75
UNIVERSITA’ DEGLI STUDI DI CAGLIARI CORSO DI LAUREA IN SCIENZE DELL’ARCHITETTURA LABORATORIO DI PROGETTO E COSTRUZIONE 1 MODULO DI ARCHITETTURA TECNICA docente: prof. Antonello Sanna 1° DISPENSA DEL CORSO estratto da FORMA MATERIA STRUTTURA di M.C. Forlani Pescara 1997 (testo fuori commercio)

UNIVERSITA’ DEGLI STUDI DI CAGLIARI CORSO DI LAUREA …architettura.unica.it/files/enhanced_news/dispense.pdf · CORSO DI LAUREA IN SCIENZE DELL’ARCHITETTURA ... MODULO DI ARCHITETTURA

  • Upload
    buihanh

  • View
    217

  • Download
    0

Embed Size (px)

Citation preview

UNIVERSITA’ DEGLI STUDI DI CAGLIARI

CORSO DI LAUREA IN SCIENZE DELL’ARCHITETTURA

LABORATORIO DI PROGETTO E COSTRUZIONE 1 MODULO DI ARCHITETTURA TECNICA

docente: prof. Antonello Sanna

1° DISPENSA DEL CORSO estratto da

FORMA MATERIA STRUTTURA di M.C. Forlani

Pescara 1997

(testo fuori commercio)

SOMMARIO

I pagina 9 Presentazione di S . Di Pasquale

11 Introduzione 15 Premessa

IL SISTEMA STATICO

19 1 . l . L'equilibrio l a resistenza. 32 1.2. Le sollecitazioni. 36 1.3. I vincoli.

I MATERIALI

40 I materiali. 44 La pietra. 47 Il legno. 50 L'acciaio. 5 3 I laterizi. 56 Il calcestruzzo. 5 9 Le plastiche.

SISTEMI PESANTI E SISTEMI LEGGERI

6 5 Sistemi pesanti e sistemi leggeri.

I PRINCIPALI TIPI DI SISTEMI PESANTI

8 0 Sistema trilitico. 8 5 Sistema spingente. 9 0 Volta a botte. 9 0 Volta a crociera. 9 3 Volta a padiglione. 9 3 Volta a bacino. 9 5 Volta a vela.

I SISTEMI LEGGERI E LE FORME NELLA NATURA

9 8 I sistemi leggeri e le forme nella natura.

I PRINCIPALI TIPI DI SISTEMI LEGGERI

105 6.1. Le lastre, le piastre e le strutture corrugate. a 112 6.2. I gusci. e 119 6.3. Funi e membrane. m 128 6.4. Strutture pneumatiche.

130 6.5. Strutture reticolari.

144 Bibliografia essenziale

Introduzione

L'analisi delle forme strutturali non può prescindere da un previo chiarimento sul significato che si intende conferire al termine « struttura in quanto il di- scorso che si va ad affrontare porta l'at- tenzione sull'insieme piuttosto che sulle parti isolate: si vuole considerare tale termine come espressione della necessità di reperire un metodo di comprensione e di creazione oltre che riferito alla conc- scenza particolare all'oggetto.

Tutto questo per poter vedere nella giusta dimensione quel tipo di atteggia- mento speculativo che ha permesso e per- mette di trovare soluzioni ai problemi, in questo caso strutturali e morfologici, delle costruzioni in situazioni ambientali totalmente nuove.

Si può affermare dunque di non con- siderare la ricerca scientifica come pura manipolazione di misure esatte; quanto

piuttosto come il procedimento per la comprensione dei rapporti che danno vc- lume alla materia oggetto dello studio: alle forme e ai sistemi costruttivi che si adattano a quelle misure.

T1 riferimento al primitivo uso della parola -struttura (dalla derivazione latina) fa individuare immediatamente il campo del costruito l .

Il termine, molto sofisticato e dotto, è usato raramente come è facile verificare attraverso le poche testimonianze da Vi- truvio fino ad un tempo relativamente vicino; ultimamente il suo uso si allarga estendendosi al campo delle scienze so- ciali, verso l'uomo e verso le sue opere, in particolare alla linguistica.

All'interno della terminologia archi- tettonica l'uso della parola <( struttura )) designa i l (C modo con cui è costruito un edificio » (Dictionnaire de Trévoux,

12 hl. Cristina Forlani

1771). Tale definizione porta in sé vaIori di tipo « qualitativo » per cui la descri- zione di una struttura non può prescin- dere da considerazioni che coinvolgono qualità dell'intero manufatto architettoni- co insieme a quklle specificamente strut- turali.

Quatremere de Quincy, nel dizionario storico dell'architettura2 riprende la defi- nizione classica, precedentemente citata, estendendola ed ampliandola nel suo si- gnificato qualitativo e accentuando le ca- ratteristiche « astratte » dell'architettura in antitesi al senso più materiale e tec- nico-costru ttivo del termine.

D'altrq parte invece, nel secolo scorso, l'utilizzazione del termine secondo il si- gnificato dato dal Q. de Quincy si è andata rarefacendo lasciando spazio ad un uso caratterizzato dal suo significato opposto e cioè nel senso più specificata- mente tettonico e costruttivo; tale consue- tudine, tendente a scindere il discorso della str'uttura dalle relazioni con l'insie- me del manufatto architettonico, è stata praticamente favorita dalla cultura inge- gneristica che in modo preponderante si è occupata dei problemi strutturali all'e- poca.

Ma il riferimento al significato clas- sico è quello che più da vicino permette di affrontare 1.a progettazione strutturale senza prescindere da valutazioni che coin- volgono l'intero manufa'tto e senza igno- rare un certo rigore scientifico nell'impo- stazione del problema: in questo testo si considera quindi la struttura come qual- cosa di più complesso di una semplice porzione di costruzione; per questo la sua analisi non può prescindere da valuta- zioni che coinvolgono continuamente il tutto e le parti in una connessione siste- matica.

L'introduzione al problema delle strutture (lettura e progetto) può partire

allora da un primo basilare approccio con riferimento alle organizzazioni e ai sistemi statico e costruttivo: si possono indivi- duare i requisiti fondamentali dei due sistemi « primari », perchi sempre pre- senti in ogni realizzazione tettonica, nella necessità di isolare un volume dall'ester- no e di resistere, mantenendo la stabilità della forma, a diversi carichi e sollecita- zioni; l'analisi e la scelta delle forme strutturali può partire dalla considerazio- ne di tali richieste e caricarsi poi, nel- l'affrontare la lettura delle forme struttu- rali tradizionali fino a quelle più recenti e per così dire avanzate, di principi det- tati oltre che dai condizionamenti statico e ambientale, dalle prestazioni dei mate- riali e dalle disponibilità offerte dai pro- cessi costruttivi che si affiancano e si in- trecciano continuamente con i primi due.

I parametri di lettura possono rife- rirsi ai sistemi primari con le loro richie- ste di prestazioni specifiche ma possono anche essere compresenti in una lettura che tiene conto più da vicino dei sistemi e delle connessioni tra questi rispetto al rapporto tra forma e comportamento strutturale nella ricerca di soluzioni otti- mali.

Se si parte da una definizione geome- trica dell'involucro costituente la costru- zione si hanno due possibilità: che l'in- volucro possa essere definito da elementi che hanno una collocazione e funzione diversificata così da individuare compo- nenti di chiusura verticali (pareti) e di chiusura orizzontali (coperture) ; oppure che sia definito da una forma in cui non esiste soluzione di continuità e gerarchiz- zazione tra le parti. Inoltre l'involucro può definire contemporaneamente la fun- zione portante e quella isolante dall'e- sterno, oppure essere il risultato dell'unio- ne di due sistemi distinti con funzioni specifiche rispetto alle richieste statiche e tecnologiche.

13 Alatcriali, Siruiiure, Forrrrc

Cercando di leggere in maniera più attenta gli elementi dal punto di vista geometrico è possibile scendere in una loro più precisa classificazione secondo:

elementi puntuali (nodi e giunti);

elementi fionodimensionali (pilastri, travi, archi catenarie);

elementi bidimensionali (lastre, piastre, gusci, membrane)

elementi tridimensionali (blocchi di fondazione, contenimenti].

Questi elementi, proprio per il signi- ficato stesso del termine struttura, com- portano in qualunque estensione d'uso la necessità di una connessione sistematica delle parti.

I sistemi derivanti dalla connessione degli elementi suddetti dimcilmente saran- no letti come « sistemi » mono, bi, tridi- mensionali, ma più facilmente saranno classificati a seconda delle relazioni tra le parti e i sistemi costruttivi usati op- pure in base alle caratteristiche derivate dal comportamento statico.

In base al sistema costruttivo le strut- ture possono essere classificate come mas- sicce, a scheletro, a superfici.

Le strutture massicce costituiscono la forma più primitiva e intuitiva di costru- zione (dalla caverna alla piramide a quel- la in muratura).

In questo caso la struttura si identi- fica contemporaneamente con la funzione portante e quella di involucro isolante dall'esterno. I sistemi costruttivi utilizzati per la realizzazione di costruzioni massic- ce prevedono nei sistemi più primitivi operazioni di sottrazione (l'escavazione del materiale per ottenere un vano-caver- na nel terreno) oppure nei sistemi più evoluti, operazioni di addizione e sovrap- posizione (l'erezione dei muri per am- bienti costruiii).

L'evoluzione - di questo tipo di strut- tura avviene attraverso la sperimenta- zione più che attraverso la comprensione dei meccanismi. di trasmissione degli sfor- zi generati all'interno della costruzione; il trasferimento di reazioni non verticali fino al livello delle fondazioni era effet- tuato con abilità prima attraverso grosse masse murarie omogenee e quindi per mezzo di archi, volte e meccanismi com- plessi.

Costruttivamente l'abilità si rivela at- traverso la capacità di levigazione e giun- zione delle pietre, dei conci e dei rocchi delle colonne.

Le costruzioni di questo tipo non rag- giungono mai grandi dimensioni ma so- prattutto non si riesce mai ad avere un soddisfacente rapporto tra spazi vuoti e pieni. -

Le s t r u t t u ~ a scheletro o intelaiate comprendono una vasta casistica di tipi: dai sistemi primitivi come i l trilite, ai sistemi più evoluti e moderni come i telai in calcestruzzo o metallo.

Possono essere considerati a scheletro tutti quei sistemi cui è affidata unicamente la funzione portante, mentre la funzione di chiusura è propria di un altro sistema, distinto e generalmente appoggiato al primo.

La ,diversità nei sistemi non sta tanto nello schema geometrico, che è pratica- mente analogo, quanto nel comportamen- to, che è poi diretta derivazione del siste- ma tecnologico adottato. La caratterizza- zione di questi sistemi dipende infatti soprattutto dalla definizione del sistema dei vincoli e naturalmente del materiale usato (fatto anch'esso strettamente corre- lato al primo): le strutture a scheletro si differenziano notevolmente tra loro se le componenti sono semplicemente appoggia- te le une alle altre (sistemi trilitici), o se le giunzioni sono definite da cerniere (sistemi reticolari), o ancora da incastri (sistemi intelaiati); infatti l'economia sta-

1 4 h{. Crist ina Forlatli

tica varia di molto (e con essa la stabilità) se si considerano elementi semplicemente tesi e compressi (sistemi reticolari e parti del sistema trilitico) o se invece entra in gioco la flessione (sistemi intelaiati e par- te degli elementi del trilite).

Rispetto alle strutture massicce mi- gliora notevolmente i l rapporto tra pieno (struttura) . e vuoto (spazio fruibile).

Le s t r u t t u r e sono quelle definite da elementi piani e/o curvi; nel caso di quelli curvi il sistema definisce sia la funzione portante che quella rac- chiudente lo spazio. In ambedue i tipi si ha comunque un rapporto ottimale tra pieno e vuoto al contiario di quanto av- veniva nei sistemi massicci. L'uso di que- sti sistemi costru ttivi è condizionato dalla disponibilità di nuovi materiali (c.a. e materie plastiche), utilizzati per forma- tura secondo geometrie rigorose che met- tono in stretta relazione la forma con i l comportamento statico.

Tra i sistemi costruttivi sono quelli più nuovi anche se è possibile trovare anticipazioni importanti in strutture di culture primi tive.

Rispetto al s i s t~n la siatico è possibile operare una distinzione basandosi sulla capacità di resistenza delle strutture.

Una struttura può essere definita come sislema elastico, sistema pesante e spin- genle, e sistema teso.

La struttura può essere chiamata a rispondere alla sola sollecitazione di com- pressione, come nel caso di una struttura muraria e voltata, in cui, sia l'intero in- sieme che le singole componenti sono tutti unicamente compressi; oppure i l sistema può essere tutto in trazione, come nel caso delle strutture a cavi sospesi; o an- cora la struttura può essere chiamata - a resistere alla azione combinata di trazione e compressione attraverso la flessione e i l taglio, come nel caso dei sistemi inte-

laiati in cui le componenti collegate da incastri subiscono tutte una certa infles- sione.

Ma i casi in cui si individuano in maniera così elementare, i principi statici sono, come su esposto, molto limitati mentre la gran parte delle strutture si presentà con una certa complessità rispet- to alla presenza di canali statici.

Nelle masse murarie c'è sempre la necessità di aprire varchi, generalmente in uno schema architravato trilitico, e quindi dovendo aggiungere in un sistema compresso un elemento inflesso; ancora, nei sistemi tesi di funi o membrane ci sono sempre dei supporti sottoposti a compressione; e così si può continuare nell'analisi di tutte le possibili, combina- zioni tra sistemi costruttivi e sistemi sta- tici.

Un parametro sempre presente nella analisi delle strutture sotto i l profilo co- struttivo è quello, come visto, delle qua- lità dei materiali; questi infatti pongono necessari limiti per quanto riguarda i pro- cessi della lavorazione prima a livello di asportazione (pietre, legno) e formatura (laterizi, metalli, plastiche), e in seguito a livello della effettiva utilizzazione in sistemi costruttivi secondo addizione, stra- tificazione, orditura e tessitura.

Ma non solo: il parametro « mate- riali è caratterizzante l'analisi delle strutture anche per l'aspetto statico; in quest.0 caso le limitazioni vengono dalle caratteristiche elastiche, e quindi dalle capacità di resistenza, tipiche dei materia- li da utilizzare, a seconda delle sollecita- zioni ipotizzate nelle strutture prescel te.

