con alcune enunciazioni di principio, molto sintetiche, che tuttavia saranno la chiave per interpretare il più complesso insieme del piano.«Nella struttura di un territorio vi sono dei fatti sostanzialmente stabili che l'urbanistica deve saper cogliere e conservare come elementi fondamentali per la formazione dei criteri di sviluppo della vita nel territorio stesso.Nel Trentino i fatti più stabili sono quelli naturali, sia in rapporto all'agricoltura, sia in rapporto alle diverse attività di insediamento fra le quali oggi è sempre più appariscente quella del turismo. Pertanto nella formazione dei piani di sviluppo occorre tener conto di questi fatti come basi per ogni programma di trasformazione strutturale.Pianificare non significa sconvolgere, ma determinare le caratteristiche della situazione in ogni punto per quello che esse veramente sono e per quanto possono spontaneamente rendere. Qualunque organismo, forzato oltre certi limiti, si spezza, si ammala e qualche volta può anche morire. È perciò che dobbiamo tener conto delle più stabili caratteristiche della Provincia, individuandone gli elementi significativi per trarre da essi le previsioni sull'assetto del territorio alla fine di un determinato periodo di tempo.Evidentemente le nostre previsioni si riferiscono a un futuro che non può sempre svolgersi in modo lineare; nel suo sviluppo potranno verificarsi situazioni di crisi.Pertanto il nostro compito è di portare la struttura del territorio ad un livello tale da assorbire senza eccessive scosse anche le discontinuità accidentali, di prepararla cioè a resistere, senza gravi fratture, anche alle

1trasformazioni non prevedibili» .Queste enunciazioni sono derivate da una critica al modo di fare urbanistica nell'ultimo secolo, che Samonà, del resto, aveva sviluppato approfonditamente nel suo ultimo libro.«Non aver saputo prepararsi in tempo, a tutti i livelli, per assorbire queste scosse, ha provocato delle crisi gravissime in tutta l'urbanistica europea e soprattutto in quella italiana: è ben noto quanto è accaduto nelle nostre città con l'urbanesimo, perché esse, non essendo preparate, hanno subìto la pressione sempre più grande di interessi, di natura economica, che si sono acuiti fino all'estremo ed hanno prodotto gravi disgregazioni nel tessuto urbano di molte città storiche di incomparabile

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Pianificare non significa sconvolgere,

ma determinare le caratteristiche della

situazione in ogni punto per quello che esse veramente sono

e per quanto possono spontaneamente

rendere

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valore.Questo sfaldamento della città, questa sua ipertrofia esterna, comincia solo oggi ad essere sanata, perché solo oggi si comprendono i lati negativi dei fenomeni che provocano l'espansione a macchia d'olio, muovendo dall'interno verso l'esterno con spinte irrefrenabili e laceranti.Oggi si cerca di limitare le cause più cruente di questa crescita, cioè le azioni sollecitatrici delle fasce industriali, fissando la loro reale consistenza critica e decentrando da esse quelle parti che per attitudine al forte richiamo di mano d'opera, provocherebbero l'incremento di questa, oltre le capacità tollerabili della popolazione urbana esistente.Nelle città gli urbanisti possono svolgere tale opera con una certa efficacia, perché hanno ormai una certa esperienza dei fenomeni locali più appariscenti, che si sono formati in 60 o 70 anni, e che permettono di capire abbastanza bene quali sono i mezzi per

2arrestare l'ipertrofia della città stessa e salvarla» .I primi ragionamenti sulla realtà trentina, sulla struttura dei suoi insediamenti in rapporto agli spazi aperti, impongono di considerare la campagna in modo nuovo. Si apre qui la formulazione, forse per la prima volta, di quella che sarà una delle idee più fortunate del piano.«Viceversa è più nuovo il complesso dei fenomeni che si presentano all'urbanisti nel territorio aperto della campagna quando questa tende ad urbanizzarsi per i fatti che in parte dipendono da una sua interna vitalità, in parte da relazioni con attività di luoghi già fortemente urbanizzati.Sentiamo che l'urbanizzazione della campagna, come tendenza, deve essere guidata in senso organico e funzionale, e che non si possono determinare, perciò delle localizzazioni di attività economico-sociali di carattere nuovo, senza pensare a ponderare i possibili effetti di queste trasformazioni, in rapporto alle caratteristiche più significative dell'ambiente in ci si

3dovrebbero attuare» .

Gli obiettivi centraliLa seconda parte, che è quella centrale, è molto breve e mette in relazione causale ambiente, equilibrio e città senza concentrazione. «Nel Trentino il nostro compito sarà perciò quello di coordinare gli elementi più significativi dell'ambiente naturale in cui portiamo la pianificazione.Dobbiamo cioè trovare i cardini fondamentali di ogni parte del territorio per determinarne la struttura organica. Nella Provincia di Trento una struttura organica è facilmente individuabile.In questo territorio abbiamo veramente dati basilari e caratteristiche precise, che costituiscono da una parte un limite e dall'altra un incentivo a trovare giuste soluzioni.D'altra parte una delle idee fondamentali da tener presente in ogni piano territoriale è quella della creazione di un giusto equilibrio di relazioni fra le varie parti del territorio, facendo in modo che in esso i movimenti pendolari si riducano a movimenti vivi ed attivi.Dove i movimenti pendolari hanno avuto questa caratteristica sono nate le città.I percorsi creati dai grandi movimenti di massa determinano incontro a sé strade, servizi, residenze ed

infine, lentamente, la città.Solo oggi questo può avvenire, dato che i mezzo in movimento hanno ridotto le distanze e diminuito la continuità dei contatti dell'uomo col territorio.I contatti sempre più distanziati formeranno nel territorio aperto un nuovo tipo di città, un città senza concentrazione che l'urbanistica dovrà configurare a seconda delle caratteristiche geografiche e sociali del

4territorio» .

I fenomeni formativi della nuova cittàLa descrizione dei fenomeni che possono concorrere alla formazione della città senza concentrazione occupa la terza parte. In questo ha una parte preponderante il problema delle nuove localizzazioni industriali che allora era forse, sul piano pratico, il più urgente.«Nel nostro piano, per definire le relazioni con l'equilibrio necessario, dobbiamo pensare alle più convenienti utilizzazioni del suolo, stabilendone dimensioni funzionali per il trapasso di un certo numero di agricoltori dell'agricoltura all'industria.In Italia in genere il rapporto tra la produzione industriale e quella agricola è di molto al di sotto della media europea; perciò dobbiamo fare un grande passo avanti, potenziando molto di più gli impianti industriali, senza tuttavia concentrarli in determinate zone impoverendo le altre.La localizzazione delle industrie deve essere, poi, graduale; cioè non deve realizzarsi tutta nello stesso momento, ma avvenire con lentezza determinata dalle caratteristiche della zona.È infatti nell'interesse di tutti che le localizzazioni industriali si formino gradualmente, per far sì che il travaso dei lavoratori avvenga senza discontinuità e si vada sedimentando in zone prestabilite, dove gli uomini, per mezzo di questo lento trapasso, non si distacchino da quelle terre cui sono frizionati, perché vi hanno vissuto, e possono adattarsi grado a grado a mutamenti non improvvisi.Se non avverranno mutamenti di questo tipo, le genti che vivono sul territorio avranno l'impressione che quanto si trasforma è dovuto alla loro volontà e vi contribuiranno con senso realistico, stabilizzando talune componenti di sviluppo, la cui vivacità e potenza non può realizzarsi che attraverso l'azione individuale condizionata.Il piano dove, perciò, programmare un trapasso graduale dall'agricoltura all'industria fino al limite che l'agricoltura può sopportare e dovrà ancora subire trasformazioni efficaci ed efficienti per un certo carico di popolazione, raggiungendo una certa produttività limite.D'altra parte, il trapasso a localizzazioni di natura industriale, deve contemperarsi alle esigenze dell'ambiente con le sue strutture residenziali e con le sue necessita turistiche.La nostra provincia presenta da questo punto di vista requisiti straordinari. In essa residenza e turismo possono formare in molte zone unità integrate piene di risorse e di varie possibilità. Esse, se giustamente orientate, daranno spinte efficaci all'economia locale senza turbare i requisiti dell'ambiente, ma al contrario valorizzazione i monumenti e l'edilizia

5tradizionale più caratteristica» .È opportuno ricordare a questo punto che forse per la

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Dossier:Il progetto

Nel Trentino dobbiamo trovare i cardini fondamentali di ogni parte del territorio per determinarne la struttura organica

Riferimenti1. G. Samonà, Relazione al Convegno di Torbole, Provincia autonoma di Trento, 19622, 3. G. Samonà, L’urbanistica e l’avvenire delle città, Op. cit.4. G. Samonà, Relazione al Convegno di Torbole, Provincia autonoma di Trento, 1962

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prima volta un programma di recuperi non solo dei centri storici, ma anche dell'intera edilizia tradizionale, entra a far parte di un programma politico. Tuttavia in quel momento, in presenza del piano della Regione sulle localizzazioni industriali sono queste che prendono il primo posto.«Molto più delicata e difficile mi sembra invece la localizzazione dell'industria. Localizzazione necessaria, ma da fare con estrema cautela, per evitare che si creino profonde discontinuità nei movimenti migratori interni della popolazione e che l'eccessiva estensione di strutture produttive di questo tipo possa portare notevoli inconvenienti alla configurazione ed all'equilibrio di un territorio cos' ben caratterizzato come il Trentino, in ogni sua valle. L'unico modo per localizzare le industrie in maniera organica e funzionale rispetto al territorio, perché esse non gli siano lesive, è quello di suddividerle integrandole nelle grandi unità territoriali che costituiranno domani la configurazione strutturale di

6tutto il territorio» .

Le tipologie fondamentali della nuova cittàLa relazione si conclude con le idee di base per una nuova organizzazione fondata su dimensioni opportune, dettate dalle nuove grandezze dei fenomeni.«Assistiamo oggi alla grandiosa trasformazione di tutte le nostre strutture, ma purtroppo constatiamo ogni giorno che questa crescita sempre più gagliarda, avviene entro le rotaie di una costrizione tirannica, dettata dalla concentrazione delle metropoli.Le nostre strutture produttive avrebbero invece bisogno di grande spazio per organizzarsi in modo perfetto per ritrovare liberamente una loro funzionalità che le faccia crescere nel tempo, senza ostacoli, nel modo più idoneo. Il bisogno di avere dimensioni nuove per tutte le cose che circondano l'uomo che vive in società, continua a dimostrarci che la concentrazione è ormai un'idea superata. È un'idea della città chiusa con millenni di storia; oggi questa città si è aperta verso la campagna ha infranto le sue mura ed è quindi un paradosso, un anacronismo continuare a vederla crescere per zone

7edilizie di concentrazione» .La nuova città deriva dunque dalla considerazione che nei tempi moderni la città chiusa ha finito il suo ruolo. Ma come procedere alla costruzione della nuova città?La risposta sintetica sta nel pensare a uno spazio aperto e alla esatta definizione in esso di alcune grandi strutture, di cui, nella relazione, si dà qualche esempio.«Dimentichiamo per il momento che siano della concentrazioni, cerchiamo di non pensare più per concentrazioni; si apriranno allora per noi dei grandi orizzonti, vedremo le cose in modo completamente diverso, con nuove dimensioni, con una distribuzione non vincolata da direttrici tiranniche e minute, lo spazio sarà un elemento che troverà i suoi limiti in una forma corrispondente in tutto e per tutto alle necessità pratiche e spirituali di uomini nuovi.In questa nuova configurazione dello spazio urbanizzato, le grandi strutture acquistano un interesse preminente. Poiché esse rappresentano le fondamentali localizzazioni, cioè i punti di riferimento di questo spazio urbanizzato, i parametri su cui potremo costruire le nuove dimensioni di una campagna che diventa città, senza concentrazione.Una di queste strutture per la sua evidenza può essere qui descritta con una certa efficacia, per dare un'idea della funzione che tali strutture avranno nello spazio aperto,

quando le attività terziarie potranno localizzar visi, usufruendo liberamente di quella profonda tecnico-amministrativi, a cui tutti ormai aspirano e che rappresento elemento indispensabile per le unità urbanizzate dell'avvenire. Si tratta di una struttura che dovrebbe accentrare tutte le scuole medie superiori in una localizzazione ben determinata in rapporto a unità territoriale. Questa struttura dovrebbe lasciare che ogni sua parte riferente ad un determinato tipo di scuola, possa liberamente articolarsi in rapporto alle sue interne funzioni. Rappresenterebbero comuni per tutte le scuole di questo aggregato, le attrezzature scientifiche e tecniche che invece di essere disperse e ripetute in tante località (a disposizione di ogni tipo di istituto) sarebbero invece riunite in unico complesso assai più potenziabile; mentre tutto l'organismo avrebbe gli insegnanti migliori e offrirebbe agli allievi quelle benefiche e profonde integrazioni che nascono dalla convivenza e dall'incontro continuo ricco di relazioni, stimolate dalle materie di studio e dagli insegnanti comuni.Un centro di questo genere potrebbe essere anche un elemento caratteristico ed essenziale di cultura per tutta l'unità urbanizzata, in cui è localizzato: biblioteche, sale per conferenze, particolari attrezzature scientifiche disponibili per corsi speciali, potrebbero dare a questo centro una forza spirituale determinante per la zona che offrirebbe all'unità urbanizzata un senso di efficienza civica che è propria

8della città» .Le 'grandi strutture' che costituiranno i poli urbani della campagna-città, non sono tutte nuove, ma vanno piuttosto cercate nella unificazione dei molti servizi, sparsi in piccoli nuclei, e nella localizzazione nella campagna.«Come si è detto, molte strutture di carattere pubblico e di attività terziaria, potrebbero e dovrebbero trovare efficaci localizzazioni nel territorio aperto, diventando i fuochi di un'attività unitaria, che trova in queste localizzazioni i suoi grandi parametri misuratori. Oggi queste attività sono tutte polverizzate e ripetute Comune per Comune, senza che tra esse vi sia un vero e proprio efficace

9coordinamento» .Quest'idea si città senza concentrazione, costruita per grandi strutture di attività unificate, comporta necessariamente una nuova organizzazione amministrativa, correlata alle nuove funzioni. E' l'idea di comprensorio, per ora appena fondata nei suoi elementi di base, che comincia a prendere forma.«La campagna urbanizzata, concepita per grandi unità, dovrebbe intendere in modo completamente diverso il decentramento amministrativo, intenderlo cioè per grandi localizzazioni organiche, che hanno la giusta dimensione in rapporto alle nuove attività e alle capacità potenziali della campagna urbanizzata nei suoi grandi nuovi nuclei.La Val di Sole e la Val di Non, riunite in un unico complesso, formano una di queste grandi unità, dove cercheremo di attuare questa forma nuova di decentramento.Anche la Valle dell'Adige troverà una sua organicità per zone caratterizzate dalla presenza dei più grossi insediamenti urbani del Trentino e del suo capoluogo. Potremo subito dire che questa valle dovrà opporre

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L'unico modo per localizzare le

industrie in maniera organica

e funzionale rispetto al

territorio è quello di suddividerle

integrandole nelle grandi unità

territoriali

5 - 9. Convegno di Torbole, Provincia

autonoma di Trento, 1962

G. Samonà, Relazione al

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alla presenza di alcuni territorio metropolitani, abbastanza vasti, un campagna urbanizzata, in cui il decentramento avrà particolari caratteristiche. La Val di Non invece dovrà essere concepita come una grande zona metropolitana che dovrà formare uno stato organico ed efficace di equilibrio con le città della Valle dell'Adige, i cui territori metropolitani stabiliranno con la metropoli della Val di Non, rapporti funzionali distribuiti senza discontinuità, nello scambio delle fondamentali relazioni di carattere economico-sociale.Intanto occorre sottolineare un fatto nuovo che troverà espressioni particolari, sovrapponendosi a quanto esiste, cioè a dire l'aumentata dimensione logica e funzionale dovuta a queste grandi unità.Nelle zone del meridione esistono territori vastissimi per molti comuni, viceversa nelle regioni settentrionali d'Italia, i comuni sono molto frazionati; nel Trentino abbiamo un grandissimo numero di comuni piccolissimi, non tanto per l'estensione dei loro territori, quanto per il numero delle genti che vi sono insediate.Questa situazione del Trentino ha un significato che non dobbiamo dimenticare.Corrisponde, essa, ad una certa tradizione locale, ad attaccamento a determinare abitudini, situazioni e relazioni, che rendono gli aspetti analitici della vita territoriale validamente caratterizzanti.Di fronte a questi fatti analitici, la nuova dimensione che viene creandosi in tutto il territorio per essere vitale, deve essere condivisa pienamente da coloro che devono viverla, cioè da tutti i piccoli Comuni che dovranno unirsi, per costituire questa nuova dimensione. Di tratta di spiegare ai Comuni come questa dimensione nuova abbia una profonda funzione morale nello sviluppo umano delle valli, una funzione a cui i Comuni non possono sottrarsi, perché supera ed integra i piccoli interessi locali di un'industria qui ed un ufficio pubblico colà, perché rappresenta un fatto di partecipazione, la cui potenza rappresenta è garantita solo se tutte le forze vive di una valle si riuniscono in questa grande unità conurbandola, per farla diventare un efficace organismo, una vera e propria grandiosa metropoli dell'avvenire.In questa unità più Comuni formeranno un insieme minor che per illazione potremo chiamare quartiere anche se non si tratta in nessun caso di un quartiere con riferimenti a quelli urbani, ma di una campagna in cui gli insediamenti dei vai Comuni che lo compongono, saranno ancora distanziati e nella campagna aperta cominceranno a trovare posto quelle infrastrutture di servizio differenti dalle strutture produttive industriali, a cui in definitiva si riferirà il nuovo volto di questi caratteristici nuovi quartieri, se così vogliamo ancora chiamarli. La nascita di tutto questo sarà per alcuni anni piuttosto incerta, costituirà un principio quasi uno schizzo di tutto il processo; ma poco alla volta ognuno dei fatti fondamentali prenderà il suo particolare carattere e allora gradatamente vedremo crescere queste nuova grandi unità fatte di

10campagne e di città insieme» .

