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Naturalis quidam dolor: una certa inquietudine naturale o forse, più cruda-mente, un certo innato dolore. È ciò che Cicerone percepisce in Servio Sulpi-cio Galba, uno dei protagonisti di questo libro. Il suo dolore, quello delle don-ne e degli uomini della sua epoca, trasfigurato nella finzione dell’arte, viene descritto in queste pagine. Dove trovarlo? Negli sguardi intensi dei ritratti; nel ripiegamento carnale dei panneggi; nella nudità sfrontata dei corpi maschili: dèi, eroi o uomini che siano. È un dolore che poco dipende dalla buona o dalla cattiva sorte: cade dal cielo come una pioggia, non distingue il servo dal padrone, ma non è senza speranza. Si procura, come le statue che ri-vivono in queste pagine, redenzioni tutte terrene: la fuga, il nascondimento, l’interruzione e la rinuncia; la violenza, inflitta e subita; l’uccisione e l’amplesso. Al netto della distanza di secoli, questo libro è uno specchio: esso mostra un percorso di persistenza attuale. E come specchio funziona: per ricercare, per contemplare, per stupirsi. Per il godimento, per la cura. Per disfarsi di ciò che esso contiene: il dolore, la Gorgone.

Alessandro Celani (1973) è dottore di ricerca in Storia antica. È autore di una mo-nografia sul reimpiego dell’arte greca in Roma, Opere d’arte greche nella Roma di Augusto (Napoli 1998), e ha scritto variamente di scultura antica. È stato borsi-sta alla Scuola Archeologica Italiana di Atene. Attualmente insegna Storia e Storia dell’Arte nella sede italiana della University of Alberta in Cortona. Fotografo, ha pub-blicato (e scrive) poesie.

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9 788897 738138

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Alessandro Celani

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Una certa inquietudine naturaleSculture ellenistiche fra senso e significato

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Proprietà letteraria riservata.

isbn/ean: 978-88-97738-13-8

Per questa edizione: copyright © 2013 by aguaplano—Officina del libro, Passignano s.T. (Pg). Tutti i diritti riservati. La riproduzione dell’opera è possibile nei limiti fissati nell’accordo del 18 dicembre 2000 fra s.i.a.e., a.i.e., s.n.s. e c.n.a., confartigianato, c.a.s.a., confcommercio, ora integrato dall’accordo del novembre 2005, per la riproduzione a pagamento, a uso personale, dei libri fino a un massimo del 15%, nell’ambito dell’art. 69, co. 4 legge cit.

www.aguaplano.eu / [email protected]

in copertina: Galata morente, Musei capitolini, Roma, dettaglio (fotografia di alessandro celani).

Progetto editoriale: Raffaele Marciano, alessandro celani.coordinamento redazionale: Raffaele Marciano.consulenza redazionale: Maria Vanessa semeraro.Videoimpaginazione: Raffaele Marciano.Disegni: serena cavallini.

stampa: GraphicMasters, Perugia (dicembre 2013).Printed in italy.

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Sì come per levar, donna, si ponein pietra alpestra e dura

una viva figura,che là più cresce u’ più la pietra scema;

tal alcun’opre buone,per l’alma che pur trema,

cela il superchio della propria carneco’ l’inculta sua cruda e dura scorza.

Tu pur dalle mie stremeparti puo’ sol levarne,

ch’in me non è di me voler né forza.

Michelangelo

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Presentazione

Presentare un libro come quello di Alessandro Celani ob-bliga in primo luogo a mettersi in gioco e a riconsidera-re criticamente le nostre (vacillanti) certezze: tanti sono gli argomenti e i problemi che l’autore, nella sua vorace

esplorazione di una serie sterminata dei testi più vari – per lo più estranei al normale bagaglio di un archeologo classico –, rovescia sul nostro tavolo. Non che tutto appaia, almeno in prima battuta, facilmente assimilabile; ma le scelte personalissime con cui sia-mo confrontati a ogni pie’ sospinto non appaiono mai casuali, e comunque costituiscono una provocazione cui non possiamo sottrarci. Tali scelte non sono mai determinate da considerazioni di mero carattere disciplinare, ma alla fine ci accorgiamo che esse non sono arbitrarie, o addirittura semplice frutto di un esibizio-nismo snobistico, ma sono funzionali a una critica puntuale delle tradizionali abitudini di studio in un àmbito, come quello dell’ar-te antica, che appare da tempo in crisi.

