39
Stefano Bandera Paola Giannelli Stefano Simonini Un anno in Veranda racconti per dodici mesi

Un anno di storie in Veranda

Embed Size (px)

DESCRIPTION

La Veranda è un luogo dove si raccontano storie, si conversa, si raccolgono riflessioni, si affronta la vita con serietà e una risata, si annusa il vento di primavera o si cerca refrigerio in estate. In inverno o in autunno è ideale per catturare un po’ di sole. È casa, ma è quasi all’aperto: un posto di passaggio che amiamo molto. Siamo in tre in Veranda, spazio di confronto quotidiano nato tra noi prima che diventasse un blog e queste sono dodici storie: in Veranda

Citation preview

Page 1: Un anno di storie in Veranda

Stefano BanderaPaola GiannelliStefano Simonini

Un anno in Veranda

racconti per dodici mesi

Page 2: Un anno di storie in Veranda

Un anno in Veranda

racconti per dodici mesi

Page 3: Un anno di storie in Veranda

Ad uso di prefazione

La Veranda è un luogo dove si raccontano storie, si conversa, si raccolgono riflessioni, si affronta la vita con serietà e una risata, si annusa il vento di primavera o si cerca refrigerio in estate.

In inverno o in autunno è ideale per catturare un po’ di sole. È casa, ma è quasi all’aperto: un posto di passaggio che amiamo molto.

Siamo in tre in Veranda, spazio di confronto quotidiano nato tra noi prima che diventasse un blog.

Questo ebook raccoglie dodici storie scritte nel corso di quasi un anno: storie che amiamo, che ci rap-presentano o ci sembravano adatte a rappresentare un mese ciascuna. Tutte sono state accolte con entu-siasmo, affetto e commenti mai ba-nali, che sono diventati parte inte-grante di quanto abbiamo scritto.

Agli amici della Veranda va il no-stro ringraziamento per avere reso pieno e interessante il nostro 2015, con l’augurio di uno splendido anno che verrà, accompagnato da nuove storie: in Veranda.

Page 4: Un anno di storie in Veranda

Stefano Bandera

Il gioco del mondo

Cammina sulla striscia nel mezzo della strada. Ogni tanto si sposta a sinistra, per vedere le auto scar-tare di lato. Quando sente quelle dietro a lui, sulla destra, si ferma, alza il piede destro, apre le braccia e resta in equilibrio, ad occhi chiu-si. Faceva lo stesso quando giocava a mondo. Saltava da un quadrato all’altro, tenendo gli occhi chiusi, inseguendo un tappo di aranciata. Era così bravo da non sbagliare mai.

Adesso il mondo è una striscia. Lui la segue, camminando di notte. Vede i fanali delle auto che arri-vano. Si sposta. Guarda le auto che sterzano a sinistra, per evitarlo.

Che gioco stupido il gioco del mondo. Salti avanti e indietro per sette, otto, nove volte e alla fine resta tutto uguale. È come quando segui questa striscia; ti sposti un po’ a sinistra e poi ti tiri indietro e resta tutto uguale.

Cambiamo regole. Adesso tiro il tappo un po’ più in là.

4

Gennaio

Page 5: Un anno di storie in Veranda

Stefano Simonini

Il sabatodel signor Giovanni

Il sabato è un giorno di festa per il signor Giovanni. Si alza presto, come ogni mattina, ma il sabato, dopo colazione, si concede un lun-go bagno caldo, si rade per bene, lavorando di fino all’interno delle rughe che solcano il suo bel viso da ottuagenario, si veste di tutto punto, con l’abito buono e la cra-vatta a righe, e alle otto e trenta in punto esce traballante di casa.

Si avvia con passo malfermo, ma deciso, il signor Giovanni – ha ap-pena compiuto ottantanove anni – verso la fermata dell’autobus. Quando le porte si aprono, lui sale e si siede al primo posto a sinistra, quello che gli autisti gli riservano da cinque anni, da quando ogni sabato, col bello o il cattivo tempo, lo occupa per andare al cimitero.

Va a trovare la sua Rosa, che lo ha lasciato una mattina di primave-ra quando, ormai completamente sorda e testarda come una bam-bina capricciosa, ha continuato a dormire, lasciandolo solo a tirare a campare. Quando arriva al capo-linea, fa una prima tappa al chiosco

5

Febbraio

Page 6: Un anno di storie in Veranda

della signora Tullia, che gli ha già preparato il suo mazzo di tulipani rossi, i fiori preferiti dal suo amore. Di figli non ne sono mai arrivati e il bene e il reciproco rispetto che si sono scambiati in sessant’anni di vita insieme sono stati tutto per loro, in quella casa comprata con tanti sacrifici che li ha visti in-vecchiare insieme, sostegno uno dell’altra.

