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Parco Archeologico della Neapolis
Indirizzo: Via Paradiso, 14 - 96100 Siracusa
Coordinate: N 37.075941 - E 15.275167
ORARI DI APERTURA Tutti i giorni apertura ore 9:00 - chiusura un'ora prima del tramonto
(es. fino al 28 febbraio 9:00-16:30; fino al 30 marzo 9:00-17:30; dal 1 aprile e per tutta l'estate 9:00-19:15)
Chiusura 17:00 durante le Rappresentazioni Classiche
La biglietteria chiude un'ora prima dell'orario di chiusura
TARIFFE Intero € 10.00
ridotto € 5,00 (18/25 anni)
ingresso gratuito ogni prima domenica del mese
Gratis per i membri dell'Unione Europea al di sotto dei 18 anni
Biglietto Cumulativo Parco e Museo "Paolo Orsi" € 13.50 - ridotto € 7.00
Biglietto Cumulativo Parco e Villa Tellaro € 12.00 - ridotto € 6.00
Biglietto Cumulativo Parco e Galleria Bellomo € 13.50 - ridotto € 7.00
Biglietto Cumulativo Parco, Museo P.Orsi, Galleria Bellomo e Villa Tellaro € 24.00 - ridotto € 12.00
Un parco di monumenti tra i più famosi ed importanti al Mondo.
Il Parco Archeologico della Neapolis, situato nella parte nord-occidentale della città moderna, ed esteso circa
240.000 mq., è uno straordinario palinsesto della storia dell’antica Siracusa. Esso, frutto di una lunga e
difficile opera di salvaguardia negli anni Cinquanta, racchiude non soltanto la parte più monumentale della
città, ma anche una densa serie di testimonianze di varie epoche, dall’età protostorica a quella tardoantica e
bizantina: un museo a cielo aperto Esso si estende su una larga fascia delle pendici meridionali dell’altopiano
dell’Epipoli; il punto focale è un’altura che prende il nome di Temenite, dal greco temenos (santuario),
perché qui sorgeva, in età arcaica, un santuario extraurbano dedicato ad Apollo; ma fin dalla media età del
Bronzo l’area era stata sede di insediamento umano, come testimoniano i resti di una probabile capanna sulla
sommità del Temenite e soprattutto una serie di piccole tombe a grotticella artificiale che si aprono qua e là
sulle pendici del colle, una delle quali ha restituito un corredo con materiali micenei.
In età arcaica, quest’area era esterna rispetto alle mura che proteggevano il nucleo più antico di quella parte
della città che si estendeva sulla terraferma, Achradina, ma la posizione di dominio visivo della fascia
costiera prospiciente l’ampia falcata del porto e la presenza del santuario arcaico, la cui esistenza sembra
risalire già alla fine del VII sec. a.C., ne fanno uno dei fulcri del territorio immediatamente circostante la
città. Già agli inizi del V sec. a.C. è documentata l’esistenza del primo teatro. Sotto il regno di Jerone II,
l’area subì un radicale intervento di monumentalizzazione, con il rifacimento del teatro, la costruzione dei
portici della terrazza superiore e soprattutto la realizzazione della grandiosa Ara di Jerone. In età augustea,
quando la città, a sera di Jerone II furono costruiti l’anfiteatro, e, a sud di esso, un arco onorario di cui
restano parte dei piloni.
Nel settore nord-orientale del Parco, sono inglobate alcune delle più scenografiche latomie (cave di pietra)
della città antica (Paradiso, Intagliatella e S. Venera) che rappresentano una delle caratteristiche più originali
ed emozionanti di Siracusa antica, e, infine, un ampio e suggestivo lembo di necropoli (la necropoli dei
Grotticelli) fitta di sepolcri di varia tipologia, che si scaglionano fra l’età arcaica e quella tardo-romana, fra
cui alcuni colombari di età romana.
Teatro Greco
Indirizzo: Via Paradiso, 14 - 96100 Siracusa
Coordinate: N 37.075941 - E 15.275167
Un palcoscenico dei tempi dei greci. Tra i più imponenti e meglio conservati al mondo.
Quanto straordinario fosse considerato il teatro di Siracusa anche nell’antichità, è dimostrato dal fatto che è
uno dei pochissimi teatri greci di cui le fonti storiche ricordino il nome dell’architetto: Damocopo, detto
Myrilla. La sua esistenza è già accertata nel V sec. a.C.; Eschilo vi rappresentò per la prima volta le Etnee,
scritte in onore del tiranno Jerone I dopo la fondazione della città di Etna nel 476 a.C., e poi ancora , sempre
per la prima volta, “I Persiani”. Ma l’aspetto attuale, che lo classifica fra i più grandi teatri del mondo greco,
si deve al radicale rifacimento voluto da Jerone II nel III sec. a.C .
