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1 Relatore Candidato Prof. Domenico Ursino Pasquale Versace Tesi di Laurea Analisi e prospettive del fenomeno “Web 3.0” Anno Accademico 2013-2014 Università degli Studi Mediterranea di Reggio Calabria Dipartimento di Ingegneria dell’Informazione, delle Infrastrutture e dell’Energia Sostenibile Corso di Laurea in Ingegneria dell’Informazione

Università degli Studi Mediterranea di Reggio CalabriaWeb 3.0, la nuova evoluzione del Web, che ha l’obbiettivo di riorganizzare tutti questi dati e che mira a cambiare tutta la

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Relatore Candidato Prof. Domenico Ursino Pasquale Versace

Tesi di Laurea 

 

Analisi e prospettive del fenomeno “Web 3.0”

Anno Accademico 2013-2014

Università degli Studi Mediterranea di Reggio Calabria Dipartimento di Ingegneria dell’Informazione, delle Infrastrutture e dell’Energia Sostenibile

Corso di Laurea in Ingegneria dell’Informazione 

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Dedico questo traguardo appena raggiunto a tutte le persone che mi sono state accanto in questi anni. Ringrazio in particolare tutta la mia famiglia, i miei genitori che mi hanno sopportato in questi anni; mia sorella Roberta onnipresente; e tutti i miei zii e cugini, alcuni in altre città ma non per questo lontani, per il loro supporto. Ringrazio inoltre tutti i miei amici e colleghi, che hanno reso questi anni di studio molto meno pesanti; in particolare i miei compagni di bevute e di immense partite a carte. Infine ringrazio le mie nonne che mi hanno dato sempre una strada da seguire, e i miei non-ni che dall’alto mi proteggono.

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Analisi e prospettive del fenomeno “Web 3.0”

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Versace Pasquale | 1 

INTRODUZIONE

Internet, contrazione della  locuzione  inglese  interconnected networks, ovvero "reti  inter‐connesse", è una rete mondiale di reti di computer ad accesso pubblico. Attualmente rap‐presenta il principale mezzo di comunicazione di massa, che offre all'utente una vasta serie di contenuti  informativi e di servizi.  La storia di Internet è strettamente collegata allo sviluppo delle reti di telecomunicazione. L'idea di una rete informatica, che permettesse agli utenti di differenti computer di comu‐nicare tra loro, invece, si sviluppò solo successivamente. La somma di tutti questi sviluppi ha condotto alla “rete delle reti”, che noi oggi conosciamo come Internet, che rappresenta il frutto dello sviluppo sia tecnologico, sia dell'interconnessione delle infrastrutture di rete esistenti, sia dei sistemi di telecomunicazione. Le origini di Internet risalgono agli anni  '60,  in piena Guerra Fredda, quando  il mondo era diviso in due grandi sfere  d'influenza ,USA ed URSS. Il Ministero della Difesa americano, in continuo allarme per  la minaccia sovietica,  incarica  l'ARPA  (Advanced Research Projects Agency) di studiare un sistema di rete, in grado di preservare il collegamento via computer tra  le varie basi militari  in caso di guerra nucleare. Gli studiosi partono dalla convinzione che  l'unico modo per assicurare la continuità nella comunicazione sia quello di prescindere da un nodo centrale  la cui distruzione avrebbe compromesso  il funzionamento dell'intera rete. Nasce,  così,  una  rete  decentralizzata,  denominata Arpanet,  studiata  in modo  che ogni nodo potesse continuare ad elaborare e trasmettere dati qualora i nodi vicini fossero stati danneggiati. Negli anni successivi  la rete Arpanet cresce a vista d'occhio, basandosi su un sistema di protocolli TCP/IP (Transmission Control Protocol/Internet Protocol), anco‐ra oggi utilizzati per rendere possibile lo scambio dei dati tra sistemi collegati. Inizialmente si connettono  in rete solo alcune basi di missili  intercontinentali; solo  in seguito vengono coinvolte  le principali Università Americane, aderenti all'ARPA;  infine, vengono aggregati  anche enti governativi come la NASA, l'NFS e il DOE. L’utilizzo della rete arrivò a tal punto che, nel 1983, si giunse alla creazione di due reti,  la prima prettamente militare, che prese  il nome di Milnet,  la seconda,  invece, denominata   Internet, dal nome del protocollo principale, che venne regalata dall'ARPA alle Università e 

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iniziò a diffondersi nelle altre  sedi americane ed europee, oltre  che nei più  svariati  centri di ricerca.  Il Web è un servizio di  Internet che permette di navigare sulla rete usufruendo di un  insieme vastissimo di contenuti multimediali e di ulteriori servizi. La nascita del Web risale al 6 agosto 1991, giorno in cui Tim Berners‐Lee, considerato il vero e proprio creatore, mise online su Internet il primo sito Web; nonostante tutto, la tecnologia alla base dello stesso venne resa pubblica solo il 30 Aprile 1993. Il  primo Web,  definito  successivamente  come Web  1.0,  si  presentava  semplicemente  come uno  spazio  elettronico  e  digitale,  destinato  esclusivamente  alla  pubblicazione  di  contenuti multimediali, come testi, immagini, audio, video, etc. La principale caratteristica di tale Web è rappresentata dalla staticità;  l’utente,  infatti, una volta che  tutte  le  informazioni erano state pubblicate, poteva semplicemente entrare nella pagina e leggerle, senza la possibilità di inte‐ragirvi.   Il  “Web 2.0”  rappresenta  la  seconda versione del Web, e quindi  l’evoluzione del Web 1.0.  Il termine fu introdotto nel 2003 durante una sessione di brainstorming, tra Tim O’Reilly, fonda‐tore di O’Really media, e MediaLive  International; da qui nacque  la  conferenza  che prese  il nome di “Conferenza Web 2.0”, in cui si notò che il crollo della bolla di dot‐com, avvenuto nel 2001, non aveva sancito la fine dal Web, ma semplicemente la necessità di evoluzione.  Si tende a indicare come Web 2.0 l’insieme di tutte quelle applicazioni online che permettono uno  spiccato  livello  di  interazione  tra  il  sito  e  l’utente.  Si  fa  riferimento,  quindi,  a blog, forum, chat, social network e siti come Wikipedia, YouTube etc. Con questa evoluzione si passa, quindi,  dal Read‐only Web al Read‐Write Web, cioè da un Web statico ad uno dinamico.   Col passare degli anni,  la mole dei dati nel Web è aumentata a dismisura,  rendendo perfino una semplice  ricerca, un  lavoro molto  lungo e complicato. Proprio  in questa  realtà si pone  il Web 3.0,  la nuova evoluzione del Web, che ha  l’obbiettivo di  riorganizzare tutti questi dati e che  mira a cambiare tutta la strutture del Web. Il nuovo Web, infatti, dovrà essere organizzato per essere comprensibile non più agli utenti ma ai software. Nonostante il termine “Web 3.0” sia stato introdotto per la prima volta da Jeffrey Zeldman, il vero ideatore può essere conside‐rato Tim Berners‐Lee, che nel maggio del 2006 ne delineò le possibili innovazioni. L’innovazione  principale  di  questo Web  è,  senza  dubbio,  la  semantica;  per  questo motivo, infatti, viene definito anche Semantic Web;  ma alla base di questo fenomeno ci saranno anche l’ontologia,  il concetto di dataWeb, cioè di un Web strutturato come un database, ed  il conti‐

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Analisi e prospettive del fenomeno “Web 3.0”

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Analisi e prospettive del fenomeno “Web 3.0”

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nuo  diffondersi dell’Intelligenza Artificiale, che insieme all’evoluzione della tecnologia 3D e della realtà aumentata, ne faciliteranno l’utilizzo.  In  questa  tesi  verrà  trattato  il  fenomeno  “Web  3.0”  nella  sua  interezza;  inizialmente  si 

descriverà il fenomeno generale, introducendone i punti  chiave e i promotori. Successiva‐

mente verrà delineata la storia del Web concentrandosi sulle sostanziali differenze e sulle 

cause di tale evoluzione. Saranno introdotte, inoltre, le principali caratteristiche e innova‐

zioni, definendo, in particolare, i concetti base di semantica e ontologia, oltre alle tecnolo‐

gie che stanno alla base. Infine, dopo aver illustrato le possibili evoluzioni future, si tracce‐

ranno i possibili vantaggi e svantaggi di tale fenomeno. 

La tesi è strutturata come di seguito specificato: 

Nel primo capitolo sarà  introdotto  il  fenomeno “Web 3.0”. Si descriveranno  inizial‐

mente,  le caratteristiche di base e, successivamente,  i promotori di tale fenomeno, 

evidenziandone le loro citazioni più significative. 

Nel  secondo  capitolo  verrà descritta  la  storia del Web. Si  tratterà,  inizialmente,  il 

passaggio dal Web 1.0 al Web 2.0,  introducendo  le differenze generali;  infine, verrà 

presentato un raffronto tra Web 2.0 e Web 3.0. 

Nel  terzo capitolo  saranno  introdotte  le principali caratteristiche. Si descriveranno 

inizialmente,  i concetti di metadati e di LinkedData e, successivamente,  le tecnolo‐

gie fondamentali: RDF, SPARQL ed OWL. 

Nel quarto capitolo saranno descritte le principali innovazioni.  Si definiranno, inizial‐

mente, la semantica e l’ontologia;  successivamente,  verranno introdotte le applica‐

zioni mashup che possono essere considerate “il ponte” tra Web 2.0 e Web 3.0. Dopo 

di ciò saranno  introdotte  le  innovazioni che verranno portate all’e‐learning e  lo svi‐

luppo dell’Intelligenza Artificiale.  Infine, dando uno  sguardo al  futuro, verranno  in‐

trodotte le possibili caratteristiche del Web 4.0. 

Nel quinto capitolo si indicheranno i punti di forza e di debolezza di tale fenomeno.  

Infine, verranno tratte le dovute conclusioni. 

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Analisi e prospettive del fenomeno “Web 3.0”

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1. WHO, OVVERO….COS’È

Analisi e prospettive del fenomeno “Web 3.0”

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1 The Future’s Web 2 I Promotori

In questo capitolo verrà descritto il concetto di Web 3.0. Partendo dal significato del termine e delineando le sue caratteristiche generali. Successivamente, verranno trattati i promotori di questa innovazione, partendo dalle loro citazioni e considerazioni.

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1.1 THE FUTURE’S WEB

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Analisi e prospettive del fenomeno “Web 3.0”

Il  Web  3.0  può  essere  definito  come  la 

prossima evoluzione del World Wide Web 

riguardante  collegamenti,  integrazione  e 

analisi  di  dati  da  varie  sorgenti  al  fine  di 

ottenere  un  nuovo  flusso  di  informazioni.                                                                                                                                    

Inoltre,  il   Web 3.0 ha  lo scopo di collegare 

più dispositivi per generare nuove tipologie 

di connessione al Web da diverse macchine 

e lo scambio di dati fra esse. Così come nel 

Web  2.0  si  cercava  di  rendere  il Web  più 

comprensibile  alle  persone,  ora  il  tema 

principale del Web 3.0 è quello di renderlo molto più comprensibile ai software. 

Ovviamente però non esiste una sola definizione di questo fenomeno che piano piano si 

sta sviluppando intorno a noi. 

John Markoff,  famoso giornalista  americano, nel New York Times nel  2006,  definiva  il 

Web  3.0  come  la  terza  generazione  di  Internet,  basata  su  servizi  che  collettivamente 

compongono  quello  che  può  essere  chiamato:  ‘The  intelligent Web’;  questo  utilizza  il 

Web semantico, microformat  ,  ricerca  in  linguaggio naturale, data mining  ,e  tecnologie 

basate  sull’  intelligenza artificiale al fine di  facilitare  la  comprensione di  informazioni e 

fornire maggiore produttività e intuitività alla user experience. “Web3.0referstoasupposedthirdgenerationofInternet‐basedservicesthatcollective‐lycomprisewhatmightbecalled‘theintelligentWeb’,suchasthoseusingsemanticweb,microformats,natural language search,data‐mining,machine learning, recommenda‐tion agents, and arti icial intelligence technologies, which emphasize machine‐facilitated understanding of information in order to provide amore productive andintuitiveuserexperience.” 

Invece Nova Spivack, un imprenditore tecnologico statunitense lo ha definito come intel‐

ligenza connettiva, capace di connettere  informazioni, concetti, applicazioni e, solo alla 

fine, persone. 

E mentre qualcuno lo ha definito Semantic Web, l’opinione di Spivack  è quella che il Web 

semantico sia solo una delle tante tecnologie che definiranno il Web 3.0.  

 

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Analisi e prospettive del fenomeno “Web 3.0”

Egli indica la semantica e la ricerca (in linguaggio naturale) come due delle vie che rende‐

ranno più veloci e facili da usare le applicazioni Web Spivack disse:  

“Quandoun’applicazionevedeunapaginaWeb,nonècosìfacilecapirecosafacciaoggiconessa;comenoiaggiungiamomoltodiquesto‘openmetadata’alWeb,cosìquest’ulti‐mo rende il funzionamento delWeb incomprensibile. Inoltre, come le applicazioni lorendono più veloce in quanto capiscono il linguaggio e conoscono il significato delleparole,esseaggiungonosignificatiestrutturealWeb.”

La maggior parte delle tecnologie del Web 3.0 sono progettate per aumentare l’efficienza 

dell’archiviazione e  la correlazione dei dati. Da qui ai prossimi 10 anni,  la maggior parte 

delle funzioni di ricerca e compilazione ora effettuate dagli utenti, saranno condotte auto‐

maticamente. 

Spivack  ipotizza che d’ora  in poi gli utenti non dovranno preoccuparsi  idi separare  infor‐

mazioni, compilare wiki ed eliminare spam. Egli disse:   

“Tutti questi problemi stanno costrin‐gendolepersoneaspendereinnumere‐vole quantità di tempo effettuandomansioniservili,chedovrebberoessereeffettuatedallemacchine”.

Tra le tante novità ci sarà, però, qualco‐

sa  che  rimarrà  probabilmente  immuta‐

to;  infatti  è  lo  stesso  imprenditore  a 

dire:  

“L’interfaccia utente è quello che noiabbiamo sviluppatodipiù. Iononpenso chenoiavremmouna cosìgrandee radicalenovità”.

Come abbiamo precedentemente detto, il Web 3.0 può essere definito come il Web intel‐

ligente. Ma cosa c’è alla base di tutto ciò?

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Analisi e prospettive del fenomeno “Web 3.0”

Questi  anni  di  sovraccarico  di  informazioni  e 

contenuti sempre crescenti nel Web, hanno por‐

tato alcuni problemi quali  i suggerimenti  in tem‐

po  reale,  il Web mining,  la presenza di  informa‐

zioni astratte e ricerche ottimizzate basate su un 

unico  profilo. Gli  agenti  intelligenti,  con  le  loro 

abilità quali  la capacità di elaborare una enorme 

mole  di  dati,  la  scalabilità,  la  robustezza  e  la 

capacità  di  apprendere  dall’ambiente,  risultano 

essere  un  valido  candidato  per  risolvere  questi 

problemi. Un agente agisce  in un ambiente, che 

percepisce attraverso dei sensori e su cui interagisce attraverso degli attuatori. Per valu‐

tare  il  comportamento  di  questi  agenti  viene  utilizzata  una misura  delle  prestazioni. 

L’intelligenza può essere definita come  la capacità di agire come esseri umani, risolvere 

problemi e pensare razionalmente. Un agente razionale può essere qualsiasi cosa capace 

di prendere decisioni,  come una persona, un’azienda, un  computer o un  software,  che 

agisce  al  fine  di massimizzare  la misura  della  prestazione  stimata,  data  la  percezione 

della sequenza che ha visto finora.  

Questo significa che un agente razionale è un agente che ha chiare preferenze, modelli di 

incertezza per  i valori attesi, e che sceglie sempre di eseguire  l'azione che si traduce nel 

risultato ottimale fra tutte quelle possibili. Ci sono diversi criteri che possono influenzare 

l'azione  intrapresa  da  un  agente  razionale;  questi  includono  la  preferenza  dell’agente 

stesso,  le  informazioni  che  esso  ha  sul  suo  ambiente  (che  possono  derivare  anche  da 

esperienze passate), le azioni, i benefici stimati o effettivi e le possibilità di successo delle 

azioni. 

Sulla base delle definizioni e delle conoscenze 

fin qui esposte possiamo definire  l’ agente del 

Web  Intelligente come un sistema che utilizza 

dei metodi  di  apprendimento  automatico  per 

recuperare  e/o  estrarre  informazioni  testuali 

dal Web. Questo agente può accettare  le pre‐

ferenze dell’utente   sotto  forma di  istruzioni e 

adattare  il suo comportamento quando  incon‐

tra nuove informazioni.   