La prima suddivisione comprensorialeNegli elaborati presentati al convegno di Torbole, le indicazioni territoriali rimanevano ancora vaghe. L'attenzione si era accentrata soprattutto sulla quarta parte della relazione, sulla divisione cioè del territorio aperto in grandi città, i Comprensori, mentre i

contenuti della città-campagna, ad esempio le grandi strutture, rimanevano ancora tipo logicamente indefinite.Sul territorio del Trentino le prime proposte per il Piano provinciale avevano infatti individuato una suddivisione in grandi comprensori di valle.Nell'ambito dei comprensori si distinguevano i piani intercomunali e all'interno di questi i piani comunali di piccoli gruppi di comuni aventi interesse di settore.Ci sembra importante rilevare l'articolazione dei comprensori in sotto-unità, qui chiamate unità intercomunali, che, in questa prima suddivisione, avevano dimensioni abbastanza rilevanti. La loro funzione è chiarita in uno studio sui contenuti dei piani ai diversi livelli, contemporaneo a quello citato.«Il piano provinciale prevede dunque la divisione del comprensorio di valle in più unità intercomunali, che pur essendo integrate nell'unità comprensoriale, ne costituiscono l’articolazione dei settori caratteristici, entro i quali il consorzio dei comuni del comprensorio si scompone in consorzi minori del territorio intercomunale che hanno finalità proprie, anche se subordinate agli scopi del

11consorzio maggiore istituito per il comprensorio .Le “finalità proprie” erano individuate essenzialmente in un'organizzazione unitaria dei servizi, delle comunicazioni e della residenza che trovava una sua omogeneità soltanto a scala inferiore rispetto a quella del comprensorio.Pur sottoponendo a serrata critica, questo livello intermedio tra il comune ed il comprensorio rimarrà nella prima edizione formale del Pup nel 1964 ed anche in quella definitiva del 1967, sotto il nome di “unità insediativa”.I criteri generali così formulati proponevano dunque un'organizzazione territoriale ben difforme da quella della città-regione, di cui faceva eco il piano di localizzazioni industriali, e che allora trovava negli studi del piano intercomunale di Milano la sua più avanzata elaborazione.Al convegno di Torbole il dibattito sul piano si svolse prevalentemente attorno ai due diversi concetti città-campagna (comprensorio) e di città-regione, il primo sostenuto da Samonà e dagli urbanisti, il secondo proposto dagli economisti.L'esame delle due alternative riguardò non tanto i loro contenuti teorici, quanto alla capacità di risposta dell'una o dell'altra ai bisogni locali, di breve e di lungo periodo, secondo l'interpretazione politica del governo provinciale. Samonà, da parte sua, aveva già dichiarato che «le idee programmatiche della giunta provinciale erano assimilabili non come intenzioni di una politica locale, ma come intenzioni di uno studioso di

12problemi urbanistici» .La discussione dimostrò che il comprensorio, come unità territoriale equilibratrice, era in grado di rispondere efficacemente alla situazione culturale, sociale ed economica del Trentino.

Dossier:Il progetto

Al convegno di Torbole il dibattito sul piano si svolse prevalentemente attorno ai due diversi concetti città-campagna (comprensorio) e di città-regione, il primo sostenuto da Samonà e dagli urbanisti, il secondo proposto dagli economisti.

10 - 11. Ufficio Studio e gruppo Urbanisti, Il Piano urbanistico provinciale, Provincia autonoma di Trento, Trento, 1962.12. G. Samonà, Comunicazione agli Architetti e Ingegneri della Provincia, Trento, 1962.

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Nell'autunno del 1962 la struttura di base del piano è chiarita. Il territorio provinciale è definitivamente diviso in dieci comprensori, il sistema industriale si articola in ognuno di essi, sono precisate le grandi infrastrutture di comunicazione.Il gruppo di progettazione presentò il lavoro al IX Congresso Inu, svoltosi a Milano dal 23 al 25 novembre 1962, dove il tema in discussione riguardava il rapporto tra programmazione economica e piani urbanistici.È interessante rileggere almeno parte di quella relazione, pubblicata in pochi esemplari e ora agli atti presso l'Ufficio Studi della Provincia.L'insieme di criteri e di indicazioni presentate alcuni mesi prima a Torbole, è qui rielaborato nel senso di una maggior concretezza. Vi sono infatti confluiti i risultati delle prime indagini territoriali e si è giunti, attraverso riflessioni più mature, a un'attenta valutazione della realtà locale. Alcuni concetti, come quello delle grandi strutture formative della nuova città, sono forse più stemperati, ma altri come l'ambiente e il calore determinante dei centri antichi, hanno assunto un peso più consistente.

Ambiente e sviluppoLa nuova relazione inizia rilevando che, nella struttura geografica del Trentino, le valli «costituiscono l'elemento naturale predominante per la vita delle popolazioni insediate. Esso presenta singolari caratteristiche di organicità di cui ancora oggi si configurano i costumi si queste singolari popolazioni, che vivono nel territorio provinciale in zone adagiate entro il poderoso sistema alpino e spesso interamente circondate delle montagne.In passato molti di questi insediamenti hanno dovuto trovare dentro di sé le risorse fondamentali per l'esistenza e per lo sviluppo delle loro attività, malgrado la vicinanza a grandi centri fiorenti di vita economica e culturale, data la difficoltà delle comunicazioni che hanno sempre creato ostacoli ai contatti diretti.Così pur essendo sviluppati nel Trentino fin da tempi antichissimi, rapporti e scambi di cultura e di commercio nelle varie attività con centri italiani e con l'Austria, il carattere anche politico di tali rapporti fu sempre mediato dalla relativa asprezza delle comunicazioni.Ancora oggi il flusso dei traffici trova gli attriti caratteristici della configurazione naturale, che ostacola le relazioni dirette, malgrado l'aumentata potenza dei mezzi di comunicazione, la loro maggiore grandi dimensioni del traffico lungo i paesaggi più frequentati dell'alta Valle dell'Adige per la provenienza dall'Europa, della Valle Legarina per le provenienze dai grandi centri della pianura veneta.L'urbanistica deve tener conto di questa situazione nel valutare le espressioni ambientali relative allo stato di fatto su cui dovrà portare l'intervento. Si tratta di un ambiente che è prezioso per chi promuove qualunque programma di sviluppo del territorio; e va notato che questa preziosità si è formata con tutte le esperienze avvenute nel tempo ed al di dentro delle quali ogni

La proposta di pianopresentata al IX Congresso Inu

influenza esterna è stata sempre piegata ai modi di vivere e ai costumi singolari di quei gruppi. Non aver tenuto conto delle fondamentali mediazioni psicologiche che si verificano nell'ambiente del Trentino, ha fatto sì che in un secolo di sviluppo la intensificazione delle iniziative economiche e la formazione delle conseguenti strutture promosse da nuove esigenze sociali, abbiano in parte contaminato, senza l'opportuno ricambio, talune delle caratteristiche di questa singolare provincia, deformando le più valide e sedimentate espressioni della sua vita sociale.La popolazione, infatti, va perdendo la sua bella unità di valle, soprattutto nelle zone in cui le attività industriali e commerciali si sono di più intensificate, cioè, lungo il grande solco creato dall'Adige. Qui il ritmo dei traffici di questi anni ha spazzato via quasi ogni traccia delle antiche caratteristiche; la natura, trasformata dall'attacco di nuovi grossi fatti strutturali, dovuti a uno sviluppo economico determinatosi senza alcuna organicità di programmi, si è come ritirata ai margini della valle sulle pendici della montagna, dove ancora castelli e antichi centri, presentano la testimonianza dell'equilibrio tradizionale tra le attività umane e la terra in cui si

1manifestano» .

Le trasformazioni subite dal territorioSi prende atto del processo di trasformazione che, soprattutto nei più grossi insediamenti, ha creato attrezzature sempre maggiori, ma non ha saputo organizzarle nello spazio secondo un nuovo, appropriato ordine. La situazione delle singole parti del territorio è letta in questa chiave: «Trento ha perduto gran parte della sua mirabile unità, e si è venuta sbriciolando in un'edilizia frammentaria e periferica dilagante ai margini del tessuto storico senza un prestabilito ordine. L'ipertrofia provocata da tale sviluppo ha strizzato il libero fluire della grande circolazione e con la sua invadenza promiscua di strutture residenziali, di magazzini, di complessi industriali alternati a fasci di binari e strade di circolazione di ogni grado, non è riuscita più a trovare un coordinamento logico delle varie funzioni, che perciò, rendono assai meno di quanto potrebbero se non fossero soffocate le une dalle altre.Da Trento il discorso potrebbe estendersi con osservazioni altrettanto gravi, a tutto il territorio della valle, sia al nord che al sud della città e nella Vallagarina, intorno a Rovereto, e più in là in tratti di aree frammentariamente trasformate, come quelle per esempio, nelle adiacenze di Arco e di Riva.In relazione a questi due ultimi comuni, emergono tutti i fenomeni della iniziativa economica legati alle zone in cui l'interesse turistico è penetrato in forma industriale, con le esigenze della sua imponente formazione di strutture per l'ospitalità, che sono quasi sempre localizzate senza un preordinato piano, e perciò sono spesso sgradevoli alla vista,

Alcuni concetti sono forse più

stemperati, ma altri come

l'ambiente e il calore

determinante dei centri

antichi, hanno assunto un peso più consistente.

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disarmonici nei rapporti spaziali con l'ambiente e, oltretutto, scarsamente funzionali per l'impaccio reciproco che creano tra loro le diverse iniziative non

2collegate e spesso contrastanti» .Si rileva a questo punto che il compito del piano diventa difficile e delicato, nel tentativo di conciliare i caratteri delle aree più compromesse con le “zone non contaminate, che si estendono spesso per larghissimi tratti del territorio delle valli, con una configurazione naturale ancora presente in tutta la sua eloquenza: tuttavia il prezioso equilibrio fra ambiente naturale e insediamenti umani si va qui gradatamente perdendo per l'abbandono sempre più accentuato dei centri e degli insediamenti sparsi, da parte delle popolazioni composte in gran numero da contadini giovani. L'esodo è stimolato dal diffondersi della informazione, che crea un richiamo verso nuove terre in apparenza più attraenti, sia per posti di lavoro più remunerativi e

3meno faticosi, sia per l'offerta più variata di servizi» .

Le strategieDi fronte a questa situazione, e in contrasto con i programmi economici in corso di elaborazione, il progetto di piano diceva di non assumere come sua ipotesi di fondo la ceessità di polarizzare tutto «lo sviluppo del territorio provinciale sui grandi schemi di localizzazione industriale, sia pure ordinatamente ubicati in zone pertinenti, né di legare in modo categorico ed esclusivo la riforma dell'agricoltura alla riduzione del rapporto contadini – superficie coltivabile, per giungere quindi ala

4formazione di minime unità culturali» .Si afferma quindi che la complessità dei fenomeni emergenti dalle varie situazioni di depressione e di sottosviluppo di molte zone della Provincia, doveva suggerire formulazioni più realistiche e complesse.Tali situazioni, da un lato presentavano una evoluzione demografica molto complessa e in parte negativa, dall'altro si collegavano fortemente alla configurazione, ancora molto caratterizzata, delle comunità di valle, che mantenevano, malgrado gli sfaldamenti dovuti alla trasformazione della dinamica economica, un loro singolare status di gruppo a cui conveniva riferire in ogni caso la complessa fenomenologia del territorio provinciale.Si trattava di precisare e qualificare le relazioni fra la campagna e i centri con parametri di nuove dimensioni, da promuovere per creare la struttura sociale dei territori aperti.

La campagna urbanizzataLe nuove dimensioni, che sono essenzialmente i nuovi servizi, arricchiscono l'urbanizzazione della campagna e contribuiscono a fissare sul territorio le qualità proprie alla vita civica.Localizzando opportunamente nel territorio aperto molte strutture di carattere pubblico e di gran parte delle attività terziarie, si potranno creare i poli di una nuova organizzazione unitaria.«Si perviene così al concetto di campagna urbanizzata, formata da grandi unità comprensoriali, che impostano in modo completamente nuovo, sia il decentramento amministrativo, che quello per la formazione di tutte le altre attività terziarie. Le unità comprensoriali diventano cioè, grandi localizzazioni organiche di attività in cui i servizi in genere hanno una dimensione

proporzionata alle potenziali capacità delle localizzazioni stesse.In questo senso i comprensori concretano nel territorio quel bisogno di trasformare la campagna aperta e povera di pubbliche attrezzature, in una campagna poderosamente urbanizzata in cui alle grandi unità metropolitane di concentrazione, si affiancano grandi estensioni territoriali di nuovo genere, che sviluppano per grande ampiezza, beni e servizi adeguati alle fondamentali esigenze della vita moderna. Il comprensorio nasce pertanto come esigenza di una nuova dimensione funzionale nei

5rapporti sociali tra gruppi» .

I criteri di individuazione dei comprensoriNella prima fase il progetto di piano sostanzialmente ha cercato «di operare secondo alcuni criteri di efficienza individuano in ogni comprensorio quel gruppo di comuni, il cui intorno potesse formare, per caratteristiche permanenti, una zona prevalentemente omogenea, non tanto e non sempre per la situazione naturale del territorio, quanto per la confluenza di interessi che uniscono e impegnano, come attività di gruppo, i diversi comuni raccolti nel comprensorio in una determinata prevalente direzione.La individuazione dei comprensori, che costituiscono le unità fondamentali del Piano provinciale, è basata dunque essenzialmente sulle caratteristiche spiccate e singolari delle diverse valli della provincia.Si è arrivati a questa messa a fuoco dopo una serie di prove sullo schema delle valli, prove che hanno avuto lo scopo si sensibilizzare ulteriormente la visione del territorio per parametri urbanistici formati secondo un più attento esame del concetto di unità organica.Si è così potuto accertare che, in rapporto alla situazione di fatto, una visione non schematica, ma più analitica dei fenomeni territoriali, riesce ad individuare meglio talune strutture rispondenti, alle esigenze di un determinato gruppo di interessi fondamentali, qualora si precisi l'area della più frequente confluenza di tali interessi, cioè, il comprensorio territoriale entro il quale si manifestano

6le emergenti significative dei fenomeni da analizzare» .Il successivo approfondimento del piano, fino alle edizioni del 1964 e del 1967, porterà altre precisazioni e una più sistematica enunciazione. Ma i temi di fondo sono già definiti, come è definita la necessità che essi, per essere vitali, siano pienamente condivisi da tutti coloro che dovranno viverli.Tuttavia si avverte che è necessario costituire anche una nuova configurazione amministrativa per «sviluppare tutte le attività previste in questo quadro rinnovato della situazione territoriale della Provincia di Trento. Infatti, non è sufficiente il potere che viene emanato dalla propulsione programmatica del piano provinciale, o da quella del piano comprensoriale, me è necessario che i comuni del comprensorio, l'amministrazione provinciale e gli enti pubblici interessati, si riuniscano in consorzio per la formazione, l'adozione e l'esecuzione del piano, e che il consorzio stesso assuma la gestione delle pubbliche

7attività e dei servizi conseguenti» .Sulla base di queste considerazioni il progetto divise il territorio della provincia in dieci comprensori, rispetto ai sette della precedente proposta.

Localizzando opportunamente nel territorio aperto molte strutture di carattere pubblico e di gran parte delle attività terziarie, si potranno creare i poli di una nuova organizzazione unitaria

1 - 8. Le citazioni sono tratte da Giuseppe Sampnà e Gruppo Urbanisti, Criteri programmatici generali del Piano urbanistico provinciale dalla Provincia autonoma di Trento, Trento, 1962

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Tavola del Piano Urbanisticodel Trentino, 1967

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Per quanto riguarda Trento, come città, si ritenne più produttiva una sua enucleazione dai comprensori, attribuendole la funzione di città-cerniera nello sviluppo della Provincia. Non era forse estraneo il ricordo dell'antico attributo di “città a statuto speciale” che essa aveva sotto l'amministrazione austriaca.È interesse altresì rilevare che, a differenza della edizione poi approvata nel 1964, comprensori coincidono, quasi sempre con la configurazione geografica delle valli. Basti notare che il comprensorio del Sarca Calavino, poi aggregati, a loro richiesta, a quello dell'Adige.

