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UNIVERSITÀ DEGLI STUDI DI PADOVA - Acque Risorgive · 2014. 1. 24. · 2 universitÀ degli studi di padova facoltÀ di agraria dipartimento di agronomia ambientale e produzioni vegetali

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UNIVERSITÀ DEGLI STUDI DI PADOVA

FACOLTÀ DI AGRARIA

DIPARTIMENTO DI AGRONOMIA AMBIENTALE E PRODUZIONI VEGETALI

TESI DI LAUREA IN SCIENZE FORESTALI ED AMBIENTALI

EFFETTI DI INTERVENTI DI INGEGNERIA NATURALISTICA SU

BIODIVERSITA’ SPECIFICA E CAPACITA’ DI CONSOLIDAMENTO

DEL TERRENO DA PARTE DELLA VEGETAZIONE: IL CASO DI

STUDIO DEL COLLETTORE MALVOLTI (MARCON, VE)

RELATORE: CH.MO PROF. UMBERTO ZILIOTTO

CORRELATORE: DOTT. STEFANO RAIMONDI

LAUREANDA: ELENA RONCATO

Matricola n° 411849/AB

ANNO ACCADEMICO 2004-2005

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Per poter comandare alla natura,

bisogna obbedirle. (F. Bacone)

Ai miei nonni

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INDICE

11.. INTRODUZIONE………………………………………………….……....3

1.1. Nascita ed evoluzione dell’ingegneria naturalistica……………………….……….5

1.1.1. Ambiti di applicazione dell’ingegneria naturalistica………………………...6

1.1.2. Tecniche di intervento………………………………………….……............7

1.1.3. Fenomeni erosivi……………………………………………….…………....8

1.2. Le piante e la difesa del suolo…………………………………….……………......10

1.3. L’apparato radicale: caratteristiche, funzioni e anatomia……………….…………10

22.. SCOPO DELLA PROVA………………………………………………....14

33.. CARATTERISTICHE AMBIENTALI…………………………………...15

3.1. Caratteristiche pedologiche……………………………………………………….15

3.2. Caratteristiche climatiche…………………………………………………………16

44.. OPERE DI INGEGNERIA NATURALISTICA ESEGUITE SUL

COLLETTORE MALVOLTI……………………………………………..20

4.1. Il Consorzio di Bonifica Dese Sile………………………………………………....20

4.2. Intervento di recupero spondale……………………………………………………23

4.3. L’impiego delle specie del genere Salix L…………………………………………29

4.3.1 Descrizione delle singole specie di salice impiegate nelle opere di

ingegneria naturalistica del collettore Malvolti……………………………..32

4.3.1.1 Salix alba L. e Salix alba subsp. Vitellina…………………………32

4.3.1.2 Salix caprea L……………………………………………………...35

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4.3.1.3 Salix cinerea L……………………………………………………..37

4.3.1.4 Salix eleagnos Scop………………………………………………..40

4.3.1.5 Salix purpurea L…………………………………………………...42

4.3.1.6 Salix triandra L………………………………………………...…..44

4.3.1.7 Salix viminalis L…………………………………………….…..…46

55.. MATERIALI E METODI…………………………………………...……48

5.1. Organizzazione e gestione della prova…………………………………….…...….48

5.2. Esecuzione dei rilievi floristici…………………………………………………….51

5.3. Prelievo dei campioni di terreno per lo studio degli apparati radicali……………..52

5.4. Lavaggio delle radici………………………………………………………………54

5.5. Attività di laboratorio……………………………………………………………...55

5.6. Analisi statistiche………………………………………………………………….56

66.. RISULTATI………………………………………………………………57

6.1. Rilievi floristici……………………………………………………………………57

6.2. Contributo percentuale delle singole componenti alla formazione del totale

radicale (Tabella10)……………………………………………………………….65

6.3. Caratteristiche radicali…………………………………………………………….68

6.3.1. Densità radicale in peso (Tabelle 11 e 12, Figura 44)……………………..69

6.3.2. Densità radicale in lunghezza (Tabelle 11 e 12, Figura 45)……………….72

6.3.3. Rapporto tra densità radicale in peso e densità radicale in lunghezza

(Tabelle 11 e 12, Figura 46)………………………………………………..75

6.3.4. Diametro medio delle radici (Tabelle 11 e 12, Figura 47)…………………78

77.. CONCLUSIONI………………………………………………………….81

BIBLIOGRAFIA………………………………………………………………………….83

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1. INTRODUZIONE

In Italia, durante gli ultimi decenni si è verificato un lento ma progressivo aumento della

sensibilità della popolazione nei confronti dell’ambiente nel suo complesso e quindi,

parallelamente, si è sempre più avvertita e/o compresa la necessità di promuovere e

realizzare un efficace salvaguardia dello stesso. Tale situazione è la conseguenza del fatto

che in passato l’utilizzazione dell’ambiente da parte dell’uomo aveva pesantemente inciso

sulle sue caratteristiche qualitative e, in particolare, sulle sue potenzialità naturali come, per

esempio, nei casi in cui erano stati sconvolti gli equilibri ecologici iniziali oppure quando

erano stati alterati o, addirittura, annientati habitat unici e irripetibili (Paiero et al, 1996).

Tra le varie situazioni ambientali che, da tempo, erano state oggetto di radicali alterazioni da

parte dell’uomo, sono da annoverare ovviamente le estensioni agricole e in modo particolare

quelle poste in zone di pianura. In tali ambienti, successivamente agli iniziali disboscamenti

era stata realizzata, infatti, una sistematica e profonda trasformazione dell’ecosistema che

nella seconda metà del XX° secolo, allo scopo di massimizzare la produzione per finalità

esclusivamente economiche, si è spinta molto spesso fino all’adozione della

monosuccessione continua (per esempio, di mais) su ampie superfici per perseguire appunto

un tale obiettivo, sono state adottate varie tecniche agronomiche particolarmente pesanti per

l’ambiente (concimazioni, diserbi, impiego di fitofarmaci) ma sono stati realizzati vari

interventi di semplificazione ambientale tra cui, in particolare, una progressiva eliminazione

delle aree marginali comprendenti siepi ad alto valore per svariate finalità. Tali cenosi, oltre

a migliorare il paesaggio rurale e a fornire legna da ardere e da paleria, sono importanti

infatti perché riducono la quantità di nitrati presente nelle acque, diminuiscono gli

inquinanti per infiltrazione, garantiscono rifugio per fauna e flora, producono nettare per le

api, aumentano i tempi di corrivazione delle piene e per ultimo, ma non di importanza,

sostengono le rive dei corsi d’acqua.

Rinforzando le rive e consolidando il fondo con il loro apparato radicale, alberi ed arbusti

evitano che il letto del corso d’acqua venga eroso con conseguenti problemi di efficienza

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delle reti idriche. La siepe inoltre ombreggiando il corso d’acqua, riduce la crescita delle

specie erbacee acquatiche che, se troppo rigogliosa, tende ad intasarne il letto.

Il danno apportato dalle moderne pratiche agronomiche alle siepi e agli alberi che

popolavano le zone rurali, ha dimostrato quanto sia degradato il paesaggio privo della loro

presenza e proprio per questi motivi la loro protezione è in questo momento più che mai

giustificata.

Un tempo i corsi d’acqua della pianura erano puliti a mano dagli agricoltori che avevano

rigorosi obblighi per quanto riguarda queste operazioni. Al giorno d’oggi questo compito è

affidato ai consorzi di bonifica e dato il costo sempre più elevato della manodopera, l’azione

dell’uomo è stata sostituita dalle macchine. Per permettere a queste di operare senza

difficoltà dalle rive, si sono abbattute le siepi. Così facendo però si è messo in moto un

circolo vizioso negativo per l’ambiente: la mancanza delle siepi rende facilmente erodibili le

rive, creando dissesti al margine dei campi coltivati. I piccoli ripetuti smottamenti di terreno

dalle rive, intasano con il tempo il letto dei corsi d’acqua. Si avrà quindi interramento,

erosione e impaludamento i quali rendono necessari nuovi interventi di pulizia. Spesso per

ovviare velocemente e in modo completo a questi problemi, i consorzi di bonifica

cementano il letto dei corsi d’acqua, risagomando gli alvei e spogliandoli della vegetazione

ripariale. In questo modo però, oltre a provocare danni gravi al paesaggio e agli ecosistemi,

si determinano maggiori problemi. Nei canali cementati l’acqua scorre con una maggiore

velocità e arriva così ai fiumi principali causando in caso di forti piogge, piene e

inondazioni. Inoltre un corso d’acqua sistemato in questo modo non sarà più in grado di

autodepurare le proprie acque ed inoltre rendendone impermeabile il fondo la falda

acquifera sottostante ne risulterà impoverita. L’alternativa all’eliminazione delle siepi,

perché sia possibile così effettuare la pulizia meccanica dei corsi d’acqua,è l’organizzazione

intelligente della vegetazione delle rive. In questo modo si garantisce anche la continuità del

paesaggio. (Mezzalira, 1990).

Questa crescente sensibilità alla salvaguardia dell’ambiente ha portato alla nascita e

all’incremento dell’applicazione delle tecniche di ingegneria naturalistica o bioingegneria

forestale, la quale è una tecnica costruttiva ingegneristica che utilizza le piante vive o parti

di esse (semi, radici, talee), da sole o abbinate ad altri materiali inerti non cementizi (legno,

pietrame, reti zincate, biostuoie, geojute), così da causare un impatto ambientale minimo. Le

opere di ingegneria naturalistica iniziano a “vivere”, al contrario dei consueti manufatti, non

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appena portate a termine, così da integrarsi con l’ambiente nel modo migliore e creano

inoltre delle nicchie ecologiche dove anche flora e fauna possano insediarsi e conservarsi.

Al centro di queste tecniche quindi sta la pianta e la sua capacità di consolidare il terreno

con le radici e la facoltà di disperdere l’energia idraulica con la sua presenza.

La bioingegneria permette una riduzione dei tempi dell’insediamento e del consolidamento

della successione naturale (in natura probabilmente impiegherebbero un centinaio d’anni),

apporta un miglioramento delle caratteristiche della stazione e allo stesso tempo permette il

reinserimento naturalistico della stazione stessa. L’ingegneria naturalistica si colloca come

elemento complementare all’ingegneria puramente tecnica ed è fondamentale ricordare che

comunque qualsiasi intervento di sistemazione riguardante un versante o un corso d’acqua,

deve essere sottoposto preventivamente ad una severa verifica della correttezza degli

obiettivi e delle inevitabili riflessioni sull’ambiente. Non è sufficiente sostituire le classiche

opere di sistemazione con le più rispettose tecniche di ingegneria naturalistica,è necessario

invece scegliere di inserirsi in un piano coerente di buongoverno sia dell’ambiente che dei

fiumi. Sarà necessario quindi esaminare le caratteristiche topografiche, geomorfologiche e

microclimatiche di ogni area di intervento; sarà cioè utile analizzare il substrato, apportare

le verifiche idrauliche necessarie e selezionare le specie naturali da abbinare a materiali di

nuova concezione quali le georeti o i geotessuti.

( Regione Emilia Romagna e Regione Veneto, 1993)

1.1 Nascita ed evoluzione dell’ingegneria naturalistica

Le tecniche di ingegneria naturalistica si sono sviluppate inizialmente da problematiche

geomorfologiche, come il consolidamento di versanti e la riduzione del rischio di erosione

del terreno. Questo settore è abbastanza nuovo per l’Italia, mentre in Europa nasce al

principio del secolo scorso, quando iniziarono a diffondersi le tecniche di gestione e

manutenzione forestale. Queste si caratterizzavano per i tempi brevi di realizzazione e per

l’economicità del materiale spesso reperibile direttamente sul luogo dell’intervento.

Successivamente l’ingegneria naturalistica ha acquisito una sempre maggiore importanza,

tanto da interessare diversi settori.

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In Italia negli ultimi anni ha subito una forte spinta, grazie ad una maggiore sensibilità verso

l’ambiente e all’interesse per quanto riguarda la tutela del paesaggio. Tutto ciò ha portato ad

una diffusione di queste tecniche che però spesso risultano applicate in modo troppo

standardizzato, seguendo metodi che risultano essere molto validi in certe situazioni, ma che

non lo sono per altre. Se l’applicazione delle tecniche di ingegneria naturalistica fosse

eseguita in modo più scientifico, sarebbe possibile realizzare opere adeguate alla specificità

della situazione. ( www.aipin.it)

1.1.1 Ambiti di applicazione dell’ingegneria naturalistica

Le tecniche di ingegneria naturalistica vengono applicate in diverse situazioni tipi

ambientali:

− discariche;

− cave;

− infrastrutture viarie e ferroviarie;

− versanti;

− litorali marine e lacustri;

− zone umide;

− corsi d’acqua.

Trova quindi ampia applicazione nelle operazioni di protezione dall’erosione,

consolidamento, drenaggio e rinaturalizzazione dei terreni. Trova applicazione anche per

quanto concerne la salvaguardia del paesaggio, lo sviluppo degli ambienti naturali, nonché

per l’attenuazione dell’impatto ambientale.

Le finalità degli interventi sono primariamente quattro:

1. naturalistiche (ricostruzione o innesco di ecosistemi il più simili ai naturali

mediante l’utilizzo di specie autoctone);

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2. paesaggistiche ed estetiche (perché gli interventi di ingegneria diano luogo a

situazioni di uniformità con l’ambiente circostante);

3. ecologiche (non soltanto copertura a verde ma ripristino degli ecosistemi

naturali);

4. economiche (in quanto sono strutture alternative ad opere tradizionali).

I settori a cui fa riferimento l’ingegneria naturalistica sono:

− geomorfologia e idrologia;

− geotecnica, verifiche statiche;

− topoclima e microclima;

− pedologia;

− idraulica;

− tecnologia dei materiali;

− vegetazione;

( Regione Emilia Romagna e Regione Veneto, 1993)

1.1.2 Tecniche di intervento

Le tecniche di ingegneria naturalistica prevedono l'utilizzo di materiale vegetale vivo (semi,

radici, talee) in combinazione con altri materiali inerti non cementizi quali il pietrame, la

terra, il legname e l'acciaio in unione con stuoie in fibre vegetali o sintetiche.

Le piante utilizzate devono essere:

− Autoctone: ovvero originarie dell’ambiente in cui vengono ad essere

inserite. Compatibili con l’ambiente e non dannose alle altre specie

naturali presenti, nel rispetto dell’intero ecosistema;

− Pioniere: ovvero capaci di colonizzare un ambiente nuovo e resistere in

condizioni non molto favorevoli.

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1.1.3 Fenomeni erosivi

Per erosione si intende la rimozione di strati superficiali del suolo da parte di diversi agenti

come: il vento, l’acqua e il ghiaccio. Questo processo comporta da un lato la separazione

delle particelle che compongono il terreno e il loro trasporto da parte degli agenti erosivi,

dall’altro il deposito del materiale asportato quando non vi è più sufficiente energia per

trasportarlo.

L’azione meccanica della pioggia battente ed il conseguente ruscellamento diffuso, dovuto

alla concentrazione in rivoli, costituiscono gli agenti principali dei fenomeni erosivi.

L’erosione provocata dalla pioggia inizia con l’impatto delle gocce d’acqua sul terreno che

separano e muovono le particelle del suolo per proseguire ed intensificarsi poi, con lo

scorrimento superficiale. Le acque confluendo in piccole quantità iniziano a scavare piccoli

rivoli, e successivamente, con l’aumento della velocità, scavano solchi di sempre maggiori

dimensioni. L’erosione è particolarmente intensa lungo le rive dei corsi d’acqua, dove la

velocità del flusso favorisce la perdita di suolo soprattutto su sponde costituite da materiali

poco coerenti. Anche il vento è un agente erosivo, infatti l’impatto delle masse d’aria sul

terreno scoperto causa il distacco delle particelle che compongono il suolo e il loro

conseguente trasporto.