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Analisi e prospettive del fenomeno “Web 3.0”

Gli “Intelligent Web agent” saranno dei programmi  che navigheranno sul Web per scandi‐

re e interpretare informazioni nelle pagine. Questi potranno essere addestrati dagli utenti 

per cercare  tra  i diversi  tipi di  risorse;  l’agente può essere personalizzato dal  suo  stesso 

proprietario così da poter mettere  su un quadro dei  singoli “mi piace”, “non mi piace” e 

particolari informazioni di cui ha bisogno. La ricerca sarà ottimizzata in base al profilo del 

singolo utente. Una volta addestrato, un agente può, quindi, essere libero di vagare per il 

Web, ottenendo  fonti di  informazioni utili, mentre  l’utente può continuare con  lavori più 

urgenti, o addirittura andare off‐line. 

L’agente  intelligente saprà di più  riguardo al suo utente osservando elettronicamente  le 

sue attività . 

 

 

Una ulteriore innovazione del Web 3.0 potrebbe 

riguardare  la  grafica;  infatti    l’evoluzione  della 

tecnologia  3D,    grazie  alla  sua  caratteristiche 

intrinseche, può essere utilizzata su  larga scala. 

In questo processo,  il Web  3.0  si dovrebbe  tra‐

sformare in una serie di spazi 3D, in modo analo‐

go  a  quanto  avviene  in  questo  momento  in 

“Second Life 

Questo  potrebbe  aprire  una  nuova  via  di  con‐

nessione e collaborazione utilizzando un nuovo 

spazio 3D condiviso.  

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Analisi e prospettive del fenomeno “Web 3.0”

Il  termine  “Web  3.0”  fu  introdotto  per  la  prima 

volta  da  Jeffrey  Zeldman,  nel  2006,  critico  nei 

confronti del Web 2.0 e di tutto ciò ad esso asso‐

ciato. Nonostante tutto, avendo Zeldman utilizza‐

to questo termine solo in modo del tutto provoca‐

torio,  si può affermare  che  il  vero promotore del 

Web 3.0 fu Tim Berners‐Lee che, nel maggio dello 

stesso  anno,  fu  il  primo  a  creare  una  strada  da 

seguire con la sua celebre affermazione:  

«Lepersonesicontinuanoachiederecos'èilWeb

3.0. Penso che, forse, quando si sarà ottenuta una sovrapposizione della Gra icaVettorialeScalabile(oggituttoapparepoconitido,conpiegheedincrespature)nelWeb2.0,el'accessoadunWebsemanticointegratoattraversoungrossoquantitati‐vodidati,sipotràottenerel'accessoadun'incredibilerisorsadidati.» Se  consideriamo  quello  che  rappresenta  concettualmente  il Web  3.0,  è  sempre  l’ 

inventore del World Wide Web Tim Berners‐Lee che, già nel 2000, diceva: 

<<IhaveadreamfortheWebinwhichcomputersbecamecapableofanalyzingallthedataontheWeb…>>“IohounsognoperilWeb,nelqualeicomputerdiventinocapacidianalizzaretutteleinformazionipresentisulWeb…”. 

Questa  frase è stata estrapolata da “Weaving the Web”,  libro autobiografico  in cui  l’ 

autore inizialmente descrive la sua storia e la fondazione del World Wide Web e, nella 

seconda parte, si sofferma su quelli che sono  i suoi sogni; è proprio  in questa parte 

(anche essa divisa  in due parti) che descrive quelle che poi, da  lì a qualche anno, sa‐

ranno le reali innovazioni del Web. In primis egli pone la sua attenzione in quello che 

potrebbe essere un Web  più potente, dove risulterà facilitata la collaborazione tra le 

persone attraverso una conoscenza condivisa, e dove  le persone utilizzeranno  Inter‐

net per creare, e non semplicemente per curiosare. 

1.2 I PROMOTORI

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Analisi e prospettive del fenomeno “Web 3.0”

Infine, egli esprime il concetto di “Web semantico“, 

e  quindi  di macchine  capaci  di  analizzare  tutte  le 

informazioni nel Web,  i suoi contenuti,  i suoi  link e 

le operazioni tra l’ uomo e il computer. 

In quegli  anni, però,  il  concetto di Web  semantico 

non  era  così  facile  da  comprendere;  allora  Tim, 

durante un’ intervista allo Scientific American, fornì 

un esempio  molto semplice e chiaro. 

Lucy  è  una  ragazzina  che  si  trova  dal  dottore  col 

fratello  Pete,  perché  il medico  deve  prescrivere  a  

loro  madre  delle  terapie.  Immediatamente  Lucy 

istruisce,  tramite  il browser del suo palmare,  il suo 

agente  (del  Web  Semantico)  che,  prontamente, 

scambia  informazioni  con  l’agente  del  dottore. 

Successivamente  è  lui  stesso  ad  andare  a  cercare, 

su  una  lista  di  fornitori,  quelli  che  rientrano  nelle 

terapie che interessano alla madre, che non siano più lontani di 20 miglia dalla loro casa 

e che siano collegati da una eccellente rete di servizi. L’agente dà subito il risultato per 

lui migliore, ma questo non rientra nei piani di Pete che ritiene il luogo troppo trafficato 

in quelle ore; allora sincronizza  il suo agente con quello della sorella, che effettua una 

veloce ricerca e trova un risultato più efficace.  

Ovviamente, questa nuova  visione di  Internet  creò  scalpore, e  si  iniziò a  lavorare per 

raggiungere questa  innovazione  il prima possibile; ma tutto questo sarà possibile solo 

quando  il Web passerà da un Web progettato per  la  lettura umana, ad uno progettato 

per la comprensione da parte dei programmi delle macchine. 

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Analisi e prospettive del fenomeno “Web 3.0”

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In questo capitolo verrà descritta la storia del Web 3.0 partendo, dalle origini e definendo il Web 1.0 e Web 2.0. Successivamente, verranno definiti tutti i passaggi che hanno portato a questa tecnologia, giustificandone, infine, il perché di questo progresso.

2. WHEN/ WHY, OVVERO...LA STORIA

Analisi e prospettive del fenomeno “Web 3.0”

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Versace Pasquale | 13 

2 Il Passaggio da 1.0 a 2.0 1 Le Origini 3 Bisogno di innovazione

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Analisi e prospettive del fenomeno “Web 3.0”

2.1 LE ORIGINI

Il  termine  “Web  1.0”  si  riferisce  alla  prima  versione 

del Web, definita anche  come  “Informational Web”, 

cioè Web  informativo. Esso  si è  sviluppato a partire 

dal 1991 fino ai primi anni del 2000, quando si è pas‐

sati al Web 2.0. Ovviamente la nascita del suffisso 1.0 

avvenne solo dopo  l’ avvento del Web 2.0, quando si 

ebbe la necessità di distinguere il primo dal secondo. 

Nonostante    la prima proposta di un sistema  iperte‐

stuale si possa far risalire agli studi di Vanner Bush del 

1945 pubblicati nell’articolo “As We May Think”, tutto nacque ufficialmente  il 6 Agosto del 

1991 quando  l’inglese Tim Berners‐Lee pubblicò  il primo  sito  Internet dando vita al World 

Wide Web.  

Egli  iniziò a  lavorare sin dal Dicembre del 1990  insieme ad un altro fisico, Robert Cailliau;  i 

due nonostante il poco interesse generale, continuarono a sviluppare i principali componenti 

del Web: HTTP, HTML e il primo Browser che venne chiamato “the World Wide Web” con la 

duplice funzione anche di editor di testo per il nascente Web. 

E fu proprio  il 6 Agosto dell’anno successivo, che venne rilasciata  la prima pagina Web che 

delineava i piani per il WWW, ma non solo: è stata la  prima pagina scritta in HTML e al suo 

interno conteneva alcuni tag che sono tutt’oggi utilizzati, come i tags h1‐h6. 

Poco dopo altri Browser vennero rilasciati, ognuno con miglioramenti e diverse caratteristi‐

che, tra questi  citiamo:  

Line Modern Browser (Febbraio del 1992): sviluppato da Lee fu  il primo Browser multi‐

piattaforma. 

Viola WWW Browser (Marzo 1992): fu  il primo Browser popolare nel mondo; aveva già 

al suo  interno fogli di stile e  linguaggio di scripting, parecchio tempo prima rispetto a 

JavaScript e CSS. 

Mosaic Browser (Gennaio 1993): uno fra i più apprezzati Browser, sviluppato all’univer‐

sità dell’Illinois. 

Netscape Navigator 1.1 (Marzo 1995): fu il primo a introdurre le tabelle in HTML. 

Internet Explorer 1.1 (Agosto 1995): Microsoft decise di lanciare il suo Browser contem‐

poraneamente al suo sistema operativo Windows, ed era l’unico capace di supportarlo. 

 

Per alcuni anni, comunque, il World Wide Web restò uno strumento alquanto esoterico.  

 

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Analisi e prospettive del fenomeno “Web 3.0”

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L'impulso decisivo al suo sviluppo,  infatti, venne solo agli  inizi del 1993, dal National Center for Supercomputing Applications (NCSA) dell'Università dell'Illinois. Fin dalla  sua nascita  il Web  si doveva presentare come uno  spazio elettronico e digitale di Internet, destinato alla pubblicazione di contenuti, come testi, immagini, audio, video e iper‐testi. Tutti questi servizi saranno resi disponibili attraver‐so particolari computer  chiamati server Web. Inizialmente la caratteristica principale del neonato Web era  il  fatto  che  le  informazioni  venissero  pubblicate  in maniera  statica,  cioè,  come  se  ci  fosse  semplicemente un foglio Word con testo e  immagini portato su Web, e l’utente,  arrivato  alla pagina,  leggesse  e  se ne  andasse senza nessuna interazione.  

Le altre caratteristiche del Web 1.0 erano le seguenti: 

Struttura informativa gerarchica. 

Esistevano due utilizzatori della Rete: quelli che fornivano notizie e quelli che ne fruiva‐

no. Infatti, il Web 1.0 è stato per molti il “Read‐Only” Web, in quanto gli utenti erano in 

grado soltanto di cercare informazioni e leggerle. 

Pagine web statiche. 

Le pagine che si adattavano al tipo di schermo         o al tipo di dispositivo erano ancora 

inesistenti. I siti si programmavano in HTML puro e non si conoscevano i CMS. 

Basso rischio. 

Il rischio era quasi inesistente in quanto mancava un canale di ritorno che poteva scom‐

binare ciò che era stato pianificato.  

Comunicazione monodirezionale. 

Essendo le community limitatissime e non esistendo i social network, la comunicazione 

andava dall'alto verso il basso.  

Reattivo. 

Nel Web  1.0  la  produttività  non  era  necessaria  e  le  correzioni  del  caso  erano  di  tipo 

reattivo.  Quando si passò al Web 2.0?  Non si ha ovviamente una data precisa a cui far risalire l’avvento del Web 2.0; tuttavia, si può dire che questo passaggio avvenne approssimativamente nel 2001, con il crollo della bolla di dot‐com. 

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Analisi e prospettive del fenomeno “Web 3.0”

Infatti,  l’incredibile sviluppo che  il Web ebbe tra  il 1995 

e il 2000, portò a raccogliere maggiori consensi soprat‐

tutto nei gruppi di business; a causa di ciò tutti gli inve‐

stitori  iniziarono a  riversare  soldi  su qualsiasi progetto  

relativo al Web; così facendo, tutte  le aziende che era‐

no sul Web, dette aziende della “New Economy”, videro 

moltiplicare i loro introiti. Ovviamente, passato il perio‐

do  del  boom  di  Internet,  e  continuando  la  gente  ad 

investire sulle start‐up senza curarsi del  loro andamen‐

to, si arrivò  inevitabilmente al crollo,  facendo  fallire moltissime aziende; quelle poche 

che riuscirono a resistere, come Google, E‐bay ed Amazon, divennero dei veri e propri 

colossi informatici.  

 Il termine “Web 2.0” si riferisce alla seconda versione del Web, e quindi, come già detto, all’evoluzione del Web 1.o.  Il concetto di Web 2.0 nacque durante una sessione di brainstorming  tra due  aziende O'Reilly  e MediaLive  International.  Dale  Dougherty,  vicepresi‐dente di O’Reilly, notò,  infatti, che  il Web era molto lontano dal crollare, anzi stava diventando molto più importante di quanto non  lo  fosse prima;  infatti, con sorprendente regolarità continuavano ad uscire nuove applicazioni e apparire nuovi siti. Egli sosteneva che il 

collasso di dot‐com avesse  segnato come una  specie di punto di  svolta per  il Web, e che, quindi, potesse aver  senso creare un nuovo capitolo per  il Web. Nacque, così,  la “Conferenza Web 2.0”, e di conseguenza il Web 2.0.  

“Web2.0isthebusinessrevolutioninthecomputerindustrycausedbythemovetotheinternetasplatform,andanattempttounderstandtherulesforsuccessonthatnewplatform. Chief among those rules is this: Build applications that harness networkeffectstogetbetterthemorepeopleusethem.” 

Ovviamente il passaggio dal Web 1.0 al Web 2.0 ha portato con sé grandissime innova‐

zioni; alcuni esempi di nuove caratteristiche che fanno parte del Web 2.o sono: 

Blog:  anche  conosciuti  come Web  logs,  permettono  agli  utenti  di  “postare”  nel Web pensieri e aggiornamenti sulla loro vita. 

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Analisi e prospettive del fenomeno “Web 3.0”

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Il termine   “Weblog” fu proposto da Jorn Barger nel 1997.    Il blog include pagine Web chiamate post che sono pubblicate cronologicamente,  con  la  più  recente  prima,  nello  stile  dei giornali. La maggior parte dei blog sono testuali, ma ne esi‐stono altri di natura diversa, come i photoblogs o photologs, e i videoblogs o vlogs. I post del blog possono essere etichet‐tati con delle parole chiave  in modo da catalogare  i soggetti dei  post.  Per  esempio,  quando  dei  post  diventano  vecchi possono  essere depositati  in  dei menù di  sistema  suddivisi per  tema.  I  collegamenti sono un’altra parte fondamentale dei blog; essi  intensificano  la natura discorsiva della blogosfera e il suo senso di immediatezza e aiutano a facilitare il recupero e il riferimen‐to di informazioni da differenti blog. 

Wiki:  siti  come Wikipedia e altri, permettono agli utenti di  tutto  il mondo  di  aggiungere  e  caricare  online  contenuti.  Un  wiki  è  una pagina Web (o una serie di pagine Web) che può essere facilmente organizzata da chiunque  abbia il permesso di accedervi. A differen‐za dei blog, le precedenti versioni dei wiki possono essere esamina‐te  da una funzione di cronologia e possono essere rigenerate da una funzione di ripristino. Le principali caratteristiche dei wiki sono: una semplice struttura dei siti e una facile navigazione, dei template semplici, un linguaggio di markup, la capacità di supportare più utenti, la funzione di ricerca incorporata   e un semplice flusso di lavoro. 

Social Networking:  permette  la  realizzazione  di  reti  sociali  virtuali. Si tratta di siti internet o tecnologie che consentono agli utenti di condivi‐dere contenuti testuali, immagini, video e audio e di interagire tra loro. Generalmente i Social Network prevedono una registrazione mediante la creazione di un profilo personale protetto da password nonché la possibilità di effet‐tuare  ricerche  nel  database  della  struttura  informatica  per  localizzare  altri  utenti  e organizzarli in gruppi e liste di contatti. 

Applicazioni Web: con questo termine si intende un’applicazione che  risiede  in  un  Server Web  alla  quale  si  accede  tramite  un Browser  Internet o un altro programma con funzioni di naviga‐zione, operante secondo gli standard del World Wide Web.  

Possiamo dire che  il Web 2.0 fornisce un  livello di  interazione utente che non era stata mai disponibile prima. I siti Web sono diventati molto più dinamici e interconnessi, producendo  

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Analisi e prospettive del fenomeno “Web 3.0”

“comunità online” e, così  facendo,  rendendo anche più  facile  la condivisione di  informazioni nel Web. Molte  delle  funzionalità  del Web  2.0  sono  offerte  gratuitamente,  e  siti  come,  ad esempio, Wikipedia  e  Facebook  stanno  crescendo  in modo  incredibilmente  veloce. Mano  a mano che i siti continuano a crescere, vengono aggiunte molte altre funzionalità. In definitiva, il Web 2.0 si potrebbe definire utilizzando una famosa citazione di O’Reilly:  “IlWeb2.0è larete intesacomeunapiattaforma,attraversotutti idispositivicollegati; leapplicazioniWeb2.0sonoquellechepermettonodiottenere lamaggiorpartedeivantaggiintrinsechidellapiattaforma, fornendo il software comeun servizio in continuoaggiorna-mentochemigliorapiùlepersoneloutilizza-no,sfruttandoemescolandoidatidasorgentimultiple,tracuigliutenti,iqualifornisconoipropricontenutieserviziinunmododaper-metterne il riutilizzodapartedialtriutenti,creando una serie di effetti attraverso“un’architetturadellapartecipazione”chevaoltrelametaforadellepaginedelWeb1.0perprodurrecosìuserexperiencepiù signi icati-ve”. 