Le prime indicazioni infrastrutturali. La superstrada della ValsuganaQuesta proposta di piano definisce delle infrastrutture che dovevano costituire il legame tra le diverse unità comprensoriali della Provincia.«Sono da evidenziare in tal senso anzitutto le strade complementari del'autostrada del Brennero previste per ricavare il massimo vantaggio funzionale da questa importantissima arteria internazionale che corre lungo le sponde dell'Adige con pochi nodi di allacciamento alle strade ordinarie, progettate in prossimità di più grandi centri. Le dette strade complementari creano un sistema si parallele e di normali all'autostrada, con lo scopo di servire sia le zone industriali, che i terreni agricoli, riportando il loro traffico sui nodi dell'autostrada il più presto e il più direttamente possibile».Forse la più pregnante indicazione riguarda il nuovo collegamento con il Veneto, costituisce una specie di primogenita del piano.Oltre queste opere, che trasformano l'autostrada in un efficace strumento per incrementare le relazioni economiche in profondità nel territorio dell'Alta Valle dell'Adige e della Vallagarina, si è progettata una superstrada che allaccia il Trentino alle città del Veneto e, particolarmente, a Venezia attraverso la Valsugana, servendosi del nuovo tracciato di variante alla statale progettato dal compartimento dell'A.N.A.S. di Bolzano, che riguarda anche la provincia di Belluno; mentre la restante parte del tracciato dovrà essere concordata con

le altre provincie. Ma si pensache la provincia di Trento potrà trovare nella provincia di Venezia, un'efficace alleata alla formazione di tale percorso, perché esso non solo aumenta i contatti fra il Trentino e Mestre – Marghera verso Venezia come porto naturale della nostra Provincia, ma anche perché attraverso questa superstrada, il traffico europeo proveniente dal Brennero può incanalarsi con maggior facilità verso Venezia e addirittura verso le città dell'Adriatico passando per Venezia e collegandosi alla strada Romea.Anche la superstrada è apprezzata con strade di servizio che immettono il traffico del terreno circostante nei nodi in essa costituiti ogni sei otto chilometri. Autostrada e relative strade di servizio, costituiscono il sistema stradale fondamentale del trentino, servendo le zone più impegnate nei piani di sviluppo industriale agricolo e costituendo altresì, i canali essenziali per l'allacciamento del resto del sistema circolatorio del Trentino alle altre provincie italiane. Si collega infatti a queste due principali arterie di circolazione, che in rapporto all'attività del Trentino sono in un certo senso complementari, il doppio sistema delle localizzazioni industriali; le une previste per la Vallagarina, per il comune di Trento e per l'Alta Valle dell'Adige, le altre previste per la Valsugana.Le prime sono legate a rosario alla autostrada del Brennero per interposte strade di servizio, analogamente le seconde, per quanto concentrate in un minor numero di punti, sono legate alla superstrada Valsugana, Castelfranco, Mestre, Venezia, Litorale adriatico.La complementarietà delle due grandi strade è evidente, una parte del traffico industriale di Trento e dell'Alta Valsugana, può infatti incanalarsi nella superstrada della Valsugana per raggiungere Venezia, il porto di Marghera o le altre città dell'Adriatico e viceversa. All'opposto una gran parte del traffico della Valsugana può incanalarsi, attraverso l'autostrada per

8raggiungere i grandi centri italiani o quelli europei» .

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LA SCHEDA

3Cari amici,i punti programmatici esposto dal Presidente della Giunta provinciale ed in particolar il problema dell'ordinamento fra i vari settori non è solo nell'intenzione di un apolitica locale, che può essere anche plausibile e giustificata, ma è anche nella mia intenzione di studioso di problemi urbanistici, in quanto nella realtà questi problemi non possono essere approfonditi come si deve se l'aspetto del coordinamento non diventa un fatto essenziale. Nella struttura di un territorio ci sono dei fatti sostanzialmente stabili, determinati, caratteristici, e l'intuizione dell'urbanista sta nel capre quali siano e quali occorre conservare, perché la compagine di una certa società di un cero determinato periodo di tempo, con una su storia, non agisca per salti ma evolva lentamente, si non vuole alterare senza rimedio la sua configurazione.Quindi per prima cosa, soprattutto in un territorio come questo del Trentino, in cui esiste una certa instabilità fra fenomeni di natura agricola e di natura industriale, in cui il turismo si inserisce spesso come fatto complementare, è essenziale prendere in considerazione alcuni aspetti caratteristici di queste attività secondarie, saperli scegliere, discriminarli in quanto vanno stabilizzati con quelli primari dell'agricoltura. Questo è un cardine fondamentale di quanto dobbiamo fare qui in Trentino per p9ianificare senza sconvolgere.Pianificare, infatti non significa sconvolgere, ma determinare le caratteristiche della situazione in ogni punto per quello che esse veramente sono e per quanto possono spontaneamente rendere. Qualunque organismo forzato oltre certi limiti per determinati obiettivi, si spezza, si ammala e qualche volta può anche morire.Perciò noi dobbiamo tener conto delle caratteristiche più profonde e stabili della Provincia, individuare, in altre parole, gli elementi significativi e trarre da essi le previsioni e il convincimento per conoscere quali potranno essere gli aspetti del territorio in un determinato periodo di tempo futuro.Evidentemente la nostra previsione può arrivare fino ad un certo punto perché il futuro non può svolgersi tutto in modo lineare; si potranno avere anche delle crisi, però il nostro compito è di portare ad un determinato livello la struttura del territorio, di prepararla ad assorbire

senza eccessive scosse anche le discontinuità accidentali, prepararla cioè a resistere senza fratture irreparabili agli inevitabili sconvolgimenti futuri.(...)Il nostro compito sarebbe perciò quello di coordinare gli elementi più significativi dell'ambiente naturale in cui portiamo la pianificazione. Dobbiamo cioè trovare i cardini fondamentali di un territorio per determinarne la struttura organica. Per fortuna nella provincia di Trento una struttura organica è facilmente individuabile. Ci sono invece territori in cui non esistono o quasi dei segni di organicità a cui l'urbanista si riferisce per determinare i primi lineamenti di una ipotesi di pianificazione. Nel territorio trentino abbiamo veramente dati fondamentali caratteristiche precise che costituiscono da una parte un limite e dall'altra un incentivo a trovare giuste soluzioni.Dopo questa premessa vorrei subito dirvi che mi aspetto da Voi una collaborazione efficace che oserò chiedervi quando avrò abbozzato per grandi linee le caratteristiche fondamentali del Piano provinciale. In quest'occasione sarà infatti molto utile la vostra collaborazione per stabilire se le caratteristiche da me prescelte per mettere in rilievo i criteri fondamentali dello sviluppo di questo territorio siano ben congeniate, equilibrate e realistiche e non costituiscano interruzioni possibili della continuità dell'ambiente, interruzioni che dovremo e potremo correggere insieme.Su questo punto fondamentale dobbiamo essere d'accordo. C'è infatti una ragione invalida perché la vostra collaborazione sia piena ed efficace, Che cosa infatti ci si aspetta da voi? Ovviamente la tutela del piano di cui sarete i depositari e gli urbanisti nel farlo attuale dai Comuni e da gruppi di Comuni dei suoi principali direzionali. Vorrei immediatamente parlare di questa vostra funzione che si presenta forse per la prima volta sui lavori di pianificazione in Italia. In altra sede vi ho nominato l'architetto condotto o ingegnere condotto che conoscendo a fondo il piano provinciale e le sue linee programmatiche può contribuire ad una certa caratterizzazione di un suo determinato settore nel quale egli vede in vera grandezza i fenomeni e può

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Quando Samonà spiegòagli architetti «Il Pup è un pianoda costruire assieme»

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fare in modo che essi non si discostino quando saranno interpretati dai piani dagli scopi del piano generale provinciale. Allo stesso modo potrete agire voi se sarete i depositari e gli interpreti del piano provinciale se conoscerete e condividerete il suo schema generale, se avrete partecipato alla sua elaborazione e quindi siete coscienti che la direzione seguita dal piano è quella giusta e non ce nè un'altra da sostituire e quindi la farete rispettare nei Comuni di cui avrete la tutela urbanistica.Dicevo altra volta ai colleghi che se costruissimo uno strumento perfetto e poi lo facessimo adoperare a persone incapaci di usarlo, questo strumento perfetto in pochissimo tempo di rovinerebbe. Pertanto uno strumento perfetto può essere costruito con utilità solo se di trovano persone capaci di farlo.Nel caso del piano provinciale, considerato come uno strumento perfetto, le persone capaci di usarlo dovrete essere voi, perché a voi sarà affidato il piano per realizzarlo. Perciò sarebbe strano e controproducente che voi vi sottraste alla responsabilità di avere con me uno scambio di idee e di darmi una collaborazione che vi convincesse che tutto quello che si va facendo in questa grandiosa opera è nel senso giusto. Infatti sono se sarete convinti che questo strumento è veramente capace di agire nel senso giusto, lo userete come va usato e non cercherete di cambiarlo, ritenendo di far meglio. Questo grande organismo del piano merita infatti di essere profondamente meditato nel complesso logico delle idee, nelle sue attribuzioni e localizzazioni di massima, nelle dimensioni fondamentali e nelle direttive che stabilisce per un certo periodo di tempo. Quando vi sarà affidato il compito di cominciare ad attuarlo se noi ne avrete assimilato i principi saprete quali sono le direzioni i cui vanno portati li interventi e quindi non ne farete fallare le finalità. Devo aggiungere ancora che certe cose per essere fatte nel modo giusto e non in quello contrario al piano occorre che siamo accompagnate ad una propaganda capillare che interpreti le idee del piano in una forma facile e pratica, sminuzzandolo analiticamente nei dettagli in modo che penetri nella coscienza di tutti il valore dei suoi concetti direttivi.Potremo adesso parlare delle idee del piano, non tanto del piano della Provincia di Trento in sé, ma del piano in generale, e poi magari anche di quello della

Provincia di Trento.(...)Io purtroppo vedrò poco di tutto questo, ma molti di voi che sono giovani mi auguro che potranno riuscire a vedere la forma di questo territorio metropolitano di cui noi in questi anni forniremo la grandiosa traccia.Chi di voi avrà la tutela dei Comuni che compongono questo territorio metropolitano dovrà accompagnarli verso questo nuovo destino d'integrazione verso questa nuova base di sviluppo, questa coerenza collaborativa dalla quale si otterranno i principi fondamentali dell'unità.Il piano è ancora, devo dirlo, una specie di diagramma che il tecnico, come consulente, affida alla politica, che lo interpreta e lo rende esecutivo. Questo diagramma dipende da due fattori essenziali: dipende dal grado di priorità di senso assoluto che il paino dà a certi interventi e dalla gradualità nel tempo di tutti gli altri perché gli organismi concepiti si vadano attuando senza la pericolosità di interruzioni improvvise e di travolgimenti.Tutto questo significa, in termini molto pratici, danaro, stima, costi di urbanizzazione, elementi tutti che dobbiamo dare e per i quali il vostro contributo sarà prezioso. Nel momento in cui si dovranno tirare le somme e arrivare ai costi di queste urbanizzazioni per quanto la mia esperienza sia abbastanza avanti in questo campo, il Vostro aiuto locale può essere determinante e lo richiedo a voi fin d'ora.A tal proposito nella discussione che abbiamo avuto durante il nostro primo incontro qualcuno ha richiesto giustamente che si ricorresse, da parte nostra, alla consulenza dei tecnici locali subito per far tesoro della loro particolare competenza in determinati settori.Tanto il presidente quanto l'Assessore all'Urbanistica sono favorevolissimi a questo tipo di consulenza. Perciò io presto richiederò il vostro parere e il vostro giudizio su questioni particolari di cui voi avere una cognizione molto maggiore della mia. Potrà essere questo il primo passo fondamentale per rapporti più intimi tra noi ed ai quali tengo moltissimo.

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Testo tratto da:G. Samonà, Comunicazione agli Architetti e Ingegneri della Provincia, Trento, 1962.

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La prima edizione del Pup

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CARTAGENERALE

DEGLIINTERVENTIDEL PIANO

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Giuseppe Samonà firma le tavole delPiano urbanistico provinciale dopo l’approvazione

da parte della Giunta della Provincia autonoma di Trento

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Il 23 maggio 1964,la Giunta provinciale deliberaval'approvazione del piano

Il 23 maggio 1964, la Giunta provinciale, sotto la presidenza di Bruno Kessler, deliberava l'approvazione del piano.Esso, materialmente costituito dalla relazione illustrativa, dalle norme di attuazione e dalla cartografia, che tutte le parti abitate e si sviluppava nel dettaglio della scala 1:10.000, era firmato da Giuseppe Samonà, da Nino Andretta e da Sergio Giovanazzi, mentre gli studi e le ricerche per lo accompagnavano erano stati coordinati da Giampaolo Andretta.I contenuti del piano sintetizzavano i risultati del dibattito precedente. Nel presentarli Kessler ribadiva un quadro di riferimento ormai costante nel processo di piano:«Le indagini effettuate hanno portato ad individuare l'esistenza ed il progressivo accentuarsi, anche da noi, di squilibri territoriali, settoriali e sociali che inducono gran parte della popolazione e dei capitolati a defluire dalla periferia per accentuarsi verso l'asta dell'Adige, o verso altri centri di minore importanza.I detti squilibri, inoltre, inducono buona parte della popolazione giovane, ad abbandonare la periferia per le emigrazioni, all'interno o all'esterno.Un esodo così massiccio dalla periferia, con il conseguente accertamento di gran parte della popolazione nei centri principali, ed una tendenza così forte verso l'emigrazione, sono fenomeni di fronte ai quali la Giunta provinciale si è posta l'interrogativo se essi andavano passivamente accettati e se, invece, dovevano essere in qualche modo fermati o corretti.La risposta a questa domanda comportava, come appare evidente, una scelta politica di fondo, scelta che non poteva essere fatta che dall'organo che ha la più generale responsabilità in ordine al futuro sviluppo urbanistico del territorio.Tale organo è appunto la Giunta provinciale, la quale, dopo avere attentamente valutato i danni che derivavano dal progresso depuramento che deriva all'economia provinciale da un così massiccio fenomeno migratorio , ha ritenuto di dover tentare con movimenti, per ristabilire gradualmente sul territorio un equilibrio nuovo in grado di assicurare, via via, alle popolazioni, la possibilità di soddisfare le esigenze dei tempi moderni anche nel luogo della loro abituale residenza.In altre parole, la Giunta provinciale ha ritenuto di dover migliorare il rapporto città-campagna, a favore di quest'ultima, anche per la considerazione, non ultima come importanza, che il disagio denunciato da gran parte del nostro modo agricolo, trovi in questo squilibrio una delle fondamentali cause». Da parte sua Samonà metteva in rilievo la novità di questo progetto urbanistico e rilevava la particolare impostazione che aveva reso possibile

«la penetrazione tecnica del progetto stesso presso le genti trentine, con la parola viva e concreta del Presidente degli amministratori della Provincia Autonoma, che in un colloquio continuo con esse, svolto comune per comune, hanno trasformato il tecnicismo della teoria urbanistica in un fatto umano di partecipazione generale alla forma rigeneratrice di sviluppo che il Piano propone per il maggior benessere di tutte le popolazioni insediate della Provincia».Dalla lettura delle parti più significative della relazione e dal confronto con i primi schemi del piano, riassunti nel capitoli precedenti, si potrà avere un'idea dell'evoluzione dei suoi contenuti. Alcuni di essi, infatti sono rimasti inalterati fin dai primi appunti, mentre altri hanno avuto continui aggiustamenti e risultano riproposti in un quadro più organico.

I contenuti del pianoGià nella prima parte della relazione, in coerenza con la proposta relativa alla specificità dello spazio urbanistico, l'ambiente naturale era assunto come struttura portante degli interventi in stretto rapporto con i principali fatti della storia. Questi, infatti, posti in relazione all'ambiente stesso, hanno reso più concrete le scelte urbanistiche di carattere generale e quelle che riguardano l'estensione e i contenuti dell'organizzazione comprensoriale.L'ambiente naturale era visto essenzialmente come quadro morfologico nel quale situavano i fenomeni geografici, che a loro volta erano annotati soprattutto per la capacità di caratterizzare in modo specifico le singole parti del territorio.Un esempio può valere per tutti:«Il fiume Sarca, nel tronco inferiore, attraversava la valle omonima che si allarga prima di raggiungere il lago di Garda. Ivi sorgono, addossata alla montagna e dominata da un magnifico castello, Arco, cittadina interessante per la configurazione architettonica del suo centro storico, e Riva, che specchia sul bellissimo lago di Garda in cui il Sarca finisce il suo corso.Aspetto completamente diverso ha la lunga e stretta valle denominata delle Giudicarie Inferiori e percorsa dal fiume Chiese, sulle cui sponde si allineano centri urbani caratteristici, che ebbero tanta parte nelle vicende storiche del Principato vescovile di Trento».Per ogni vallata erano messi in rilievo i rapporti fondamentali tra ambiente naturale e storia che in esso si è svolta.Nella descrizione di questo ambiente naturale la relazione cercava di cogliere le differenze tra una zona e l'altra e di rilevare i punti di passaggio.Di particolare peso risultava il fatto che oltre il 65% del territorio provinciale è posto al di sopra dei mille metri,

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Le citazioni sono tratte dalla Relazione illustrativa del Piano urbanistico provinciale, Provincia autonoma di Trento, 1964

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mentre a superficie dei fondovalle più popolosi i fertili, indicati tra i 70 e 500 metri, non rappresentava più del 13%».A questa descrizione seguivano alcune brevi annotazioni sulle vicende del Trentino, con la partecipazione che esse interessavano soltanto per quanto riguarda direttamente i dati e le situazioni di cui il piano si occupa.È risultata di grande interesse operativo la constatazione che nel Trentino si sviluppò solo parzialmente una vera e propria unità di interessi e una vera unità politico-amministrativa. Si notava invece che «questa terra fu alla confluenza, fin dall'origine della sua storia, di genti e di culture diverse».Al piano interessava soprattutto rilevare che, nelle continue lotte succedutesi dal primo medioevo, le popolazioni trentine costrette a difendere la loro terra venivano «acquistando un loro singolare comportamento autonomistico, circoscritto ai propri interessi nei contrasti con le forze belligeranti».Il piano rilevava che, in senso generale, «la popolazione trentina, molte volte minacciata dall'invasione della propria terra e dalla deturpazione delle sue cose più preziose, non seppe vedere nella violenza d'urto degli eserciti alcun interesse che potesse far propria resistenza nei nuclei insediativi accentrati per il mantenimento di circoscritti interessi di gruppo.Una coscienza di gruppo condizionata alla indipendenza della propria terra, ma estesa al territorio più ampio della valle, venne con soppressione del Principio che attraverso i secoli, malgrado le sue deficienze organizzative, le leggi istituzionali».La relazione porta quindi in nota le suddivisioni amministrative succedutesi nella provincia dopo la fine del Principato.

