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universale di architetturafondata da Bruno Zevi

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gli architettia cura di Antonino Saggio

Mel Gooding

Will AlsopUn’architettura sociale

Marsilio

Indice

7 Larger than lifedi Laura Stecich

8 Gli anni della formazione: un breve resoconto

20 Gli elementi di una filosofia

46 Il processo creativo

52 Progetti: edifici e Piani Regolatori

In copertina la Peckham Library di Londra.

Traduzione e cura di Laura Stecich

© 2006 by Marsilio Editori® s.p.a.in VeneziaPrima edizione: maggio 2006ISBN 88-317-8927-9

Realizzazione editoriale: Valeria Bové

www.marsilioeditori.it

Senza regolare autorizzazione è vietata la riproduzione,anche parziale o a uso interno didattico, con qualsiasimezzo effettuata, compresa la fotocopia

stampato daLa Grafica & Stampa s.r.l., Vicenzaper conto di Marsilio Editori® in Venezia

Un’opera monografica dedicata a un architetto si serve solitamente del-le sue opere e di cenni bibliografici per delinearne la figura e attribuir-gli un ruolo nel panorama dei grandi nomi dell’architettura internazio-nale.Questa prassi sta decisamente stretta a Will Alsop. La sua personalità di-rompente, larger than life, conta quanto, se non più, delle sue opere,nella lettura della loro espressività, nella comprensione della loro sfac-cettata genesi, nella percezione della loro rilevanza. Il saggio di MelGooding colma un vuoto nella bibliografia finora dedicata a Will Alsop.Egli dedica spazio e sottile cura proprio all’analisi delle sue ecletticheattività, le cui ragioni si trovano nelle esperienze formative, nelle colla-borazioni ed espressioni artistiche ad ampio raggio. La professione del-l’architetto è investita di responsabilità marcate, determinate dal suoimpatto su intere comunità. Consapevole di tale responsabilità, WillAlsop interpreta con vitale maturità il ruolo dell’architetto e gli attri-buisce nuovo significato. La sua sensibilità e attenzione nello stabilireun dialogo diretto e articolato con le comunità interessate dalle sueproposte progettuali, lo distinguono da ogni altro architetto contem-poraneo. La sua visione artistica e architettonica non s’impone comeespressione creativa individuale, ma come articolazione visiva e concre-ta di volontà, aspirazioni e scelte comunitarie. Artista, architetto, urba-nista, Will Alsop diviene anche un po’ profeta con la costruzione di vi-sioni futuristiche che si traducono in realtà quando proiettate in unpresente ricettivo.

Larger than lifedi Laura Stecich

L’Architetto, mediante la composizione di for-me, stabilisce un ordine che è pura espres-sione del suo animo; attraverso forme e volu-mi, egli influisce in profondità sui nostri sensie provoca emozioni plastiche; mediante lerelazioni da lui generate, egli risveglia in noiechi profondi, ci offre la misura di un ordine,che percepiamo essere in sintonia con quelloproprio del nostro mondo, determina i motidel nostro cuore e del nostro giudizio; quan-do ciò avviene, comprendiamo il significatodella Bellezza.LE CORBUSIER, Verso una nuova Architettura,1923

L’Architettura, deve per forza essereun’espressione artistica individuale? Non po-trebbe essere un’arte collettiva?WILL ALSOP

Più originalità nel modus operandi, meno in-gegnosità tridimensionale, più strutture so-ciali.CEDRIC PRICE, 1977

Gli anni della formazione: un breve resoconto 9

con l’idealismo sociologico, ereditato dagli anni trenta, che pervadeva imigliori esempi dell’architettura inglese del dopoguerra.Tuttavia, risultarono molto più significativi i quattro anni trascorsinello studio londinese di Cedric Price. Price realizzò pochi progetti,ma l’originalità della sua visione e la sua polemica incisività, nella vestedi scrittore e oratore, lo consacrarono a figura di potente calibro criticoe creativo nell’ambito dell’architettura contemporanea inglese.Era profondamente interessato alla ricerca di un’architettura dagli usimolteplici e intercambiabili, reattiva ai bisogni dell’uomo, in tutte leloro accezioni, generatrice di spazi versatili, per il suo apprezzamentoresponsabile e gradevole in circostanze imprevedibili: «Architettura eurbanistica dovrebbero innanzitutto accrescere la scelta di attività di-sponibili, non semplicemente aumentare il grado di piacevolezza dicontesti esistenti».Progressista in ambito sociale e pragmaticamente idealista, Price eramolto critico nei confronti delle dossologie architettoniche della prati-ca e delle certezze riposte nella funzione.«Il [mio] studio», scriveva in uno dei suoi tipici sfoghi, «cerca di tra-sformare ciò che è considerato una salutare incertezza, quella che nonsi lascia intimidire dal dubbio, in gusto per l’inesplorato, riferendosi al-

Will Alsop è nato a Northampton, Gran Bretagna, nel 1947.Dopo un anno propedeutico – studi di base di Belle Arti – presso ilNorthampton College of Art, ha frequentato per cinque anni l’Archi-tectural Association (AA) di Londra, rinomata, allora come oggi, peressere la facoltà di Architettura più innovativa e radicale d’Inghilterra.Rem Koolhaas era suo coetaneo, Bernard Tschumi un amico.Gli studi iniziali in Belle Arti e la naturale predisposizione a quantoimplica creatività e intuizione marcarono la sua chiusura di fronte allatendenza, allora in voga all’AA, a un approccio all’architettura basatosul ricorso alla tecnologia.Veniva posto in discussione il bisogno stesso di distinguere la profes-sione di architetto. «A quell’epoca, all’AA, si era sviluppato un senti-mento di antagonismo nei confronti dell’estetica», ricorda. «Volevanomantenere l’arte distante all’architettura». Nonostante tutto, Alsoptrasse profondo beneficio dai metodi didattici dell’AA, che incoraggia-vano l’uso dell’immaginazione e sottoponevano i progetti degli stu-denti a un’analisi critica rigida e scrupolosa. Durante il suo quarto an-no di corso, partecipò ambiziosamente al concorso per il Centre Pom-pidou a Parigi e ottenne il secondo posto, con un progetto che colloca-va gli impianti nel piano interrato e creava un ampio parco al pianoterreno.Grazie a una borsa di studio, trascorse il quinto anno di corso alla Bri-tish School di Roma, un’esperienza che si dimostrò altamente formati-va. Alsop apprezzava vivere e lavorare in una città splendida, in cui ar-te e architettura classica, rinascimentale e moderna costituivano uncontesto di vitale importanza – dato per scontato dai suoi abitanti –per gli affari e i piaceri della vita moderna.Durante il periodo all’AA, Alsop lavorò per un breve periodo presso lostudio di Maxwell Fry e Jane Drew, considerati tra i più rilevanti pio-nieri dell’architettura modernista inglese, venendo a diretto contatto

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nale, tra cui Buckminster Fuller e Josef Beuys. Il coinvolgimento attivoe differenziato di Alsop nella ricerca, nell’insegnamento, nell’attivitàprofessionale e nell’interazione costante con una rete di esperti d’altoprofilo – scrittori, artisti, architetti, teorici – stava gettando le basi cri-tiche e teoriche per il suo futuro studio, in cui arte e architettura si sa-rebbero fuse in collaborazioni ardite con tecnologie consolidate. La vi-sione che stava sviluppando era quella dell’architettura come un’attivi-tà costruttivamente umana che rifletteva valori ed esperienza, piuttostoche semplice funzione.Verso la fine degli anni settanta, Alsop entrò a far parte, in qualità diarchitetto, dei Riverside Studios che, sotto la brillante direzione artisti-ca di David Gotthard, sarebbero diventati una fabbrica-fucina di scam-bi artistici e intellettuali a livello europeo. Il compito di Alsop era ipo-tizzare lo sviluppo di un complesso di edifici su un sito lungo le rive delTamigi, dedicato a molteplici attività, residenziali, sociali e artistiche.Ne derivarono due proposte ambiziose, nessuna delle quali fu mai rea-lizzata. In termini stilistici, entrambe erano caratterizzate da un manie-rismo postmoderno, che mostrava uno slancio, non ancora del tuttodefinito, alla ricerca di un’alternativa alla strada senza uscita imboccatadal brutalismo quasi modernista del dopoguerra inglese, ma che evitas-se al contempo la banalità del funzionalismo high-tech, allora molto di

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l’operazione e allo sviluppo stesso della forma di un eventuale edificio.Attraverso il gusto per l’inesplorato, vengono dunque prodotti e raffor-zati tentativi artigianali in molti altri campi, in particolar modo inquello scientifico. La qualità, sia degli esiti sia degli individui coinvoltinel processo che ne deriva si pone positivamente a confronto con laprofessione dell’architetto». Senza dubbio Price esercitò l’influsso piùdurevole sul pensiero architettonico di Alsop.Negli anni in cui Alsop dava inizio alla sua carriera in architettura, co-minciava anche a insegnare scultura alla St. Martins School of Art diLondra, a quell’epoca una delle scuole di Belle Arti più progressiste e disuccesso della Gran Bretagna. In opposizione alla predominante cor-rente modernista della scuola di scultura, imperniata sull’oggetto (An-tony Caro e William Tucker avevano influenzato profondamente St.Martins), Alsop promuoveva un’arte non definita e assertiva di ideeproiettate, un’arte che potesse dipendere non tanto dalla risposta este-tica isolata di uno spettatore in una galleria dai muri intonsi, quantodall’ardore e dai sentimenti risvegliati in chi la condivideva. Fin dal suoesordio, fu un attivo membro di Artnet, un forum creato per riunireartisti, teorici e architetti. Fondato nel 1971 da Price, dall’architetto eteorico Peter Cook e dal magnate delle costruzioni Alastair McAlpine,Artnet aveva un ricco programma e attrasse oratori di fama internazio-

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rò per tutti gli anni novanta. Questo percorso riflette un certo pragma-tismo del modus operandi di Alsop: la sua propensione a cogliere op-portunità professionali e commerciali quando si presentano, a stringe-re alleanze con coloro che possono promuovere la causa della buona ar-chitettura, apportando competenze specifiche e contatti preziosi per lostudio. L’idealismo che pervade il suo studio è basato su una visionepoetica e utopistica, ma è mitigato da un’accorta comprensione delleregole del mondo e trova espressione efficace in uno schieramento pra-tico e in un impegno realistico con le strutture esistenti della politica edella comunicazione. Politici, burocrati, operatori immobiliari inevita-bilmente partecipano con un ruolo rilevante alle trattative che sono al-la base della sua fiducia in una positiva collaborazione tra architetto ecommittente; l’eloquenza di Alsop nella difesa di procedure non con-venzionali e soluzioni inattese è di continuo messa alla prova da lotte dipotere. Forse risulta essere il più convincente perché la sua visione ar-chitettonica è chiaramente non in funzione di una visione politica si-stematicamente utopica; o perché la sua visione politica è espressa at-traverso argomentazioni convincenti circa la capacità di trasformazio-ne di un’architettura costruttiva a livello sociale.