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Analisi e prospettive del fenomeno “Web 3.0”

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2.2 IL PASSAGGIO DA WEB 2.0 A WEB 3.0

Come si può vedere dalla figura, quella del Web è un’evoluzione partita già nel 1980 ed ancora oggi 

in  continua  espansione. Ogni  passaggio  ha  portato  con  se  grosse  innovazioni  (le  principali  sono 

espresse alla destra del grafico), ma è cambiato anche e  soprattutto  il modo di vedere  le piccole 

cose. 

 

Inizieremo prendendo in considerazione le principali differenze tra il Web 1.0 e il Web 2.0, delinean‐

do  i diversi approcci che entrambi hanno  in diversi aspetti come:  la pubblicazione dei contenuti,  la 

distribuzione delle  informazioni,  le enciclopedie,  i Social Bookmark, gli open  source e,  infine, gli 

annunci pubblicitari. 

 

 

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Analisi e prospettive del fenomeno “Web 3.0”

CATEGORIA  WEB 1.0  WEB 2.0 

Pubblicazione dei  contenuti 

Il modello di pubblicazione pre‐vede la presenza di un autore 

responsabile della pubblicazione dei contenuti e di un certo nu‐mero di lettori che accedono a 

tali contenuti.  

Il modello di comunicazione è unidirezionale; le informazioni passano dall’autore al lettore seguendo una direzione unica. 

 

L’apporto del lettore è general‐mente “passivo” limitandosi a prendere visione dei contenuti con poche possibilità di interve‐nire sugli stessi o sulla discussio‐

ne da essi generata. 

Esistono più autori che portano il proprio contributo; il ruolo fra autore e lettore tende a confon‐

dersi.  

Il modello di comunicazione è bidirezionale e, grazie all’impie‐go di strumenti come blog, social network e wiki, i lettori assumo‐no un ruolo attivo potendo essi stessi valutare, commentare, annotare, modificare, creare e combinare tra loro i contenuti. 

 Distribuzione delle  

informazioni 

L’utente è costretto a collegarsi al portale d’interesse per consul‐

tare gli aggiornamenti. 

I contenuti possono seguire l’utente ovunque si trovi attra‐verso l’uso dei feed RSS e dei 

sistemi di podcasting. E’ possibi‐le scaricare tali contenuti sul proprio computer, oppu‐

re decidere di veicolare questo flusso di informazioni verso i numerosi servizi esistenti sulla rete (Google reader, Goolge 

alert, Wikio, Bloglines). 

Questa è la tabella : 

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Analisi e prospettive del fenomeno “Web 3.0”

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Le  Enciclopedie

L’Enciclopedia si avvale esclusi‐vamente dei suoi collaboratori e non fornisce il materiale in for‐

ma gratuita.  

C’è chi ritiene questo modo di lavorare più serio e proficuo 

lasciando solo a chi ha effettiva‐mente esperienza l’onere di 

pubblicare articoli.

Wikipedia, la più conosciuta enciclopedia gratuita presente in rete, permette a chiunque di 

prendere parte alla realizzazione di articoli su qualunque tema (i quali verranno, poi, archiviati al 

suo interno).

E’ una soluzione interattiva che dà modo ad esperti, studiosi o 

semplici appassionati non solo di consultare liberamente i docu‐

menti e di stamparli, ma anche di partecipare attivamente alla crescita dei documenti stessi.

Social  Bookmark

I contatti “Preferiti’’ sono pre‐senti solo nel nostro computer.

Sono presenti sul Web aree per‐sonali nelle quali è possibile sal‐vare e condividere con gli altri tutti i link che si desidera.

 

La classificazione dei contenuti avviene tramite parole chiave 

personali.  

C’è il vantaggio di poter usare i contenuti ovunque ci si trovi, da qualunque computer collegato a 

Internet o da qualunque smartphone.

Open Source  Gli utenti possono scaricare il 

software gratuitamente ma non ne possono controllare il codice.

Gli utenti possono scaricare il software gratuitamente, possono controllare il codice e modificar‐

lo.  

Gli utenti possono scrivere e condividere documenti e fogli di calcolo usando software diretta‐mente attraverso il Web (Google 

Document).

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22 |Versace Pasquale  

Analisi e prospettive del fenomeno “Web 3.0”

  Web 2.0 

  Web 3.0 

Read/Write Web  Read, Write and Execute Web  

Communities  Individuals 

Sharing Content  Consolidating Dynamic Content 

Blogs  Lifestream 

AJAX  RDF 

Wikipedia, Google  Dbpedia, iGoogle 

Tagging  User engagement 

Come abbiamo potuto notare, il passaggio da Web 1.0 a 

Web 2.0 ha portato  innovazioni soprattutto  lato utente, 

si è cercato, infatti, di aumentare la mole di dati, e trami‐

te social network   e altre innovazioni, si è cercato di ren‐

derli alla portata di tutti. 

Il successivo passaggio mira a cambiare tutta la strutture 

del Web;  il nuovo Web,  infatti, dovrà essere organizzato 

per essere comprensibile non più agli utenti ma ai  soft‐

ware. Questa prima e fondamentale differenza richiede‐

rà grosse e  sostanziali  innovazioni,  le più  importanti delle quali  sono  riportate qui  sotto nella 

tabella: 

Come si può notare infatti, la prima  e principale differenza sta proprio in quella che è la defini‐zione del Web; quest’ultimo è definito “Read, Write and Execute”, infatti, dal 2004 in poi, quan‐do  avvenne  l’  evoluzione  del Read‐Write Web,  o Web  2.o,  il  quale,  al  contrario  della  natura statica del suo predecessore, si basò totalmente sull’interazione e collaborazione. In  un’ondata di sviluppo caratterizzata dai wiki, blog e social media, gli utenti poterono controllare i contenu‐ti del Web piuttosto che  leggerli semplicemente. Lo sviluppo  logico di tutto ciò, pertanto, non poteva essere nient’altro che un Read‐Write‐Execute Web, una versione del Web in cui gli uten‐ti possano creare ed eseguire i loro stessi tool e software per modificare ed estrarre informazio‐ni, anziché usare software e siti Web di altre persone. Un’altra differenza possiamo sicuramente trovarla nella organizzazione; infatti se il Web 2.0, grazie alla sua caratteristica social, era orga‐nizzato in comunità, ora abbiamo nuovamente l’esaltazione del singolo  che può testare da solo i propri progetti. 

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Analisi e prospettive del fenomeno “Web 3.0”

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Osservando  i  contenuti,  anche  qui,  l’avvento  dei  Social Network e di siti come, appunto, Wikipedia, ci fanno tro‐vare nel Web 2.0 contenuti condivisi; infatti tutti gli utenti possono  scambiarsi  liberamente  informazioni.  Con  l’av‐vento del Web 3.0  i contenuti saranno  innanzitutto dina‐mici; il Web verrà riorganizzato come un grande database, così da eliminare i contenuti superflui ed avere la possibili‐tà di trovare immediatamente ciò che ci interessa. Un’ulteriore  differenza  riguarda  il  modo  in  cui  l’utente potrà  interagire  con  gli  altri;  quindi  si  saranno  i  blog  (o, anche,  meglio  detti  microblog,  in  quanto  puntano  alla brevità) che si sono sviluppati durante  il Web 2.0 e  i  life‐stream,  un’innovazione  che  sta  prendendo  sempre  più piede, e che presenta delle differenze (sebbene sottili) con i microblog. 

I microblog consentono di condividere pensieri, link a siti Web o qualsiasi altra cosa si stia facendo in un determinato momento della giornata; sono molto simili all'invio di un SMS dal cellulare, con  la differenza  che,  col microblogging,  si  può  inviare  un messaggio  anche  a  un  gruppo  di  persone  o, addirittura, a tutta una comunità online, anziché spedirlo soltanto a un singolo destinatario. A se‐conda della piattaforma di microblogging che si utilizza,  i contatti potranno controllare  i messaggi dal proprio Browser, dal proprio programma di  instant messagging preferito o addirittura dal pro‐prio  telefonino. La  caratteristica principale di un microblogging  è  la brevità dei messaggi, da qui il prefisso “micro” nel termine; infatti, queste piattaforme  consentono di inviare un messaggio lun‐go al massimo 140 caratteri, un po’ come avviene per gli SMS. Uno spazio così  limitato non dà  la possibilità di  fare  discorsi  lunghi;  così,  la maggior parte dei post  che  si  vedono  sulle piattaforme come Twitter, Jaiku e Pownce, rimandano a qualcosa che si sta facendo  in un dato momento della giornata, come, ad esempio, pubblicare online foto e video, consigliare un sito Web o incontrare un amico.  Anche  il  lifestream è  incentrato sulla brevità dei contenuti, ma, mentre nel microblogging si scrive un messaggio dall'applicazione stessa, nel lifestreaming si aggregano i contenuti provenienti da vari social media e si combinano  in un unico flusso di  informazioni. Ad esempio, se si ha un account su diversi social media, come Facebook, Flickr, YouTube e Blogger, esso consente di creare un unico flusso  in uscita  importando  i contenuti prodotti  su  tutti questi  siti.  In questo modo, appena viene pubblicata una foto su Flickr, un video su YouTube, un post sul proprio blog o appena viene aggior‐nato  il proprio stato personale su Facebook,  la propria pagina di  lifestreaming verrà aggiornata di conseguenza. Ciò semplifica notevolmente la vita di chi ci segue; egli infatti potrà vedere immedia‐tamente le novità che pubblicate sia attraverso il profilo lifestreaming personale che seguendo il link al  social media  che ospita  il  contenuto prodotto. Quindi,  concentrare  la propria  attività online  in un'unica  postazione  aiuta  i  contatti  a  tenersi  sempre  aggiornati  sulle  ultime  novità.                                                 Come abbiamo detto, il Web 3.0 renderà anche i suoi siti un po’ più personali; infatti, un po’ tutti i siti si rifaranno a quello che era iGoogle, che permetteva agli utenti di creare una home page personaliz‐zata, ideale per avere una  panoramica delle notizie del giorno riguardo gli argomenti che   

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 Interessavano,  inserendo  un  box  (o  gadget)  con  le  ultime notizie dai giornali, un box con gli ultimi post dai blog seguiti, un riquadro con le previsioni del tempo, uno con l'oroscopo del giorno, e tanto altro. Inoltre, le nostre ricerche non saranno più fatte  su Wikipedia ma  su Dbpedia.  La DBpedia  Italiana  è  un progetto aperto e collaborativo per l’estrazione e il riutilizzo di informazioni semanticamente strutturate dalla versione  italia‐na di Wikipedia.  Il progetto mira a rendere riutilizzabili  le  informazioni di Wikipedia da parte di software e applicazioni. La DBpedia Italiana permette di eseguire query sofisticate e complesse sui contenuti di Wikipedia e di collegare altri dataset Linked Data a Wikipedia. Oggi la versione inglese di DBpedia è già disponibile ed è al centro della Linked Open Data Cloud; essa costituisce un importante riferimento per il collegamento tra diversi dataset.   Se consideriamo le tecnologie che sono alla base dei due Web, abbiamo che il  Web 2.0 si basa sulla tecnologia AJAX, acroni‐mo  di Asyncronous  JAvascript  and XML,  che  più  che  un  lin‐guaggio di programmazione, può essere visto come una mo‐dalità di utilizzo degli standard esistenti sul mercato. Infatti, la tecnica AJAX  scambia dati  con  il  server  ed  aggiorna parti di una pagina Web senza la necessità di ricaricare l’intera pagina. Dunque, AJAX è asincrono e sfrutta tutti i vantaggi delle tecni‐che asincrone, nel senso che  i dati extra sono richiesti al server e caricati  in background, senza interferire con il comportamento della pagina esistente.  “AJAXisnotanewprogramminglanguage,butanewwaytouseexistingstandards”

La tecnica AJAX utilizza una combinazione delle seguenti tecnologie o linguaggi di programma‐

zione: 

HTML (o XHTML) e CSS per il markup e lo stile; 

DOM (Document Object Model) manipolato attraverso un  linguaggio JavaScript o JScript 

per mostrare le informazioni ed interagirvi; 

l'oggetto XMLHttpRequest per  l'interscambio asincrono dei dati tra  il Browser dell'utente ed il Webserver. 

In alcuni Framework AJAX ed  in determinate  situazioni, può essere usato un oggetto Iframe invece di XMLHttpRequest per  scambiare  i dati  con  il  server;  in genere, viene utilizzato XML come formato di scambio dei dati, anche se, di fatto, qualunque formato può essere adottato, inclusi il testo semplice, l’HTML preformattato oppure altri. Questi file sono solitamente genera‐ti dinamicamente da script lato server.   

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Il   Web 3.0 si baserà sulla tecnologia RDF (Resource Descrip‐tion Framework), cioè un  linguaggio per  la rappresentazione di  informazioni su  risorse di qualsiasi  tipo  (siti Web, articoli, libri,  etc.).  In  senso  stretto,  questo  linguaggio  sarebbe  un linguaggio astratto, cioè un  insieme di elementi e regole per la  descrizione  di  risorse. XML  costituisce  una  delle  possibili sintassi  utilizzabili  per  descrivere  risorse  secondo  il  fra‐mework RDF; in alternativa potrebbero essere utilizzate altre sintassi  come,  ad  esempio,  dei  grafi.  Le  specifiche  di  RDF sono mantenute dal W3C e presenti  tra  la documentazione ufficiale su XML. 

 

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2.3 BISOGNO DI INNOVAZIONE

Se  andassimo  a  cercare  il  perché  di  quello  che  è  stato 

inizialmente il passaggio da Web 1.0 a Web 2.0, la rispo‐

sta è molto semplice; infatti l’enorme sviluppo e la gran‐

de  fama che ebbe  il primo Web,  fece aumentare quello 

che era  il numero degli utenti connessi alla rete. Questo 

aumento costrinse  il Web a diventare sempre più  incen‐

trato  sugli  utenti  guadagnando,  allo  stesso  tempo,  in 

quelli  che  erano  i  contenuti.  Infatti,  come  abbiamo  già 

detto,  il primo Web permetteva solo  la  letture dei contenuti che, però, restavano  limitati; gli 

utenti non sempre riuscivano a trovare ciò che cercavano. Con il Web 2.0, invece, erano anche 

gli utenti che finalmente potevano aggiungere per la prima volta contenuti al Web, riuscendo, 

finalmente, a dare una risposta a tutte quelle domande che gli altri utenti facevano e che fino 

ad allora erano rimaste senza risposta. Guardando  l’altra faccia della medaglia, però, col pas‐

sare del tempo, e con  l’aumentare ovviamente delle  informazioni  inserite  in rete, si è arrivati 

ora ad un punto  in cui nel Web è presente una mole di dati troppo grande;  l’utente, facendo 

una semplice ricerca, si troverà di fronte ad una infinità di risultati, molti dei quali saranno ben 

lontani da quello che aveva cercato. Ed è proprio in questo scenario che entra in scena il Web 

3.0; esso si pone, appunto,  l’obbiettivo di riorganizzare questa mole di dati, creando un Web 

come un vero e proprio database  che permetterà agli utenti di avere una precisa  risposta a 

qualsiasi  loro  domanda,  anche  le  più  complicate. Questo  perché,  come  abbiamo  già  detto, 

sarà un Web semantico che, tramite programmi incentrati sui software e non più sugli utenti, 

riuscirà a capire il significato dei contenuti. 

Grazie a tutte queste innovazioni, il Web 3.0 migliorerà la user experience; infatti, essendo un 

Web intelligente, sarà molto più facile interagire con esso. Per capire tutto ciò basterà fare un 

semplice esempio, già riportato in un famoso giornale informatico: se un giorno noi decidessi‐

mo di andare al cinema e andare successivamente a mangiare qualcosa, e fossimo  in vena di 

vedere una commedia e mangiare del cibo messicano, aprendo  il nostro computer saremmo 

costretti a andare su Google e cercare informazioni per cinema e ristoranti; ma avremmo biso‐

gno di  conoscere  il film  che proiettano nel  cinema  vicino, quindi  avremmo bisogno di  altro 

tempo per leggere recensioni e piccole descrizioni sul film. Inoltre, per andare a cercare il risto‐

rante, dovremmo andare a  cercare quali  sono quelli aperti e quali quelli chiusi, e quali  sono 

quelli più vicini al nostro cinema, dando un’occhiata, magari, a quelle che sono anche le recen‐

sioni  dei  clienti.  In  totale  saremmo  costretti  ad  effettuare  una  dozzina  di  ricerche  prima  di 

effettuare la scelta migliore. Con la nuova generazione di Web noi potremmo effettuare ricer‐

che   complicate  come questa  in modo più veloce e molto più  facilmente;  invece di  ricerche 

multiple, basterà  scrivere una o due  frasi più  complesse nel nostro Browser e  il Web  farà  il 

resto. Nel nostro caso potremmo scrivere, ad esempio:  

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“Io voglio vedere un film divertente e dopo mangiare  in un buon  ristorante Messicano, quale sono le mie opzioni? ”,  immediatamente il Browser cercherà su Internet tutte le possibili rispo‐ste e organizzerà i risultati per noi. Questo non è tutto; infatti molti esperti credono che il Brow‐ser del Web 3.0  lavorerà come un assistente personale. Nel momento  in cui noi cerchiamo nel Web, il Browser impara i nostri interessi, e più noi navighiamo più il Web apprenderà di noi, fino al  punto  che  potremmo,  un  giorno, effettuare  delle  domande  aperte come:  “Dove  potrei  andare  per  il pranzo?” e  il nostro Browser, consul‐tando  il  suo  archivio,  con  ciò  che  ci piace e non ci piace, e prendendo  in considerazione  la  nostra  posizione corrente,  sarà  capace  di  suggerirci una  lista  di  ristoranti.  Si  arriverà, quindi,  in un momento  in cui  il Web non  sarà  più  visto  come  un mezzo per  ottenere  informazioni,  ma  sarà esso stesso a fornircele. 