Le finalità del programma urbanisticoLe finalità del programma urbanistico sono contenuti nei tre capitoli «Aspetti di fondo di un programma urbanistico», «I Comprensori», «La delimitazione dei Comprensori nel Piano Urbanistico Provinciale».Queste finalità, esposte nella relazione in modo chiaro e scorrevole, sono state nella realtà, come si è visto, il frutto della convergenza di due visioni politico-culturale mediate da un vivace dibattito a tutti i livelli.L'idea-base del complesso lavoro di pianificazione è contenuta nel primo paragrafo del capitolo «Aspetti di fondo di un programma urbanistico», dove si ritrova un primo riferimento alle caratteristiche naturali ed ecologiche del Trentino, sul quale si impianta la fase di programmazione.Questa, se «volesse contribuire al pieno assorbimento dell'occupazione, dovrebbe prevedere tipi di intervento strutturale capaci di determinare nelle varie parti del

territorio forme di equilibrio sociale ed economico relativamente più stabili di quelle attuali». Da questa premessa la prima, immediata conclusione riguarda l'obiettivo non solo di fermare le correnti migratorie verso l'esterno, ma anche quelle interne alla provincia.«Così semplificando, nelle previsioni di riorganizzazione dell'agricoltura l'esodo dei 16.000 contadini dal lavoro agricolo non induce il piano a programmare la modificazione delle loro correnti migratorie per far confluire forze di lavoro verso la Valle dell'Adige, potenziata di tanto da accoglierle, impedendo così molta parte di essa di migrare in altre provincie o all'estero, ma al contrario deve cercare di impostare un programma urbanistico che organizzi la strutturazione del territorio in modo che il più grande numero di forze attive in procinto di emigrare, siano accolte di attività extra agricole nel luogo d'origine e nell'ambito di movimenti pendolari tollerabili».Il piano fissa così un primo riferimento fondamentale che rifiuta l'abbandono di qualsiasi parte del territorio provinciale, anche di quello più povero, contrastando una posizione corrente allora in vari ambienti tecnici e politici.«Un programma urbanistico che si prefigga di dare al territorio un assetto di provvedere allo sviluppo equilibrato delle diverse attività, fondandosi sulla eliminazione delle correnti migratorie, impone alle strutture ed infrastrutture una serie di condizioni determinanti che dipendono dal modo secondo cui si trasformeranno l'organizzazione degli insediamenti umani, i loro rapporti ed il valore delle attività che si svolgono nello spazio continuo della campagna».Il secondo obiettivo di questo programma trova il suo riferimento spaziale non tanto nell'ambiente urbano, ma nello spazio continuo della campagna, con i suoi problemi e le sue note potenzialità.Questi obiettivi sono poi messi a confronto con la situazione attuale non solo del trentino, ma anche del resto del paese. Di questa la relazione sintetizza alcuni aspetti che chiariscono meglio le finalità adottate e introducono le successive proposte.«Dunque si è manifestata da tempo una crisi profonda dell'ambiente della campagna, nella stabilità dei suoi valori umani travolti dalle esigenze di una nuova economia, che provoca la morte dell'insediamento sparso e la decadenza dei centri urbani minori disseminati nel territorio aperto.La città regione è uno dei fenomeni conseguenti alla crisi. Le grandi concentrazioni di interessi si contrappongono alla relativa dispersione di valori degli interessi decentrati, ma non organizzati e provocano il naturale depuramento delle vastissime

Il piano fissa un primo riferimento fondamentale che rifiuta l'abbandono di qualsiasi parte del territorio provinciale, anche di quello più povero, contrastando una posizione corrente allora in molti ambienti tecnici e politici

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regione periferiche con i loro piccoli insediamenti. Questi, un tempo ricchi di vista limitata, sono oggi travolti dalla crisi e posti generalmente in uno stato più o meno grave di degrado dai fenomeni conseguenti alla lenta emorragia delle energie più giovani, che provoca la graduale scomparsa del contadino come parte della struttura sociale di tradizione millenaria. L'urbanistica solo da poco ha scoperto che la mancanza di equilibrio nella situazione delle aree periferiche dipende in gran parte dai processi irrazionali con cui si attuano le strutture e le infrastrutture di larghe zone territoriali. Le conseguenze dell'irrazionalità di questo processo, oggi così diffuso, sono le grandi migrazioni depuratrici, l'abbandono della campagna e i centri fiorenti, la scomparsa di economie e di ambienti una volta straordinariamente caratterizzanti.Si potrebbe obiettare che questa situazione di fuga dalla conseguenza necessaria delle trasformazioni sociali a cui tutti i paesi sono oggi sottoposti.Tuttavia, con la concentrazione che si sostituisce alla campagna ancora popolata, niente di più favorevole per l'uomo compensa i gravi fenomeni di depuramento periferico.Al contrario, nei centri più ricchi si forma la congestione come conseguenza dell'accresciuto accentramento e ne deriva il malessere dell'addensamento che provoca la scarsezza ed il rapido invecchiamento dei servizi collettivi troppo usati ed affollati, il disagio di abitare nei tristi quartieri fatti di case sovraccariche di inquilini, il tormento di mancare della capacità di acquisto ai prezzi di concentrazione».Di fronte alla situazione generale del Paese la relazione osserva che anche nel Trentino si è manifestata una tendenza notevole in questo senso. La sintetica analisi della situazione della periferica che segue a queste considerazioni prepara la formulazione del terzo elemento di base del programma urbanistico.Nel Trentino le direzioni dell'accentramento sono precise ed esattamente localizzabili, considerando sia i movimenti migratori e pendolari della popolazione, che, secondo le analisi dell'Ufficio Studi, interessano circa 28.000 persone che lavorano e dimorano al di fuori del Comune ove hanno la propria residenza, sia le localizzazioni dei nuovi insediamenti industriali, ubicati con netta prevalenza lungo l'asta dell'Adige e nella zona del Basso Sarca. Anche le strutture edilizie, conseguenza e cause dell'accertamento, si sono sviluppate con estrema evidenza nei centri maggiori. A Trento e Rovereto si è riversato infatti il 732% dell'incremento edilizio realizzato nell'ultimo decennio.Da questo è possibile precisare il terzo e riassuntivo aspetto del programma urbanistico.

«Le complesse cause dell'impoverimento della periferia sono altresì rilevabili nella mancanza dell'organizzazione e strutturazione della periferia stessa, che non è più in grado di soddisfare quelle esigenze di natura spirituale ed economica, che consentano all'uomo di vivere in modo civile.Far vivere il territorio aperto delle periferiche provinciali con forme concrete e razionalmente pianificate di decentramento, sembra dunque necessario dispositivo per equilibrare ed elidere i difetti della congestione urbana, a condizione che il processo si realizzi nelle attività secondarie e terziarie, con la consapevole partecipazione di coloro su cui esso converge, concretandosi in strutture ed infrastrutture proporzionate al futuro sviluppo di un sistema che acquisti nuove dimensioni».

Le nuove dimensioni territorialiLe nuove dimensioni del sistema sono considerate necessarie per ovviare all'impoverimento delle periferiche e alla loro incapacità di promuovere nuove forme di vita associata. Riassumendo la elaborazione dottrinale e il lungo dibattito intorno a questo problema, la relazione del piano osserva che gli aspetti di fondo del programma urbanistico richiedono il ridimensionamento dell'attuale suddivisione comunale, «perché i gruppi sociali si coordino in nuclei più vasti e siano in grado di partecipare allo sviluppo dei programmi di pianificazione e di decentramento strutturale ed economico con sufficiente autorità.La dottrina urbanistica ha dato il nome di “comprensorio” a questa dimensione: esso raccoglie più comuni di un territorio in entità unitarie più estese, per attuare la pianificazione secondo i criteri che fanno già parte della nuova legge della Provincia di Trento, in cui i comprensori sono considerati la dimensione urbanistica intermediata tra Provincia e Comune».Il comprensorio assicura dunque la nuova dimensione del sistema, sufficiente per realizzare gli obiettivi che il piano si è dato. Ed è attraverso il piano che la Provincia autonoma di Trento individua la dimensione e le caratteristiche delle aree comprensoriali e i compiti che a ciascuna di esse sono assegnati per costruire l'“equilibrio più stabile”.La relazione individua la prima finalità operative del piano, che rappresenta, dunque, uno strumento che stimola i comuni a coordinarsi in più grandi unità per realizzare, più concretamente, quei programmi si sviluppo, di decentramento di servizi e di attività pubbliche, che garantiscano organicità ed equilibrio

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È attraverso il Piano che la Provincia autonoma di Trento individua le dimensioni e le caratteristiche delle aree comprensoriali e i compiti che a ciascuna di esse sono assegnati per costruire l'“equilibrio più stabile”

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Tavola delle unità insediative

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all'espansione delle attività del territorio».È chiara tuttavia la coscienza che nessun strumento tecnico potrà ovviare ai gravi problemi di impoverimento delle aree periferiche se non interverrà una forte volontà di innovamento che deve trovare proprio nella periferia il suo punto di partenza.«Questo programma coinvolge la campagna, quale protagonista delle nuove strutture e dovrebbe animarla con una spinta vivificatrice che viene dal suo stesso interno. Qui una nuova attività capillare dovrebbe sorgere, stimolata dalla capacità formativa dei nuovi servizi e delle altre attività terziarie, e dovrebbe sostituirsi alla attuale decadenza concretandosi in organiche urbanizzazioni di nuovo genere, che potrebbero estendersi a tutte le aree del territorio aperto, inteso come periferia.Noi pensiamo che questo sia uno dei modi più realistici per impedire l'allontanamento dalla propria terra delle popolazioni ed in particolare dei contadini.Questo dato di coscienza può essere stimolato dalle opere di piano, che avranno modo di creare la consapevolezza diffusa che il processo di sviluppo dipende dalla piena partecipazione ad esso in tutto l'insieme dei gruppi sociali ed una dimensione dei gruppi stessi, concepita con tanta ampiezza da consentire la organizzazione di tutte le sue forze spirituali e materiali per conseguire lo sviluppo interno e stabilire relazioni organiche con l'intero corpo della Provincia, della Regione e del Paese». Si precisano quindi le due polarità del sistema comprensoriale, che devono combinarsi in una «dimensione organica che condiziona la possibilità di massima efficienza di un processo equilibrato di sviluppo alla piena intesa di tutto l'insieme che vi è incluso».Considerando questo quadro di riferimento concreto, non è difficile proporre i criteri teorici per la individuazione delle aree comprensoriali, la cui dimensione dipende essenzialmente«dal fatto di essere tanto grande e di avere obiettivi ed interessi così importanti da richiedere l'azione organizzativa ed unificata dei diversi gradi della cultura. Ovviamente, anche l'unità geografica, o quella di un ambiente definito da particolari processi e situazioni storiche, possono contribuire all'individuazione dell'area comprensoriale.Per stabilire quest'area non può esistere, infatti un unico principio di individuazione, ma criteri di efficienza definiti attraverso quei fenomeni accertati che hanno valore propulsivo in rapporto alle caratteristiche del gruppo sociale a cui i fenomeni stessi si riferiscono e ai fattori geografici, storici, ecologici che ne condizionano l'insieme.

Il Piano non vuole essere uno strumento rivolto a polarizzare tutti gli interessi su un programma di sviluppo economico del territorio, anche se gli schemi di localizzazione industriale, la individuazione delle zone turistiche, il potenziamento del commercio e la riforma dell'agricoltura sono elementi fondamentali per il benessere, da tenere nel massimo conto».In rapporto alla individuazione quindi delle aree comprensoriali si rileva che gli aspetti economici hanno una grande importanza, ma che non sono sufficienti per dare concretezza al programma di rinnovamento.«Il Piano ritiene che un programma si sviluppo economico, sia pure fondato su indagini tecnicamente approfondite, fornirebbe per l'efficienza e il benessere, risultanze assai più schematiche di quelle relative alle esigenze complesse dei fenomeni che emergono dalle varie situazioni territoriali.Il piano urbanistico della Provincia può preparare solo le linee indicative di una formulazione metodologica dei fenomeni più complessi lasciando che i piani comprensoriali ne avviino il concreto svolgimento.Di questa formulazione si è parlato abbastanza in senso tecnico, qui parrebbe opportuno aggiungere qualche cosa che dia un significato umanamente più preciso alle finalità del lavoro e che ne illustri il senso delle elaborazioni presentate, facendo vedere come esse rappresentino i canali indicativi di uno spazio ancora aperto all'ulteriore indagine più specializzata sul territorio aperto in rapporto alle esigenze dei gruppi sociali».Il piano stabilisce così i primi fondamentali criteri di rapporto con la pianificazione comprensoriale in un processo che si vuole aperto e pronto ad accogliere tutti i nuovi suggerimenti in un quadro di obiettivi precisamente definito.Per far questo il piano compie una prima elaborazione teorica di questa nuova entità, affermando dapprima in modo categorico che il comprensorio non è soltanto una entità tecnica voluta dagli urbanisti per rendere più equilibrati ed omogenei i processi della pianificazione, sia pure con le finalità di massimizzare il benessere degli uomini insediati nel territorio.«Risulta infatti, da quanto si è precedentemente illustrato, che l'unità del comprensorio esprime soprattutto quella complessa ed attuale esigenza dell'uomo di vivere interamente la civiltà del nostro tempo; esigenza che si traduce sia nel senso individuale del diritto al godimento di tutti i vantaggi spirituali e materiali, offerti dal più aggiornato

La tuteladel paesaggio

I parchi naturaliPer le spiccate caratteristiche ambientali il Piano ha distinto nel territorio provinciale due grandi aree: nel Trentino occidentale il parco del Tovel-Brenta-val di Genova ed in quello orientale il parco Paneveggio - Pale di San Martino

I parchi attrezzatiSi tratta di aree del territorio provinciale definite così per specificare la prevalenza nell’uso del rispetto di determinate forme di equilibrio che ne vincola la edificabilità e la indirizzano verso modi il più possibile efficienti di valorizzazione totale

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servizio sociale fatto alle comunità accentrate, dove infatti gli uomini della periferica emigrano, sia nella volontà politico-sociale di appartenere ad un gruppo di tali dimensioni da stabilire con le altre comunità rapporti funzionali al livello formativo dello sviluppo.È ovvio, infatti, da quanto già illustrato, che la dimensione comprensoriale, impostando in modo completamente nuovo i problemi dell'equilibrio economico-sociale di vasti territori, viene a proporre una grande localizzazione organica si attività in cui i servizi intesi nel senso più generale, avranno una dimensione ed una varietà proporzionata alla sua capacità potenziale.È altresì chiaro che questa dimensione organica in cui sono in modo nuovo distribuiti bene e servizi adeguati alla capacità di accogliere pubbliche attrezzature che potenzino l'urbanizzazione de territorio aperto, deve avere al suo interno un complesso di forze produttrici di cultura.Così la dimensione funzionale del comprensorio si viene determinando nell'incontro di due esigenze: la prima è quella di accrescere la capacità dei servizi per le genti che non fanno parte delle grandi aree di decentramento urbano; la seconda è quella di stimolare in queste genti una produzione di cultura ai diversi livelli dell'attività professionale.La dimensione del comprensorio diventa dunque un fatto sociale complesso che va indagato profondamente nell'essenza stessa dei comuni e degli altri enti che ne fanno parte. Essa non può che formarsi gradatamente da uno stato di coscienza diffuso con la cultura a tutto l'insieme sociale. A questa cultura i programmi politici forniscono un indirizzo propulsivo concreto e i piani urbanistici danno indicazioni tecnica di parametri da verificare.Il punto di convergenza della volontà di più comuni di darsi una dimensione più grande, per conseguire maggiore prestigio politico e culturale, da cui trarre tutti i vantaggi di una futura massima efficienza, non può pertanto realizzarsi con le sole idee programmatiche imposte dall'alto sia pure per buone ragioni di carattere tecnico espresse da piani urbanistici. E' necessario invece conseguire la piena e consapevole adesione di tutti i comuni a far parte di un comprensorio e, se del caso, per il resto delle autonomie locali e per ottenere una più organica forma di partecipazione alla vita della nuova unità territoriale è preferibile non irrigidirsi a mantenere insieme tutti i comuni di un gruppo comprensoriale, ma escludere quelli che non sentono d'associarsi, anche se ragioni tecniche seguirebbero il loro inserimento nel gruppo».Quest'ultima precisazione dà il senso profondo delle

idee di base del piano fondate sulla precisazione attiva e indica chiaramente che il comprensorio non è inteso come ente intermedio, cioè come struttura amministrativa calata nella realtà dei comuni per fini di decentramento e quindi, per un certo riguardo, emanazione del potere centrale. Problema questo, come si vedrà, attuale ancora molti anni più tardi. La relazione riassume e riordina quindi quanto già sviluppato e conclude dicendo che:«i parametri spaziali per la scelta dei comprensori del Trentino si sono fatti dipendere da criteri di massima efficienza che saranno più brevemente sotto indicati e che si sono subordinati ai fatti più significativi dell'ambiente e alla trasformazioni prodotte dagli insediamenti umani.I criteri di massima efficienza adottati si riferiscono:- Alla popolazione nella caratterizzazione della sua dinamica, con particolare riguardo all’analisi della forme secondo cui in ogni parte del territorio si sono create, sviluppate ed applicate le attività delle diverse classi professionali;- Al modo più razionale col quale si possono raggruppare varie forme di attività agricola, insistenti su un determinato territorio, per ottenere la organicità funzionale del complesso della produzione circoscritta al territorio stesso.- All'individuazione di un territorio tanto esteso da consentire con l'unità delle attività turistiche con l'unità delle attività turistiche o con una loro particolare varietà il massimo dello sviluppo;- Al rapporto ottimale fra le grandi infrastrutture e le attività di commercio e dell'industri e delle risorse del sottosuolo inesistenti su un territorio;- Alla presenza della città di Trento come guida di tutto il Trentino e come cerniera fra i diversi comprensori e alla presenza degli altri centri urbani di Rovereto, Riva, Arco, Pergine, Levico, Ala, Malè, Cles, Tione, Predazzo, Borgo e Fiera di Primiero, che costituiscono fulcro propulsivo di ognuno dei comprensori;- Ad una particolare vocazione paesistica.