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moda. Nei primi anni ai Riverside Studios, Alsop collaborò su questiprogetti con l’artista Gareth Jones, ma al volgere del decennio aveva or-mai intrapreso la sua collaborazione più duratura e prolifica con BruceMcLean, scultore-pittore-performance artist londinese, che era a suavolta coinvolto nel dinamico sviluppo artistico degli Studios, e la cuifede nell’arte come espressione politica e sociale, insieme alla ricercacreativa nello spazio architettonico, come scenario per comportamentipositivi o negativi, erano perfettamente complementari alle idee diAlsop. Da più di vent’anni l’architetto e l’artista sono intimi amici ecolleghi, collaborano su una varietà di progetti e il loro rapporto siesprime in una creatività libera da schematismi che è risultata di cru-ciale importanza nella formulazione – in immagini, oggetti o testi – delpensiero e della filosofia di Alsop.Poco prima di entrare a far parte dei Riverside Studios, Alsop aveva co-stituito una società con John Lyall, amico e collega fin dai tempi del-l’AA. Questa collaborazione proseguì negli anni ottanta, come una del-le numerose relazioni creative e commerciali che hanno contraddistin-to la carriera di Alsop. Un «matrimonio di convenienza» altrettantocongeniale fu quello con l’architetto di Amburgo Jan Störmer, che du-

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che si tratta di un pensiero non strutturato, essenzialmente propositi-vo, soggetto a rapide alterazioni, presentato in maniera del tutto nonaccademica, con elementi fantasiosi e immaginifici, che intendonosorprendere il lettore o l’ascoltatore per la loro estraneità a modi dipensiero convenzionali o prevedibili. L’articolazione delle attività diAlsop, sotto forma di lezioni, articoli, film, seminari, contributi e con-versazioni, ha come scopo principale quello di provocare la riflessionee promuovere un dibattito creativo e costruttivo.Si tratta di una filosofia in cui funzione, poetica ed estetica sono tratte-nute in una struttura flessibile e speculativa di pensieri e sentimenti.Certamente non si tratta di una costruzione grandiosamente formale,dal momento che Alsop non è né un teorico intellettuale, né un ideali-

Will Alsop è un artista per il quale teorizzare e praticare l’architetturasono attività che hanno costantemente coinvolto considerazioni nonarchitettoniche, a tratti anche anti-architettoniche.Se l’architettura è definita come il processo di progettare degli edifici,tenendo a mente la loro funzione e secondo una serie di principi e diregole, sarebbe corretto affermare che, per certi aspetti, il giovane Alsopha opposto resistenza all’architettura, fin dagli esordi, e continua tutto-ra. La «storia dell’architettura», come ogni trattato su questo tema con-fermerà, è la narrazione descrittiva, più o meno critica, delle successivereiterazioni, ridefinizioni e sviluppo dei principi architettonici, dellatestimonianza cronologica dell’applicazione, in realizzazioni ideali oconcrete, di quelle «regole» e della successione di stili che questa gene-ra. Alsop è profondamente perspicace nella lettura di quella «storia»,sebbene la sua conoscenza della storia della disciplina, come avvieneper molti artisti e architetti, sia parziale e selettiva, soggetta a circostan-ze storiche, predilezione personale e convenienza professionale.Fin dalla sua fondazione, lo studio di Alsop ha costantemente sfidato lemodalità ortodosse di approccio all’architettura. È rifuggito dalla teo-ria e ha evitato quanto è ordinario. Più significativamente, fin dagliesordi della sua carriera, egli ha negato l’importanza dello stile, sia chequesto sia considerato la manifestazione di un qualche astratto «spiritodi un’epoca», o l’espressione della personalità dell’architetto, o la con-cretizzazione di una filosofia architettonica o di un insieme di norme, ocome l’applicazione di formule di soluzioni tecnologiche. Con ammi-revole rigore e perseveranza, e straordinaria fiducia in se stesso, Alsop siè concentrato invece sullo sviluppo concreto di una poetica dell’archi-tettura che comprenda un’estetica della vita quotidiana.Questo teorema quasi filosofico, e alquanto provvisorio, di idee e in-tuizioni, non differisce molto, per certi versi, dalle caratteristiche pro-poste di Alsop per progetti architettonici. Con questo, intendo dire

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Alsop immagina e sogna edifici, prima di progettarli. Ogni progetto hainizio con quel creativo «pensare a nulla»: lo stato mentale aperto al-l’inatteso e al non premeditato. Si tratta di un processo creativo che ri-sulta tanto rigoroso quanto quello richiesto da ogni tentativo di risol-vere un problema con implicazioni altamente tecnologiche. È un pas-saggio necessario al suo Studio, perché conduce alla proiezione imma-ginifica della diversità nella percezione reale o potenziale di qualunque

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sta sistematico. Il suo approccio, alle idee in generale e alla pratica ar-chitettonica in particolare, è intuitivo, esplorativo e sperimentale.Amante dei paradossi, i suoi estremi sono spesso intenzionalmente op-posti. Egli concepisce l’architettura in forme organiche e immaginipoetiche, piuttosto che in termini di espressioni ortogonali e norme lo-giche. Le sue riflessioni sono abitualmente assiomatiche, preferendotra queste espressioni apoftegmatiche.Il rigore e la perseveranza, cui ho accennato, si manifestano nell’instan-cabile creatività, nella concentrazione dell’artista. Una volta scrisse suuno dei suoi album per schizzi: «Se vuoi cambiare il mondo, non pen-sare a nulla». Mentre non pensa a nulla, Alsop mangia, beve, passeggia,conversa, immagina, e sogna di architettura: lui è uno di quegli artistiper i quali il mondo, in tutte le sue manifestazioni, è il materiale di par-tenza per un continuo processo creativo, in cui un aspetto confluisce inun altro. Egli ha sempre ritenuto che l’architettura rappresenti moltopiù che la soluzione a problemi, secondo norme prestabilite. «La crea-zione di un insieme di norme», ha scritto, «ha ucciso l’architettura».Naturalmente è vero che gli edifici vengono costruiti per soddisfarefunzioni ben definite, ma Alsop lavora con la costante consapevolezzache noi abitiamo e utilizziamo gli edifici con ben più intenzioni, rac-chiuse nel cuore e nella mente, di quante siano le nostre immediate ne-cessità, indipendentemente da quanto risoluti noi possiamo essere a ri-guardo e da quanto efficacemente l’edificio le possa soddisfare. In bre-ve, il pensiero di Alsop su questa dimensione esistenziale è enfatico:«Un edificio è il luogo dove essere».

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edificio proposto, a livello personale e pubblico. È soprattutto interes-sato alla diversità delle esperienze e ai cambiamenti nella percezione enell’uso che esse determinano. Questi aspetti della vita di un edificionon possono ovviamente essere previsti: «L’arte», afferma, «non contie-ne alcuna istruzione implicita su come i cambiamenti di percezione,che ne derivano, dovrebbero essere usati».L’atto progettuale puro e semplice, interessato alla forma e alla funzio-ne, la cui combinazione può effettivamente generare una tipologia dibellezza, è sempre basato su peculiarità dell’uso finale, determinateprecisamente e slegate dall’imprevedibilità dell’uso quotidiano (unbuon cavatappi funzionerà indipendentemente dall’umore del suoutente). Dal canto suo, l’architettura, essendo rivolta a indagare la con-dizione esistenziale del vivere, non può essere considerata una semplicequestione di design: è il contesto del vivere e dell’essere, una questionealtamente complessa e imprevedibile. Come immergersi in quell’espe-rienza del vivere prima che essa accada, prima che esista una stanza,uno spazio, un edificio, una città (o un giardino, un parco, un paesag-gio) ove essa possa avere luogo? Esiste dell’altro, al di là della funzione,a cui occorre pensare: progettare secondo una funzione implica l’esi-

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sul comportamento della gente (che è vario, complesso, mutevole, im-prevedibile, ambiguo)? Se immaginiamo le condizioni necessarie al be-nessere di un individuo sano, onesto ed efficiente, che contribuisce arealizzare un’effettiva performance sociale, allora i modelli storicamen-te consolidati iniziano ad apparirci discutibili, addirittura assurdi.Per quale motivo gli edifici adibiti a ospedali, prigioni, scuole, caserme,uffici ecc., sono basati sull’esigenza di concentrazione spaziale, sorve-glianza e controllo? Le conseguenze comportamentali di queste sceltesono fin troppo note: gli ospedali prolungano lo stato di malattia, leprigioni perpetuano la criminalità, le scuole scoraggiano un metodo diapprendimento indipendente, le caserme incoraggiano angherie e ser-vilismo, gli uffici inducono inefficienza…Proviamo a considerare, per esempio, il caso di un ospedale.