Si può concludere questa parte afler- mando che esiste una stretta relazione che associa i materiali sirutturali con i sistemi c~strufl ivi; e ancora che ogni im- magine di proccdimcnto coslruttivo è col- legata a un principio stalico elementare.

collegate da certa infles-

ividuano in I ricipi statici llto limitati btrutture si ~ssità rispet- ci .

sempre la 2rieralmente

trilitico, e Lin sistema

\o; ancora, ~ri ibrane ci ,litoposti a

continuare l i combina- sistemi sta-

sente nella profilo co- delle qua-

i i pongono i~irda i pro- .i livello di

formatura in seguito

,/.azione in , / ione, stra- l

I O « mate- .ilisi delle \tatico; in

i!:ono dalle lindi dalle Ici materia- Ic sollecita-

prescelte.

parte affer- % i relazione iirali con i i i c ogni im- tciivo è col- elementare.

,i Premessa

L'esperienza progettuale intorno alla prima metà del secolo X I X subì una forte modificazione rispetto alla prassi che si era andata sedimentando nei secoli precedenti; infatti il processo innescato a partire dal XVII secolo, della nuova filo- sofia sperimentale scientifica, provocò nei tre secoli successivi un progressivo appro- fondimento delle specifiche discipline (scientifiche) determinando contempora- neamente, man mano che si definivano le aree di specializzazione, un sempre più delineato distacco tra loro: il tipo di cul- tura perfettamente unitaria fino al rina- scimento, prolifera, attraverso le specia- lizzazioni, in culture sostanzialmente di- verse.

Anche i l campo dell'architettura viene investito dall'intervento della metodologia scientifica; si individuano problematiche diverse all'interno di un corpo conside- rato da sempre unitario e da sempre af- frontato (fino, e soprattutto, alla epoca rinascimentale) in una unica struttura in cui alla creazione artistica era affidato i l compito della invenzione e della defini- zione strutturale della forma.

Le conseguenze di questa rivoluzione- evoluzione se da una parte hanno portato al raggiungimento di risultati indiscutibil-

mente positivi, dall'altro hanno provo- cato, attraverso la sempre più accentuata specializzazione, situazioni di disorienta- mento: si sostituisce all'approccio empi- rico intuitivo, caratteristico di un sapere fatto di regole derivate da esperienze e credenze, una trattazione del parametro strutturale secondo una metodologia pre- cisa di intervento che, nell'affinamento del linguaggio analitico-scientifico, diviene monopolio accessibile ai soli iniziati; le scuole politecniche del XIX sec. mettono a punto una nuova figura di progettista, l'ingegnere, che si assume il compito di investire il progetto del rigore metodolo- gico che la nuova committenza della so- cietà industriale andava richiedendo; il significato di « struttura D, attraverso la definizione analitica e l'applicazione spe- cialistica determinata da questi nuovi progettisti, si individua in un ruolo mar- ginale rispetto al più ampio concetto mes- so a punto da Quatremére de Quincy: praticamente se ne ritrova i l senso in quello più vicino al termine costruzione cui è dato un significato tecnico e mate- riale.

La concomitanza nella stessa epoca dell'affinamento tecnologico dei materiali e dello sviluppo delle costruzioni inte-

laiate in acciaio e cemento armato, ha ancora più accentuata la tesi in cui la struttura può essere una parte a se stante dalla costruzione, indipendente e nascosta dalla definizione architettonica di questa; la struttura intelaiata definisce lo schele- tro dell'edificio e , come in biologia, è I'ele- mento cui è affidata totalmente la fun- zione resistente portante e viene a essere completamente annegato e coperto nella definizione degli elementi di chiusura e copertura, elementi la cui progettazione è affidata all'architetto!

I sistemi di calcolo poi, se consentono la verifica a posteriori delle ipotesi defi- nite in base alla formulazione empirica delle strutture, hanno determinato anche la cristallizzazione, in seguito alla produ- zione di manuali e trattati da parte dei politecnici, della grande varietà di forme messe a punto dalla ricerca in un numero ristretto di tipi strutturali di riferimento.

Quindi se da una parte aprono possi- bilità di risoluzione, attraverso i l metodo scientifico, del vastissimo canipo dell'in- venzione formale, dall'altra limitano I'ap- plicazione della verifica analitica a pochi modelli codificati e sperimentati.

Con questo atteggiamento si finisce quindi per non intervenire nella prima fase di definizione della forma quanto piuttosto nella ripetizione di quelle già note e conosciute; la ricerca diverge quindi in maniera sempre più evidente dal la proget tazione-invenzione at testandosi su affinamenti continui delle metodologie di. calcolo: lo strumento analitico perde a questo punto il carattere ausiliario e liberatori0 . della progettazione e finisce per considerarsi orgogliosamente finaliz- zato a se stesso.

La rottura nella concezione unitaria della progettazione ha come conseguenza la necessità da parte dell'architetto di demandare a specialisti la risoluzione analitica delle sue intuizioni formali; da parte dell'ingegnere specialista, la coscien-

za di essere l'unico incontrastato nianipo- latore del linguaggio analitico gli consente di rifiutare quelle analisi che non si in- quadrano perfettamente negli schemi e tipi codificati. A questo punto emerge l'obiettivo del presente studio che mira a superare la distinzione tra i due mo- menti, statico e compositivo, fornendo uno strumento di valutazione e di con- trollo della forma al momento della pro- gettazione.

La necessità di tenere presente nella progettazione i fenomeni statici, non come astratte conoscenze ma come riferimenti necessari o meglio come uno dei parame- tri su cui fondare la progettazione stessa, permette quella valutazione serena ed equilibrata che fornisce le indispensabili premesse per la formulazione di coerenti e consapevoli criteri di scelte operative.

Detto questo non ci si vuole illudere comunque di poter ricucire la spaccatura verificatasi nell'approccio progettuale e ricostruire quella perduta unità di tipo rinascimentale, sia pure su altre basi. ma solamente inserirsi nella problematica strutturale e iniziare un difficile cammino tendente a fare chiarezza nei rapporti tra forma e struttura.

Il termine struttura viene dal latino ((struc- tura N derivato dal verbo « struere N costruire. Ha quindi in primo luogo un senso arcliitet- lonico.

Nel dizionario siorico d Il'arcliiietiura d i Quairemkre de Quincy (ediJone italiana d i Mantova del 1842) s i pub leggere: e Questo vocabolo, formato dal latino siruciura è. quan- tunque preso ordinariamente in un significato più nobile, un sinonimo d i costruzione. Esso esprime la maniera con cui un edificio è co- struito; e dinerisce da costruzione nel senso che, questo ultimo termine, s i applica general- mente a quella parie dell'archiieiiura che com- prende tutio cib che s i ha i n quest'arte di ma- teriale. d i meccanico, d i scientifico. e alla qua- lità dei materiali e del loro impiego in i in fab- bricato; struttura per lo contrario. in questo genere, abbraccia i rapporii esterni dcll'artc che s i manifesta agli occhi per I'arditezza delle masse, la bellezza delle rornie. la proporzione degli ordini e la maestria dell'esecuzione N .

1 . IL SISTEMA STATICO

1.1. L'equilibrio e la resistenza.

1.2. Le sollecitazioni.

1.3. I vincoli.

1 . 1 . L'equilibrio e la resistenza.

Stabilito che il comportamento di una orizzontali, monodimensionali come le struttura dipende da una parte dalla for- travi o bidimensionali come i solai e le ma che essa assume e dall'altra dal tipo piastre, ovvero le coperture a tetto, solle- di materiale con cui è costituita, si indi- citati da forze sempre verticali e quindi viduano i due requisiti fondamentali per ortogonali alla loro giacitura. la sua agibilità e cioè l'equilibrio e la La complessità delle strutture in cui resistenza. la forma non può essere distinta secondo

a) L'equilibrio caratterizza in generale il rapporto tra forma e sollecitazione e può essere definito come garanzia dell'immo- bilità della struttura.

Se si tenta una . esemplificazione di una costruzione elementare in elementi verticali (supporti puntiformi e pareti) e orizzontali o obliqui (copertura) si carat- terizza ulteriormente il tipo di equilibrio in equilibrio direzionale che riguarda di- rettamente .gli elementi verticali (supporti puntiformi ovvero colonne e murature e pannelli) sollecitati secondo una direzione egualmente verticale ossia corrispondente alla loro giacitura e i n - equilibrio rotazio- n& che invece si occupa degli elementi

le elementari componenti verticali ed orizzontali prevede un'analisi dell'equili- brio meno immediata nella lettura ma che comunque può ricondursi ai riferi- menti sopracitati.

La soddisfazione dell'equilibrio va poi qualificata secondo parametri di sta- bilità di tutto l'insieme al fine di garan- tire l'effettiva agibilità delle strutture.

6 ) La resistetlza può essere caratteriz- zata nel _rapporto più ampio tra il niale- riale costituente la struttura e le solleci- tazioni esterne.

In pratica la resistenza è garanzia d j integrità della struttura e va qualificata attraverso la d-dìnizione delle ddorrna-

zioni arnrn&sibiIi, al fine della possibile effettiva agibilità. -

-orto tra le sollecitazioni esterne e il materiale considerato va r i c e r c s ancora nelIa definizione dell'equilibrio tra le sollecitazioni e le tensioni interne generate dalle deformazioni impresse in

alle caratteristiche elastiche del ma- . -

t-e. .

Si può concludere con la necessità d i conoscenza dei parametri geometrici, al- l'interno della definizione generale di equilibrio, e di conoscenza dei materiali, per la spiegazione effettiva del concetto stesso di equilibrio.

a) Il primo requisito fondamentale per- ché una struttura sia agibile è allora l'equilibrio: la garanzia di immobilità non è naturalmente valida per la strut- tura nella sua interezza poiché piccoli spostamenti e deformazioni di alcune sue parti sono comunque ammissibili e ine- vitabili.

Alla base della comprensione del pri- mo elementare principio di equilibrio ci sono leggi di economia naturale diretta- mente accessibili attraverso l'osservazione 1 e l'esperienza; il primo principio rudi- mentale di equilibrio è quello di «( forza contro forza » ossia di equilibrio tra forze che agiscono sulla stessa retta di azione (fig. 1.1.1).

L'esempio più immediato di equili- brio di questo tipo può venire dall'osser- vazione di due persone che tirano una fune in senso opposto: se esercitano la stessa intensità di forza le persone non si spostano e la fune è in equilibrio. Non appena però una delle due persone tira con maggiore intensità l'equilibrio viene meno e questa si sposta insieme all'altra persona (fig. 1.1.2).

Per quanto riguarda l'applicazione di questa osservazione a strutture di tipo architettonico l'immagine dei canale sta- Fig. 1.1.1. « Forza contro forza H.

!ico orizzontak C la presenza di forze Fig. 1.1.2. ~ ~ u i l i b f i ~ dirCziona[c.

21 Materiali, Strutture, Forme

muscolari (dinamiche) può essere fuor- viante, ma lo stesso principio 'di equili- brio direzionale vale per qualsiasi altra direzione.

Generalmente si può considerare la C forza peso » come azione protagonista di questo tipo di equilibrio e la « linea verticale D come canale statico corrispon- dente; una struttura appesa ad una fune è iR equilibrio quando la trazione eser- citata dal cavo è uguale .al peso generato dalla stessa (fig. l . 1.3) ; praticamente i tipi strutturali che si appoggiano a que- ste soluzioni statiche hanno una esempli- ficazione storica nel supporto isolato o meglio nella colonna. In questo tipo strut- turale l'equilibrio è tra una forza attiva determinata dal peso proprio dell'elemento (più il sovraccarico) e una controforza, sempre verticale, sviluppata da quella parte di terreno o basamento che fa da supporto (fig. 1.1.4).

Costruttivamente, i problemi si risol- vono nella conoscenza dei materiali d'uso e nella loro utilizzazione secondo forme e proporzioni generalmente suggeriti dal- la pratica e dall'esperienza 2.

Una situazione più complessa di equi- librio è quella relativa al problema di come portare a terra delle forze non più situate sulla stessa retta di azione delle corrispondenti controforze; è il caso fre- quentissimo di coperture (orizzontali) poggiate su supporti verticali (fig. 1 . l .5).

L'equilibrio di un elemento orizzon- tale con sollecitazioni verticali può essere esemplificato dall'osservazione di un'alta- lena a bracci uguali su cui stanno due persone di peso uguale: il peso delle due persone viene equilibrato dal sostegno

Fig. l . l .3. Forza - peso ed equilibrio direzio- nale.

Fig. 1.1.4. La colonna e l'equilibrio direzio- nale.

Fig. 1 . l .S. Equilibrio rotazionale.

22 A l . Cristitra F'orlatii

centrale che reagisce con una forza ver- cui i due pesi sono diversi e sono posti ticale uguale alla somma del peso delle a distanza (bracci di leva) diversa dal- due persone. L'equilibrio naturalmente l'appoggio (fulcro della leva) in modo viene a mancare e l'altalena tende a ruo- tale che i prodotti dei pesi per i bracci tare se una delle due persone si sposta siano uguali (fig. 1 .l .6). sull'asse. Ma è ancora possibile avere una situazione di equilibrio nel caso in Fig. 1.1.6. Equilibrio rotazionale.