L’erosione idrica e l’eolica dipendono da un gran numero di fattori: dall’intensità e dalla

durata delle precipitazioni, dall’intensità dei venti, dalla morfologia del suolo, dalla

pendenza, dalla natura del terreno (granulometria, coesione delle particelle) ed in particolare

dalla copertura vegetale presente. La vegetazione infatti intercetta la pioggia, frena lo

scorrimento superficiale, favorisce l’infiltrazione e trattiene il terreno con gli apparati

radicali.

L’erosione fluviale da parte sua può essere distinta in due fenomeni principali: l’erosione

laterale e l’erosione in profondità. Queste avranno come conseguenze i seguenti fenomeni:

− ingrandimento del corso d’acqua provocato dal flusso della corrente;

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− scavo e deterioramento del letto generato dalla corrente e dalle

variazioni di pendenza;

− devastazione delle sponde con il variare della forma dei meandri.

I meandri sono delle anse che si ripetono con una certa regolarità nel corso dei fiumi. Essi si

evolvono e si spostano in natura, non sono mai delle strutture fisse. Il flusso dell’acqua non

è mai uniforme e nelle curvature si ha il massimo della velocità nella parte esterna del

meandro e viceversa, velocità negative nelle parti interne. Il movimento del meandro in

condizioni di regime normale è di erosione del lato esterno ed accrezione laterale del lobo

interno (Fig. 1). La migrazione dei meandri si verificherà oltre che lateralmente, anche verso

valle. ( Regione Emilia Romagna e Regione Veneto, 1993)

Figura 1.

La corrente idrica nel meandro (Lachat, 1991- modificata)

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1.2 Le piante e la difesa del suolo

La vegetazione, per quanto riguarda la difesa dall’erosione superficiale, può essere utilizzata

con successo.

Lo strato arboreo si oppone alle perdite di suolo grazie all’intercettazione delle chiome.

L’acqua passa attraverso le chiome o scorre lungo i fusti degli alberi (stem flow)

raggiungendo il suolo che viene imbibito senza che si verifichi alcun fenomeno pericoloso.

Importante oltre alle chiome delle piante è la lettiera vegetale, la quale anch’essa assorbe e

annulla parte dell’energia cinetica delle gocce di pioggia prevenendo l’erosione da impatto e

riducendo anche l’effetto erosivo del vento. Le piante, inoltre, trattengono con gli apparati

radicali le particelle che costituiscono il suolo e favoriscono il mantenimento di una buona

struttura fisica dello stesso garantendone una adeguata porosità e permeabilità. Il terreno nei

pressi e sotto le piante è infatti particolarmente poroso e pertanto favorisce l’infiltrazione

delle acque meteoriche, ostacolando il deflusso superficiale. Tutto questo permette la

ricarica delle falde idriche. Non meno importante è il ritardo della saturazione e la

limitazione delle perdite per scorrimento superficiale grazie alla traspirazione della

copertura vegetale. La capacità della vegetazione di agire in modo efficiente attraverso

questi meccanismi dipenderà dall’altezza delle chiome, dalla loro densità, dalla loro

conformazione, dalla presenza di aperture, dalla densità dello strato erbaceo e per ultimo,

ma non di importanza, dall’estensione e dalla densità degli apparati radicali (Susmel, 1997).

1.3 L’apparato radicale: caratteristiche, funzioni e anatomia.

Per capire come un vegetale riesca a colonizzare il terreno, è importante conoscere sia la

morfologia e sia la fisiologia dell’apparato radicale. Queste dipendono da diversi fattori:

- genotipo della pianta;

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- clima;

- rapporti di competizione all’interno della stessa specie e tra specie diverse;

- substrato di crescita.

L’apparato radicale serve alla pianta per:

- trarre acqua ed elementi nutritivi;

- per lo stoccaggio delle sostanze di riserva.

- per ancorarsi al suolo;

L’assorbimento dell’acqua e degli elementi nutritivi, ovvero delle sostanze disciolte nella

soluzione circolante del terreno, avviene nel modo seguente:

- ingresso delle sostanze dallo strato esterno della radice;

- passaggio dei tessuti della radice fino al raggiungimento dei vasi xilematici;

- trasporto mediante i vasi xilematici alle foglie e agli altri organi;

- migrazione dalle nervature terminali al mesofillo della foglia;

- traspirazione dell’acqua sottoforma di vapore dalle foglie.

La maggior parte delle sostanze che la pianta accumula viene depositata nelle radici.

Infine, per quanto riguarda l’ancoraggio al suolo, le radici apportano resistenza meccanica e

questa manifestandosi nel terreno, incrementa la stabilità del suolo stesso. Per questa

caratteristica le tecniche di ingegneria naturalistica sfruttano l’utilizzo delle piante per le

opere di consolidamento spondale o di versante. (Tonzig, Marrè, 1983)

Per quanto riguarda l’anatomia radicale, la radice presenta all’apice una cupola di cellule

meristematiche, ricoperte dalla caliptra o cuffia radicale. Questa cuffia serve come

protezione dell’apice stesso che strisciando contro le particelle di terreno durante la crescita,

verrebbe danneggiato. Le cellule meristematiche che si trovano all’apice della radice quindi,

oltre a produrre la cuffia, producono anche tutti gli altri tessuti della radice e questi vengono

generati sulla faccia opposta rispetto a quella dove vengono prodotte le cellule della caliptra.

Subito sopra alla zona meristematica si trova la zona di accrescimento per distensione. Le

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cellule meristematiche assieme alla cuffia e alla zona di distensione compongono la zona di

struttura primaria. È qui che avviene la massima parte dell’assorbimento dell’acqua e degli

ioni. Questa zona è composta da un tessuto di rivestimento, dalla corteccia e dal cilindro

centrale e qui a partire dal tessuto di rivestimento sono presenti i peli radicali i quali

facilitano l’assorbimento dell’acqua e degli ioni. Questi hanno vita breve e man mano che

muoiono vengono sostituiti da nuovi peli radicali. Sopra la zona di struttura primaria, in

gimnosperme e dicotiledoni è presente la zona di struttura secondaria. In questa zona, dal

tessuto meristematico viene prodotto legno secondario verso l’interno e libro secondario

verso l’esterno, proprio come accade nel fusto. Anche in questa zona la radice mantiene una

certa capacità di assorbimento dell’acqua, ma principalmente ha funzione di apparato

conduttore e di organo di riserva. L’estensione delle radici e la loro distribuzione influenza

la stabilità meccanica della pianta. Se il terreno dove la pianta si trova a vegetare è

compatto, l’apparato radicale tende a rimanere superficiale, questo perché un terreno

compatto diffonde in maniera più limitata l’ossigeno in profondità e tenderà inoltre ad

asciugarsi più lentamente. Se il substrato invece è sciolto, le radici tendono ad approfondirsi

perché in questi casi il terreno si asciuga più velocemente e le radici tenderanno così ad

approfondirsi per ricercare l’umidità. Questo è facilitato inoltre dalla maggior presenza di

ossigeno grazie alla macroporosità presente. (Longo, 1997)

Per ultimo ma non di importanza si ricorda l’influenza dell’associazione (allo stato naturale)

delle radici delle piante con i funghi, e dell’associazione che certe specie possono avere con

i batteri azotofissatori. L’associazione radice-fungo (appartenenti agli Ascomiceti e

Basidiomiceti), chiamata micorriza (dal greco mykes = fungo e rhiza = radice; Fig. 2) porta

ad un vero e proprio scambio di benefici: mentre la pianta fornisce ai funghi, che sono

eterotrofi, zuccheri e sostanza organica elaborata a livello fogliare, il fungo, con il suo

sviluppo, può aumentare anche di 10 volte il potere assorbente delle radici. In questo modo

avviene l’assorbimento di elementi chimici anche in situazioni nelle quali non sarebbero

assimilabili da parte della pianta. Nell’avvolgere i peli radicali, le micorrize ritardano

l’indurimento delle zone di assorbimento e creano una barriera fisica e biologica alle

infezioni radicali da funghi parassiti.

La presenza di queste simbiosi radicali, facilita l’attecchimento delle piantine e la loro

crescita anche in situazioni dove è scarsa la presenza di elementi minerali, si ha così un

attecchimento rapido delle piante messe a dimora.

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Per quanto riguarda invece l’associazione con i batteri azotofissatori, i più importanti e

specializzati sono quelli del genere Rhizobium i quali formano noduli radicali su molte

specie di leguminose. Questi possono invadere i peli radicali delle leguminose provocando,

con processi biochimici, modificazioni fisiche della radice chiamati tubercoli radicali.

All’interno dei quali i batteri si presentano come simbionti intracellulari.

Questi batteri sono in grado di trasformare l’azoto atmosferico in ammonio, un elemento

nutritivo che le piante utilizzano per la sintesi delle proteine. (Appunti di lezione,

Montecchio, 2001)

Figura 2.

Micorriza in radice di Salix alba L.

A sinistra ingrossamento nella parte centrale della radice, a destra ingrossamento delle

branche laterali.

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2. SCOPO DELLA PROVA

Lo studio svolto per questa tesi si occupa dell’intervento di ingegneria naturalistica eseguito

sul Collettore Malvolti (Fig. 3), sito nell’azienda Zuccarello di S. Liberale di Marcon

(Venezia) ad opera del Consorzio di Bonifica Dese Sile allo scopo di salvaguardare alcuni

tratti di sponda del succitato collettore. L’intervento di ingegneria naturalistica è stato

eseguito utilizzando diverse specie di salice. Il presente studio è volto a rilevare la capacità

di queste specie di consolidare il terreno e il loro effetto sulla biodiversità specifica della

nuova cenosi.

Figura 3.

Collettore Malvolti

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3. CARATTERISTICHE AMBIENTALI

3.1 Caratteristiche pedologiche

Il terreno presente nella zona di studio è di tipo argilloso, essendo formato da: 34% di

sabbia; 20 % di limo; 46 % di argilla.

I terreni di questo tipo hanno “elevata resistenza alla penetrazione degli attrezzi da lavoro,

forte coesione fra le particelle allo stato secco e notevole plasticità allo stato umido,

possibilità di trattenere grandi quantitativi di acqua ma a tensione alta, necessitano di una

buona struttura altrimenti diventano asfittici, impermeabili e poco adatti alla vita delle

piante”. (Giardini L. 1985).

Inoltre, dai risultati analitici riguardanti il terreno, si può osservare che:

- Il pH (ovvero la concentrazione degli H+ e OH- presenti nella soluzione circolante) è

pari a 6,79 e quindi il terreno risulta essere a reazione neutra;

- Il contenuto in Calcare Attivo è pari a 0,45 % e dunque il terreno si dimostra povero

di Carbonato di calcio (CaCO3), questo probabilmente perché in ambienti umidi ci

sono forti perdite di questo elemento per dilavamento.

- Per quanto riguarda la Sostanza Organica (Humus) essa è presente in quantità pari al

3,06 % per cui il terreno ne risulta mediamente dotato;

- L’Azoto Totale è presente per lo 0,131 % e quindi il terreno è mediamente dotato di

questo elemento;

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- Il Fosforo Assimilabile è presente con 14 p.p.m. e dunque il terreno si colloca tra lo

scarsamente dotato e il mediamente dotato;

- Il Potassio Scambiabile, è pari a 329 p.p.m. quindi il terreno risulta essere molto

ricco in tale elemento. “I terreni italiani, in particolare quelli argillosi, sono, con le

dovute eccezioni, ben dotati o ricchi di questo elemento nutritivo” (Giardini L.

1985);

- Per quanto riguarda il Sodio (H2O da NaCl), è presente con 87 p.p.m. mentre il

Sodio (Na), Scambiabile è presente con 170 p.p.m..

- Il Ferro Assimilabile è pari a 11 p.p.m. quindi rivela un terreno ricco di questo

elemento.

- La salinità (1:5) è pari a 0,09 gr/100 gr risulta quindi essere buona;

- Il rapporto C/N è pari a 13,5 e dunque basso, per cui il terreno si dimostra poco

propenso all’umificazione.

3.2 Caratteristiche climatiche

Secondo Susmel (1997) il clima è un “complesso di fattori fisici, chimici e biotici, la cui

interazione si traduce, durante un certo periodo, in una successione caratteristica dei tempi

atmosferici al di sopra di un territorio, di ampia o ridotta estensione, intendendo con tempo

atmosferico le condizioni meteorologiche della massa d’aria in un dato luogo e momento”.

Esso è uno dei principali fattori, assieme a quelli edafici, agente sulla vegetazione, la quale

deve adeguarsi con i ritmi vegetativi ai ritmi imposti dal clima stesso.

Nella pratica forestale per inquadrare il clima della zona in esame, al posto delle consuete

classificazioni climatiche si preferisce utilizzare la classificazione fitoclimatica di Pavari

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(1916), consultando la quale con i valori di temperatura considerati nei vari mesi e nei valori

medi (Tab. 1), si rientra nella zona fitoclimatica del “Castanetum caldo”. La classificazione

proposta da Pavari è su scala mondiale ma la si può utilizzare anche a livello del mesoclima

e i parametri che si devono utilizzare per capire in quale zona fitoclimatica rientra la zona in

esame sono i seguenti:

- precipitazioni annue;

- precipitazioni del periodo vegetativo;

- temperatura media annua;

- temperatura media del mese più caldo;

- temperatura media del mese più freddo;

- media dei massimi;

- media dei minimi.

Sempre sulla base dei dati di temperatura e piovosità degli anni dal 1961 al 1990 (Tab. 1) è

stato possibile costruire il diagramma climatico secondo Walter e Lieth (Fig. 4). Il

climodiagramma fornisce informazioni riguardanti i caratteri termopluviometrici della

stazione in esame. Esso riporta in ascissa i mesi dell’anno e in ordinata le precipitazioni e le

temperature (si tratta di un grafico a doppia ordinata). I valori delle temperature vengono

riportati con scala doppia rispetto alle precipitazioni, come indicato da Gaussen H., ovvero:

1°C = 2 mm. Sempre come proposto da Gaussen, se la curva delle precipitazioni scende

sotto quella delle temperature (P < 2T) il periodo deve considerarsi secco, altrimenti il

periodo è da considerarsi umido e lo si deve evidenziare con linee verticali. Dal seguente

diagramma si è notato che il regime pluviometrico è di tipo sub-equinoziale con un massimo

nella stagione autunnale (novembre) ed un altro massimo secondario in primavera, nei mesi

di maggio-giugno. I mesi invernali presentano invece precipitazioni meno elevate.

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Tabella 1.