Nei secoli, tutte le parti costruite furono distrutte per ricavarne materiale da costruzione per le fortificazioni
spagnole e, più tardi, per l’impianto di alcuni mulini ad acqua che nel XVI secolo furono istallati all’interno
dell’orchestra, sulla cavea e nelle adiacenze. I mulini utilizzavano l’acqua dell’acquedotto Galermi, che
scendeva dall’Epipoli in corrispondenza della parte alta del teatro. Progressivamente demoliti nel corso delle
lunghe operazioni di recupero e restauro del teatro, tra la fine del l’Ottocento e i primi decenni del
Novecento, ultima testimonianza della loro esistenza è la cd. “casa dei mugnai”, piccolo edificio a torre che
sovrasta la parte orientale della cavea.
Ciò che rimane della grandiosa mole del teatro antico è il nudo scheletro dell’edificio scavato nella roccia,
che utilizza un pendio naturale sulle pendici meridionali dell’Epipoli: la parte media e inferiore della cavea
(la parte superiore era in blocchi), l’orchestra e la parte basamentale dell’edificio scenico. Lo stato di
conservazione impedisce una puntuale ricostruzione delle varie fasi dell’edificio, che subì attraverso i secoli
numerose modificazioni.
La cavea (spazio destinato agli spettatori) misura m. 138,60 m. di diametro. Divisa in due settori, in senso
orizzontale, da un ampio corridoio semicircolare (diazoma) a metà altezza, comprendeva in origine 67 ordini
di gradini; otto scalette, delineando in senso verticale nove cunei, permettevano l’accesso ai vari ordini di
gradini. Sulla parete che delimita a nord il diazoma sono incise, in corrispondenza di ciascuno dei cunei,
delle iscrizioni che riportano il nome di divinità e personaggi della famiglia del basileus. Al centro, il nome
di Zeus Olimpio; ad est, quelli di Eracle e Demetra; ad ovest, i nomi di Jerone II, di sua moglie la regina
Filistide, di Nereide sua nuora; su questo lato era probabilmente anche il nome del figlio Gelone II.
Il terrapieno su cui era edificata la parte superiore della cavea era sostenuto da un muro (analemma).
L’accesso all’orchestra avveniva originariamente dai due lati dell’edificio scenico; in un secondo tempo,
furono ritagliati due passaggi (parodoi) arretrando parte dei muri frontali di contenimento.
L’orchestra è lo spazio semicircolare ai piedi della cavea, in cui originariamente si trovava l’altare dedicato a
Dioniso, divinità il cui culto è strettamente legato alla nascita e allo sviluppo del teatro nel mondo greco, e in
cui agiva il coro, componente essenziale dell’azione drammaturgica antica. Intorno all’orchestra, correva un
canale (euripo), che separava lo spazio riservato al coro da quello destinato agli spettatori . Il piano era
originariamente pavimentato con lastre di marmo, oggi perdute.
Dell’edificio scenico non restano altro che le numerose tracce impresse sulla roccia (fori, cavità, cunicoli,
canalette), spesso difficilmente interpretabili, che testimoniano delle molteplici trasformazioni subite dalla
scena attraverso i secoli, soprattutto nel passaggio fra l’età ellenistica e quella romana. Un lungo canale
scavato nella roccia che attraversa l’orchestra in senso N.S. e termina in un piccolo vano quadrato è stato
interpretato come “scale carontee”, un sistema di passaggi coperti che permetteva l’apparizione o la
scomparsa improvvisa di personaggi sulla scena. Un altro canale in senso est-ovest era forse utilizzato per
l’alloggiamento e la movimentazione del sipario.
Ai due lati, due grandi piloni risparmiati nella roccia furono inclusi, in età romana, nella scena. In questo
periodo, l’avanzamento del palcoscenico verso la cavea occlude gli originari accessi all’orchestra; i nuovi
accessi vengono pertanto realizzati con gallerie scavate al di sotto dei due cunei terminali della cavea; sopra
le gallerie, si ricavano i tribunalia, posti d’onore per autorità.