I termiiii del problenia dcll'cquilibrio 6 ) L'altro requisito fondamentale C cioè rotazionale vanno posti nella ricerca della la resistenza dclla struttura, è diretta con- risposta a due quesiti fondanicntali: la seguenza della residenza dei materiali; natura delle sollecitazioiii capaci di pro- a questo punto la completa conoscenza vocare una rotazione della struttura e con- dell 'equilibrio, ovvero delI1origine delle temporaneamente la natura delle contro- controforzc capaci di equilibrare i sistemi

.forze capaci ' di bilanciarle; tali termini di . sollecitazioni esterne, corrisponde ne: possono essere messi a punto solo d o p o cessariamente alla conoscenza delle carat- la liberazione dell'idea delle forze come teristiche di resistenza dei materiali; i l

forze peso » e dall'acquisizione della problema di come a w e n g a che un corpo idea di forze comunque dirette ovvero inanimato, incapace quindi di sforzi mu- definite come entità vettoriali '. La com- scolari, riesca a sostenere pesi, pone la prensione dunque dell'equilibrio deve ar- necessità di indagare sui meccanismi, co- ricchirsi della nozione di -p tensione interna, munque presenti, capaci di generare ten- a livello di costituzione della materia, - per sioni interne equilibratrici delle solleci- potere a e t t i v a m e n t e spiegare il -- r a m s t o tazioni esterne e quindi indagare sulle tra forze esterne e sforzi interni _ attra- proprietà dei materiali strutturali; la loro verso le deformazioni del corpo in esame. conoscenza può essere sintetizzata in quel- Ma prima di scendere nell ' i~fìnitesimo e la della res-istenza che la loro struttura individuare le cause della nascita delle interna oppone a l l a deformazione. tensioni interne, della deformazione e In questa affermazione sono presenti quindi della resistenza è necessario ac- i due concetti fondamentali per la com- cennare ad un'altro requisito fondamen- preiisione del comportamento dei mate- tale delilequilibrio: la stabilità. L1equili- riali: pr ima di tutto che i materiali solidi brio di una struttura ha infatti tre diverse presentano una loro slr~lf iura inlertia, e possibilità di qualificazione che possono in secondo luogo che la deformazione - è essere definite imprimendo all'oggetto in un « meccanismo » necessario per e- contro- esame un piccolo spostamento: se la bilanciare le sollecitazioni esterne. (Quan- struttura una volta cessata la causa dello d o si parla di resistenza è da notare che spostamento torna nella posizione iniziale, la distinzione tra struttura e materiale è sia pure dopo aver compiuto una serie quan to mai indefinita; infatti quando si di oscillazioni, possiamo dire che è in dice che una pila di mattoni non è resi- equilibrio stabile; è in un equilibrio in- stente alla trazione è chiaro che si parla stabile se invece, una volta cessata la di una s trut tura; ma quando si dice che causa perturbatrice, la struttura continua la ghisa e i l cemento non sono resistenti ad allontanarsi dalla posizione iniziale; alla trazione, se è vero che ci si riferisce si parla di equilibrio indifferente se la al materiale è pur vero chc la mancanza struttura resta nella posizione assunta in di resistenza è dovuta alla loro struttura seguito alla causa perturbatrice (figura interna; sia la prima che i secondi infatti 1.1.7). Se si pensa alla struttura di un sono pieni di fessure, la prima per quanto edificio è possibile abbinare i l concetto riguarda la geometria della sua forma di stabilità ai movimenti inammissibili di strutturale e i secondi per la georrietria tu t to i l s uo insieme rispetto a] piano di strutturale in cui si presenta ordinata la appoggio e praticamente si possono le- materia). gare i fenomeni di instabilità alla natura Per quanto riguarda la struttiira d i del terreno c quindi alle fondazioni del- un ma:zriale ci si deve rifare al conccito l'edificio (fig. I . l .8 ) . clie tutta 19 materia, in q u a l ~ i n q u c I'ornia

24 M. Cristina Forlarii

Fig. 1.1.7. Qualità dell'equilibrio: stabile, in- za) può passare attraverso una fase di stabile ed indifferente. descrizione mediante rilievi sperimentali

ottenuti con macchine e provini di dimen- si trovi, è costituita da particelle distinte sioni appropriate per arrivare poi alla ef- (atomi) legate tra loro da forze interato- fettiva spiegazione dei fenomeni: normal- miche 4 . mente queste prove si limitano ad accer-

L'analisi delle proprietà meccaniche tare la resistenza alla rottura in casi di di un solido (le caratteristiche di resisten- trazione e compressione~

La descrizione di queste osservazioni Più complessa appare invece lPindivi- definisce le condizioni i n cui i materiali duazione di come la struttura in esame ricevono e trasmettono carichi e resistono eserciti la pressione di reazione verso i [ loro; vengono cioè definite le proprietà elastiche del materiale in esame. L'ela- - sticità può quindi essere definita nel rap- porto tra soIlecitazioni indotte e resi- stenza del materiale come reazione alle suddette sollecitazioni '.

Affinché il materiale non ceda vale quindi la legge di Newton, in cui azione e reazione sono uguali ed O D D O S ~ E ; cioè che ad ogni spinta deve corrispondere una spinta uguale ed opposta che la equi- libra (ad es., un peso su un asse oriz-

peso considerato. L'analogia con gli organismi biologici,

se visualizza immediatamente il fenome- no, può essere fuorviante per la sua spie- gazione; infatti gli animali hanno due meccanismi per resistere alle sollecitazio- ni: le parti inerti e quelle mobili (ossa e muscoli) e la tensione dei muscoli può essere continuamente regolata tramite un elaborato meccanismo biologico e un con- tinuo dispendio di lavoro.

Nei materiali solidi inanimati i prc- zontale esercita una spinta su questa che cessi dinamici sono totalmente assenti per è equilibrata da una seconda spinta dal- l'asse verso il peso in questione); la spin- ta non necessariamente deve essere un carico fisso, bensì un carico mobile.

Si è praticamente ritornati al discorso sull'equilibrio in cui deve essere specifi- cata la natura delle controforze equili- bratrici.

Infatti, qualunque siano le sollecita- zioni esterne, è abbastanza semplice im- maginare come si originano: il peso di un carico permanente o accidentale fisso ha origine dall'azione della gravitazione

cui le reazioni non possono essere inten- zionali: la resistenza alle forze esterne può avvenire solo in seguito a un pro- cesso di deformazione.

Dunque un qualunque materiale per poter opporre una qualsiasi resistenza alle sollecitazioni deve cedere in una certa misura a queste, e il cedimento (defor- - &azione) e esattamente quello necessario per sviluppare forze che controbilanciano le sollecitazioni esterne cui i l materiale stesso è sottoposto.

Per capire come si producono queste terrestre sulla massa del carico; così co- forze si deve nuovamente fare ricorso al me nel caso dell'arresto di un carico modello di materia in cui gli atomi sono accidentale mobile le forze generate sono tenuti insieme da forze o legami che pos- quelle determinate per decelerare la mas- sa in movimento. Fig. 1.1.8. Instabilità delle costruzioni.

sono essere ipotizzati per facilità come <( molle » (fig. 1 . l .9).

Quando al solido non sono applicate sollecitazioni i legami definiscono una po- sizione di equilibrio (le molle sono in riposo).

Non appena subentra u n tentativo tendente ad avvicinare o allontanare gli atomi si ha rispettivamente iin accorcia- mento e un allungamento delle molle suddette (se si considerano gli atomi co- me elementi rigidi e inspostabili, l 'unico elemento sottoponibile a modificazioni è i l legame tra questi) e quindi alla mutua interazione equilibrata dei legami si so- vrappone un sistema d i forze che serve a equilibrare quello esterno.

Navier aveva infatti immaginato, nel modello di materia prima ipotizzato, due sistemi di forze: i l pr imo agente nel mo- dello indeformato semplicemente come interazione equilibrata tra le particelle e i l secondo indotto dal modello defor- mato; l'equilibrio interno viene modifi- cato dalle solleci tazioni esterne che at tra- verso le deformazioni stimolano la capa- cità resistiva delle molecole facendo na- scere il secondo sistema d i forze.

La relazione esistente tra deforma- zioni e sollecitazioni fu osservata da Hooke il quale sperimentalmente notò che l'allungamento subi to d a una molla in seguito all 'applicazione d i un carico è proporzionale all'intensità del carico. Questa osservazione fatta sulla struttura fu poi generalizzata per i materiali da Young che ne stabilì le caratteristiche di deformazione elastica.

Naturalmente la proporzionalità tra sollecitazioni e conseguenti deformazioni è valida entro un certo limite, ovvero fin- tanto che i l materiale mantiene le sue caratteristiche elastiche e cioè fin quando al cessare delle sollecitazioni cessano an- che le deforrnazioni.

Quando poi le sollecitazioni aumen- tano in maniera eccessiva i l corpo si de-

forma in modo tale che anche al cessare delle sollecitazioni rimane deformato.

Un ulteriore carico provoca infine la rottura del corpo solido.

Youiig osservò in seguito clie c'era una costante caratteristica di ogni mate- riale (sostanza chimica) Che ne definiva I'elasticità.

La ,resistenza di un materiale, come det to, viene definita per mezzo di prove d i carico attraverso cui è possibile dedur- re le proprietà elastiche del materiale stesso e quindi classificare i materiali secondo tre categorie fondamentali;

I materiali duttili sono quelli che hanno un per iodo di elasticità en t ro cui è verificata la legge di Hooke e quindi le deformazioni sono reversibili, successi- vamente si ha un periodo di plasticità con irreversibili tà delle deformazioni cui segue la rottura (fig. 1.1.10).

I materiali vetrosi hanno i l periodo di proporzionalità che si estende fino alla rottura la quale avviene senza alcun pre- avviso (fig. 1 . 1 . 1 1) .

I materiali F i c i hanno praticarnen- te forti deformazioni di tipo irreversibile anche con carichi di piccola intensità (fig. 1.1.12).

Praticamente però si può d i re che tutti i materiali strutturali sono elastici in misura minore o maggiore ma nessuno - -

15 perfettamente elastico. In base al t ipo di carico è anche possibile affermare che tutti i materiali hanno un comportamento plastico.

E poi ulteriormente possibile osser- vare che il c ampo di elasticità di un ma-

-+ Fig. 1 . l .9. Modcllo di comportamento della materia.

Fig. 1.1.10. Grafico del comportamcnfo di un materialc duttile.

Fig. 1 . 1 . 1 I . Grafico dcl comportamen(o di un materiale vetroso.

Fig. 1.1.12. Grafico dc[ coniportanlcnio di un materialc plastico.

' i ; , .

teriale viene profondamente modificato dalla situazione ambientale; per cui i materiali in un clima freddo tendono alla fragilità mentre in un clima caldo la ten- denza è a divenire plastici.

Le prove di laboratorio che defini- scono la resistenza dei materiali si rife- riscono come detto alla resistenza rispetto a sollecitazioni di trazione e compres- sione. Ma mentre per la trazione è possi- bile effettuare un discorso più prezso, per quanto riguarda la compression_e è più complesso definire-la resistenza effet- tiva del materiale; infatti ci sono vari modi in cui il materiale può rompersi sot- to la compressione e dipendono soprat- tutto dalla forma in cui è utilizzato il materiale in esame.

Se il materiale viene utilizzato in ele- .menti bassi e tozzi (una corta colonna) e ha caratteristiche 'di duttilità, sia pure in minima parte, si avranno scorrimenti analoghi al comportamento della plasti- lina (fig. 1.1.13), se invece i materiali hanno caratteristiche di fragilità tende- ranno a scheggiarsi quasi esplodendo (fig. 1 .l .14), nel caso in cui la forma di rife- rimento è un asta o un pannello sottile il cedimento avverrà per svergolamento o ingobbamento (fig. 1 .l -15); un peso esa- gerato su forme sottili cave, tipo un ba- rattolo, tenderà all'effettivo schiacciamen- to (fig. 1.1.16).

Comunque sia, il rapporto sollecita- zionedeformazione, finche il materiale (struttura) è sollecitato secondo un canale statico appoggiato al suo asse geometrico (trazione/compressione) è abbastanza sem-

Fig. 1.1.13. Materiali duttili c forme tozze: de- formazioni dovute alla comprcssionc.

+ Fig. 1.1.14. 'Materiali fragili c rottura per com- pressione.

Fig. 1.1.15. Forme sottili c ingobbamento per compressione.

Fig. 1.1.16. Forme cavc e deformazioni per compressione.

19 Mater ia l i , Strut ture, Forme

t t t + 4 h H t t t

plice da leggere; più complessa è invece compressione mentre risulta che i l centro la situazione in cui l'equilibrio esterno è della trave è impegnato a resistere, se- retto dal principio di equilibrio alla rota- condo le aste diagonali a 450, alternati- zione.

Si pone in questo caso il problema di tradurre in regime tensionale, ovvero di resistenza interna, un fenomeno più dif- ficile da chiarire rispetto alla semplice estensione o contrazione: l'inflessione.

Ancora una volta se si pensa che non esiste una chiara distinzione tra materiale e struttura, e quindi se si considera la trave fatta di pezzi, invece che continua, è più semplice capire come avviene la di- stribuzione degli sforzi: infatti la maniera in cui viene trasmesso il carico è uguale sia che si tratti di una trave a reticolo, che di una trave fatta di materiale con- tinuo.

Si può fare riferimento sempre ad una trave a mensola, come nei primi

vamente a trazione e compressione, ovve- ro a resistere a sforzi di taglio che altro non sono che un modo diverso di chia- mare la combinazione di trazione e com- pressione. 11 peso è praticamente soste- nuto dagli elementi diagonali mentre quelli orizzontali si limitano a impedire i loro movimenti (fig. 1.1.17).

I1 sostegno di cui si ha bisogno (le tensioni interne equilibratrici) è quindi determinato da queste direzioni in cui si incanalano le trazioni e le compressioni. Gli sforzi di taglio sono di intensità costante per tutta la lunghezza della trave mentre quelli di trazione e compressione aumentano proporzionalmente dal punto di applicazione del carico verso l'estre- mità incastrata. Da questa osservazione

studi di G . Galilei, considerandola retico- discende che generalmente la trave si lare con le maglie quadrate e due diago- rompe nei punti vicino all'incastro. nali indipendenti: le aste costituenti i l Comunque le massime sollecitazioni lembo superiore sono impegnate a resi- sono quelle presenti sui due lembi supe- stere alla trazione, quelle inferiori alla riore e inferiore, e se si considera ancora

una volta la mensola incastrata, ma con una sezione rettangolare si possono fare delle ulteriori interessanti osservazioni; si può considerare la trave orientata con la sezione una volta con la dimensione maggiore coincidente con l'asse dei cari- chi e un'altra con la dimensione minore coincidente con l'asse dei carichi.

Nella sezione maggiormente solleci- tata (sezione all'incastro, P . l ) , le ten- sioni normali di flessione presenti nei due casi dovranno risultare equivalenti sotto l'aspetto meccanico; per raggiungere la equivalenza si hanno diversi valori del braccio di leva della coppia interna e quindi diversi valori delle componenti la coppia (fig. 1.1.18).

Dunque, con la stessa forma della sezione resistente e a parità di materiale costituente, l'orientamento, in una delle due configurazioni, determina un compor- tamento più vantaggioso (fig. 1 . l .19).

La motivazione del diverso compor- tamento a flessione delle due soluzioni può essere individuata attraverso I'osser- va'zione che le fibre più lontane dall'asse neutro risultano soggette ad una deforma- zione assiale meno evidente.

La capacità di resistenza di un ele- mento inflesso può essere dunque rife- rita alla individuazione di due parametri fondamentali: uno qualitativo, rispetto al- la resistenza fisica del materiale, e uno formale dipendente dalla forma specifica assunta dalla struttura.