Dati di temperatura e piovosità, bacino: fra Piave e Brenta

GEN FEB MAR APR MAG GIU LUG AGO SET OTT NOV DIC TOT

MEDIA MENSILE DELLE PRECIPITAZIONI (mm)

Media '61-'90 64,0 62,9 66,0 72,7 73,1 86,9 70,3 82,2 71,8 74,8 90,4 61,9 876,9

Massima 171,5 199,8 187,1 148,4 151,6 194,2 218,9 310,7 206,6 239,6 220,3 129,8 1174,1

Minima 0,0 3,8 2,0 7,0 8,2 8,8 4,0 3,6 6,4 0,4 0,8 3,2 538,6

Varianza 2483 2860 2014 1442 1264 1835 2838 3543 2775 3902 2821 1160 23293

Dev. Stand. 49,8 53,5 44,9 38,0 35,6 42,8 53,3 59,5 52,7 62,5 53,1 34,1 152,6

Coef. Var. 77,9 85,0 68,0 52,3 48,6 49,3 75,8 72,4 73,4 83,5 58,7 55,0 17,4

N. medio gg. piov. 6,5 6,0 7,3 8,5 8,5 9,3 6,3 6,6 5,6 6,4 7,5 6,1 84,5

Num. Osser. 30 30 30 30 30 30 30 30 30 30 30 30 30

MEDIA MENSILE DELLE TEMPERATURE MASSIME (° C)

Media '61-'90 5,3489 7,994 12,272 17,166 21,874 25,402 28,137 27,591 24,109 18,189 11,077 6,219 17,164

Massima 8,6452 12,464 16,942 19,6 25,742 28,333 31,161 30,258 27,2 21,968 13,267 9,0607 18,772

Minima 1,4516 3,5 8,3548 14,233 17,322 23,3 26,032 24,484 21,502 13,806 8,1833 3,7097 15,214

Varianza 3,5628 4,9521 5,6817 1,3825 3,5889 2,0913 1,7464 2,3843 2,6041 2,2304 1,6416 2,2121 0,787

Dev. Stand. 1,8875 2,2253 2,3836 1,1758 1,8945 1,4461 1,3215 1,5441 1,6137 1,4935 1,2812 1,4873 0,8871

Coef. Var. 35,288 27,837 19,423 6,8496 8,6609 5,6929 4,6968 5,5965 6,6935 8,2106 11,567 23,916 5,1685

Num. Osser. 30 30 30 30 30 30 30 30 30 30 30 30 30

MEDIA MENSILE DELLE TEMPERATURE MEDIE (° C)

Media '61-'90 2,6207 4,7941 8,428 12,814 17,264 20,846 23,304 22,623 19,301 14,083 7,9426 3,4291 13,121

Massima 6,3387 9,8393 11,742 14,967 20,839 23,233 26,274 25,176 22,033 16,581 9,9167 5,7097 14,358

Minima -1,258 0,125 4,9839 10,493 13,855 19,05 20,887 19,71 16,8 10,565 5,9167 0,5 11,295

Varianza 4,109 5,2039 3,7937 1,227 2,6276 1,5047 2,0511 2,1043 2,1021 1,8072 1,3276 1,8783 0,76

Dev. Stand. 2,0271 2,2812 1,9477 1,1077 1,621 1,2267 1,4322 1,4506 1,4499 1,3443 1,1522 1,3705 0,8718

Coef. Var. 77,349 47,583 23,11 8,6441 9,3894 5,8845 6,1456 6,412 7,5118 9,5455 14,507 39,967 6,6444

Num. Osser. 30 30 30 30 30 30 30 30 30 30 30 30 30

MEDIA MENSILE DELLE TEMPERATURE MINIME (° C)

Media '61-'90 -0,108 1,5943 4,5835 8,4629 12,655 16,289 18,471 17,656 14,494 9,9774 4,8081 0,6392 9,1681

Massima 4,0323 7,2143 8,0323 10,445 15,935 18,445 21,387 20,452 17,533 12,226 7,2667 2,8065 10,724

Minima -3,968 -3,25 1,3871 6 9,7419 14,267 15,548 14,935 11,4 7,2612 0,4333 -2,71 7,4088

Varianza 5,7945 6,2723 3,151 1,3797 2,1881 1,2732 2,6387 2,2589 2,2724 2,1381 2,2386 2,1824 0,9335

Dev. Stand. 2,4072 2,5045 1,7751 1,1746 1,4792 1,1284 1,6244 1,503 1,5074 1,4622 1,4962 1,4773 0,9662

Coef. Var. 2239,1 157,09 38,729 13,88 11,689 6,9271 8,7944 8,5127 10,4 14,655 31,119 231,11 10,539

Num. Osser. 30 30 30 30 30 30 30 30 30 30 30 30 30

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Figura 4

Climodiagramma di Walter e Lieth

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4. OPERE DI INGENERIA NATURALISTICA ESEGUITE

SUL COLLETTORE MALVOLTI

4.1 Il Consorzio di Bonifica Dese Sile

Figura 5.

Area di gestione del Consorzio di Bonifica Dese Sile (Consorzio di Bonifica Dese Sile

2005)

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Il Consorzio di Bonifica Dese Sile è un ente pubblico, gestito da consorziati (proprietari di

immobili di qualsiasi natura, sia di fabbricati che di terreni) che ricadono all’interno del

comprensorio. Esso coordina l’attività privata con gli interventi pubblici agendo nell’ambito

dell’irrigazione e della difesa idraulica. A livello pratico il consorzio progetta, realizza,

conserva e controlla le opere di bonifica. Oltre a questo, prende parte alla realizzazione dei

piani territoriali ed urbanistici e predispone il Piano Generale di Bonifica e di Tutela del

Territorio Rurale. Questo è un mezzo di pianificazione della Regione che detta le norme per

l’individuazione e la progettazione degli interventi pubblici riguardanti la bonifica e

l’irrigazione, inoltre, regola le opere necessarie alla salvaguardia e alla valorizzazione

dell’ambiente, contribuendo alla messa in opera delle attività di difesa del suolo e di

utilizzazione e cura del patrimonio idrico.

Il comprensorio è ubicato nella pianura centrale del Veneto in prossimità della Laguna di

Venezia (Fig. 5) e comprende i territori delle seguenti tre province: Venezia, Padova e

Treviso per un totale di 43.464 ha così ripartiti: 22.529,24 nella provincia di Venezia (Tab.

2); 5.831,08 nella provincia di Padova (Tab. 3); 15.103,68 nella provincia di Treviso (Tab.

4).

Tabella 2. Consorzio di Bonifica Dese Sile 2005: ettari gestiti nei comuni della

provincia di Venezia

Marcon ha. 2.495,33

Martellago ha. 1.994,65

Noale ha. 2.008,52

Quarto d'Altino ha. 2.234,85

Salzano ha. 1.050,98

Scorzè ha. 3.390,61

Spinea ha. 292,56

Venezia (terraferma) ha. 9.061,74

Totale provincia di

Venezia

ha. 22.529,24

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Tabella 3. Consorzio di Bonifica Dese Sile 2005: ettari gestiti nei comuni della

provincia di Padova

Piombino Dese ha. 2.973,83

Trebaseleghe ha. 2.857,25

Totale provincia di

Padova

ha. 5.831,08

Tabella 4. Consorzio di Bonifica Dese Sile 2005: ettari gestiti nei comuni della

provincia di Treviso

Casale sul Sile ha. 2.398,77

Casier ha. 1.316,30

Istrana ha. 481,00

Mogliano Veneto ha. 4.593,49

Morgano ha. 509,68

Preganziol ha. 1.831,61

Resana ha. 936,93

Treviso ha. 278,86

Vedelago ha. 305,61

Zero Branco ha. 2.451,43

Totale provincia di

Treviso

ha. 15.103,68

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Ha in gestione 345 km di argini, 627 km di canali e 9.200.000 mq di argini e canali sfalciati

all’anno.

Per quanto riguarda l’intervento di difesa spondale di alcuni tratti del Collettore Malvolti, il

Consorzio di Bonifica Dese Sile ha dovuto procedere ad adeguare le strutture consortili al

mutato assetto del territorio ed a tal fine è stato redatto un progetto di massima delle opere

da eseguire, per mettere in atto il “Piano per la prevenzione dell’inquinamento ed il

risanamento delle acque del bacino idrografico immediatamente sversante nella Laguna di

Venezia”, dettato dalla deliberazione del 31.03.1999 voluta dalla Direzione Generale per la

Tutela del Territorio Rurale della Regione Veneto.

Detti interventi consistono, essenzialmente, nella realizzazione di opere di sistemazione

superficiale, drenaggio tubolare sotterraneo ed opere di recupero ambientale e paesaggistico

all’interno delle singole aziende. (Scheda progetto 3.2 a “Gestione idraulica dei deflussi

delle superfici agricole”). In particolare è stato previsto, oltre alle opere di difesa spondale

del Collettore Malvolti, anche il potenziamento dell’impianto idrovoro di Zuccarello e i

manufatti di sbarramento per il rincollo delle acque. Il tutto finanziato con un importo di

Euro 582.563,38.

Gli interventi di difesa spondale di alcuni tratti del Collettore Malvolti, attuati con tecniche

di ingegneria naturalistica, sono stati messi in atto per poter effettuare rapide manovre di

svaso dei collettori, per poter così massimizzare l’utilizzo della capacità d’invaso della rete

di bonifica all’incidere dell’evento di piena (Scheda progetto 3.2 a “Gestione idraulica dei

deflussi delle superfici agricole”).

4.2 Intervento di recupero spondale

L’intervento di recupero spondale è stato eseguito combinando l’impiego dei materiali vivi

(talee di salice) con materiali non viventi (legno e massi) al fine di aumentare la stabilità

dell’opera (Fig. 12)

Come prima cosa è stato eseguito il consolidamento spondale e basale per ricostruire il

volume eroso dagli smottamenti che si sono verificati sulle sponde (Fig. 6 e Fig. 7). Questo

è stato realizzato eseguendo una burga in geotessuto e massi (Fig. 9)

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La difesa della parte posta sopra alla burga invece, iniziata il 25 febbraio 2002 e terminata

l’8 marzo 2002, è stata eseguita rivestendo la parte superiore della sponda e una piccola

parte del piano di campagna con una rete biodegradabile in Juta ancorata mediante un

dispositivo a sacco.

La Juta è stata posta per una lunghezza di 4 ml. e per una larghezza di 1 ml. paralleli allo

scorrimento dell’acqua, immediatamente sovrastanti al consolidamento spondale e basale.

Per il successivo ancoraggio delle talee di salice sono stati predisposti 2 paletti di legno

conficcati nel suolo, allo scopo di supportare 2 entità di vincolo in legno (morali) di larice di

sezione 3 x 3 cm.

In seguito alla disposizione dei paletti e dei morali di larice, allargando le maglie della Juta,

sono stati messe a dimora sia talee di salice non radicate lunghe circa 120 cm e con un

diametro di 2 cm circa nella parte bassa della sponda, sia piantine radicate in vaso di

diametro pari ad 8 mm, per un totale di 10 elementi a metro lineare (Figure 8, 9, 10).

Infine, per proteggere gli astoni e le piantine di salice dalle infestanti e dalla brucatura degli

animali, sono stati applicati dei collarini pacciamanti singoli di forma quadrata e delle retine

come protezione di tutta la parte epigea (Figura 11).

Il controllo delle infestanti è molto importante nelle prime fasi di attecchimento e sviluppo

delle talee, per evitare competizione per quanto riguarda luce, acqua ed elementi nutritivi.

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Figura 6.

Frane lungo la scarpata del Collettore Malvolti

Figura 7.

Frane lungo la scarpata del Collettore Malvolti

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Figura 8.

Paletti di legno e rete biodegradabile in juta.

Figura 9.

Messa a dimora di talee e piantine di salice, burga in geotessuto e massi

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Figura 10.

Intervento di difesa spondale terminato

Figura 11.

Pacciamatura e protezione dalla brucatura delle piante di salice

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Figura 12. Schema di intervento recupero spondale Scala 1:60

Fondo canale

Piano campagna

Paletti di legno L = 0,80 m

Burga in geotessuto e massi

Morali di vincolo per ancoraggio salici Sez. 3 x 3 cm

Piantine di Salice L = 120 cm Diam. = 2,00 cm

Talee di salice non radicate Diam = 8 mm

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4.3 L’impiego delle specie del genere Salix L.

I salici sono specie particolarmente adatte ad essere utilizzate nelle opere di ingegneria

naturalistica, perché svolgono un azione di protezione del suolo, sia perché sono specie

adattabili ad ogni tipo di terreno e di clima ovvero sono specie rustiche, sia perché sono

specie a rapido accrescimento. I salici coprono velocemente la superficie destinata ai lavori

di ingegneria naturalistica, grazie anche al rapido sviluppo dell’apparato radicale.

Nella scelta delle specie da adottare è importante lo studio floristico della stazione in modo

da conoscere quali specie saranno più compatibili con l’ambiente preso in esame. In questo

modo si evitano esiti negativi dovuti all’impiego di specie non adatte ad un determinato

insieme di caratteristiche sia climatiche sia edafiche. Oltre agli specifici interventi di

ingegneria naturalistica che si possono attuare in casi di risanamento spondale e alle specie

utilizzabili, si deve tener conto anche della gestione degli ecosistemi ripariali. In questi casi

è importante inquadrare questi ecosistemi in un piano d’insieme più grande, riferendosi ad

unità territoriali equilibrate sia dal punto di vista fisico sia bioecologico.

Il genere Salix, appartenente alla famiglia delle Salicaceae, comprende: alberi, arbusti ma

anche suffrutici di dimensioni molto ridotte, con foglie semplici e decidue. Secondo Martini

e Paiero (1988) nel nostro paese sono presenti 34 specie autoctone. Sono specie eliofile che,

di massima, prediligono ambienti umidi. Resistono a periodi più o meno lunghi di

sommersione dell’apparato radicale che è molto ampio e superficiale e si rinnovano molto

bene per via agamica perché hanno una elevata capacità rizogenetica. Questa caratteristica

ha reso il genere Salix molto importante nelle opere di difesa contro l’erosione spondale ed

anche perché sono specie pioniere, ovvero sono specie presenti nei primi stadi di una

successione vegetale, per periodi relativamente brevi, le quali riescono a stabilirsi in

ambienti continuamente perturbati (come può esserlo un corso d’acqua) e dove è molto

difficile la comparsa di specie caratteristiche di ambienti più stabili.

Le foglie brevemente picciolate o subsessili sono alterne (raramente subopposte), lanceolate

ma a volte anche ovaleggianti, con stipole che possono essere sia persistenti che caduche.

Presentano nervature pennate. Il fogliame può essere ricoperto di peli, di cere o essere

glabro.

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Le gemme portate alterne, raramente opposte, sono protette da una perula conformata a

cappuccio.

I fiori sono unisessuali, e le piante dioiche ad impollinazione sia anemofila sia entomofila

(in questo caso vengono visitati dalle api che sono attirate dalle infiorescenze colorate

vistosamente; Fig. 13). Essi sono portati in infiorescenze maschili o femminili erette, che

possono essere sessili o subsessili. I fiori maschili sono formati da: un calice ridotto a 1-2

nettari, 2-5 (12) stami vivacemente colorati alla fioritura e una brattea o squama di forma

triangolare o ovale, ciliata o glabrescente. Anche il fiore femminile è composto da una

brattea, ha poi 1-2 nettari, l’ovario supero, uniloculare, pubescente o glabro con due stigmi

portati su un unico stilo.

L’antesi che varia di molto fra le specie e in base all’areale, può avere luogo prima della

emissione delle foglie e in questo caso le infiorescenze sono sessili o subsessili e sono

portate erette. Se invece la fioritura si realizza contemporaneamente o successivamente

all’emissione delle foglie, le infiorescenze sono peduncolate.

Il frutto è una capsula (più corta di un centimetro) ovvero un frutto a guscio coriaceo di

forma sferica, ovoidale o cilindrica con una o più cavità chiamate loculi. Questa si apre in 2

o 4 valve e racchiude 8-10 semi di 1-2 mm di lunghezza provvisti di lunghi peli sericei,

che velocemente perdono la capacità di germinare e non sono dormienti. La maturazione del

frutto avviene nell’anno.

Figura 13.

Fioritura si S. cinerea L. visitata da Apis mellifera L.

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Tutte le specie appartenenti a questo genere sono poco longeve e riescono a superare di rado

il secolo di vita.

Il riconoscimento dei salici è molto complesso perché:

− sono specie con scarsa chiarezza nei caratteri distintivi;

− frequentemente vanno incontro ad ibridazione;

− il genere racchiude un elevato numero di specie;

− le specie sono caratterizzate da un forte dimorfismo sessuale;

la frequenza degli esemplari giovani o giovanissimi di non fiorire, è molto alta. (Gellini,

Grassoni, 1998)

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4.3.1 Descrizione delle singole specie di salice impiegate nelle opere di

ingegneria naturalistica del collettore Malvolti

ANGIOSPERMAE

Fam. SALICACEAE

4.3.1.1 Salix alba L. e Salix alba subsp. Vitellina

Figura 14. Figura 15.