Lui l’aveva sempre sperato, dentro di sé, di andarsene via per primo, perché la sua Rosa, come tutte le donne, era quella più forte e si sarebbe arrangiata meglio in que-sta vita ormai troppo solitaria e si-lenziosa, per lui, senza la voce ras-sicurante di lei che gli racconta di giorni nuovi ancora da venire e di progetti così piccoli da sembrare grandissimi quando ci si vuole an-cora bene.

Arrivato alla tomba, dopo averla pulita per bene e avere cambiato i fiori della settimana prima, si siede e comincia a parlarle, a raccontarle i suoi giorni sempre uguali e quel dolore nel petto che non lo abban-dona mai e di come le ossa fanno sempre più male, che non c’è lei ad alleviargli le pene con una parola buona, anche se a volte gli sem-bra di sentire la sua voce che lo chiama.

Febbraio

Page 7: Un anno di storie in Veranda

Quando è ora di tornare a casa, la saluta sempre con lo stesso pensie-ro, tirami lì Rosa, tirami lì insieme a te, mentre le soffia un bacio leg-gero e con una mano accarezza la pietra sotto cui riposa la sua amata; quel grande letto di eternità sul quale un giorno potranno dormire ancora insieme.

Febbraio

Page 8: Un anno di storie in Veranda

Paola Giannelli

Se le personeassomigliassero al postoin cui sono nate

Sarei brulla in estate e rigogliosa in primavera, profumerei di salvia e rosmarino, basilico e salsedine, struggente in inverno e languida in autunno. Sarei ricca di strade che si toccano ad angolo retto nella parte più visibile di me e un intrico di viuzze strette strette nel-la parte più antica e nascosta, per ostacolare le invasioni e le ruberie dal mare. Così numerose che ho perso il conto.

Sarei una blatta schiacciata, in es-tate, che resta per strada a pancia in su, senza che nessuno pensi di scriverci un libro; puzza di cas-sonetti lasciati marcire al sole e oggetti abbandonati. Stanze bi-slacche, dimenticate tra le auto e i marciapiede: un letto, un mate-rasso, una credenza, un cassetto sfondato, un sacchetto di scarpe, resti di enciclopedie che non im-portano a nessuno.

Autostrade che iniziano, a volte, senza finire da nessuna parte e oleandri che schiaffeggiano i fine-

8

Marzo

Page 9: Un anno di storie in Veranda

strini dell’auto, ogni anno, per ogni viaggio d’estate.

Le pale dei generatori eolici salu-tano al confine, come giganti miti pronti all’abbraccio. Oltre, campi gialli di grano e fieno, che avreb-bero fatto impazzire di gioia Van Gogh e un ulivo intrecciato come due amanti.

Sarei un gigante, un pittore, una strada che non riesce a portare in alcun luogo e un uomo e una donna che si amano, al ritmo del vento.

E scogli, scogli appuntiti e alghe ancorate al fondo, che fa paura metterci i piedi, che non lasciano le acque trasparenti, mai, anche quando sono limpide. Odore di mare acre e intenso, di una seppia cruda e croccante che ti lascia il sapore dell’acqua salata in bocca. Sarei aroma di frittura, un panze-rotto che scotta la lingua e vociare incessante di giorno e di notte. Caotica e saggia, sarei maestra nell’aspettare, visto che altro non potrei fare.

Sarei un dialetto duro come pietre sbattute le une sulle altre – pietra di Murgia, sassi di trullo e di ca-stelli ottagonali – che ha dimenti-cato tutte le vocali lungo una storia

Marzo

Page 10: Un anno di storie in Veranda

che ha intrecciato rumore sordo di eserciti romani in marcia, danze normanne e sangue di moro. E al-tro ancora.

Avrei metà di me in cielo e metà in mare, strana chimera che cerca fa-ticosamente terra e non ha capito che può anche spiegare le ali.

Marzo

Page 11: Un anno di storie in Veranda

Stefano Bandera

La rosa è senza perché

Prese la moneta e se la tolse dalla tasca. Un euro. L’ultimo che aveva. Non per quel giorno: l’ultimo per sempre. Che cosa si compra con un euro? Mezzo litro di latte e tre panini. O un pacchetto di biscotti secchi, piccolo. Qualche banana. Due mele. Un caffè. Non beveva un caffè da due giorni. Guardò la moneta. Che ora era? Alzò gli oc-chi verso il campanile. Le dieci e cinque. Un caffè. Entrò nel bar all’angolo della piazza.