L’autore non aspira in alcun modo alla sistematicità e all’esau-stività, anzi teorizza quella che potrebbe definirsi una sorta di “poetica del frammento”: egli si domanda fin dall’inizio se «una ricerca che procede empiricamente nello studio di oggetti fisi-ci, e che studia il loro legame con la storia, deve possedere per forza di cose un’aspirazione alla completezza». Una citazione di Lévi-Strauss fornisce una prima risposta: «Per manifestarsi, la sin-tassi non aspetta che una serie teoricamente illimitata di eventi abbiano potuto essere censiti, poiché essa consiste nel corpo di regole che presiede alla loro produzione». Dunque, tutta la realtà di una cultura si ritrova in nuce nelle sue singole manifestazioni.

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8 Presentazione

Il  metodo che presiede all’esame di queste ultime non è tanto quello cosiddetto “interdisciplinare”, la cui evocazione ripetuta appare ormai una mera giaculatoria accademica, vuota di sostan-za reale. Celani si propone piuttosto di applicare un’interdisci-plinarità dello sguardo: «Osservare un’epigrafe come uno storico dell’arte, una scultura come un’epigrafista, leggere una poesia come un archeologo, esaminare rovine come un filologo, e così via, per scambi e dislocazioni».

Alla fine della sezione teorica del suo scritto troviamo le se-guenti conclusioni, solo apparentemente ingenue: «Che il vedere estetico conservi una sua ambiguità, e sia un intricato nodo gor-diano fatto di natura e cultura, è dimostrato dalla difficoltà che abbiamo nel comunicare e spiegare […] i nostri giudizi estetici a chi ci sta di fronte. Nonostante i neuroni specchio, il gusto è un fatto soprattutto ambientale. Nell’àmbito di questa ricerca, mi sono reso conto, ex post, di aver spesso utilizzato il verbo sentire a proposito dello stile. E rimango fermamente convinto che questo sia il verbo più adatto, almeno in italiano, per questo tipo di espe-rienza, nonostante contenga una certa dose di romanticismo, che induce gli storici dell’arte a lasciarlo nel cassetto». Qui si potrebbe forse obiettare rifacendosi alla critica di Bianchi Bandinelli al con-cetto crociano dell’arte come intuizione, e ai risvolti irrazionali che tale concetto implica.

Più utile è forse accennare a un altro problema cruciale del-la critica storico-artistica, quello della «traduzione delle forme nel linguaggio parlato e scritto» a proposito del quale Celani si pronuncia decisamente a favore di linguaggi non strettamente tecnici e “scientifici”, ma confinanti con la letteratura: «[…] la riscoperta del racconto conduce la storia più vicino a una nuova classe di umanisti, insoddisfatti dei gerghi delle singole discipli-ne e dell’autarchia dei centri di produzione culturale». Del resto, «forme di narrazione erano (in antico) riconosciute come forme di conoscenza». Verrebbe qui da ricordare, ad esempio, la descri-zione della Vocazione di san Matteo di Caravaggio in una pagina di Gadda, il cui valore evocativo (e quindi euristico) sorpassa di gran lunga ogni descrizione “tecnica” degli esperti. Va detto, a questo

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9Presentazione

proposito, che la scrittura di Celani ha una scorrevolezza e un respiro del tutto degni dell’ideale che propone.

L’opera, difficilmente classificabile in base ai parametri corren-ti della letteratura artistica (non una monografia, né un trattato teorico, né una memoria), si organizza «[…] su due piani diversi, intercomunicanti e interconnessi: la dimensione ampia delle sto-ria delle idee, degli intrecci tra estetica e storia, da una parte; una serie di incursioni nel dettaglio di singole questioni, dall’altro».