Rametto di Salix alba L. Infiorescenza maschile di

Salix alba L.

NOME COMUNE

Salice bianco; Salice comune; Salice argenteo.

ALTEZZA

Albero alto fino a 25 (30) m.

CHIOMA

Irregolarmente divisa con rami principali rivolti verso l’alto, ha rami sottili e flessibili, dritti,

arcuato-pendenti nella parte alta della chioma (Fig. 14)

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TRONCO

Fusto dritto che ramifica molto presto; corteccia grigiastra solcata e reticolata.

FOGLIE

Caduche, semplici, lanceolato-lineari, lunghe fino a 10 cm, larghe 4-6 cm, con la larghezza

massima al centro della lamina fogliare e margine seghettato. Le foglie hanno peli argentei

sulla pagina superiore che è di colore verde-grigiastro, mentre la pagina inferiore ha peli

bianco-sericei e per questo si presenta di colore bianco. L’inserzione delle foglie è alterna o

sparsa.

FIORI

Pianta dioica. Infiorescenze ad amento portate da un peduncolo, densiflore le maschili

lunghe fino a 5 cm; (Fig. 15), più lasse le femminili lunghe fino a 6 cm. I fiori maschili (Fig.

16) hanno 2 stami con filamenti pelosi alla base e 2 nettari, mentre i femminili hanno un

solo nettario. Le squame o brattee sono caduche, ciliate, e hanno forma ovale. Fioritura a

marzo-aprile contemporanea alla fogliazione.

Figura 16.

Fiore maschile di Salix alba L.

FRUTTI

I fiori femminili producono una capsula glabra lunga fino a 6 mm.

Essa a giugno, raggiunta la maturità, libera numerosissimi semi cotonosi di piccolissime

dimensioni.

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COROLOGIA

Questa specie ha un areale che si estende dal Mar Mediterraneo fino all’Europa

settentrionale ovvero dalla penisola Iberica fino alla Siberia centrale. Nel nostro paese è

diffuso in tutte le regioni.

ECOLOGIA

È un elemento che si può trovare dal piano basale fino agli 800-1000 m sul livello del mare.

Preferisce terreni da limoso-sabbiosi a limoso-argillosi purchè fertili, sciolti, umidi ma

anche soggetti a periodica sommersione.

Costituisce formazioni miste con altre specie igrofile di bosco ripariale ovvero il

caratteristico SALICETUM ALBAE presente su rive di corsi d’acqua, con acque lente, sia

di pianura che di montagna. Questa formazione è caratterizzata dalla presenza di:

Symphytum officinale, Lythrum salicaria, Rubus caesius, Solanum dulcamara, Calystegia

sepium, Galium palustre, Potentilla reptans, Humulus lupulus, Lycopus europaeus, Bidens

tripartita, Lysimachia nummularia, Glechoma hederacea, Frangula alnus, Crataegus

monogyna, Viburnum lantana, Populus alba, Populus nigra. Queste specie sono presenti

anche in stazioni fortemente alterate dalle attività umane.

All’interno di questa specie viene distinta la sottospecie Salix alba subsp. vitellina L. (Fig.

17)

Questa sottospecie ha rami giovani di colore giallo, molto evidenti soprattutto nel periodo

invernale grazie alla perdita delle foglie. Esse sono più chiare e più larghe del Salix alba L.

e come quest’ultimo è presente in tutto il territorio italiano.

Figura 17.

Gruppo di piante di Salix

alba subsp. vitellina L.

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4.3.1.2 Salix caprea L.

NOME COMUNE

Salicone; Salice delle capre.

ALTEZZA

Arbusto o piccolo albero alto fino a 10 m.

CHIOMA

Globosa, fitta.

TRONCO

Policormico, flessuoso con rami ascendenti. Ha corteccia fessurata in placche e di colore

grigio scuro nei rami più vecchi. I rametti giovani (Fig. 18) sono glabri, lisci e di colore da

verde-giallastro a rosso-brunastro. Il legno di 2-4 anni non presenta, se scortecciato, creste

longitudinali.

Figura 18.

Giovane rametto di Salix caprea L.

FOGLIE

Caduche, semplici, picciolate (con picciolo lungo 5-15 mm) e con 2 stipole a lungo

persistenti. Di forma ovale ellittica, larghe 4-9 cm e lunghe 12-14 cm con la pagina inferiore

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pubescente, per questo di colore grigio, mentre la pagina superiore è glabra e di colore verde

scuro. Il margine è irregolarmente ondulato.

L’inserzione delle foglie è alterna.

FIORI

Pianta dioica. Le infiorescenze sono subsessili. Sia i fiori maschili che quelli femminili sono

dotati di un solo nettario. Gli amenti maschili sono eretti, di forma ovato-oblunga lunghi

fino a 4 cm e gli stami sono del tutto privi di peli; i femminili (Fig. 19) sono più grandi di

quelli maschili e possono raggiungere lunghezze di 6 cm. Le squame presentano un colore

più chiaro della base rispetto all’apice e questo porta anche lunghi peli (Fig. 20)

Fioritura a marzo-maggio precedente la fogliazione.

Figura 19. Figura 20.

Infiorescenza femminile di Salix caprea L. Fiore femminile di Salix caprea L.

FRUTTI

Gli amenti femminili producono capsule coniche durevoli che maturano a maggio-giugno.

COROLOGIA

Il suo areale è molto vasto, più vasto di quello di Salix alba L., comprende tutta l’Europa

tranne le zone estreme settentrionali e meridionali. Si espande inoltre in Asia fino al

Giappone. Nel nostro paese è diffuso dal piano basale fino a 1700 m sul livello del mare.

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ECOLOGIA

Specie che non risulta legata ad una precisa associazione.

Rustico, poco eliofilo (da giovane sopporta un certo grado di copertura), molto resistente

alla siccità ma lo si può trovare anche nelle cenosi riparali, in terreni abbandonati o al

margine dei boschi. Predilige suoli sabbiosi o ricchi di scheletro purchè fertili.

È una specie molto importante per la produzione di miele.

4.3.1.3 Salix cinerea L.

NOME COMUNE

Salice cenerino

ALTEZZA

Grosso arbusto policormico alto fino a 6 m.

CHIOMA

Globosa irregolare

TRONCO

Diviso e ramoso; corteccia grigiastra, nei rami più giovani è coperta da una fitta peluria. Un

carattere distintivo è dato dalla presenza o meno di creste longitudinali sul legno di 2-4 anni

di età, in questa specie le creste sono molto evidenti e lunghe anche fino a 5-7 cm. (Fig. 21)

Fig 21.

Particolare delle creste su rametto scortecciato di Salix cinerea L.

FOGLIE

Caduche, semplici, da obovate a ellittiche, larghe 20-30 mm e lunghe fino a 10-11 cm, con

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la lunghezza massima oltre la metà della foglia. La pagina superiore è di colore verde oliva,

reticolata e opaca per la pubescenza, mentre la pagina inferiore è da grigiastra a biancastra,

sempre tomentosa.

Presentano margine revoluto verso la pagina inferiore (Fig. 22) e sono cuneate alla base.

FIORI

Pianta dioica. Le infiorescenze sono sessili. I fiori maschili hanno stami con filamento

peloso alla base (Fig. 24) e hanno antere inizialmente rossastre, poi gialle (Figura 25).

Figura 22.

Foglia di Salix cinerea L., particolare del margine revoluto.

Il fiore femminile ha ovario a forma di cono portato da un peduncolo lungo il doppio della

brattea. Le squame più scure all’apice rispetto alla base e tomentose, sono di forma ovale o

lanceolata. Fioritura a marzo aprile precedente la fogliazione (Fig. 23).

Figura 23. Figura 24.

Inizio fioritura del Salix cinerea L. Fiore maschile del Salix cinerea L.

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FRUTTI

Gli amenti femminili producono capsule lunghe fino ad 1 cm.

Figura 25.

Antere del Salix cinerea L.

COROLOGIA

L’areale di questa specie si sviluppa dalla regione mediterranea e ancora Africa

nordoccidentale, Iran settentrionale, fino alla Scandinavia, all’Asia Minore, Caucaso, Iran e

Siberia occidentale.

Nel nostro paese è presente in quasi tutto il territorio italiano dal piano basale fino agli 800-

1000 m s.l.m., tranne nelle isole maggiori.

ECOLOGIA

Questa specie predilige suoli da limoso-argillosi a limoso-sabbiosi, umidi di zone

pianeggianti. È raro trovarlo nel piano montano. Dal punto di vista della temperatura,

preferisce climi subcontinentali.

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4.3.1.4 Salix eleagnos Scop.

NOME COMUNE

Salice di ripa

ALTEZZA

Grosso arbusto o piccolo albero alto fino a 5 (6) m

CHIOMA

Globosa irregolare

TRONCO

Diviso e ramoso con rami sottili (Fig. 26); corteccia grigia, quella dei rami più giovani è

giallastra o bruno-rossastra e leggermente pubescente.

FOGLIE

Caduche, semplici, lineari-lanceolate, brevemente picciolate, lunghe da 6-15 cm con apici

acuti alle estremità e margine revoluto finemente seghettato. La pagina inferiore è bianca

perchè tormentosa, mentre la pagina superiore è verde scura e lucida. L’inserzione delle

foglie è alterna.

FIORI

Pianta dioica. Infiorescenze cilindriche arcuate, le maschili di colore giallo-dorato, le

femminili di colore giallo-verdastro (Fig. 27) Il fiore maschile ha due stami parzialmente

saldati alla base e con filamento peloso. Le squame sono di colore uniforme e presentano

diffusa pelosità alla base.

Fioritura a marzo-aprile antecedente la fogliazione.

FRUTTI

Gli amenti femminili producono capsule coniche, glabre, in spighe.

COROLOGIA

Il suo areale comprende l’Europa centro-meridionale, dalla Penisola Iberica ai Carpazi. Nel

nostro paese è diffuso dal piano basale fino al piano subalpino.

ECOLOGIA

È una specie che colonizza ottimamente i terreni calcarei, alluvionali, esposti a periodiche

sommersioni, è tipico quindi di zone di riviera.

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Predilige temperature miti e vegeta in stazioni dove la temperatura media non scende al di

sotto dei 2°C.

Figura 26. Figura 27.

Rametto di S. eleagnos Scop. Infiorescenza femminile di

S. eleagnos Scop.

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4.3.1.5 Salix purpurea L.

NOME COMUNE

Salice rosso; Salicella

ALTEZZA

Arbusto esile alto fino a 4-5 m

CHIOMA

Globosa, irregolare

TRONCO

Diviso e ramoso con rami sottili e corteccia grigio-verdastra. I rami giovani sono purpurei

soprattutto in primavera (Fig 28).

FOGLIE

Caduche, semplici, lineari-spatolate con larghezza massima nella parte apicale. La pagina

inferiore è grigia mentre quella superiore è lucida e di colore verde-azzurrognolo.

L’inserzione è spesso opposta, soprattutto all’apice dei rami

Figura 28.

Particolare di un rametto di Salix purpurea L.

FIORI

Pianta dioica. Le infiorescenze sono cilindriche: quelle maschili sono opposte, lunghe 4-5

cm e con squame nerastre all’apice, lungamente pelose. Gli stami hanno il filamento saldato

così da sembrare uno solo. Gli amenti femminili sono arcuato-eretti, densi, portano ovari

subsessili di forma ovale, grigi e ricoperti di peli (Fig 29). Le squame hanno l’apice più

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scuro rispetto alla base di colore bruno-rossastro. La base invece è molto più chiara.

Presentano una diffusa pelosità

Il periodo della fioritura va da Marzo a Aprile.

Figura 29.

Infiorescenza femminile di Salix purpurea L.

FRUTTI

Gli amenti femminili producono capsule ovoidali le quali contengono diversi semi e sono

ricoperte di una corta e fitta pubescenza.

COROLOGIA

Specie presente sia in Europa che in Asia, nelle zone più temperate. Nel nostro paese è

presente in tutte le regioni.

Nel nostro paese è presente in tutte le regioni, dal piano basale ai 1800 m di quota.

ECOLOGIA

Questa specie è molto frequente lungo i corsi d’acqua dalla pianura al piano montano, su

terreni poco evoluti nei quali riesce a sopportare bene una certa siccità estiva. In pianura

caratterizza il SALICETUM TRIANDRAE, associato alle seguenti specie: Salix triandra,

Salix alba, Salix eleagnos, Salix viminalis, Frangula alnus. Questa è una formazione

ripariale che precede l’instaurarsi del SALICETUM ALBAE (cfr. pag 34)

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4.3.1.6 Salix triandra L.

NOME COMUNE

Salice da ceste.

ALTEZZA

Arbusto alto fino a 10 m

CHIOMA

Espansa e rada

TRONCO

Policormico con corteccia liscia che si stacca a scaglie dal tronco e dai rami più vecchi. I

giovani rami inizialmente sono verdastri o rosso-brunastri.

FOGLIE

Oblanceolate, acuminate, larghe 3 cm e lunghe fino a 15 cm, con bordo finemente dentato.

Da giovani sono setose per la loro peluria, poi glabrescenti. La larghezza massima della

lamina fogliare è nel centro della stessa.

FIORI

Pianta dioica. Le infiorescenze maschili sono lasse e hanno forma conica. I fiori maschili

hanno 3 stami (Fig. 30). Le infiorescenze femminili sono più piccole delle maschili ed

hanno ovario glabro con peduncolo. La squama è persistente e finemente pelosa. La fioritura

è a marzo aprile e può essere anteriore o contemporanea alla fogliazione (Fig. 31).

Figura 30.

Particolare di fiore maschile di Salix triandra L.

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FRUTTI

Gli amenti femminili producono capsule coniche, glabre, contenenti molti semi.

COROLOGIA

Diffuso in Europa dal Mediterraneo alla Siberia. Nel nostro paese è diffuso in tutte le

regioni tranne che in Corsica.

ECOLOGIA

Specie tipica di luoghi umidi e di sponde di acque correnti, dal piano basale ai 1400 m s.l.m.

Predilige terreni limoso-argillosi o sabbiosi ricchi d’acqua perché non tollera la siccità

estiva. È una specie termofila ed è frequentemente associato al Salix alba a formare il

SALICETUM ALBAE (cfr. pag 34), frequente lungo i corsi d’acqua di pianura

caratterizzati da acque lente.

Figura 31.

Rametto di Salix triandra L. con infiorescenze maschili.

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4.3.1.7 Salix viminalis L.

NOME COMUNE

Salice da vimini

ALTEZZA

Arbusto di circa 10 metri

CHIOMA

Globosa e rada

TRONCO

Policormico con corteccia grigio verde o brunastra. I giovani rami molto flessibili,

inizialmente sono pubescenti e giallastri ma presto divengono glabri.

FOGLIE

Sono strette, lineari, con margini involuti, di colore verde-scuro sopra e con peluria argentea

nella pagina inferiore. Sono larghe circa 1.5 cm e lunghe 10-15 cm.

FIORI

Pianta dioica. Gli amenti maschili sono di forma ovoidale, densiflori.

Quelli femminili sono di dimensioni minori dei maschili ed hanno ovario subsessile,

pubescente. Le squame sono più scure all’apice rispetto alla base, hanno forma ovale e

presentano una lunga pelosità (Fig. 32)

La fioritura avviene a marzo aprile ed è antecedente la fogliazione (Fig. 33)

Figura 32.

Infiorescenza femminile e particolare del fiore di Salix viminalis L.

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Figura 33.