In età tardo-imperiale, l’orchestra fu adattata per ospitare spettacoli di giochi d’acqua (colymbetra). Gli
ultimi rifacimenti risalgono all’inizio del V secolo, quando il governatore della Sicilia Nerazio Palmato
apportò nuove modifiche all’edificio scenico.
La terrazza sovrastante la cavea, tagliata nelle pendici del colle detto Temenite (per la presenza di un antico
santuario, temenos, dedicato ad Apollo, i cui resti sono stati individuati ad est del teatro) era originariamente
coronata da un portico a L, di cui resta oggi solo parte della fondazione. Al centro del lato settentrionale, una
grande grotta artificiale (il cd. Ninfeo), con una vasca rettangolare rivestita in coccio pesto costituisce lo
sbocco di un grande acquedotto di età greca, il cd. Galermi. La grotta è fiancheggiata da nicchie che
originariamente ospitavano statue, e che in età tardo-antica furono utilizzate come sepolcri. Resti di un fregio
dorico sono ancora riconoscibili sulla parete, in corrispondenza dell’apertura della grotta. Sulla base di due
iscrizioni provenienti dal portico, il complesso è stato identificato come Mouseion, luogo dedicato alle Muse,
sede ufficiale della corporazione degli attori.
Preesistente alla sistemazione della terrazza, era la Via dei Sepolcri: essa, che costituiva un antico accesso
alla parte alta del teatro, si apre, tagliata nella roccia, nel lato occidentale della terrazza, e con andamento
curvilineo raggiunge la sommità del Temenite. In età ellenistica, sulle sue pareti furono ricavati molti di quei
piccoli incavi quadrangolari, di età ellenistica, che si trovano in alcune delle latomie siracusane, e che
servivano come alloggiamenti di quadretti dipinti o in terracotta dedicati al culto dei defunti eroizzati. In età
tardo-antica e bizantina vi furono scavati numerosi ipogei funerari. I resti di un grande rilievo raffigurante i
Dioscuri e Trittolemo sul carro trainato dai serpenti sono ancora visibili su una delle pareti, verso l’estremità
superiore.
Anche la sistemazione monumentale della terrazza è dovuta al grandioso intervento di Jerone II, che realizzò,
con l’intero complesso, una delle più scenografiche composizioni architettoniche del suo tempo, per
rappresentare e celebrare la magnificenza del proprio potere regale.
Orecchio di Dionigi Indirizzo: Via Paradiso, 14 - 96100 Siracusa
Coordinate: N 37.07658 - E 15.276164
Storia e leggenda, una grotta dalla forma di un orecchio gigante.
L'orecchio di Dionigi è la più famosa delle grotte che si aprono sul fronte settentrionale della Latomia del
Paradiso, realizzate dai cavatori di pietra che seguivano i filoni di calcare di migliore qualità. Alta circa 23 m.
e larga fra 5 e 11 m., con pareti convergenti a formare una volta a sesto acuto leggermente smussato, la grotta
si sviluppa in profondità per 65 m.
Michelangelo da Caravaggio, che visitò la grotta nel 1608 nel corso del suo viaggio verso Malta, la chiamò
“orecchio di Dionigi” per la sua caratteristica forma a S, vagamente simile ad un padiglione auricolare, e
soprattutto per le sue notevoli proprietà acustiche, che amplificano i suoni; la leggenda narra infatti che il
tiranno Dionigi usasse rinchiudere i suoi nemici all’interno della grotta per ascoltarne dall’alto, non visto, i
discorsi, amplificati dall’eco. In realtà, la grotta deve la sua forma al modo in cui fu realizzata; lo scavo
iniziò dall’alto, seguendo il tracciato sinuoso di un acquedotto, e si allargò man mano che scendeva in
profondità, seguendo l’andamento del filone di calcare. Come nelle vicine grotte dei Cordari e del Salnitro,
sono ben visibili, sulle pareti, i segni della lavorazione della roccia e del distacco dei blocchi.
Anfiteatro Romano
Indirizzo: Via Paradiso, 14 - 96100 Siracusa
Coordinate: N 37.074696 - E 15.278953
Una delle più grandi costruzioni dell'età romana scavata nella viva roccia
La cronologia dell'anfiteatro è tuttora incerta, ma le ipotesi più accreditate lo riferiscono ad età augustea
(dopo la deduzione della colonia da parte di Augusto, nel 21 a.C) o ad età giulio-claudia, soprattutto sulla
base della tecnica edilizia (uso dell’opera reticolata e archi a conci allungati) e di un’iscrizione dedicatoria,
ivi rinvenuta, di età augustea.