«Un caffè» chiese, tenendo la mo-neta tra le dita. «C’è n’è uno sospe-so» rispose il ragazzo dietro il ban-co. Preparò il caffè e glielo mise davanti. Lo bevve a piccoli sorsi, lentamente, osservando la moneta. Un euro qualunque, banale, senza nulla di diverso dagli altri. Uscì salutando. Attraversò la piazza e si diresse verso il parco. C’era il sole. Camminò per un po’ sotto gli al-beri, poi si fermò su una panchina. Avrebbe voluto leggere qualcosa, ma non aveva niente. Poco più in là, su un’altra panchina, vide qual-cosa che sembrava una rivista. Si avvicinò e la prese in mano. Era un fumetto. Da quanto non ne leggeva

11

Aprile

Page 12: Un anno di storie in Veranda

uno? Guardò la copertina. 5 euro. Non avrebbe nemmeno potuto permetterselo. Lo sfogliò. Super-eroi di cui non conosceva il nome. Combattimenti. Colori. Esplosioni. Lunghi dialoghi di cui riusciva a stento a interpretare il senso, per-ché rimandavano a episodi prece-denti che gli erano completamente sconosciuti. Poi una frase, pro-nunciata da un uomo in tuta vio-la, maschera verde sul viso, l’aria torva: «Non si piange sulla propria storia, si cambia rotta».

Mise giù il giornaletto e se ne andò. Pensò che non gli sarebbe dispiaciuto andare in giro con una tuta viola. Poi incontrò il pakistano che vendeva le rose. Lo conosceva, gli mostrò la moneta. L’altro disse: «Tre euro». Lui sorrise: «Ho solo questa». L’altro prese una rosa dal cesto e gliela mise in mano. Lui la prese, ne accorciò il gambo e la in-filò nell’occhiello della giacca. Fi-schiettando si diresse verso casa, mentre nell’aria, come una bac-chetta, faceva oscillare il resto del gambo.

Aprile

Page 13: Un anno di storie in Veranda

Stefano Simonini

Il vostro cane

Cari Jean-Michel e Stefano,

è stato bello essere il vostro cane, nei quasi diciotto anni che abbia-mo vissuto insieme.

Siamo andati alla scoperta del mondo e camminato su strade di spensieratezza; abbiamo attraver-sato gli anni – tutti i miei e buona parte dei vostri – e ci siamo guar-dati invecchiare ridendo.

Mi avete amato tanto perché sono stato un dono d’amore – fatto dall’uno all’altro – e mi avete fatto sentire importante ogni giorno; vi siete presi cura di me con tenerezza e devozione e anche quando la vita vi ha chiusi dentro le difficoltà, io sono sempre stato al primo posto dei vostri pensieri.

Sono stato felice ogni giorno della mia vita.

Adesso siete tristi, ma tra qualche tempo il dolore si attenuerà e io continuerò a vivere dentro ai vostri sorrisi. Perché anche se non mi ve-dete, sono ancora lì con voi: nel quadro che Jean-Michel ha fatto

13

Maggio

Dipinto di Mish

Page 14: Un anno di storie in Veranda

di me e sul quale oggi, dopo che me ne sono andato, ha attaccato la targhetta col mio nome; nei piccoli racconti di Stefano, che con poche parole sanno raccontare tutti i no-stri giorni insieme; nelle fotografie che documentano la mia lunga esistenza, dal primo all’ultimo giorno; nei vostri cuori tumultuosi, dentro i quali continuerò a occu-pare un posto grande grande.

Grazie di non avermi fatto soffrire inutilmente, e di avere scelto per me quello che anch’io avrei scelto per voi, perché ormai era arrivato il tempo di partire.

Allora ricordatemi, ricordatemi sempre con il sorriso sulle lab-bra, perché è così che mi ricorderò io di voi: il vostro piccolo mostro peloso, che adesso è diventato leg-gero come il cielo e corre spensie-rato tra le nuvole.

Vostro per sempre, Ninou

P.S.Ninou è stato il nostro cane, mio e di Jean-Michel, per tantissimi anni. Cre-do che se ci avesse scritto un’ultima lettera l’avrebbe scritta così. Lo ab-biamo sempre amato. Negli ultimi istanti, certo, ancora di più.

Maggio

Page 15: Un anno di storie in Veranda

Paola Giannelli

È stata una buona giornata

La giornata era finita in una strana notte, mai vista prima, anche se avevo trascorso lunghi periodi in quella baita, soprattutto d’estate.Da lì si vede tutta la valle e da bam-bina non mi stancavo di guardare. Mi sedevo sui gradini di pietra e fantasticavo. Avevo quattro, sei, un-dici, quattordici anni, poi niente più casa e fantasticherie. Capita che i luoghi vengano dimenticati, finché si prova a risvegliarli, in cer-ca di ricordi.

L’autunno è la stagione più bella nella valle. I filari di vite ingialli-scono senza perdere le foglie, l’erba è ancora verde, gli alberi, spogliandosi, azzardano nuovi toni di rosso e arancio. Non fa freddo e vien voglia di dipingere, fotogra-fare, racchiudere ogni immagine nella memoria, sapendo che non riuscirai mai a fissarle in una vi-sione d’insieme. Siamo esseri che sanno scovare particolari, ma fanno fatica a metterli insieme. Si tratti della vita o di una valle.