Salix viminalis L. in fioritura

FRUTTI

Gli amenti femminili producono capsule di forma ovoidale, sessile, fittamente pubescente e

lunga 5-6 mm circa.

COROLOGIA

Specie presente sia in Europa centrale ed orientale e in Asia.

Introdotto in Italia per la produzione di vimini, ora è presente nella Pianura Padana e nelle

vallate appenniniche settentrionali e alpine.

ECOLOGIA

Si sviluppa prevalentemente in substrati limoso-sabbiosi, dal piano basale a quello montano

fino ai 500 m s.l.m.

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5. MATERIALI E METODI

5.1 Organizzazione e gestione della prova

Questo studio è stato iniziato nel mese di Ottobre 2004. Come prima cosa si è cercato di

individuare, lungo la sponda destra del collettore Malvolti, i settori il più possibile omogenei

per quanto riguarda le specie di salice che vi erano messe a dimora. Questi settori sono stati

distinti all’interno di due zone di impianto dei salici: zona 1 e zona 2. In tali zone sono stati

individuati 8 settori a cui sono stati aggiunti altri 2 settori dove non erano stati piantati salici

ovvero il settore “testimone 8a” il settore “testimone 8b” (Fig. 34 e 35). Questo per poter

confrontare la distribuzione e lo sviluppo degli apparati radicali dei salici con quelli delle

specie erbacee spontanee dove questi non sono stati piantati.

I settori presi in esame sono dunque in totale 10.

Successivamente la prova è stata così organizzata:

- 19 novembre 2004: primo prelievo dei campioni di radici;

- 11 maggio 2005: secondo prelievo dei campioni di radici

I prelievi di terreno e quindi di radici sono stati eseguiti in due stagioni diverse (nei 10

settori) per poter osservare la variazione dell’accrescimento radicale dal periodo invernale a

quello primaverile.

In ogni singolo settore sono stati effettuati 3 carotaggi, in modo da poter ottenere dei

campioni il più possibile rappresentativi della singola specie o del gruppo di specie di Salici

presenti nel settore.

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Figura 34.

Zone di prelievo dei campioni

Scala 1:10.000

LEGENDA Zone di ripristino ambientale ( sponda destra) dove

sono stati eseguiti i carotaggi

Zone di ripristino ambientale (sponda sinistra) dove

non sono stati eseguiti i carotaggi

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ZONA 1

ZONA 2

Settore 1 S. cinerea S. caprea S. viminalis

Settore 2 S. cinerea

Settore 4 a S. alba

Settore 3 S. cinerea S. caprea S. eleagnos

Settore 6 S. triandra

Settore 7 S.viminalis S. purpurea

Settore 4 b S. alba

Settore 5 S. alba S. viminalis

Figura 35.

Settori di prelievo dei carotaggi e di esecuzione dei rilievi floristici (Scala 1:600)

x x x

x x x

x x x x x x x x x x x x

x x x x x x

50

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Tabella 5. Specie del genere Salix presenti nei diversi settori

Settore Specie di salici presenti

1 S. cinerea, S. caprea, S. viminalis

2 S. cinerea

3 S. cinerea, S. caprea, S. eleagnos

4a S. alba

4b S. alba

5 S. alba, S. viminalis

6 S. triandra

7 S. viminalis, S. purpurea

8a (testimone 1) senza salici

8b (testimone 2) senza salici

5.2 Esecuzione rilievi floristici Inizialmente sono state riconosciute le singole specie di salice messe a dimora. Per la loro

classificazione sono stati utilizzati principalmente i testi: “Flora d’Italia” (PIGNATTI, 1982)

e “La nostra flora” (DALLA FIOR, 1985). La nomenclatura utilizzata è corrispondente a

quella indicata da Pignatti.

Successivamente è stato eseguito il rilievo floristico di tutte le specie, sia quelle facenti parte

della componente erbacea sia di quelle della componente arbustiva. I rilievi sono stati

eseguiti nei settori dove sono stati fatti i carotaggi (Figure 34 e 35). Sulle stesse superfici, i

rilievi sono stati ripetuti nei seguenti mesi:

- novembre 2004;

- febbraio 2005;

- maggio 2005;

- luglio 2005

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5.3 Prelievo dei campioni di terreno per lo studio degli apparati radicali

Attraverso l’uso del carotatore (Fig. 36, 37 e 38) in ogni settore è stato possibile estrarre tre

carote cilindriche di terreno lunghe 20 cm e con diametro di 4,5 cm. Nella zona della riva

evidenziata in Figura 39, ogni cilindro di terreno così estratto è stato diviso in due sezioni

(da 0 a 10 cm e da 10 a 20 cm di profondità) in modo da ottenere due porzioni di terreno a

due diverse profondità. Ogni campione è stato contrassegnato con un cartellino sul quale

sono stati indicati: data, settore di appartenenza, numero del campione e profondità. Per

garantirne poi una adeguata conservazione, in attesa dei successivi procedimenti di pulitura,

essi sono stati collocati in una cella frigorifera ad una temperatura di – 4° C.

Figura 36

Carotatore utilizzato per i prelievi di

terreno

Figura 37

Carotatore inflitto nel terreno

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Figura 38

Cilindro di terreno estratto mediante il carotatore

zona di esecuzione dei carotaggi

Figura 39

Sezione della sponda del collettore Malvolti: zona di esecuzione dei carotaggi

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5.4 Lavaggio delle radici

Quando è stato possibile proseguire lo studio dell’apparato radicale si sono prelevati i

campioni dalla cella frigorifera. Dopo il decongelamento dei campioni e la loro immersione

in acido ossalico al 2% per 12 ore è stato effettuato il lavaggio mediante l’utilizzo di una

apposita centrifuga (Fig. 40) la quale provoca la fuoriuscita della sospensione composta da:

terreno, acqua e acido ossalico. La sospensione passa attraverso due vagli, uno con pori da 5

mm e uno da 2 mm posti rispettivamente uno sopra l’altro, i quali permettono la raccolta

delle radici e di altro materiale presente nei campioni, come ad esempio: sassi, residui

vegetali di varia natura. Il tutto in seguito è stato raccolto con l’aiuto di pinzette e posto in

soluzione alcolica al 12%. Il materiale ottenuto con questo procedimento, viene posto in

cella frigorifera alla temperatura di 4°C per essere conservato prima di passare alla fase di

laboratorio.

Figura 40

Centrifuga utilizzata per il lavaggio dei campioni

Flusso d’acqua

Flusso d’acqua

Setacci

Uscita acqua e terreno

Flusso che trasporta radici

e terreno attraverso i

setacci.

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5.5 Attività di laboratorio

In laboratorio si è proceduto alla pulitura dei campioni per la successiva misurazione

mediante l’utilizzo dello scanner EPSON STD1600 con software WHINRHIZO PRO 3.4,

ambedue forniti dalla ditta canadese REGENT INSTRUMENTS INC (Fig. 41 e 42). La

preparazione dei campioni per la misurazione, consiste nella pulitura ulteriore delle radici

togliendo tutti i residui vegetali e non, separando da queste i rizomi. A questo punto si

provvede alla disposizione delle radici in vaschette di plexiglas contenenti acqua, in modo

da permettere allo scanner di eseguire le misurazioni della lunghezza e del diametro medio

delle radici stesse, elaborando l’immagine (Fig. 43). Le radici dopo essere state misurate

vengono essiccate e viene fatto lo stesso con i rizomi, per ottenere il peso secco.

L’essiccazione viene effettuata mediante stufa a 105°C per 24 ore.

Figura 41 Figura 42

Scanner EPSON STD1600 Schermata di WHINRHIZO PRO 3.4

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60

Figura 43

Immagine delle radici ottenuta con WINRHIZO PRO 3.4

5.6 Analisi statistiche

I dati di lunghezza totale (cm) e del diametro medio (mm) ottenuti grazie al software

WINRIZO, assieme ai valori del peso secco (mg/cm³), sono stati oggetto di elaborazioni

statistiche. Inizialmente tutti questi dati sono stati organizzati in tabelle in modo da poter

calcolare agevolmente la media aritmetica, la deviazione e l’errore standard.

Successivamente sono stati fatti dei grafici (riportati nelle pagine seguenti) dove sono stati

inseriti i valori dell’errore standard e i valori medi della densità radicale in lunghezza

(cm/cm³), densità radicale in peso (mg/cm³), rapporto peso lunghezza (mg/cm) e diametro

(mm), mediante i quali è possibile osservare l’andamento dei valori.

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6. RISULTATI SPERIMENTALI

6.1 Rilievi floristici Con i rilievi floristici ripetuti in quattro diverse occasioni ( novembre ’04, febbraio ’05,

maggio ’05, luglio ’05) su 10 aree di studio corrispondenti alle 8 diverse situazioni di

ripristino ambientale (settori), sono state individuate, complessivamente, 69 specie

appartenenti a 31 famiglie di Angiosperme (Tab. 6). Di tali specie, 10, tra cui tutte quelle

utilizzate nei lavori di ingegneria naturalistica presentavano individui che per dimensione

fanno parte dello strato arboreo (dimensione superiore a m 4) e 4 invece erano rappresentate

da individui che, al massimo, raggiungevano dimensione arbustiva.

Dal confronto del numero di specie rilevate nelle 10 diverse aree di studio (Tab. 9), emerge

anzitutto che in ognuna delle occasioni di rilievo e dunque in ogni stagione dell’anno, le due

aree testimone senza salici sono risultate quelle più ricche di specie. Tuttavia, mentre in

inverno tale differenza è piuttosto contenuta, in primavera ed in estate corrisponde o supera

più o meno sensibilmente il 50% del numero di specie presenti nel testimone. In linea di

massima sembra dunque che nelle aree in cui sono presenti i salici impiegati nelle opere di

ingegneria naturalistica la ricchezza floristica (biodiversità specifica) sia molto più limitata

di quanto non si verifichi nelle aree provviste di tali specie legnose. Un tale risultato non

sorprende in modo particolare se si ricorda che le specie pioniere di tipo erbaceo sono, di

massima, eliofile e quindi la diffusione, l’affrancamento e la sopravvivenza delle stesse non

sono certo favoriti dalla presenza di piante arboree. Inoltre, la limitata differenza riscontrata

durante l’inverno tra i valori della biodiversità presente nei vari settori potrebbe essere

riferita, almeno in parte, al fatto che in tale stagione le piante dei salici sono sprovviste di

foglie e quindi la radiazione solare può giungere liberamente al terreno e dunque anche alle

piante erbacee sottostanti gli alberi.

L’interpretazione fitosociologica dei rilievi dovrà tener presente che le rive dei canali

comprendono, di norma, una fascia inferiore a contatto con l’acqua e, di conseguenza,

provvista di una vegetazione idrofila e una fascia superiore in cui l’evapotraspirazione è più

accentuata di quanto si verifichi nella zona circostante in conseguenza del fatto che il bordo

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superiore della stessa riva è delimitato da due superfici attigue (una orizzontale e una

obliqua) e di conseguenza tale fascia ospita una vegetazione più xerofila di quelle presenti

sulle vicine aree del piano di campagna e della zona immediatamente sottostante lungo la

riva. Inoltre, da tener presente che molto spesso tra queste due fasce si forma una zona di

transizione in cui convivono specie delle due vegetazioni contermini e tale zona può essere

di dimensioni anche molto diverse in relazione all’ampiezza delle variazioni stagionali del

livello dell’acqua. Com’è ovvio le situazioni vegetazionali che convengono a determinarsi

in tali zone di transizione sono ibride e dunque di difficile attribuzione alle varie categorie

fitosociologiche.

Una seconda caratteristica da tener presente nell’interpretazione fitosociologica dei rilievi è

l’ampiezza del periodo che è intercorso tra l’esecuzione delle opere di ingegneria

naturalistica e le date in cui sono stati eseguiti i rilievi floristici. Tale ampiezza è di circa 2

anni e mezzo e dunque u n periodo di ampiezza limitata ma non molto breve e quindi è

verosimile che su tali superfici possano convivere specie ruderali terofite di terreni lavorati

(classe Stellarietea mediae) e specie perenni che formano, di massima, le vegetazioni delle

superfici poste ai margini dei campi coltivati o dei prati pionieri secchi semi-ruderali ( classi

Artemisietea vulgaris e Galio- Urticetea).

In conformità a tali premesse, l’analisi dei risultati dei vari rilievi e il loro confronto con i

testi di Mucina et al (1993) e Grabherr et al (1993) ha posto in evidenza che nella zona di

studio sono presenti:

1. alcune specie terofite caratteristiche della classe Stellarietea mediae come Capsella

bursa-partoris, Lamium purpureum, Stellaria media e Veronica persica; inoltre, è

presente Bromus sterilis che è una delle specie che caratterizzano l’ordine

Sisymbrietalia e da il nome ad un raggruppamento specifico, compreso in tale

ordine;

2. tre, delle quattro specie che caratterizzano la classe Galio-Urticetea e cioè Galium

aparine, Rubus caesius e Urtica dioica che stanno ad indicare come si sia in

presenza di una vegetazione caratteristica dei margini dei campi coltivati dove, a

volte, le sostanze azotate sono presenti in grandi quantità. Inoltre, nonostante

l’assenza di specie che individuano l’ordine Lamio albi-Chenopodietalia boni-

henrici, sono presenti sette delle nove specie che costituiscono la combinazione

diagnostica del raggruppamento a Sambucus nigra compreso in tale ordine e cioè

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Sambucus nigra, Galium aparine, Rubus caesisus, Urtica dioica, Artemisia vulgaris,

Agropyron repens e Taraxacum officinale; d’altro lato, sono pure presenti alcune

specie, come Poa trivalis, Ranunculus repens e Symphytum officinale, che sono più

spesso presenti nelle categorie tassonomiche comprese in un altro ordine della stessa

classe e cioè in Convolvuletalia sepium.

3. Phragmites australis in quasi tutte le 10 aree di studio insieme a varie altre specie

igrofite. Tali presenze rendono possibile far rientrare la vegetazione della fascia

inferiore della riva nella classe Phragmiti-Magnocaricetea e cioè tra le cenosi delle

zone palustri coperte da canneti e da carici di grandi dimensioni. Inoltre, la presenza

in tale zona di Lycopus europaeus, Lysimachia vulgaris e Lythrum salicaria

permetterebbe di attribuire tale vegetazione all’ordine Phragmitetalia e all’alleanza

Magnocaricion elatae e dunque farebbe rientrare la stessa tra la vegetazione a carici

di grandi dimensioni delle paludi mesotrofiche. Infine, la presenza di Carex elata

assieme alle quattro specie ricordate in precedenza e a Menta acquatica porterebbe a

riferire tale vegetazione all’associazione Caricetum elatae; d’altro lato la presenza

di Iris pseudacorus, Ranunculus repens e Carex riparia pongono in evidenza come

siano presenti anche alcune specie che si riferiscono all’associazione Galio

palustris-Caricetum ripariae che fa parte sempre all’alleanza Magnocaricion

elatae.

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Tabella 6.

