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La potenza muscolare umana forniva l'energia necessaria ad azionare questa pompa idraulica a due cilindri raffigurata nel. l'opera francese del XVIII secolo Architecture Hydraulique. L'uomo forniva l'energia imprimendo un movimento ad alta- lena al giogo. Nella figura manca una connessione meccanica fondamentale: il pistone di destra non è collegato al giogo. Una giornata di lavoro Le ricerche sull'energia muscolare, iniziate nel XVIII secolo, sono giunte alla conclusione che l'uomo non è una sorgente di energia economica e che perciò non dovrebbe essere utilizzato come fonte di energia meccanica forza era equivalente a quella necessaria a sollevare con moto continuo un peso di circa 12 chilogrammi per un inter- vallo di 45 centimetri al secondo. t in- teressante osservare, per inciso, che Amontons pervenne alla definizione fon- damentale di potenza (la velocità con cui un peso è sollevato) in uso ancor oggi, benché ai suoi tempi la termino- logia scientifica non conoscesse i termi- ni lavoro », potenza » ed s ener- gia ». L'assenza, per tutto il settecento, di una rigorosa definizione dei termini, non impedí tuttavia il calcolo o un'anali- si comparativa di una giornata di lavo- ro, poiché nei calcoli non entravano né l'energia cinetica né la quantità di moto. Al rapporto di sette a uno tra la po- tenza del cavallo e quella dell'uomo proposta da La Hire, Amontons sosti- tuí un rapporto di sei a uno. I rapporti citati da vari autori vanno da quello di 2,5 a uno (Georg Bauer, detto Agricola, nel 1556) a quello di 14 a uno (rapporto sostenuto da un certo Schulze dell'Ac- cademia di Berlino nel 1783). Nel 1819 la Cyclopaedia di Abraham Rees com- pendiò una grande quantità di dati con- trastanti, dichiarando che il vero rap- porto standard era di 5,87 a uno, con- siderando la velocità con cui il lavoro veniva compiuto. Ma poiché la durata di una giornata di lavoro di un cavallo -u, ino al XX secolo una parte rile- vante dell'energia meccanica complessiva fu fornita dai mu- scoli dell'uomo, anche nei paesi tecno- logicamente più avanzati: era infatti l'energia muscolare umana ad azionare le grandi ruote che fornivano energia meccanica a mulini e ad altre macchi- ne; era l'energia muscolare umana che veniva applicata a far ruotare manovel- le e trasportare pesi. Questa situazione non fu sostanzialmente modificata dal- l'introduzione di dispositivi sempre più minuziosi, come quello in cui un uomo saliva su per una serie di scalini sal- tando poi su una piattaforma sospesa e mettendo in tal modo in movimento un meccanismo che faceva salire un ca- rico di peso pressappoco uguale a quel- lo dell'uomo, riportando conterrpora- neamente quest'ultimo al suo livello di partenza. Qualche anno fa, mentre stavo fa- cendo una breve rassegna delle sorgenti di energia meccanica nel XVIII secolo, fui colpito dalla somiglianza esistente tra gli studi sull'energia muscolare com- piuti allora e quelli condotti nel nostro secolo sotto l'insegna dell'organizzazio- ne scientifica del lavoro. La somiglian- za risiede non soltanto nel tono delle ri- cerche — l'atteggiamento ambiguo di chi esamina un tipo di lavoro che non sarà mai chiamato a fare o a dirigere —, ma anche nella mancanza di un metodo do- tato di una certa complessività. Nel XVIII secolo si ricavavano conclusioni perentorie e quantitative, con l'aiuto di operazioni algebriche, da una congerie casuale e frammentaria di dati. Ancora all'inizio del nostro secolo l'ingegnere industriale americano Frederick Win- slow Taylor (descritto dai suoi biografi come il a padre dell'organizzazione scientifica del lavoro ») e i suoi seguaci praticavano Io stesso tipo di approccio al problema. Per di più il ricorso al- di Eugene S. Ferguson l'uomo come sorgente di energia, giu- stificato nel XVIII secolo quando non erano ancora disponibili piccole macchi- ne a vapore, motori a scoppio ed elettri- ci, era del tutto superato nel XIX seco- lo. Tuttavia questi ricercatori entusiasti non si resero conto se non molto lenta- mente che l'energia muscolare umana non è una sorgente di energia economi- ca (un uomo in un anno può fornire circa 6000 lire di energia meccanica, calcolata al prezzo di 40 lire al chilo- wattora) e che è quindi venuto il tem- po in cui l'uomo non dovrebbe più es- sere utilizzato come fonte di energia meccanica. poiché gli studiosi del XVIII secolo che investigarono l'energia muscola- re furono i precursori degli esponenti dell'organizzazione scientifica del lavoro del nostro secolo, sarebbe stato oppor- tuno per entrambe le scuole sceglie- re come patrono il fisiologo italiano del seicento Giovanni Alfonso Borelli. Borelli, considerando gli animali come macchine, ne spiegò i movimenti musco- lari in tern.ini di leve e funi. Egli vide nel corpo un complesso insieme di giunti e articolazioni meccaniche. Questo modo di considerare le capa- cità meccaniche di un uomo o di un ca- vallo godette per un breve periodo di grande interesse. Nel 1702 Antoine Parent dell'Accademia francese delle Scienze, cercò di analizzare il corpo in termini matematici. Con questa teo- ria — egli scrisse — si potrebbe calcolare la forza di questo numero prodigioso di macchine che operano singolarmente o tutte insieme nel corpo dell'animale; si conoscerebbe [allora] con precisione, o con un'approssimazione molto vicina al- la realtà, la forza di ognuna di tali mac- chine in combinazione con le altre ». Né Parent né alcun altro portò però avanti seriamente la cosa. Benché i calcoli muscolo per muscolo e arto per arto esercitassero allora una certa attrazione sui matematici, come potrebbero esercitarla oggi su uno spe- cialista di calcolatori, nelle analisi più estese realmente compiute (almeno fino al 1900) il corpo fu considerato come un tutto unico. I risultati ottenuti forni- rono un'indicazione del massimo sforzo giornaliero che ci si poteva attendere da uomini e da cavalli, considerati sem- plicemente come sorgenti di energia. In principio l'interesse si suddivise tra po- tenza umana e potenza del cavallo, che erano sostanzialmente intercambiabili per molti compiti. Il problema della potenza dell'uomo e della potenza del cavallo fu affrontato in modo scientifico consapevole nel pri- mo volume delle Mémoires dell'Acca- demia francese delle scienze nel 1699. Un saggio di Philippe de La Hire si concludeva con l'asserzione che la for- za di spinta orizzontale di un uomo era di circa 13 chilogrammi. La Hire derivava la forza geometri- camente, considerandola come la com- ponente orizzontale del peso dell'uomo quando questi si inchinava per esercita- re il massimo sforzo nell'esecuzione del lavoro. Sulla base di quest'impostazione La Hire deduceva la forza di trazione di un cavallo, osservando che ci si de- ve accontentare dell'esperienza generale secondo cui un cavallo esercita una trazione orizzontale equivalente a quella di sette uomini ». Nello stesso volume Guillaume Amontons attribuiva all'uomo una forza pari a circa 12 chilogrammi, asserendo che tale era la forza esercitata da un lu- cidatore di vetri quando spingeva avanti e indietro il suo panno per lucidare nel- lo spazio di quasi mezzo metro, con una periodicità di un movimento al se- condo per una giornata lavorativa di dieci ore. Amontons osservava che tale 74 75