(Le proprietà meccaniche del mate- riale e geometriche della sezione possono poi essere considerate in un'unica costante caratteristica definita da NavierJ.

'+ Fig. 1 . l . 17. Andamento delle sollecitazioni in una mensola inflessa.

Fig. 1.1.18. Sezioni della trave inflessa e anda- mento delle sollecitazioni.

Fig. 1.1.19. Utilizzazione di diverse forme di sezione e comportamento della trave a fles- siòne.

f c . m.1

1.3 . I vincoli.

Il caso in cui le forze applicate ad una struttura costituiscano un sistema equilibrato è abbastanza eccezionale, ge- neralmente invece le sollecitazioni esterne tendono a determinare dei movimenti e quindi a turbare l'equilibrio e la stabi- lità della struttura interna.

E necessario allora dotare l'oggetto in esame di vincoli adatti ad impedire qua- lunque suo movimento.

I gradi di libertà di un corpo orien- tato in un sistema piano sono tre: due traslazioni secondo gli assi cartesiani e una rotazione.

Se la struttura è considerata nello spazio tridimensionale i gradi di libertà divengono sei; i vincoli dunque, nel caso di una figura piana, devono sviluppare un sistema di forze eqtiivalenti ed opposto a quello delle forze agenti in modo tale che siano impedite quelle tre possibili componenti dello spostamento, mentre nel caso di una figura spaziale dovranno na- turalmente essere impedite le sei compo- nenti.

Si definisce semplice il vincolo capa- ce di impedire una sola componente del moto (fig. 1.3 .1) il vincolo semplice è rappresentato dall'appoggio o carrello o cerniera con carrello ed è vincolativo solo agli effetti di eventuali spostamenti per- pendicolari al piano di scorrimento; viene definito doppio il vincolo capace di im- pedire due componenti del moto (fig. 1.3 .2); il vincolo doppio è rappresentato dalla cerniera capace di lasciare libera una rotazione della sezione vincolata in- torno al proprio perno; è definito triplo il vincolo che riesce ad 'impedire tutte e tre le componenti del moto; l'incastro che riesce a bloccare tre componenti del moto è considerato un vincolo triplo (fig. 1 .3 .3 ) .

Fig. 1.3.1. Vincolo semplice.

Fig, 1.3.2. Vincolo doppio.

Fig. 1.3.3. Vincolo triplo.

1 L'evoluzione del concetto di forza, e quin- di la comprensione dei più elementari concetti statici, ha subito una evoluzione lentissima dal

greco fino al principio del XIX secolo. La prima importante definizione di concetto

di forza è data da Aristotele che però mescola ancora insieme concetti tipici della statica e della dinamica.

2 I costruttori antichi non usavano calcoli ma generalmente si fidavano nelle loro strut- ture di riproporre forme e proporzioni già spe- rimentate con eventualmente piccole modifiche da aggiungere volta per volta; è poi possibile l'uso del modello in scala in quanto strutture compresse, come quelle in muratura, non si rompono mai per schiacciamento e quindi non vale la proporzione sesquialtera definita da Galileo: « La resistenza di qualsiasi strutttura che è soggetta a rompersi perché il materiale si spezza non può essere predetta in base a modelli o passando in scala a versioni più grandi della struttura di cui si ha esperienza N /

3 La prima tappa significativ ne dal concetto di « forza peso cetto di « forza » in sensto ast

spirituale, una potenza invisi creata e infusa, per accidental pi sensibili nell'insensibili, dando similitudine di vita; la qual vita

con furia a sua disposizione, cando mediante le cagioni ... n.

ità si deve soprattutto he fu il primo a ca- veniva in un solido

Hooke discutendo sulle proprietà delle a definirk che: « la porzionale alla sua l'allunga o la flette

nno i l doppio, tre i l la norma o legge di alsiasi tipo di movi-

sostenere un peso

3s A!. Cristina Ilorlorii

meccanica e ai movimenti locali » espone chia- ramente i l concetto di « sforzo » sia pure a livello embrionale notando che a parità di con- dizioni un'asta sollecitata a trazione ha una resistenza che è proporzionale all'area della sua sezione trasversale.

Sono interessanti gli scambi inerenti il pro- blema della resistenza dei materiali tra Galilei e Marsenne (1558-1648).

Marsenne si occupa principalmente della resistenza dei fili metallici.

Mariotte (1620-1684), fondatore dell'accade- mia francese delle scienze, si occupa della resi- stenza delle aste sottoposte a trazione, e ripren- dendo gli studi di Galilei, alla luce delle defi- nizioni di Hooke nella ricerca sugli elementi inflessi, compie importanti passi avanti: osser- va l'andamento delle deformazioni e le corri- spondenti tensioni nei lembi superiore e infe- riore della trave, annota che le fibre superiori e inferiori sono rispettivamente tese e com- presse e stabilisce che l'asse di rotazione deve trovarsi alla metà della sezione rettangolare.

I1 problema di Galileo è ancora ripreso alla luce del calcolo infinitesimale da J . Bernoulli (1654-1705) che nel 1694 definisce le proprietà matematiche della cosiddetta linea elastica n.

Navier (1785-1836), i suoi studi sull'equi- librio dei corpi elastici sono sviluppati e por- tati avanti da Cauchy (1789-1857) che in una relazione all'accademia delle scienze francese nel 1822 chiarisce definitivamente il concetto delle condizioni elastiche come concetlo di sfor- ' zo e deformazione.

I risultati cui erano giunti Navier e Cau- chy sono poi la base per Poisson, Lamè, Cla- peyron alfine di caratterizzare le costanti ela- stiche per ogni materiale strutturale.

In particolare Poisson (1781-1840) stabilisce che qualsiasi materiale ha un rapporto costante tra la deformazione, nel senso di applicazione dello sforzo (deformazione principale), e la de- formazione nel senso ortogonale (deformazione secondaria) alla precedente.

2. 1 MATERIALI

40 M . Cristina Forlani

È possibile farsi un'idea della strut- tura della materia osservando le diffe- renze esistenti tra i tre stati di aggrega- zione della stessa:

- nei gas gli atomi, o piuttosto, le mo- lecole che sono minuscole uniti costituite da pochi atomi fortemente legati tra loro, si muovono nello spazio quasi indipen- dentemente;

- nei liquidi le molecole sono impac- chettate anche se possono muoversi e di conseguenza allontanarsi l'una dall'altra permettendo così lo scorrimento del li- quido;

- nei solidi, atomi e molecole sono im- pacchetati un po' più saldamente che nei liquidi. Per cui in genere non possono più allontanarsi ma solo oscillare attorno a posizioni fisse di equilibrio.

Alla luce di quanto detto risulta che la conoscenza dei materiali non consiste

solo in quella della loro composizione atomica ma anche e soprattutto nelle co noscenze dei modi in cui avvengono gli « impacchettamenti tra atomi e mole cole, ovvero della loro struttura fisica e dei difetti presenti in essa.

Per quanto riguarda i solidi, da più di un secolo è stato constatato dai natura- listi più attenti, che la maggior parte ì. di tipo cristallino; questo fatto è evidente nelle formazioni rocciose, ma lo diviene altrettanto, a microscopio, anche per al- tre formazioni come i metalli.

In quasi tutte le sostanze solide quindi si ritrova una struttura che è caratterizzata dalla ripetizione di motivi ordinati. Attraverso la descrizione del tipo di ordinamento e del grado di regolarità delle strutture si inizia a determinare il tipi di comportamento caratteristico di un solido, a differenza dei gas che, indivi- duati come insiemi disordinati, hanno forme di comportamento sostanzialmente analoghe.

4 1 Mater ia l i , Strrrtture, Forn lc

Si ribadisce quindi che nei solidi il comportamento dipende non solo dalla

chimica (come nei gas) ma anche dal tipo di ordine che viene adot- tato nella struttura molecolare.

Inoltre la ripetizione ordinata del motivo cristallino non è sempre perfetta per cui la presenza di alcuni difetti è un ulteriore motivo della differenziazione del comportamento di un solido rispetto ad un altro.

I difetti riscontrabili in una struttura cristallina possono sintetizzarsi in:

1) vacanze, ossia può verificarsi che nel- lo schema ordinativo del cristallo la posi- zione destinata ad essere occupata da un atomo rimanga vuota (fig. 2.1);

2) impurezza sostituzionale, quando la posizione lasciata da un atomo (vacanza) è occupata invece da un atomo di altra specie (fig. 2.2);

3) impurezza interstiziale, si ha quan- do nei piccoli spazi lasciati vuoti in una struttura ordinata si vanno a sistemare atomi di dimensioni più piccole (fig. 2.3);

4) dislocazioni, che si verificano quando l'equilibrio della struttura è turbato dallo scorrimento di un piano atomico sull'al- tro (fig. 2.4).

I primi tre tipi di difetti possono essere definiti come « difetti puntuali » e rappresentano grosso modo la capacità dei metalli di costituire leghe. L'ultimo difetto, definibile come « lineare D, rap- presenta in larga misura la capacità pla- stica, la duttilità di un materiale.

L'ordine che si trova nella formazione delle strutture fisica di un solido è deter-

Fig. 2.1. Vacanza.

Fig. 2.2. Impurezza sostituzionale.

Fig. 2.3. Impurezza interstiziale.

Fig. 2.4. Dislocazione.

minato, come detto, dai niotivi in cui si aggregano gli atomi individuando poi quelle unità stabili definite molecole; le possibilità di formare molecole sono tan- tissime (da quella biatomica a quella gigante) ma i modi in cili si legano sono pochi.

La differenza tra i legarni consiste nelle modalità con cui avvengono le di- stribuzioni degli elettroni nell'ultimo stra- to di orbite al fine di raggiungere una situazione stabile, e nella intensità e dire- zione in cui si stabiliscono tali legami.

Per quanto riguarda i « modi » si hanno: i l legame iorlico (fig. 2.5), in cui si ha uno scambio di elettroni da un atomo all'altro al fine di ottenere una unità molecolare stabile; i l legame cova- lente (fig. 2.6), in cui gli elettroni del- l'ultima orbita sono in compartecipazione; i l legame metallico (fig. 2.7) che, come quello covalente, mette in compartecipa- zione alcuni elettroni ma senza comple- tare la configui.azione in modo che si formano legami di tipo transitorio.

Per quanto riguarda invece la « dire- zione » con cui si stabiliscono i legami, si hanno legami ad azione direzionnle (legame covalente) o isotropa (legame metallico) con tutte una serie di situa- zioni intermedie.

I1 carattere direzionale del legame stabilisce strutture di tipo poliedrico (vedi legami covalenti in una struttura tetrae- drica tipo composti del carboni0 e del silicio, (fig. 2.8) , mentre un legame ad azione isotropa, non direzionale, defini- sce la tipica disposizione che si appoggia al modello della accumulazione compatta di sfere (fig. 2 .9) ; la disposizione dipende allora dalla dimensione relativa degli ato- mi: se non ci sono direzioni privilegiate

Fig. 2.5. Legame ionico.

Fig. 2.6. Legame covalente.

Fig. 2.7. Legame metallico.

le sfere tendono ad occupat.c il minimo spazio. Si verificano due possibilità: clie g l i atomi siano uguali, e in tal caso si 11a una compattazione di 8 o 12 sfere per

oppure che gli atomi non siano uguali e in tal caso si realizzano altri tip di impacchettamento con geometrie pii1

(leghe). Nel caso in cui gli atomi non sono

uguali è sempre possibile scomporre la struttura complessa in più strutture sem- plici che si compenetrano.

La resistenza di un materiale è anche strettamente legata alla natura dei legami chimici e fisici che legano gli atomi e le molecole di un elemento solido.

Infatti se si vuole distruggere un so- lido qualsiasi si possono usare metodi diversi che vanno dalla frattura mecca- nica alla fusione e all'attacco chimico. In ogni caso però si deve operare sui legami al fine di allentarli.

Fig. 2.8. Legame c o v a l e n ~ e ad azione direzio- nale nella struttura ieiraedrica del carbonio.

Fig. 2.9. Legame ad azione isotropa in una Strulfura mefallica.

4 4 h4. Cristina Forlarri

la p ie t ra

I materiali lapidei, che compongono l'in- tera crosta terrestre, sono costituiti d a minerali aggregati in masse non omogenee.

Le pietre naturali si dividono, in riferi- mento alla loro genesi, in:

rocce erut t ive (graniti, porfidi, basalti) originate dal raf- freddamento di magmi fluidi già ad altis- sima temperatura. Sono di difficile lavora- zione, ma sono dotate di buona levigabilità e lucidabilità e sono caratterizzate da una struttura granulare più o meno fine:

- graniti, sono compatti, massicci e adatti a sostenere elevate pressioni; sono usati per rivestimenti e pavimentazioni;

- porfidi, molto compatti e duri . Difficili d a lavorare, vengono usati per la maggior parte in blocchetti o lastre per pavimenta- zioni stradali;

- basalti, sono pietre molto dure e ven- gono usate per pavimentazioni stradali e tal- volta anche come materiale da costruzione.

rocce sedimentar ie

(calcari, silici, quarziti, tuli) originate per accumuli di materiale proveniente dal disfa- cimento di altre rocce e d a depositi di natura organica. Si differenziano sia per la loro natura chimica, sia per l'origine:

- calcari, costituiti da carbonato di calcio, sabbie, arenarie e cemento vario. Se a strut- tura non cristallina, sono facili da lavorare, lucidabili e segabili sia in blocchi che in lastre;

- fraverfirzi, rocce calcaree a struttura spugnosa;

- silici, costituite d a quarzo amorfo, otti- me per costruzioni, se a struttura caverno- sa (leggere e resistenti), altrimenti friabili e poco resistenti. Vengono usate sia in la- stre per rivestimento sia come pietrisco per cementi;

- quarzifi, costituite da granuli di silice, molto compatte, usate in lastre d a rivesti- mento e da pavimento sia per esterno che per interno;

4 5 Materiali, Strrrltrrre, Forr7le

- arer~aric, costituite da grani silicei e frammenti minuti a spigoli vivi uniti da cemento di vario tipo. Facilmente lavora- bili come pietra da taglio, grezza e concia;

rocce soljalate, tenere e non adatte per jmpieghi all'esterno (gesso);

tuj i calcarei, come il travertino hanno struttura spugnosa e cavernosa; sono leggeri e si tagliano con facilità.

rocce metamorfiche (gneiss, filladi, scisti cristallini) originate sia da rocce eruttive che sedimentarie, le quali a causa di forti pressioni e alte tmperature hanno assunto una nuova struttura cristal- lina, ovvero, una struttura scistosa, caratte- rizzata dalla divisibilità in lastre sottili;

- gneiss, come i graniti ma con struttura scistosa e cristallizzata; ottime pietre da taglio;

- filladi, derivano dalla trasformazione me- tamorfica delle argille (lavagna, ardesia): si possono tagliare in strati molto sottili; resi- stono agli agenti atmosferici; sono poco porose;

- scisti cristallini, hanno piani di sfalda- mento preferenziali; utilizzati come rivesti- mento, coperture, inerti per calcestruzzo, per la fabbricazione di mattoni refrattari.

dono la durevolezza e la resistenza agli agenti atmosferici;

- la durezza, la quale è tanto maggiore quanto più elevato è i l valore del peso di volume, vale a dire è proporzionale al gra- d o di compattezza (a parità di componenti minerali, all'aumentare della compattezza corrisponde una maggiore resistenza alla abrasione).