Questi criteri di efficienza, in quanto formatori dei parametri spaziali di ogni comprensorio, sono stati sempre considerati, nel complesso dei fenomeni e delle attività, come elementi di valutazione di una situazione complessiva del territorio stesso nello stato presente e nei suoi eventuali futuri sviluppi.Queste situazioni hanno comportato in sede di ricerca urbanistica la messa a punto delle relazioni fra fenomeni e forme di efficienza secondo un'espressione combinata delle loro caratteristiche.Si è prevenuto a tipi di accertamento che hanno dato

La Valsugana e la Rovereto-RivaI collegamenti con il territorio extraprovinciale sono garantiti da due strade a scorrimento veloce: una lungo la Valsugana, in direzione Venezia, e una (mai realizzata) di collegamento con Riva del Garda e quindi con la Lombardia

Le infrastrutture stradalidi collegamento

L’autostrada del BrenneroIl piano individua l’articolazione del tracciato dell’autostrada Brennero-Modena che attraversa il Trentino lungo la Valle dell’Adige. Si tratta del più importante collegamento autostradale transfrontaliero italiano

Dossier:Il piano

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una più concreta qualificazione degli aspetti umani del problema territoriale e della unità organica assunta dai gruppi insediati».L'ultima considerazione contribuisce da un lato a definire con chiarezza il contenuto del comprensorio come fenomeno essenzialmente positivo, dall'altro individua al suo interno una dimensione urbanistica più ridotta, caratterizzata da una relativa omogeneità di comportamento, che consente un'autonoma organizzazione delle attività di servizio come elemento coagulante del fatto urbanistico. Il Piano chiama “unità insediative” questa dimensione territoriale all'interno del comprensorio e ritiene che essa contribuisca a dare una maggiore vitalità al comprensorio stesso e possa rendere più valida l'organizzazione unitaria di tutto il territorio.«Le unità insediative rappresentano perciò, a nostro avviso, i pilastri di quella nuova organizzazione a cui il piano comprensoriale dovrà dare vita con i suoi programmi e le sue progettazioni».Nel capitolo seguente si dà una ulteriore precisazione delle finalità di questa dimensione. In effetti il Piano articola i suoi interventi prevedendo il raggruppamento dei piccoli centri urbani di ogni comprensorio appunto nelle unità insediative che«rappresentano entità specializzate per stimolare le relazioni tra luogo e luogo e intensificare gli scambi tra comprensorio e comprensorio, rendono più armonico il rapporto delle varie parti del comprensorio stesso e l'integrazione unificatrice dei programmi».In questa prima edizione del piano l'unità insediativa non è, concettualmente, meglio specificata. Essa tuttavia serve come quadro di riferimento per le previsioni particolari in ogni comprensorio, contenute nella terza parte della relazione.

Il piano provinciale e i piani comprensorialiIl Piano vuole lasciare largo spazio all'attività pianificatrice del comprensorio.Tuttavia si preoccupa di precisare«in modo più specifico quali siano ed in che senso agiscano alcune strutture fondamentali destinate alle attività di integrazione e di unificazione degli sviluppi produttivi dei diversi comprensori. Essa indicherà, altresì, in che cosa consiste l'intervento urbanistico di Trento, per farne la città guida integratrice del complesso di attività che si vanno svolgendo nei comprensori trentini.La dimensione e la qualificazione di queste attività è infatti imposta, per ogni comprensorio, sul criterio di proporzionalità all'importanza di esse e definita secondo concetti di autonomia, per finalità culturalmente unitarie, che, come è ovvio, non potranno

esaurirsi all'interno del comprensorio, ma, entro i termini di una dialettica interna al sistema dei dieci comprensori, dovranno orientarsi verso una sintesi unificatrice, che troverà i suoi maggiori stimoli nel centro urbano più importante e per tradizione più qualificato a provocare gli incitamenti necessari a questa sintesi».Il Piano assume dunque la funzione di promuovere a livello provinciale la formazione di una serie di opere che garantiscano e stimolino l'attività del comprensorio, precisando le principali relazioni che servono dei dieci comprensori nell'organizzazione unitaria della Provincia. Esse sono costituite sia da una«rete di grandi comunicazioni fungenti da infrastrutture fondamentali, sia delle forme di integrazione delle produzioni agricole, industriali, turistiche, impostate secondo criteri si specializzazione del tutto nuovi, a cui fa capo la finalità di una reciproca intesa sulle possibilità di sviluppare azioni unificatrici intercomprensoriali, e sia infine della funzione di città guida, e quindi integratrice, che potrebbe assumere Trento, qualora rafforzasse il ruolo di punto di convergenza di quelle attività che dovranno riqualificare la struttura sociale di ciascun comprensorio.Sono dunque preminenti fra i compiti del Piano Urbanistico Provinciale, anzitutto la formazione dell'infrastruttura viabile fondamentale; in secondo luogo l'individuazione dei nessi infrastrutturali tra i comprensori, come esame di convergenze e compenetrazioni delle loro attività; in terzo luogo la formazione dei criteri organizzativi del tessuto urbano di Trento in funzione di attività da programmare per il ruolo di città guida di tutto il processo di sviluppo».Le indicazioni relative a questi compiti sono vincolanti per i piani comprensoriali. Il Piano provinciale garantisce l'organizzazione unitaria della provincia e la realizzazione dell'obiettivo fondamentale, definito dalla convergenza di interessi politici e culturali.Una breve lettura riassuntiva si queste indicazioni urbanistiche fondamentali può dare un'idea del loro rapporto con il comprensorio.

Le indicazioni fondamentali del Piano provinciale Per quanto riguarda il sistema delle comunicazioni:«Il piano forma la rete della grande viabilità sia operando integrazioni e ulteriori specializzazioni nella rete viaria esistente e in quella già in progetto prima del piano, sia indicando nuove strade fondamentali e sia correggendo tracciati esistenti per

Gli altiportiIl Piano prevede, ma demanda ai Piani Comprensoriali, la costruzione di un sistema di altiporti, implementati nelle zone montane più alte, a servizio del turismo e per una più moderna organizzazione del tempo libero

Gli areoporti

Le piste di voloAl fine di modernizzare il sistema di collegamento a fini turistici, il piano prevede la costruzione di cinque piste di volo: a sud di Trento, tra Arco e Riva, nella val di Sole, nell’Alta val di Non e a Predazzo.

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dar loro l'efficienza infrastrutturale proporzionata alle necessità di futuro sviluppo.Questa infrastruttura è formata essenzialmente da un sistema stradale di base, di cui fanno parte:- L'autostrada del Brennero;- Una nuova arteria di scorrimento veloce, che innestandosi all'altezza di Trento, segua all'incirca il percorso della strada della Valsugana e, superato Castelfranco, si dirige in linea retta su Venezia, indi di immettere nella Romea per servire la fascia territoriale dell'Adriatico;- La superstrada con percorso Est-Ovest che, partendo da Rovereto, raggiunge Riva del Garda e quindi si porta verso la Lombardia, percorrendo il progettato raddoppio alla Gardesana Occidentale.A questo fondamentale sistema che si polarizza su Trento allacciando il Trentino al resto del Paese, si collegano le altre comunicazioni principali, che sono quasi sempre di strade esistenti, opportunamente migliorate nelle loro caratteristiche».In tal modo la provincia di Trento si collega efficacemente con i grandi sistemi autostradali dei Nord-Europa e dell'Italia settentrionale.Il secondo settore sul quale il Piano interviene con indicazioni vincolanti è costituito dalle localizzazioni industriali. Queste sono ubicate in stretta connessione con la rete della grande viabilità e costituiscono«un sistema determinante sia per l'organizzazione interna dei comprensori sia per la reciproca integrazione. Tale ubicazione costituisce uno degli elementi fondamentali nella realizzazione delle finalità che il Piano Urbanistico Provinciale propone ai comprensori.I criteri preminenti seguiti nella loro ubicazione sono:- La quantità di forze lavoro disponibili in un raggio d'azione che renda tollerabili i movimenti pendolari;- La vicinanza di grandi arterie di comunicazione sia stradale che ferroviaria;- La possibilità di rifornimento idrico;- La posizione non nociva agli insediamenti e alla agricoltura;- La posizione non in contrasto con le esigenze panoramiche dell'ambiente;Lo schema generale della loro localizzazione si può grosso modo assimilare a due grandi assi che costituiscono un insieme cruciforme, l'uno con andamento nord-sud si adagia sulla Val d'Adige, Vallagarina e sul Basso Sarca, l'altro con andamento est-ovest si estende lungo la Valsugana.Attorno a questo sistema di grossi insediamenti industriali che costituiranno un'ossatura strutturale funzionalmente efficace, si articolano altre localizzazioni nei comprensori più periferici.

Come ogni altro polo di sviluppo, le localizzazioni industriali e i poli periferici sono stati situati e sistemati in modo che la formazione di influenza e di interessi ad ampio raggio che ne derivano nel territorio circostante, siano tali da integrare e unificare l'organizzazione di vaste aree caratterizzanti l'unità comprensoriale».È opportuno ricordare che, nella logica del tempo, i criteri di localizzazione e la effettiva ubicazione sul territorio delle aree industriali costituivano l'elemento più sicuro per attuare l'equilibrio territoriale, obiettivo primo del piano.Per quanto riguarda gli altri settori di attività economiche, la relazione del progetto di piano dà solo alcune indicazioni di metodo, rinviando una loro migliore precisazione ai piani comprensoriali. Ci preme solo rilevare che, nel capitolo riservato al turismo, fa la prima comparsa il concetto di “parco attrezzato”: «dove una buona parte del turismo di massa e di quello familiare, di quello selezionato o di cura potrà trovare una zona di confluenza di spazi molto vasti e ricchi per varietà di servizi e di incontri.I parchi costituiscono in tal modo un settore di intensa e qualificata valorizzazione turistica preservando il paesaggio da contaminazioni banali e non caratterizzanti.Essi comprendono territori di campagna generalmente a prato o zone di bosco che, pur continuando a mantenere la loro utilizzazione specifica, avranno particolari norme per la attuazione di alcuni interventi che ai fini della valorizzazione turistica si renderanno in essi necessari».L'opportunità di individuare un sistema di parchi attrezzati nel territorio della provincia era nata osservando le particolari caratteristiche ambientali dei fondovalle e degli altipiani, in cui tra una natura ancora incontaminata si intercala il territorio coltivato della campagna. La loro organizzazione a parco attrezzato consentiva inoltre di proporre un tessuto connettivo tra i piccoli insediamenti delle vallate.In questa prima edizione del piano le loro caratteristiche non sono ancora ben individuate. Anche le norme di attuazione relative non precisano finalità e contenuti ma rinviano ai piani comprensoriali la definizione dei perimetri e degli altri tipi di vincolo.I parchi attrezzati costituiranno così uno degli argomenti sui quali si concentrerà la discussione e il dibattito tra il '64 e il '67.Il piano riteneva che un'altra attività che poteva

TioneSu cui gravita il Comprensorio delle Giudicarie in tutta la sua ampiezza per un totale di 35 000 abitanti

Borgo ValsuganaSu cui gravita una parte dell’Alta Valsugana e l’intera Valsugana per un totale di 47 000 abitanti

Le aree industriali

Trento, Lavis, MezzolombardoSu cui gravitano le valli di Sole, di Non, di Fiemme, di Fassa, di Cembra e in parte della Valsugana per un totale di 228 000 abitanti

Rovereto, Arco, RivaSu cui gravitano le valli del Sarca e la Vallagarina per un totale di 102 000 abitanti

Dossier:Il piano

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caratterizzare in modo unitario lo sviluppo dei dicei comprensoriali fosse quella turistica e quindi dava per questa alcuni criteri di organizzazione riferiti essenzialmente a tre tipi, ad ognuno dei quali corrispondeva una determinata categoria di turisti:«la prima si rivolge alla villeggiatura estiva di carattere familiare che accoglie ancora una forma tipica del turismo stagionale tradizionale; la seconda pratica il turismo di carattere sportivo che riguarda sia la neve l'escursionismo e l'alpinismo, sia gli sport lacuali, e che porta forti aliquote di turismo internazionale; la terza è quella dei turisti domenicali che svolgono il classico impiego del tempo libero in montagna o sui laghi nelle più svariate forme di attività e cercano l'attuazione estiva e invernale di carattere multiforme.Un'altra aliquota delle correnti turistiche è rappresentata da quanti ricercano nel Trentino, i benefici delle cure nelle numerose stazioni termali, alcune assai sviluppate altre bisognose di ulteriori interventi».«Un altro settore fra i più importanti dell'effettività turistica è il turismo della neve, che si sviluppa in forma di sport sia invernale che estivo. Qui l'esigenza nuova e fondamentale riguarda soprattutto la possibilità di legare tra loro diversi impianti destinati e attrezzati per lo sport della neve, facendo in modo che i turisti possano percorrere una considerevole varietà di territori naturali che presentino a questo sport una configurazione continuamente mutevole, perché esso possa svolgersi senza la monotonia della ripetizione delle stesse vie in una sola zona.Per ottenere questo fine, il piano provinciale ha diviso in due grandi zone tutto il territorio della montagna trentina in cui si pratica il turismo della neve: la zona orientale e quella occidentale, organizzando in ciascuna di esse il coordinamento più ampio possibile del turismo a carattere intercomprensoriale. In senso generale è altresì importante assegnare una destinazione d'uso molto precisa a tutta l'edilizia tradizionale, che abbia una configurazione abbastanza caratterizzata da creare ambienti per il turismo selezionato».Si è già rilevato che il piano affidava un compito integratore fondamentale al complesso delle attività terziarie che costituiva uno dei punti fondamentali su cui doveva basarsi il nuovo equilibrio territoriale proposto.«Il complesso delle attività terziarie costituisce uno dei punti fondamentali su cui basa il nuovo equilibrio territoriale proposto dal Piano; esso trova la sua efficace qualificazione nella localizzazione e formazione dei centri di servizio, scelti col criterio della complementarietà e dimensionati alle funzioni da assolvere, sia in rapporto agli insediamenti che sono immediatamente contermini, sia in relazione alle esigenze di tutto il comprensorio.La funzione di città guida che Trento potrà assumere si

Il centro storico di Trento all’inizio degli Anni Sessanta: da notare la Piazza Duomo

“trasformata” in parcheggio per autovetture. Tratto da Il piano urbanistico

del Trentino, op.cit.