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La potenza muscolare umana forniva l'energia necessaria adazionare questa pompa idraulica a due cilindri raffigurata nel.l'opera francese del XVIII secolo Architecture Hydraulique.

L'uomo forniva l'energia imprimendo un movimento ad alta-lena al giogo. Nella figura manca una connessione meccanicafondamentale: il pistone di destra non è collegato al giogo.

Una giornata di lavoro

Le ricerche sull'energia muscolare, iniziate nel XVIII secolo, sono giuntealla conclusione che l'uomo non è una sorgente di energia economica e cheperciò non dovrebbe essere utilizzato come fonte di energia meccanica

forza era equivalente a quella necessariaa sollevare con moto continuo un pesodi circa 12 chilogrammi per un inter-vallo di 45 centimetri al secondo. t in-teressante osservare, per inciso, cheAmontons pervenne alla definizione fon-damentale di potenza (la velocità concui un peso è sollevato) in uso ancoroggi, benché ai suoi tempi la termino-logia scientifica non conoscesse i termi-ni lavoro », potenza » ed s ener-

gia ». L'assenza, per tutto il settecento,di una rigorosa definizione dei termini,non impedí tuttavia il calcolo o un'anali-si comparativa di una giornata di lavo-ro, poiché nei calcoli non entravano nél'energia cinetica né la quantità di moto.

Al rapporto di sette a uno tra la po-tenza del cavallo e quella dell'uomoproposta da La Hire, Amontons sosti-tuí un rapporto di sei a uno. I rapporticitati da vari autori vanno da quello di

2,5 a uno (Georg Bauer, detto Agricola,nel 1556) a quello di 14 a uno (rapportosostenuto da un certo Schulze dell'Ac-cademia di Berlino nel 1783). Nel 1819la Cyclopaedia di Abraham Rees com-pendiò una grande quantità di dati con-trastanti, dichiarando che il vero rap-porto standard era di 5,87 a uno, con-siderando la velocità con cui il lavoroveniva compiuto. Ma poiché la duratadi una giornata di lavoro di un cavallo

-u, ino al XX secolo una parte rile-vante dell'energia meccanicacomplessiva fu fornita dai mu-

scoli dell'uomo, anche nei paesi tecno-logicamente più avanzati: era infattil'energia muscolare umana ad azionarele grandi ruote che fornivano energiameccanica a mulini e ad altre macchi-ne; era l'energia muscolare umana cheveniva applicata a far ruotare manovel-le e trasportare pesi. Questa situazionenon fu sostanzialmente modificata dal-l'introduzione di dispositivi sempre piùminuziosi, come quello in cui un uomosaliva su per una serie di scalini sal-tando poi su una piattaforma sospesae mettendo in tal modo in movimentoun meccanismo che faceva salire un ca-rico di peso pressappoco uguale a quel-lo dell'uomo, riportando conterrpora-neamente quest'ultimo al suo livello dipartenza.