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stenza di un programma, e Alsop lavora con un’acuta percezione delfatto che noi non viviamo secondo un programma, fatta eccezione percerte istituzioni, come l’esercito, l’ospedale, la prigione, per esempio.E in ogni caso, Alsop si domanderebbe perché ciò debba avvenire.Ciò che è sbagliato negli ospedali, scuole, prigioni, uffici e altri edificiistituzionali, è che la loro forma segue modelli di funzione limitati e in-sufficientemente esaustivi, e non riesce a tenere in considerazione lerealtà complicate e complesse del comportamento umano. «Conoscen-do» la funzione stabilita per un edificio, l’architetto consulta le tipolo-gie di edifici storici e osserva esempi recenti, determina il capitolato inbase a costi e rendimento, e costruisce un edificio che è immediata-mente riconoscibile come un ospedale, una prigione, un palazzo peruffici ecc. Ma cosa accade se l’architetto inizia con delle considerazioni

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Cosa si aspetta la gente da un ospedale, in aggiunta alla fornitura dispecifici servizi medici? Privacy, compagnia, la possibilità di spostarsi,strumenti di accesso al mondo in generale, comunicazione, beni e ser-vizi, arte e intrattenimento, e uno spazio appropriato al godimento ditutto questo: in effetti la gente si aspetta ciò di cui ha bisogno, e di cuisente di aver bisogno, in ogni istante, in ogni circostanza. Alsop: «Seproseguissi secondo quest’idea per rispondere a un comportamentoreale, potresti non costruire affatto un ospedale. La strategia sarebbedifferente, cercherebbe metodi per rendere trasportabili attrezzature eservizi medici, per venire incontro a effettive metodologie comporta-mentali. Potresti progettare secondo il modello delle case a schiera, concucine, camere e salotti, stanze in cui riposare, in cui guarire. Case conpiccoli giardini e strade con pub e negozi».Negli ultimi dieci anni, in una varietà di edifici profondamente diversitra loro come l’Hôtel de Département des Bouches-du-Rhône (un pa-lazzo governativo), la proposta per la Tate Modern a Bankside, Londra(una galleria d’arte/museo), la Peckham Library (una biblioteca pub-blica e centro multimediale), il Queen Mary and Westfield College(una facoltà di medicina e centro ricerche) e l’Ontario College of Artand Design (una facoltà universitaria), Alsop, sempre in collaborazionecon altri professionisti, ha tentato di riformulare le modalità secondo

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cui gli edifici vengono creati per servire ai loro scopi istituzionali, inmodi effettivamente più vicini a soddisfare le aspirazioni umane.In ognuno di questi casi, il processo di scoperta ha avuto inizio imma-ginando l’esperienza attuale del fruitore in relazione alle funzioni notee definite dell’edificio. La gente non usa l’edificio semplicemente in ununico modo, ma in molti modi, che sono in relazione diretta con lafunzione designata; effettivamente, molte delle attività che la gentesvolge non sono strettamente legate al luogo in cui queste avvengono.Lo svolgimento delle attività umane – conversare, discutere, amare,odiare, prendersi cura di qualcuno, avere paura, sperare, l’intera gam-ma del fare e di eventi ed emozioni, continua ovunque ci troviamo.Malgrado tutto, la vita continua a scorrere, e Alsop persegue un’archi-tettura che sia un luogo per vivere. Potrebbe essere un luogo puramen-te immaginario, come esistono progetti architettonici che sono solo

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Lo spazio è il nostro elemento naturale. Alsop ritiene che un’architet-tura viva dovrebbe creare uno spazio adatto all’intelligenza fantasiosa eall’immaginazione intelligente. In quest’enfasi sulla partecipazione at-tiva dell’utente, nel processo di costruzione e rinnovamento degli usi edei significati dell’ambiente costruito, la sua filosofia architettonica sievolve parallelamente a quella di Joseph Beuys in arte. Come il grandeartista tedesco, la cui opera, come quella di Alsop, esprimeva, tra gli al-tri aspetti, una critica alla vanità e alla superficialità del postmoderni-smo, egli crede davvero che sia possibile migliorare il mondo attraver-so la mediazione dell’immaginazione pratica.Una tale visione dell’architettura si allontana dalla progettazione diedifici in quanto tale ed entra nel regno della realizzazione dell’am-biente sociale. Si tratta di una visione con molte conseguenze radicali,e Alsop ha sempre dimostrato una forte determinazione nel coinvolge-re dei non-architetti – artisti, ingegneri, scrittori, imprenditori immo-biliari, urbanisti, politici, professionisti fruitori dell’edificio da proget-tare, membri del pubblico di utenti potenziali, inclusi i bambini – co-

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proiezioni della mente o su un foglio, la riflessione e contemplazionedei quali può rallegrare gli animi nello stesso modo in cui fanno le ope-re d’arte; o potrebbe essere un luogo reale, in un contesto temporale rea-le, in cui le persone proseguirebbero nelle loro attività quotidiane: risve-gliarsi, camminare, lavorare, giocare, mangiare, bere, osservare, conver-sare, dormire, sognare. Che la progettazione da sola non possa soddisfa-re quest’ambizione, è qualcosa che l’architetto del xx secolo ha appresoda maestri così distanti fra loro quali Rennie Mackintosh, LloydWright, Le Corbusier e Louis Kahn. Immaginazione e sogni a occhiaperti sono strumenti necessari, ed è l’arte, confluita nell’architettura, adoverli impiegare a fini pratici. Perché il sogno, le fantasticherie e il libe-ro corso dei pensieri, sono attività umane universali, necessarie al nor-male funzionamento dell’organismo, che trascendono la professionalitàspecifica del progettista, del costruttore o dell’ingegnere. Questa è la ra-gione per cui queste attività possono costituire il punto di partenza del-le procedure che Alsop può impiegare efficacemente, attraverso i varistadi consecutivi della collaborazione tra cliente, fruitore e architetto.

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ro per una collezione d’arte, privata o pubblica, e, al tempo stesso, iden-tificava il cliente con l’idealismo progressista del tempo.Alsop raggiunse la sua maturità come architetto nel periodo di ecletti-smo postmodernista che attraversò l’architettura aziendale e commer-ciale in America ed Europa verso la fine degli anni settanta e ottanta, daun lato, e nel periodo del ricorso alla tecnologia, esemplificato, nell’ar-chitettura europea, da Norman Forster e Nick Grimshaw, dall’altro. En-trambe queste tendenze possono essere interpretate come reazioni, intermini, rispettivamente, di funzione e di stile, a quelli che erano consi-derati i motivi del fallimento del modernismo. In questa visione, ampia-mente condivisa e generalmente incoraggiata, si riteneva che l’architet-tura modernista avesse fallito in entrambe le proprie aspirazioni, di ri-sultare efficiente nelle sue espressioni funzionali, ed esteticamente bellanella sua franchezza, semplicità e sincerità nell’uso di materiali moderni.In breve, si era rivelata inefficiente, da un punto di vista ambientale (inparticolar modo nelle soluzioni proposte al tema dell’edilizia popolare),mentre l’uniformità delle linee ortogonali era priva di ispirazione.

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me collaboratori nel processo creativo del sogno, ideazione e progetta-zione dell’ambiente in cui vivranno e lavoreranno.Tutto ciò ha da tempo richiesto ad Alsop un’interpretazione particola-re della relazione tra architetto e committente. «Nella nostra epoca, ciòche è richiesto alla pratica dell’architettura», dichiarò all’inizio deglianni novanta, «è che il cliente divenga lui stesso architetto». Quest’im-magine contraddice nettamente la norma, ampiamente accettata, se-condo la quale l’Architetto determina fin dall’inizio la forma e lo stiledell’edificio, lavorando in conformità alle indicazioni relative a unafunzione specifica e alle necessità del cliente in termini di ostentazionedi simboli.Anche il migliore edificio modernista, dalla geometria regolare, proget-tato su una maglia ortogonale, dal prospetto in vetro o in cemento, ri-specchiava, come architetti quali Mies e Gropius sapevano bene, la vani-tà del committente, ne rappresentava il potere e la ricchezza, sia che sitrattasse di un individuo, sia di un’azienda, con un ruolo politico o pub-blico. Possedere un edificio firmato equivaleva ad acquisire un capolavo-

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nisti, «la Forma segue la Funzione». L’enfasi modernista posta sullacoerenza stilistica e la rigorosa ricerca formale fu sovvertita dal motto«No Style / No Beauty!». Nondimeno, Alsop riconosceva e stimava laprofonda bellezza intellettuale, morale e spirituale del più ampio pro-getto modernista. Era il suo successo, non il suo fallimento, a doman-dare una risposta. In definitiva, tutto ciò che si chiedeva era una riela-borazione dei suoi principi fondamentali e la riscoperta degli strumen-ti per una loro più efficace realizzazione. Era una questione molto piùampia di un semplice revival stilistico e normativo; non si trattava solodelle regole e delle espressioni proprie del modernismo, ma dello spiri-to che lo pervadeva.Ciò che risultava comunque positivo della migliore architettura mo-dernista, e fu la chiave del suo successo, non era il suo stile, ma la suastrategia sociale egualitaria: presupponeva la supremazia dell’esperien-za del fruitore, e la sua disadorna semplicità cercava di offrire il conte-sto adeguato per un comportamento democratico. Gli edifici dovreb-bero essere bianchi, luminosi, semplici e immacolati; così pure l’archi-tettura era una pagina sgombra, pulita, su cui la gente poteva scriverela propria vita. «Quell’idea», un giorno Alsop ha detto, «la conserveròsempre vicina al mio cuore». Ma creare un’architettura pronta a coglie-re le diverse possibilità richiede una mente aperta alle diversità e allesfumature con cui il comportamento può manifestarsi: la sfida sta nelprogettare un edificio, una piazza, un parco pubblico, un ponte ecc.,ricco di opportunità di leggere oltre che di scrivere, affinché esso pos-sa generare significati imprevisti e involontari, e assomigliare così a unapoesia, a un’opera d’arte. Possiamo non vivere più in una cultura di va-lori condivisi e resoconti collettivi, ma questi luoghi e spazi devono of-frire qualcosa all’immaginazione, condurre al benessere e a un compor-tamento socievole, innalzare lo spirito di coloro che ne fruiscono conqualunque intento.Il grande interrogativo di Hübsch, che indugia sul perenne dibattitodell’Architettura – «in quale stile dovremmo costruire?» –, non sorgenello studio di Alsop; non sarà vincolato da nessuna concezione di sti-le o idea acquisita di quanto è alla base della bellezza. I consolidatiprincipi di vitruviana memoria di ordine razionale, proporzione e in-tervallo, che hanno ispirato architetti classici, neoclassici, modernisti eminimalisti, non trovano alcuna priorità nella sua riflessione. «Ciò cheprogetto ha stile e bellezza» Alsop dichiarò nel 1992, «perciò nonescludo questi elementi. Se cominciassi a pensare in termini di stile,mettendoti in un determinato contesto – modernismo, postmoderni-