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Dossier:Il piano

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materializza con evidenza nell'ubicazione dei suoi centri direzionali protesi verso Nord, vale a dire versa la parte più interessante del comprensorio.Similmente la nuova configurazione di Rovereto è caratterizzata dal centro direzionale posto trasversalmente alla valle, verso la corona di insediamenti sparsi sulla sponda destra dell'Adige e verso le grandi comunicazioni che lambiscono tale parte del territorio.Negli altri comprensori i centri direzionali contribuiscono sempre e molte volte in modo preminente, a creare interrelazioni nei diversi insediamenti del comprensorio stesso».Si è già sottolineata la preoccupazione, costante nel piano, di chiarire i proprio contenuti specifici e il rapporto con i piani comprensoriali anche e soprattutto al di là del semplice contenuto normativo. A questo riguardo risulta particolarmente interessante la lettura di alcune parti del capitolo conclusivo della relazione generale, nel quale si precisano una serie di rapporti ideali.«Giunti a questo punto, da urbanisti dobbiamo dire che il piano provinciale, in una situazione così straordinaria venutasi a creare, non può essere che la trama di un graduale trapasso e di uno stimolo ad una forma di organizzazione della campagna, individuata da entità assai più vaste dei singoli comuni che ne fanno parte e che si avvieranno a raggiungere un livello di efficienza con una cultura, ai diversi strati professionali, sempre più diffusa.Questa sarà la garanzia che il processo generale di sviluppo si svolgerà con forma equilibrata a tutti i livelli, che le emigrazioni di carattere professionale, oggi emorragiche, saranno limitate alle forme di una logica contingenza nell'ambito di una necessaria compensazione.Tutto questo porterà ad una sempre più chiara determinazione quantitativa delle attività terziarie, cosicché il nuovo equilibrio conquisterà una sempre maggiore rispondenza con le dimensioni ed i caratteri del comprensorio.Per arrivare a questa maturità occorrono ovviamente anni di lavoro costruttivo sia del consorzio dei comuni insediati in ogni comprensorio, che della Provincia, della Regione e dello Stato, nei cui relativi quadri l'attività comprensoriale dovrà muoversi.Il piano provinciale sarà perciò un buon piano se avrà saputo lasciare ampio spazio per gli ulteriori approfondimenti dei problemi, in sede di attuazione di questi piani.Tutte le relazioni fra campagna e centri urbani saranno da precisare e qualificare secondo concetti distributivi non più legati ai centri stessi, ma alla

necessità di potenziare le attività nell'ambito della fondamentali localizzazioni economiche.Queste zone sono da considerare punto di riferimento in un modo nuovo di organizzare lo spazio con le strutture, e a loro volta, elementi di una pianificazione che si origina in un quadro più vasto del comprensorio stesso. Si tratta perciò, come si è ampiamente detto, di problemi assai complessi che si verranno assestando e risolvendo man mano che i consorzi di gestione comprensoriale conquisteranno una maggiore maturità e la terziarizzazione avrà gradatamente urbanizzato tutto il territorio con un grado di efficienza di cui il Piano può essere soltanto il supporto.Per sviluppare tutte le attività inerenti a questa organizzazione in un quadro rinnovato delle situazioni territoriali. La legge Urbanistica Provinciale n. 2 del 2 marzo 1964, ha previsto la costituzione di consorzi per la formazione, l'adozione e l'esecuzione dei relativi piani comprensoriali».L'illustrazione del programma operativo del piano riguarda invece il carattere e la formazione dei comprensori in rapporto alle finalità del piano e costituisce la seconda parte della relazione.Per fornire una chiave di lettura in concordanza con gli obiettivi di questo, occorre permettere alcune idee sulla condizione dell'uomo nell'assetto territoriale, che il piano assume come istanza di base finalizzata nell'impiego di migliorare il benessere sociale.«L'uomo inteso nei valori più concreti, come espressione dell'insieme sociale di cui fa parte e in cui la sua attività è condizionata, costituisce l'aspetto di fondo che riassume e caratterizza le istanze indispensabili in un coacervo di situazioni e di attività ben definite che interessano particolarmente l'Urbanistica.Essa ne coglie i valori della struttura tradizionale e di quella creata con lo sviluppo, come espressione nuova, dell'ambiente dell'uomo, predispone, di base a queste esigenze, i servizi sociali necessari, determinando i parametri dello spazio che l'accoglie in organismi funzionali.I parametri più generali per illuminare questa condizione dell'uomo possono essere in qualche modo forniti, sia pure imperfettamente, dal rapporto quantitativo che passa fra le tre grandi classi di attività economiche»

L’ultima parte del Pup è dedicata alle indicazioni, puntuali e specifiche per ogni comprensorio.Dopo l’adozione del maggio 1964 il Piano avrà un lungo iter approvativo e di revisione che si concluderà con l’adozione definitiva il 10 agosto 1967.

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L’eredità del primo Pup del Trentino

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Intervista a Mauro Gilmozzi

Nel Pup del 2008 abbiamoraccolto la lezione di Kessler,adattandola ai tempia cura di Giovanna Ulrici

Domanda: Grazie Assessore per questa intervista, che ospiteremo nel prossimo numero di Sentieri Urbani, curato in collaborazione con l'architetto Sergio Giovanazzi, che per l'occasione ha messo a disposizione il suo archivio. Il numero monografico viene dedicato al primo Piano Urbanistico Provinciale, di Bruno Kessler e di Giuseppe Samonà. Quanto di quella esperienza di pianificazione degli anni '60 è ancora vivo nella recente revisione del Pup?Gilmozzi: Del primo Piano Urbanistico abbiamo valorizzato diverse cose. La prima è l'idea di territorio alpino, ovvero l'idea di un territorio che è costruito su relazioni integrate tra la città e le valli, su un modello di decentramento, di rete. Una condizione del tutto attuale che di fatto si contrappone ad un modello metropolitano, centralista, dove il territorio è al servizio della città, è periferia, dormitorio.La seconda è una visione strategica del futuro, partendo dall'analisi delle condizioni di contesto. Una relazione tenuta dal prof. Samonà presso l'Ordine degli architetti e degli ingegneri all'inizio degli anni Sessanta evidenziava molto bene il contesto di riferimento su cui sarebbe poi stato costruito il Pup 67. Ovviamente il Pup 2008 si fonda su analisi e considerazioni diverse, ma l'approccio non è cambiato.La terza è l'architettura istituzionale e di servizio, fondamentale per garantire lavoro e qualità della vita su tutto il territorio. Condizione irrinunciabile per mantenere la presenza dell'uomo in montagna. Allora si pensò all'istituzione dei Comprensori come livello intermedio tra la Provincia e i Comuni, per rafforzare l'autonomia delle Valli e nel contempo decentrare servizi. Oggi con le Comunità di Valle stiamo cercando di dare più forza a quel disegno, ovviamente aggiornandolo e cercando di superare alcuni ostacoli che hanno effettivamente soffocato negli anni le potenzialità che esso rappresentava, soprattutto in chiave politica.Mi piace sottolineare che questo tema era stato affrontato anche in precedenza. Un bell'articolo di Vittorio Riccabona, Consigliere Comunale di Trento sul finire dell'800 (un tempo in cui il Trentino rivendicava ma non aveva quella forte autonomia istituzionale e di rappresentanza che ha oggi e la

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Mauro Gilmozzi è Assessore all’Urbanistica, Enti Locali e Personale della Provincia autonoma di Trento

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città sopperiva a quest'ultima funzione), proponeva una legge istitutiva di livelli istituzionali intermedi elettivi come punto d'equilibrio tra' il livello regionale ed i 374 comuni dell'epoca. Per sottolineare come il dibattito attuale sulle Comunità di Valle che vengono presentate come un invenzione dell'ultima ora, trovi invece il suo riferimento nella storia del nostro territorio, costruita su modelli di sussidiarietà istituzionale, di cooperazione imprenditoriale, di reti culturali e sociali, su proprietà collettive, secondo modelli del tutto attuali.Altri elementi o analogie con il piano di Kessler, sono riconducibili agli assetti normativi, essenziali allora, dispersivi e troppo complessi oggi o alla formazione, quale condizione indispensabile per evolvere in ogni campo.

D. Torneremo dopo su questo argomento. Volevamo chiederle in particolare quali altre forti eredità ha raccolto la pianificazione provinciale di oggi dalle esperienze degli altri Piani provinciali.G. Del Pup di Kessler, come detto, il Trentino ha ereditato un uso compiuto delle potenzialità' dell'Autonomia, lo sviluppo industriale, il decentramento istituzionale, l'università e l'Istituto Trentino di Cultura, la rete stradale e autostradale. Dal Pup di Walter Micheli (la revisione del 1987), l'idea di porre un limite allo sviluppo quando esso sfrutta eccessivamente le risorse territoriali, ma anche la valorizzazione dei Parchi Naturali, già' presenti nel primo PUP, ma attivati in questa fase; l'idea di dar vita ad attività lavorative che fossero nel contempo a sostegno della qualità' ambientale e straordinari ammortizzatori sociali (progettone). D. Il primo Pup in effetti contava su di una leva economica forte, la crescita industriale sulla soglia del Trentino. Leva di che, procedendo con questa simmetria di raffronto con il presente, ora manca.G. Non ho dubbi nel dire che il benessere di cui disponiamo è anche figlio di quella politica di sviluppo, ed anche oggi il tema dello sviluppo deve far parte di una qualunque strategia territoriale. La domanda è semmai quale sviluppo, visto che ora le condizioni sono completamente cambiate. Il secolo scorso è stato caratterizzato da un forte spirito nazionalista, da due guerre, dei monopoli pubblici,

dalle dogane. Oggi siamo globali ed in balìa degli oligopoli privati. In ogni caso, ciò che io più apprezzo nella visione di sviluppo del piano Kessler non è solo la programmazione della fase di industrializzazione del Trentino, quanto l'idea di legare questo sviluppo alla conoscenza. Investire sull'Università e sulla ricerca è stata una idea importante: il Trentino si sviluppa non solo se produce ma se abbina alla produzione fattori di formazione e di cultura.

D. Cosa rappresentano 30 anni per una Politica di sviluppo definita in un Piano provinciale?G. Tutto dipende dalla qualità e intensità dei cambiamenti socio economici e scientifici che intervengono in questo lasso di tempo. Sta a noi intuirne gli sviluppi ed investire sulla capacità di adattamento ed anticipazione dei fenomeni. Il mondo globale muta molto più velocemente di quello del secolo scorso. Le sicurezze del dopoguerra (posto fisso, casa, studio, pensione) stanno sfumando lasciando il campo ad incertezze, a dinamiche nuove, a cambiamenti più repentini a cui dobbiamo dare risposte in un quadro che guardi avanti, che segni la strada appunto, ma con strumenti capaci di verificare i risultati attesi ed eventualmente correggere la rotta.

D. Quale è stata quindi l'evoluzione del paradigma di sviluppo produttivo che nel Pup di Kessler e Samonà era stato declinato in chiave industriale?G. Con le analisi condotte sulle condizioni di contesto e su possibili scenari futuri, durante i lavoro di stesura del nuovo Pup, aiutati anche dagli approfondimenti del Piano di Sviluppo, abbiamo elaborato anche noi una strategia di medio-lungo termine. Partendo proprio dal concetto di paesaggio come espressione dell'identità territoriale. Paesaggio come frutto e sedimentazione di scelte su cui certamente anche il Primo Pup ha inciso molto. In altri termini, pensando che il paesaggio, sia il nostro spazio di vita, più' che un panorama da cartolina, abbiamo immaginato che un territorio così piccolo e fragile, ma anche così straordinariamente bello e all'avanguardia, potesse reggere l'urto della globalizzazione solo orientando le proprie politiche di sviluppo verso l'eccellenza diffusa, come antitesi all'omologazione imperante sui mercati e per noi meno interessante. Quindi il Pup contribuisce ad un idea di sviluppo che punti a

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Dal primo Pupabbiamo imparato

l’idea di un territoriocostruito su relazioni

integrate tra cittàe campagna...

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realizzare le condizioni di contesto per attrarre o mantenere in trentino, imprese e persone che di tali fattori di eccellenza si servano per creare lavoro ed opportunità di crescita o di non marginalizzazione del nostro territorio. I poli tecnologici, il progetto di collegamento metropolitani veloci che chiamiamo Metroland, la localizzazione di centri universitari e di ricerca, le tutele ambientali di aree naturali (le Dolomiti, i laghi), di aree agricole di pregio per fermare l'espansione urbana e difendere un modello agricolo sempre più orientato alla qualità o lo stop alle seconde case, sono alcuni esempi di come un Piano urbanistico possa contribuire a dare garanzie per la realizzazione di un idea di futuro. Ovviamente, non va trascurata la responsabilità delle Comunità di Valle anche come forma di partecipazione e confronto locale nei processi di pianificazione territoriale dentro il quadro generale del Pup, o il ruolo che abbiamo attribuito alla formazione istituendo addirittura una scuola per il governo del territorio e del paesaggio, Step appunto, ma dominante resta l'idea che il paesaggio che verrà, sia il punto d'incontro tra sviluppo e tutela e non la loro contrapposizione.

D. E per quanto riguarda i cambiamenti intercorsi nello scenario politico?G. Direi che hanno influenzato non poco l'attuazione della “vision” iniziale, a volte semplicemente per non averla saputa verificare ed aggiornare. Anche per questo nel nuovo Pup abbiamo inserito strumenti di autovalutazione e di flessibilità.

D. Quali differenze nei ruoli del politico e del pianificatore dal Pup di Kessler e Samonà? In particolare ciò che colpisce del primo PUP è la capacità di dare una forma anche tecnico-scientifica, urbanistica, ad un processo e ad una elaborazione politica. Quale il peso delle figure degli urbanisti nell'ultimo Pup?G. Va preliminarmente osservato che nella stesura dell'ultimo Pup, tutte le consulenze sono state acquisite avendo come riferimento una struttura organizzativa interna che negli anni ha maturato una forte competenza ed esperienza in campo urbanistico, anche a livello interdipartimentale.Peraltro anche nel nostro caso ci siamo affidati ad esperti di chiara fama, come un urbanista del calibro del

professor Roberto Gambino, o del professor Paolo Castelnovi che con il primo ha collaborato per gli aspetti del paesaggio o del professor Bruno Zanon della nostra Università che ha approfondito i punti di forza e di debolezza delle diverse parti del mostro Territorio. Ci siamo poi avvalsi di consulenze di natura economica. Il Professor Matteo Caroli della Luiss di Roma ci ha seguiti per tutto il percorso, interfacciandosi con il Comitato per la programmazione economica, presieduto dal professor Roberto Camagni. Altri professionisti hanno approfondito alcuni aspetti normativi e forte è comunque stata la correlazione con altre riforme che in quel frangente stavano venendo avanti. Una su tutte la riforma istituzionale. Ciò ha favorito e fornito stimoli al processo di elaborazione politica. C'è nel nuovo Pup un forte messaggio culturale sul paesaggio come espressione dell'identità. C'è una forte consapevolezza che solo il senso di appartenenza può salvare il paesaggio e non come forma di difesa ma come capacità di comprendere che la qualità del territorio è elemento forte del suo sviluppo, della sua competitività.

D. Il processo del Piano: nel caso del primo Pup l'ascolto, la raccolta di idee e il coinvolgimento di soggetti rappresentativi delle varie realtà locali è stato grande, come viene testimoniato nei materiali che pubblichiamo su questo numero di SU.G. La partecipazione è stata anche per noi uno dei punti di forza del nuovo Pup. Da un lato, facilitata da nuovi strumenti di comunicazione e divulgazione, dall'altro molto impegnativa per la complessità della materia. Molti pensano ancora che l'urbanistica si occupi semplicemente dell'edificabilità dei suoli e della conseguente attività edilizia. Ciò nonostante abbiamo superato tre adozioni con relativa partecipazione formale al procedimento; numerosi sono stati gli incontri con rappresentanze di categorie e sindacati; altrettanti gli incontri specifici con i Comuni, le Commissioni consiliari ed altre istituzioni; sul territorio abbiamo incontrato distintamente centinaia di Amministratori pubblici e migliaia di cittadini, delle cui osservazioni e contributi abbiamo stampato anche una sintesi con relative risposte. Non a caso

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...la visione strategicanel futuro e l’architetturaistituzionale e di servizio fondamentale pergarantire lavoro

l'opposizione al Pup in aula non ha sortito nell'opinione pubblica l'effetto sperato e la discussione in Consiglio Provinciale per l'approvazione del PUP è stata breve, forse troppo breve per un atto così importante.

D. Questo enorme lavoro che recupera un modello di ascolto già sperimentato con altre forme nel primo Pup, ha portato l'approvazione del Piano. Questo è stato consegnato alle Comunità di Valle, per proseguire nel lavoro anche di ascolto e partecipazione. L'impressione è che i medesimi soggetti che hanno partecipato attivamente nella fase di redazione del Pup non siano ancora pronti a riconoscere il ruolo della Comunità quale recettore di proposte, visioni, osservazioni. Le chiediamo una riflessione.G. Innanzitutto dobbiamo dire che nella legislatura precedente si è dato vita ad una serie di riforme molto importanti che si sono concluse solo alla fine della legislatura stessa, che potremo per questo definire costituente. Solo in questa legislatura è stato possibile concentrarsi sull'attuazione delle riforme, tenendo conto che il cambio amministrativo nei comuni e nelle Comunità con le elezioni del 2010, ha fortemente ritardato il processo. In secondo luogo, penso che si debba dare tempo al tempo. La riforma è un processo che va accompagnato. E non abbiamo certo lasciato scorrere il tempo invano. Con la Scuola "Step" abbiamo avviato percorsi di formazione. Ciò ha permesso di mettere a disposizione delle Comunità tecnici per facilitare l'avvio dell'esercizio delle nuove competenze. Tutte le Comunità stanno elaborando i nuovi Piani Territoriali, secondo logiche partecipate previste dalla Legge. Abbiamo attivato le nuove Commissioni di Comunità con competenze paesaggistiche ma anche di valutazione dei PRG. Siamo partiti a fine 2010 e mi pare che il lavoro fatto sia molto. Certo c'è ancora molta strada da fare, cose da correggere ed esperienze da maturare, ma io sono fiducioso soprattutto perché, sento che un po' alla volta c'è maggiore consapevolezza dell'importante ruolo delle Comunità nella pianificazione urbanistica.

D. Ma il Territorio è pronto a partecipare a questa elaborazione?G. Io penso proprio di sì. Alcune categorie, come gli

artigiani ad esempio, hanno organizzato corsi di formazione ed incontri specifici su tutto il territorio per presentarsi preparati ai tavoli di lavoro. La stessa Provincia ha sostenuto tramite Trentino Sviluppo delle azioni di animazione territoriale per facilitare una visione di sintesi da parte delle categorie locali, in grado di esprimere i bisogni, le vocazioni, le aspettative del territorio. Anche le Associazioni ambientaliste mi sembrano pronte. Per questo è urgente che si aprano i tavoli di confronto e che a questi partecipino anche i Comuni. Certo ci si dovrà' abituare a gestire i conflitti. Ma se diamo valore alla pianificazione, l'azione politica di mediazione, di scelta e di responsabilità è quanto mai necessaria.

D. Rispetto all'Istituzione di Kessler, quale è quindi oggi la missione per la Provincia?G. È quella di cedere competenze e responsabilità' al territorio, assumendo una funzione di coordinamento e controllo, tanto da stimolare l'azione concreta di una programmazione di Comunità e nel contempo garantire coerenza con una pianificazione provinciale, sempre più' attenta ad integrarsi e confrontarsi con esperienze che maturano fuori dal proprio territorio, in una dimensione europea, globale.