Qualche anno fa, mentre stavo fa-cendo una breve rassegna delle sorgentidi energia meccanica nel XVIII secolo,fui colpito dalla somiglianza esistentetra gli studi sull'energia muscolare com-piuti allora e quelli condotti nel nostrosecolo sotto l'insegna dell'organizzazio-ne scientifica del lavoro. La somiglian-za risiede non soltanto nel tono delle ri-cerche — l'atteggiamento ambiguo di chiesamina un tipo di lavoro che non saràmai chiamato a fare o a dirigere —, maanche nella mancanza di un metodo do-tato di una certa complessività. NelXVIII secolo si ricavavano conclusioniperentorie e quantitative, con l'aiuto dioperazioni algebriche, da una congeriecasuale e frammentaria di dati. Ancoraall'inizio del nostro secolo l'ingegnereindustriale americano Frederick Win-slow Taylor (descritto dai suoi biograficome il a padre dell'organizzazionescientifica del lavoro ») e i suoi seguacipraticavano Io stesso tipo di approccioal problema. Per di più il ricorso al-

di Eugene S. Ferguson

l'uomo come sorgente di energia, giu-stificato nel XVIII secolo quando nonerano ancora disponibili piccole macchi-ne a vapore, motori a scoppio ed elettri-ci, era del tutto superato nel XIX seco-lo. Tuttavia questi ricercatori entusiastinon si resero conto se non molto lenta-mente che l'energia muscolare umananon è una sorgente di energia economi-ca (un uomo in un anno può fornirecirca 6000 lire di energia meccanica,calcolata al prezzo di 40 lire al chilo-wattora) e che è quindi venuto il tem-po in cui l'uomo non dovrebbe più es-sere utilizzato come fonte di energiameccanica.

poiché gli studiosi del XVIII secoloche investigarono l'energia muscola-

re furono i precursori degli esponentidell'organizzazione scientifica del lavorodel nostro secolo, sarebbe stato oppor-tuno per entrambe le scuole sceglie-re come patrono il fisiologo italianodel seicento Giovanni Alfonso Borelli.Borelli, considerando gli animali comemacchine, ne spiegò i movimenti musco-lari in tern.ini di leve e funi. Egli videnel corpo un complesso insieme digiunti e articolazioni meccaniche.

Questo modo di considerare le capa-cità meccaniche di un uomo o di un ca-vallo godette per un breve periodo digrande interesse. Nel 1702 AntoineParent dell'Accademia francese delleScienze, cercò di analizzare il corpo intermini matematici. Con questa teo-ria — egli scrisse — si potrebbe calcolarela forza di questo numero prodigioso dimacchine che operano singolarmente otutte insieme nel corpo dell'animale; siconoscerebbe [allora] con precisione, ocon un'approssimazione molto vicina al-la realtà, la forza di ognuna di tali mac-chine in combinazione con le altre ».Né Parent né alcun altro portò peròavanti seriamente la cosa.

Benché i calcoli muscolo per muscoloe arto per arto esercitassero allora unacerta attrazione sui matematici, comepotrebbero esercitarla oggi su uno spe-cialista di calcolatori, nelle analisi piùestese realmente compiute (almeno finoal 1900) il corpo fu considerato comeun tutto unico. I risultati ottenuti forni-rono un'indicazione del massimo sforzogiornaliero che ci si poteva attendereda uomini e da cavalli, considerati sem-plicemente come sorgenti di energia. Inprincipio l'interesse si suddivise tra po-tenza umana e potenza del cavallo, cheerano sostanzialmente intercambiabiliper molti compiti.

Il problema della potenza dell'uomoe della potenza del cavallo fu affrontatoin modo scientifico consapevole nel pri-mo volume delle Mémoires dell'Acca-demia francese delle scienze nel 1699.Un saggio di Philippe de La Hire siconcludeva con l'asserzione che la for-za di spinta orizzontale di un uomo eradi circa 13 chilogrammi.

La Hire derivava la forza geometri-camente, considerandola come la com-ponente orizzontale del peso dell'uomoquando questi si inchinava per esercita-re il massimo sforzo nell'esecuzione dellavoro. Sulla base di quest'impostazioneLa Hire deduceva la forza di trazionedi un cavallo, osservando che ci si de-ve accontentare dell'esperienza generalesecondo cui un cavallo esercita unatrazione orizzontale equivalente a quelladi sette uomini ».

Nello stesso volume GuillaumeAmontons attribuiva all'uomo una forzapari a circa 12 chilogrammi, asserendoche tale era la forza esercitata da un lu-cidatore di vetri quando spingeva avantie indietro il suo panno per lucidare nel-lo spazio di quasi mezzo metro, conuna periodicità di un movimento al se-condo per una giornata lavorativa didieci ore. Amontons osservava che tale

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L'argano a cavalli, una tra le più importanti sorgenti di po-tenza finché non venne sostituito da macchine a vapore, for-ni il modello per l'unità di potenza chiamata horse-power.James Watt, sulla base di dati fornitigli da un costruttore di

mulini, stabili che un cavallo poteva trainare 168 chili alla ve-locità di 4 chilometri all'ora, lavorando quindi a un ritmo dicirca 4560 chilogrammetri al minuto. In realtà un cavallo nonpuò compiere una tale quantità di lavoro senza interruzione.