Alle spalle della casa, protetto da un parapetto di pietra, il bosco prosegue gentile, non troppo fitto,

15

Giugno

Page 16: Un anno di storie in Veranda

con querce alte e sottili. C’è anche un sentiero brevissimo e dopo un centinaio di passi si apre alla vista un grande prato. Ero contenta di essere tornata in baita in autunno.

La giornata era passata ad arieg-giare stanze, materassi e cuscini, controllare camini, aprire e chiu-dere armadi, lottare con castelli di ragnatele e insetti morti, liberarsi di provviste scadute da tempo. I vicini si chiedevano se fossimo fi-nalmente tornati. La casa si risve-gliava lentamente.

Arrivata la sera, feci un ultimo giro intorno. Oltre le cime degli alberi si intravedeva la luna piena, ema-nava una luce intensa, come un piatto di alabastro visto in contro-luce. Per guardarla bene, senza al-beri a spezzarne il cerchio perfetto, dovevo raggiungere il prato. Guar-dai il sentiero scuro e poi in fondo il leggero chiarore della valle e rimasi immobile, terrorizzata senza sapere perché, dimenticando che alcune paure nascono da grandi tristezze.

Erano anni che non sperimentavo la paura dei bambini: un senti-mento cieco, che entra nelle ossa, freddo, di vulnerabilità assoluta, credo assomigli alla morte.

Giugno

Page 17: Un anno di storie in Veranda

Sentivo i rumori della notte, forse un cinghiale, le ghiande che cade-vano ogni tanto, le foglie scricchio-lavano; non era questo a spaven-tarmi, ma un centinaio di passi da fare, come un ultimo miglio.

Allora mi tornarono tutti in mente, li immaginai come non li ho mai visti insieme. Un uomo non an-cora vecchio e già curvo che si al-lontana lentamente con le braccia dietro la schiena, l’incedere è lento e un po’ storto, non si volta più in-dietro; una donna che si sposta da un lato all’altro del sentiero come un giocoliere, cercando di tenere ogni cosa in equilibrio come ha fatto per tutta la vita; un ragazzo che volta la testa da un’altra parte e smette di vedermi, e ancora lo fa, e due bambini sempre troppo pic-coli.

Niente altro nel mio ultimo miglio. Quello da attraversare. Nessun amore, rancore o delusione, lavori belli o brutti, case, viaggi, amici veri o falsi; una folla di persone ed eventi che scomparivano da-vanti a quella famiglia sganghe-rata, sempre pochi passi davanti a me, ingombrante, ora poco più di un’ombra che non sarebbe più riuscita a nascondere la vista della valle.

Giugno

Page 18: Un anno di storie in Veranda

«Ehi!…» Piero attirò la mia atten-zione sporgendosi dal finestrino e illuminandomi con i fari dell’auto «sali, ho chiuso tutto». Lampeg-giava per gioco.«Che facevi lì al buio?» mi chiese in auto facendo manovra«Volevo arrivare al prato per ve-dere la luna sulla vallata»«Dai, la prossima volta. È tardis-simo » poi mi chiese con dol-cezza «la giornata è stata come te l’aspettavi?»«Sì, è stata una bella giornata».

Mi prese una mano, la portò alle labbra, poi la riappoggiò accanto a sé. Ombre, erano soltanto ombre.

Giugno

Page 19: Un anno di storie in Veranda

Stefano Bandera

Due ragazzi sulla spiaggia

Si incontravano in fondo alla spiaggia, vicino a uno scoglio a forma di sella. Lei sedici anni, lui quattordici. Nessuno dei due capiva la lingua dell’altro, eppure non facevano altro che parlare. Parlavano della spiaggia, dei ba-gnanti, del mare, dello scoglio a forma di sella, dell’orizzonte, del sole: anche d’amore.

Lui era innamorato, lei no. A lei piaceva la spiaggia, a lui no. Tutti e due amavano il mare. Però non si capivano e quindi nessuno sapeva cose pensasse l’altro. Non avevano paura di essere disturbati perché vicino allo scoglio a forma di sella il mare puzzava un po’. Forse era l’odore delle alghe che marcivano, forse uno scarico nascosto fra le rocce: così non c’era mai nessuno a parte loro due.

Ogni tanto si mettevano seduti sul-lo scoglio, lei davanti e lui dietro, e facevano finta di cavalcare il mare. Anche in quelle occasioni diceva-no cose, lanciavano strilli, magari cantavano, ma ciascuno nella pro-pria lingua. Quando il sole toccava le cime dei pini sulla piccola isola

19

Luglio

Dipinto di Claudio Malacarne

Page 20: Un anno di storie in Veranda

di fronte, ritornavano verso gli om-brelloni e le cabine.

«Dove andate ogni giorno tu e tuo fratello?» chiede un giorno la ma-dre, mentre lei e la figlia si vestono in cabina.

«In fondo alla spiaggia, allo scoglio a forma di sella.»