D. Se è comune ai due Piani il tema delle relazioni, ci sono differenze per la concretizzazione del modello di comunicazione per il Trentino.G. Se per comunicazione si intendono le connessioni interne ed esterne al Trentino, ovviamente le differenze sono gigantesche. Penso alla fibra ottica, ma anche ai sistemi di mobilità su rotaia che sono le sfide più urgenti da cogliere a livello paese. Se, come abbiamo detto, il Trentino vuole essere un punto di riferimento nella rete delle relazioni globali, per l'eccellente livello di attrattività che esso esercita all'esterno, ecco, questo Trentino dovrà essere un nodo di quella rete. Che si tratti dell'infrastrutturazione con la banda larga o i collegamenti ferroviari veloci, non c'è dubbio che se il Trentino non si doterà, come sta facendo peraltro, di queste opportunità di connessione sarà destinato alla marginalità. Questi sono i temi del futuro. Queste sono le domande giuste quando pensiamo a "come saremo tra 20 anni" .

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Identità del complesso ed autenticità della sua struttura materica costituiscono i principi concettuali e operativi dell'intervento. Il progetto di restauro è stato predisposto dall'architetto Nullo Pirazzoli, docente presso l'Università Iuav di Venezia. «Obiettivo precipuo dell'intervento – spiega il professore – è stata la conservazione dell'edificio come permanenza materica, lavorando per aggiunte coerenti e mai per sottrazione, attraverso un notevole lavoro di traduzione delle tecnologie costruttive locali, in termini di compatibilità con i prodotti da costruzione contemporanei – senza scadere nell'interpretazione vernacolare – per il consolidamento e il restauro dell'esistente come per la realizzazione dei nuovi interventi, minimi ma necessari, richiesti dalle modalità d'uso odierne».Valutazioni estetiche e gerarchie storiche aprioristiche sono state estromesse dal progetto, mirato piuttosto a limitare le richieste di sacrificio ai soli elementi non rispondenti a requisiti minimi di solidità e sicurezza, o di impedimento a ragionevoli adeguamenti.L'architetto Giovanni Berti di Artistudio è stato coprogettista e direttore dei lavori. «Per mantenere coerente la struttura dal punto di vista materico – racconta il professionista – sono stati ricercati materiali costruttivi quanto più possibile naturali, ispirandoci ai concetti della bioedilizia per i restanti interventi. È il caso, ad esempio, del recupero e riuso di molti degli elementi architettonici già presenti nel sito; dei rinforzi strutturali eseguiti in gran parte in legno; dei prodotti per l'isolamento, totalmente di origine naturale; degli impianti termici, con sistemi radianti a soffitto e a pavimento o a piastre, dal comfort elevato e a basso consumo energetico. La scelta dei materiali per il ripristino degli apparati murari si è subito indirizzata verso i prodotti Tassullo, che impiega materie prime locali per la sua produzione, in particolare per le malte a base di calce idraulica naturale utilizzate nei consolidamenti, nella ricucitura delle murature e dei soffitti a volte, nei massetti di pavimentazione, nei manti esterni e nelle rifiniture. Tutti i prodotti impiegati sono stati testati in laboratorio per verificarne la compatibilità con i materiali originali, soprattutto per le malte di consolidamento e per quelle utilizzate nei rivestimenti esterni, la cui colorazione è stata campionata direttamente da Tassullo sulla base dell'esistente».Il risultato finale di questa complessa fabbrica è un edificio più solido e coerente, con più lunghe aspettative di vita ma non per questo più elegante o ringiovanito nell'immagine. Nel suo riproporsi come luogo dell'abitare, il Castello di Vasio restituisce ai visitatori la propria autenticità come manufatto architettonico e testimone della storia, prodotto di una cultura progettuale predisposta all'ascolto e di una perizia tecnica spinte fino al più ragionevole limite terapeutico, presupposto condiviso per la conservazione di un patrimonio edilizio.

I lavori di restauro di Castello di Vasio Si tratta di un insediamento di origine medievale situato nel comune di Fondo (provincia di Trento), in cima a un ripido dosso che presidia l'alta Val di Non. È costituito da una torre di vedetta in pietra dalla pianta pressoché quadrata (con lati di circa 13 metri, alta una decina di metri alla gronda) e da due corpi edificati situati ad est e a sud, oltre ad altre tracce del complesso fortificato, raccolti attorno a una corte aperta verso nord.Condotti direttamente dal proprietario in qualità di capomastro, i lavori di recupero sono iniziati nel 2004 sulla base di un accurato progetto di conservazione, seguiti costantemente dagli Uffici della Soprintendenza ai Beni Architettonici di Trento. «Ho coinvolto alcuni degli artigiani operanti nell'area – spiega il proprietario – che hanno risposto con passione a quella che sembrava un'impresa impossibile: ristrutturare un edificio diffusamente rimaneggiato nel corso dei secoli e abbandonato da tempo, che presentava notevoli problematiche di carattere statico-conservativo e che, soprattutto, era praticamente inaccessibile ai normali mezzi di cantiere. Oggi il castello è diventato un luogo abitato e ospitale, che mantiene intatte le sue originarie caratteristiche architettoniche e di cultura materiale tramandateci dalla storia, nel quale funzionano un bed and breakfast e un'accogliente sala per la ristorazione che hanno già ottenuto ottimi riscontri da parte del pubblico».

Il recupero di Castel Vasio:un sogno da conservare

Il recupero del complesso storico, coronamento del sognoagreste di una famiglia lombarda, è stato condotto nel segno

del restauro conservativo con il determinante contributodei prodotti naturali Tassullo

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La tecnica di restauro: fra conservazione e adeguamentoI lavori di conservazione hanno interessato l'intero complesso edificato, dal consolidamento del terreno di fondazione alla copertura in legno, ma gran parte delle opere sono state rivolte ai paramenti murari e ai rivestimenti. Dal punto di vista costruttivo, la principale difficoltà incontrata è consistita nel ritrovamento di una falda in cima al dosso, che provocava l'innalzamento del livello di umidità nelle strutture di fondazione specie nei giorni di pioggia e seguenti, incompatibile con gli interventi di consolidamento mediante iniezione di malte liquide. È stato perciò necessario costruire un cunicolo di areazione, inizialmente non previsto e interamente realizzato a mano, in grado di consentire la prosecuzione delle opere, di seguito elencate in sintesi:- scuci-cuci con materiali lapidei della medesima natura e dimensioni, in presenza di lesioni passanti nelle murature di fondazione e al piano terreno del castello e del limitrofo rustico, legati esclusivamente con malta a base di calce idraulica naturale Fenix NHL5 senza ricorso a cordoli in conglomerato, cuciture armate o barre di irrigidimento;- iniezione di miscela Fenix/B a base di calce idraulica naturale in presenza di disomogeneità, sconnessione e incoerenze murarie di origine meccanica, mediante perforazioni localizzate e caduta a bassa pressione del fluido all'interno delle murature, fino a permeare gli interstizi tra i conci;- integrazione di lacune nella muratura con risarcimento totale o riduzione delle aree di rottura, con apparecchiatura regolare di pietrame legato tramite calce idraulica naturale e strato di finitura a intonaco neutro a base di calce e sabbia;- sutura delle lesioni profonde con riempimento degli interstizi per ripristinare la continuità del paramento murario, con malta T30rc a base di calce idraulica naturale cromaticamente distinguibile;- previo accurato smontaggio per recuperare e reimpiegare il materiale lapideo nella successiva ricostituzione del manufatto, ricostruzione delle apparecchiature murarie spiombate, lesionate o crollate con finitura superficiale a intonaco a base di calce e sabbia in tinta neutra;- ripristino delle porzioni di volte crollate con recupero o ricostruzione dei conci legati con malta a base di calce idraulica naturale T30V;- ripresa di piccole lesioni, previa pulitura e stuccatura con legante a base di calce fino ad incontrare le superficie non interessata dal degrado;- consolidamento degli strati di malta del materiale lapideo microfessurato di murature a vista, seguito da protezione con prodotti inorganici ed eventuale stuccatura con malta a base di calce idraulica naturale con inerte di media granulometria;- consolidamento degli intonaci esterni con iniezioni di miscela

fluida Fenix/B a base di calce idraulica, attraverso microfori o lesioni e fenditure esistenti;- scopertura di intonaci antichi da tinteggiature e scialbi di calce, con restauro dei rivestimenti a intonaco interni operando per ridurre rigonfiamenti e decoesioni, eliminare efflorescenze, risarcire lesioni e lacune, con limitate iniezioni di miscela idraulica a base di calce e sabbia medio-fine seguite da pulitura;- realizzazione di nuovo intonaco a tinta neutra a base di calce e sabbia;- protezione di superfici intonacate con idonei prodotti acrilici o acrilico-siliconici.

Oltre ai paramenti murari, sono stati consolidati e ripristinati gli elementi portanti e gli assiti dei solai, i tiranti del sottotetto, i rivestimenti, gli infissi interni ed esterni, tutti in legno.Gli interventi di nuova costruzione hanno interessato, fra l'altro:- formazione di uno strato di protezione sommitale anche in funzione dell'appoggio dell'orditura del tetto, secondo criteri di distinguibilità dei completamenti e delle aggiunte;- sostituzione della copertura e di un solaio lignei con manufatti nuovi, realizzati con tecnologie tradizionali;- sutura e reintegrazione di un tratto di muratura crollato, lasciando testimonianza dell'intervento;- posizionamento di lastre di vetro intelaiate nell'interasse tra i correntini della copertura del castello, che consentono di cogliere la presenza del manufatto antico;- realizzazione di tramezzature con pareti di legno e di arredi fissi;- liberazione di aperture tamponate;- posa delle pavimentazioni esterna (acciottolato di pezzature irregolare e regolare in file parallele) e interna, laddove mancanti, con elementi in graniglia, porfido, calce sabbia e pietra macinata, lastrame, mattoni a spina);- realizzazione di infissi interni ed esterni in legno o legno e vetro.

I materiali TassulloEcco, nel dettaglio, i prodotti Tassullo impiegati durante il restauro del Castello di Vasio.

FENIX/B per il consolidamento delle murature in pietra.Si tratta di una miscela ad alta fluidità e a ritiro controllato, prodotta con l'uso esclusivo di calce FENIX NHL 5, filler dolomitico selezionato e pronta all'uso, utilizzabile per iniezioni di consolidamento in murature in pietra e mattoni perché in grado di riprodurre, dal punto di vista fisico, chimico e mineralogico, le malte di allettamento originarie; le sue caratteristiche di fluidità, adesione ed elasticità restituiscono continuità strutturale alle murature che presentano vuoti e fessure, senza generare porzioni locali rigide né sviluppare gradienti termici in fase di maturazione.

FENIX NHL 5 per la formulazione di malte direttamente in cantiere e del calcestruzzo di calce.Questa calce idraulica naturale, purissima e certificata, con basso tenore di calce libera e particolarmente elastica, ha permesso la preparazione in cantiere del calcestruzzo di calce impiegato per le sottomurazioni e le cordolature: la miscela formulata prevedeva l'uso di 400 kg di legante per ogni metro cubo di inerte, quest'ultimo con dimensioni comprese fra 0 e 30 mm selezionato secondo un'apposita curva granulometrica.

T30V per il pareggiamento delle superfici.È una malta pronta a base di FENIX NHL 5, idonea per il confezionamento di intonaci, riempimenti e rinzaffi, a media e alta resistenza, con un bassissimo contenuto di sali idrosolubili e granulometria formata da inerti selezionati con diametro massimo di 4 mm.

T30rc per il scuci-cuci.Ideale per il restauro e il risanamento grazie all'elevata compatibilità con le murature storiche, è' una malta di calce idraulica naturale Fenix NHL 5 ed inerti selezionati, con granulometria massima di 4 mm. E' dotata di elevate traspirabilità, resistenza ed elasticità ed è indicata per la realizzazione di rinzaffi consolidanti, riempimenti e tamponature, per la realizzazione di giunti in murature faccia a vista e per l'allettamento di mattoni.

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Dall'interno di una delle vallate più conservatrici delle Alpi era difficile attendersi l'emergere di uno spaccato tanto vitale del vivere e della innovazione, tecnologica e culturale. Il convegno di Fiemme, nel celebrare i 60 anni di vita di CIPRA Internazionale ed i 20 di CIPRA Italia, ha voluto aggiornare i contenuti ed i movimenti innovatori presenti nell'arco delle Dolomiti, lo ricordiamo, recentemente, 26 giugno 2009, dichiarate patrimonio naturale dell'umanità.Il Vicepresidente di CIPRA International, Helmuth Moroder, ha sottolineato come un convegno, con un titolo simile, solo 20 anni fa sarebbe stato impensabile nelle Alpi italiane, l'ambientalismo era confinato ad un ruolo di puro antagonismo e la controparte, istituzionale e produttiva, ideologicamente rifiutava ogni approccio, ogni confronto. CIPRA Italia, attraverso il suo Vicepresidente, Luigi Casanova, ha voluto far emergere i tanti aspetti positivi oggi chiaramente leggibili, una lunga ma significativa maturazione, che oggi, in piena crisi economica, costruisce nuove opportunità di speranza e fiducia rivolte ai giovani nel territorio delle Dolomiti.Il convegno ha dato voce ad esperienze diverse, sia produttive che conservazionistiche ed istituzionali. Alla presenza di numerosi amministratori locali e dell'Assessore provinciale all'urbanistica e agli enti locali Mauro Gilmozzi è stato presentato lo stato di conservazione dell'ambiente forestale e l'avvio della filiera del legno tutta centrata, oltre che sulla produzione di legname certificato di alta qualità, sulla riconversione energetica dalle fontifossili.L'intera valle ha poi illustrato gli sforzi diffusi e diversificati tendenti a ridurre nel modo più significativo possibile la dipendenza dalle energie che

emettono grandi quantità di gas alteranti il clima: il comune di Cavalese ad esempio nel 2013 arriverà vicino al traguardo dell'autarchia energetica giunta al 90% sia nella produzione di energia termica che elettrica (teleriscaldamento a biomasse, cogenerazione da gas, pannelli fotovoltaici diffusi, energia idroelettrica, bioenergia da deiezioni animali). Obiettivi che saranno seguiti da numerosi altri esempi, presenti sia nel Primiero (che ha costruito assieme a Fassa e Fiemme la rete culturale e programmatica) che in altri comuni come Predazzo e Carano.Dal punto di vista conservazionistico è stata particolarmente stimolante la relazione del dott. Cesare Lasen, che ha illustrato lo stato dei lavori di Dolomiti UNESCO e le straordinarie occasioni di governance partecipata che questo strumento apre non solo alle associazioni ambientalistiche e alpinistiche (già colte da CIPRA, CAI e Mountain Wilderness), ma a tutto il mondo imprenditoriale del turismo e del Vivere nelle Alpi. Un universo fatto di reti, di condivisione, di progettualità basata sulla conservazione e promozione del paesaggio, della geologia, delle tecniche di turismo alternativo e sostenibile, della formazione. Di straordinario interesse, vero motore di innovazione conservatrice attiva, è stata la relazione del dott. Claudio Ferrari (Provincia Autonoma di Trento) che ha illustrato le prospettive della rete delle aree naturali inserita in Rete Natura 2000, un progetto che unisce in una cornice unitaria parchi nazionali, regionali, locali, fluviali, agricoli e geologici che spontaneamente stanno maturando nella realtà del Trentino.Dalla conservazione alla produzione. Anche diverse aziende della valle stanno investendo in sostenibilità,

60 anni diCIPRA Internazionale20 anni di CIPRA Italia21 luglio 2012, Tesero (TN): Convegno su “Alpi ed Innovazione”

di Luigi Casanova*

* Vice presidenteCipra Italia

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Foto panoramica realizzata dal versante svizzero sulla catena a nord delle Alpi. D i Renzo Boglino

in innovazione creativa, nel riuso dei materiali di scarto, come la Sportiva, azienda leader nella produzione di calzature di alta montagna e sportive. Per arrivare alla mobilità. Accanto alla proposta sostenuta da un movimento spontaneo come Transdolomites che è arrivata a progettare una nuova ferrovia che collega le Dolomiti di Fassa a Trento, si è associata la voce di Confindustria di Belluno che ci presenta il sogno di un circuito tutto in ferrovia, moderna e veloce, che circumnavighi le Dolomiti intere, da Cortina a Brunico, da Bolzano a Trento, attraverso la Valsugana per arrivare a Feltre e Belluno. Ai contenuti del convegno, già di per sé ricchi, vanno aggiunti altri passaggi innovativi, comunque presenti nel territorio dolomitico. La richiesta di autonomia per tutti i territori delle montagne italiane, il progetto avanzato e condiviso da Mountain Wilderness con la Società Funivie Marmolada per la riqualificazione turistica del gruppo della Marmolada, primo esempio in Italia e forse europeo di collaborazione attiva fra ambientalismo e imprenditoria, l'adesione delle Comunità di Fiemme e Primiero ad Alleanza nelle Alpi, le ormai sempre più diffuse esperienze che legano l'agricoltura di montagna al turismo di qualità.Il Convegno è stato un inno di speranza inserito in una crisi economica di dimensioni epocali: non si tratta di una crisi finanziaria, ma di una crisi di risorse, di una crisi climatica che presenta a noi tutti il dovere di una riconversione. Riconversione che non può che avvenire in senso ambientalista e grazie al recepimento dei territori alpini, tutti, delle linee di indirizzo presenti nella Convenzione delle Alpi attraverso una governance partecipata.