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In questo capitolo verranno descritte le principali caratteristiche del “Web 3.0”; verranno inizialmente trattati i Metadati e i Linked Data, che stanno alla base del Web Semantico; successivamente, verranno introdotte le tecnologie che rendono possibile tutto ciò, ovvero: RDF, SPARQL e OWL

3. WHAT, OVVERO… LE PRINCIPALI CARATTERISTICHE

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2 Il dataWeb 1 Concetto di metadata 3 RDF

4 SPARQL 5 OWL

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3.1 IL CONCETTO DI METADATA

Con  il  termine  “metadati”  o  anche  “meta tag”  si  definiscono  le  informazioni  che, associate  ad  una  pagina  Web  o  ad  una porzione di essa, ne descrivono il contenuto specificandone  il  contesto  di  riferimento. La  spiegazione  inglese  è  sicuramente  più semplice  e  concisa;  infatti,  essi  vengono definiti come “data about data”. I metadati sono  parte  integrante  del Web  semantico con  il quale si fa riferimento alla possibilità 

di classificare i dati pubblicati sul Web in maniera strutturata, in modo che la ricerca delle informa‐zioni da parte degli utenti sia più efficace. Il concetto di metadati ha, in realtà, un ruolo importan‐tissimo  nella  gestione  di  qualunque  tipo  di  contenuto  informativo  o  documentale,  soprattutto quando l’informazione disponibile è molta e deve essere selezionata e organizzata per facilitarne il reperimento e l’uso. Non a caso, dunque, nonostante si tratti di un concetto perfettamente appli‐cabile in tante situazioni che non hanno nulla a che fare con il mondo della rete e delle nuove tec‐nologie, i metadati sono uno dei “mattoni” fondamentali del nuovo Web. Etimologicamente,  il  termine  richiama  l’idea di dati di  secondo  livello, ovvero dati utilizzati per descrivere e classificare altri dati. L’esempio tipico, e quello più comunemente utilizzato per spie‐gare il concetto, è il catalogo di una biblioteca. Gli scaffali di una biblioteca raccolgono libri (i dati di primo  livello, o “informazione primaria”), mentre  il catalogo raccoglie schede che descrivono  i libri sulla base di una serie di caratteristiche prefissate: il nome dell’autore, il titolo, il luogo e l’an‐no di pubblicazione, il numero di pagine, la collocazione negli scaffali della biblioteca (o in un siste‐ma di classificazione astratto), e così via. Le schede di un catalogo contengono, dunque, dei dati di secondo livello, dei metadati appunto, che descrivono l’informazione primaria e aiutano a gestirla e reperirla. Dal canto suo, la biblioteca comprende  sia i libri sia il catalogo: una buona raccolta di risorse informative, infatti, comprende sempre anche informazione secondaria, ovvero i metadati, che permettono di descrivere, organiz‐zare e reperire l’informazione primaria (una biblioteca, offre, infatti, al proprio utente anche molte altre cose, e, in particolare, un insieme assai ampio di strumenti e servizi che aiutano a lavorare sia sull’informazione primaria sia sui metadati). Esistono molti tipi di metadati; una distinzione abbastanza diffusa è quella fra metadati descrittivi, gestionali‐amministrativi  e  strutturali. Tale  configurazione, però, non  è, né  l’unica possibile, né necessariamente esaustiva o sempre soddisfacente, e proprio come  la scelta dei metadati stessi, la scelta di particolari classificazioni o organizzazioni dei metadati è legata al tipo di informazione primaria di cui ci si occupa. Sui metadati si basa  il  lavoro degli spider dei motori di ricerca:  il  loro compito  consiste,  infatti,  nel  dedurre metadati  dalle  pagine  visitate  e  consentirne  l’utilizzo  da parte  degli  index  software,  i  quali,  sulla  base  di  tali  informazioni  provvedono  all’indicizzazione  delle pagine del Web.  

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I metadati  dedotti  dagli  spider  non  sempre,  però,  rispecchiano  l’effettivo  contenuto  delle pagine visitate;  spesso accade  infatti che  tra  i  risultati di una  ricerca  spuntino anche  riferi‐menti che non hanno quasi nessuna attinenza con le informazioni ricercate. Per tale motivo è preferibile dotare le pagine Web di metadati già strutturati, come suggerisce proprio Google nella sua guida per Webmaster, così da indirizzare il più possibile il lavoro degli spider, opera‐zione particolarmente utile in un’ottica di Web marketing.   Ma quali metadati è utile inserire nelle pagine Web?  Uno  degli  standard  più  accreditati  per  la  gestione  dei metadati  è  quello  messo  a  punto  dalla  Dublin  Core Metadata  Initiative  (DCMI).  Lo  standard  Dublin  Core prevede quindici elementi fondamentali da poter inseri‐re nell’head del codice di una pagina Web, alcuni appar‐tenenti  alla  tipologia  dei  metadati  descrittivi,  ossia finalizzati  al  recupero  della  risorsa,  altri  a  quella dei metadati  strutturali  e  finalizzati  a  fornire  informa‐zioni sulle proprietà, appunto, strutturali del documen‐ti. Tali elementi sono:  1.  Title: il nome attribuito alla pagina. 2.  Creator: l’autore della pagina. 3.  Subject: l'argomento trattato o il contesto di riferimento 4.  Description: breve descrizione del contenuto della pagina. 5.  Publisher: chi pubblica la pagina o la rende accessibile. 6.  Contributor: chi ha contribuito in qualche modo alla realizzazione. 7.  Date: data di creazione, di pubblicazione, o di revisione. 8.  Type: tipo di risorsa o tipo di contenuto. 9.  Format: formato della pagina Web. 10.  Identifier: identificatore della pagina (ad esempio URL). 11.  Source: eventuale risorsa da cui la pagina Web corrente è derivata. 12.  Language: contesto linguistico di riferimento. 13.  Relation: eventuali risorse collegate. 14.  Coverage:  scopo  della  pagina Web,  o  eventuale  periodo  di  validità  o  eventuale  area 

geografica di riferimento. 15.  Rights: eventuali diritti sull'utilizzo della risorsa.  E’ possibile inserire, anche solo parzialmente, i suddetti elementi, ad esempio limitandosi ai metadati  descrittivi.  Il Dublin  Core  è  uno  standard  flessibile  e  ormai  consolidato  al  quale poter  fare  riferimento nella definizione di una struttura per  la descrizione di  risorse online, con lo scopo di renderne più agevole il reperimento, la gestione e la condivisione. 

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Analisi e prospettive del fenomeno “Web 3.0”

L’efficacia dell’inserimento di metadati all’interno delle pagine Web ai fini di una strategia di SEO  (Search  Engine Optimization,  cioè  ottimizzazione  per  i motori  di  ricerca)  è,  invece, ancora ampiamente dibattuta.  In passato  i motori di  ricerca  leggevano avidamente questo tipo di dettagli; oggi,  invece,  in  seguito  alle  continue  evoluzioni degli  spider  software  tali informazioni hanno un peso indubbiamente inferiore: gli algoritmi degli spider sono in grado di  scandagliare  l'intero  contenuto  delle  pagine  per  ricavarne  "parole  chiave",  e  dunque  il significato. I metadati hanno bisogno di un’ architettura a strati, flessibile ed estendibile, basata su RDF.                                          Considerando  i metadati come un continuo work  in progress e permettendo metadati sog‐gettivi, si arriva ad una nuova visione dove i metadati possono essere considerati come un’in‐formazione in continua evoluzione, soggetta continuamente ad aggiornamenti e modifiche. Per quanto riguarda le incongruenze tra le diverse descrizioni, esse saranno gestite grazie a RDF, e saranno aggiunte differenti tipologie e contesti specifici dagli altri utenti quando, ciò risulterà necessario. Ogni piccola parte dei metadati RDF forma una parte dell’informazione network globale, dove ognuno ha  la possibilità di ag‐giungere metadati  ad  ogni  tipo  di  risorsa.  In  questo scenario, i metadati di una singola risorsa non possono essere contenuti in un solo documento RDF, e le diffe‐renti  categorie  saranno  separate.  La  costruzione  dei consensi  diventerà  una  parte  naturale  del meta‐data management;  i metadati potranno  formare parte del progresso scientifico ancora in corso, con il risultato di un  vero  e  proprio  ecosistema  globale,  cioè  un  posto dove i metadati stessi possano fiorire ed essere riutiliz‐zati  in  un  nuovo  contesto  e  dove  ognuno  vi  possa partecipare. Si può, quindi,  affermare  che  i metadati  sono  informazioni,  comprensibili dalla macchina, relative a una  risorsa Web o a qualche altra cosa.  Il punto chiave è costituito, appunto, dal fatto che  i metadati sono comprensibili dalla macchina (machine understandable);di conse‐guenza, costituiscono un  tipo di  informazione che può essere utilizzata dai software agent per  fare un uso appropriato delle risorse,  rendendo più semplice e veloce  il  funzionamento del Web e aumentando, quindi, la user experience. Ad esempio, quando si reperisce un docu‐mento  (o un oggetto) sul Web, utilizzando  il protocollo HTTP, è possibile che  il server  invii alcune  informazioni  sulla  risorsa,  quali  la  sua  data  di  aggiornamento,  la  data massima  di validità  dell’  informazione,  il  suo  autore,  etc.  Il Web,  quindi,  come  insieme  di  risorse  e  di informazioni sulle risorse (cioè metadati), è già una realtà alla quale siamo abituati. Essendo i metadati dei veri e propri dati, questi possono essere memorizzati  in una  risorsa, che può, quindi, contenere informazioni relative a se stessa o ad un’ altra risorsa. Attualmente esistono tre modi per acquisire metadati:  1. I metadati sono contenuti nella risorsa medesima, come, per esempio, nella sezione HEAD di un documento HTML. 

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Analisi e prospettive del fenomeno “Web 3.0”

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 2. Al momento del trasferimento della risorsa, le informazioni vengono trasferite dal server al client (GET) o dal client al server (PUT o POST). 3. I metadati vengono estratti da un’ altra risorsa. I metadati relativi ad un documento possono essere quindi estratti dalla risorsa stessa, o da un’ altra risorsa, oppure possono essere trasferiti insieme al documento. La seconda conseguenza del fatto che i metadati siano dati, è che essi possono essere de‐scritti da altri metadati, e così via. I metadati consistono in asserzioni sui dati, le quali ven‐gono, quindi, rappresentate sotto forma di un nome un insieme di parametri. L’ assioma è che  i metadati  sono  rappresentati  da  un  insieme  di  asserzioni  indipendenti. Nel  caso  vi siano  più  asserzioni  relative  alla  stessa  risorsa,  l’asserzione  risultante  è  quella  ottenuta mediante  l’  AND  logico  delle  due  asserzioni.  Le  asserzioni  relative  alle  risorse  vengono spesso riferite come attributi della risorsa. Per esempio, se per una risorsa vale l’ asserzione che essa ha una proprietà specifica come l’autore, il parametro è  il nome dell’ autore. Analogamen‐te, se il soggetto è un attributo della risorsa, allora il  parametro  è  l’  argomento  trattato.  Gruppi  di asserzioni  relative  alla  stessa  risorsa  prendono spesso  la  forma di una  lista di  coppie  (attributo‐valore).  Il  termine  “asserzione”  enfatizza  il  fatto che  la  coppia  (attributo‐valore),  quando  viene trasferita con  la risorsa, è uno statement fatto da una  terza  parte.  Questo  aspetto  assume  una particolare rilevanza nel contesto in cui il “ Web of trust” diventa un elemento importante, in quanto permette di conoscere  l’origine e  l’affidabilità dei dati e dei metadati. 

  

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Analisi e prospettive del fenomeno “Web 3.0”

3.2 IL DATAWEB

Il Web Semantico è stato definito “Web of data”, 

cioè un nuovo Web visto come un enorme data‐

base, dove  le numerose  tecnologie  come: RDF, 

OWL, SPARQL e SKOS  forniscono uno sviluppo 

tramite  cui  un’applicazione  può  creare  query  e 

inference  (cioè generare nuove  relazioni basate 

sui dati e  su  informazioni aggiunte  sotto  forma 

di  un  vocabolario).  Comunque,  per  creare  real‐

mente   un Web of Data, è importante avere una 

grande quantità di dati nel Web, disponibile in un 

formato  standard,  raggiungibile  e  trattabile dai 

tool del Web semantico. Inoltre, questo Web non 

solo necessita un accesso ai dati, ma anche delle 

relazioni  tra  essi,  che  dovrebbero  essere  rese 

disponibili anche al fine di creare un Web di dati  (al contrario di una raccolta pura di set di dati). 

Questa collezione di set di dati correlati sul Web può essere  indicata anche come Linked Data.  I 

Linked Data usano il Web per connettere dati che non erano precedentemente collegati. In modo 

più  specifico  i Linked Data  sono definiti  come:  ”un  termine usato per descrivere una procedura 

consigliata per l'esposizione, la condivisione, e la connessione di frammenti di dati, informazioni e 

conoscenza sul Web Semantico con URI e RDF”. 

Per aggiungere e creare Linked Data, le tecnologie devono essere disponibili in un format comune 

(RDF), al fine di consentire la conversione o l’accesso al database (relazionale, XML, HTML). Esse, 

inoltre, devono essere in grado di creare query per accedere ai dati nel modo più conveniente. W3C 

fornisce  una  gamma  di  tecnologie  (RDF,  GRDDL,  POWDER,  RDFa,  il  prossimo  R2RML,  RIF, 

SPARQL) per ottenere l'accesso ai dati. I Linked Data si trovano nel cuore di  tutto quello che rap‐

presenta il Web Semantico, cioè integrazione su larga scala e il ragionamento in merito ai dati sul 

Web. Quasi tutte le applicazioni indicano una collezione di casi di studio e casi d'uso che si basano 

essenzialmente  sulla accessibilità e  l'integrazione dei Linked Data a  vario  livello di  complessità. 

Una nota di Tim Berners‐Lee sui Linked Data fornisce una descrizione succinta dei loro principi. La 

comunità del Semantic Web mantiene, anche, una lista di libri su una pagina Wiki. Alcuni di questi 

libri sono stati  introdotti realmente, mentre altri sono atti di convegni o libri di testo che affronta‐

no argomenti più avanzati.  

Tim Berners‐Lee descrisse quattro criteri sui Linked Data:  1.  Usare URI per identificare oggetti. 2.  Usare HTTP URI in modo che questi oggetti possano essere referenziati e cercati da persone 

ed user agent.  

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Analisi e prospettive del fenomeno “Web 3.0”

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3.  Fornire informazioni utili sull'oggetto quando la sua URI è deferenziata, usando formati stan‐dard come RDF. 

4.  Includere link ad altre URI relative ai dati esposti per migliorare la ricerca di altre informazioni relative nel Web. 

 I componenti che dobbiamo usare sono: 

URI (nello specifico, URI deferenziabili). Un URI, acronimo di Uniform Resource Identifier, si riferisce a una  stringa che  identifica univocamente una  risorsa generica che può essere un indirizzo Web, un documento, un'immagine, un file, un servizio, un indirizzo di posta elettro‐nica, etc., che rendono disponibili le risorse secondo una varietà di protocolli, tra i quali HTTP e FTP. 

HTTP. 

Resource Description Framework (RDF). 