Rispetto alla segabilità, che è la caratte- ristica c h k meglio d i ogni altra fornisce un criterio di classificazione della durezza, le pietre si dividono in: - tenere (tufi calcarei e alcuni travertini) se segabili con seghe a dentr; - sernidure (calcari e arenarie), se segabili con lame lisce e ausilio di sabbie; - dure (calcari saccaroidi, serpentini, arena- rie forti), se segabili con lame lisce con l'aggiunta di saggia quarzosa; - durissime (porfidi quarziferi, graniti, diaspri) se sega- bili solo con l'ausilio del carburundum o polveri diamantifere industriali.

Per quanto riguarda le proprietà mec- caniche, i materiali lapidei sono caratteriz- zati da una buona resistenza a compres- sione, scarsa a trazione. Tutte le rocce per- dono la capacità di resistenza in misura inversamente proporzionale al grado di im- bibizione di acqua. Si riportano, a titolo esemplificativo i valori minimi e massimi della resistenza a compressione relativi alle rocce utilizzate con maggior frequenza in

1 requisiti principali dei materiali lapi- edilizia:

dei vengono esplicitati attraverso: rocce eruttive graniti: - il peso specifico, in base al quale le

pietre possono essere classificate in leggere, 1600 - 2400 kg/cmq

mediamente pesanti, pesanti e molto pe- basalti: santi; 2500 - 4000 kg/cmq

tufi vulcanici: - /a porosità, espressa attraverso un coefi- - 300 kg/cmq ciente che viene determinato in relazione alla quantità di alveoli presenti all'interno sedimentarie di una massa (soluzioni di continuità tra i quarziti: vari minerali componenti); 1300 - 3000 kg/cmq

arenarie comuni: - In compattezza, determinata dal rappor- to fra i l peso di volume e i l peso specifico 600-800, 1200 - 2000 kg/cmq

assoluto, è funzione del coefticiente di poro- sità; la compattezza, congiuntamente alla 300 - 180° kg/cmq Porosità, determina i l grado di imbibizione traverlirli: della pietra, dal quale a loro volta dipen- 250 - 600 kg/cmq

gneiss: 1600 - 2800 kg/cmq serpen t ini: 1400 - 2500 kg/cmq

Le pietre da costruzione devono: - essere « resistenti D ;

- offrire « buona aderenza » alle malte; - essere di «facile lavorazione e trasporto));

- avere una struttura, per quanto possi- bile. uniforme.

Le pietre da costruzione non devono: - essere soggette a rapido deterioramento per effetto degli agenti atmosferici (le ac- que meteoriche possono sciogliere i mine- rali presenti nella pietra, oppure gelando, dopo essersi infiltrate negli alveoli, possono provocarne la lesionatura); - essere esposte all'attacco di « acidi D, « basi », « sali D, « fuliggini » e « fumi D, che possono provocarne le modificazioni chimi- che; - essere sottoposte all'azione disgregat rice di « batteri D, « alghe D, « muschi D.

Anche rispetto ai « difetti » si può per- venire ad una classificazione nella quale si distinguono: - rocce filamentose, attraversate d a peli sottilissimi spesso intrecciati; - rocce vetrose, dure ma molto fragili; - rocce curiate, caratterizzate dalla presen- za di numerosi alveoli di varia grandezza;

- rocce scagliose, soggette allo sfaldamen- to a scaglie; - rocce gelive, non resistenti all'azione del gelo; - rocce terrose e nodose, contenenti terra o nodi di durezza molto maggiore o minore della massa circostante.

estrazione e lavorazione

Le rocce vengono estratte da cave a « cielo aperto')) o da cave sotterranee.

Dalle cave a « cielo aperto D vengono generalmente estratte le rocce dure da co- struzione e rocce incoerenti come sabbia e argilla.

Dalle cave sotterranee si estraggono cal- cari ornamentali, marmi, ardesie, e mate- riali pregiati in genere.

La separazione dei blocchi avviene a mezzo di cunei introdotti con la mazza o con piccole mine.

I1 sistema del « filo elicoidale è usato per tagliare rocce di media durezza e dure. Detto filo è formato da tre f i l i d'acciaio del diametro complessivo di 3,5 - 6 mm. La fune, montata su pulegge di rinvio, si muo- ve da una velocità di 5 - 6 m/sec. e scorre sul masso da tagliare mentre nel taglio vie- ne versata una miscela d'acqua e sabbia che funge da abrasivo.

Le pietre da costruzione dopo l'estra- zione sono sottoposte a lavorazioni succes- sive che vanno dalla semplice 'sbozzatura' alla « scalpellinatura D, alla « lucidatura con varie fasi intermedie.

In relazione alle modalità d'uso e di lavorazione, le pietre si presentano in coni- mercio sotto forma di:

- conci, sono blocchi squadrati con facce lavorate per farli combaciare gli uni con gli altri;

- blocchi, si impiegano per elementi di spessore superiore ai 10 cm. per i quali si usa la lavorazione a massello; - pietrame per murature, selezionato, è lavorato in blocchi parallelepipedi con lati compresi tra 20 e 50 cm. La superficie è greggia di spacco secondo i piani di sfal- damento. E ancora molto usato per i muri di contenimento;

- materiale minuto, per la formazione de- gli inerti per calcestruzzi e per la pavimen- tazione stradale;

- lastre segate, hanno spigoli vivi o appe- na smussati, impiegati per rivestimenti e pavimenti. Le superfici possono essere levi- gate e lucidate;

- lastre na/urali, provengono da rocce scistose e conservano lo spessore e la super- ficie che si ottiene nell'estrazione. Possono venire grossolaniente squadrate.

il legno

I1 legno è un materiale naturale com- posito, i principali elementi costitutivi sono i polisaccaridi chiamati olocellulose (70%) e la lignina che è un polimero complesso di fenoli, la cui funzione è quella di cemen- tare le fibre di legno. Sono presenti anche coloranti, tannini, resine, oli, ecc.

Ha una struttura cellulare di varia for- ma e spessore, costituita da elementi tubo- lari lunghi e stretti chiamati comunemente fibre; di conseguenza, non presentando un comportamento omogeneo in tutte le dire- zioni, è un materiale fortemente anistropo.

Non è omogeneo perché ha una strut- tura fibrosa, nodosa, con una marcata ete- rogeneità degli anelli annuali, con possibili cipollature (distacchi parziali o totali tra due anelli annuali) o canastri (tessuti di reazione che si formano sotto l'azione di stimoli meccanici, es., vento).

I1 legno ha le seguenti proprietà - resistenza meccanica: ottima resistenza alla flessione, dovuta alla sua struttura fi- brosa; resiste infatti bene sia a trazione

sia a compressione se sollecitato parallela- mente alle fibre;

- potere d'imbibizione e permeabilità: è un materiale igroscopico, infatti è molto sensibile all'umidità; è soggetto a rigonfia- mento per assorbimento d'acqua e ritiro per disseccamen to;

- coibenza termica: ottima tant'è che viene usato anche come materiale di rivestimento interno nelle zone fredde;

- resistenza al fuoco: è combustibile, però lo strato superficiale carbonizzato protegge per un certo tempo la parte più interna, evitando a volte i l crollo improvviso della struttura.

In particolare, i l deterioramento avviene soprattutto per l'attacco di funghi presenti nei climi umidi ( i l fungo si nutre della cel- lulosa lasciando le fibre secche) o per l'at- tacco di insetti.

A titolo esemplificativo si riportano al- cuni valori relativi ai carichi di sicurezza dei principali legnami italiani:

COMPRESSIONE kg/cmq

parallelo normale alla fibra alla fibra

Abete 1 O0 20

Larice 120 2 5

Pino 110 2 O

Castagno, Frassino e Olivo 110 2 0

Pioppo 100

Quercia e Faggio 120

Robinia 120

I tipi di legname da costruzione più diffusi in Italia si possono dividere secondo una classificazione botanica in:

- legni dolci: derivanti da essenze (coni- fere) costituite da cellule allungate aventi la duplice funzione di sostegno e di condu- zione dei succhi linfatici (in alcune essenze sono presenti anche i condotti resinosi); sono particolarmente usati in edilizia, il larice, l'abete bianco, l'abete rosso, il cir- molo, il pino silvestre, il pino marittimo, il cipresso;

- legni duri: derivanti da essenze (lati- foglie) caratterizzate da due tipi di cellule costituenti una il tessuto fibroso di sostegno della pianta e le altre il sistema di circola- zione dei succhi; sono particolarmente usati in edilizia: l'acero, la betulla, il carpino bianco, il castagno, il cerro, il faggio, la farnia, il leccio, il nocciolo, l'olmo, I'onta- no, la robinia, la rovere, l'ulivo.

FLESSIONE TRAZIONE TAGLIO kg/cmq kg/cmq kg/cmq

parallela normale alla fibra alla fibra

lavorazione

I1 legname da costruzione, dopo la lavo- razione di base, si può trovare in commer- cio principalmente nelle seguenti forme:

a) legname tondo o fondarne; b) legname segato; C) legname squadrato.

I legni tondi sono costituiti da fusti in teri o loro parti e non devono avere coni- cità superiore al limite fissato di volta in volta nei capitolati d'appalto.

I1 legname segato si divide in 'travi' e 'tavole': - le 'travi' assumono una nomenclatura ap- propriata a seconda delle dimensioni della sezione trasversale: il 'morale' ha sezione quadrata 5x5 - 8x8; il 'moralone' sempre con sezione quadrata fino a 12x12; gli 'smezzati' o 'mezzimorali' hanno sezione ret- tangolare con un lato doppio dell'altro; i 'listelli' hanno ambedue i lati della sezione rettangolare inferiori a 4 cm; - le 'tavole' si ricavano segando il tronco in vari modi parallelamente al proprio asse longitudinale.

Il legname squadrato, lavorato di solito all'ascia, è a spigolo vivo o smussato per una parte della sua lunghezza.

49 ,Ilalerioli, Strutture, Forriie

Materiale derivato dal legno:

, il compensato è formato dalla sovrap- posizione ed incollaggio di fogli sottili di legno con spessori tra 1 e 3 mm e con le fibre incrociate. Lo spessore del pannello finito va anche oltre i 25 mm. La prima fase della lavorazione consistente nel 'deru- lamento' O 'sfogliatura', cioè riduzione dei tronchi opportunamente scortecciati in fogli mediante una lama parallela all'asse del tronco che gira ad altissima velocità. Gli sfogliati vengono poi fatti essicare ed in se- guito incollati con resine sintetiche termo- indurenti (resine ureiche per compensati non destinati a resistere all'umidità; melani- niche o fenoliche per un'elevata resistenza e durata all'acqua). Infine si pressano i pacchi così ottenuti, riscaldandoli contem- poraneamente con il vapore;

- il paneforte è un particolare compen- sato costruito da alcuni fogli che ricoprono listelli o tavole. E più rigido del compen- sato, con uno spessore dai 10 ai 40-45 mm;

- pannelli di fibre, detti anche legnami ricostitutivi o sintetici. Alle fibre ottenute dalla disgregazione meccanica del legno,

dopo essere state messe in acqua e depu- rate, si aggiungono collanti. I1 materiale ottenuto, stratificato, si lascia essiccare per ottenere pannelli leggeri per la coibentazio- ne termoacustica; o invece compresso per ottenere pannelli duri;

- pannelli agglomerati (o truciolari), com- posti con la stessa materia prima dei pan- nelli di fib,ya. I trucioli essiccati, si spruz- zano con aglomerati a base di resine sinte- tiche e poi vengono compressi. Resistono bene all'umidità e possono essere trattati con ignifuganti;

- lana di legno, è costituita da lunghe stri- sce sottili di legno, adatta all'imballaggio. Con essa si possono formare dei pannelli mescolandola con agglomeranti tipo malta e poi comprimendo il tutto;

- legnami lamellari, costituiti da strati sot- t i l i di legno, incollati in modo da sfalsare i nodi e gli altri difetti. Sono utili per gran- di strutture nelle quali si possono impie- gare le travi lamellari, nelle quali la resi- stenza aumenta notevolmente rispetto al le- gno di partenza.

l'acciaio

L'acciaio è un materiale ferroso costi- tuito da leghe nelle quali i l contenuto di ferro supera quello di ciascun altro ele- mento e quello di carbonio è presente in quantità non superiori a11'1,9%.

I1 ferro, come tutti i metalli, ha, allo stato solido, una struttura cristallina costi- tuita da reticoli cubici a corpo centrato o a facce centrate: gli atomi, cioè, si dispon- gono rispettivamente ai vertici di un cubo o sulle facce del cubo in posizione cen- trata.

L'utilizzazione del ferro a livello costi- tutivo può essere effettuata solo in combi- nazione con altri elementi.

La prima lega con caratteristiche di grande interesse per l'edilizia è rappresen- tato dalla ghisa, ottenuta combinando in altoforno ferro e carbonio in percentuale, qucst'ultimo, superiore al 1.7%. La sua uti-

lizzazione è limitata a forme ottenibili in stampi, in quanto non dotato di malleabi- lità e forgiabilità.

L'acciaio deriva da un processo di (( affi- nazione della ghisa liquida. Tale processo ha lo scopo di portare i l contenuto di im- purezze della ghisa (soprattutto fosforo e zolfo) al più basso livello possibile e quello di carbonio a percentuali che, per gli ac- ciai da costruzione, sono contenute tra 0,10 e 0,2596.