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L’architettura postmodernista offrì una risposta alla moda, combinan-do la crescente «collezionabilità» di uno stile riconoscibile, per la suacreazione di forme eccentricamente personali, involucri unici e faccia-te idiosincraticamente storiciste, con la cura per il dettaglio, al fine dipersonalizzare gli edifici di rappresentanza aziendale nella fase di capi-talismo «poststorico». Questo significò il trionfo di un «libero merca-to» transglobale in continua espansione, libero dai limiti imposti dacriteri della responsabilità sociale. L’idealistico International Styled’inizio e metà secolo, dal carattere essenzialmente progressista, fu sop-piantato da un’architettura-logo multinazionale.Con una risposta piuttosto differente, buona parte dell’architetturahigh-tech si presentò come ultraefficiente, dai volumi determinati dal-l’ingegnerizzazione di materiali moderni ultraleggeri, alla ricerca del-l’eleganza funzionale. Stilisticamente, trattava a sua volta dell’efficien-za dell’industria e dell’architettura moderna nella soluzione di proble-mi pratici, materiali. In effetti, molta di questa architettura risultò tan-to indifferente al tema della fruizione personale dell’utente, quanto lapiù estrema e idiosincratica espressione del postmodernismo.Alsop era ben provvisto di talento quanto di esperienza, per evitare dicadere nell’inadeguatezza di entrambe queste tendenze dell’architettu-ra dell’epoca (e non era il solo ad adottare questo atteggiamento; simil-mente, altri architetti della sua generazione cercarono alternative allamoda prevalente: Jean Nouvel, Massimiliano Fuksas, Rem Koolhaassono alcuni tra i nomi con i quali Alsop dimostra affinità), dal momen-to che, mentre conservava un profondo rispetto per la visione umani-sta dei grandi architetti modernisti, Alsop non si faceva vincolare o ini-bire dai principi e dalle norme di alcuna tendenza storica o ideologica.Uno dei primi slogan del suo studio, «la Funzione segue il Comporta-mento», ripudiava deliberatamente il più importante dei motti moder-

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smo, tardomodernismo, deconstruttivismo, razionalismo, neoraziona-lismo ecc. – sarebbe come scegliere un abito e indossarlo ogni giorno.Perché farsi limitare da vincoli artificiali?». Se la funzione segue il com-portamento, ciò equivale ad affermare che se un edificio, o lo spazio tradue edifici, si basa sul modo in cui le persone possono percepirlo, piut-tosto che sulla sua funzione all’interno del riconoscibile catalogo di «ti-pologie edilizie», allora i suoi volumi e la loro disposizione non saran-no determinati stilisticamente all’inizio del processo creativo.Può forse essere utile paragonare il rapporto di Alsop con ciò che eraessenzialmente il classicismo funzionale del xx secolo, il movimentomoderno, con la risposta articolata e idiosincratica del grande architet-to inglese Sir John Soane al prevalente classicismo dei secoli preceden-ti, e in particolare al neoclassicismo, che trovò espressione in Europa inquegli anni.Soane (1753-1837), il cui celebre studio-abitazione-museo londinesesuscita la sentita ammirazione di Alsop, comprese profondamente iprincipi dell’architettura classica; conosceva gli ordini greci e romani eapprezzava marcatamente le strutture rigidamente razionali del classi-cismo riformatore di Laugier. Nella sua abitazione, tuttavia, egli diedevia libera all’immaginazione, e gli elaborati spazi interni mostrano unaspazialità capricciosa, intesa a suscitare un dialogo creativo piuttostoche determinare e controllare il movimento e la percezione visiva.Alsop è, a sua volta, profondamente esperto dei principi di ordine e

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L’arte vede i suoi significati articolati in un discorso di accoglienza enello scambio libero e propositivo di un dialogo immaginario. Attra-verso l’insegnamento, collaborazioni, conferenze, pubblicazioni e mo-stre, Alsop ha preso più marcatamente parte, rispetto alla maggioranzadei suoi contemporanei, al dibattito critico-creativo. Questo sforzo to-talizzante, che si aggiunge a un formidabile e singolare insieme di in-terventi a scala mondiale, inizia ad assomigliare a un’importante pro-posta per un nuovo genere di architettura, tanto radicale nelle sue im-plicazioni per il nuovo secolo quanto lo è stata quella di Le Corbusierper quello che si è appena concluso. Da Architettura come progettazio-ne e realizzazione di edifici e spazi, ammirevoli o meno che siano, dedi-cati a funzioni specifiche, Alsop propone – mediante la pratica piutto-sto che la teoria, l’arte piuttosto che il dibattito filosofico – niente me-no che un’architettura per l’edilizia sociale, un’architettura che com-prenda il gesto collettivo dell’immaginazione collaborativa come fulcrodel suo sviluppo, e che affronta i suoi risultati in termini di comporta-menti potenziali, di eventualità di esperienze ancora impossibili dapredire.

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forma sottesi all’architettura progressista e ottimistica dei grandi mo-dernisti. Come nel caso di Soane, la sua interpretazione di quei princi-pi è l’esito di un’irrefrenabile aspirazione a forme e volumi che incorag-gino la capricciosa imprevedibilità dell’esperienza creativa e che sianoin grado di sorprenderci piacevolmente. Come Soane, nell’acuta e me-morabile caratterizzazione offerta da John Summerson, «anche Alsop[progetta] i suoi edifici a partire dall’interno».Come possiamo definire, se non in termini di principi o di norme, laqualità peculiare del processo di rivendicazione e assimilazione di Alsop,della visione progressista e umana del modernismo? Nello stesso modoin cui scopriamo il significato dell’arte: dall’analisi dell’opera stessa. Al-sop è un artista che professa e pratica l’architettura. In quanto tale, harinnovato una tradizione, quella dell’architetto-artista, che è di moltoantecedente al modernismo. Non è attraverso l’affermazione di princi-pi astratti ma attraverso il suo lavoro – il palazzo del Governo, la bi-blioteca, la piscina, l’istituto d’arte, la stazione della metropolitana –che ha aperto le porte dell’immaginazione a spazi meravigliosi e hacreato le condizioni perché un comportamento consono e un accre-sciuto godimento avessero luogo. E i numerosi progetti che rimangonoirrealizzati – molti dei quali esiti di concorsi o di eventuali incarichi –fanno parte integrante della sua opera, sfaccettature della sua arte.

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realizzazione, ma in questo processo egli ha davvero poco in comunecon la caricatura dell’architetto geniale, che schizza un edificio sul retrodi una busta e spende poi il resto del percorso progettuale e costruttivoimpegnato in dimostrazioni di «ingegnosità tridimensionale» per gene-rare una forma oggettiva, allestita secondo lo stile per interni predilet-to, per rispondere alle indicazioni funzionali. Per Alsop, ogni aspettodello sviluppo di una proposta, dal primo dipinto o disegno fino allascelta dei materiali e alla costruzione dell’edificio, è soggetto a com-menti e consultazioni con le altre parti coinvolte. In ogni caso, restacorretto affermare che, per Alsop, l’iniziale risposta pseudo-bizzarra aun possibile incarico, su una tela o una pagina del suo blocco da schiz-zi, è un elemento vitale nel processo progettuale complessivo. E i suoisoci e colleghi dello studio-ufficio sono esperti a formulare le propriereazioni alle sue proposte iniziali, mediante i loro stessi schizzi, scara-bocchi, sogni, disegni cad, modelli fisici, progettazione ingegneristica,trattative con i clienti ecc.Buona parte della progettazione delle possibilità di Alsop è condottacon i collaboratori tramite discussioni, gioco creativo e pittura colletti-va (quest’ultima condotta soprattutto con McLean). Possono ancheavere luogo consultazioni con i clienti e i potenziali fruitori: «Credofermamente nella necessità di parlare di meno, e di disegnare e dipin-gere di più. Induci la gente a sedersi e a mostrarti il loro modo di vede-re un edificio, lavora con loro, sviluppa le loro idee, mostra loro le tue.Progettare è un processo esplorativo, come dipingere. Mentre lavori, ilconcetto prende forma, non devi iniziare con delle idee preconcette sulmodo in cui il risultato finale dovrebbe apparire».L’insegnamento dell’architettura, cui si è dedicato per molti anni (allaSt. Martin’s School, a Brema, all’AA, a Vienna e in altre istituzioni an-cora), ha costituito un’esperienza importante per consolidare l’efficaciadel suo approccio. La fiducia di Alsop nelle possibilità di successo delcoinvolgimento delle comunità ha avuto inizio con il positivo esitodelle manifestazioni degli attivisti locali che, nei primi anni settanta, siopposero alle proposte distruttive e filistee avanzate per lo sviluppo inchiave terziaria dell’area di Covent Garden, nel centro di Londra.Alsop è consapevole degli aspetti negativi impliciti in un certo tipo dirisposta delle comunità di fronte a qualunque cambiamento o inter-vento innovativo in una località. La campagna per salvare Covent Gar-den offrì un ammonimento riguardo a questi pericoli: «Coloro che vi-vono e lavorano in un’area, dovrebbero essere consultati nella fase distesura dell’incarico… [ma] il riemerso uso del termine “comunità” ha

Ci volgiamo ora brevemente al metodo di lavoro di Alsop, agli stru-menti con cui opera verso il fine ultimo di un’architettura socialmenteattenta e responsabile. La sua metodologia può essere desunta dalla suaattività personale di pittore, disegnatore e scrittore, dalla scherzosa col-laborazione e interscambio di idee con amici scrittori e artisti, dallosviluppo di nuovi metodi di dialogo con il cliente e di collaborazionesociale, dalle procedure di progettazione che coinvolgono la conoscen-za e l’abilità di un gruppo di professionisti progressivamente più ampiodel suo studio, e dall’effettiva relazione con imprese edilizie e impren-ditori immobiliari.Ognuno di questi elementi è interrelato a tutti gli altri che partecipanoal processo complessivo, e ognuno è contemporaneamente attivo comeelemento a sé stante. I diversi approcci di Alsop sono volti intenzional-mente a eliminare l’elemento programmatico e a dissolvere quanto èconsolidato e percepito come «noto», al fine di scoprire l’imprevisto.Se, come già indicato, Alsop «concepisce l’architettura in forme orga-niche e immagini poetiche», è nell’attività pittorica che questo ha ori-gine; è nella condizione intuitiva del «pensare a nulla» che idee e solu-zioni a particolari problemi si rivelano. Dipingere rappresenta perAlsop un gesto fondamentale della creazione architettonica e lo stru-mento principale della progettazione. «…schizzi, dipinti e scarabocchial computer», ha scritto recentemente, «confluiscono tutti nell’idea diciò che chiamo “scoprire” l’architettura». Tale «architettura» non appa-re, nel suo iniziale concepimento, in termini di forme costruite, di og-getti nello spazio: è piuttosto un’idea di spazio, ricco di luce, colore esuggestioni, traiettorie di movimento, orientamento, un’idea di rela-zioni tra oggetti e spazio, e tra oggetti e altri oggetti nello spazio.Alsop può giungere in fretta all’idea di una forma o del rapporto traforme e volumi che perdurerà attraverso tutte le altre fasi del corso pro-gettuale fino alla formalizzazione di una proposta, al progetto e alla