Formati serializzabili (RDFa, RDF/XML, N3…).  L'obiettivo  del  progetto  Linking Open  Data del W3C  è  quello  di  estendere  il Web  pubblicando diversi open dataset, come RDF  sul Web, e di  impostare  link RDF  tra  i dati di differenti  risorse. Nell'Ottobre del 2007,  i dataset contenevano più di due miliardi di triple RDF, collegate da più di due milioni di  link RDF. Da maggio 2009 sono cresciuti a 4,2 miliardi di  triple RDF, collegate da 

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Analisi e prospettive del fenomeno “Web 3.0”

Come  si  è  detto,  quindi,  i dati,  se  isolati, hanno poco  valore;  viceversa,  il  loro  valore  aumenta sensibilmente quando data set differenti, prodotti e pubblicati  in modo  indipendente da diversi soggetti, possono essere incrociati liberamente da terze parti. Questo è alla base del processo di creazione di valore aggiunto sui dati, ovvero delle applicazioni. Le applicazioni, di valore sociale e/o economico, sfruttano quello che può essere visto come un grande database aperto e distribuito per offrire viste e servizi. L’interoperabilità è, dunque, un elemento chiave di uno degli aspetti più innovativi offerti dagli open data: l’uso dei dati per interscambi e interazioni nei campi più vari. Per consentire  il riuso dei dati occorre poter combinare e mescolare  liberamente  i dataset. Occorre, cioè, collegare i dati tra loro, stabilendo un link diretto quando i dati (possibilmente provenienti da diverse sorgenti) si riferiscono a oggetti identici o comunque relazionati tra loro. Tale collegamen‐to diretto si manifesta come la possibilità di “saltare” da un dataset all’altro, ad esempio quando si vuole accedere a dati (come i dettagli su una particolare entità) che non si possiedono all’interno. Combinare i due dataset potrebbe essere di grande utilità, ad esempio per offrire un servizio per‐sonalizzato in base agli interessi specifici di un utente. Per fare questo, se  i dati non sono “collegati”, occorre,  in qualche modo, creare questi  link, pro‐cessando  i dati a mano o attraverso algoritmi adatti. Questo processo può non essere banale, e sicuramente è una barriera al riuso organico dei dati. Nei cosiddetti Linked Data, questi collega‐menti e relazioni tra  le entità descritte nei dataset sono espliciti. Già sul Web sono presenti una vasta quantità di Linked Open Data. DBPedia, per esempio, espone una grande porzione di dati di Wikipedia  come  linked  data, mentre Geonames  offre  descrizioni RDF  di  entità  geografiche, fornisce un quadro dello stato corrente del “Linked data cloud”, e mostra un ecosistema di data‐base interconnessi in rapida crescita.  

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E’ molto    difficile  automatizzare  il Web  restando  ancorati  alla sua  architettura  originaria,  in  cui  tutte  le  informazioni  erano machine‐readable ma non machine‐understandable;  la soluzio‐ne al problema arriva proprio dai metadati. L’ uso efficace dei metadati, tuttavia, richiede che vengano stabilite delle conven‐zioni per la semantica, la sintassi e la struttura. Le singole comu‐nità  interessate  alla  descrizione  delle  loro  risorse  specifiche definiscono  la  semantica  dei metadati  pertinenti  alle  loro  esi‐genze. La  sintassi, cioè  l’ organizzazione  sistematica dei data‐element per  l’ elaborazione automatica,  facilita  lo scambio e  l’ utilizzo dei metadati  tra applicazioni diverse. La  struttura può essere  vista  come  un  vincolo  formale  sulla  sintassi,  per  una rappresentazione  consistente  della  semantica.  RDF  (Resource Description Framework) è  lo strumento base per  la codifica,  lo 

scambio  e  il  riutilizzo  di metadati  strutturati,  e  consente  l’interoperabilità  tra  applicazioni  che  si scambiano sul Web  informazioni machine‐understandable. I settori nei quali RDF può essere utiliz‐zato e portare vantaggi sono i più vari, per  esempio: 

descrizione del contenuto di un sito Web, o di una pagina, o di una biblioteca digitale; 

implementazione  di  intelligent  software  agent,  per  lo  scambio  di  conoscenza  e  un  utilizzo migliore delle risorse Web; 

classificazione del contenuto, per applicare criteri di selezione; 

descrizione di un insieme di pagine, che rappresentano un singolo documento logico; 

definizione dei criteri di proprietà intellettuale delle singole pagine; 

definizione dei criteri di privacy preference degli utenti e delle privacy policy di un sito Web; 

contribuire, mediante il meccanismo della digital signature, alla creazione del “Web of Trust”, per le applicazioni nel commercio elettronico, nella cooperazione, etc. 

 RDF, quindi, non descrive  la semantica, ma  fornisce una base comune per poterla esprimere, per‐mettendo di definire la semantica dei tag XML. Esso è costituito da due componenti: 1.  RDF Model and Syntax: definisce il data model RDF e la sua codifica XML. 2.  RDF Schema: permette di definire specifici vocabolari per i metadati.  1) RDF Model RDF  fornisce  un modello  per  descrivere  le  risorse. Queste  ultime  hanno  delle  proprietà  o  anche attributi e caratteristiche. RDF definisce una risorsa come un qualsiasi oggetto che sia identificabile univocamente mediante un Uniform Resource Identifier (URI). Il data model RDF è molto semplice, ed è basato su tre tipi di oggetti: 

3.3 RDF

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Analisi e prospettive del fenomeno “Web 3.0”

1.  Resources:  Qualunque  cosa  descritta  da  una  espressione  RDF  viene  detta  risorsa (resource). Una risorsa può essere una pagina Web, o una sua parte, o un elemento XML all’ interno del documento sorgente. Una risorsa può anche essere un’intera collezione di pagine Web, o anche un oggetto non direttamente accessibile via Web (come, ad esem‐pio, un  libro o un dipinto). Le risorse sono sempre  individuate da un URI, eventualmente con un anchor id. 

2.  Properties: Una proprietà  è un  aspetto  specifico, una  caratteristica, un  attributo, o una relazione utilizzata per descrivere una risorsa. Ogni proprietà ha un significato specifico, definisce i valori ammissibili, i tipi di risorse che può descrivere, e le sue relazioni con altre proprietà. Le proprietà associate alle risorse sono identificate da un nome e assumono dei valori. 

3.  Statements: Una risorsa, con una proprietà distinta da un nome, e un valore della proprie‐tà , costituisce un RDF statement. 

 Uno statement è quindi una tupla composta da un soggetto (risorsa), un predicato (proprietà) e un oggetto (valore). L’ oggetto di uno statement (cioè il property value) può essere un’ espres‐sione  (sequenza di  caratteri o qualche altro  tipo primitivo definito da XML) oppure un’ altra risorsa. 

Graficamente,  le  relazioni  tra  Resource,  Property  e  Value  vengono  rappresentate mediante grafi etichettati orientati,  in cui  le risorse vengono  identificate come nodi  (graficamente delle ellissi),  le proprietà come archi orientati etichettati, e  i valori corrispondenti a sequenze di ca‐ratteri come rettangoli. Un  insieme di proprietà che fanno riferimento alla stessa risorsa viene detto descrizione (description).  L'utilizzo di RDF può essere chiarito con qualche semplice esempio. Si considerino queste due espressioni:  1. "Oreste Signore è l'autore del DocumentoX" 2. "L'autore del DocumentoX è Oreste Signore" 

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Analisi e prospettive del fenomeno “Web 3.0”

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Queste sono del tutto equivalenti per un essere umano, in quanto veicolano la stessa informazione, mentre verrebbero viste come due espressioni diverse da una macchina. RDF, mediante il suo sem‐plice modello basato  su  resource, property e  value,  intende  fornire un metodo non ambiguo per esprimere la semantica con una codifica comprensibile dalla macchina. Dal momento che RDF forni‐sce un meccanismo per associare  le proprietà alle  risorse, per poter dare un valore alle proprietà occorre che sia dichiarata la risorsa. Quindi, per prima cosa, va dichiarata una risorsa che rappresenti il DocumentoX. Si ha quindi la tripla:   “Resource http://www.w3c.it/Oreste/DocX Property author Value Oreste Signore“   Lo statement dell'esempio verrebbe, quindi, rappresentato come:  “La risorsa http://www.w3c.it/Oreste/DocX has Author Oreste Signore”  

La direzione dell'arco è importante: essa parte dal soggetto dello statement e punta all' oggetto. Se, invece, si vuole dire qualcosa in più riguardo all'oggetto, per esempio si vuole dire:  “Oreste Signore, la cui Email è [email protected], e lavora presso il C.N.R,è l’ autore del DocumentoX”  E, quindi, si desidera esprimere delle  informazioni riguardo a  (about) Oreste Signore, e quindi tra‐sformare il valore della proprietà  autore  in una  entità  strutturata. In  RDF,  un'entità  di questo  tipo  viene rappresentata  come un'altra risorsa, poiché nello  statement  non viene  attribuito  un nome  a  questa  entità strutturata.  

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Analisi e prospettive del fenomeno “Web 3.0”

Questo diagramma potrebbe essere letto come:  “http://www.w3c.it/Oreste/DocX has author qualcuno e questo qualcuno has Name Oreste Signo‐re, Email [email protected], e Affiliation C.N.R.”  Alla  risorsa  anonima  “  qualcuno”  potrebbe  essere  assegnato  un  identificatore  univoco,  per esempio il CodiceFiscale, corrispondente a un URI del tipo: “http://www.finanze.it/CF/SGNRST99A99X111Y.” 

Questo diagramma potrebbe essere letto come la concatenazione di due frasi:  “La persona identificata dal Codice Fiscale SGNRST99A99X111Y has Name Oreste Signore, Email [email protected], e Affiliation C.N.R.. La risorsa http://www.w3c.it/Oreste/DocX has author questa persona”  In questo esempio è stata creata una risorsa, identificabile univocamente, per l'autore, ma non per il nome, la e‐mail e l'affiliazione. Il modello RDF consente la creazione di risorse a più livelli.  Talvolta, è necessario far riferimento a più di una risorsa, per esempio per descrivere il fatto che un libro sia stato scritto da più autori, oppure che un documento è composto da una serie di componenti, oppure, ancora, che una funzione può essere svolta da una delle persone elencate. RDF definisce tre tipi di contenitori (container):  1.  Bag: È una  lista non ordinata di risorse o costanti. Viene utilizzato per dichiarare che una 

proprietà ha valori multipli, senza alcun significato particolare attribuito al loro ordine (per esempio, i componenti di una commissione). Sono ammessi valori duplicati. 

2.  Sequence: È una lista ordinata di risorse o costanti. Viene utilizzato per dichiarare che una proprietà ha valori multipli, e che il loro ordine è significativo (per esempio, gli autori di un libro,  un  insieme  di  nomi  di  cui  si  voglia  preservare  l'ordine  alfabetico).  Sono  ammessi valori duplicati. 

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Analisi e prospettive del fenomeno “Web 3.0”

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3.  Alternative: È una lista di risorse o costanti che rappresentano un’alternativa per il valore 

(singolo) di una proprietà. Può essere utilizzato, per esempio, per fornire titoli alternativi 

in varie lingue. 

 

È possibile definire proprietà sia dell'intero container che dei singoli elementi. Si possono utiliz‐zare anche dei Container e proprietà multiple.  Infatti, una  risorsa può essere soggetto  in più statement,  sempre  con  lo  stesso predicato  (per esempio, Calvino è  autore di  "Se una notte d'inverno un viaggiatore", "Le fiabe italiane", "Il barone rampante"). E’ semanticamente diverso il caso in cui si ha un singolo statement il cui oggetto è un container contenente vari esemplari. Per esempio, lo statement: "La commissione composta da X, Y e Z ha adottato una decisione", non implica che ogni membro della commissione abbia espresso lo stesso parere, come, inve‐ce, sarebbe nel caso in cui si usasse uno statement multiplo. Per modellare gli statement, RDF definisce le seguenti quattro proprietà :  1.  Subject:  identifica  la  risorsa  che  viene  descritta  dallo  statement modellato;  quindi,  il 

soggetto è  la risorsa relativamente alla quale era stato formulato  lo statement originale (http://www.w3c.it/Oreste/DocX, nell'esempio). 

2.  Predicate:  identifica  la proprietà originale nello statement modellato. Il valore del predi‐cato  è  una  risorsa  che  rappresenta  la  specifica  proprietà  nello  statement  originale (nell’esempio, Author). 

3.  Object: identifica il valore della proprietà nello statement modellato. Il valore di object è l'object nello statement originale (nell’esempio: "OresteSignore"). 

4.  Type: descrive il tipo della nuova risorsa.  RDF  consente  alle  singole  comunità  di  definire  la  semantica. Tuttavia, non è possibile affidare la semantica stessa semplice‐mente al nome, che potrebbe avere significati più o meno ampi a seconda degli  interessi specifici delle singole comunità. RDF identifica univocamente  le proprietà mediante  il meccanismo dei namespace. Questi forniscono un metodo per appresentare in maniera  non  ambigua  la  semantica  e  le  convenzioni  che regolano  l'utilizzo delle proprietà  identificando  l' authority che gestisce il vocabolario, come nel caso dela Dublin Core Initiati‐ve.  2) RDF Schema Il data model RDF permette di definire un modello semplice per descrivere  le  relazioni  tra  le risorse,  in termini di proprietà  identificate da un nome e dai relativi valori. Tuttavia, RDF data model  non  fornisce  nessun meccanismo  per  dichiarare  queste  proprietà,  né  per  definire  le relazioni  tra esse  ed altre  risorse. RDF Schema permette di definire dei  vocabolari; quindi  l’ insieme delle proprietà semantiche individuate da una particolare comunità. RDFSchema, o  

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Analisi e prospettive del fenomeno “Web 3.0”

anche abbreviato in RDFS, RDF(S) o RDF‐S, permette definire il significato, le caratteristiche e le relazioni di un insieme di proprietà, compresi eventuali vincoli sul dominio e sui valori delle stes‐se;  esso  consente,  altresì,  di  definire  sottoclassi  e  tipi.  Inoltre,  implementando  il  concetto (transitivo) di  classe e  sottoclasse, RDFSchema  consente di definire gerarchie di  classi,  con  il conseguente vantaggio che agenti software  intelligenti possono utilizzare queste  relazioni per svolgere i loro compiti. In RDF si possono rappresentare le risorse come istanze di classi e definire sottoclassi e tipi.   RDF Classi: 

Ogni risorsa descritta in RDF è istanza della classe rdfs:Resource. Le sottoclassi di rdfs:Resource sono: ‐ rdfs:Literal: rappresenta un letterale, una stringa di testo. ‐ rdfs:Property: rappresenta le proprietà. ‐ rdf:Class: rappresenta una classe dei linguaggi object‐oriented. 

RDF Proprietà: ‐ rdf:type: Indica che una risorsa è del tipo della classe che viene specificata. ‐ rdfs:subClassOf: Indica la relazione classe/sottoclasse fra due classi. L'ereditarietà può essere multipla. ‐ rdfs:subPropertyOf: Indica che una proprietà è specializzazione di un'altra. ‐ rdfs:seeAlso: Specifica che la risorsa è anche descritta in altre parti. ‐ rdfs:isDefinedBy: Indica la risorsa "soggetto dell'asserzione", ovvero chi ha fatto l'as‐serzione. 

RDF Vincoli: ‐ rdfs:range (codominio): È utilizzato come proprietà di una risorsa; indica le classi che faranno parte di un’asserzione con la proprietà. ‐ rdfs:domain (dominio): Indica la classe a cui può essere applicata la proprietà. 

 

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Analisi e prospettive del fenomeno “Web 3.0”

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3.4 SPARQL

 SPARQL (acronimo di: Simple Protocol and RDF Que‐ry  Language)  è  un  linguaggio  di    interrogazione  per Resource Description Framework (RDF) reso standard dal Data Access   Working Group, gruppo di  lavoro del consorzio W3C,  che  lo  ha  reso  ufficiale  nel  gennaio 2008. SPARQL è un elemento  chiave del Web  semantico  e consente di estrarre  informazioni   dalle basi di  cono‐scenza distribuite sul Web. RDF descrive i concetti e le relazioni  su  di    essi  attraverso  l'introduzione  di  triple (soggetto‐predicato‐oggetto);  se  tali  triple  hanno  

degli elementi in comune emerge un grafo di conoscenza. SPARQL non fa altro che ricercare dei sotto‐grafi corrispondenti alla richiesta dell'utente che effettua la query. L'elemento chiave di RDF sono le URI che identificano le risorse in maniera univoca consentendo a chi usa SPARQL di scrive‐re query ben definite e non ambigue. L'elaborazione in SPARQL avviene  introducendo due infor‐mazioni:  il grafo dei dati   (presente sul Web) e  il grafo di query (descritto attraverso triple dall'u‐tente). L'output può   essere di più tipi, ma principalmente si utilizzano  interrogazioni di tipo esi‐stenziale  (esiste  o  meno  il  sotto‐grafo  ricercato?)  o  tabellare  (elencami  i  risultati  possibili). SPARQL può essere usato per esprimere query attraverso varie fonte di dati se i dati sono  memo‐rizzati in modo nativo come RDF o visualizzati come RDF attraverso middleware. SPARQL contie‐ne  funzionalità  per  l'esecuzione  di  query  su  pattern  graph  obbligatori  e    facoltativi  con  le  loro congiunzioni e disgiunzioni. SPARQL supporta anche l’esecuzione   di query attraverso un grafico sorgente RDF. I risultati delle query SPARQL possono  essere gruppi di risultati o grafici RDF. SPARQL adotta la sintassi Turtle, un'estensione di N‐Triple, alternativa estremamente sintetica e intuitiva al tradizionale RDF/XML. Se si considerano le seguenti triple RDF: 

 @prefix cd: <http://example.org/cd/> @prefix: <http://example.org/esempio/> :Permutation cd:autore "Amon Tobin". :Bricolage cd:autore "Amon Tobin". :Amber cd:autore "Autechre". :Amber cd:anno 1994.