Si accede oggi all’anfiteatro dall’ingresso nord, percorrendo un viale ai cui lati sono disposti dei sarcofagi in
pietra, rinvenuti nelle necropoli di Siracusa e Megara Iblea; ma l’ingresso principale è a sud, e prospetta su
un ampio piazzale dove sono tuttora visibili i piloni di base di un arco onorario, probabilmente dedicato ad
Augusto, al di sotto del quale passava una strada lastricata proveniente da est. Davanti all’ingresso, cui si
accedeva da ampie scale che lo raccordavano al dislivello del piano esterno, i resti di una grande fontana,
contemporanea all’anfiteatro, contribuiscono alla monumentalizzazione dell’area.
L'anfiteatro utilizza l’andamento naturale del terreno; adagiato contro il pendio, presenta la parte inferiore
scavata nella roccia tranne che nel lato sud. Questo era costruito in elevato, come la parte superiore del
monumento, oggi scomparsa perché demolita, nel XVI° secolo, per utilizzarne i blocchi per la costruzione
delle fortificazioni spagnole di Ortigia. Le dimensioni (diametri esterni: m.140x119) sono notevoli e ne
fanno il maggiore dei tre anfiteatri esistenti in Sicilia, secondo, in Italia, soltanto a quello di Verona. L’arena
(m.70x32) è delimitata da un alto podio; al centro, un ampio vano quadrangolare, originariamente coperto
con un impiantito ligneo, e collegato con un fossato proveniente dal lato meridionale, era destinato ai
macchinari utilizzati per gli spettacoli.
Dietro il podio, corre un corridoio anulare coperto a volta (crypta) su cui poggia la prima fila di gradini
destinati alle autorità, i cui nomi sono scolpiti sulla pietra. Soltanto la porzione più bassa della cavea (ima
cavea) è conservata, mentre della media e summa cavea rimangono soltanto le fondazioni. Due ambulacri
coperti a volta e un complesso sistema di gradinate permettevano di accedere ai vari ordini di posti. Un
portico colonnato coronava, in origine, l’anello superiore.
Duomo (Tempio di Minerva)
Indirizzo: Piazza Duomo, 4 - Siracusa
Coordinate: N 37.059884 - E 15.293124
ORARI DI APERTURA Tutti i giorni dalle 8.00 alle 19.00 (dal 01/04 fino alle 19.45)
TARIFFE € 2,00 (oppure 3 euro con audio guida)
Orari delle messe Dal lunedì al sabato: ore 8.00 e ore 19.00
Domenica: ore 8.00, ore 11.30 e ore 19.00
Durante la celebrazione della messa non sono consentite visite guidate
Cattedrale della città, sorge sulla parte più elevata dell'isola di Ortigia, su quello che era un tempio
dedicato ad Atena (Minerva)
Nella parte alta dell’isola di Ortigia, il sito ove sorge il Duomo di Siracusa era destinato, fin dall'antichità, a
ospitare un luogo di culto. A un tempio eretto nel VI secolo a.C., si sostituì il Tempio di Atena (o Minerva),
innalzato in onore della dea dal tiranno Gelone, dopo la grande vittoria di Imera (480 a.C.) contro i
Cartaginesi. Nel VII secolo, all’epoca del vescovo Zosimo, il tempio di Atena fu inglobato in un edificio
cristiano, dedicato alla Natività di Maria: in particolare, furono innalzati muri a chiudere lo spazio tra le
colonne del peristilio e aperte otto arcate nella cella centrale, per permettere il passaggio alle due navate
laterali così ottenute. Le imponenti colonne doriche sono ancora oggi visibili sul lato sinistro, sia all'esterno
sia all'interno dell'edificio. Forse trasformata in moschea durante la dominazione araba, la chiesa fu
rimaneggiata in epoca normanna. Il terremoto del 1693 causò vari danni, tra cui il crollo della facciata.
La facciata attuale – capolavoro dell’architetto palermitano Andrea Palma, e una delle migliori testimonianze
barocche di Siracusa – fu realizzata fra il 1728 e il 1754. Essa s’innalza su un’imponente scalinata ed ha la
colonna come modulo compositivo. Il prospetto è a due piani, coronati da un frontone. Opera di Ignazio
Marabitti sono le due statue che affiancano la scalinata (San Pietro e San Paolo) e quelle che ornano il
secondo ordine (San Marciano, Santa Lucia e, nell’edicola centrale, la cosiddetta Vergine del Piliere).