Nell'acciaio infatti compaiono, accanto ai cristalli di ferro, cristalli di costituenti diversi in una percentuale complessiva com- presa tra zero e 5%:

- carbonio, sempre presente (0,15 - 0,25%);

- silicio, (0,l - 0,7%);

- rnatlgatzese, sempre presente (0,3 - O$%). Pei-mette all'acciaio di conservare la salda-

bilità che altrimenti perderebbe in presenza ne con~unemente chiamato « tempra » ed ha di percentuali di carbonio superiori allo lo scopo di produrre sulla lega n~odifica- 0.15%); zioni strutturali microscopiche che a loro

- zolfo, fosforo e ossigeno (libero o com- binato) sono impurità dannose. E da rite- nersi già eccessivo un contenuto di tali ele- menti complessivamente pari allo 0,1%: i l fosforo rende fragile l'acciaio, lo zolfo ne riduce la malleabilità;

- cromo, nichel, vanadio; tungstet~o, molib-. dello, entrano nella costituzione degli acciai speciali: essi hanno la capacità di migliorar- ne notevolmente le caratteristiche meccani- che e di aumentarne la sensibilità ai tratta- menti termici.

La tenacità di un acciaio è influenzata, oltre che dalla composizione chimica, an- che dai trattamenti termici, i quali consi- stono nel passaggio da un riscaldamento a determinate temperature a un successivo raf- freddamento brusco. Tale procedimento vie-

volta ne migliorano le caratteristiche niec- caniche.

Sotto l'azione di carichi esterni, i l com- portamento dell'acciaio è caratterizzato d a una serie di fasi differenziate che si susse- guno nell'ordine seguente: fase elastica, fase di snervamento, fase di deformazione pla- stica (sc6rrimento locale che riduce la ten- sione), fase di incrudimento, rottura.

Un acciaio moderno (con carbonio tra zero e 0,25%) e con un totale di impurità inferiore allo 0,0996) generalmente ha un limite' di snervamento di 22 - 24 kg/mm2 ed un carico di rottura di 37 - 45 kg/mm2.

I1 contenuto di carbonio, se è troppo basso (acciaio dolce), porta a caratteristiche meccaniche non soddisfacenti, se troppo al- to (acciaio duro) causa fragilità.

Secondo i l contenuto di cai.bonio si pos- sono classificare gli acciai in:

C 06 UTILIZZAZIONE

EXTRA DOLCE 0,15 max fili, chiodi, tubi, lamiere, scatolame, bulloni, viti;

DOLCE 0,16 - 0,30 tubi, lamiere, profilati, traversine ferroviarie, alberi, bielle, ruote dentate, assali;

SEMIDURO 0,30 - 0,45 alberi a gomito, rotaie, aratri, pale, vanghe, forche, falci, ruote dentate, cerchioni, canne da fucile, filo per cavi;

DURO 0,45 - 0,65 rotaie, martelli, molle, scalpelli, lame, utensili, filo per cavi;

- P- - - P -

EXTRADURO oltre 0,65 lame, seghe, utensili da tornio, frese, pialle, filettatrici, acciai per cemento armato precompresso.

Gli acciai comuni, al carbonio, non si Con gli acciai patitzabili arrtoprolellivi, possono in~piegare senza una adeguata ver- in atmosfera non marina, la diminuzione di niciatura di protezione, perché la corrosione spessore per corrosione è ridotta, diventan- pl'ocede negli anni in misura praticainente do nulla, dopo i primi due anni di eser- costante. cizio.

5 2 M. Crisli t~a Forfani

sisfemi di produzione dell'acciaio

lavorazione

L'acciaio, come già accennato in prece- denza, si ottiene attraverso processi di « af- finazione » della ghisa volti a ridurre le impurità e a dosarne opportunamente la percentuale di carbonio.

Ai sistemi di afinazione >> liquida tra- dizionali si sono sostituiti i più moderni sistemi di « afinazione » solida, gli unici in grado di ottenere ferro purissimo per la produzione dell'acciaio al crogiuolo o al forno a induzione.

Anche se molto simili, si possono distin- guere due sistemi di « afinazione » solida: « al basso fuoco » e per « puddellaggio ».

Nel primo sistema il combustibile (car- bone di legna) è a contatto diretto con la

ghisa, nel secondo la combustione avviene in un forno separato rispetto a quello nel quale si trova la ghisa.

In entrambi i procedimenti l'afinazione viene effettuata dalla ghisa, ricca di ossido d i - ferro continuamente arricchito di ossi- geno, in un bagno tenuto in costante agita- zione. Le loppe spugnose del metallo, molto ricche di scorie così ottenute, vengono bat- tute perché perdano quante più scorie pos- sibile.

Per ottenere un metallo ancora più ric- co di carbonio, lo si riduce in barrette piatte e lo si cementa « a cuore » con car- bone di legna. I1 metallo così ottenuto è molto puro, ma anche molto costoso.

5 3 Ala! eriali, S f r u fturc, Forn~c

i laterizi

I laterizi sono manufatti economici, ot- tenuti dalla cottura di argilla impastata con acqua ed essiccata.

L'argilla è essenzialmente composta di ossidi idrati di alluminio e di ferro, di sili- cati idrati di alluminio e può contenere im- purità come humus, carbonato di calcio, pirite e gesso. Risulta per massima parte dall'alterazione di feldspati e felspatoidi, per trasformazione fisico-chimica dovuta agli agenti atmosferici (fenomeno di caolinizza- zione).

L'argilla usata è solitamente più o meno marnosa D: il calcare contribuisce ad ele-

varne la resistenza meccanica, purché non sia presente in quantità superiore al 30%.

L'argilla ha la proprietà di essere pla- stica, cioè impastata con acqua dà luogo ad una massa facilmente modellabile. Tale pla- sticità è proporzionale al grado di finezza dei granuli di argilla che compongono l'im- pasto ed è dovuta essenzialmente alla strut- tura cristallina del silicato idrato di allumi-

nio (presente nell'argilla stessa) costituita da cristalli aghiformi, molto igroscopici, i quali tendono ad orientarsi parallelamente tra loro, creando superfici lungo le quali le particelle elementari di materia possono scorrere le une rispetto alle altre.

Plasticità e finezza possono essere ri- dotte dalla presenza di impurità, quali le sabbie, l'ossido di ferro che conferisce una colorazione rossastra al prodotto finito dopo la cottura, il carbonato di calcio presente anche sotto forma di scheletri e frammenti di animali fossili. Inoltre è dannosa la pirite perché con la cottura dà origine a solfati che, con l'umidità atmosferica, provocano eff lorescenze superficiali.

A ridurre tali inconvenienti si possono apportare opportune correzioni: la mica e le sostanze organiche migliorano la plasti- cità; sabbia, polvere di carbone o polvere di laterizio sono smagranti; i silicati a!ca- lini naturali abbassano il punto di fusione, permettendo di ottenere, a temperature più

5-1 151. Cristina Forlnt~i

basse, prodotti con elevate cara tieristiche di compattezza ed impermeabili tà.

J laterizi sono i materiali ceramici di maggior uso nell'edilizia; quelli più comuni sono:

- laterizi pietri, di cui i pii1 importanti sono i mattoni; di forma parallelepipeda sono utilizzati per strutture portanti. Attual- mente si tende ad unificarne le dimensioni in 5 ,5xl2x25 cm (LINJ) in modo da con- sentire spessori di muratura modulari con uno spessore dello strato di malta di 1 cni. Oltre ai mattoni pieni esistono i mattoni semipieni, anch'essi utilizzati per niurature portanti;

- laterizi forati, con funzione non portan- te, soprattutto per i l paramento interno del- le tamponature esterne ed i muri divisori. Si possono distinguere in blocchi delle di- mensioni di cni 1 2 x 2 5 ~ 2 5 (UNI) e a quat- tro. sei e dieci fori. Sono più leggeri dei mattoni pieni e per la presenza delle piccole camere d'aria presentano una buona coi- benza terniica ed acustica. Haiino però, per lo stesso motivo, una niinore inerzia ter- mica, pertanto, pur avendo una maggiore coibenza sono meno « freschi » d'estate e nieno « caldi » d'inverno. I laterizi forati, tendono a ridurre l'umidità presente negli ambienti poiché permettono una maggiore circolazione d'aria;

velloni, le pignatte prevalentemente utiliz- zati per opere orizzontali (controsofitti e solai);

- laterizi per coperture, s i possono distin- guere in tegole piane o embrici, in tegole curve o coppi o canali ed in tegole piane marsigliesi.

Le proprietà del laterizio possono essere così elencate:

- resistenza rneccanica: ottima resistenza a compressione e scarsa a trazione;

- fragilità: piuttosto elevata, dipende dalla temperatura di cottura;

- resisterlza all'rtso: varia a seconda del grado di compattezza dell'impasto; se è poroso è più facilmente scalfibile e quindi meno resistente all'usura;

- potere cli irnbibiziorze o perrneabilità: è funzione della porosità, generalmente è piut- tosto elevato;

- aderenza alle rnalte: anch'essa è fun- zione della porosità della superficie; è buo- na se l'impasto è poroso per l'attivazione del fenomeno di presa dei leganti tra le superfici di contatto;

- gelività: è funzione del grado di cottura del materiale, dell'impermeabilità e della compattezza;

- laterizi cellulari 0 blocchi alveolati, sono - coibenza termica: è funzione della poro- prodotti con impasti particolari che, dopo s i t i dellJimpasto; è migliore nei laterizi che la cottura, formano una struttura alveoiata ne]]a Dietra o nel cemento; ottima per le elevate caratteristiche d i coi-

1

benza senza riduzione della resistenza mec- - resisterzza al fuoco: è notevolmente più

canica; elevata che nella pietra o nel calcestruzzo.

- laterizi leggeri, oltre ai tipi di laterizio Il principale requisito dei laterizi è sopra citati esistono anche le tavelle, i ta- comunque la resistenza a compressione:

resistenza a compressione in kglcrnq

classe 1 2 3 4 5

rl~attor~i o blocchi Jorati 15 24 4 O 60 8 0

rnaiiorzi pieni o semipieni 1 O0 150 250 350 450 p-.-pp--- ---P

i l peso specifico niedio è di 1700 kg/nic.

lavorazione

L'argilla un tempo, veniva prelevata dalla cava in autunno e lasciata stagionare per tutto l'inverno.

L'azione disgregante degli agenti atmo- sferici rendeva la massa più plastica, favo- rendo la separazione delle impurezze più grossolane e la lavorazione.

Oggi l'argilla invece, dopo una cernita grossolana, viene subito macinata ed omo- geneizzata con dei mescolatori. Contempo- raneamente viene corretta e portata al grado di grassezza voluta.

La formazione del laterizio è realizzata a macchina con procedimento a stampo o a filiera: nel primo caso i l materiale viene compresso da una pressa in uno stampo, nel secondo i l materiale viene compresso da un sistema di propulsione elicoidale o a cilindri entro una filiera di forma oppor- tuna.

11 trafilato continuo che ne esce scorre su rulli e viene tagliato verticalmente da fili di acciaio. Il laterizio che si ottiene viene essiccato lentaniente per evitare fes- surazioni per effetto del ritiro. Un tempo si essiccava in modo naturale, oggi si ricor- re anche ad essiccatoi. La cottura un tem- po, veniva fatta in forni discontinui, con- sistenti in camere nelle quali venivano acca- tastati i mattoni crudi, lasciando uno spazio per accendere il fuoco. Con i l forno Hoff- man il processo invece diventa continuo. Questo tipo di forno consiste in una suc- cessione di camere comunicanti tra loro costituenti una forma risultante ellittica. In una camera si accende i l fuoco ed in essa avviene la cottura. Nelle camere adia-

centi e seguenti avviene rispettivamente i l raffreddamento dei mattoni cotti ed il pre- riscaldamento di quelli crudi. Mentre una camera sarà in fase di carico l'altra sarà in fase di scarico.

I1 sistema di cottura con i l forno a tun- nel è i l più attuale. 11 forno consiste in una galleria rivestita di mattoni refrattari, nella quale carrelli carichi di mattorii crudi pas- sano in una prima fase di pieriscaldamento, poi di cottura ed infine di raffreddamento prima di uscire all'estremità opposta del tunnel.

L'argilla cotta in atmosfera ossidante a 9 0 0 - 1000° diviene color i-osso; a 1200°, bruno o grigio.

I1 materiale non cotto a suficienza è rosa o marrone pallido. Riducendo le cor- renti di ossigeno si hanno mattoni porpora, marroni o bluastri.

La presenza di un'alta percentuale di ferro dà un colore dal rosso al marrone rossastro (in atmosfera ossidante), bluasti-o (in atmosfera riducente). Quando c'è pre- senza di calcare si hanno colori creta od anche bianco (in atmosfera ossidante).

Durante la cottura che avvien a 900 - 1000°OC dapprima l'argilla subisce un sen- sibile ritiro per la perdita d'acqua, poi a temperatura più alta cominciano a formarsi dei silicati complessi con ulteriore ritiro.

11 laterizio così perde toialmente le ca- ratteristiche di plasiicità, acquista consisten- za, porosità e resistenza nicccariica con urla trasfornia7.ione iireversibile del materiale originario.

56 M. Cristina For!nni

il calcestruzzo

Il calcestruzzo è un conglomerato arti- ficiale ottenuto impastando con I'acqua un agglomerante (cemento, calce idraulica) con materiali inerti (sabbia, ghiaia).

L'agglomerante, generalmente costituito da cemento naturale, si ottiene mediante la cottura di marne.

Generalmente le marne usate per pro- durre il cemento naturale sono così com- poste:

- carbonato di calcio dal 75 al 78%

- silice dal 12 al 21%

- allumina e sesquiossido di ferro dal 3 al 10%

- tracce di magnesia

Con la cottura ad alta temperatura del- le marne si riesce a dissociare il carbonato calcino; combinando l'ossido calcico con l'allumina e la silice si formano silicati di alluminati di calcio.

La marna cotta si chiama clinker, i l quale, dopo essere stato stagionato e maci- nato, si trasforma in cemento.

Il cemento (Portland) utilizzato nella confezione del calcestruzzob è un legante idraulico, perché ha la proprietà di indurire in combinazione con l'acqua, ed ha la fun- zione di far assumere all'impasto una con- sistenza litoide.

I1 fenomeno di indurimento sotto l'azio- ne dell'acqua si chiama « presa D.