Una ruota inclinata destinata a fornire energia meccanica a unmulino o ad altre macchine poteva essere azionata da uominio animali. In quest'illustrazione, che figura nel Theatrum Ma.

chinarum Molarium (1735), la potenza viene fornita da un soloanimale. Ruote analoghe compaiono nei trattati di macchinedel XVII e XVIII secolo. La prima immagine è del XVI secolo.

t-t

Una piattaforma sospesa sollevava l'acqua utilizzando l'energia fornita da un uomo che,dopo essere salito su per una rampa di gradini, non raffigurati nell'illustrazione, passa-va sulla piattaforma al livello L, causando in tal modo la discesa della piattaforma el'ascesa del recipiente d'acqua fino al punto K, nel quale l'acqua veniva scaricata.

era di sole otto ore contro le dieci oredella giornata lavorativa di un uomo,il vero rapporto standard per il lavorosvolto in una giornata scendeva a 4,7a uno.

Se si fa eccezione per Agricola, gliautori continentali tendevano a dare va-lori più alti di quelli determinati da au-tori inglesi. Una buffa spiegazione diquesta discrepanza fu fornita nel 1734dal francese, ma vivente in Inghilter-ra, Jean-Théophile Desaguliers, il qua-le affermò che cinque inglesi eranopari a un cavallo, mentre ci volevanosette francesi o olandesi per poter con-trobilanciare la potenza dello stessocavallo.

Con l'avvento della macchina alter-nativa a vapore di James Watt, nel1782, i cavalli-potenza vennero separatidai cavalli reali. Watt stabili pari a 76chilogrammetri al secondo la potenzache avrebbe dovuto fornire una mac-china a vapore che sostituisse un ca-vallo. Egli non verificò tuttavia questidati sui cavalli, fondandosi sulle cifredesunte dall'esperienza e fornitegli daun costruttore di mulini di Manchester.Poiché i valori di Watt erano superiorialle prestazioni effettive di quasi tuttii cavalli, eccezion fatta forse per quelliusati nelle fabbriche di birra di Londra,la discussione sulla « vera » potenza deicavalli continuò fino all'ottocento inol-trato. Considerando oggi le cose, è stra-no che il valore del cavallo-vapore pro-posto da Watt non abbia mai avuto seriantagonisti.

Quando il cava l lo-potenza venne adassumere un nuovo significato, la suarelazione alla potenza dell'uomo fu pre-sto dimenticata e la potenza dell'uomodivenne un campo d'indagine distinto.Molte analisi matematiche della potenzamuscolare dell'uomo apparvero nel set-tecento nelle pubblicazioni delle accade-mie francesi e tedesche, e studi empiri-ci vennero pubblicati nei rendiconti del-l'Accademia svedese e nei trattati distudiosi inglesi, come Desaguliers, Ja-mes Ferguson e altri. Nel 1798 l'inge-gnere e fisico francese Charles-Augustinde Coulomb, che è famoso per la suaopera sull'elettricità, pubblicò uno stu-dio molto complesso sulla potenza mu-scolare dell'uomo in cui si rifletteva iltipico atteggiamento degli scienziati neiconfronti dell'uomo considerato comeuna macchina produttrice di lavoro.

Coulomb determinò rapidamente —ed evidentemente in modo intuitivo, co-me già avevano fatto Desaguliers e al-tri — che un uomo potesse fornire ilmaggior lavoro possibile salendo su peruna serie di scalini e passando poi suuna piattaforma discendente che, attra-verso un sistema di funi e pulegge, fa-

ceva salire un carico di peso approssi-mativamente uguale a quello dell'uomo.Nel 1744 Desaguliers aveva descritto uncongegno di questo genere capace difar salire 63,5 chilogrammi d'acqua duevolte al minuto per una distanza verti-cale di 6,4 metri. (Desaguliers aggiunse:

Un cameriere di trattoria, essendo abi-

tuato a scendere e salire scale, è moltoadatto a questo lavoro ».)

Se Coulomb avesse letto il libro diDesaguliers, le sue ricerche avrebberoforse assunto una diversa direzione, manon ci sono prove che egli ne abbianeppure sentito parlare. Coulomb sichiese semplicemente a quale altezza

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Il lavoro su cilindri rotanti faceva parte delle attività imposte ai detenuti nella prigionedi Petworth, in Inghilterra, all'inizio del XIX secolo. Quest'incisione fu pubblicata nel

1835, negli atti della Camera dei Comuni, nel corso di un'inda.gine svolta da un comitato per la sorveglianza sulle prigioni.

Non si specifica quanto lavoro utile venisse eseguito dai detenuti.Un cilindro simile era nella prigione della Contea di Gloucester.

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avrebbe potuto giungere un uomo sa-lendo ininterrottamente rampe di scaleper un periodo uguale a quello di unagiornata di lavoro. A quest'epoca Cou-lomb vide un giovane che saliva su peruna scalinata straordinariamente lungascavata in un pendio roccioso e osservòche impiegava 20 minuti per salire aun'altezza di circa 150 metri. Coulomboffri al giovane una ricompensa per cer-care di indurlo a compiere 18 voltel'ascesa in sei ore, ma quello rifiutò, ad-ducendo a pretesto che non solo al ter-mine delle sei ore sarebbe stato esausto,ma che sarebbe stato deriso per averpercorso la stessa scalinata 18 volte inun giorno.