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bito per l’esercizio professionale dell’architettura. È un contesto di dia-logo e garbato confronto che potrebbe coinvolgere non solo architettie committenti, ingegneri, urbanisti e imprenditori immobiliari, politi-ci e fruitori, ma anche artisti, scrittori, storici, sociologi, psicologi. Glistrumenti di comunicazione fra loro potrebbero estendersi a workshopcreativi ed eventi pubblici, testi, film, televisione, video e Internet. Lostesso studio-ufficio Alsop è divenuto il luogo per la condivisione diesperienze e capacità differenti. Ma questo ambito civilizzato prosegui-rà, fino a includere conversazioni in un bar, chiacchierate a tavola o traamici in vacanza.Naturalmente, l’ufficio-studio rappresenta lo spazio professionaleprincipale per la formulazione di idee, nella fase di ricerca, e per la pro-gettazione, nella fase della loro traduzione concreta in edifici e volumi.È proprio nello studio che intervengono competenze tecniche e tecno-logiche specialistiche e quell’approccio alla professione, tipico della na-tura di Alsop, che richiede affiatamento, e la profonda comprensioneche questo genera, per effettuare la transizione da sogno a proiezione, arealtà responsabile. A questo punto «Alsop», per indicare l’individuo,diventa Alsop, a definire lo studio. Negli ultimi dodici anni, fin dal-l’inizio rappresentato dal progetto vincente per l’Hôtel du Départe-ment des Bouches-du-Rhône, il cui successo garantisce ad Alsop unapresenza duratura sulla scena dell’architettura internazionale, un nu-cleo di direttori è stato alla base dello studio creativamente collaborati-vo di Alsop. A costo di risultare fastidioso, ne citerò i nomi: StephenPimbley, Peter Angrave, James Allen, Chistophe Egret e lo stesso WillAlsop.

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incoraggiato l’introduzione nell’area di valori arcaici consolidati». Nel-la città di campagna come nel grande nucleo urbano risulta cruciale,per la relazione tra architetto, cliente e fruitore, produrre il cambia-mento e le innovazioni che sono necessari e apportatori di migliorie al-la qualità della vita di coloro che devono coesistere con le loro conse-guenze. Alsop osserva con disgusto il trionfo, che spesso non trova op-posizione, di un’architettura commerciale di bassa qualità, che distrug-ge centri urbani con elementi di rilevanza storica, e aree verdi, non an-cora sviluppate, nelle periferie dei grandi centri.L’architetto, come l’artista e il filosofo, è utile, è una specie di esperto.L’architetto dice alla comunità-committente: «Ho esaminato a lungoquesti problemi. Li ho già osservati in altre circostanze. Non è suffi-ciente domandarmi di agevolare semplicemente quello che desiderateavvenga, quando non sapete che cosa potreste volere. Ditemi cosa vo-lete e svilupperemo possibilità di realizzazioni, di cui non avete neppu-re sognato. In questo modo immagineremo il futuro». Il cliente divie-ne l’architetto. Tale coinvolgimento nelle modalità di esplorazionecreativa e di scoperta si estende alla sfera degli interventi pubblici e pri-vati su larga scala, come una variazione del rapporto che sovente s’in-staura tra l’architetto e il cliente in un intervento residenziale, coinvol-to in ogni fase della progettazione e della costruzione in termini di bi-sogni riconosciuti, preferenze e desideri.Ciò che Alsop ha ulteriormente cercato di sviluppare è un nuovo am- b/n

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Si tratta di un’idea che raccoglie ben più che qualità unicamente visive.Si tratta di un elemento centrale di quell’«estetica del vivere quotidia-no» che ho citato all’inizio di questo scritto, e che pervade ogni proget-to intrapreso dal suo studio.È il sostegno estetico di quello che Kenneth Powell ha descritto come«la visione di Alsop di un’architettura del piacere e dell’appagamentoumano», la professione di un’architettura del senso pratico dell’uomo.È un’estetica che raccoglie ben più dei valori su cui si basava lo stilemodernista, fondamentalmente derivati dal puritanesimo, che consi-derava la Bellezza nei termini riduttivi di «corretta risposta alla funzio-ne» e onestà nell’uso dei materiali. È un’estetica di fruizione globale,basata sull’idea di benessere. Tale idea di «benessere», un’espressioneche Alsop adopera di frequente, è simile al termine «dimora» per Hei-degger: un’esperienza che è generata dal «costruire». «È nella naturadell’edificio», scrive Heidegger, «di farsi abitare, e solo se siamo capacidi abitare – sentirci completamente realizzati come individui sulla ter-ra – solo allora possiamo costruire».

In questo capitolo esaminerò brevemente un gruppo di progetti, diedifici e di piani regolatori intrapresi a partire dagli anni novanta, cheesemplificano efficacemente la filosofia e la pratica professionale diAlsop.Per Alsop il processo architettonico non genera mai un solo prodotto.Sebbene un edificio debba esprimere la propria voce in un contesto erappresenti una presenza piacevole per chi la usa, abita nei pressi osemplicemente è di passaggio, esso rimane parte di una totalità più am-pia e complessa. La tendenza della critica architettonica a isolare l’edi-ficio dal suo contesto fisico e sociale, riducendo l’analisi ad aspetti sti-listici, tecnologici, materici e funzionali, è, per Alsop, un anatema.«La fruizione di uno spazio e la qualità del comportamento che esso ri-flette, offre al mondo significato e dignità».Bisogna essere al servizio della Bellezza, ma come definirla?Se l’ambiente – cosmopolita, urbano o rurale – è concepito come pae-saggio umano, come luogo di attività vitali, in cui ogni elemento, ani-mato o inanimato, è parte del Tutto, allora «il Bello», qualità tutt’altroche astratta, è un aspetto materiale della percezione individuale degliedifici, di spazi e luoghi che costituiscono quel paesaggio. La Bellezzapuò quindi essere definita come esperienza illuminata, momento o suc-cessione di momenti del più intenso piacere e benessere. Può essere unarisposta al Tutto o una combinazione qualunque dei suoi elementi.La definizione di cose come belle è consueta e tipica di Alsop, sia che sitratti di un gesto, una bevanda, un panorama, un edificio o un dettaglio,come di un’espressione (prosaica o poetica), di un dispositivo ben fun-zionante (da un accendino a un ponte girevole). Quando afferma «unoggetto può giustificare la sua esistenza solo essendo bello», è implicitoche la nozione di bellezza, che qui viene invocata, tiene conto del conte-sto umano, in cui l’oggetto assume significato per l’individuo, e poi, ov-viamente, in virtù della risposta collettiva: che è quanto lo giustifica.

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Hôtel de Département des Bouches-du-Rhône, 1993La vittoria, nel 1990, del contratto per l’edifi-cio della sede generale del governo regiona-le del Bouches des Rhône rappresentò unasvolta nella carriera di Alsop.La sfida conclusiva di un concorso interna-zionale a due fasi fu condotta contro Nor-man Foster, l’architetto di maggiore succes-so della sua generazione; la brillante realiz-zazione dell’edificio consolidò la posizionedello stesso Alsop come architetto di spiccosulla scena internazionale. «Le Grand Bleu»,come l’edificio divenne in breve tempo cono-sciuto, incarna niente meno che una visionedi governo partecipativo, di effettiva moder-nità e dinamismo democratico; esprime visi-vamente le fasi della buona gestione: delibe-rativa, legislativa, amministrativa ed efficaciaesecutiva.La scelta stessa del sito, destinata a ravvivareun sobborgo periferico di Marsiglia, dava ini-zio a un processo di rigenerazione che inte-ressava Alsop profondamente. Esso richiede-va una costruzione che esprimesse visiva-mente un nuovo inizio e che comunicassecostantemente ai fruitori – legislatori, ammi-nistratori, lavoratori, visitatori – che questo

era un luogo di attività democratica e diazione.L’edificio è composto da due corpi rettango-lari paralleli per gli uffici amministrativi, chesuggeriscono una moderna versione degliUffizi di Firenze. Questi sono collegati da unatrio illuminato dall’alto, che conduce la lim-pidezza della luce naturale al centro di unospazio pubblico aulico e meraviglioso, nelcuore dell’area amministrativa. Le colonneclassiche dell’architettura civica del passato,tradizionalmente simbolo d’ordine e autori-tà, sono sostituite all’interno e all’esterno dagrandi colonne a forma di «X», che ricordanocon forza il voto democratico che attribuiscepotere al governo.L’adiacente volume, adibito a sala del Consi-glio e a sala dell’Assemblea (le Deliberatif),ha forma di sigaro, emblema della necessità,in ambito legislativo e di confronto, di unaflessibilità non gerarchica e multidirezionaledi pensiero e argomentazioni; come una vol-ta dichiarò Picabia: «Le nostre teste sono ro-tonde, così che i pensieri possano spostarsiin ogni direzione». Il Deliberatif è connessoagli altri edifici mediante passerelle e scalemobili. Al di sopra del più alto dei due fabbri-cati amministrativi, l’«Aerofoil», lungo quan-

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to l’edificio sottostante, ospita gli uffici presi-denziali: la sua forma simboleggia la rapiditàe l’efficacia dell’azione esecutiva.La strategia ambientale di Alsop costituivaun aspetto rilevante della proposta proget-tuale. Il forte impatto di questo importanteedificio pubblico, della fine del XX secolo, èconseguito con una marcata politica di ri-sparmio nella scelta dei materiali adottati –cemento, solaglass, legno e acciaio – che,pur comuni, sono utilizzati in applicazioniinusuali. Una simile cura è dedicata nel pro-getto degli impianti, con l’uso ridotto del

condizionamento dell’aria a favore di unosfruttamento ottimizzato della ventilazionenaturale. Dispositivi di ombreggiamento, tracui una grande tenda da sole che si distribui-sce lungo l’edificio dell’assemblea, contra-stano efficacemente gli effetti del sole delMediterraneo. Il ruolo dell’edificio come con-trassegno nel panorama urbano è enfatizza-to dall’uso di un colore marcato per i pro-spetti esterni; stimolante, accessibile e acco-gliente, l’edificio rappresenta l’antitesi all’im-magine convenzionale di una cittadella dellaburocrazia.