Durante la presa l'acqua interviene con un processo di idrolisi (reazione di un sale con acqua) e uno di idratazione (addizione di acqua al sale) sui vari componenti: si libera calce che si discioglie nell'impasto mentre i silicati e alluminati, decomponen- dosi, danno luogo a geli colloidali che suc- cessivamente, per azione del colloide del- l'idrato di calcio, si saldano fra loro for- mando una struttura compatta.

L'acqua di impasto non deve contenere impurità; deve essere priva di sostanze or- ganiche e di sali che potrebbero impedire la presa del cemento (es., solfato di calcio).?

quelli più piccoli in superficie dando luogo al cosiddetto fenomeno della stratificazione degli inerti N.

Nella confezione del calcestruzzo si pos- sono usare vari tipi di cemento:

1) cemento Portland: è il più diffuso e si trova in composizione normale ad alta resi- stenza; quello ad alta resistenza può essere anche a presa rapida;

2) cemento Pozzolanico: è ottenuto maci- nando assieme al clinker una percentuale di pozzolana (roccia di colore dal rosso scuro al bruno, di origine vulcanica poco coerente). La pozzolana ha lo scopo di fis- sare la calce libera che si forma nel Port- land durante I'idratazione. Si ha quindi un cemento più resistente al dilavamento. Au- menta anche la resistenza alle acque solfate che danneggiano i cementi Portland. È par- ticolarmente adatto per opere marine;

3) cemento d'altojorno: le scorie prodotte dall'altoforno durante la fusione del mine- rale di ferro spente bruscamente con getti d'acqua, di vapore e d'aria danno luogo ad un materiale con .struttura granulare e po- rosa. Questo macinato con il clinker di cemento Portland dà luogo ad un cemento con proprietà simili al cemento pozzolanico;

4) cemento alluminoso o fuso: è un ce- mento con forte percentuale di ossido di alluminio. È a presa rapida (24 ore). Du- rante la presa sviluppa un calore di idra- tazione molto elevato: non va quindi impie- gato con temperature esterne superiori ai 25" C. La cottura avviene a temperature maggiori (1 500 + 1600" C) incrementandone pertanto il costo di produzione. Viene uti- lizzato là dove si richiede una grande com- pattezza e resistenza ad agenti corrosivi.

3 . SISTEMI PESANTI SISTEMI LEGGERI

66 A l . Cristina f'orlrir!i

n u r o i l peso dclla copzrtura, vertiral- rnente, senza altre spinte; i muri possorio essere allora relativamente leggeri r senza particolari rinforzi. I l sisieiria misto, inu- ri in pietra O mattoni e copertirra a strut- tura in lrgno, consente uiia relativa ani- piezzs del vano senza raggiungere forti defol-~~azioiii nel solaio; ma allorquando si desiderano spazi piìi anipi o non si lianno a disposizione travetti suffìciente- mentc lunghi da coprire la luce tra gli appoggi si devono ricercare sistemi di- versi. All'interno del sistema piano si usano espedienti originali come travi ad intreccio o oblique poggianti ognuna su due t~iuri contigui (fig. 3.1); i l compor- tamentci strutturale che si determina è diverso dal caso del solaio classico per- ché tutti e quattro i muri vengono coin- volti nella distribuzioiie dei cariclii.

Ls necessità di smaltire le acque più facilmcntc c di coprire lo spazio cori elenienti più corti della luce data, deter- mina poi la nascita della copertiira a falde iiiciinate (fig. 3.2).

L e ialde inclinate però esercitano una spirita verso l'esterno sulle mui.ature e qiiando questa è molto elevata deter- niina l'instabilità della muratura stessa.

Questo inconveniente può esserc ov- viato allargando notevolnieiite lo spes- sore dci inur i per contenere le spinte, ma senza dubbio non è una risoliizione economica (fig. 3.3).

È possibile però utilizzare u n altro sisteri-ia sti.utturale, la capriata, che evita le splntc nella muratura.

Ncl modello più semplice la capriata C un ~ i s t e m a triangolare costituito da due aste spingenti, inclinate e sollecitate a compre:;sione, collegate inferiormente da

Fig. 5 . ' . Strtitturc di solai piani.

Fig. 1 .2. Spinie nelle coperture a falde.

Fig. 1.5. Sislcrna di assorbiniento delle spinte ( c ~ n t r a f f o r r ; ) .

un tirante orizzontale, catcna, sollecitato a trazione (fig. 3.4).

Nel modello più evoluto sono presenti i l monaco che sostiene i l tirante e i saet- toni (fig. 3.5). I1 tirante è spesso costi- tuito, per motivi dimensionali, da due elementi giuntati dal monaco; monaco e saettoni tendono comunque sempre a ri- durre la luce libera d'inflessione dei tre elementi a triangolo.

Per avere più spazio, spesso la catena veniva posta in alto, determinando una forma ad « A » per avere una maggiore altezza del vano, tale altezza doveva però essere controllata per non determinare nuovamente una spinta laterale (fig. 3.6).

Quando lo spazio diventa molto am- pio si presentano altri problemi da risol- vere; un metodo ingegnoso di risoluzione è quello inglese del tetto a sbalzo; in termini strutturali l'effetto di una capriata a sbalzo in confronto a capriate simili, con la controcatena in alto, consiste nel- lo spostare in basso lungo i muri i l pun- [o di applicazione della spinta verso l 'esterno.

La trave che si dentifica praticamente con un grosso tronco d'albero è facil- mente reperibile e poco costosa.

Ma i l numero disponibile di alberi di certe dimensioni non è illimitato e spesso si è costretti a cercare di costruire tetti con pezzi di materiale più corto (capriate) oppure in mancanza totale di Icgno adatto si è costretti ad utilizzare altri materiali ed altri sistemi costruttivi.

Le forme di passaggio dal sistema pesante a quello spingente sono i cosid- detti pseudoarchi e volte che si basano Lincora staticamente sulla trasmissione

Fig. 3.4. Capriata semplice.

I..ig. 3.5. Capriata classica, con monaco e con iiionaco e saettoni.

f:ig. 3.6. Capriata ad « A n .

68 Al. Cristina Iiorlani

verticale degli sforzi, ma che formalmen- te anticipano lo sviluppo delle coperture con materiali rigidi. Un primo embric- nale pseudoarco può essere considerato quello costituito da due elementi lapidei, di ridotte dimensioni, sovrapposti ai pie- dritti e disposti a mutuo contrasto (fig. 3.7). Ma la forma più nota è quella che si ottiene con un maggior numero di pezzi aggettan ti di poco l'uno sull'altro fino alla mezzeria (fig. 3.8). I pesi si trasmettono verticalmente senza nessuna spinta. L'estensione spaziale tramite rota- zione con lo stesso principio porta alle pseudovolte quali i tholos, i nuraghi, , i trulli e forme analoghe (fig. 3.9).

I1 riferimento a i . problemi costruttivi individuati, pone la loro risoluzione, oltre che per mezzo di elementi rettilinei, an- che attraverso l'uso di forme diverse come quelle curvilinee introdotte dagli pseudo archi e pseudovolte.

L'utilizzazione di piccoli pezzi per costruire grandi strutture e coprire vasti spazi è quindi possibile attraverso un sistema geometrico-costruttivo, il sistema spingente, che individua, tra l'altro, un sistema statico più elementare perché definito dal solo regime di compressione.

L'unica sollecitazione presente, la compressione, unifica la muratura e la copertura (volta) individuando una unica linea curva che riportando gli sforzi a terra lega la forma delle costruzioni al- l'andamento degli sforzi; si può quindi determinare un continuum geometrico- formale oltre che statico, senza distin- zione tra muri e solai o tetti come nel sistema trilitico.

Fig. 3.7. Struttura con elementi a contrasto.

Fig. 3.8. Struttura a pseudo-arco.

Fig. 3.9. Sistema a pseudo-cupola.

-3 Fig. 3.10. Armatura di una volta a crociera.

Aperture

accesso

69 Afateriaii, Strutture, Forme

I problemi innesca t i nella cos t ruzionc di questo tipo di struttura, portano a con- tinue e necessarie evoluzioni; infatti la costruzione di un arco o una volta neces- sita di una preventiva costruzione di al- tra struttura con funzione di sostegno: generalmente per quanto riguarda la co- struzione in conci si usano centine in legno in grado di sorreggere l'elemento curvo fino alla sua completa realizzazione e quindi fino alla sua stabilità (figg. 3.10, 3.1 1).

Per quanto riguarda invece la realiz- zazione di archi o volte con getto di cal- cestruzzo si ha b i s ~ g n o di casseforme capaci di contenere il materiale fino al completo rassodamento.

I l costo delle centine e delle casse- forme e il peso che devono aridare a sostenere, allorquando tali strutture di- ventano di grandi dimensioni, definisco- 1 1 0 nuovi problemi che per essere oggetto d i soluzioni pratiche investono anche il campo più squisitamente della ricerca strutturale nella proposta di sistemi di alleggerimento e nello studio di forme ottimali.

Sistemi di questo tipo si possono comunque definire pesanti: infatti anche nel sistema spingente, nonostante l'intro- duzione di una geometria in cui molto da vicino si individua il rapporto tra forma e comportamento, l'effettiva solu- zione strutturale si afida generalmente :I meccanismi di forza-peso per bilanciare Ic spinte generate dalla forma ad arco.

L'evoluzione di questo tipo di strut- tura si caratterizza nella ricerca di un rapporto ottimale tra distribuzione degli >forzi e forme capaci di assorbirli.

Dalle strutture di piccole dimensioni verso quelle di dimensioni maggiori i l percorso evolutivo delle strutture pesanti ti-ilitiche e spingenti si individua prima

<- I-ig. 3.1 l . Armatiira di una volta a vcla.

di tutto nclla ci.escila in altczzi~. COI~IC accennato all'inizio, le strutlurc com- presse, non hanno infatti grossi problemi rispetto alle specifiche deformazioili (schiacciamcnti) dovute al crescere dei pesi (fig. 3.12).

Gli spazi liberi individuati in pianta da queste strutture non diventano invece mai troppo vasti in quanto la loro di- mensione (lu,ce tra i supporti) è detei- minata dalla possibilità di contciierc le spinte, nei sistemi voltati, e di assorbire la flessione, iri quelli architravati (fig. 3.13, 3.14).

Nel primo caso la volontà di ottenere un vano voltato più ampio è liniitaca quindi da due fattori principali. U i ~ o è possibile individuarlo nel tipo costrut- tivo: una grande volta, o cupola per es- sere innalzata ha bisogno di una strut- tura di sostegno che deve sosteneie il peso della volta fiiio a completatnciitu; naturalmente i materiali usati (pietra o laterizi) sono niateriali pesanli L' per quanto si sia sempre tentato di indivi- duare sistemi di alleggeriinento, una grande struttura di questo tipo ha uri notevolissimo peso che limita la possi- bilità di essere sostenuta da centine leg- gere.

L'altro fattore è determinato d:lil coi.- rispondente accrescersi della spiri t a ; la ricerca dell'assorbirnento di queste solle- citazioni attraverso la sperimentazio~ic e

~\,can!- l'esperienza ha messo a punto m, - smi sempre più sofisticati e tendctiti a individuare rapporti ottimi tra forrna e funzione: dal muro massiccio ai contraf forti, agli archi rampanti, alle catene (fig. 3.15).

-+ Fig. 3.12. Forti altezza nelle strutture conipres- sc (Kar~iak, sala ipostila).

Tig. 3 . 1 3 . I'icsnlc dirncrisiorii dei vaiii iici j l . 1 ~ -

i-rii arclii\olraii (Cordoba, hlosclie,?).

Fig. 3 . 1 4 . I'iccole diiiicii4ioiii dci v::ni r i .i \ i \ i ~ -

i i i i nrcliiirn; ari ( I'olcdo. Siiili!,og;iì

72 h{. Cristina Forlani

Fig. 3 . 1 5 . Meccanismi iiieriio delle spinie nei Caiiedrale).

complessi per I'assorbi- sisiemi voltati (Siviglia,

Ma se tali sistemi possono essere suf- ficienti entro certe dimensioni, oltre que- ste, cominciano a perdere i l loro effetto per la complessità delle geometrie deri- vanti e anche per l'insufficienza della 'resi- stenza dei materiali (catene).

Nel sistema arcliitravato (trilitico) i l discorso è abbastanza simile; la possibili- tà di ottenere luci maggiori tra un appog- gio e l'altro è ostacolata da problemi derivanti dalla crescita del peso e quindi dalla maggiore inflessione, che per i ma- teriali rigidi significa facilità di rotture.

Anche nell'arcl~itrave si sono ricer- cate le forme più appropriate a resistere alla flessione, per esempio quelle trian- golari; ma facendo i conti con i pesi ogni soluzioiie si è rivelata sempre abba- stiiriza liiiiitat:~.

I1 passaggio alle strutture particolari, di grandi dimensioni, deve avvenire al- lora per mezzo di sistemi diversi che non pongano problemi di peso.

La necessità di ottenere grandi spazi e , insieme, quella di ottimizzare i l lavoro di costriizione e l'utilizzazione del mate- riale, hanno portato nel tempo a indivi- duare strutture in cui il rapporto tra forma e funzione strutturale è sempre più tendcnte a rapporti di ottin~izzazione.

Una grossa spinta alla costrcizione di strutture leggere si è avuta coi1 I'evolii- zione della tecnologia dei materiali; attra- verso la invenzione di nuovi materiali e la messa a punto di tecniche capaci di modificare le caratteristiche dei materiali classici da costruzione.

L'utilizzazione di materiali con al te capacità di resistenza e leggerezza ha sti- inolato da una parte lo studio di a1ti.e situazioni statiche e dall'altra, coi1 tempo- iniicaiiierite, 121 riccl.ca dc l l c foi.nic appi.0-

P riate a lali situazioni. D'altro canto si deve riconoscere che costruzioni capaci I di sfruttare (( principi leggeri » si trovano jn tutte quelle località in cui i l reperi- mento di materiale pesante, tipo quello lapide0 o quello ligneo in certe dimen- sioni, diviene difficile o impossibile. In queste zone si assiste allora alla messa a punto di tecniche costruttive basate sull'intreccio che tendono a esaltare le uniche capacità del materiale, sfruttan- dole al massimo attraverso la sperimenta- zione su canali statici opposti a quelli individuati nelle costruzioni tradizionali pesanti.