Elenco delle specie presenti

SPECIE STRATO ARBOREO Morus alba L. Fam Moraceae

Robinia pseudoacacia L. Fam. Leguminosae

Salix alba L. Fam Salicaceae

Salix alba subsp. 'vitellina' L. Fam Salicaceae

Salix caprea L. Fam. Salicaceae

Salix cinerea L. Fam. Salicaceae

Salix eleagnos Scop. Fam. Salicaceae

Salix purpurea L. Fam. Salicaceae

Salix triandra L. Fam. Salicaceae

Salix viminalis L. Fam. Salicaceae

STRATO ARBUSTIVO

Cornus sanguinea L. Fam. Cornaceae

Sambucus nigra L. Fam. Caprifoliaceae

Viburnum opulus L. Fam. Caprifoliaceae

Prunus spinosa L. Fam. Rosaceae

STRATO ERBACEO Achillea millefolium L. Fam. Compositae

Agropyron repens L. Fam. Graminaceae

Aristolochia clematitis L. Fam. Aristolochiaceae

Aristolochia rotunda L. Fam. Aristolochiaceae

Artemisia vulgaris L. Fam. Compositae

Arum maculatum L. Fam. Araceae

Asparagus officinalis L. Fam. Liliaceae

Avena sterilis L. Fam. Graminaceae

Bromus erectus L. Fam. Graminaceae

Bromus sterilis L. Fam. Graminaceae

Bryonia alba L. Fam. Cucurbitaceae

Capsella bursa-pastoris L. Fam. Cruciferae

Carex elata All. Fam Cyperaceae

Carex riparia Curtis Fam. Cyperaceae

Clematis viticella L. Fam Ranunculaceae

Convolvulus arvensis L. Fam. Convolvulaceae

Dactylis glomerata L. Fam. Graminaceae

Echinochloa crus-galli L. Fam. Graminaceae

Galium album Miller Fam. Rubiaceae

Galium aparine L. Fam. Rubiaceae

Geranium dissectum L. Fam. Geraniaceae

Iris pseudacorus L. Fam. Iridaceae

Lamium purpureum L. Fam Labiatae

Lepidium draba L. Fam. Cruciferae

Linaria vulgaris Miller Fam. Scrophulariaceae

Lolium perenne L. Fam. Graminaceae

Lycopus europaeus L. Fam. Labiatae Lysimachia vulgaris L. Fam Primulaceae

Lythrum salicaria L. Fam. Lythraceae

Mentha aquatica L. Fam. Labiatae

Pastinaca sativa L. Fam. Umbelliferae

Phragmites australis Cav. Fam. Graminaceae

Physalis alkekengi L. Fam. Solanaceae

Poa trivialis L. Fam Graminaceae

Potentilla reptans L. Fam. Rosaceae

Ranunculus ficaria L. Fam. Ranunculaceae

Ranunculus repens L. Fam. Ranunculaceae

Rubus caesius L. Fam Rosaceae Rubus ulmifolius Schott.Fam. Rosaceae Rumex acetosa L. Fam Polygonaceae

Rumex acetosella L. Fam. Polygonaceae

Rumex crispus L. Fam. Polygonaceae

Salvia pratensis L. Fam. Labiatae

Silene alba (Miller) Krause Fam. Caryophyllaceae

Stachys palustris L. Fam. Labiatae

Stellaria media L. Fam. Caryophyllaceae

Symphytum officinale L. Fam. Boraginaceae

Tamus communis L. Fam. Dioscoreaceae

Taraxacum officinale Weber Fam. Compositae

Urtica dioica L. Fam. Urticaceae

Valerianella locusta L. Fam Valerianaceae

Veronica persica Poiret Fam. Scrophulariaceae

Vicia sativa L. Fam. Leguminose

Viola reichenbachiana L. Fam. Violaceae

Vitis riparia Michx. Fam Vitaceae

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Tabella 7. Rilievo floristico: mesi di novembre ’04 e febbraio ‘05

Rilievo floristico MESE Novembre 2004 Febbraio 2005

No salici Salici No salici Salici

SETTORI 8 a

8 b 1 2 3

4a

4b 5 6 7

8 a

8 b 1 2 3

4a

4b 5 6 7

SPECIE

STRATO ARBOREO Morus alba L. × ×

Robinia pseudoacacia L. × × × × Salix alba L. × × × × × ×

Salix alba subsp. 'vitellina' L. Salix caprea L. × × × × Salix cinerea L. × × × × × ×

Salix eleagnos Scop. × × Salix purpurea L. × × Salix triandra L. × ×

Salix viminalis L. × × × × × × STRATO ARBUSTIVO

Cornus sanguinea L. × × × × Sambucus nigra L. × × × × × × × × × ×

Viburnum opulus L. × × × × Prunus spinosa L. × ×

STRATO ERBACEO Achillea millefolium L. × × × × × ×

Agropyron repens L. × × × × Aristolochia clematitis L.

Aristolochia rotunda L. Artemisia vulgaris L. × × × × × × Arum maculatum L. × × × × × × × × × ×

Asparagus officinalis L. × × × × × Avena sterilis L.

Bromus erectus L. Bromus sterilis L.

Bryonia alba L. Capsella bursa-pastoris L.

Carex elata All. × × × × × × × × × × × × × × × × × × × × Carex riparia Curtis × × × × × × × × × × × × × × × × × × × × Clematis viticella L. × × × × × ×

Convolvulus arvensis L. × × × × Dactylis glomerata L. × × ×

Echinochloa crus-galli L. × × Galium album Miller × × × × × × × × × ×

Galium aparine L. Geranium dissectum L. × × × × × × × × × × × ×

Iris pseudacorus L. Lamium purpureum L. × ×

Lepidium draba L. Linaria vulgaris Miller × × × × ×

Lolium perenne L. × × × × Lycopus europaeus L.

Lysimachia vulgaris L. Lythrum salicaria L. Mentha aquatica L. × × × Pastinaca sativa L. × ×

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Continuazione tab. 7 MESE

Novembre 2004 Febbraio 2005

No salici Salici No salici Salici

SETTORI 8 a

8 b 1 2 3

4a

4b 5 6 7

8 a

8 b 1 2 3

4a

4b 5 6 7

SPECIE

Phragmites australis Cav. × × × × × × × × × × × × × × × × Physalis alkekengi L. ×

Poa trivialis L. × × × × × × × × × × × × × × × × × × × × Potentilla reptans L. × × × × × × × × × × × × × × × × × × × ×

Ranunculus ficaria L. × Ranunculus repens L. × × × ×

Rubus caesius L. × × × × × × × × × × × × Rubus ulmifolius Schott. × × × × × × × × × × × × × × × ×

Rumex acetosa L. × × Rumex acetosella L.

Rumex crispus L. Salvia pratensis L.

Silene alba (Miller) Krause × × × × × Stachys palustris L. × × × × × × × ×

Stellaria media L. Symphytum officinale L. × × × × × ×

Tamus communis L. Taraxacum officinale Weber × × × ×

Urtica dioica L × × × × × × × × × × × × × × Valerianella locusta L.

Veronica persica Poiret × × Vicia sativa L.

Viola reichenbachiana L. × Vitis riparia Michx.

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Tabella 8. Rilievo floristico: mesi di maggio ’05 e luglio ‘05

Rilievo floristico MESE Maggio 2005 Luglio 2005

No salici Salici No salici Salici

SETTORI 8 a

8 b 1 2 3

4a

4b 5 6 7

8 a

8 b 1 2 3

4a

4b 5 6 7

SPECIE

STRATO ARBOREO Morus alba L. × ×

Robinia pseudoacacia L. × × × × Salix alba L. × × × × × ×

Salix alba subsp. 'vitellina' L. Salix caprea L. × × × × Salix cinerea L. × × × × × ×

Salix eleagnos Scop. × × Salix purpurea L. × × Salix triandra L. × ×

Salix viminalis L. × × × × × × STRATO ARBUSTIVO

Cornus sanguinea L. × × × × Sambucus nigra L. × × × × × × × × × ×

Viburnum opulus L. × × × × Prunus spinosa L. × ×

STRATO ERBACEO Achillea millefolium L. × × × × × ×

Agropyron repens L. × × × × Aristolochia clematitis L. × × × × × × × × × × × × × × × ×

Aristolochia rotunda L. × × × × × × × × × × Artemisia vulgaris L. × × × × × × Arum maculatum L. × × × × ×

Asparagus officinalis L. × × × × × × × × × × Avena sterilis L. × × × × × × × ×

Bromus erectus L. × × × × × × Bromus sterilis L. × × × × × × × ×

Bryonia alba L. × × Capsella bursa-pastoris L. × × × ×

Carex elata All. × × × × × × × × × × × × × × × × × × × × Carex riparia Curtis × × × × × × × × × × × × × × × × × × × × Clematis viticella L. × × × × × × × × × × × ×

Convolvulus arvensis L. × × × × × × × × Dactylis glomerata L. × × × × × ×

Echinochloa crus-galli L. × × × × Galium album Miller × × × × × × × × × ×

Galium aparine L. × × × × × × × × × × × × × × Geranium dissectum L. × × × × × × × × × × × ×

Iris pseudacorus L. × × × × × × × × Lamium purpureum L. × × × ×

Lepidium draba L. × × × × Linaria vulgaris Miller × × × × × × × × × ×

Lolium perenne L. × × × × Lycopus europaeus L. × × × × × × × × × ×

Lysimachia vulgaris L. × × × × × × × × Lythrum salicaria L. × × Mentha aquatica L. × × × × × × Pastinaca sativa L. × × × ×

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Continuazione tab. 8 MESE

Maggio 2005 Luglio 2005

No salici Salici No salici Salici

SETTORI 8 a

8 b 1 2 3

4a

4b 5 6 7

8 a

8 b 1 2 3

4a

4b 5 6 7

SPECIE

Phragmites australis Cav. × × × × × × × × × × × × × × × × Physalis alkekengi L. × ×

Poa trivialis L. × × × × × × × × × × × × × × × × × × × × Potentilla reptans L. × × × × × × × × × × × × × × × × × × × ×

Ranunculus ficaria L. × Ranunculus repens L. × × × × × × × ×

Rubus caesius L. × × × × × × × × × × × × Rubus ulmifolius Schott. × × × × × × × × × × × × × × × ×

Rumex acetosa L. × × × × × × Rumex acetosella L. × × × ×

Rumex crispus L. × × × × × × Salvia pratensis L. × × × ×

Silene alba (Miller) Krause × × × × × × × × × × Stachys palustris L. × × × × × × × × × × × × × ×

Stellaria media L. × × × × Symphytum officinale L. × × × × × × × × × ×

Tamus communis L. Taraxacum officinale Weber × × × ×

Urtica dioica L × × × × × × × × × × × × × × Valerianella locusta L. × × × ×

Veronica persica Poiret × × × × Vicia sativa L. × × × × × × × ×

Viola reichenbachiana L. × Vitis riparia Michx. × ×

Tabella 9. Numero di specie per rilievo

NUMERO SPECIE PER RILIEVO

SETTORI 8a 8b 1 2 3 4a 4b 5 6 7

Novembre ‘04 31 31 17 18 20 13 7 13 20 13

Febbraio ‘05 20 16 13 11 15 12 7 9 14 11

Maggio ‘05 50 44 20 25 26 18 10 18 27 13

Luglio ‘05 48 43 20 25 25 17 9 18 26 13

MEDIA 37 34 18 20 22 15 8,3 15 22 13

VALORE MASSIMO 50 44 20 25 26 18 10 18 27 13

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6.2 Contributo percentuale delle singole componenti alla formazione del

totale radicale (Tabella 10 )

Alla fine dell’analisi delle radici (lunghezza e peso) si è cercato di stimare in ogni campione

il contributo percentuale dei principali gruppi vegetali alla formazione del complesso

radicale, ovvero: la percentuale di radici da riferire ai salici, radici di graminacee, radici di

Phtagmites australis e la percentuale di “altro”, cioè radici non rientranti nelle tre categorie

precedenti.

Stimate le percentuali, e mediati i dati dei campioni prelevati nello stesso settore alla stessa

profondità, si sono ottenuti i valori medi. Dall’analisi di questi valori medi si può notare

che:

- alla profondità che va da 0 a 10 cm, nel mese di novembre ’04 i settori che

presentano una maggiore percentuale di radici di salice sono il numero 1, 3, 4 e il 5

con rispettivamente il 73%, 88 %, 92% e il 97% sul totale radicale e parallelamente

in questi campioni si può osservare che è presente la percentuale più bassa di radici

di graminacee. Il settore con la percentuale maggiore di radici di Phragmites

australis (15%) risulta essere il numero 2, mentre l’unico settore che presenta radici

della categoria “altro” risulta essere il numero 8.

Analizzando ora il mese di maggio 2005, sempre alla profondità che va da 0 a 10

cm, si può notare che i campioni con la percentuale più alta di radici di salice

risultano essere anche in questo caso quelli dei settori numero 1, 3, 4 e 5, con

rispettivamente 73%, 83%, 80,2% e 84%. Come nel mese di novembre, anche in

questa stagione si possono osservare valori percentuali riguardanti la frazione di

radici di graminacee minori dove è presente la più alta percentuale di radici di salice.

La frazione di radici di Phragmites australis è presente con la percentuale maggiore

nel settore numero 3. L’unico settore che presenta radici della categoria “altro”

risulta essere ancora una volta il numero 8.

- Passando ora ad analizzare lo strato di terra che va da 10 a 20 cm di profondità, nel

mese di novembre ’04 si può notare lo stesso andamento sia per quanto riguarda la

percentuale di radici di salice sia per le radici di graminacee. Il settore che presenta

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la percentuale più alta di radici di Phragmites australis è nuovamente il numero 2.

Per quanto riguarda la percentuale riferibile ad “altro”, si ha la presenza di questa

tipologia di radici solo nel settore numero 8.

Alla medesima profondità ma nel mese di maggio ’05, si ritrovano sempre i

campioni numero 1, 3, 4 e 5 con la maggior percentuale di radici riferibili ai salici e

le minori percentuali di radici di graminacee. I valori percentuali più alti di

Phtagmites australis si trovano nei campioni numero 7 e 8 mentre per la categoria

“altro” il settore interessato è unicamente il numero 8.

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Tabella 10.