L'ingresso è preceduto da un atrio con un bel portale fiancheggiato da due colonne a torciglioni, lungo le cui
spire si avvolgono rami d'uva.
L'interno è a tre navate e a impianto basilicale. La navata centrale è coperta da un cinquecentesco soffitto
ligneo a travature scoperte. Il pavimento, marmoreo e policromo, fu voluto dal vescovo Bellomo e realizzato
nel 1444. Il lato destro della navata laterale è delimitato dalle colonne del tempio, che oggi danno accesso
alle cappelle. Nella prima cappella è conservato un bel fonte battesimale, formato da un cratere greco in
marmo sostenuto da sette leoncini in ferro battuto del Duecento. La cappella di Santa Lucia presenta un bel
paliotto argenteo del Settecento. Nella nicchia è conservata la splendida statua d’argento della santa, opera di
Pietro Rizzo (1599). L’ampia cappella del Crocefisso, in fondo alla navata destra, accoglie una tavola con
San Zosimo, forse di Antonello da Messina; all’altare della cappella è una croce in legno di stile bizantino.
Fra le altre opere d’arte conservate in Duomo, spiccano le molte statue dei Gagini, tra cui quella della
Vergine (di Domenico) e di Santa Lucia (di Antonello) lungo la navata laterale sinistra, e la Madonna della
Neve (di Antonello) nell'abside sinistra. Vi si trovano pure quadri su legno e su tela di epoca bizantina; un
artistico coro in noce del Quattrocento; un organo e la cantoria in legno dorato con ornamenti a stile corinzio,
pure risalenti al Quattrocento.
Chiesa di Santa Lucia alla Badia
Indirizzo: Via Santa Lucia alla Badia, 2 - 96100 Siracusa
Coordinate: N 37.058103 - E 15.293195
ORARI DI APERTURA Dal martedì alla domenica, dalle ore 11.00 alle ore 16.00
Chiusa il lunedì
Chiesa normanna a completamento di una affascinante Piazza Duomo.
La Chiesa e il convento cistercense dedicato a S. Lucia avevano un posto di rilievo nel culto cittadino, per la
sua ubicazione nel cuore di Ortigia e soprattutto per la festa di S. Lucia di maggio, istituita a ricordo di un
miracoloso intervento (ancora oggi celebrato la prima domenica di maggio) della Patrona durante la carestia
del 1646, quando la Santa avrebbe condotto due navi cariche di cereali nel porto interrompendo la lunga
fame dei Siracusani, quella "dira fames" che aveva fatto soffrire il popolo, come ricorda la lapide esistente
nella chiesa al disotto del coro delle monache.
S. Lucia alla Badia sembra costruita in due stili diversi: la parte inferiore è alla maniera del Picherali, con bei
rilievi degli stemmi spagnoli come era prima dell'ascesa al trono di Filippo V nel 1705, mentre la
decorazione dell'ordine superiore è una specie di variante di rococò che ricorda i pannelli in legno così
frequenti nelle sacrestie siciliane. Rilievi dello stesso stile ornano la facciata di Palazzo Borgia. Una forma
diversa di quasi rococò si può vedere nei capitelli del tempietto ottagonale di S. Lucia al Sepolcro. Lo stile è
del tutto insolito in Sicilia: l'unica analogia sembra offerta dai rilievi nei pennacchi dell'ex chiostro
dell'Olivella, ora Museo Nazionale, a Palermo.
Facciata:
La chiesa ha un alto prospetto (m. 25) composto da paraste ioniche, la cui trabeazione è costituita da una
balconata chiusa da una elaborata ringhiera a petto d'oca. Il portale con frontone spezzato sorretto da colonne
tortili con alto piedistallo è decorato da una cornice contenente raggi, su cui sono posti una colonna, una
spada, una palma e una corona, simboli del martirio di S. Lucia. Ai lati, racchiusi entro cornici, stemmi dei
reali di Spagna sormontati da corone. Sulla sommità una croce di ferro rimossa perché pericolante.
Interno:
Ad unica e raccolta aula, è quello tipico delle chiese monastiche. Nella volta un affresco fervido
settecentesco con il "Trionfo di S. Lucia". Dietro l'altare maggiore vi è un "Martirio di S. Lucia", dipinto
intensamente narrativo di Deodato Guinaccia (II metà del secolo XVI). Gli stucchi furono eseguiti da Biagio
Bianco di Licodia nel 1705, mentre le dorature sono del 1784 così come il restauro delle volte con gli
affreschi riguardanti il miracolo del 1646. Il paliotto d'argento fu eseguito dall'orafo messinese Francesco
Tuccio nel 1726. Nella parte destra si può ammirare una tela di Giuseppe Reati (l64l) con il miracolo di S.