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Peckham Library, Londra, 1999La biblioteca pubblica di Peckham, a sud-estdi Londra, fa parte di un piano di rigenera-zione e sviluppo della comunità, in questaparte del quartiere di Southwark, e costitui-sce l’elemento forte di una piazza di nuovacreazione. È la proposta progettuale alle ri-chieste del committente, interessato a ridefi-nire il ruolo della Biblioteca nella comunitàlocale. Lo studio diede inizio a un intensodialogo con la comunità per scoprire qualetipo di edificio gli abitanti di Peckham voles-sero davvero. L’edificio sarebbe stato utiliz-zato da diversi gruppi sociali; scuole, asso-ciazioni di disabili, abitanti del quartiere fu-rono consultati in occasione di design work-shop. Il risultato è un sensazionale esempiodi nuova community architecture.La Peckham Library, il primo edificio rilevan-te realizzato da Alsop a Londra, rappresenta

la sintesi di numerosi valori e idee che lo in-teressavano da tempo. Fra tutte, la sua con-vinzione che le proprietà pubbliche vengonoarricchite da forme forti e colori vividi. Carat-teristica dello studio è quella di elevare gliedifici sopra il livello del suolo, una sceltache enfatizza la forza della loro presenza.Una conseguenza di questa strategia è che ifabbricati possono divenire la copertura perspazi pubblici ricavati al piano terreno. LaPeckham Library è sostenuta da colonned’acciaio, con anima in cemento, disposte adangolazioni irregolari a formare un portico aprotezione dello spazio coperto, un’estensio-ne della nuova piazza. La biblioteca è postaal quarto piano, nel tratto breve di una «L»capovolta, mentre uffici, sale riunioni e altriservizi sono disposti nei piani inferiori.La biblioteca può essere paragonata a un at-tico dall’atmosfera magica, che domina su

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Londra e offre una vista così ampia da per-mettere al visitatore della biblioteca di orien-tarsi in relazione all’intera città. Il lato norddell’edificio è interamente vetrato: la vista èlibera – Westminster, la City e gli altri edificidel centro di Londra sono tutti riconoscibili –ma la luce è delicatamente modificata dal-l’uso di vetro colorato, che marca un contra-sto più netto tra zone di luce e d’ombra.Tre pods, con struttura in legno e rivestimen-to in compensato, sono disposti all’internodello spazio principale e contengono rispet-tivamente una sala riunioni, un centro per leattività infantili e un centro studi afro-carai-bici. Queste aree, acusticamente isolate dalvolume principale, possono risultare silen-ziose o rumorose senza interferire con le al-tre attività. Si tratta di spazi ben definiti, se-misegreti, che esercitano un fascino partico-lare sugli utenti più giovani che la biblioteca

cerca di attrarre. I pods sono illuminati dal-l’alto e l’ardito e coloratissimo «baschetto»,che copre il pod centrale, diventa un elemen-to di spicco nella composizione esterna del-l’edificio.I rivestimenti esterni sono stati scelti per laloro durabilità, espressività superficiale ecromatica: rame prepatinato e rete a magliad’acciaio contrastano con il vetro coloratodella facciata nord. La rete ondulata dellafacciata principale e specifiche mirate per ilrivestimento in rame e il vetro colorato han-no prodotto un edificio resistente ad atti divandalismo. Una scritta evidente sul tettodell’edificio ne dichiara l’identità, quale se-gno tangibile della determinazione dell’auto-rità locale nel rigenerare ed enfatizzare lospirito di quella che è stata per anni un’areadella città particolarmente trascurata.

Heron Quays DLR Station, Londra, 2002Il progetto per Heron Quays, nei pressi delcentro finanziario di Canary Wharf, nell’arealondinese a lungo abbandonata dei Doc-klands, richiedeva la ricostruzione della pic-cola stazione della Docklands Light Rail perintegrarla nelle strutture più recenti. Il com-plesso incarico richiedeva che la costruzionefosse completamente racchiusa da edificicircostanti, a destinazione terziaria, ma cheavesse una struttura completamente indi-pendente dagli edifici laterali o superiori ocon lo stesso ponte della ferrovia. La soluzio-ne è rappresentata dalla creazione di un’in-telaiatura di supporti d’acciaio, la cui posi-zione è determinata dalla griglia dei pilastridel piano inferiore, che sostiene le banchinee un guscio concavo, sotto la quota dei bina-ri, a garantire protezione acustica dall’ecces-sivo livello sonoro prodotto dal passaggio deitreni sul ponte d’acciaio. La proposta proget-tuale consente il libero accesso al piano ter-reno, dove lo spazio ricavato funge sia daatrio della stazione sia da attraversamentopedonale. Scale mobili connettono questo li-vello con i piani inferiori del parcheggio econ le banchine ferroviarie superiori.La scelta cromatica sottolinea l’indipenden-za degli elementi architettonici dal loro con-testo. Il volume racchiuso della stazione harichiesto una cura particolare all’illuminazio-ne: la soluzione è rappresentata dal progettodi «travi luminose» che irradiano lo spazio eospitano il sistema di annunci al pubblicosopra le banchine.

Harbour Tower, Duesseldorf, 2002Colorium è una spettacolare torre policromadi diciotto piani ideata da Alsop Architectssulla banchina del porto di Duesseldorf, re-centemente rigenerato. Seppure progettatocome edificio a destinazione terziaria per uncommittente privato, Ibing Immobilien Han-del GmbH & Co. Hochhaus KG, questo rile-vante intervento del valore di undici milionidi sterline rivestirà un ruolo fondamentalenel programma di recupero che sta trasfor-mando progressivamente il porto in disuso el’area dei docks di Duesseldorf in un MediaHarbour, che ospiterà interventi progettualifirmati da numerosi architetti di fama mon-diale.Posto su un lotto estremamente limitato,precedentemente occupato da un silo, l’in-tervento consiste in una torre di sessantaduemetri di altezza, con due piani interrati. Lasoluzione per la facciata elaborata da Alsop,trasforma quanto potrebbe risultare un ba-nale edificio per uffici in una svettante operad’arte musiva. La regolarità dell’impiantoplanimetrico è frammentata e sfumata dalsofisticato e voluttuoso trattamento dellafacciata, che utilizza una ricercata tecnologiae produce diciassette diversi tipi di pannelli.Per garantire l’intensità cromatica esterna, lacomposizione è stampata sul vetro con unapercentuale inferiore in corrispondenza del-le aperture. Il mosaico di facciata cela lastruttura interna e crea esternamente unapresenza pittorica, esteticamente accattivan-te, a filo dell’acqua. Il volume degli impianti,posto sulla copertura, è racchiuso da unascatola rossa luminosa, disposta a sbalzosull’acqua.

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Urban Entertainment Centre, Almere, 2003La città di Almere, edificata su terreno boni-ficato nei pressi di Amsterdam, si è caratte-rizzata per uno sviluppo edilizio limitato inaltezza, seguendo il modello inglese della«città giardino». Sebbene le aree residenzialidi Almere risultassero gradevoli, l’insedia-mento non godeva di un vero centro e la ca-renza di attrattive locali spingeva gli abitanti

a dirigersi ad Amsterdam per divertirsi. Al-mere ha tradizionalmente mostrato la capa-cità di incoraggiare espressioni architettoni-che ardite e innovative e ciò ha sostenuto loslancio a trasformare il settore centrale dellacittà. Seguendo le indicazioni del Piano diSviluppo di Almere, che prevede un proces-so di «densificazione» del centro cittadino,Alsop ha progettato un centro di intratteni-

Progetti: edifici e Piani Regolatori 7170 Will Alsop. Un’architettura sociale

mento di sedicimila metri quadri su un sitoadiacente all’acqua. Il centro consiste in unafamiglia di edifici raggruppati attorno a unapiazza di nuovo disegno e sopraelevati diquattro metri su un basamento uniforme,che contiene una superficie destinata a par-cheggio. Gli edifici, dai volumi differenti, uti-lizzano una varietà di materiali per generareun elemento di spicco nel nuovo paesaggiourbano. Il fulcro dell’intervento è la Pop Zaal,

una struttura in cemento armato con rivesti-mento in zinco pretrattato e rete a magliad’acciaio. L’edificio a quattro piani che ospital’hotel è sopraelevato rispetto al livello delsuolo ed è rivestito in legno di cedro, mentreil centro commerciale mostra una facciata invetro colorato e un corpo rivestito in metallo.La piazza è divenuta un luogo vivace, concaffetterie e ristoranti, progettata per attivitàadatte a tutte le stagioni.

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Progetti: edifici e Piani Regolatori 7574 Will Alsop. Un’architettura sociale

c/PLEX, West Bromwich, 2005L’approccio di Alsop alla community architec-ture trova ampio respiro fra gli esempi di me-diocre architettura e la scarsità di spazi pub-blici che lo sviluppo del dopoguerra ha inflit-to a West Bromwich, conurbazione di Birmin-gham. c/PLEX rappresenta un esempio radica-le della nuova community architecture di Al-sop, scaturito dalla sicurezza che l’architettu-ra possa rappresentare un elemento cataliz-zatore per il recupero urbano e la ricostruzio-ne sociale. Un processo dinamico di discus-sione ha prodotto un senso di appartenenzae di coinvolgimento di quella parte di pubbli-co che utilizzerà queste strutture. JubilieeArts, l’organismo committente, ha da tempopropugnato l’idea che l’arte può costituire unelemento vitale nel processo di rinnovamentosociale. c/PLEX esprime questi concetti in unprogetto culturale ardito e ambizioso.

Una fascia di cristallo rosa abbraccia il corpocentrale, al piano terreno, attirando i visitato-ri all’interno e reclamando l’uso dell’area(una stazione degli autobus in disuso) a be-neficio del pubblico. L’ingresso principale èmarcato dalla presenza di tre accessi in poli-carbonato, alti quanto l’edificio, che possonoessere aperti completamente quando il tem-po lo consente. Oltre la fascia di cristallo, dueoggetti scultorei di grandi dimensioni, theRock e the Sock, insieme a un terzo oggettorivestito da un’imbottitura morbida, dannovita a un’esperienza spaziale ed esteticastraordinaria. Una rampa si snoda all’internodell’edificio collegando i diversi oggetti, sor-montati da una serie di Lily Pads appesi a li-vello dell’ultimo piano. Gli interni, pur ri-spondendo a necessità funzionali dell’edifi-cio, animano l’esperienza del visitatore conepisodi di inusuale forza espressiva.