Quando Coulomb aveva quasi persoogni speranza di poter ottenere i datiche gli servivano per la sua ricerca, ven-ne a sapere che il suo amico Jean--Charles de Borda aveva guidato unaspedizione al Picco di Teneriffa nelleCanarie. Alle domande di Coulomb,Borda rispose che alcuni fanti di mari-na avevano raggiunto in sette ore e trequarti un'altitudine di 2923 metri. Que-st'informazione era molto importanteper Coulomb. Supponendo un peso cor-poreo di 70 chili, egli annunciò che unabuona giornata di lavoro equivaleva a2923 per 70, ossia a 205 000 chilo-grammetri.

Il cameriere di Desaguliers, percor-rendo frettolosamente la sua rampa di21 scalini due volte al minuto, sarebbesalito in sette ore e tre quarti a 5950metri, una prestazione più che doppiarispetto all'ascesa dei fanti di marina diBorda. Un'altra misura della distanzaverticale che un uomo potrebbe percor-rere in un giorno fu fornita da un ami-co di Watt, John Robison, il quale de-scrisse una pompa idraulica a giogooscillante che avrebbe potuto essereazionata da un giovane che andasseavanti e indietro da un'estremità all'altradel giogo per dieci ore al giorno. Il gio-vane di Robison, che pesava poco piùdi 61 chili, reggeva un peso di circa13,5 chili per accrescere il proprio pesocorporeo e accrescere quindi il lavoroche era in grado di fornire. Nell'impo-stazione di Coulomb. il giovane avreb-be trasportato il suo peso di 13,5 chilifino al Picco di Teneriffa in tre ore esat-te, e il lavoro compiuto in una giorna-ta sarebbe stato pari a 553 000 chilo-grammetri.

Ancora una volta è opportuno unconfronto. Nel 1818 sir William Cubbitadibí dei detenuti ad azionare un cilin-dro rotante che doveva trasmettereenergia meccanica a un mulino o adaltre macchine. Ogni detenuto doveva

camminare sul cilindro ruotante fino apercorrere la distanza verticale comples-siva di 2630 metri in sei ore. Ciò equi-vale a salire 9 volte le scale della tor-re Eiffel, impiegando circa 40 minutiper ogni ascesa. Confrontando i valorinumerici con quelli forniti da altri stu-diosi, risulta che il programma stabilitoda Cubbit presenta la stima più bassafra le quattro che abbiamo esaminato:184 000 chilogrammetri.

D°Po essere pervenuto a una stima diuna buona giornata di lavoro, Cou-

lomb si chiese quanto lavoro possacompiere un uomo che non sia in gradodi utilizzare il suo peso corporeo. Comeesempio si pose il problema del traspor-to di una certa quantità di legna da ar-dere su per una rampa di scale. Qualeera la quantità ottimale di legna che unuomo doveva trasportare in una voltaper ottenere il massimo rendimento altermine di una giornata di lavoro? Pre-sumibilmente il trasporto di carichi piùleggeri avrebbe consentito di fare unmaggior numero di viaggi in un tempodato. Coulomb suppose che se avessepotuto sviluppare un'equazione conve-niente avrebbe potuto &terminare ilcarico ottimale per poter avere il mas-

simo rendimento di una giornata dilavoro.

Ancora una volta i dati di Coulomberano, per dirla in termini non troppocrudi, informi e casuali. Egli si eraspesso servito, per far trasportare legnada ardere nel suo appartamento, che sitrovava al termine di una scala a 12 me-tri di altezza, di un certo facchino cheera di forza inferiore alla media. Il fac-chino non era mai riuscito a trasporta-re più di sei carri di legna in un giorno,e ogni volta diceva a Coulomb chenon avrebbe mai potuto fare altrettan-to lavoro tutti i giorni.

Coulomb registrò 66 viaggi al giorno,per un carico medio di 68 chili. Il lavo-ro totale compiuto dal facchino in ungiorno fu pertanto il carico utile (68kg) più il peso dell'uomo (70 kg) mol-tiplicato per il numero di viaggi super la scala (66) e ancora per l'altezza(12 metri): un totale d 109 000 chilo-grammetri. Confrontando questa cifracon l'energia richiesta a scalare il Pic-co di Teneriffa senza trasportare alcuncarico (205 000 chilogrammetri), Cou-lomb suppose che la differenza (96 000chilogrammetri) rappresentasse il lavoroche risultava ovviamente perduto in se-guito al trasporto di un peso.

Senza giustificare quest'assunto, Cou-lomb suppose inoltre che la quantitàdi lavoro perduto fosse proporzionaleal carico. Se il carico fosse zero, non cisarebbe lavoro perduto, ma il lavoro uti-le sarebbe zero. Se il carico fosse di145 chili, il facchino non potrebbe sol-levarlo e il lavoro utile sarebbe ancorazero. In un punto imprecisato tra que-sti due estremi c'era un carico ottimaleche avrebbe fornito il massimo lavoroutile. Sulla base di quest'ipotesi Cou-lomb elaborò una serie di equazioni se-condo le quali il carico ottimale dove-va essere di 53 chilogrammi.