Francesco di Paola. La cantoria, infine, posta sulla verticale del vestibolo, è chiusa sulla navata da un'alta
gelosia lignea ad andamento curvilineo.
Dal 2009 la chiesa ospita "Il seppellimento di S. Lucia", imponente quadro (olio su tela cm 300x408) che
Michelangelo Merisi da Caravaggio dipinse tra il 1608 e il 1609 durante il suo soggiorno a Siracusa, seguito
alla fuga da Malta.
Chiesa di San Giovanni alle Catacombe
Indirizzo: Piazza San Giovanni alle Catacombe, 1 - 96100 Siracusa
Coordinate: N 37.076860 - E 15.284442 (piazza)
Coordinate: N 37.076682 - E 15.284895 (ingresso chiesa)
ORARI DI APERTURA Tutti i giorni dalle ore 9,00 a.m. - 13.00. e dalle ore 14.30 al tramonto
La chiesa è visitabile solo nell'ambito del percorso guidato che comprende le Catacombe e la cripta di S. Marciano.
TARIFFE Per visitare il sito è obbligatoria la guida. Il percorso prevede: Basilica di S. Giovanni, Catacombe e Cripta di S.
Marciano.
Le tariffe sono comprensive di visita guidata.
Intero € 8.00
Ridotto (under 15 ed over 65) € 5.00
Comitive (pellegrini e scuole): € 3,00
Bellissimo rosone sulla facciata e accesso alle omonime catacombe
Edificata attorno al VI° secolo nel luogo dove, secondo la tradizione, fu sepolto il 1° vescovo di Siracusa,
Marciano, morto martire sotto Gallieno e Valeriano (metà del III° secolo), la Chiesa di San Giovanni è stata
ritenuta per lungo tempo la prima Cattedrale di Siracusa.
Dell'antica basilica, che presenta tre navate suddivise da 12 colonne di tipo dorico, oggi sono visibili
solamente i resti del colonnato dalla navata mediana e dell'abside in pietra locale.
La chiesa subì diverse innovazioni in età normanna e venne ulteriormente modificata nel corso del XVII°
secolo, con l'inserimento di una nuova struttura che occupò lo spazio delle prime due campate della chiesa
preesistente. Danneggiata dal terremoto del 1693, venne restaurata mediante la ricostruzione della facciata e
dell'odierno portico con archi ogivali e capitelli decorati, ottenuto con l'utilizzazione di elementi
quattrocenteschi. Sul lato Ovest dell'edificio, si notano il bel protale ed il bel rosone trecentesco.
Dalla corte della chiesa, per una scala, si scende alla cripta di San Marciano, luogo dove si ritiene abbia
predicato San Paolo Apostolo intorno al 61 d.c.. La cripta a pianta trilobata, con i bracci conclusi da absidi,
custodisce il sepolcro in muratura del Santo. Di particolare interesse sono i capitelli con i simboli degli
Evangelisti incorporati nei quattro pilastri, costruiti in età normanna, attorno all'altare, posto al centro della
cripta. Nell'abside Nord è stato riportato alla luce un ipogeo con un affresco raffigurante "Le due
Alessandre", in un atteggiamento di preghiera (V° secolo).
Dal lato Sud della chiesa si accede alla necropoli sotterranea: le catacombe di San Giovanni, che sono le più
recenti tra quelle scoperte a Siracusa (IV° secolo d.c ). Tale complesso di catacombe (unico aperto al
pubblico) risale al 315-360 d.c. e testimonia, assieme alle catacombe di Santa Luciae a quelle di Vigna
Cassia (purtroppo non visitabili) il fervore della vita cristiana a Siracusa sin da tempi remoti.
Castello Maniace
Indirizzo: Via Castello Maniace, 51 - 96100 Siracusa
Coordinate: N 37.053482 - E 15.295242
Orari: da martedì a venerdì dalle ore 9:00 alle ore 13:00
sabato dalle ore 9:00 alle ore 17:30
domenica dalle ore 9:00 alle ore 13:00
lunedì chiuso Ultimo ingresso consentito 30 minuti prima dell'orario di chiusura.