Progetti: edifici e Piani Regolatori 7776 Will Alsop. Un’architettura sociale

Groningen Giboga, progetto residenziale2001Il progetto fa parte di un complesso di nove-centoventi unità residenziali su un’area didieci ettari, precedentemente occupata daimpianti di gas. Come nel caso di Almere,parte dell’intervento è realizzata su una su-perficie destinata a parcheggio. Il piano ur-banistico consiste in una serie di «zolle dighiaccio» (Schotsen), che galleggiano nelpaesaggio. La «zolla galleggiante» posta alcentro dell’intervento, assegnata ad Alsop econtenente novanta unità residenziali, svi-luppa una commistione di appartamenti, ca-se familiari a tre piani e unità abitative/lavo-rative. Il progetto residenziale è rafforzato daun piccolo edificio pubblico su pilastri checontiene una caffetteria. La «zolla galleg-giante» di Alsop è in parte avvolta da unacollina erbosa a gradoni, come cuscinettofrapposto tra gli altri Schotsen a CiBoGa. Lazolla costituisce una piattaforma per la rea-lizzazione di tre differenti tipologie edilizie,ognuna delle quali esprime la propria unicitàmediante la sua dimensione, i materialiadottati e la scelta cromatica. Le «residenzeurbane» a tre piani sono disposte a forma dicollana sul tessuto urbano e culminano nella«gemma» che ospita la caffetteria. La faccia-ta è a curvatura doppia, rivestita in cedrorosso, con aperture di piccola dimensionelungo i fronti che si affacciano lungo la stra-da pubblica. Ogni abitazione ha un ponticel-lo che conduce alla porta d’ingresso. Le fac-ciate rivolte verso l’ampio giardino internopresentano vaste superfici vetrate. Le «case-studio» sono disposte a stecca lungo la stra-da. La facciata su strada è costituita da pan-nelli di cemento prefabbricati e trattati conpigmenti colorati. Un’armoniosa serie di bal-coni è disposta secondo una sequenza ca-suale nel fronte compatto. L’intero rivesti-mento dell’edificio dei loft apartments è co-stituito da una ricca mescolanza di pannelliin vetro colorato. È la prima volta che un pro-getto residenziale a questa scala vede l’ap-plicazione di una facciata realizzata intera-mente in vetro colorato.

Ontario College of Art and Design (OCAD),fine lavori 2004L’impeto all’espansione dell’OCAD derivadalla sua «duplice iniziativa» del 2003 e dalcrescente riconoscimento, a livello naziona-le, del contributo dell’industria della creativi-tà offerto alla moderna economia canadese.L’ocad, dal peculiare ruolo culturale in Onta-rio, celebra il centoventicinquesimo anniver-sario della sua fondazione nel 2003. Un am-pliamento di quasi quattordicimila metriquadri è volto a creare un edificio simbolicodell’inizio di una nuova fase nella storia dellascuola. In seguito al ricevimento dell’incari-co, Alsop ha dato vita a una serie di work-shop con il committente, in cui le proposteiniziali sono state discusse con il corpo do-cente e gli studenti. In questa fase è statoesaminato il significato convenzionale delleidee di insegnamento, apprendimento e ar-chitettura, come sforzo collettivo di trovareuna nuova definizione per il loro College ofArt and Design. I partecipanti al workshophanno condiviso schizzi e pensieri, che han-no condotto allo sviluppo dell’approccio gui-da. Numerose di queste idee originarie sonoracchiuse nel progetto finale: un parallelepi-pedo trasparente, o «tavolo», trattato a colorivivaci, con un rivestimento a pixel colorati,sopraelevato di otto piani rispetto al livellodel suolo, che ospita la nuova facoltà del De-sign. Il progetto unifica la struttura in matto-ni esistente, il parco a ovest e McCaul Streeta est. La vista sul parco degli abitanti diMcCaul Street, che hanno partecipato allafase di consultazione, è stata preservata. Ilparco godrà anche del processo di rigenera-zione e, in seguito a interventi di manuten-zione, ospiterà sculture contemporanee edeventi per gli studenti.In aggiunta agli spazi didattici e amministra-tivi, il progetto incorpora anche gallerie, cen-tri di sviluppo e ricerca, una sala ritrovo espazi per riunioni, insieme a locali per speci-fiche attività manuali, come la lavorazionedel legno o la creazione di modelli.Mediante la programmazione dei lavori con-dotta insieme allOCAD, la metodologia colla-borativa di Alsop è stata in grado di soddisfa-re tutte le richieste di un complesso gruppodi committenti. Il nuovo edificio diventeràparte della rinnovata maglia urbana, aiutan-do a rigenerare gli spazi pubblici in questazona della città.Il pubblico potrà accedere alle gallerie situa-te a piani diversi dell’edificio e alla caffetteria.

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Queen Mary & Westfield College, facoltà diMedicina e Odontoiatria, fine lavori 2004Rivolta a incoraggiare l’assunzione di perso-nale e studenti altamente qualificati e a offri-re eccezionali strutture per la ricerca e l’assi-stenza, la nuova facoltà di Medicina e Odon-toiatria riunirà dipartimenti differenti, attual-mente dispersi in aree della zona dell’East

End di Londra, al fine di raccoglierli in ununico ambiente di ricerca, favorevole all’in-staurarsi di collaborazioni. Verranno garanti-te ampie superfici per laboratori, organizzatea open-plan flessibile, insieme a spazi di ri-cerca, studio e riunione. L’edificio accoglieanche servizi di supporto, tra cui: una saladidattica da quattrocento posti ed il Centro

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della Cellula, uno spazio didattico interattivo,mirato ad informare il pubblico in merito al-lo stato della ricerca medica.L’edificio per la facoltà di Medicina e Odon-toiatria ha assicurato la trasformazione inaree pedonali delle vie adiacenti e offre nuo-vi spazi pubblici e semipubblici. Una nuovaarea pubblica sfrutta l’intera lunghezza delsito proseguendo il tracciato delle vie pedo-nali che verranno, potenzialmente, realizzatelungo Turner Street, Newark Street e WaldenStreet.Due concetti principali animano il progetto.Il primo intende creare le condizioni per unapiù profonda integrazione delle disciplinescientifiche, attraverso l’offerta di uno spazioopen-plan sia ai laboratori sia alle aree distudio, in contrasto con la tradizionale sepa-razione dei dipartimenti. Il secondo mira arealizzare un edificio che pubblicizza il suoruolo e mostra apertamente le attività cheospita a un pubblico più ampio, attraversoun involucro selettivamente trasparente.L’obiettivo è creare un ambiente lontano dal-l’anonimità istituzionale dei laboratori di ri-cerca tradizionali. La «stoffa» di cui è fattol’edificio «parla» di scienza e stimola l’imma-ginazione.

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Progetti: edifici e Piani Regolatori 8786 Will Alsop. Un’architettura sociale

Una visione per BarnsleyNel gennaio 2002 gli Alsop Architects sonostati invitati dal Yorkshire Forward a far partedel suo comitato per la Rinascita urbana.L’incarico richiedeva di offrire consulenzanel processo di rigenerazione di città e vil-laggi nelle regioni dello Yorkshire e del-l’Humberside, reso possibile da fondi stan-ziati dalla Comunità europea. Il comitato riu-nisce architetti e urbanisti esperti, convenutida Gran Bretagna, Europa e America, con iquali Alsop ha instaurato una positiva colla-borazione. A ognuno di loro si chiede diprendere in esame una città dello Yorkshire,da una rosa di sei, e di preparare un insiemedi suggerimenti con cui progredire in termi-ni di recupero ambientale, economico e so-ciale. Alsop ha concentrato la sua attenzionesu Barnsley.Le proposte progettuali che sono emerse ri-chiamano un modello di città sostenibileideale – un ambiente urbano energetica-mente efficiente e in grado di provvedere ase stesso – sviluppato utilizzando proiezionistatistiche, sviluppate negli anni sessanta alMassachusetts Institute of Technology. Lasoluzione individuata rappresentava il mo-dello di una città medievale, maglia compat-ta, nucleo di piccole dimensioni in cui ogniluogo era facilmente raggiungibile. Invecedella dispersione urbana, a partire dal nu-cleo centrale si stendeva una campagna me-ravigliosa e produttiva, che garantiva agli

abitanti della città prodotti freschi e facil-mente accessibili. Alsop si è soffermato sullasua esperienza dei modelli urbani italianiper la loro capacità di offrire un’invidiabilequalità di vita. La sua proposta, tesa a sor-prendere e a stimolare il dibattito, suggeri-sce di reinventare Barnsley sotto forma dicittà toscana circondata da mura. Medianteun intenso processo di confronto, lo studioha elaborato un esame della composizionesociale di Barnsley nell’ambito di incontriperiodici, che hanno consentito di cogliereappieno ogni espressione delle aspirazioni,timori e ambizioni degli abitanti di Barnsleyper il futuro della città.Il progetto di Alsop tiene in considerazione ilfatto che Barnsley, una delle numerose cittàdel Nord dell’Inghilterra ad avere perduto ilsupporto dell’economia industriale, un tem-po era una comunità sostenibile e compatta,e potrebbe ritornare ad esserlo: il mercato,così amato dai suoi cittadini, fu fondato nel1249. Su una popolazione di 120 mila per-sone, solo 2500 vivono attualmente in cen-tro, il quale manca di vitalità ed è circondatoda un’orribile e improduttiva dispersione ur-bana. Atte a contenere tale dispersione, le«mura» che circondano la città nella visionedi Alsop costituiranno un segno tangibiledell’anello di nuove edificazioni, marcandoin modo convincente il consolidamento dellacittà all’interno di limiti concordati. Gli edificia rappresentazione delle «mura» saranno

differenziati e dall’aspetto marcatamentemoderno e innovativo, ma circonderanno ilnucleo della città, che conserva tracce rico-noscibili della sua storia sociale e topografi-ca. Ogni intervento condotto al di fuori dellalinea delle mura verrà osteggiato, la disper-sione incontrollata verrà sostituita da un at-tento incoraggiamento ad attività rurali e se-mirurali a scopo agricolo e turistico.