 

 

Le asserzioni sono espresse  in concise sequenze soggetto‐predicato‐oggetto e delimitate da   un 

punto  fermo. @prefix introduce prefissi e namespace;  i due punti senza prefisso  (seconda riga) 

definiscono  il namespace di default. Gli URI sono  inclusi tra parentesi   angolari.  I  letterali di tipo 

stringa sono contrassegnati da virgolette. 

 

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Analisi e prospettive del fenomeno “Web 3.0”

Da un punto di  vista  sintattico, SPARQL può  ricordare SQL  (Structured Query Language),  il linguaggio per  interrogare basi di dati, anche sei due modelli di rappresentazione   sottostanti presentano notevoli differenze:  1.  Un database relazionale è caratterizzato da record organizzati  in tabelle; e  il processo di 

identificazione degli oggetti  informativi   memorizzati  tramite  record avviene  tramite  le primary e foreign key. 

2.  In RDF, ogni risorsa  è identificata da un URI. Più grafi RDF possono essere connessi in un unico grafo e  l’insieme delle informazioni circa una risorsa può essere recuperato tramite un meccanismo di unificazione sulle URI. 

 

Le query SPARQL  si basano  sul meccanismo  del  "pattern matching"  e,  in particolare,  su un costrutto,  il "triple pattern". Esse definiscono un template, chiamato Graph Pattern, che deve unificare con le triple presenti nel grafo interrogato. Dati due termini, questi unificano se: 

sono identici (sono, cioè, formalmente lo stesso oggetto); 

i  termini  sono  interamente  rappresentati o  sintatticamente  costituiti  da  variabili  e può essere   effettuata una sostituzione di tali variabili in modo tale che i due termini unifichi‐no. 

Una unificazione (matching) di un graph pattern GP su un grafo G è mottenuta da una sostitu‐zione di variabili S tale che S(GP) sia un sottografo di G.  Osservando una semplice query di selezione SPARQL, possiamo definire componenti generali:   PREFIX cd: <http://example.org/cd/> SELECT ?titolo ?autore ?anno FROM <http://cd.com/listacd.ttl> WHERE {?titolo cd:autore ?autore. ?titolo cd:anno ?anno . }

 PREFIX assegna un prefisso ad un namespace. Tale prefisso può essere utilizzato per  riferire tramite  un  qname  compatto  (rappresentato  da  <prefisso>:<resourcename>)  le  risorse presenti nel grafo da interrogare. SELECT fornisce  l’elenco delle variabili da riportare nel risultato  (nell'esempio: titolo, autore e anno). FROM  indica  la sorgente dei dati da  interrogare  (si suppone che  le triple siano  immagazzinate presso l'indirizzo fittizio ”http://cd.com/listacd.ttl").È, inoltre, possibile ricorrere a clau‐sole FROM NAMED e alla parola chiave GRAPH per specificare più insiemi di dati. WHERE definisce una serie di vincoli sulle triple da estrarre attraverso un Graph Pattern da unifi‐care  sul  grafo  interrogato.  Il  termine  WHERE può  essere  rimosso  inserendo  direttamente  il pattern tra parentesi graffe, senza alterare il risultato della query.  

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Se  si  considera  la  sintassi  generale,  si  può  dire  che  la  sintassi  per  le  parole  è  una  stringa (racchiusa  tra  virgolette  doppie,  "...",  o    singoli  apici,  '...'),  con  un  tag  di  lingua  opzionale (introdotto da @) oppure un tipo di dati  IRI opzionale, oppure un nome prefisso  (introdotto dal ^ ^).  Per comodità,  i numeri  interi possono essere scritti direttamente  (cioè  senza  le virgolette e senza  un  esplicito  tipo  di  dati  IRI)  e  vengono  interpretati  come  valori  letterali  di  tipo  xsd:integer; i numeri decimali vengono scritti con il '.' nel numero, ma con nessun esponen‐te e sono    interpretati come xsd:decimal; e  i numeri con esponenti sono  interpretati come xsd:double.  I valori di  tipo xsd:boolean sono  scritti come true o false. Per  facilitare  la scrittura di valori letterali che contengono virgolette o che sono lunghe e contengono caratte‐ri di nuova riga, SPARQL permette di inserire tali caratteri racchiudendoli in tre singoli apici. Una variabile di query viene contrassegnata  con  l'uso di una  "?" o  "$". Questi  caratteri non possono  far parte del nome della variabile.  In una query, $abc e ?abc identificano  la stessa variabile. I nodi vuoti nei pattern grafici agiscono da variabili. I nodi vuoti sono  indicati come  "_:abc", o nella  forma abbreviata "[]". Un nodo vuoto viene utilizzato  in maniera   univoca per  formare  il  triple pattern. Un nodo vuoto con etichetta viene utilizzato come oggetto di tutte le coppie predicato‐oggetto contenute. Il nodo vuoto creato può essere  utilizzato anche in altri triple pattern nelle posizioni soggetto e oggetto. Ad esempio,  le forme [ :p "v" ] e [] :p "v" allocano  un  nodo  vuoto  univoco  e  nell’espressione  [ :p "v" ] :q "w" viene utilizzato come soggetto in un triple pattern, mentre nell’espressione :x :q [ :p "v" ] viene uti‐lizzato  come  oggetto  del  triple  pattern.  I  triple  pattern  con  un  soggetto  comune  possono essere scritti in modo che quest’ultimo sia scritto solo una volta e venga utilizzato al posto di più  triple  pattern  utilizzando  la    notazione  ";",  come  ad  esempio  ?x foaf:name ?name ; foaf:mbox ?mbox. Se,  invece,  i    triple pattern  condividono  sia  il  soggetto che  il predicato, allora  gli  oggetti  possono  essere    separati  da  una  “,”,  come  ad  esempio  ?x foaf:nick "Alice" , "Alice_". Le RDF collection possono essere scritte nei triple pattern utilizzando la sintassi "(elemento1 elemento2 )".  Sono  assegnati  triple  pattern  con  nodi  vuoti  quando  vengono  utilizzati  ele‐menti nella collection, come ad esempio  (1 ?x 3 4).  Il nodo vuoto alla  testa della collection può essere utilizzato come soggetto o oggetto  in altri triple pattern.  I nodi vuoti assegnati a una sintassi di una collection non occorrono in altre parti della query.   

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Il  Web  Ontology  Language  (OWL)  è  stato  progettato  per fornire un  linguaggio  che può  essere usato per descrivere  le classi  e  le  relazioni  che  le  collegano  e  che  sono  inerenti  ai documenti e alle applicazioni Web. Questo paragrafo dimostra l'uso del linguaggio OWL per:  

formalizzare  un  dominio  definendo  le  classi  e  le  corri‐spettive proprietà ; 

definire individui e asserire delle proprietà su di essi; 

ragionare su queste classi e sugli  individui fino al grado  permesso dalla semantica formale del linguaggio OWL. 

 Le sezioni sono organizzate per presentare una definizione incrementale di un insieme di classi, proprietà  e  individui,  cominciando  dai  fondamenti  e  andando  avanti  con  i  componenti  più complessi del linguaggio. OWL è un linguaggio per definire e istanziare Ontologie Web. L’ontologia è un termine preso in prestito dalla Filosofia e si riferisce alla Scienza della descrizione del tipo di Entità del Mondo e di  come  sono  correlate  tra  loro.  Un’ontologia  OWL  può  includere  le  descrizioni  del‐le  classi,  delle  proprietà  e  delle  loro  istanze.  Una  volta  dato  questo  tipo  di  Ontologia, la semantica formale di OWL specifica come derivare le sue conseguenze logiche, ovvero i fatti che non sono presenti letteralmente nell'ontologia, ma che possono essere derivati logicamen‐te dalla semantica. Queste derivazioni logiche possono essere basate su un singolo documento o  su  più  documenti  distribuiti  che  sono  stati  combinati  fra  loro  usando  dei  predefini‐ti meccanismi OWL. OWL fornisce tre sotto linguaggi con espressività crescente che sono stati progettati per essere utilizzati da determinate comunità di sviluppatori e utenti.  

OWL Lite aiuta gli utenti che hanno soprattutto bisogno di una gerarchia di classificazione e semplici restrizioni. Per esempio, nonostante sostenga limitazioni della cardinalità, esso permette soltanto valori di cardinalità di 0 o 1. Sarebbe più semplice fornire uno strumen‐to di supporto per OWL Lite che per  i suoi parenti più espressivi. OWL Lite  fornisce un percorso di migrazione più rapido per i thesaurus e le altre tassonomie. 

OWL DL supporta tutti gli utenti che vogliono  il massimo dell'espressività senza perdere la completezza computazionale (tutte le conclusioni hanno la garanzia di essere calcolabi‐li) e  la decidibilità  (tutte  le  computazioni finiscono  in un  tempo definito) dei  sistemi di ragionamento. OWL DL comprende tutti  i costrutti del  linguaggio OWL con delle restri‐zioni, come quelle  sulla  separazione del  tipo  (una classe non può essere un  individuo o una proprietà, così come una proprietà non può essere un individuo o una classe).  

3.5 OWL

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OWL  DL  si  chiama  così  a  causa  della  sua  corrispondenza  con  la  logica  descritti‐va [Description Logics], un campo di ricerca che ha studiato un particolare frammento decidibile della Logica del Primo Ordine. OWL DL è stato progettato per supportare  la parte  relativa  alla  Logica Descrittiva  ed  ha  auspicabili  proprietà  computazionali  per  i sistemi di ragionamento. 

OWL Full è destinato agli utenti che vogliono la massima espressività e libertà sintattica di RDF senza le garanzie computazionali. Per esempio, in OWL Full una classe può esse‐re trattata contemporaneamente come una collezione di individui e come un individuo a pieno titolo. Un'altra differenza notevole dall'OWL DL è che una owl:DatatypeProperty può essere considerata come una owl:InverseFunctionalProperty. OWL Full permette ad un'ontologia di aumentare  il significato di un vocabolario predefinito  (RDF o OWL). E' improbabile che qualsiasi software di ragionamento possa sostenere un ragionamento completo per ciascuna caratteristica di OWL Full. 

 Ciascuno di questi sotto linguaggi è un'estensione del suo modello più semplice, sia in ciò che può essere  legalmente espresso sia  in ciò che può essere validamente concluso. Le seguenti affermazioni sono vere. Il loro opposto no. 

Ogni ontologia OWL Lite legale è un'ontologia OWL DL legale. 

Ogni ontologia OWL DL legale è un'ontologia OWL Full legale. 

Ogni conclusione OWL Lite valida è una conclusione OWL DL valida. 

Ogni conclusione OWL DL è una conclusione OWL Full valida.  Gli sviluppatori di ontologie che adottano OWL dovrebbero considerare quale sotto  linguag‐gio si addice meglio ai  loro bisogni. La scelta tra OWL Lite e OWL DL dipende da quanto gli utenti hanno o meno  bisogno delle strutture più espressive fornite da OWL DL. I software di ragionamento per OWL Lite dovrebbero avere preferibilmente delle proprietà computaziona‐li.  I  software di Ragionamento per OWL DL, poichè hanno a che  fare con un sotto  linguaggio decidibile, sono soggetti ad una complessità più alta nel caso pessimo. La scelta tra OWL DL e OWL Full dipende soprattutto da quanto gli utenti hanno o meno bisogno degli strumenti di meta‐modeling dello Sche‐ma RDF  (per  esempio  definizione  di  classi  di  classi).  In  con‐fronto  ad OWL  DL,  quando  si  usa OWL  Full,  il  supporto  di ragionamento  è  meno  predicibile.  Nel  momento  in  cui  un utente passa dall'utilizzo di RDF a quello di OWL DL o di OWL Lite deve prestare particolare attenzione, assicurandosi che  il documento  originale  in  RDF  soddisfi  le  limitazioni  imposte dall'OWL DL e dall'OWL Lite.  

 

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Analisi e prospettive del fenomeno “Web 3.0”

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In questo capitolo verranno trattate le principali innovazioni del “Web 3.0”. Si inizierà col trattare l’ontologia e la semantica che stanno alla base di questo fenomeno. Successivamente verranno introdotte le applicazioni mashup, che possono essere considerate “il ponte” tra Web 2.0 e Web 3.0. Dopo di ciò saranno introdotte le innovazioni che verranno portate all’e-Learning e lo sviluppo delle Intelligenze Artificiali. In conclusione, si darà uno sguardo al futuro e a quello che potrebbe essere il Web 4.0.

4. HOW, OVVERO …. LE PRINCIPALI INNOVAZIONI

Analisi e prospettive del fenomeno “Web 3.0”

1

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2 La Semantica 1 L’Ontologia 3 I Mashup

4 L’e-learning 5 L’intelligenza Artificiale 6 Uno sguardo al

futuro

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4.1 L’ONTOLOGIA

Uno dei metodi ad oggi più efficiente per rappresentare formalmente un insieme di concetti è  la  rappresentazione   mediante ontologie. “L’Ontologia”  è  un  termine  che  deriva dalla filosofia ma  che, pian piano, ha  as‐sunto  un  ruolo  specifico  in  diversi  campi della ricerca, soprattutto nell’informatica, con  la  rappresentazione,  la  creazione  di modelli  qualitativi,  la  progettazione  di database  e  sistemi  informativi,  il  reperi‐mento e l’estrazione delle informazioni, lo sviluppo di software orientati agli oggetti, la gestione e  l’organizzazione della cono‐

scenza e lo sviluppo di sistemi basati su Agenti Intelligenti. T.R. Gruber definì l’ontologia come: “unaspeci icazionediunaconcettualizzazione”, in quan‐to una rappresentazione formale di un insieme di conoscenze è una concettualizzazione, ossia un insieme di oggetti, concetti e relazioni fra di essi che esistono  in una particolare area d’inte‐resse.  Con questo termine si intende, quindi, la descrizione delle entità presenti in un sistema e delle loro  relazioni. Un’ontologia quindi non è un  semplice  vocabolario di  termini, ma una  rete di relazioni  tra entità definite; essa ha numerose  interpretazioni dipendenti dal contesto: viene, infatti, usata per descrivere realtà con livelli strutturali diversi, quali le tassonomie e gli schemi di metadati (come il Dublin Core). Alla base del Web Semantico, e della semantica in generale, ci sono le ontologie con un livello strutturale elevato poiché devono descrivere specificamente  i concetti di classe  (cose generi‐che nei vari domini di  interesse), di relazioni esistenti tra  le classi e di proprietà o attributi. La costruzione  di  ontologie  dovrebbe  concentrarsi  solo  sulle  qualità  rilevanti  per  l’essenza  del contenuto e valide per l’uso, tenendo in conto il numero degli utenti, quanto valore i metadati producono per loro e i costi relativi; se questi sono superiori al valore prodotto non c’è ragione di realizzare un’ontologia, anche se, in effetti, alcune qualità che valorizzano l’essenza del con‐tenuto sono difficili da identificare. All’interno di una comunità le ontologie possono rivelarsi molto utili per strutturare e definire il significato  dei  termini  dei metadati  usati.  Esse  si  rivelano  però  critiche  per  applicazioni  che cercano o mescolano  informazioni da comunità diverse: uno stesso termine può essere usato con significati diversi in contesti differenti e termini diversi possono essere usati per documenti che hanno lo stesso significato. Il processo di mapping consente di rendere compatibili contenuti diversi e  i  loro metadati se‐mantici, definendo regole con cui si possono omogeneizzare i metadati forniti da fonti   etero‐genee di dati.  