Il tema centrale è quello dell’arte tardo-ellenistica, cui appar-tengono le opere prese in esame nella seconda parte, provenienti dall’area del Lazio meridionale: un territorio, come è noto, di ri-levanza eccezionale per questo periodo. Si tratta di un tema che, per vari motivi, appare oggi cruciale: per far emergere tale centra-lità, si premette un esame critico dell’opera di uno dei più impor-tanti studiosi che di recente si sono occupati, sul piano teorico, dell’arte romana, Tonio Hölscher, e in particolare della sua pro-posta di decodificare l’arte romana come linguaggio semantico, come una vera e propria lingua. La critica si appunta in partico-lare sul modello che consiste nel «[…] porre di fronte i Romani e i Greci, i primi come consumatori, i secondi come produttori e fornitori di immagini». «Questa contrapposizione polare è davve-ro l’unica strada da seguire se si vuole uscire dal vicolo cieco delle forme artistiche romane percepite come semplice proseguimento di quelle greche?». La radice di questa posizione teorica è forse psi-cologica, oltre che ideologica: «[…] mi sembra che, nonostante tutto, un senso di assenza, la nostalgia di qualcosa di perduto per sempre, contraddistingua ancora lo studio del passaggio dall’arte greca a quella romana»: sullo sfondo, dopotutto, si intravvede anco-ra il fantasma del misticismo estetico di Winckelmann.

Contrapporre “Greci” e “Romani” in modo meccanico, come premessa non giustificata di ogni spiegazione possibile, significa infatti conferire un ruolo determinante a due pseudoconcetti pri-vi di consistenza, soprattutto nel momento storico che coincide con il I secolo a.C. Quale valore euristico può assumere una sif-fatta polarità astratta nel momento in cui, dopo la guerra sociale, l’intera Italia, sul piano politico, è ormai romana, e già da tempo

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lo era sul piano culturale? Si tratta di una distinzione etnica? Ov-viamente no. Ma non si tratta neppure di una distinzione cultu-rale determinante in un periodo come il tardo Ellenismo – cer-tamente una delle fasi di massima omogeneità culturale in tutta l’area del Mediterraneo.

Tutto ciò deve indurre alla riflessione, e contribuisce in ogni caso a spiegare fenomeni quanto meno curiosi che investono la ricerca contemporanea: in particolare, la scomparsa dalla discus-sione del classicismo tardo-ellenistico e il suo totale appiattimen-to sull’arte augustea. Non è solo questione di cronologia, ma di un radicale travisamento della sostanza culturale del periodo: travisamento che per coerenza determina, onde riempire il vuo-to, la tendenza diffusa a postdatare anche le opere del medio Ellenismo. Si spiega così, ad esempio, il pervicace tentativo di abbassare di venti o trent’anni anche monumenti ben ancora-ti cronologicamente, come l’Ara di Pergamo, in coerenza con quanto avviene per analoghi complessi scultorei, come quelli di Magnesia e di Lagina, per i quali da tempo è stata realizzata la stessa operazione. Paradigmatica della deriva in corso è l’intermi-nabile e stucchevole discussione sul cosiddetto Principe ellenistico del Museo delle Terme, in cui si continua a proporre, alternativa-mente, di identificare un greco o un romano. Ovviamente la que-stione è mal posta, e ad essa è facile contrapporre la domanda: come riconoscere un romano che vuole apparire un greco in una statua realizzata da uno scultore greco? Forse in base ai caratteri razziali? In questo caso gli unici elementi di distinzione possibi-le sono quelli antiquari: per esempio, in questo caso, l’assenza del diadema che chiude la questione a favore dell’identificazione con un romano.

Allo stesso modo, si deve notare l’assenza di studi recenti su opere databili in questo periodo e ben datate sulla base di ele-menti non stilistici, come i ritratti di Delo: segno evidente di imba-razzo in presenza di una produzione tipica di un ambiente etnico e sociale misto, allo stesso tempo greco e romano, dovuta ad artisti greci, per la quale la polarità “greco o romano” è evidentemente improponibile.