Una verifica sperimentale della con-clusione di Coulomb potrebbe rivelarsiutile. Il carico trasportato nella realtàdal facchino (68 kg), moltiplicato per ilnumero di viaggi (66) e per l'altezza(12 m), dà 53 800 chilogrammetri dilavoro utile. Il carico ottimale di 53chili stabilito da Coulomb consentirebbedi compiere un lavoro utile di 56 000chilogrammetri, con un aumento del4,1 %, ma aumentando contemporanea-mente di un terzo, da 66 a 88, il nume-ro dei viaggi compiuti in un giorno. Co-si, per far tornare i calcoli di Coulomb,il facchino dovrebbe fare 22 viaggi di

più in un giorno. Lo stesso aumento dellavoro utile si poteva ottenere traspor-tando tre carichi di 68 chili in più.

Coulomb si limitò a registrare le sueconclusioni, osservando che i facchinitrasportano carichi pesanti per poter es-sere giudicati forti, e che probabilmentenon li si potrebbe convincere a valutarenel suo giusto peso quest'argomentazio-ne. Ho la sensazione che un uomocome Taylor, perorando la causa del-1"t organizzazione scientifica », nonavrebbe rinunciato a quest'argomenta-zione cosí facilmente. Se il facchino diCoulomb avesse dovuto lavorare sottola direzione di Taylor, si sarebbe mes-so a trottare più rapidamente per farentrare 88 viaggi in una giornata dilavoro.

Nel 1872 Lammot Du Pont fece unostudio molto ampio sul rendimento

del lavoro umano nelle fabbriche per laproduzione di polvere nera a Brandy-wine, nei pressi di Wilmington negliUSA. In questo studio, che è stato ana-lizzato con molta precisione da un miocollega allo Hagley Museum, NormanWilkinson, Du Pont registrò il peso de-gli ingredienti della polvere nera e dei

recipienti in cui erano contenuti, misu-rò le distanze percorse (sia orizzontal-mente sia verticalmente) e calcolò il la-voro compiuto giornalmente dagli uo-mini nelle varie operazioni. Egli trovòche il lavoro effettivamente svolto va-riava, a seconda delle operazioni ese-guite, con un'oscillazione compresa trail 4 e il 50 % rispetto a quello che con-siderava il rendimento di una buonagiornata di lavoro. Si può osservareche Du Pont non aveva nessuna delledifficoltà incontrate da Coulomb nel de-terminare una buona giornata di lavo-ro. Egli si riferiva infatti semplicementead alcune tabelle contenute nell'A ide--Mémoire, un manuale francese per uffi-ciali d'artiglieria, e in manuali d'arti-glieria statunitensi da esso derivati. DuPont commentava che, poiché alcunecifre si fondavano sulle prestazioni disoldati francesi, una buona giornata dilavoro doveva corrispondere ad alme-no il doppio della cifra riportata nei ma-nuali. Negli USA, egli diceva, gli uomi-ni lavoravano almeno il doppio deifrancesi!

Anche senza compiere un'analisi si-stematica delle tabelle contenute neimanuali ottocenteschi, è evidente, an-

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Pompa idraulica a manovella del XVIII secolo che utilizzava il lavoro di detenuti.Era chiamata « pompa a rosario » a causa della fitta sequenza di coppe che sollevavanol'acqua fino al recipiente. Gli uomini alla manovella facevano turni lunghi un'ora.

che a una rapida scorsa, che in succes-sivi manuali ricompaiono, sempre affa-stellati insieme, i dati forniti dai vari au-tori, dati che sono gravemente contra-stanti tra loro. In assenza di indicazionisulla validità o meno delle conclusioni diDesaguliers, di Coulomb, di Robison edi altri, chi usa in maniera acritica unmanuale può soltanto perpetuare la ca-sualità e l'arbitrio degli autori citati.

Lo stato della situazione può venireillustrato dall'articolo Force, nella Cy-clopaedia di Rees (1819). Vi si trovanole conclusioni di Coulomb associate aivalori numerici forniti da Amontons,Daniel Bernoulli, Eulero, Desaguliers ealtri. Il manuale di Alexander Jamieson(1832) ammoniva il lettore che i datisulla potenza muscolare erano « cosí va-riabi l i da non poter essere assoggettatial calcolo », ma ancora nel 1919 il ma-nuale dell'ingegnere civile americano,di John C. Trautwine, descriveva senzaalcun commento la pompa a giogooscillante realizzata cent'anni prima daRobison, ripetendo pari pari che essa

veniva azionata da un giovane che tra-sportava un peso di tredici chili emezzo.

Certo, lo studioso del XIX secolo nontraeva alcun aiuto concreto da tutta lasperimentazione compiuta allora. Hen-ry Mayhew, nel suo libro London la-bour and the London poor, edito nel1861, delineò un quadro ricco di parti-colari sulla situazione del lavoro fisiconell'Inghilterra vittoriana. Non è neces-sario soffermarci sulle conclusioni diMayhew; limitiamoci a considerare lasua descrizione della confusione e dellezuffe che avevano luogo ogni mattinaal porto di Londra quando si procedevaalla formazione di squadre di lavoro dauna folla di migliaia di persone in atte-sa, la maggior parte delle quali era de-stinata a tornarsene a casa delusa. Al-cuni tra gli uomini scelti azionavanoargani a manovella, altri andavanoavanti e indietro spingendo carrelli amano, altri ancora, suddivisi in squadredi sei o sette, facevano turni di otto oreazionando con i piedi un'enorme ruota

a forma di botte che forniva energia auna grossa gru. Sollevando 40 carichiall'ora dalla stiva di una nave, battendoil ritmo e a volte cantando insieme perfar passare il tempo, gli uomini aveva-no fornito alla fine di una giornata dilavoro meno dell'equivalente di un chi-lowattora di energia meccanica ciascuno.