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Il mapping può avere livelli diversi di complessità e può coinvolgere la  traduzione di un’onto‐logia nella sua controparte semanticamente equivalente  in altre ontologie. Quando ontolo‐gie di origine e di destinazione non contengono concetti semanticamente equivalenti sorgo‐no problemi molto più complessi, come l’uso di concetti multipli o cambiamenti nell’ontolo‐gia originaria. È comunque preferibile passare da un formato a un altro piuttosto che produr‐re formati intermedi: più sono i formati, maggiore è il vantaggio di usare metodi riutilizzabili e un comune formato ontologico di metadati semantici originario cui tutte  le parti rilevanti devono aderire, anche se è normale che diversi stadi del contenuto abbiano proprie ontolo‐gie. La modellazione delle ontologie avviene per classi. Il meccanismo dell’ereditarietà consente di definire un’unica volta gli attributi che classi ad uno stesso livello ereditano da un padre. La possibilità di definire un’altra classe come valore di un attributo consente di stabilire qualsiasi tipo  di  relazione  fra  classi. Queste  sono  relazioni  in  quanto  si  può  esprimere  il  valore  di quell’attributo solo servendosi di  istanze della classe a cui punta. Generalmente può essere buona norma non dare alle classi nomi a volte al plurale e a volte al singolare. Si può essere portati a utilizzare  il plurale per classi che dovranno contenere più  individui,  il singolare per classi che  indicano realtà generiche o astratte. Un’altra cosa da tenere  in considerazione è  il fatto che l’albero dell’ontologia deve essere bilanciato nella granularità. Il Web Semantico è un ambiente dichiarativo, in cui si specifica il significato dei dati, e non il modo in cui si intende utilizzarli. La semantica dei dati consiste nelle informazioni utili perché la macchina  possa  utilizzarli  nel modo  corretto,  eventualmente  convertendoli.  Gli  agenti informatici sono, infatti, in grado di comprendere le relazioni tra le informazioni e coordinano questa  loro capacità di comprensio‐ne con  le  richieste specifiche dell’u‐tente,  collegando  l’informazione presente nelle pagine Web a concet‐ti  astratti  organizzati  in  una  gerar‐chia  che  è,  appunto,  l’ontologia;  a sua volta descritta in un meta docu‐mento.  L’adozione  universale  di standard  aperti  per  la  rappresenta‐zione  e  la  condivisione  della meta informazione  rende  le  macchine capaci  di  analizzare  tutti  i  dati  sul Web e di capirne i contenuti.  L’idea  del  Web  semantico  nasce, quindi  semplicemente  estendendo l’idea di utilizzare schemi per descri‐vere domini di  informazione  in cui  i metadati mappano i  dati rispetto a  

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classi, o concetti, di un certo schema di dominio, determinando strutture capaci di descrivere e automatizzare i collegamenti esistenti fra i dati. Il Web semantico è multilivello; esso si compo‐ne fondamentalmente di tre livelli:   1.  l’informazione, quindi le risorse Web; 2.  i metadati, quindi l’informazione relativa ai contenuti di una risorsa; 3.  le ontologie, quindi  la descrizione attraverso  l’esplicitazione di una  rete di  relazioni del 

significato delle asserzioni usate  relativamente alla descrizione dei dati.   Un  sistema  così  strutturato,  basato  sullo  standard URI  (Uniform Resource  Identifiers)  per  la definizione  univoca  di  indirizzi  Internet,  su  XML  (Extensible  Markup  Language)  e  RDF (Resource Description Framework) nonché sull’uso delle ontologie, è in grado di riconoscere le risorse che contengono ciò che noi cerchiamo e garantisce l’accesso all’informazione, stabilen‐do la corrispondenza tra un segno e una sua certa semantica, e muovendosi in essa per reperire solo le referenze utili del segno, tralasciando quelle che non si accordano con la richiesta. Al di sopra dei metadati e RDF, quindi, si pone  il  livello ontologico,  in cui vengono descritte  le relazioni tra i tipi di elementi senza, però, fornire informazioni su come utilizzare queste ultime dal punto di vista computazionale. Il livello logico è il livello immediatamente superiore a quello ontologico,  qui  le  asserzioni  esistenti  sul Web  possono  essere  utilizzate  per  derivare  nuova conoscenza. Il Web semantico non si basa, dunque, su una rigida gerarchizzazione degli elementi e non è un database che divide tutti  i dati  in rigide categorie:  le ontologie che definiscono  le relazioni fra elementi  possono  sempre  essere  arricchite  e  specificate,  pur  essendo  auspicabile  che  i  vari domini utilizzino una stessa semantica. E’ possibile distinguere due tipi principali di onto‐logie, quelle di scopo o fondazionali (task ontolo‐gy) che rappresentano la struttura dei processi, e quelle  di  dominio  (domain  ontology),  che  forni‐scono gli oggetti specifici dell’applicazione. I legami esistenti tra questi due tipi sono espressi nel seguente elenco:  

Le  ontologie  fondazionali  possono  essere riutilizzate  e  specializzate  in  ontologie  di dominio. 

   

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 Le ontologie di dominio hanno lo scopo di caratterizzare un dominio di analisi preciso, individuandone le primitive teoriche più adatte ad affrontare i problemi per i quali esse vengono costruite. 

Idealmente, le ontologie di dominio dovrebbero quindi appoggiarsi a un’ontologia fon‐dazionale che mostri e indirizzi le scelte di modellazione. 

Solo  alla  fine  di  questo  processo  di  specializzazione  si  possono  costruire  ontologie orientate alle applicazioni veramente funzionali. 

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4.2 LA SEMANTICA

Per Semantica si intende quel ramo della linguistica che si occupa dei fenomeni del linguaggio, non dal punto di vista fonetico e morfologico, ma guardando al loro significato. Nel mondo  informatico,  si  parla  di  intelligenza  semantica  per  indicare  quelle  tecnologie  in grado di  trasformare  informazioni non  strutturate,  come, ad esempio,  i  contenuti di un  sito Web, in un insieme, e quindi un database, di informazioni strutturate, che può essere interpre‐tato  ed  elaborato  automaticamente  sulla  base  delle  proprietà  semantiche  dei  dati.  In  altre parole, l'intelligenza semantica è in grado di lavorare con i "concetti", ciò è reso possibile dalla combinazione di analisi  semantica e codici di mark‐up, che  riescono a  tradurre  in  linguaggio informatico  i domini della conoscenza ottenendo  le ontologie, uno schema concettuale esau‐stivo e rigoroso che rappresenta tutte le entità di contenuto rilevanti all'interno di un determi‐nato dominio e le relazioni esistenti fra di esse. L'intelligenza semantica è il paradigma alla base della fase 3.0 del Web. In questa estensione, il World Wide Web si trasforma  in un ambiente dove  i documenti pubblicati (pagine HTML, file, immagini e così via) diventano interpretabili, vengono cioè associati ad informazioni e metada‐ti che ne specificano il contesto semantico in un formato adatto all'interrogazione, all'interpre‐tazione e, più in generale, all'elaborazione automatica. Per fare ciò Il Web Semantico si basa sul paradigma  che qualunque  tipo di  fonte, e  in particolare  le  fonti  informative non  strutturate, siano codificate tutte con gli stessi criteri. I documenti dovranno, quindi, condividere  la  lingua in cui sono scritti, ad esempio il Web Ontology Language (OWL), un linguaggio di markup che rappresenta esplicitamente  significato e  semantica dei  termini  con  vocabolari e  relazioni  tra essi, o  l'RDF  (Resource Description Framework),  lo  strumento base proposto dal W3C per  la codifica,  lo  scambio e  il  riutilizzo di metadati  strutturati e  che  consente  l’interoperabilità  tra applicazioni che  si  scambiano  informazioni  sul Web. Grazie all'interpretazione del contenuto dei documenti,  il Web Semantico renderà possibili ricerche molto più evolute delle attuali, ed altre operazioni specialistiche, come  la costruzione di  reti di  relazioni e connessioni tra docu‐menti secondo logiche più elaborate del semplice link ipertestuale.  

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Ad esempio, se oggi una ricerca su Google tramite  la parola "libro" restituisce  le occorrenze del termine, in un contesto semantico la stessa ricerca sarà in grado di restituire il documento che effettivamente corrisponde ad un libro. 

Xmanager  è  un  Enterprise Content Manager  di  nuova  generazione  per  lo  sviluppo  del Web 3.0 e del Mobile Internet. Attraverso intuitive interfacce Web consente di raccoglie‐re,  produrre,  pubblicare  ed  aggiornare  le  informazioni  in modo  lineare  e  rapido.  Esso, inoltre, permette di gestire con un’unica applicazione diversi canali di comunicazione, dal Web  tradizionale, al Mobile  Internet, alla Web TV. Fonti dati di origine diversa possono essere organizzate, messe in relazione ed utilizzate secondo diverse destinazioni d’uso, e ripubblicate sotto forma di servizi Web. Xmanager lavora in modo semantico secondo un percorso di sviluppo che prevede:  

1.  L'utilizzo di un modello  relazionale dei dati. Con Xmanager    l'utente è  in grado di trasformare il dato da non strutturato a strutturato assegnando ad esso un modello che ne definisce gli attributi e ne ricostruisce  le relazioni  logiche con altre tipologie di dati;  il dato è modellabile  in maniera  totalmente  libera e flessibile;  la  struttura delle  informazioni può variare a  seconda delle esigenze e della destinazioni d'uso. Pochi sono oggi i CMS che lavorano con dati relazionali. 

2.  L'implementazione di un dato propriamente e pienamente semantico. Xmanager è in grado di produrre in output un dato che potrà essere letto automaticamente dalle macchine  (machine‐readable)  e  da  applicazioni  esterne.  Tutto  ciò  avviene  in  due step: 

All'interno del codice HTML, Xmanager  incorpora dei tag che forni‐scono  informazioni  semantiche  codificate  secondo  gli  standard condivisi del Web 3.0 come, ad esempio, i microformat (una parte di mark‐up  che  consente  espressioni  semantiche  in  una  pagina Web HTML). 

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Il dato utilizzato da Xmanager, oltre ad essere relazionale, diventa di fatto un'ontologia, caratterizzata da relazioni di livello più alto e capace di dare origine a "ragionamenti automatici" e  inferenze che estraggono dal dato proprietà non esplicite. 

Alla fine di questo percorso di sviluppo la modellazione del dato diventerà più facile e flessibile e soprattutto aperta a  infinite possibilità di  riutilizzo e condivisione delle  informazioni e della conoscenza sulla rete. 

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Il  termine  “mashup”  deriva dall’inglese, e vuol dire  letteral‐mente  “poltiglia”.  Con  questo termine,  infatti,  si  indicano applicazioni  nate  dall'unione  di dati  e  informazioni  provenienti da  varie  fonti  con  l'obiettivo di offrire all'utente nuove funzioni e  servizi  raccolti  in  un'unica interfaccia. Le  applicazioni mashup  posso‐no essere definite come il ponte tra il Web 2.0 e il Web 3.0, infat‐

ti, queste, nonostante siano nate e  si siano iniziate a sviluppare nell’ era del Web 2.0, portano con loro i concetti base del Web 3.0, e proprio per questo motivo potrebbero essere alla base dello sviluppo dello stesso, rappresentando un punto di partenza per tutte le sue innovazioni. Per capire meglio cosa sono  le applicazioni mashup basta fare un semplice esempio;  infatti, un’applicazione di questo tipo potrebbe aiutare un utente nella ricerca di un ristorante, com‐binando Google Maps  a  una  rivista  di  ristoranti;  così  facendo,  l’utente  non  solo  potrebbe leggere e vedere foto e  informazioni sui ristoranti, ma potrebbe perfino vedere  la  loro posi‐zione e le indicazioni su come raggiungerli. Un  ruolo  fondamentale per  i mashup è  rivestito dagli open data;  infatti,  se gli  sviluppatori indipendenti  non  potessero  accedere  a  grandi  archivi  di  dati  (cosa  permessa  e  garantita, invece, grazie agli open data) sarebbe per loro impossibile combinarli per creare nuove tipolo‐gie di applicazione. Un ruolo altrettanto  importante è stato rivestito dai blog, ma anche dai forum e dai siti  Internet di rating e recensioni, che hanno permesso agli utenti di esprimere liberamente i propri pensieri e le proprie opinioni. Le caratteristiche salienti delle applicazioni di mashup sono la combinazione, la visualizzazio‐ne  e  l'aggregazione.  È  fondamentale,  in  quest’ottica,  riuscire  a  creare  nuovi  prodotti  che utilizzino una combinazione di dati già esistenti, rendendoli più utili sia a livello personale che a livello professionale. Affinché sia possibile accedervi sempre e da qualsiasi luogo, le applica‐zioni sono conservate online. Ci sono diverse tipologie di mashup; è possibile, infatti, suddividere questo tipo di applicazio‐ni in quattro macro‐categorie, ovvero mapping, multimedia, shopping e ricerca e notizie.  1.  I mashup di mappe sono tra  i più conosciuti e utilizzati: servono a combinare dati geo‐

grafici  con  informazioni  e  statistiche  di  tutt'altro  genere.  Utilizzando,  ad  esempio, le API di Google Maps, o qualsiasi altro  servizio di  cartografia digitale,  sarà possibile realizzare delle cartine interattive, grazie alle quali mostrare dati statistici e demografici collegati direttamente con le zone di rilevazione. Il fatto che queste API fossero pubbli‐che ed aperte ha permesso, quindi, agli sviluppatori Web di combinare tutti questi tipi di dati e di mostrarli su delle mappe.  

4.3 I MASHUP

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Sulla  scia  della Google,  anche  altre  società  come Microsoft  (con Virtual Earth), Yahoo (con Yahoo Maps), e AOL (MapQuest) si sono mosse in tal senso. 

2.  L'emergere di piattaforme che, da una parte, consentono  la conddivisione di fotografie, e , dall’altra, fungono da social network (basti pensare a Pinterest, Instagram e Flickr),  ha portato alla nascita di mashup multimediali, dove  foto e video  vengono  legati a dati e informazioni di natura eterogenea. Sfruttando la presenza di metadati legati alle immagi‐ni  e  ai  video  (descrizioni,  geolocalizzazioni,  tag,  etc.)  è  possibile  creare,  per  esempio, un’applicazione che potrebbe analizzare canzoni o poesie e creare dei mosaici o dei colla‐ge  di  foto  in  tema,  oppure  visualizzare  un  grafico  del  social  networking  basandosi  sui metadati più comuni nelle foto (soggetto, data di scatto, etc.), oppure, ancora, di un sito Web (come un sito di news tipo CNN) che estrae dalle news  le foto da visualizzare nelle news  sfruttando  l'analisi  del  confronto  fra  le  parole  contenute  nella  news  e  i  tag  delle foto. 

3.  I  mashup  di  ricerca  e  shopping  precedono  di  molto  la  stessa  comparsa  del  termine “mashup”.  Sin  dagli  albori  dell'informatica, molti motori  di  ricerca  e  servizi  analoghi (come BizRate,PriceGrabber, MySimon, e Google's Froogle) permettevano di combinare tra loro tecnologie B2B (business‐to‐business) e screen‐scraping per ottenere la più ampia comparazione di prezzi possibile. Oggi, grazie al mashup, gli utenti possono usufruire di servizi di ricerca legati allo shopping sempre più efficienti e utili, che vanno dalla compa‐razione dei prezzi sino all'indicazione del punto vendita più vicino dove acquistare ciò che si sta cercando. 

4.  La combinazione di flussi di notizie e di  feed RSS e Atom provenienti da varie  fonti ha permesso di dare vita a mashup  informativi dove è  l'utente  stesso a  scegliere gli argo‐menti  o  le  sezioni  di  interesse;  in  questa  categoria  Flipboard  e  Feedly  rappresentano esempi importanti. In questo modo chiunque sarà in grado di creare un quotidiano perso‐nalizzato da sfogliare ogni mattina sul proprio smartphone o tablet; infatti, questo tipo di applicazioni permette di aggregare i feed dell’utente, di presentarli sul Web, in modo tale da consentire la creazione di un giornale personalizzato che si rivolge a particolari interes‐si del lettore. Un esempio potrebbe essere Diggdot.us, che combina i feed provenienti da fonti di news tecnologiche come Digg.com, Slashdot.org, e Del.icio.us. 

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Analisi e prospettive del fenomeno “Web 3.0”

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Analisi e prospettive del fenomeno “Web 3.0”

 L'architettura  di  un mashup  è  composta  da  tre  parti  principali,  logicamente  e  fisicamente distinte, e che sono probabilmente separate sia da limiti di network che organizzativi; queste tre parti sono:  1)  i fornitori di contenuti/API; 2)  il sito mashup; 3)  il Browser Web dell'utente.  

I fornitori di contenuti/API sono talvolta, anche inconsapevolmente, i creatori di conte‐nuti che vengono uniti. Per permettere  la ricezione dei dati,  i fornitori spesso rendono pubblici i loro contenuti attraverso opportuni protocolli Web come REST, Web Service, e RSS/Atom  chiaramente,  ancora molte  fonti  potenziali  di  dati  hanno  deciso  di  non rendere pubbliche le loro API. I mashup che estraggono contenuti da siti come Wikipe‐dia, TV Guide, e virtualmente  tutti  i  siti di pubblico dominio e governativi,  riescono a farlo attraverso una tecnica chiamata screen scraping che si può definire come il proces‐so che usa degli strumenti software per analizzare contenuto originalmente scritto per essere  letto da esseri umani  con  la finalità di estrarne  strutture di dati  semantici  che rappresentano queste  informazioni  in modo tale da consentire  il  loro utilizzo e  la  loro manipolazione in modo pragmatico. 