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Per molti versi, la situazione del Lazio meridionale presen-ta aspetti analoghi e partecipa dello stesso àmbito culturale. La penetrante analisi stilistica applicata da Alessandro Celani a una serie di sculture sparse nei musei della zona gli permette di ri-costruire le caratteristiche e il tono culturale di un contesto di cui finora non era stata còlta tutta l’importanza.

Speriamo, con queste brevi note, di aver destato l’interesse per un’opera pionieristica e che questo sasso, gettato nella morta gora degli attuali studi sull’arte ellenistica e tardo-repubblicana, possa riaprire una discussione da tempo invischiata nella pigra ripropo-sizione di modelli e concetti sclerotizzati.

Filippo Coarelli

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Quasi una prefazione

Una certa inquietudine naturale nasce come una ricerca di senso. E si conclude, in molte sue parti, con una perdita di senso. Gli itinerari che ho percorso – me ne sono reso conto a lavoro ultimato – conducono ai

luoghi della mia infanzia: delle vacanze al mare, Terracina, Gaeta e Sperlonga, il Circeo; delle gite domenicali, Palestrina, Tivoli e Ar-pino; dello studio, e poi del lavoro, Roma. La bellezza di quelle immagini non mi ha spinto, tuttavia, dopo così tanto tempo, più vicino a quei luoghi. Questo lavoro è dunque, nel suo nucleo più profondo, un lavoro sulla nostalgia.

È una ricerca maturata nel corso degli anni, lontano dall’ar-cheologia, nella lettura di saggi e di romanzi e nella visione, conti-nua e persistente, di sculture e dipinti di ogni epoca, di fotografie e di film. Ricordo solo, per affetto e ammirazione, Viaggio in Italia di Roberto Rossellini. Lo sgomento e la gioia di Ingrid Bergmann, che si aggira fra le sculture Farnese, hanno accompagnato molti dei miei sopralluoghi. Ho lasciato aperte le finestre della discipli-na e permesso che i pollini delle narrazioni più diverse invadesse-ro la stanza.

Anche per questo, il testo, che stento a definire il risultato del-la ricerca, non tiene in gran conto scansioni disciplinari ed è, a volte, contraddittorio e incompleto. Il paragrafo sul Pugile delle Terme e il capitolo su Sperlonga, da cui ero in origine partito, sono rimasti in forma di abbozzo. Ma ho deciso di includerli ugualmen-te. Emergono, con forza, alcuni motivi, umani prima che intel-lettuali: l’amore per la narrazione e il fascino delle arti e, in essi sempre radicato, un interesse profondo, quasi michelangiolesco, per il corpo.

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14 Quasi una prefazione

Queste forme di conoscenza e di rappresentazione sono qui faccia a faccia. Ho fatto uso dei documenti più disparati, ma evito di invocare, come accade in premesse simili a questa, il metodo interdisciplinare. Si potrebbe discutere a lungo su ciò che questo significa, ma preferisco non farlo. Sono andato alla ricerca, se così posso dire, di una interdisciplinarità dello sguardo: osservare un’epi-grafe come uno storico dell’arte, una scultura come un epigrafi-sta; leggere una poesia come un archeologo, esaminare rovine come un filologo, e così via, per scambi e dislocazioni. Pensare, quanto più possibile, come un uomo comune. Ho messo alla prova le risposte degli antichisti, sostituendo le loro domande, dove e come ho potuto, con altre più attuali, poiché invece, sempre di più, ci si rivolge all’Antichità in cerca di risposte che valgano an-che per noi, senza condizioni. Non sempre è vero ciò che soste-neva Wilhelm von Humboldt: che l’Antichità è una patria migliore e che in essa divengono comprensibili sia ogni cosa del molteplice senso umano, sia i modi in cui si formano le rappresentazioni. A volte l’Anti-chità ci confonde e ci turba.