Ingresso gratuito
Tra esigenza militare e funzionalità ambientale, un elegante Castello voluto da Federico II.
Il Castello di Federico II a Siracusa, poi detto Maniace, viene costruito fra il 1232 e 1240. I primi documenti
sulla sua fondazione sono le lettere che Federico invia il 17 novembre 1239 da Lodi a suoi sottoposti
collegati alla costruzione del Castello, nelle quali l'imperatore si compiace per la diligenza con la quale
Riccardo da Lentini prepositus aedificiorum segue il castrum nostrum Syracusie e lo rassicura che la sua
richiesta pro munitione castroum nostrorum Syracusie et Lentiní quam etiam pro Serracenis et servis nostris
necessarium frumentum, ordeum, vinum, caseum, companagium, scarpas et indumenta è stata girata al
tesoriere di Messina, il quale provvederà al più presto a fornirlo di tutto l'occorrente. Si noti come
l’imperatore usi i termini Serracenis e servis nostris, facendo riferimento agli operai presenti nel cantiere: i
Saraceni, "tecnici specializzati" venivano regolarmente stipendiati, mentre i servi no.
Nel 1240, quando i castra exempta rientrano sotto la giurisdizione imperiale, il Castello di Siracusa è
annoverato fra questi. Si conoscono i nomi di due castellani svevi di Siracusa: Riccardo Vetrani ed il
fedelissimo Giovanni Piedilepre, al quale fa riferimento un diploma di Manfredi del 13 agosto l263. Sotto gli
Angioini il Castello diviene patrimonio regio, censito nel 1273 da una commissione di inchiesta che parla di
un Castrum Siragusie.
La guerra fra gli Angioini e gli Aragonesi per il dominio del Regno vede il Castello opposto a difesa della
città. Per quasi tutto il XV secolo il Castello è una prigione. Nel 1448, dopo uno splendido banchetto tenuto
nelle sale del Castello, il capitano Giovanni Ventimiglia, fa uccidere tutti i convitati, accusati di tradimento.
Per questo prode gesto ottiene dal re Alfonso di Castiglia in dono i due arieti bronzei che ornavano sino a
quel giorno il prospetto del Castello. Alla fine del XVI secolo, nel piano più generale di fortificazione della
città, Castello Maniace diventa un punto nodale della cinta muraria, progettata dall’ingegnere militare
spagnolo Ferramolino. Nella metà del XVII secolo ulteriori opere fortificate comprendono lavori nel
Castello, di non nota entità.
Il 5 novembre 1704, una furibonda esplosione avvenuta nella polveriera sconvolge l'edificio. Brani di
crociere e blocchi di calcare vengono lanciati nel raggio di diversi chilometri. Negli anni successivi si
appresta la ricostruzione, che lascia intatte le parti rovinate dall'esplosione, mentre si creano tamponature per
la realizzazione di magazzini. In età napoleonica il Castello rivive con funzioni militari e viene munito di
bocche da cannone. Nel 1838, a salvaguardia dei moti che stavano scatenadosi in tutto il regno, i borbonici di
Ferdinando vi innalzano una casamatta. Il Castello viene consegnato al Regno di Savoia ed utilizzato fino
alla seconda guerra mondiale come deposito di materiale militare.
In seguito alla smilitarizzazione dell'area si sono succeduti numerosi lavori di restauro (l'ultimo terminato nel
2010) che hanno riportato il castello agli antichi splendori, diventando oggi uno dei castelli siciliani, e non
solo, più suggestivi dell'isola, un vero e proprio simbolo del potere e della genialità dell'imperatore Federico
II.
La fontana Aretusa
La leggenda più affascinante che riguarda Siracusa è sicuramente quella della ninfa Aretusa e
del suo innamorato Alfeo.
“Aretusa era fra le ninfe a seguito di Diana quella prediletta, esse trascorrevano le loro giornate nei boschi
che crescevano rigogliosi sotto il Monte Olimpo in Grecia, inseguendo caprioli e daini. Era bella la nostra
Aretusa, ma talmente bella che quasi aveva turbamento e rossore a mostrarsi agli uomini. Durante una
battuta di caccia si allontanò troppo dal gruppo di ancelle al seguito di Diana ed arrivò sola davanti alle
sponde del fiume Alfeo, le cui acque erano pure, dolcissime e limpide tant’è che si poteva scorgere la ghiaia
sul fondo. Era una giornata afosa e la ninfa aveva voglia di fare un bagno. Tutt’attorno v’era di un silenzio
singolare, rotto solo dal cinguettare degli uccelli e dal verso delle anatre acquatiche. Aretusa, invogliata forse
dal non essere vista e dal caldo opprimente, si tolse le candide vesti, li poggiò sopra un tronco d’albero di
salice piangente reciso e s’immerse, iniziando ad entrare in acqua con portamento sinuoso ed aggraziato.