Valori medi del contributo % delle singole componenti alla formazione del totale radicale

cm 0_10

19-nov-04 altro deviaz. std salici deviaz. std gramin. deviaz. std Phragmites deviaz. std

Settore1 0,0 0,0 73,0 12,6 22,0 16,1 5,0 8,7

Settore2 0,0 0,0 22,0 12,6 63,0 15,3 15,0 24,7

Settore3 0,0 0,0 88,0 2,9 10,0 5,0 2,0 2,9

Settore4 0,0 0,0 92,0 9,0 8,0 9,0 0,0 0,0

Settore5 0,0 0,0 97,0 1,7 3,0 1,7 0,0 0,0

Settore6 0,0 0,0 60,0 26,5 40,0 26,5 0,0 0,0

Settore7 0,0 0,0 58,0 7,6 42,0 7,6 0,0 0,0

Settore8 27,0 20,8 8,0 20,4 58,0 22,9 8,0 7,7

11-mag-05 altro deviaz. std salici deviaz. std gramin. deviaz. std Phragmites deviaz. std

Settore1 0,0 0,0 56,0 2,9 42,0 5,8 2,0 2,9

Settore2 0,0 0,0 37,0 10,4 52,0 17,6 11,0 11,5

Settore3 0,0 0,0 50,0 17,3 27,0 10,4 23,0 12,6

Settore4 0,0 0,0 73,0 9,9 27,0 9,9 0,0 0,0

Settore5 0,0 0,0 78,0 7,6 17,0 2,9 5,0 5,0

Settore6 0,0 0,0 23,0 5,8 76,0 7,5 1,0 1,7

Settore7 0,0 0,0 50,0 27,8 45,0 25,0 5,0 5,0

Settore8 13,0 6,1 8,0 20,4 72,0 23,0 7,0 9,3

cm 10_20

19-nov-04 altro deviaz. std salici deviaz. std gramin. deviaz. std Phragmites deviaz. std

Settore1 0,0 0,0 73,0 15,3 23,0 11,5 4,0 5,8

Settore2 0,0 0,0 41,0 27,5 37,0 7,6 22,0 20,2

Settore3 0,0 0,0 83,0 16,1 17,0 16,1 0,0 0,0

Settore4 0,0 0,0 80,2 15,3 19,5 15,3 0,3 0,8

Settore5 0,0 0,0 84,0 21,1 16,0 21,1 0,0 0,0

Settore6 0,0 0,0 45,0 18,0 55,0 18,0 0,0 0,0

Settore7 0,0 0,0 58,0 10,4 40,0 10,0 2,0 2,9

Settore8 20,0 7,1 4,0 10,2 60,0 21,2 16,0 15,3

11-mag-05 altro deviaz. std salici deviaz. std gramin. deviaz. std Phragmites deviaz. std

Settore1 0,0 0,0 58,0 7,6 39,0 2,9 3,0 5,8

Settore2 0,0 0,0 40,0 5,0 47,0 11,5 13,0 12,6

Settore3 0,0 0,0 73,0 25,0 17,0 10,4 10,0 10,0

Settore4 0,0 0,0 79,0 12,8 21,0 12,8 0,0 0,0

Settore5 0,0 0,0 77,0 7,6 17,0 2,9 6,0 5,8

Settore6 0,0 0,0 18,0 2,9 79,0 3,6 3,0 2,5

Settore7 0,0 0,0 53,0 18,9 30,0 5,0 17,0 14,4

Settore8 17,0 4,1 7,0 16,3 61,0 17,7 16,0 12,4

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6.3 Caratteristiche radicali Nelle due Tabelle 11 e 12 sono riportati i valori medi della densità radicale in peso secco

(PS, mg/cm3), della densità radicale in lunghezza (L, cm/cm3), del rapporto peso- lunghezza

(Rap, mg/cm) e del diametro medio (D, mm) delle radici presenti nelle tre carote prelevate

dai singoli settori (sei carote nei settori 4 e 8) nei due diversi periodi: novembre 2004 e

maggio 2005. Inoltre, come già indicato, tali valori medi si riferiscono alle radici presenti

negli strati del terreno compresi tra 0 e 10 cm e tra 10 e 20 cm ma anche a quelle relative

alla somma dei due strati (0-20 cm)

Tabella 11. Valori medi delle caratteristiche dell’apparato radicale rilevato nei singoli settori il 19.11.2004. cm 0_10 cm 10_20 cm 0_20

settore PS10 L10 Rap10 D10 PS20 L20 Rap20 D20 PSt Lt Rapt Dt

1 1,729 8,446 0,215 0,400 1,835 8,588 0,222 0,397 1,782 8,517 0,218 0,398

2 1,218 5,351 0,286 0,334 1,091 4,921 0,270 0,379 1,154 5,136 0,278 0,357

3 1,929 6,400 0,321 0,440 1,603 5,981 0,297 0,468 1,766 6,191 0,309 0,454

4 1,594 9,413 0,172 0,401 1,080 6,537 0,167 0,377 1,337 7,975 0,170 0,389

5 2,590 10,229 0,267 0,381 2,315 12,807 0,194 0,367 2,452 11,518 0,230 0,374

6 0,446 3,115 0,163 0,344 0,131 2,543 0,051 0,291 0,289 2,829 0,107 0,317

7 0,772 5,708 0,117 0,368 1,734 9,124 0,176 0,379 1,253 7,416 0,146 0,373 8 (No

salici) 1,040 3,995 0,261 0,391 0,966 3,438 0,245 0,381 1,003 3,716 0,253 0,386

MEDIA 1,415 6,582 0,225 0,382 1,344 6,742 0,203 0,380 1,379 6,662 0,214 0,381

PS: densità radicale in peso, mg/cm3; L:densità radicale in lunghezza, cm/ cm3; Rap: rapporto tra densità radicale in peso e in lunghezza mg/cm; D: diametro medio radicale, mm. 1 La legenda dei settori è riportata nella tabella numero 5

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73

Tabella 12. Valori medi delle caratteristiche dell’apparato radicale rilevato nei singoli settori l’11.05.05 cm 0_10 cm 10_20 cm 0_20

settore PS10 L10 Rap10 D10 PS20 L20 Rap20 D20 PSt Lt Rapt Dt

1 0,942 8,528 0,110 0,340 1,286 7,766 0,157 0,365 1,114 8,147 0,133 0,352

2 0,929 6,271 0,167 0,350 0,894 6,088 0,158 0,379 0,911 6,180 0,162 0,365

3 1,718 8,771 0,198 0,418 2,537 15,675 0,160 0,374 2,127 12,223 0,179 0,396

4 2,318 12,675 0,170 0,390 3,226 15,572 0,182 0,385 2,667 14,124 0,165 0,388

5 3,465 20,470 0,170 0,359 4,450 23,904 0,185 0,375 3,957 22,187 0,177 0,367

6 0,395 5,639 0,071 0,304 0,400 6,057 0,066 0,303 0,398 5,848 0,068 0,304

7 0,749 5,180 0,158 0,336 0,724 4,608 0,163 0,354 0,736 4,894 0,16 0,345 8 (No

salici) 0,751 8,192 0,093 0,322 0,877 7,390 0,125 0,327 0,814 7,791 0,109 0,324

MEDIA 1,408 9,466 0,142 0,352 1,799 10,88 0,149 0,358 1,591 10,17 0,144 0,355

PS: densità radicale in peso, mg/cm3; L:densità radicale in lunghezza, cm/ cm3; Rap: rapporto tra densità radicale in peso e in lunghezza, mg/cm; D: diametro medio radicale, mm. 1 La legenda dei settori è riportata nella tabella numero 5

6.3.1 Densità radicale in peso (Tabelle 11 e 12, Figura 44)

Il valore medio della densità radicale in peso di tutti i settori relativa all’intervallo di

profondità che va da 0 a 10 cm, è risultato pari a 1,415 (mg/cm³) nel mese di novembre ’04

e pari a 1,408 a maggio ‘05. Parallelamente, il valore medio della stessa caratteristica

relativa allo strato di terreno compreso da 10 a 20 cm di profondità , è passato da 1,344

(mg/cm³) dell’autunno 2004 a 1,799 (mg/cm³) della primavera 2005. Sembra dunque che in

primavera la vegetazione ripariale produca radici nuove solamente nello strato più profondo

dei due analizzati.

Ad un’analisi più particolareggiata, si può osservare anzitutto che a novembre ‘04 e alla

profondità 0-10 cm il settore che ha presentato, solo apparentemente, la densità radicale più

elevata perchè pari a 2,59 mg/cm3 è il numero 5 comprendente S. alba e S. viminalis. In tal

caso, infatti, l’ampiezza dell’errore standard si sovrappone, almeno in parte, a quello del

settore 3 (S. cinerea, S. caprea, S. eleagnos) e quindi questi due settori non possono essere

considerati nettamente diversi. D’altra parte si può anche osservare che i quattro apparati

radicali che hanno presentato i valori più elevati, anche se non sempre in modo

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74

significativo, sono quelli che sono risultati formati da una maggiore percentuale di radici di

salici (1, 3, 4 e 5; Tabella 10). Contemporaneamente, il settore con il valore più basso pari a

0,45 mg/cm³ sembra essere il 6 dove è presente il S. triandra ma l’ampiezza dell’errore

standard relativo a tale settore è totalmente compreso in quello del settore 7 (S. viminalis, S.

purpurea) e dunque anche in questo caso questi due settori non possono essere considerati

diversi.

Sempre a novembre ’04, nello strato di terra compreso tra 10 e 20 cm il valore più alto,

almeno apparentemente, pari a 2,31 mg/cm³ è ancora quello rilevato nel settore 5 (S. alba e

S. viminalis) ma anche in tale situazione il settore individuato presenta l’ampiezza

dell’errore standard che, almeno in parte, si sovrappone a quella dei settori 1, 3 e 7 e quindi

non risulta diverso da questi ultimi. D’altra parte, il settore con il valore più basso è

nuovamente il 6 (S. triandra) con 0,13 mg/cm³ ma, in questo caso, i risultati dell’analisi

statistica confermano tale situazione.

Infine prendendo in esame i risultati dell’intera carota di terreno (da 0 a 20 cm di

profondità) il valore nettamente più alto pari a 2,45 mg/cm³ è quello relativo al settore 5 ( S.

alba e S. viminalis), mentre il valore più basso pari a 0,29 mg/cm³ riguarda ancora una volta

il campione numero 6 (S. triandra).

Confrontando questi dati con quelli di maggio 2005 emerge che nello strato compreso tra 0

e 10 cm il settore con il valore, almeno apparentemente, più alto pari a 3,46 mg/cm³ è

ancora una volta il 5 (S. alba e S. viminalis) mentre quello con il valore nettamente inferiore

a tutti gli altri risulta essere il 6 (S. triandra) con 0,39 mg/cm³. Risultati analoghi si

osservano anche nello strato compreso tra 10 e 20 cm e nel totale della carota ovvero da 0 a

20 cm di profondità. In tale stagione i risultati ottenuti pongono però in evidenza in modo

più o meno chiaro a tutte le profondità considerate che i quattro valori più elevati, anche se

non sempre il modo significativo, corrispondono ai settori in cui risulta più consistente il

contributo percentuale di radici di salice alla formazione dell’apparato radicale nel suo

complesso.

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NOVEMBRE MAGGIO

Profondità da 0 a 10 cm

0

1

2

3

4

5

6

7

8

0,00 2,00 4,00 6,00

peso secco (mg/cm³)

sett

ori

Profondità da 10 a 20 cm

0

1

2

3

4

5

6

7

8

0,00 2,00 4,00 6,00

peso secco (mg/cm³)

sett

ori

Profondità da 0 a 20 cm

0

1

2

3

4

5

6

7

8

0,00 2,00 4,00 6,00

peso secco (mg/cm³)

sett

ori

0

1

2

3

4

5

6

7

8

0,00 2,00 4,00 6,00

peso secco (mg/cm³)

sett

ori

0

1

2

3

4

5

6

7

8

0,00 2,00 4,00 6,00

peso secco (mg/cm³)

sett

ori

0

1

2

3

4

5

6

7

8

0,00 2,00 4,00 6,00

peso secco (mg/cm³)

sett

ori

Figura 44.

Densità radicale in peso (mg/cm3) alle diverse profondità

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76

6.3.2 Densità radicale in lunghezza (Tabelle 11 e 12, Figura 45)

Il valore medio della densità radicale in lunghezza di tutti i settori, riguardante l’intervallo di

profondità che va da 0 a 10 cm, è risultato pari a 6,58 (cm/cm³) nel mese di novembre ’04 e

pari a 9,47 (cm/cm³) a maggio 2005. In modo analogo il valore medio dello stesso aspetto

relativo allo strato di terreno compreso da 10 a 20 cm di profondità, è andato da 6,74

(cm/cm³) dell’autunno 2004 a 10,88 (cm/cm³) della primavera 2005. Per quanto riguarda

questa caratteristica c’è un aumento della lunghezza passando dalla stagione autunnale a

quella primaverile e una maggior densità nello strato più profondo dei due analizzati.

Considerando in modo più particolareggiato i settori, si può notare che a novembre ’04, alla

profondità 0-10 cm, il settore che ha presentato, solo apparentemente, la densità radicale in

lunghezza più elevata pari a 10,23 cm/cm³ è il numero 5 composto da S. alba e S. viminalis.

In questo caso, infatti, l’ampiezza dell’errore standard si sovrappone, in gran parte, a quello

del settore 4 e quindi questi due settori non possono essere considerati diversi. Si può inoltre

osservare che, i quattro apparati radicali che hanno presentato i valori maggiori , anche se

non sempre in modo rilevante, sono quelli che risultano costituiti da una maggiore

percentuale di radici di salici (1, 3, 4 e 5; Tabella 10).

Parallelamente, il settore con il valore più basso con 3,11 cm/cm³ sembra essere il numero 6,

dove è presente il S. triandra, ma l’ampiezza dell’errore standard relativo a tale settore è in

parte compreso in quello dai settori numero 2, 7 e 8 e quindi anche in questo caso questi

quattro settori non possono essere considerati diversi.

Sempre a novembre ’04, nello strato di terreno compreso tra 10 e 20 cm, il valore più alto,

almeno apparentemente risulta essere nuovamente il numero 5 ( S. alba e S. viminalis) con

12,81 cm/cm³, ma anche in questa situazione il settore individuato presenta l’ampiezza

dell’errore standard che, in parte si sovrappone a quella del settore 7 e 1 e quindi non risulta

molto diverso da questi ultimi. Il settore con il valore più basso risulta essere

apparentemente il numero 6 (S. triandra) con un valore pari a 2,54 cm/cm³ ma l’ampiezza

dell’errore standard, comprendendo anche in parte il settore 8, non permette di considerare

questi due settori diversi tra loro. Infine prendendo in esame l’intera carota di terreno (da 0 a

20 cm di profondità) si ritrova ancora il valore più alto almeno in apparenza nel settore

numero 5 ( S. alba e S. viminalis) pari a 11, 52 cm/cm³, ma l’ampiezza dell’errore standard

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77

sovrapponendosi in parte a quella del settore numero 7 non permette che questi due

campioni siano considerati uguali. Il valore più basso riguarda ancora una volta il campione

numero 6 (S. triandra) con 2,83 cm/cm³ ma anche in questo caso solo in apparenza perché

l’ampiezza dell’errore standard si sovrappone in parte al settore numero 2 e in parte al

numero 8.

Confrontando questi valori con quelli di maggio 2005 emerge che nello strato compreso tra

0 e 10 cm il settore con il valore nettamente più alto, pari a 20,47 cm/cm³ è ancora una volta

il numero 5 ( S. alba e S. viminalis) mentre quello con il valore apparentemente inferiore

risulta essere il 7 (S. viminalis, S. purpurea) con 5,18 cm/cm³. In questo caso però

l’ampiezza dell’errore standard è compreso in parte nei settori numero: 6, 3 e 2 e quindi non

è da considerare diverso da questi 3 settori. Risultati abbastanza simili si osservano anche

nello strato compreso tra 10 e 20 cm e nel totale della carota tra 0 e 20 cm di profondità.

Alla profondità 10-20 cm però il settore numero 5 ( S. alba e S. viminalis) non risulta essere

nettamente superiore perché dall’osservazione dell’ampiezza dell’errore standard, si può

notare che in parte si sovrappone al settore numero 4 e al 3, quindi non possono essere

considerati nettamente diversi. Analogamente per il valore più basso: settore 7 (S. viminalis,

S. purpurea), che si sovrappone al settore 2. In questa stagione i risultati che si sono ottenuti

evidenziano il fatto che a tutte le profondità considerate, i quattro valori più elevati, anche se

non sempre in modo eloquente, corrispondono ai settori dove è maggiore il contributo

percentuale di radici di salice sul totale radicale.

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78

NOVEMBRE MAGGIO

Profondità da 0 a 10 cm

0

1

2

3

4

5

6

7

8

0,00 5,00 10,00 15,00 20,00 25,00 30,00 35,00

lunghezza (cm/cm³)

sett

ori

Profondità da 10 a 20 cm

0

1

2

3

4

5

6

7

8

0,00 5,00 10,00 15,00 20,00 25,00 30,00 35,00

lunghezza (cm/cm³)

sett

ori

Profondità da 0 a 20 cm

0

1

2

3

4

5

6

7

8

0,00 5,00 10,00 15,00 20,00 25,00 30,00 35,00

lunghezza (cm/cm³)

sett

ori

0

1

2

3

4

5

6

7

8

0,00 5,00 10,00 15,00 20,00 25,00 30,00 35,00

lunghezza (cm/cm³)

sett

ori

0

1

2

3

4

5

6

7

8

0,00 5,00 10,00 15,00 20,00 25,00 30,00 35,00

lunghezza (cm/cm³)

sett

ori

0

1

2

3

4

5

6

7

8

0,00 5,00 10,00 15,00 20,00 25,00 30,00 35,00

lunghezza (cm/cm³)

sett

ori

Figura 45.