Non mi sono sentito fuori strada quando ho trascorso lunghi mesi nella lettura di libri e nella visione di immagini che nulla hanno a che fare con ciò di cui si discute in queste pagine. È stato un modo per prendermi cura delle persone che mi sono state ac-canto in questi anni: nei musei, nelle chiese, nei siti archeologici, di fronte a dipinti e sculture. Eravamo in quei luoghi poiché essi si aspettavano da me una spiegazione (molti, quasi tutti, avevano pa-gato per questo). Non ci siamo più rivisti. Il lavoro della divulga-zione, non tenuto in gran conto dall’accademia, è come un paese straniero: ha in serbo per noi incontri miracolosi.

Qualunque storico si trovi nella condizione di descrivere un’immagine a chi non ne sa nulla e che non vedrà più per il resto della vita, scoprirà presto che è illusorio confidare nella disciplina. Imparerà, al contrario, che è opportuno prendersi cura dell’uomo: alleviare le sue insicurezze, e le sue sofferenze, muoversi assieme a lui, di fronte e intorno a statue e dipinti, accettare i suoi giudizi, per quanto rudimentali, poiché essi sono la mappa del suo passato e della sua voglia di trovare un senso alle sofferenze della vita.

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15Quasi una prefazione

O di rendere le sue gioie durevoli. Anche per me, come per loro, questo percorso è stato una forma di guarigione.

Nel silenzio del non-esperto, che legge, che ascolta, che osserva, risiedono le domande che ho cercato di trascrivere in queste pa-gine. Senza tutte quelle persone, le poche e insufficienti risposte che qui si trovano non avrebbero alcun senso.

A.C.

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Indice-Sommario

Presentazione, di Filippo Coarelli 7

Quasi una prefazione 13

Una certa inquietudine naturaleSculture ellenistiche fra senso e significato

I Estetica del frammento e studio delle rovine 19Simulacra, p. 19; Statue in frammenti e libri in frammenti, p. 34; Il dettaglio come categoria storica, p. 45; Statue, letteratura e identità: uno sguardo al presente, p. 53; «In pietre e altre sostanze si trasforma l’anima», p. 60.

II Narrazioni e storiografie dell’arte 69Comunità immaginate, p. 69; Élites?, p. 76; Breve riflessione sul “centro”, p.  96; Romani e Greci. Come tradurre il linguaggio dell’arte?, p.  100; Gli  stili e l’interpretazione storica delle opere d’arte, p.  114; Plinio e gli occhi dell’antichità, p. 118; Sguardo romano: copie e ripetizioni, p. 125; Psicologia?, p. 132.

III Forme di eroismo maschile 141Corpi di uomini, p. 141; Il cosiddetto Cicerone di Formia, p. 149; Stile, descrizione archeologica e memoria, p. 155; Una statua onoraria da Perge, p. 164; Breve nota sull’ Ercole di Fianello Sabino, p. 166; Identificazione, p. 169; Conclusione stilistica – Il restauro del Cicerone, p. 179; Abbozzo di conclusione storica, p.  182; Una statua eroica da Minturno e la tar-da Repubblica romana, p. 190; I Tirannicidi come modello di eroismo in

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Roma, p. 195; L’ipotesi graccana, p. 198; L’ipotesi sillana, p. 205; Mario e i santuari di Marica in Minturno, p. 214; Eracle nasconde la mano? Un dettaglio del Principe delle Terme, p. 221; Mummio e il tempio di Er-cole in Roma, p. 230; Breve storia della gens Mummia, p. 236; Mummio e la topografia di Roma. Una nota a margine, p. 254; Spunti per un discorso sull’ Hercules Aemilianus e Pompeo, p. 263; Mani, il volto nel corpo: una nota al Pugile delle Terme, p. 272.

IV Letterature, oralità e stili scultorei 285Storia e oratoria nella tarda Repubblica romana, p.  285; Letterature d’occasione e arti visuali in età tardo-repubblicana, p. 308; Breve divaga-zione sulla commedia di Plauto e Terenzio, p. 330.