«E cosa fate?»

«Parliamo.»

Luglio

Page 21: Un anno di storie in Veranda

Paola Giannelli

Pranzo in famiglia d’estate (polifonia d’agosto)

In terrazza, il lungo tavolo era ap-parecchiato sotto il pergolato di boungavillea. Oltre gli alberi da frutto e il muro di recinzione, in lontananza, si vedeva il mare. Sulla sinistra e sulla destra campi colti-vati. Girasoli e granturco non an-cora alto.

«Ho detto che volevo una porzione piccola» sibilò, non udito dagli al-tri commensali, l’uomo alto con il pizzetto che ingrigiva, rivolgen-dosi a sua moglie. La donna, che gli stava porgendo un piatto di pastasciutta fumante, alle sue pa-role portò indietro le spalle, quasi a indietreggiare. Lo guardò stupita e rientrò in cucina attraverso la porta-finestra, portando indietro il piatto. L’uomo rimase seduto a fissare il tovagliolo piegato a trian-golo sulla tavola, giocando con la mollica del pane. Si sentì astioso e insofferente. Da molto tempo. Era stufo di sentirsi dire cosa fare e non fare, come era meglio che le cose andassero sistemate, ascol-tare suggerimenti. Voleva tornare a sentirsi libero di sbagliare. Del suo matrimonio davvero non ne poteva

21

Agosto

Page 22: Un anno di storie in Veranda

più. Era inutile girarci attorno. Ap-pallottolò il tovagliolo e si versò un bicchiere di vino. Rise a una bat-tuta oscena.

La donna, rientrata in cucina, svuotò mezzo piatto di pastasciut-ta nella scodella, poi l’altra metà. Era qualche settimana che lui era irritabile. Non ricordava quando avesse smesso di sorridere alle sue gentilezze; di solito scherzava con lei per le porzioni abbondanti. Doveva fare qualcosa, lo sentiva lontano. Le mani le tremarono leggermente mentre riempiva un piatto pulito con una piccola por-zione di pasta. Ancora più piccola di come probabilmente lui la de-siderava. Scambiò qualche parola con l’uomo e la donna davanti ai fornelli, disse loro che mancava-no ancora otto piatti in tavola. Il ragù di carne spandeva in cucina un’aroma irresistibile.

L’uomo anziano a capotavola, sol-lecitato dagli altri commensali, si alzò lentamente, osservò il bam-bino di cinque anni che avevano giocosamente fatto accomodare all’altro capo: il più grande e il più piccolo, uno di fronte all’altro. Guardò oltre la testa ricciuta del bambino il campo di girasoli e alzò una mano per salutare il vicino che pranzava insieme a sua moglie

Agosto

Page 23: Un anno di storie in Veranda

in giardino. Raddrizzò la schiena e sfoderò un ampio sorriso per il brindisi. Avrebbe dovuto raccon-tare molte cose, non tutte allegre, altre davvero belle, ma non aveva voglia di parlare, si sentiva un po’ stanco e un po’ in pace, e con gli anni preferiva osservare, senza rac-contare. Si limitò a ringraziare tutti, poi si riaccomodò, chiuse gli occhi e desiderò sentire qualche goccia di pioggia sul viso, o il vento leg-gero dell’estate, pedalando in bici verso il mare. Nient’altro.

La donna seduta alla sua sinistra si disse, guardandolo, che erano davvero simili lei e suo padre: lo stesso modo di atteggiare il corpo, aspettare un attimo per scegliere le parole e guardare l’interlocutore negli occhi prima di parlare. E il sorriso. Almeno altri tre lo sfog-giavano a quel tavolo. Ma questo era ininfluente per la sua felicità e nella sua vita, da un pezzo. Era solo un accadimento della genetica. Strinse forte la mano dell’uomo dai capelli rossi che, seduto accan-to, le cingeva la vita e ringraziò il fato, la buona stella, la casualità – o chiunque governi il destino degli uomini – di averlo messo sulla sua strada.

L’uomo che le cingeva la vita la guardò, sorpreso da quella pres-

Agosto

Page 24: Un anno di storie in Veranda

sione improvvisa della mano, girò il viso per sorriderle e pensò che era bellissima, lo sarebbe rimasta per sempre e gli riempiva il cuore e la vita. Prima di sollevare il bic-chiere per il brindisi, pensò che in quel posto stava benissimo. E in qualsiasi posto lei gli fosse accan-to. Poi guardò l’uomo che faceva fotografie agitarsi.

L’uomo con la macchina fotografi-ca al collo si disse che forse, a qua-si cinquant’anni, avrebbe dovuto smetterla di fare il buffone, non ne aveva più voglia, ma gli altri se lo aspettavano e se provava a restare in silenzio, si affrettavano a tirarlo fuori dal breve isolamento che a volte cercava. Tanto valeva conti-nuare a fare il guitto e riservare le malinconie ai momenti di solitu-dine. L’ultima fotografia, prima di portare il bicchiere alla bocca, fu per sua sorella. Anche lei parlava, parlava, parlava. L’uomo non sop-portava che avesse smesso di pren-dersi cura di sé. E quella orribile camicia a fiori. Chissà dove l’aveva pescata.