Charles Dickens, che era molto piùvicino alla verità di quanto non lo fos-sero gli scienziati, scrisse un passo me-morabile a proposito della sperimenta-zione sulla potenza dell'uomo in HardTimes edito nel 1854. « Tante centinaiadi operai in questa fabbrica, tante centi-naia di cavalli vapore. Si sa, fino allaforza di una singola libbra, che cosafarà una macchina; ma tutti i calcolato-ri del debito nazionale presi insiemenon sono in grado di dirmi la capacitàdi bene o di male, d'amore o di odio,di patriottismo o di malcontento, di de-composizione della virtù nel vizio o vi-ceversa, che alberga in ogni momentonell'anima di uno di questi pacifici la-voratori che hanno volti composti ecompiono azioni ordinate. Non c'è al-cun mistero in tutto questo. C'è inveceun mistero inesorabile nel più profondodi essi, per sempre ».

La missione di Taylor all'inizio del no-stro secolo aveva come scopo la

riorganizzazione del lavoro manuale perrenderlo più efficiente. Più tardi i suoisuccessori furono meno interessati al la-voro muscolare, concentrando la loroattenzione nello studio dei movimenti enella progettazione di macchine in gra-do di accelerare le operazioni industria-li. In principio Taylor dedicò moltotempo alla questione di quale si potes-se definire (in chilogrammetri) una« buona giornata di lavoro ». La que-stione aveva per Taylor un'importanzaparticolare a causa del suo assunto fon-damentale che tutti gli operai fosseroscansafatiche, ossia che cercassero di fa-re il meno possibile.

Taylor si propose di trovare un prin-cipio che gli consentisse di calcolarescientificamente, e quindi in manierainequivocabile, la quantità di lavoro chepoteva esser compiuta in una giornata,nella varie condizioni possibili. La suaprima ipotesi fu che la stanchezza fos-se direttamente proporzionale ai chilo-grammetri di lavoro compiuto. La stes-sa ipotesi era già stata formulata un se-colo e mezzo prima da Daniel Bernoul-li, e rifiutata più tardi da Coulomb.Anche i dati in possesso di Taylor con-traddicevano tale ipotesi, ma egli avevaraccolto tanto materiale che non se lasenti di abbandonare tutto e girò il pro-blema all'ingegnere americano Cari

Barth (da Taylor definito « miglior ma-tematico di chiunque altro di noi »)per vedere se non fosse possibile indi-viduare qualche altra legge che, secon-do Taylor, doveva essere contenuta neidati da lui raccolti con tanta fatica.

In effetti Barth emerse presto da tuttiquei materiali con una legge « cosí sem-plice », a dire di Taylor, « che c'è ve-ramente da stupirsi non sia stata sco-perta e intesa chiaramente già qualcheanno prima ». Taylor continuò: «Que-sta legge è ristretta a quel tipo di lavo-ro in cui si raggiunge il limite delleforze dell'uomo, che per fatica non rie-sce a proseguire. È la legge del lavoropesante, la quale corrisponde al lavorodel cavallo da tiro più che al trottatore ».

Secondo la legge di Barth quantomaggiore era il peso trasportato o spin-to da un uomo tanto più lungo era ilriposo necessario tra un viaggio e l'al-tro. Per esempio, un uomo che trasportilingotti di ferro di circa 40 chili, nonpuò fare questo lavoro per più del57 % della sua giornata di lavoro. Quan-do il carico diminuisce abbastanza darender possibile all'operaio di svolgerequel tipo di lavoro per tutto il giornosenza crollare, la legge di Barth cessadi essere utile. A questo punto per de-terminare la capacità di lavoro di unuomo era necessaria un'altra legge (maistabilita prima nella sua forma più ge-nerale).

La sperimentazione fisiologica forni-va un modo alternativo di affrontare ilproblema della quantità ottimale di la-voro eseguibile in una giornata, purconsentendo di pervenire soltanto aleggi in cui il lavoro dell'uomo eraassimilabile ancora una volta a quel-lo dei « cavalli da tiro ». Per i ricerca-tori Francis G. Benedict ed Edward P.Cathcart, che nel 1913 misurarono ilmetabolismo e il lavoro compiuto daciclisti, le possibilità dell'approccio fi-siologico erano ricche di prospettive.Cosí Benedict e Cathcart descrissero irisultati delle loro sperimentazioni:« Esse hanno valore pratico non soloper atleti, ma anche per coloro checompiono grandi quantità di lavoro. tdi vitale importanza per l'imprenditore,per il costruttore di ferrovie e per altriche fanno uso di mano d'opera, che leloro macchine umane, cosí come i lorocongegni meccanici, lavorino al massi-mo grado di perfezione... Esperimentiaccuratamente predisposti per studiarel'efficienza meccanica del corpo uma-no..., forniranno, se eseguiti con preci-sione, dati fondamentali che si dimo-streranno di valore inestimabile nelladeterminazione scientifica di una dieta,di condizioni igieniche, e dell'applica-

zione del lavoro muscolare umano aleve e ad altri congegni meccanici ».