Progetti: edifici e Piani Regolatori 8988 Will Alsop. Un’architettura sociale

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Progetti: edifici e Piani Regolatori 9190 Will Alsop. Un’architettura sociale

Rotterdam Centraal Mauritsweg fine lavori:2006Il progetto di Mauritsweg deriva dal Piano diSviluppo Urbano Rotterdam Centraal intra-preso fra il 2000 e il 2001. L’intervento suquesto sito ha offerto l’opportunità di porrele basi per una pianificazione di qualità sulWestersingel, in direzione della stazione,identificando la «direttrice culturale» dellacittà. La permeabilità pedonale è una sceltaprioritaria, con la direttrice principale di at-traversamento del sito che connette la stes-sa area di Mauritsweg con la Schounbergt-plein e il complesso del Pathè Cinema. L’in-tervento consoliderà e rafforzerà i tracciatipedonali della città, essendo stati ricono-sciuti come validi contributi alla crescita del-la maglia urbana in quest’area.Il sito è un nodo di notevole rilevanza per nu-merose direttrici urbane importanti. Sonoprevisti un nuovo hotel, nuovi spazi commer-

ciali, una chiesa rinnovata e nuove unità resi-denziali, al fine di mantenere un misto difunzioni pubbliche e private al servizio di unampio spettro sociale. Le attività di dibattitoe workshop con la comunità di Pauls Kerksono risultate fondamentali per lo sviluppodi nuove proposte progettuali. Rappresen-tanti della comunità continuano ad esserecoinvolti nello sviluppo del progetto.L’intervento trova cinque espressioni princi-pali: le «rocce» che ospitano l’albergo, resi-denze, uffici, spazi commerciali e la chiesa; ilnuovo arthouse cinema ha tre schermi e for-ma parte dello sviluppo interrato, insieme al-l’area a parcheggio. La qualità degli spazipubblici è stata attentamente sviluppata conun’organizzazione a due anelli, al di sottodell’edificio dell’albergo; il cerchio superioreha un pavimento trasparente sopra l’anelloinferiore, direttamente connesso con il par-cheggio.

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universale di architettura

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1. Zaha Hadid. Eleganze dissonanti2. Carlo Mollino. Esuberanze soft3. Luigi Caccia Dominioni.

Flussi, spazi e architettura4. Distruggere Roma.

La fine del Sistema Direzionale Orientale5. Massimiliano Fuksas.

Oscillazioni e sconfinamenti6. Henri E. Ciriani. Cesure urbane e spazi filanti7. Peter Eisenman. Trivellazioni nel futuro8. La città moderna vista dai pittori9. Giuseppe e Alberto Samonà.

Fusioni fra architettura e urbanisti10. L’arte alla fine del mondo antico11. Rudolf Steiner architetto12. Cesare Brandi. Scritti di architettura13. Breve storia dell’architettura in Sicilia14. Rem Koolhaas. Trasparenze metropolitane15. Aldo Loris Rossi. La concretezza dell’utopia16. Angiola Maria Romanini. Scritti di architettura17. Città e verde. Antagonismi metropolitani18. Carlo Emilio Gadda e Italo Calvino.

Scritti di architettura19. Palermo. Struttura e dinamiche20. Luis Barragán. Dilatazione emotiva degli spazi21. Charles R. Mackintosh22. Roma. Strutture dinamiche23. Frank Owen Gehry. Architetture residuali24. Enea Silvio Piccolomini. Scritti di architettura25. Alessandro Specchi.

Alternativa al borrominismo26. Ettore Sottsass jr. Nomade Shiva Pop27. Frank Lloyd Wright. Casa sulla cascata28. Carlo Levi e Elio Vittorini.

Scritti di architettura29. Piero Sartogo. Fictions30. Arte e architettura. Nuove corrispondenze31. Concorso per il Chicago Tribune32. Zvi Hecker. Scuola ebraica Berlino33. Gunnar Birkerts.

Metafore ed espansioni sotterranee34. André Lurçat. Scuola a Villejuif35. Moshe Safdie. Habitat ’67, Montreal36. Giovanni Battista Bassi. Esegesi per frammenti37. Frank Owen Gehry. American Center Parigi

38. HyperArchitettura. Spazi nell’età dell’elettronica39. Borges e l’architettura40. Günter Behnisch. Poetica situazionale41. Wim Wenders. Paesaggi luoghi città42. Reima Pietilä. Centro Dipoli Otaniemi43. Information Architecture. Basi e futuro del CAAD

44. Günther Domenig. Lanci di masse diroccate45. Lisbona 1998. Expo46. Francesco Milizia.

Architetti di età barocca e tardobarocca47. Daniel Libeskind. Museo ebraico Berlino48. Pirro Ligorio. Opzione per il magico-simbolico49. Gian Lorenzo Bernini.

Scena retorica per l’immaginario urbano50. Coop Himmelb(l)au.

Spazi atonali e ibridazione linguistica51. Lina Bo Bardi. Aprirsi all’accadimento52. Franklin D. Israel. La creazione del disordine53. Frank O. Gehry. Museo Guggenheim Bilbao54. Sergio Musmeci.

Organicità di forme e forze nello spazio55. Eisenman digitale.

Uno studio dell’era elettronica56. Brunelleschi anticlassico57. Giovanni Michelucci. Brani di città aperti a tutti58. Tutto è paesaggio59. L’architettura dell’umanesimo60. Terragni virtuale.

Il CAAD nella ricerca storico-critica61. Frederick Kiesler. L’infinito come progetto62. Torino 1902. Esposizione Universale63. Francesco Borromini.

Manierismo spaziale oltre il barocco64. Storie digitali. Poetiche della comunicazione65. Henri Focillon. Scritti di architettura66. Vittoriano Viganò. Etica brutalista67. Le Corbusier. Padiglione Philips Bruxelles68. Pierre Riboulet. Spazi urbani pacificati69. Fosse Ardeatine, Roma70. EUR a Roma. Controguida d’architettura71. Nati con il computer.

Giovani architetti americani72. Zonnestraal. Il sanatorio di Hilversum73. Rudolf M. Schindler. Da Vienna a Los Angeles74. Le città antiche cosmogoniche.

75. Erik Gunnar Asplund. L’architettura in pratica76. Tel Aviv. Guida alla città77. La città e il cinema78. Maurizio Sacripanti. Altrove79. Studio Passarelli.

Palazzina in via Campania, Roma80. Jean Prouvè. Idee costruttive81. Riscatto virtuale. Una nuova Fenice a Venezia82. Giorgetto Giugiaro83. Giancarlo De Carlo.

Lo spazio realtà del vivere insieme84. Nuovi ventri.

Corpi elettronici e disordini architettonici85. Lewis Mumford. In difesa della città86. La nuova stazione di Firenze.

Storia di un progetto87. Nuove bidimensionalità.

Tensioni superficiali nell’architettura digitale88. Constant. New Babylon, una città nomade89. Hans Scharoun. Scuola a Lünen90. Achille Castiglioni91. Luigi Cosenza. Razionalità senza dogmi92. Design digitale. Nuove frontiere degli oggetti93. L’attore di pietra.

L’architettura moderna italiana nel cinema94. Ingo Maurer. Percorsi di luce95. Light Architecture. New Edge City96. Eero Saarinen. La forma della tecnologia97. Giovanni Klaus Koenig.

Dodici note di architettura98. Mario Merz. Igloo99. Barcellona. Discontinuità senza crisi

100. Daniel Libeskind. Oltre i muri101. L’architettura dell’intelligenza102. Iperpaesaggi103. Los Angeles. Città unica104. Eames. Design totale105. Norman Foster. Le ali della tecnica106. Matera. Forma e strutture107. Antoni Gaudí. Casa Milá, Barcellona108. Gehry digitale.

Resistenza materiale / Costruzione digitale109. Urbanismo unitario. Antologia situazionista110. Herman Hertzberger. Spazi a misura d’uomo111. Concorso per il Palazzo Littorio112. Tadao Ando. Antinomie senza contrasto113. Tecnologie avanzate.

Costruire nell’era elettronica114. Aldo van Eyck. L’enigma della forma115. Luigi Moretti. Casa delle Armi al Foro Italico116. Pietro Maria Bardi.

Primo attore del razionalismo117. Zvi Hecker. Oltre il riconoscibile118. Dan Graham. Pavilions119. Bernard Tschumi.

L’architettura della disgiunzione120. Torino 1928. L’architettura

all’Esposizione Nazionale Italiana

121. Olandesi volanti. Il movimento in architettura122. Mies van der Rohe.

Le false certezze del padiglione di Barcellona123. Architettura della mente.

Brani scelti di letteratura psicoanalitica124. Luigi Carlo Daneri. Razionalista a Genova125. Basilea. La tradizione del moderno126. Daniel Buren. In situ127. Gaetano Pesce. Materia e differenza128. THP 2006. Una sfida olimpica per la sanità129. La Carta di Zurigo.

Eisenman De Kerckhove Saggio130. Claude Parent. La funzione obliqua131. Gibellina la Nuova.

Attraverso la città di transizione132. Estetica del serialismo integrale. La ricerca

contemporanea dalla musica all’architettura133. Torino. Tra liberty e floreale134. José Antonio Coderch. La cellula e la luce135. Dietro le quinte. Tecniche d’avanguardia

nella progettazione contemporanea136. Physico. Fusione danza-architettura137. Ben van Berkel.

La prospettiva rovesciata di un Studio138. Territori della complessità. New Scapes139. Nanna Ditzel. Design nordico al femminile140. Bioarchitetture per la vita. Lo IACP di Roma:

un secolo di Edilizia Residenziale Pubblica 141. Roma 1932. Mostra della Rivoluzione Fascista142. New York. The Gap143. Mathland. Dal mondo piatto alle ipersuperfici144. Le città di fondazione. Nel Novecento145. Enric Miralles. Metamorfosi del paesaggio146. Architettura e propaganda fascista.

Nei filmati dell’Istituto Luce147. Induction Design.

Un metodo per una progettazione evolutiva148. Edoardo Persico. Scritti di architettura149. Cesare Cattaneo. Fede razionalista150. Gaston Bachelard. Sull’architettura151. Carlo Scarpa. I musei152. IBA Emscher Park. 1989-1999153. Odissea digitale. Un viaggio nel Mediterraneo154. Genova 900.

L’architettura del Movimento Moderno155. George Nelson. Thinking156. Hadid digitale. Paesaggi in movimento157. Cappai e Mainardis. Laboratorio veneziano158. Leonardo Ricci. Lo spazio inseguito159. Joe Colombo. Design antropologico160. I.M. Pei. Teoremi spaziali161. Renzo Piano. Dalla macchina urbana

alla città dell’informazione162. Morphosis. Operazioni sul suolo163. Milano. La grande trasformazione urbana164. Arne Jacobsen. Ironica perfezione165. Paolo Soleri. Paesaggi tridimensionali166. Will Alsop. Un’architettura sociale