La donna con la camicia a fiori guardava suo figlio con tenerezza, qualche posto più in là. Si vedeva benissimo che la ragazzina seduta accanto gli piaceva: continuava a muoversi sulla sedia senza saper

Agosto

Page 25: Un anno di storie in Veranda

che fare. Avrebbe voluto dirgli qualcosa per aiutarlo, esortarlo, ma doveva anche smettere di farlo. Si sistemò il colletto della camicia. Una qualsiasi brutta camicia. Per sentirsi libera di scomparire den-tro una divisa brutta. Per un attimo si stupì del saluto dell’uomo nel giardino accanto, poi capì che non era per lei.

L’uomo in giardino guardò la ter-razza della villa. Ogni anno lui e sua moglie facevano la stessa cosa: aspettavano che i vicini si acco-modassero a tavola, poi si sede-vano all’aperto anche loro. Era come stare in compagnia, senza l’obbligo di sopportare degli estra-nei. Ridevano di quel trucco che serviva a farli sentire meno soli; un po’ mangiavano, un po’ criticavano bonariamente, ridendo di sé come ragazzini che credono di saper prendere in giro il mondo.

L’uomo anziano a capotavola, dopo aver fatto tintinnare il bicchiere con la lama del coltello, ringraziò tutti di esserci anche quell’anno. Un brusio allegro si levò dalla ta-vola nel rispondere al brindisi. La giornata era superba. Un cielo di velluto pettinato di azzurro e blu li sovrastava. Guardò tutti, uno per uno, figli, amici, parenti. La vita sembrava avere un suo disegno per

Agosto

Page 26: Un anno di storie in Veranda

procedere, questo era l’importante. Si risedette. Aspirò a pieni polmo-ni l’aroma che veniva dal tavolo. Non era solo buon cibo. Lo sapeva bene. Con qualche punta di amaro, era comunque un buon profumo.

Agosto

Page 27: Un anno di storie in Veranda

Stefano Simonini

Una sola moltitudine

Avevo deciso di non partecipare alla cena di vecchi compagni del liceo a cui ero stato invitato. Poi, prendendo discretamente infor-mazioni, ho saputo che tu vivi lon-tano e, sicuramente, non ci saresti stato. Così la curiosità ha preso il sopravvento: c’erano alcuni ami-ci, perduti di vista da tempo, che avrei rivisto volentieri. Trascinato dall’entusiasmo di alcuni di loro, alla fine ho deciso di esserci.

Eccomi qui. Sono passati tren-tacinque anni dall’ultima volta in cui ci siamo visti. Molte delle persone che, al mio arrivo, mi sa-lutano sorridendo, non le avrei riconosciute se le avessi sfiorate per strada. Il tempo ha fatto il suo lavoro, ha trasformato – spesso ir-rimediabilmente – i bei visi di quei ragazzi dai fisici scattanti, plasmati sui campi da calcio, che un tempo erano stai per me desiderabili.

Ci addentriamo goliardici nel mon-do dei ricordi condivisi, quando, inaspettatamente, si apre la porta del ristorante e la tua voce, improv-visa, mi colpisce come un colpo alla nuca: la riconoscerei tra una

27

Settembre

Page 28: Un anno di storie in Veranda

moltitudine, anche se i toni pacati di oggi sono quelli di un uomo a me sconosciuto, privi delle note acute e improvvise del ragazzo che un tempo avevo amato.

Mi volto a guardarti, arrossisco vio-lentemente: sei lì davanti a me, e la bellezza spensierata del giovane di un tempo ha lasciato spazio alla sensualità matura dell’uomo di oggi. Saluti tutti e mi lasci per ulti-mo. Quando ci stringiamo la mano e mi tiri contro di te in un abbrac-cio maldestro, stiamo tremando entrambi.

Occupi l’unico posto rimasto libero dall’altra parte della lunga tavolata – avrei dovuto capirlo che saresti arrivato – e per tutta la cena i nostri occhi si cercano. Continuiamo a sorridere evitando di guardarci troppo, timidi e im-pacciati come gli adolescenti di un tempo, che cercavano di ser-bare un segreto che non era se-greto per nessuno.

È notte fonda quando usciamo tut-ti in strada, rumorosi ed ebbri per il troppo cibo, il vino e le parole senza sosta che hanno cercato di raccontare il tempo che ci ha visti vivere altre vite. Alla fine, restiamo soltanto noi due. Sei arrivato in moto – hai trascorso la giornata

Settembre

Page 29: Un anno di storie in Veranda

nella vecchia casa di tua madre – e, senza dire una parola, mi allunghi un casco. Partiamo veloci. Guidi sicuro e attento, nella notte, men-tre io mi stringo a te – ho sempre avuto paura delle tue corse speri-colate, quando volevamo fuggire dal mondo –. So con certezza dove stiamo andando.