Ebbe subito però la sensazione che verso il centro del fiume, l’acqua attorno a lei cominciasse a fremere e a
formare dei vortici quasi danzanti, qual cosa di magico stava forse per succedere pensò, sembrava come se
quell’acqua la volesse accarezzare ed avvolgere a se. Turbata da queste sensazioni cercò di uscire
affrettatamente dalle acque, ma fu proprio in quel momento che il fiume Alfeo si tramutò in un bel giovane
biondo che, sollevando la testa fuori dell’acqua e scrollandosi la folta chioma, si mostrò alla ninfa Aretusa,
con gli occhi di un innamorato.
La ninfa però presa dalla pausa riuscì a svincolarsi e a raggiungere con grande sforzo la riva, dove fuggì
nuda e gocciolante. Alfeo con un balzo felino uscì anch’egli dal suo fiume e la inseguì senza vesti e colante
di gocce d’acqua. Questo rincorrersi durò parecchio ed Alfeo non riuscì in un primo momento a raggiungere
la ninfa. La seducente Aretusa però, cominciò a stancarsi e capì che le forze le venivano meno. Sentì che
Alfeo stava per raggiungerla e violarla, lei che era una vergine selvaggia e pudica e che non aveva mai
conosciuto l’amore.
Aretusa, per paura di essere raggiunta sopraffatta e profanata, chiese protezione a Diana , invocando di essere
trasformata in sorgente in un luogo possibilmente molto lontano dalla Grecia.
Diana prima la avvolse in una nebbia misteriosa e la celò alla vista di Alfeo, poi la tramutò in una sorgente e
la portò, come in uno strano sortilegio, in Sicilia a Siracusa presso l’isola di Ortigia.
Alfeo in mezzo a quella foschia perse così di vista la sua bella ninfa, ma non desistette dal cercarla e restò sul
posto. Quando la nebbia però si diradò non trovò più nulla, vide solo come in uno specchio una fonte
d’acqua zampillante ed immersa in un giardino meraviglioso. Alfeo capì il prodigio ed era talmente
innamorato che straripò d’amore. Gli dei ne ebbero pietà e Giove l’onnipotente gli permise di raggiungere la
sua amata, ma Alfeo dovette fare un grande sforzo, scavò un sotterraneo sotto il Mare Ionio e dal
Peloponneso venne a sbucare nel Porto grande di Siracusa, accanto alla sua bella amata: Aretusa. Insieme
vissero felici per sempre”.
Oggi questa sorgente d’acque dolci sgorga a qualche metro dal mare, nell’isola di Ortigia a Siracusa. Essa
forma un piccolo laghetto (noto come occhio della Zìllica) semicircolare pieno di pesci e dove il verde
trionfa e cresce rigogliosa la pianta del papiro. Una numerosa colonia d’anatre ha ormai da tempo stabilito la
sua dimora in queste limpide acque. Per tradizione locale viene chiamata anche “a funtana re papiri”. Tutto
questo fa dell’attuale Fonte Aretusa un luogo piacevole da visitare e una meta turistica obbligatoria.
Ricordandosi poi del mito e appoggiandosi alla ringhiera in ferro che sovrasta la fonte, il visitatore avrà la
sensazione di vedere le scene del mito perché il luogo è così pieno di magia che ne rimarrà coinvolto.
E’ famoso a Siracusa il passeggiare, specie al tramonto, lungo la Fonte Aretusa e vedere il sole scendere
all’orizzonte dietro i Monti Iblei. Per i siracusani storicamente è il luogo per eccellenza dove ritrovarsi e
come negli incantesimi si accendono i primi amori degli adolescenti.
Il mito come sicuramente percepite, continua a perpetuarsi, palpitare e diventare immortale.
«….Io non cerco che dissonanze Alfeo,
qualcosa di più della perfezione.
…. Non un luogo dell’infanzia cerco,
e seguendo sottomare il fiume,
già prima della foce di Aretusa,
annodare la corda spezzata dell’arrivo» (Salvatore Quasimodo in Seguendo l’Alfeo.)