Il sito mashup è il luogo nel quale il mashup viene ospitato. E’ qui che risiede la sua logi‐ca, ma non  il  luogo nel quale viene eseguito. Da un  lato, un mashup può essere  imple‐mentato allo stesso modo delle tradizionali applicazioni Web che sfruttano  le tecnolo‐gie  lato‐server per generare contenuto dinamico, quali Java servlet, CGI, PHP o ASP. In alternativa,  il contenuto può essere generato direttamente nel Browser dell'utente attraverso un linguaggio di scripting lato client (JavaScript) o delle applet. Questa logica lato‐client  rappresenta,  spesso,  la  combinazione  di  codice  direttamente  incorporato nella  pagina  Web  del  mashup  come librerie  o  applet  di  scripting API  riferite ad  essa.  I  mashup  che  utilizzano  tale approccio  sono  chiamati  Rich  Internet Application (RIA), volendo sottolineare  il fatto  che  sono molto  orientate  all'inte‐rattività  con  l’utente.  I  benefici  del ma‐shing  lato‐client  includono  un  minor carico nelle risorse del server (i dati ven‐gono  ricevuti direttamente da  chi  forni‐sce  i  contenuti)  e  un'esperienza  utente più  fluida  (si  possono  richiedere  degli aggiornamenti su porzioni di una pagina senza doverla ricaricare tutta ).   MASHUP

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Le API di Google Maps sono progettate per accedere, tramite JavaScript, a  livello Brow‐ser, e questo è un perfetto esempio della tecnologia lato‐client. Spesso i mashup combi‐nano la logica lato server e client per riuscire ad aggregare i dati. Molte applicazioni ma‐shup usano dei dati forniti direttamente dalla loro basi di utenti, mantenendo almeno un database  in  locale.  Inoltre, fare delle query complesse su fonti di dati multiple   richiede‐rebbe dei calcoli che sarebbero impossibili da effettuare nel Browser dell'utente. 

 

l Browser Web dell'utente, sono i punti in cui l'applicazione prende corpo a livello grafico e dove  ha  luogo  l'interazione  con  l'utente.  Come  già  detto  precedentemente,  i mashup fanno spesso uso della logica lato‐client per assemblare e ricomporre il contenuto assem‐blato. 

60 |Versace Pasquale 

Analisi e prospettive del fenomeno “Web 3.0”

M  A   S 

H  U  P 

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Analisi e prospettive del fenomeno “Web 3.0”

4.4 L’E-LEARNING

Gli studiosi, con l’avvento del Web 3.0, hanno iniziato a introdurre il termine e‐learning 3.0; esso  rappresenta  la mo‐dalità di istruzione che hanno alla base i concetti del Web 3.0. Infatti, l’emergere del cloud computing e  la  disponibilità  di  nuove  tecnologie, come  il  collaborative  filtering  intelli‐gent, una maggiore affidabilità e capa‐cità di archiviazione dati, una risoluzio‐

ne dello schermo più elevate, dispositivi multi‐gesture e un'interfaccia utente sia touch che3D ci stanno portando nella prossima generazione di e‐Learning. Alla  base  di  questa  generazione  ci  sarà  l'accesso  onnipresente  alle  risorse  didattiche  con l'utilizzo di dispositivi mobili che permetteranno, inoltre di accedere a praticamente qualsiasi cosa, in qualsiasi momento e da qualsiasi parte. Gli studiosi   suggeriscono,  inoltre,  l'uso dell’  Intelligenza Artificiale e del Data Mining per  la costruzione dei sistemi di e‐learning che abbiano la capacità di vagliare e ordinare grandi moli di dati (big data), e fornendo al discente una comprensione migliore e più profonda. Inoltre,  si  ritiene  che  il  concetto  alla  base  della  nuova  educazione  che  si  può  definire “anytime, anywhere and anybody”, cioè  in qualsiasi momento, ovunque e per chiunque, sarà sostenuto dall’ “anyhow”, cioè dal “comunque”, che sarà fornito da mondi virtuali 3D. Con  il passaggio dalle tecnologie ben consolidate del  Web 2. 0 al Web 3.0,ci sarà, quindi, una nuova visione riguardo l’apprendimento personale (PLE), che sarà basato sulla personalizzazione. "La personalizzazione è vista come l'approccio chiave per gestire la sovrabbondanza diinformazioninellasocietàd’oggi,basatasullaconoscenza". Nonostante non siano presenti ufficialmente molti sistemi basati  totalmente sull’e‐learning 3.0, si possono trovare alcuni prototipi funzionanti. Uno dei primi servizi on‐line per usare  in modo automatico e  intelligente  il Web Semantico, organizzando  le  informazioni sugli  inte‐ressi specifici dell’utente, è Twine. Un altro esempio di un vero e proprio sistema di e‐learning 3.0 è AHKME  (Adaptive Hypermedia Knowledge Management E‐Learning Platform), un e‐Learning Information System che ha esigenze di apprendimento compatibile con una filoso‐fia Web 3.0. Se si considerano  le diverse generazioni del Web, si può creare un quadro completo.  Infatti, se il Web 1.0 è stato definito come il Web di sola lettura ed il Web 2.0 come il Web di lettura e scrittura, il Web 3.0 può essere definito come il Web di lettura, scrittura e collaborazione. Allo stesso tempo, l’e‐Learning 1.0 si concentra sul fornire all'utente semplicemente l’accesso ad  

3.0

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informazioni; con l’e‐Learning 2.0, in aggiunta a tutte le funzionalità dell’e‐Learning 1.0 vengo‐

no fornite all’utente l’authoring e la capacità di interagire con gli altri. Infine, l’e‐Learning 3.0, abilitato e arricchito con le tecnologie del Web 3.0 promuoverà in modo 

intelligente  la collaborazione, ricca di apprendimento virtuale  in ambienti 3D, che porteranno 

gli  studenti  a  stare  insieme  e,  utilizzando  le  funzionalità  semantiche,  analizzare  i  database 

globali della conoscenza.  

Il rapporto tra le generazioni del Web e di e‐Learning sono riassunti nella seguente tabella: 

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Analisi e prospettive del fenomeno “Web 3.0”

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Analisi e prospettive del fenomeno “Web 3.0”

4.5 L’INTELLIGENZA ARTIFICIALE

Durante il periodo del Web 2.0, il volume di contenuti, le comunicazioni sul Web e le vie digi‐tali  su  cui  sono  consegnate,  sono  cresciuti  in modo  significativo,  costringendo gli utenti  a cercare, attraverso una crescente montagna di dati disorganizzati, memorizzati in una varie‐tà di formati, le informazioni di interesse. In questa  realtà  si  inserisce  il Web 3.0, e  l'Intelligenza Artificiale  (AI), che  supporterà  il  suo controllo e il suo utilizzo. Con AI si intende lo studio dei sistemi finalizzati a far svolgere ai computer funzioni e ragiona‐menti tipici della mente umana; il termine "Intelligenza Artificiale” è stato coniato dal mate‐matico americano John McCarthy negli anni  '50 al fine di raggruppare tutti quegli studi che mirano a "far fare allemacchine delle cose che richiederebbero l'intelligenza se fosserofattedagliuomini". I maggiori colossi informatici in questi ultimi anni si sono mossi per facilitare la user experien‐ce; ad esempio, Gmail recentemente ha aggiunto una nuova caratteristica che analizza le e‐mail precedenti e formula consigli nel momento in cui si deve nuovamente inviare una email. Allo stesso modo, LinkedIn identifica le persone che l’utente potrebbe conoscere consultan‐do una rete di collegamenti, e Facebook fa lo stesso al fine di aiutare gli utenti a identificare i contatti utili nell’ambito di una grande mole di informazioni.  La prima azienda a promuovere l'Intelligenza Artificiale come un vantaggio competitivo fu la Apple  con  l'iPhone 4S,    appositamente per  la  sua  caratteristica Siri, un bot di  intelligenza artificiale che raccoglie le richieste fatte dall'utente, che siano una domanda, un commento, o un comando. Questa tecnologia è stata pian piano trasferita anche in molte funzioni online, al  punto  che  il Web  3.0  può  potenzialmente  offrire  una  navigazione  senza mai  toccare  la tastiera. Lo scopo della maggior parte delle tecnologie odierne, infatti, è quello di fare di più per l’utente, affinché quest’ultimo possa fare il meno possibile.  

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Ed è proprio basandosi su questo progetto, che Google ha già integrato la possibilità di parlare per effettuare ricerche nel proprio browser Chrome, attraverso Google Now. Sempre Google  ha  recentemente  presentato  una macchina  auto‐guida  capace  di  effettuare escursioni senza che l’utente debba toccare il volante. In questa linea ricadono, anche, le molte 

auto che hanno le caratteristiche di parcheggio automatico installate.  Associato al concetto di  Intelligenza Artificiale è quello di  realtà aumentata; basti pensare ai 

Google Glass e a quello che permettono di fare. 

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Analisi e prospettive del fenomeno “Web 3.0”

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Analisi e prospettive del fenomeno “Web 3.0”

4.6 UNO SGUARDO AL FUTURO

Il Web 4.0 è ancora soltanto un'idea e 

pertanto, non esiste una definizione 

abbastanza precisa di come dovrebbe 

essere. Con molta probabilità, però, è 

possibile affermare che il Web 4.0 sarà 

anche conosciuto come Symbiotic Web. 

Viene definito in tale modo perché il 

sogno del Web 4.0 è di arrivare all’inte‐

razione tra esseri umani e macchine, in 

simbiosi. Sarà possibile costruire inter‐

facce più potenti, come interfacce che 

tramite Web 4.0 controllino la mente. In parole semplici, le macchine sarebbero più abili nel 

leggere il contenuto del Web, e nel reagire decidendo cosa eseguire prima di caricare i siti 

Web, in modo più veloce e con maggiore qualità e prestazioni, costruendo più interfacce per 

il comando. 

Il Web 4.0 sarà il Web  di lettura, scrittura, esecuzione e concorrenza. Si può affermare quasi 

con certezza che raggiungerà una massa critica di partecipanti a reti online che offriranno la 

trasparenza globale, il controllo, la distribuzione, la partecipazione e la collaborazione in 

comunità chiave per la vita sociale.  

IlWeb 4.0 sarà come un middleware che inizierà a funzionare come un sistema operativo, che 

sarà parallelo al cervello umano e implicherà una massiccia rete di interazioni intelligenti. 

Sebbene non vi sia alcuna idea esatta per quanto riguarda il Web 4.0 e le sue tecnologie, si ha 

la certezza che ci si sta muovendo verso l'uso dell’Intelligenza Artificiale per arrivare ad un 

Web ancora più intelligente del precedente. 

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Analisi e prospettive del fenomeno “Web 3.0”

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5. PROS E CONS, OVVERO ….I PUNTI DI FORZA E DI DEBO-LEZZA

Analisi e prospettive del fenomeno “Web 3.0”

1

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1 I Pro

In questo capitolo verranno trattati i punti di forza e di debolezza del Web 3.0. Si inizierà con il descrivere gli aspetti positivi di questo fenomeno ed, in conclusione analizzeremo i suoi aspetti negativi.

2 I Contro

Web 3.0

Web 3.0

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5.1 I PRO

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Analisi e prospettive del fenomeno “Web 3.0”

Dopo aver  introdotto tutte  le caratteristiche e le principali innovazioni del fenomeno Web 3.0, si  farà un bilancio generale sottolinean‐do gli aspetti positivi e quelli negativi. Si inizierà analizzando gli aspetti positivi. Alla  base  del Web  3.0,  come  detto,  c’è  la semantica; pertanto, il vantaggio più grande sarà rappresentato dal fatto che  il Web sarà effettivamente  come  un  enorme  database, portando al miglioramento della user expe‐rience.  L’utente,  infatti,  si  troverà  di  fronte ad un Web capace di rispondere ad una qual‐siasi  sua  richiesta,  in  modo  più  veloce  e, sicuramente  più  pertinente.  Finalmente, quindi, si potranno effettuare ricerche molto più  complesse  e  specifiche,  e,  allo  stesso 

tempo,  ottenere  risultati molto  più  concreti,  in  quanto  non  sarà  più  necessario  navigare attraverso diverse pagine prima di trovare il risultato desiderato, ma sarà lo stesso Web che, cogliendo il significato della domanda, restituirà soltanto i risultati inerenti. La conoscenza sarà alla portata di tutti;  infatti, con  lo sviluppo dell’Intelligenza Artificiale, navigare sarà sempre più comodo e facile, arrivando ad una situazione  in cui  l’utente sarà sempre connesso. Tutto ciò favorirà lo scambio di informazioni tra i diversi utenti, tramite i diversi blog e social network, che continueranno a crescere sia per quantità che per numero di partecipanti. Questo Web risulterà, inoltre, molto più semplice ed intuitivo, così da favori‐re anche gli utenti meno esperti. Oltre a semantico,  il Web 3.0 è stato definito  intelligente; questo perché, nel momento  in cui un utente cercherà nel Web,  il browser  imparerà  i suoi  interessi, e più un utente conti‐nuerà nella navigazione e più  il Web apprenderà da  lui, fino al punto  che, un giorno, nel momento in cui si effettueranno delle domande aperte e specifiche, sarà lo stesso browser che, consultando il suo archivio, e basandosi su ciò che allo stesso utente piace e non piace, sarà in grado di suggerire una lista di opzioni valide. Si arriverà, quindi, in un momento in cui il Web non sarà più visto come un mezzo per ottenere  informazioni, ma sarà esso stesso a fornircele. 

  

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Analisi e prospettive del fenomeno “Web 3.0”

Nonostante siano molti gli aspetti positivi, ogni  innovazione porta con sé qualche aspetto negativo; nel presente paragrafo verranno trattati questi ultimi. Il primo aspetto negativo è associato, ovviamente, alla tempistica; infatti, ci vorrà una lunga 

ristrutturazione dei siti Web affinché si possa passare da un Web “caotico” come il Web 2.0, 

ad uno altrettanto ricco di informazioni, ma ordinato, come il Web 3.0. 

Inoltre, come si è precedentemente detto, il fenomeno Web 3.0 porterà con se uno sviluppo 

ancor più massiccio dei Social Network, soprattutto per quanto riguarda il numero di utenti 

iscritti. Tutto ciò, da una parte, sarà utile in quanto creerà un collegamento universale, ma, 

allo stesso tempo, porterà all’emarginazione di chiunque non vi sia iscritto. Ovviamente, tale 

diffusione  porterà,  inoltre,  all’addio  delle  barriere  della  privacy;  infatti,  basteranno  pochi 

click per trovare qualsiasi tipo di informazione di chiunque sia iscritto. Tutto ciò sarà causa di 

un altro svantaggio; infatti, le aziende potrebbero sfruttare le nostre informazioni e le nostre 

ricerche nel marketing. 

Un ultimo aspetto negativo sarà causato dalla semplicità di connessione; questo porterà  le 

persone a spendere sempre più tempo su Internet, portandole a vivere in simbiosi con il loro 

computer o cellulare, e allontanandole sempre di più dalla vita reale.  

5.2 I CONTRO

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Analisi e prospettive del fenomeno “Web 3.0”

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CONCLUSIONI

In questa  tesi è stato  introdotto  il Web 3.0, ovvero  il Web del  futuro. Esso  rappresenta 

l’evoluzione del Web 2.0 ed è basato sulla semantica, che renderà il Web molto più sem‐

plice e  intuitivo per  l’utente. Questa  importante caratteristica,  infatti, permetterà all’u‐

tente, una volta effettuata una ricerca, di ottenere immediatamente i risultati più signifi‐

cativi e in linea con ciò che ha realmente cercato.  

 

Nella tesi è stato inizialmente introdotto tale fenomeno, e i suoi promotori, Jeffrey Zeld‐man, che fu il primo ad utilizzare questo nome, e Tim Berners‐Lee, che ne fu il vero idea‐tore. Successivamente è  stata descritta  la  storia del Web,  approfondendo  il passaggio che ha portato a tale fenomeno e le sostanziali differenze con le generazioni precedenti.  Sono state  trattate,  inoltre,  le principali  innovazioni e caratteristiche del Web 3.o, defi‐

nendo, innanzitutto, la semantica e l’ontologia, che stanno alla base del fenomeno stes‐

so, e quindi le tecnologie, ovvero RDF, SPARQL ed OWL, che renderanno possibile tutto 

ciò.  Ci  si  è  soffermati,  inoltre,  sulle  applicazioni mashup,  che,  nonostante  siano  nate 

durante il periodo del Web 2.0, portano con loro i concetti base del Web 3.0, e che, quin‐

di ,potrebbero rappresentare delle linea guida per tale fenomeno. 

 

Nell’ultima parte della  tesi sono stati esposti  i possibili pro e contro del Web 3.0, e si è dato uno sguardo al futuro, delineando quello che, con molta probabilità, potrebbe esse‐re il Web 4.0 . 

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Analisi e prospettive del fenomeno “Web 3.0”

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