La ragione fece debolmente sentire lasua voce in un articolo di B. S.

Greenfield, edito nel 1911 nel « Cas-sier's Magazine ». Greenfield si propo-se di mostrare che la muscolatura uma-na non è una sorgente economica dienergia. Anch'egli però sentiva il fasci-no dei procacciatori di efficienza « Co-me tutte le regole — egli disse — anchequesta [dell'inefficienza della potenzamuscolare] ha le sue eccezioni. In que-st'epoca di specializzazione certi uomi-ni si sono adattati a compiti particola-ri. La miglior disposizione del talentoindividuale è argomento di ricerca e distudio scientifico ». Greenfield pensavaprobabilmente a Schmidt, il ben nototrasportatore di minerali di Taylor.Taylor, servendosi nel modo più sottiledella scienza dell'organizzazione, avevascelto Schmidt per fargli compiere unlavoro particolarmente faticoso grazieal fatto che egli era « cosi ottuso eflemmatico da assomigliare nella sua di-sposizione mentale a un bue più che aqualsiasi altro tipo ».

Nel 1940, una data assai vicina anoi, usci su « Mechanical Engineering »il saggio Power and velocity developedin manual work di C. A. Koepke e diL.S. Whitson. Essi si preoccuparono diavvertire che il loro scopo non era quel-lo di far lavorare gli operai più veloce-mente o di far loro consumare piùenergia, ma quello di <produrre di più,lasciando disponibile alla fine dellagiornata una riserva di energia tale daconsentire al lavoratore di godere pie-namente del suo tempo libero ».

Ho cercato di spiegare, e di sostenerecon documenti, che la scienza della po-tenza muscolare umana a fini industria-li è stata casuale e per la maggior par-te insignificante, nonostante le incursio-ni che ricercatori anche notevoli hannofatto in questo campo. Esiste una va-stissima congerie di dati e di conclusio-ni, ma a quanto ne so i risultati non fu-rono mai ritenuti degni di una criticasistematica da parte di scienziati o diingegneri; né sono riuscito a trovare,prima dell'avvento del taylorismo, unsolo caso in cui la misurazione dellapotenza muscolare abbia avuto effettipercepibili sul modo di impiegare difatto il lavoro umano. Le misurazionicompiute da Du Pont, per esempio, so-no state tutte registrate, ma fino allacomparsa di questo studio nessun muta-mento è stato apportato alle operazioniconnesse alla produzione di polveri.

L'organizzazione scientifica si muove-va all'inizio interamente nel solco della

tradizione che ho ricostruito per un pe-riodo di due secoli. D'altra parte l'in-dubbia azione svolta dall'organizzazio-ne scientifica nell'accrescere la produt-tività del lavoro umano si fonda su unmutamento fondamentale nel modo diaffrontare il problema. L'attenzione deiricercatori si spostò dalla questione dicome accelerare l'esecuzione di un com-pito manuale al problema, molto piùimportante dal punto di vista della pro-duttività, di fornire strumenti nuovi epiù perfezionati per accrescere il rendi-mento dell'uomo molto al di là di ognipossibile miglioramento della sua effi-cienza muscolare. Si può dire perciò chegli scienziati che studiavano la potenzamuscolare umana si ponevano domandesbagliate, e che la sempre maggioreproduttività industriale non deve Ala atali studi.

Sono ancora meravigliato da quelloche mi pare un elemento costante dellascienza della potenza muscolare umana:l'atteggiamento clinico di coloro chemisurano il lavoro nei confronti diquelli che lo compiono. Comunque siastata accolta dai teologi o da altre ca-tegorie di persone, l'identificazione, aopera di Borelli e di altri, dell'uomocon la macchina, fu comunque l'assun-to fondamentale degli studiosi di cui ab-biamo brevemente esposto le argomen-tazioni. Nei loro scritti si può trovarequa e là l'osservazione che gli uominihanno anche attributi non meccanici,ma fino a oggi quest'osservazione nonha avuto alcun effetto sui loro tentatividi accrescere la produttività degli ope-rai. Oggi la psicologia dell'operaio rice-ve forse più attenzione che non la suafisiologia, ma le nuove tecniche non so-no per questo meno manipolatorie del-le vecchie.

L'assunto implicito di ingegneri edeconomisti è che l'aumento della pro-duttività è un bene incontestabile. Po-chi oggi metterebbero in dubbio la no-zione che l'uomo ha accresciuto il suopotere sulla natura mettendo a disposi-zione dell'operaio quantità sempre mag-giori di energia inanimata. È opportunorichiamare alla mente le parole di C.S.Lewis in The abolition of Man: « Ciòche noi chiamiamo potere dell'uomosulla natura non è altro che un potereesercitato da alcuni uomini su altri uo-mini; in questo rapporto la natura nonfunge che da strumento ». P, tenendopresenti queste considerazioni che unbilancio dei costi e dei benefici dell'e-nergia muscolare e dell'energia inani-mata potrà essere tentato da uno stu-dioso che abbia una visione più ampiadi coloro che hanno finora affrontatoquest'argomento.

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