La ONG CIPRA Internazionale (CIPRA sta per "Commissione

Internazionale per la Protezione delle Alpi") e le sue

rappresentanze nazionali da più di mezzo secolo sono

impegnate a favore di uno sviluppo sostenibile delle Alpi. Si

tratta di una missione che vale la pena compiere, poiché

nel grande arco alpino, che si estende per 1.100 chilometri

attraverso otto Stati, vivono 13 milioni di persone. In questo

habitat multiforme, la CIPRA ricerca modi e mezzi per

conciliare ecologia, economia e sociale.

La CIPRA è un moderno crocevia di informazioni in più

lingue rivolto a persone interessate all'interno e all'esterno

delle Alpi.

Con uno sviluppo sostenibile a livelli diversi, la CIPRA si

propone di sfruttare le potenzialità del territorio alpino e

salvaguardarne la diversità culturale e naturale. Per questo

motivo, già nel 1952, anno della sua costituzione, ha

richiesto la stipulazione di un trattato internazionale per

un'ampia protezione del territorio alpino, la Convenzione

delle Alpi. Dopo quasi 40 anni e un intenso lavoro della

CIPRA ci si è riusciti e nel 1991 i Ministri dell'Ambiente degli

Stati Alpini hanno siglato a Salisburgo la Convenzione delle

Alpi. Oggi, la CIPRA segue l'attuazione della Convenzione

delle Alpi, gode dello status di osservatore ufficiale,

partecipa alle Conferenze delle Alpi ed è impegnata in

vari Gruppi di lavoro.

CIPRA Italia è nata nel 1992 a Torino, raccogliendo negli

anni l'adesione delle organizzazioni più impegnate nella

difesa dell'ambiente e dello spazio montano. CIPRA Italia

opera come un tavolo di lavoro aperto alla discussione sui

temi della sostenibilità e dello sviluppo sostenibile nelle Alpi,

per questo vengono organizzati incontri aperti, oltre che ai

delegati delle associazioni membre, anche ad esperti

dell'intero arco alpino italiano.

INU partecipa a CIPRA Italia da molti anni e si avvale di un

suo delegato. Dal 2012, su nomina congiunta delle Sezioni

Trentino e Alto Adige, ratificata dal Direttivo Nazionale, il

rappresentante in Cipra è il prof. Bruno Zanon,

Vicepresidente della Sezione Trentino, ed il socio

supplente l'arch. Alessia Michela Politi, della Sezione Alto

Adige.

http://www.cipra.org

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COSA È L’INU?L’Istituto Nazionale di Urbanistica è stato fondato nel 1930 per promuovere gli studi edilizi e urbanistici, diffondendo i princìpi della pianificazione. Lo Statuto, approvato con DPR 21.11.1949, definisce l’Inu come “Ente di diritto pubblico ... di alta cultura e di coordinamento tecnico giuridicamente riconosciuto” (art. 1).L’Inu è organizzato come libera associazione di Enti e persone fisiche, senza fini di lucro. In tale forma l’Istituto persegue con costanza nel tempo i propri scopi statutari, eminentemente culturali e scientifici: la ricerca nei diversi campi di interesse dell’urbanistica, l’aggiornamento continuo e il rinnovamento della cultura e delle tecniche urbanistiche, la diffusione di una cultura sociale sui temi della città, del territorio, dell’ambiente e dei beni culturali.

LA SEZIONE “TRENTINO”Dopo molti anni di “affiliazione” alla sezione della Regione Veneto i membri effettivi presenti in Regione hanno costituito, nel 1985, la sezione Trentino-Alto Adige dell’Istituto, inizialmente suddivisa in due “comitati” per poter rispondere meglio alle specificità normative e legislative delle due provincia autonome. Per questo, nel 1993 i due comitati si costituiscono in sezioni autonome provinciali.L’attività della Sezione Trentino si concentra nella promozione di convegni, seminari di studi, corsi di formazione, studi che abbiano come oggetto le trasformazioni del territorio. La sezione è storicamente dotata di un foglio informativo che nel 2008 è diventata rivista riconosciuta dal tribunale: Sentieri Urbani. COME ASSOCIARSI Per associarsi all’Istituto Nazionale di Urbanistica occorre presentare al Presidente della Sezione di competenza (per residenza o luogo di lavoro) una domanda sottoscritta da due Membri effettivi dell’Istituto e accompagnata da un breve curriculum e dalla ricevuta di pagamento della quota associativa per il primo anno. Il Consiglio direttivo locale approva le domande e le trasmette alla sede nazionale per la ratifica e la registrazione.Per gli Enti pubblici che intendono associarsi è sufficiente inviare alla sede nazionale dell’Istituto la delibera degli organi competenti contenente anche l’impegno di spesa per la prima quota annuale. Per contatti e ulteriori informazioni: Segreteria INU Sezione Trentina (arch. Elisa Coletti, [email protected] ).

INU: eletti i vertici della “sezione Trentino”Ulrici alla presidenza

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31 maggio 2012: un duplice impegno per la sezione trentina di Inu. Incontro “Gestione e pianificazione delle aree produttive: una ricerca di Inu Alto Adige-Südtirol” e assemblea elettiva. Molte ore piacevolmente trascorse in un intreccio di riflessioni attinenti il tema delle aree industriali, di ragionamenti in merito a impegni e obiettivi che la sezione ha assunto per il prossimo biennio e di considerazioni inerenti la nomina del nuovo direttivo.Numerosi i soci presenti e i membri del direttivo uscente, forte e sincero l'interesse di tutti.L'assemblea si è aperta con la relazione della Presidente, Giovanna Ulrici, che è intervenuta descrivendo gli obiettivi perseguiti nell'ultimo biennio dalla sezione Trentino, caratterizzati da un forte rinnovamento del proprio ruolo nel contesto culturale e professionale trentino e da una intensa produzione nel campo culturale, anche a livello nazionale, divulgativo ed editoriale, tramite la rivista Sentieri Urbani.Ulrici ha inoltre informato della nomina del prof. Davide Geneletti, membro del Direttivo uscente, quale rappresentante sostituto delle Associazioni Ambientaliste nel Comitato Provinciale per l'Ambiente.L'Assemblea è stata occasione per comunicare la nomina del prof. Bruno Zanon quale rappresentante nazionale di INU in CIPRA (Commissione Internazionale per la Protezione delle Alpi). Il segretario uscente, Elisa Coletti, ha poi richiamato gli obiettivi che il direttivo ha perseguito nel corso dell'ultimo biennio, ricordando inoltre gli impegni già assunti ma non ancora portati a termine e quelli in corso di definizione. L'intero direttivo ha tracciato, molto brevemente, il quadro delle attività messe in calendario per il 2012, allargando il ragionamento anche agli impegni per il 2013.A seguire la presentazione del bilancio, curata dal Tesoriere Alessandro Franceschini, e l'approvazione dello stesso.Poi la raccolta delle candidature con i consueti chiarimenti sui ruoli e sulle mansioni di ciascuna figura. L'assemblea ha quindi eletto, all'unanimità, i nuovi componenti del direttivo (in ordine alfabetico): Elisa Coletti, Alessandro Franceschini,Davide Geneletti, Marco Giovanazzi, Paola Ischia, Giovanna Ulrici e Bruno Zanon. 18 giugno 2012: nomina delle cariche istituzionali. Il Direttivo INU della Sezione trentina si è riunito in convocazione ordinaria a seguito del rinnovo in occasione dell'Assemblea elettiva.La Presidente uscente, Giovanna Ulrici, ha aperto l'incontro, richiamando i contenuti dello Statuto e le modalità di assegnazione degli incarichi interni al Direttivo, invitando i presenti a dichiarare la propria disponibilità a candidarsi. Dopo ampia discussione si individuano le seguenti figure: Presidente: G. Ulrici; Vice presidente: B. Zanon; Segretario: E. Coletti; Tesoriere e Coordinatore Urbanistica Informazioni: A. Franceschini.A fronte della proposta formulata in sede di Assemblea e avvallata dai soci, attinente la creazione di una rete di confronto e collaborazione continua e diretta, tra il direttivo ed i soci è stato inoltre proposto e deliberato di organizzare direttivi in forma “allargata”, a garanzia di un migliore e più diretto coinvolgimento delle parti e per facilitare la costruzione di gruppi di lavoro sui temi e i programmi per il biennio raccogliendo manifestazioni di interesse, valorizzando forme snelle ed efficaci di comunicazione.

(e.c.)

Inu/TrentinoChi siamo, cosa vogliamo, come partecipare

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Oggi la città è stato un ciclo di incontri aperti alla cittadinanza, rivolti a un pubblico ampio, per riflettere collettivamente sulle forme e le trasformazioni del vivere urbano contemporaneo. Si tratta di un una serie di appuntamenti organizzati dall'associazione Professional Dreamers in collaborazione con la sezione Trenino dell'Istituto Nazionale di Urbanistica, l'Ordine degli Architetti PPC della provincia di Trento, Dipartimento di Sociologia e Ricerca Sociale dell'Università di Trento e con il sostegno della Fondazione Cassa Risparmio di Trento e Rovereto. Il ciclo è stato curato da Alessandro Franceschini e Andrea Mubi Brighenti.Negli incontri si è cercato di portare insieme studiosi, amministratori e cittadini, proponendo di superare risolutamente il piatto schema “domande della cittadinanza – risposte dell'amministrazione”, per andare ad esplorare in profondità la pluralità di pratiche e di immaginari che intervengono nell'articolazione dello spazio comune della città. A tal fine sono stati invitati una serie di giovani ricercatori universitari provenienti da diverse discipline, che vanno dall'urbanistica all'antropologia alla sociologia.Il ciclo è iniziato il 2 febbraio presso la Sala Caritro. Giovanni Semi e Andrea Mubi Brighenti hanno presentato “lo Squaderno n. 21” dedicato al tema Abitare: prospettive sui molti modi di vivere nelle città (edizioni professionaldreamers, 2011). Dopo l'introduzione generale di Alessandro Franceschini è intervenuto Alberto Winterle dell'Ordine degli Architetti PPC di Trento. Il 16 febbraio presso la Sala degli affreschi, Adriano Cancellieri, Daniele Lamanna (introdotti da Francesco Gabbi) hanno affrontato il tema “Hotel-House day”. L'Hotel house (nella foto) è un caso unico ma al tempo stesso emblematico delle trasformazioni territoriali nell'Italia contemporanse, Progettato come mega residenze vacanza sulla costa marchigiana oggi è occupato da immigrati di diversa

provenienza, evocando così la retorica e il panico del ghetto segregato. Il 1^ marzo, presso la Sala degli affreschi, Azzurra Muzzonigro (introdotta da Silvia Alba) ha parlato de “La città rom-pidgin di Savorengo Ker”, ovvero il tentativo di realizzare una città meticcia aperta alle differenze e alla sperimentazione sociale. Il 15 marzo presso la Sala degli affreschi Mimmo Perrotta e Luca Lambertini (introdotti da Bruno Zanon) hanno presentato il volume “Bologna al bivio. Una città come le altre?”, un’interessante indagine su una città – come il capoluogo emiliano – che dopo anni di “buon governo” soffre una crisi di senso legata alla propria progettualità per il futuro. Il 29 marzo, presso la Sala Caritro Giovanni Attili, introdotto da Francesco Minora, ha parlato di “Planning, violenza e patrimonio”. Attraverso l'esperienza maturata nel corso di un'indagine presso le popolazioni native del Nord America. L'obiettivo è comprendere in che misura e come il processo di pianificazione possa effettivamente aprirsi agli abitanti di un determinato spazio.Il 12 aprile 2012 presso la Sala degli Affreschi, Paolo Barberi (introdotto da Giorgio Antoniacomi) ha presentato ho studio su “Il quartiere Tiburtino III a Roma” : una borgata romana che incarna gran parte dei miti, delle aspirazioni, e delle difficoltà che hanno accompagnato il processo di urbanizzazione della capitale.Il 26 aprile presso la Sala degli Affreschi, Elena Granata e Carolina Pacchi hanno presentato - introdotti e moderati da Giovanna Ulrici - “La macchina del tempo. Come leggere la città europea contemporanea” (Marinotti editore, 2011), mentre il 10 maggio Sala Caritro Jérôme Denis, David Pontille ha presentato “Nel mondo della segnaletica. L'ecologia grafica degli spazi del metrò” (edizioni professionaldreamers, 2011). Ha introdotto e moderato l’incontro Giovanna Sonda.

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L’INIZIATIVA

Oggi la città. Pratiche dell’abitare nellacittà contemporanea

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Biblioteca

Bernardo Secchi “Tra letteratura e urbanistica-Between literature and urbanism”

Giavedoni editore, Pordenone2011, 10 euro

Il volume, bilingue, è stato editato a seguito della lectio magistralis di Bernardo Secchi all’interno degli incontri di Pordenone legge - la città complessa, tenuta dall’urbanista il 18 settembre 2010. Nel volume Secchi riflette sul senso del mestiere dell’urbanista e, brevemente, sulla sua esperienza tesa a “studiare” molte città e molti territori in Italia, in Europa e nel mondo.La parte più significativa dello scritto è comunque dedicata al rapporto tra la disciplina e la latteratura: «di ciascuna città e territorio -scrive Secchi - ho cercato di conoscerne l’attività letteraria. Di leggere tutto: giornali e riviste, manifesti e volantini, documenti, rapporti di ricerca e relazioni di progetti, verbali e delibere contemporanei e del passato e, naturalmente, libri scritti da autori grandi e piccoli, noti e oscuri che in quella città e in quel territorio avevano vissuto e che quella città o territorio raccontavano. Non solo libri di urbanistica, ma romanzi, poesie, cronache; insomma tutto ciò che veniva scritto e letto in quei luoghi».Dopo aver rifelettuto anche sull’importaza delle «carte» per il mestriere di urbanista, Secchi indica quattro libri che possono essere miliari per imparare questa professione: e I suoi consigli possono spiazzare perchè non sono attinti, come si potrebbe pensare, ai classici volume della disciplina, ma ai classici della letteratura da cui si può imparare le qualità che servono all’urbanista: «uscire dalla biblioteca ed esplorare il mondo», «ricercare la verità e l’interpretazione giusta e pertinente del mondo», «sapere da che punto di vista si sta guardando il mondo: se da nani o da giganti» ed, infine, «sapere che la cartografia ci porta alla relatà ma non dice la verità».

Alessandro Coppola“Apocalypse Town”

Editori Laterza2012, 13 euro

Dalle praterie urbane di Youngstown, dove l'amministrazione comunale si è ormai ridotta a pianificare con zelo l'autodistruzione della città, all'industria del riciclo e della decostruzione di Buffalo, in cui attivisti visionari smontano con dovizia e con amore ciò che resta della città; dai deserti alimentari di Detroit e Philadelphia, dove sono scomparsi negozi e supermercati e gli abitanti si organizzano con geniali intraprese agricole, agli esperimenti di Cleveland dove fra le macerie della città sta prendendo forma un nuovo paesaggio de-urbanizzato: Alessandro Coppola racconta territori e popolazioni di un'America che non conosciamo, storie di persone che inventano nuovi modi di vita, perché da quelle parti sono in molti «a credere che il trovarsi ai margini dei grandi flussi dell'economia globale non sia più il problema da risolvere, ma la grande occasione da non sprecare».Tuttavia, spiega l’autore, nei crateri dello sviluppo torna a fiorire l’utopia: visioni del futuro spesso ingenue e irrealistiche, ma che in territori espulsi dalla corrente principale della storia vengono a rappresentare forze potenti di trasformazione delle società locali e di identificazione da parte delle popolazioni residue che le compongono. Se molto del pensiero utopico del diciannovesimo e del ventesimo secolo voleva edificare nuove città abbandonando le vecchie, nelle città della così detta Rust Belt negli Stati Uniti - Detroit, Cleveland, Flint e Youngstown, fra le altre - si sperimenta l’utopia proprio le rovine di queste ultime. Lì si sviluppano idee non certamente nuove ma che tornano ad essere credibili in città che, per riprendere le parole di uno dei testimoni presenti nel libro, «sono morte abbastanza per poter rinascere».

Francesco Infussi“Dal recinto al territorio”

Bruno Mondadori2011, 30 euro

I quartieri di edilizia sociale non godono di buona stampa. A Milano, come altrove, la loro storia sembra coincidere con l'evoluzione della cattiva fama che oggi hanno. Ricerche, progetti e politiche di riqualificazione hanno inoltre considerato spesso la città pubblica come ambito separato, enfatizzando i confini che la definiscono. Questa immagine stereotipata spesso impedisce di riconoscerne le qualità e le potenzialità. È quanto mai necessaria una rieducazione dello sguardo nei confronti di queste realtà, per riuscire a intervenire oltre il loro recinto ed entro più vasti settori urbani. Il volume esplora i differenti "territori" entro i quali è possibile collocare la città pubblica oggi a Milano, per conoscerla e per riqualificarla, ma anche per abitarla.«Guardare al progetto dell'housing sociale e alla riqualificazione della città pubblica (...) comporta forse un approccio differente da quello impiegato nel passato e governato dalla convinzione che la “perifericità” della città pubblica consista, innanzitutto, in una serie di “mancanze” tali da essere colmate (entro un'interpetazione Milano-centrica) solo aumentando le possibilità di collegamento con il centro che l'ha gemmata, stabilendo, o ristabilendo, quei legami che sembrano essere insufficienti.Come è possibile trasformare un problema, comunemente riconosciuto, diffuso e radicato nell'immaginario collettivo, in una risorsa di cui tutta la città può aspirare e servirsi?Una prima mossa comporta un ritorno al territorio. Per abbandonare le “idee ricevute” sulla città pubblica, forse occorre, innanzitutto, ritrovare la fertilità della “costatazione diretta»”.

rbanistadell’

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