V Ritratti 347Vultus, p.  347; Su una testa-ritratto da via Barberini, p.  348; Attico a Roma, p. 354; Attico in Epiro e in Grecia, p. 357; Attico e Varrone, p. 360; Un ritratto di Attico in Atene?, p. 364; Quanti Nerva a Palazzo Massi-mo alle Terme?, p. 366; Enea, un eroe statuario. Divagazione sullo stile proto-augusteo, p. 376; Conclusione provvisoria, p. 384; Mario e Silla a spasso per Roma, p. 390; Ritratto di dinasta in Terracina, p. 407; Iuppiter Anxur, p. 416; Breve divagazione su Veiove, p. 420; Feronia, Circe e Iuppi-ter Anxur, p. 434; Un viaggio a Creta, p. 442; Circe, madre dei Romani e amante dei Greci, p. 450; Il significato storico dello stile e un ripensamento, p. 457.

VI Comunità migranti. Romani e Italici nelle isole dell’Egeo 465Una nota sull’arte, p. 465; Alcune statue maschili in chitone e mantello, p. 472; Una variazione maschile sulla veste femminile, p. 479; Sacerdoti e travestimento rituale. Narrazione e ambiguità di genere, p. 487; Eracle a Eritre e le donne di Tracia, p. 498.

VII Viaggi domestici. Donne, statuaria e scultura 501Statue femminili in vesti coe. Gusto, stile e memoria, p. 501; Un’arte popola-re?, p. 509; Ottico o tattile?, p. 517; Alcune novità: statue di donne e archi-tettura, p. 525; Il Pompeo di Palazzo Spada, p. 535; Una nota su Pompeo in Oriente, p. 541; Arte pompeiana in Campo Marzio, p. 553; Tre statue femminili da Palestrina, p. 563; Una testa-ritratto dal Museo di Palestri-na, p. 572; L’ Ephedrismos dei Musei Capitolini, p. 573; Aby Warburg

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e il dinamogramma, p. 579; Alcune idee a margine dell’ Ephedrismos, p. 583; Le vesti e il valore storico del chiaroscuro, p. 587; Il panneggio fra vuoti e pieni, p. 595.

VIII Sperlonga 603Tre variazioni sul tema, p. 603; Il Sileno di Rodi, p. 607; Il Marsia in pa-vonazzetto dei Musei Capitolini, p. 611; Le statue dal Letoon di Xanthos, il Cicerone di Formia e Sperlonga, p. 622.

IX Sculture e comunità 629Statue e uomini: un’architettura dell’intimità, p. 629.

Epilogo. Organicità e astrazione, cinquant’anni dopo 673

Naturalis quidam dolor

Bibliografia 727

Indici 757

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Naturalis quidam dolor: una certa inquietudine naturale o forse, più cruda-mente, un certo innato dolore. È ciò che Cicerone percepisce in Servio Sulpi-cio Galba, uno dei protagonisti di questo libro. Il suo dolore, quello delle don-ne e degli uomini della sua epoca, trasfigurato nella finzione dell’arte, viene descritto in queste pagine. Dove trovarlo? Negli sguardi intensi dei ritratti; nel ripiegamento carnale dei panneggi; nella nudità sfrontata dei corpi maschili: dèi, eroi o uomini che siano. È un dolore che poco dipende dalla buona o dalla cattiva sorte: cade dal cielo come una pioggia, non distingue il servo dal padrone, ma non è senza speranza. Si procura, come le statue che ri-vivono in queste pagine, redenzioni tutte terrene: la fuga, il nascondimento, l’interruzione e la rinuncia; la violenza, inflitta e subita; l’uccisione e l’amplesso. Al netto della distanza di secoli, questo libro è uno specchio: esso mostra un percorso di persistenza attuale. E come specchio funziona: per ricercare, per contemplare, per stupirsi. Per il godimento, per la cura. Per disfarsi di ciò che esso contiene: il dolore, la Gorgone.

Alessandro Celani (1973) è dottore di ricerca in Storia antica. È autore di una mo-nografia sul reimpiego dell’arte greca in Roma, Opere d’arte greche nella Roma di Augusto (Napoli 1998), e ha scritto variamente di scultura antica. È stato borsi-sta alla Scuola Archeologica Italiana di Atene. Attualmente insegna Storia e Storia dell’Arte nella sede italiana della University of Alberta in Cortona. Fotografo, ha pub-blicato (e scrive) poesie.

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