Densità radicale in lunghezza (cm/cm3) alle diverse profondità

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6.3.3 Rapporto tra densità radicale in peso e densità radicale in lunghezza

(Tabelle 11 e 12, Figura 46)

Il valore medio del rapporto tra la densità radicale in peso e la densità radicale in lunghezza,

di tutti i settori, riguardante l’intervallo di profondità da 0 a 10 cm, è risultato pari a 0,225

mg/cm nel mese di novembre 2004 e a 0,142 mg/cm a maggio del 2005. Parallelamente, il

valore medio della stessa caratteristica relativa allo strato di terreno con profondità da 10 a

20 cm, è passato da 0,20 mg/cm (novembre 2004) a 0,15 mg/cm (maggio 2005). Sembra ad

una prima osservazione quindi che questo rapporto diminuisca passando dall’autunno alla

primavera perché verosimilmente durante quest’ultima stagione si formano radici nuove e

dunque più leggere.

Ad un’analisi più approfondita però, si può notare che a novembre 2004, nello strato di

terreno con profondità da 0 a 10 cm, il settore con il valore apparentemente più alto pari a

0,32 mg/cm è il numero 3 composto da S. cinerea, S. caprea, S. eleagnos. L’ampiezza

dell’errore standard si sovrappone in parte a quello dei settori: 1, 2, 5, 8 e 6 e quindi in

questo caso questi 6 settori non possono essere considerati diversi.

Allo stesso modo, il settore con il valore più basso sembra il numero 7 (S. viminalis, S.

purpurea) con 0,12 mg/cm ma l’ampiezza dell’errore standard relativo a questo settore è

completamente compreso nel settore numero 8 e quindi anche in questo caso i due settori

non possono essere considerati diversi.

Sempre per quanto riguarda la stagione autunnale (novembre ’04), nello strato di terreno

compreso tra 10 e 20 cm di profondità, il valore più alto (almeno apparentemente) è ancora

quello del settore numero 3 (S. cinerea, S. caprea, S. eleagnos) con 0,29 mg/cm. Anche in

questo caso l’ampiezza dell’errore standard però si sovrappone a quella dei settori: 1, 2 e 8 e

quindi non risulta essere diverso da questi ultimi. In opposizione, il settore con il valore più

basso è il numero 6 (S. triandra) con 0,051 mg/cm e in questo caso i risultati dell’analisi

statistica confermano questa situazione.

Alla fine, analizzando i risultati dell’intera carota di terreno che va da 0 a 20 cm di

profondità, il valore apparentemente più alto è quello corrispondente al settore numero 3 (S.

cinerea, S. caprea, S. eleagnos) con 0,31 mg/cm mentre il valore più basso riguarda il

campione numero 6 (S. triandra) con 0,11 mg/cm. In questi due casi l’analisi statistica non

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conferma la situazione perché l’ampiezza dell’errore standard relativa al settore numero 3

(S. cinerea, S. caprea, S. eleagnos) è compreso completamente nel settore numero 2 e in

parte nei settori numero 1, 5 e 8; per quanto riguarda il settore numero 6 (S. triandra)

l’ampiezza dell’errore standard è in parte compreso nel numero 7 e quindi anche in questo

caso i due settori non possono essere considerati diversi.

Paragonando questi dati con quelli di maggio 2005 risulta che nello strato tra 0 e 10 cm di

profondità il settore con il valore in apparenza più alto, pari a 0,20 mg/cm è ancora una volta

il numero 3 (S. cinerea, S. caprea, S. eleagnos). Nuovamente però i risultati dell’analisi

statistica non confermano questa situazione perché l’ampiezza dell’errore standard del

settore numero 3 è compresa quasi completamente nel settore 2 e nel 7 e quindi anche questi

3 settori non possono essere considerati diversi. Il valore più basso pari a 0,071 mg/cm

risulta essere invece nettamente quello relativo al settore numero 6 (S. triandra).

Come valore più alto nell’intervallo di profondità da 10 a 20 cm del mese di maggio ‘05 si

trova apparentemente il settore numero 5 (S. cinerea, S. caprea, S. eleagnos) con 0,18

mg/cm. Anche in questo caso l’analisi statistica non conferma la situazione perché per

quanto riguarda questo settore, l’ampiezza dell’errore standard comprende i settori numero:

2 e 1, in parte il 4, il 5 e il 7. Dunque questi 6 settori non possono essere considerati tra loro

diversi. Il valore più basso invece risulta nel settore numero 6 (S. triandra) con 0,06 mg/cm.

Risultati analoghi si possono osservare anche nel totale della carota ovvero da 0 a 20 cm di

profondità; anche qui il settore con il valore più basso risulta essere il numero 6 (S. triandra)

mentre quello con il valore più alto risulta essere, in modo apparente, il numero 3 (S.

cinerea, S. caprea, S. eleagnos) ma l’ampiezza dell’errore standard non conferma la

situazione perché esso comprende in parte i settori numero : 2, 4, 5 e 7 e quindi questi 5

settori non possono essere considerati diversi.

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NOVEMBRE MAGGIO

Profondità da 0 a 10 cm

0

1

2

3

4

5

6

7

8

0,00 0,20 0,40 0,60 0,80

peso secco/lunghezza (mg/cm)

sett

ori

Profondità da 10 a 20 cm

0

1

2

3

4

5

6

7

8

0,00 0,20 0,40 0,60 0,80

peso secco/lunghezza (mg/cm)

sett

ori

Profondità da 0 a 20 cm

0

1

2

3

4

5

6

7

8

0,00 0,20 0,40 0,60 0,80

peso secco/lunghezza (mg/cm)

sett

ori

0

1

2

3

4

5

6

7

8

0,00 0,20 0,40 0,60 0,80

peso secco/lunghezza (mg/cm)

sett

ori

0

1

2

3

4

5

6

7

8

9

0,00 0,20 0,40 0,60 0,80

peso secco/lunghezza (mg/cm)

sett

ori

0

1

2

3

4

5

6

7

8

0,00 0,20 0,40 0,60 0,80

peso secco/lunghezza (mg/cm)

sett

ori

Figura 46.

Rapporto tra densità radicale in peso e densità radicale in lunghezza (mg/cm) alle

diverse profondità

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6.3.4 Diametro medio delle radici (Tabelle 11 e 12, Figura 47)

Il valore medio del diametro delle radici di tutti i settori relativo all’intervallo di profondità

che va da 0 a 10 cm, risulta pari a 0,38 mm nel mese di novembre del 2004 e pari a 0,35 mm

nel mese di maggio 2005. Allo stesso modo il valore medio della caratteristica in esame

relativo allo strato di terreno compreso tra 10 e 20 cm di profondità, è passato da 0,38 mm

nel mese di novembre del 2004 a 0,36 mg/cm nel mese di maggio ’05. Sembra quindi

trovare conferma l’ipotesi che nella stagione primaverile quando la vegetazione ripariale

produce nuove radici queste presentano un diametro minore per poi ingrossarsi con il

passare del tempo.

Nello specifico, si può osservare che a novembre 2004, alla profondità 0-10 cm il settore

che ha presentato apparentemente un diametro maggiore è il settore numero 3 composto da

S. cinerea, S. caprea, S. eleagnos con 0, 44 mm. In questo caso però l’ampiezza dell’errore

standard si sovrappone, almeno in parte, a quello del settore 1 (S. cinerea, S. caprea, S.

viminalis) e quindi i due settori non sono da considerarsi molto diversi.

Contemporaneamente, i settori con i valori più bassi pari a 0,33 mm e 0,34 mm sono

rispettivamente il numero 2 (S. cinerea) e il numero 6 (S. triandra). In questo caso i risultati

dell’analisi statistica confermano come i valori di questi settori non siano tra loro diversi ma

risultino inferiori a tutti gli altri.

Sempre nel mese di novembre del 2004, nello strato di terra compreso tra 10 e 20 cm di

profondità, il valore più alto, pari a 0,47 mm è quello del settore numero 3 (S. cinerea, S.

caprea, S. eleagnos). In questo caso i risultati dell’analisi statistica confermano la

situazione. Il settore invece, sempre alla suddetta profondità, con il valore minore è il

numero 6 (S. triandra) e nuovamente i risultati dell’analisi statistica confermano la

situazione.

Infine, prendendo in esame i risultati riguardanti l’intera carota di terreno con profondità da

0 a 20 cm, il valore più alto, pari a 0,45 mm, è quello del settore numero 3 (S. cinerea, S.

caprea, S. eleagnos) mentre il valore più basso riguarda ancora una volta il campione

numero 6 (S. triandra) con 0,32 mm e l’analisi statistica conferma tali situazioni.

Paragonando questi dati con quelli del mese di maggio del 2005, si nota che nello strato

compreso tra 0 e 10 cm il settore con il valore più alto, almeno in apparenza, pari a 0,42 mm

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è il numero 3 (S. cinerea, S. caprea, S. eleagnos). In apparenza perché analizzando

l’ampiezza dell’errore standard di questa media, si può notare che essa comprende anche in

parte quella del settore numero 4 e quindi questi due settori non possono essere considerati

diversi. Il valore più basso, pari a 0,30 mm riguarda il settore numero 6 (S. triandra). Anche

in questo caso però l’ampiezza dell’errore standard relativo a questa media, essendo quasi

totalmente compreso in quella del settore numero 7 e in parte nel numero 8 (no salici), non

permette che i tre settori siano considerati diversi. Sempre nel mese di maggio del 2005,

nello strato di terra compreso tra 10 e 20 cm, il valore più alto apparentemente riguarda il

settore numero 4 (S. alba), ma l’ampiezza dell’errore standard relativo a tale settore è

totalmente compreso in quella del settore 3 e nel 2 e in parte nel settore 5. Alla fine dunque

anche questi 4 settori non si possono considerare diversi tra loro. D’altra parte sembra che il

settore con il valore più basso sia il settore numero 6 (S. triandra) ma in questo caso i

risultati dell’analisi statistica non confermano tale situazione perché esso si sovrappone al

settore numero 8 (no salici).

Considerando il totale della profondità da 0 a 20 cm dei campioni prelevati a maggio ‘05, si

ritrova nuovamente il valore più alto apparentemente nel settore numero 3 (S. cinerea, S.

caprea, S. eleagnos) con 0,39 mm. L’ampiezza dell’errore standard per quanto riguarda

questo settore però si sovrappone completamente al settore 4 e in parte al settore 5 e al 2,

nuovamente dunque questi 4 settori non possono essere considerati diversi.

Infine il valore apparentemente più basso riguarda il campione numero 6 (S. triandra) con

0,30 mm ma i risultati dell’analisi statistica non confermano la situazione perché l’ampiezza

dell’errore standard anche in questo caso si sovrappone in parte al settore numero 8 (no

salici).

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NOVEMBRE MAGGIO

Profondità da 0 a 10 cm

0

1

2

3

4

5

6

7

8

0,00 0,20 0,40 0,60

diametro (mm)

sett

ori

Profondità da 10 a 20 cm

0

1

2

3

4

5

6

7

8

0,00 0,20 0,40 0,60

diamentro (mm)

sett

ori

Profondità da 0 a 20 cm

0

1

2

3

4

5

6

7

8

0,00 0,20 0,40 0,60

diametro (mm)

sett

ori

0

1

2

3

4

5

6

7

8

0,00 0,20 0,40 0,60

diametro (mm)

sett

ori

0

1

2

3

4

5

6

7

8

0,00 0,20 0,40 0,60

diametro (mm)

sett

ori

0

1

2

3

4

5

6

7

8

0,00 0,20 0,40 0,60

diametro (mm)

sett

ori

Figura 47.

Diametro medio delle radici (mm) alle diverse profondità

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7. Conclusioni

La sperimentazione svolta sulle rive del collettore Malvolti aveva lo scopo di rilevare la

capacità delle diverse specie di salice, utilizzate nelle opere di ingegneria naturalistica, di

formare un apparato radicale atto a consolidare il terreno ed inoltre quello di quantificare il

loro effetto sulla biodiversità specifica della nuova cenosi.

Dall’indagine eseguita è emerso che:

- tra le diverse specie di salice messe a dimora, quelle che hanno presentano dopo tre

anni circa dal loro impianto una maggior densità radicale in peso e una maggior

densità radicale in lunghezza sono l’associazione di S. alba con S. viminalis (settore

5), il S. alba in purezza (settore 4) e l’associazione S. cinerea, S. caprea, S. eleagnos

(settore 3). Una conferma indiretta di quanto ora indicato si può dedurre anche dai

risultati relativi al contributo percentuale dei salici alla formazione dell’apparato

radicale presente nel terreno che, in tutti questi casi, è risultato molto elevato.

- i valori di densità radicale in peso e densità radicale in lunghezza sono aumentati, in

media, passando dal periodo autunnale (novembre 2004) al periodo primaverile

(maggio 2005). Lo stesso andamento, anche se non sempre in modo significativo, è

stato posto in evidenza per quanto riguarda il diametro medio.

- nelle aree riparali in cui non erano stati piantati salici, passando da novembre ’04 a

maggio ‘05 la densità radicale in lunghezza è aumentata mentre quella in peso e il

diametro radicale sono diminuiti. Sembra dunque possibile ipotizzare che le nuove

radici primaverili prodotte della vegetazione ripariale presentano inizialmente un

peso e un diametro minore per poi però ingrossarsi con il passare del tempo.

Tuttavia, ciò che sorprende delle aree prive di salici è che i valori di tali parametri

risultano, regolarmente, uguali o maggiori di quelli di, almeno, alcuni dei settori in

cui i salici erano presenti.

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- il numero di specie presenti nell’area senza salici è risultato, in ogni stagione

dell’anno, più elevato di quello relativo alle altre 7 situazioni a confronto. Tra queste

ultime, quelle che hanno presentato il minor numero di specie sono risultate dove è

stato piantato il S. alba in purezza o in associazione con il S. viminalis e ancora dove

era presente l’associazione S. viminalis, S. purpurea. Sembra quindi verosimile

dedurre che la biodiversità specifica risulta essere molto più limitata dove sono stati

piantati i salici, questo perchè essi con la loro veloce crescita ostacolano la

diffusione e l’affrancamento delle specie erbacee pioniere che di massima

necessitano di una grande quantità di radiazione luminosa.

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BIBLIOGRAFIA

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all’utilizzazione pratica. Edizioni LINT Trieste.

- Tonzig S., Marrè E. 1983, Botanica generale, morfologia e fisiologia vegetali. Terza

edizione. Casa editrice Ambrosiana Milano.

- Longo C. 1997, Biologia vegetale, forme e funzioni. Seconda edizione. Utet Torino

- Bimestrale di cultura forestale, natura e ambiente dell’Azienda Regionale Foreste del

Veneto 1990, Speciale siepi, Le Foreste.

- Schauer T. e Caspari C. 1997, Guida all’identificazione delle piante, Zanichelli.

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Trentino- Alto Adige. Terza ristampa. Casa editrice G. B. Monauni – Trento

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- P.Paiero, P. Semenzato, T. Urso, 1996, Biologia vegetale applicata alla tutela del

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- Mucina, L., Grabherr, G. e Ellmauer, T. (Hrsg.), 1993. Die Pflanzengesellschaften Österreichs. Teil I. Gustav Fischer Verlag, Jena.

- Grabherr, G. e Mucina, L. (Hrsg.), 1993. Die Pflanzengesellschaften Österreichs.

Teil II. Gustav Fischer Verlag, Jena.

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professionali per l’agricoltura. Seconda edizione. Patron Editore.

- Regione Emilia - Romagna Assessorato all’Ambiente, Regione del Veneto

Assessorato Agricoltura e Foreste 1993, Manuale tecnico di ingegneria

naturalistica, Centro di Formazione Professionale “O. Malaguti”.

Riferimenti d’ipertesto

www.bonificadesesile.net

www.aipin.it

www.ingegnerianaturalistica.it

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