Arriviamo nel villaggio sul lago, dove i tuoi genitori hanno una casa e dove andavamo, nei mesi di scuo-la, con la scusa che quell’eterna tranquillità ci permetteva di studia-re meglio. Scendiamo alla piccola spiaggia nascosta, rifugio silen-zioso dell’amore senza parole che ci aveva travolti come un uragano. Restiamo lì, stretti l’uno all’altro, ad aspettare il sorgere del sole.

Non parliamo neanche ora. Ascol-tiamo i nostri respiri. Le mani in-trecciate e il calore dei nostri corpi che profumano ancora di giovinez-za; che non avevo mai dimenticato. All’improvviso, nonostante il tem-po andato e perduto, io so tutto di te e tu di me. Abbiamo riempito i giorni che ci hanno tenuti lontani. Abbiamo ritrovato il passato che ci ha separato, scoperchiando la tom-ba di un amore che un tempo ci era sembrato eterno. Mentre è ora di tornare nel mondo, alle nostre vite, per sempre.

Settembre

Page 30: Un anno di storie in Veranda

Paola Giannelli

Non si puòpossedere nessuno

Stronza. Che vuole dal mio uomo. Sfascia famiglie. Se lo tenga. Le rompo la faccia.

Come parl io che non uso il turpi-loquio e la violenza e non mi sono mai scagliata contro un’altra don-na, a cosa penso. Non credo di aver detto il mio uomo prima d’ora, da sola, a mezza voce. Ha il sapore di donne che si accapigliano in un biliardo polveroso, con poca luce, in un paese sperduto.

Non si può possedere nessuno. Neanche se l’altro lo chiede e tu lo vuoi. In questa vita si entra in punta di piedi, si esce in fretta e nessuno appartiene a nessuno.

Silenzio in casa e fuori. Di stomaci gonfi e menti sonnolente, di cibo e d’estate. Ogni cosa dovrebbe in-vece gridare rabbia e lacerazione. Il tappeto, i quadri, il divano e i libri. Gli utensili della cucina e le lenzuola, persino il cestino della carta straccia e il flacone del ba-gnoschiuma. Mi hanno sfilato le ossa dalla pelle, dovrò cercarle, ma ora non voglio niente.

30

Ottobre

Page 31: Un anno di storie in Veranda

Solo affacciarmi al davanzale e a-spettare il passaggio delle stagioni, quante ce ne vorranno. Guardare in strada, immobile giorno e notte, lasciare che gli uccelli si appoggino sulle mie spalle in primavera e au-tunno e le piante nei vasi si attor-ciglino alle braccia. E poi pioggia, molto vento, e gelo. Ogni stagione per smussare la rabbia che diventa dolore.

Il silenzio della casa è rotto dal suono della pendola. Tic-tac. Suo-na le ore dei miei nonni. Una parte di melodia ogni quarto d’ora, fino all’ora piena con i suoi rintocchi. È un frammento ancora funzionante dei miei ricordi d’infanzia, spero mi plachino.

Socchiudo gli occhi e risento le voci nel cortile. La radio in estate oltre le finestre aperte. Il tintinnare di ceramica, vetro e metallo dopo pranzo. Le due sorelle matte al terzo piano che si scagliavano os-cenità e offese, ma dalle sette del mattino alle otto. Passavano il resto della giornata a perdonarsi.

Io contro lei, istintivo perché è semplice, arcaico, come quando – agli albori del mondo – doveva-mo cibarci di ossa spolpate e guai all’altra femmina che osava met-terci le mani; dimentiche che veni-

Ottobre

Page 32: Un anno di storie in Veranda

vano buttate a casaccio per terra. Anche noi, due donne matte. Io di rabbia, tu di felicità e un amore che inizia.

È una storia antica, sorella, di chi ruba e chi si fa rubare, mettendosi continuamente in bella vista, pron-to ad andare di mano in mano. E non siamo né io né tu.

Non so. Sono stanca. Provo ad uscire.

Ottobre

Page 33: Un anno di storie in Veranda

Stefano Bandera

Autunno

Quando ancora esistevano le mez-ze stagioni, si diceva «L’autunno sarebbe la stagione più bella se…». Quel se faceva capire che le mezze stagioni non sono mai esistite. Esi-stono le stagioni e l’autunno è la più breve. La più lunga, anche se ci appare sempre la più fuggevole, è l’estate.

L’autunno è la stagione delle foglie di Prévert e di Ungaretti, che ri-prendono un tema caro alla poesia fin dai tempi di Omero. L’autunno è giorni più corti, funghi, castagne, vino e un po’ anche resto d’estate. Quando la scuola cominciava il primo ottobre, uno dei primi temi in classe era Descrivi i colori dell’autunno, e giù pagine piene di arancioni, rossi e gialli accesi di cui, a noi bambini, interessava poco ma che, sapevamo, avrebbero fatto felice la maestra.

In un bosco d’autunno si apre il bivio della poesia di Robert Frost, Hikmet soffre nel veder cadere le foglie degli ippocastani «soprattut-to se passano dei bimbi, soprattut-to se il cielo è sereno». Nelle mat-tine d’autunno, Lorca vede i ragni

33

Novembre

Page 34: Un anno di storie in Veranda

tessere tra i rami «le loro strade di seta» ed Emily Dickinson, af-fascinata dalla sciarpa scarlatta dell’acero, si mette un gioiello. Ma l’autunno più gaio è di Pascoli, perché «Al cader delle foglie, alla massaia/ non piange il vecchio cor, come a noi grami:/ ché d’arguti galletti ha piena l’aia…/ zeppo, il granaio; il vin canta, nel tino.»

Novembre

Page 35: Un anno di storie in Veranda

Stefano Simonini

Nostro figlio

Adesso che sono passati quasi vent’anni da quando ci siamo in-contrati, certe sere, quando tu sei già andato a dormire e io resto solo, mi capita di pensare a come sareb-be potuto essere nostro figlio.

Non ha un sesso né un nome – io avrei preferito una bambina – ma sarebbe la somma delle nostre vite insieme: le culture dei paesi in cui abbiamo vissuto, nel miscuglio di colori e di lingue tutti diversi e uguali tra loro; le sfumature e i trat-ti della gente che abbiamo incon-trato, che ha influenzato il nostro essere e ha disegnato strade nuove, nella mappa delle nostre vite.

Parlerebbe perfettamente il fran-cese e l’italiano, e poi l’inglese, la lingua che abbiamo condiviso per tanti anni; e anche una nuova lin-gua, inventata solo per noi, fanta-siosa e bislacca, che al resto del mondo risulterebbe stravagante e incomprensibile.

Sarebbe bello come te, con la tua leggerezza nell’affrontare la vita e l’entusiasmo nello scoprire cose nuove; e un divoratore di libri

35

Dicembre

Page 36: Un anno di storie in Veranda

come me, smanioso di viaggiare attraverso il mondo e le parole, a imparare qualcosa di nuovo ogni giorno.

Tu, di noi due, saresti il più in-transigente, sempre pronto a sti-lare regole di comportamento: lo costringeresti a tenere la propria stanza in ordine maniacale; a lavar-si e cambiarsi più volte al giorno, a condividere con te tutti i piccoli lavori domestici.

Io lo vorrei fuori casa, libero di scoprire il mondo, a raccogliere i frutti della conoscenza, a percor-rere le strade degli errori; troverei giustificazioni per le sue scon-trosità e i suoi silenzi. Aspetterei il suo ritorno la notte, immobile nel letto, con gli occhi chiusi, per non trasmettere anche a te la mia ap-prensione, per potermi addormen-tare tranquillo, dopo averlo sentito scivolare in casa.

Nonostante quel che dicono di noi – che i figli dovrebbero crescere in una famiglia “tradizionale” – io lo immagino un essere felice e infe-lice come tutti i ragazzi, orgoglioso e insofferente di noi, come tutti i figli del mondo.

A volte immagino la sua voce – quel papà gridato per strada, che ci fa

Dicembre

Page 37: Un anno di storie in Veranda

girare entrambi – e lui che raccon-ta la sua storia, così diversa e così uguale a tante altre: un figlio e due genitori a formare una famiglia, la tavola apparecchiata la sera, le stesse identiche preoccupazioni e le stesse paure di ogni padre. I de-sideri e le prospettive per il futuro. Il primo amore e il primo dolore.

Una porta che si chiude perché è arrivato il tempo, anche per lui, di partire per la propria vita, e quel bene sedimentato in fondo al cuore, che ci ha resi, giorno dopo giorno, una famiglia qualunque e normale, nella sua singolare di-versità.

Dicembre

Page 38: Un anno di storie in Veranda

38

Un anno in Veranda

indice

Il gioco del mondoIl sabato del signor GiovanniSe le persone assomigliassero al posto in cui sono nateLa rosa è senza perchéIl vostro caneÈ stata una buona giornataDue ragazzi sulla spiaggiaPranzo in famiglia d’estateUna sola moltitudineNon si può possedere nessunoAutunnoNostro figlio

458

111315192127303335

Page 39: Un anno di storie in Veranda

Stefano Bandera Paola Giannelli Stefano Simonini

Nessuna parte di questo ebook può essere riprodotta o utilizzata salvo di-verse indicazioni esplicite degli autori © www.unaverandapertre.com

Progetto grafico e impaginazione: Stefano Bandera