La disponibilità di un tipo di mate- riale o di un altro è quindi uno dei fat- tori che influenzano la scelta della strut- tiira e lo studio dei meccanismi statici relativi, nonché dei sistemi costruttivi appropriati alle sue caratteristiche.

L'altro fattore, determinante nella ri- cerca e progettazione di strutture leggere, ì: la messa a punto di sistemi di calcolo capaci di evitare i disastri che normal- niente si determinano nell'iter sperimen- tativo senza basi scientifiche e analitiche.

Ma d'altra parte la permanenza di certe forme, anche contemporaneamente ai validi risultati raggiunti dal progresso scientifico e tecnologico, deve necessaria- inente far pensare a un diverso atteggia- rnento rispetto alla progettazione e quindi alla utilizzazione di materiali e concetti scientifici.

E indubbio che l'evoluzione verso forme leggere non è avvenuta, e non avviene, in maniera temporale; i con- cetti statici definiti primitivi, in cui la forza-peso è l 'unica protagonista, convi- vono con quelli più evoluti, caratteriz- zan'ti ad esempio le strutture in trazione, come si è detto per la presenza o meno di certi materiali ma anche e soprattutto per una differente mentalità rispetto al costruito e al modo di pensare l'oggetto ~iicliitettonico.

L infatti vero che spesso I'utilizza- zione dei diversi concetti si ritrovano nello stesso luogo e quindj non è coni- pletamente giusto parlare di rapporto con le risorse rispetto alla messa a punto del- l 'uno o dell'altro principio statico: ad esempio nell'habi tat agricolo si ha comu- nemente la compresenza di costruzioni realizzate con tecnologie leggere e pe- santi; le prime relativamente alle strut- ture di servizio quali le stalle, i fienili, i depositi e i ricoveri provvisori e le seconde per le abitazioni vere e proprie.

Si può concludere quindi dicendo che C sempre presente, verso la possibilità di costruire, la scelta di un atteggiamento « leggero » e uno pesante (fig. 3.16, 3.17).

La evoluzione dai procedimenti e dalle <( forme » pesanti verso quelli cc leggeri )) è quindi soltanto una comoda operazione che si effettua dal punto di vista sciei~tifico; è i l pensiero scientifico infatti che ha subito una lenta evolu- zione dai concetti primitivi di forza-peso fino alla messa a punto di sofisticatissin-ii procedimenti di calcolo per i sistemi leg- geri e per la spiegazione dei più com- plessi canali statici.

Le costruzioni che si affidano a prin- cipi leggeri e pesanti sono invece sempre presenti anche se non necessariamente compresi nel « perché » dei loro compor- tamenti! La progettazione attraverso la sperirnentazione (attraverso quindi errori e aggiustaggi) è sempre esistita, per eri- gere cattedrali, ponti sospesi di liane, cupole a guscio di fango e paglia; ma mentre la validità di questi metodi era accettabile nell'antichità o in un mondo primitivo-incivile, gli attuali criteri di si- curezza non consentono di continuare su questa strada se non per costruire mo- delli di piccola entità; cosicché solo at- traverso gli attuali procedimenti di c31- colo è stato possibile realizzare la costru- zione di ccrte striittiire leggere, n1entt.e I.?

costruzione di strutture pesanti abbisogna me che ne n~ininiizzano l'impiego sfrut- invece di controlli molto meno esigenti tandone al massimo le capacità. per assicurarne la stabilità. Il regime di sollecitazioni presenti, si

materializza in forme semplici, ma l'ele-

Quanto più si interrelano i sistemi mentarità della lettura formale, si proble-

costruttivo e statico, con attenzione ai matizza poi nel calcolo analitico.

parametri definiti dalla geometria e dal' Lo studio, prima di avere una codi-

l'uso dei materiali, tanto più è possibile ficazione analitica, si pone nella quasi

fare una grossa suddivisione delle strut- totalità dei casi come ricerca del rap-

ture in pesanti e leggere. porto ottimale tra forma e struttura.

In questi casi il « modo » con cui è I1 problema può essere posto nel sen-

definita la struttura deve tenere presente, so che, una volta definito i l sistema di

più che in qualunque altra classificazione, sollecitazioni esterne, si ricercano i pos-

i due sistemi fondamentali statico e co- sibili canali statici capaci di riportare a

struttivo-tecnologico; man mano poi che terra le forze date.

si vanno a definire i sistemi leggeri, il L'infinita possibilità di soluzioni è

parametro geometrico e quello dei mate- limitata e ridotta solo ad alcune più van-

riali entrano sempre più come protago- taggiose in seguito all'inserimento di con-

nisti fondamentali al fine di una esatta dizionamenti, variabili a seconda dei casi,

definizione dei suddetti sistemi. quali sfruttamento dei materiali, delle

Infatti, mentre in un sistema pesante tecnologie costruttive e ancora di altri

i l principio dominante è che all'interno fattori accidentali.

di masse più o meno omogenee le azioni Porre i l problema solo in termini sta-

si distribuiscono uniformemente (siano tici porta a risoluzioni ottimali rispetto

queste locali, distribuite o comunque alla ricerca dei più vantaggiosi canali

orientate) in quanto è la forza-peso la statici; infatti esiste un legame tra le

principale regolatrice degli equilibri, nel forze esterne e le forme geometriche ca-

sistema leggero i l principio fondamentale paci di assorbirle fino a riportarle a

è quello di ottimizzare l'impiego dei ma- terra, ma è raro che tali forme (mate-

teriali costi tuenti controllando le solleci- rializzazioni dei canali statici) siano an-

tazioni in modo da poterle ridurre in che le più adatte a assolvere al contempo

regimi di forze semplici ed elementari. le funzioni specifiche per cui la struttura

Praticamente quindi si lavora sulla capa- è stata progettata.

cità della forma a divenire essa stessa Dunque, se da una parte ci si può

struttura. cimentare attraverso composizioni e scom-

L'utilizzazione dellJatti tudine della posizioni di forze per trovare linee geo-

forma a costituirsi come struttura deriva metriche in cui vantaggiosamente (dal

dallo studio delle geometrie e contempo- punto di vista statico) possono incana-

raneamente dei materiali in modo che larsi gli sforzi, dall'altra è utile tenere

questi possono essere utilizzati nelle for- presenti le caratteristiche dei materiali da utilizzare per non dover modificare integralmente tali forme rispetto alle pos-

t sibilità degli stessi nonché delle tecnolo- I'ig 3.16. Tecnologie Icggerc ne l l ' hab i i a~ agri- g ie di r i f e r i m e n t o . colo-mar ino (Trabocco , S. Vico, C I I ) .

Le strutture resistenti per forma, ov- Fig. 3.17. Comprcscnza di un < C aitcggiamcriio ,, leggero C pcsariic nelle divcrsc cosiruzioni del- vero quelle che hanno capacità portante I'liabiiai agricolo ( O r t o n a ) . soprattutto in ragione della geometria

assunta, sono efficacemente interpretate dalla linea c dalla superficie curve; I'ar- co e la volta sono infatti la prima classi- ficazione di una geometria come espres- sione resistente sia pure nella loro mate- rializzazione massiccia, e sia pure tenen- d o conto che gli studi rivolti ad analiz- zare i l loro regime statico non arrivano comunque fino al secolo scorso, a risul- tati direttaniente applicabili nella pratica costruttiva; la costruzione di tali strut- ture è andata avanti infatti per secoli affidandosi a pochi riferimenti geometrici ed a rapporti dimensionali dedotti dalla esperienza.

Oltre all'utilizzazione della forma curva, esistono altri modi per raggiungere soluzioni ottimali: ad esempio, partendo

le sollecitazioni cstei-nc con pochissin~o materiale opportunamente sistemato.

A questo punto è possibile operare una classificazione, sia pure grossolana, delle strutture leggere in due tipi princi- pali di morfologie geometriche che diffe- renziano i loro comportamenti strutturali nonché le possibilità spaziali e tecnolo- giche,:

a) le forme discontinue aperte, ripetitive disposte secondo modelli reticolari, polie- drici che hanno la capacità di assorbire sforzi convogliandoli lungo linee;

b) le forme continue curvilinee e chiuse che invece incanalano gli sforzi secondo superfici.

dagli elementi rettilinei piani e spaziali (come la trave e la piastra) per mezzo di Le differenti geometrie del sistema operazioni di discretizzazione della ma- pesante (rettilinee e curvilinee) non deter- teria ,è possibile infatti ottenere reticoli minano invece grosse diversità nei sistemi leggeri capaci di assorbire egregiamente statico e tecnologico.

4 . I PRINCII'ALI TIPI DI SISTEMI PESANTI

80 h!. Cristina Forlatii

Sistema trilitico

È praticamente quello in cui si iden- tifica e caratterizza il sistema pesante.

Dal punto di vista statico si fonda sul principio dell'appoggio semplice e della trasmissione verticale delle forze peso.

La morfologia di riferimento è basata su tre elementi, due verticali denominati piedritti e uno orizzontale detto archi- trave (fig. 4.1).

La funzione dei tre elementi è di semplice lettura: i due elementi verticali hanno la funzione di sostegno di quello orizzontale che è, come detto, semplice- mente appoggiato ai primi due.

Tale configurazione ammette unica- mente sollecitazioni verticali, ossia ven- gono trasmessi solo carichi a gravità poi- ché qualunque altro tipo di carico ten- derebbe a destabilizzare immediatamente la configurazione di partenza (fig. 4.2).

I1 peso dell'architrave, più eventual- mente quello. di altri carichi su esco, si

trasmette simmetricamente sui due pie- dritti: questi sono compressi già dal peso proprio cui deve aggiungersi il peso tra- smesso dall'architrave; la compressione si presenta massima nella base dei piedritti aumentando linearmente dall'appoggio dell'architrave al terreno.

I1 peso proprio dell'architrave, ripar- tito su tutta la sua lunghezza determina l'inflessione dell'elemento; in questo caso la presenza delle sollecitazioni massime si hanno nella mezzeria dove si otten- gono i valori più alti del rapporto dovuto alla forza-peso per la distanza dagli ap- poggi (fig. 4.3).

Mentre la deformazione presente nei piedritti è uno schiacciamento per niente percettibile a occhio nudo, la deforma- zione dell'architrave, dovuta alla flessione, è un'incurvatura più facilmente ravvisa- bile; l'osservazione della forma curva as- sunta dall'architrave mostra la faccia su- periore concava e quella inferiore con-

8 1 Male r ia l i , S t ru t iu re , Fornte

vessa: nella prima è presente un'accorcia- mento (il materiale è compresso) mentre nella seconda è in atto un allungamento (il materiale è teso).

I1 trilite può essere costituito in tutte le sue parti dallo stesso materiale (triliti omogenei) (fig. 4.4) ovvero da materiali diversi (triliti non omogenei) (fig. 4.5) e a seconda del materiale usato si ha un differente comportamento; possono essere usati materiali cosiddetti « rigidi » oppu- re materiali elastici.

Sono considerati rigidi quei materiali la cui elasticità è minima, come quelli lapidei, i conglomerati e i laterizi; il loro usò è ottimo se cfinalizzato a resi- stere a compressione, meno buono se finalizzato a resistere a trazione e quindi a flessione.

Ne consegue che i materiali rigidi sono poco adatti a costituire architravi e strut- ture orizzontali in genere.

I materiali elastici sono quelli in cui I'elasticità è una proprietà effettivamente evidente anche a occhio nudo; sono in genere materiali fibrosi, come quelli vege- tali e il ferro. Resistono molto bene alla trazione e di conseguenza alla flessione. Vengono di solito impiegati negli archi- travi e nelle strutture orizzontali in ge- nere.

I triliti omogenei, sono prevalente- mente realizzati in materiale lapide0 e costituiti in tutte le parti dallo stesso materiale. I1 forte peso dell'architrave non consente grandi luci; di contro i piedritti riescono a raggiungere altezze eccezionali.

I triliti non omogenei, ossia quelli in cui le parti sono costituite da mate- riali diversi sono realizzati prevalente-

Fig. 4.1. Trilite.

Fig. 4.2. Comportamenti degli elementi.

Fig. 4.3. Deformazione degli elementi.

Fig. 4.4. Trilite omogeneo.

Fig. 4.5. Trilite non omogeneo.

rnerite coii i piedritti in materiale lapideo o laterizio e gli architravi ir? legno.

La diffusione del trilite omogeneo è dovuta quindi alla grande abbondanza di materiale lapideo contemporaneainente alla mancanza di quello ligneo (aree del- l'Africa settentrionale, Egitto e zone brul- le del mediterraneo reco); quelli non omogenei invece hanno avuto una diffu- sione in più vaste e diverse aree geogra- fiche in cui il reperimento dei due mate- riali è abbastanza equilibrato.

L'applicazione del principio statico e del la configurazione formale a livello spa- ziale del trilite produce una prima em- brionale definizione di spazio chiuso a copertura piana; nel caso più primitivo i triliti possono essere accostati gli uni agli altri e formare quindi u n . vano ret- tangolare coperto da una ripetizione con- tinua di architravi e con le uniche possi- bili aperture sui lati ,corti (fig. 4.6). Piìi usato di questo sistema, estremamente rozzo e primitivo, è quello in cui i triliti verigono ripetuti in uno schema retico- lare; essi vengono sistemati ad una di- stanza preordinata e in questo caso la copertura definita da lastroni o altri ele- menti analoghi, viene poggiata sugli ar- chitravi stabilendo così una prima distin- zione tra la struttura principale ( i triliti) e quella secondaria (la copertura) (fig. 4.7).

La struttilra della copertura può es- sere poi a semplice orditura o a orditura secondaria. Nel primo caso i travetti pog- giano sulle travi principali e vengono accostati l 'uno contro l'altro; nel secondo caso, quando la distanza tra gli appoggi è eccessiva, non si hanno molti elementi

Fig. 4.6. Estensione spaziale del sistema trili- tico.

Fig. 4.7. Estensione spaziale del sistema tr i l i - tico ed individuazione della struttura secondaria di copertura.

Fig. 4.8. Solai ad orditura semplice e secon- daria. L

della stessa dimensione e se si vuole evi- tare un solaio troppo alto e pesante, viene stesa una orditura primaria su cui viene poggiata una seconda orditura ortogonale (fig. 4.8).

Nella muratura, come già accennato, si ripete il principio della trasmissione di sollecitazioni verticali; per comprendere più facilmente il comportamento della muratura è conveniente considerare il materiale elastico e quindi con evidenti deformazioni.

Si consideri un concio in pietra cari- cato nel baricentro e si sposti i l carico dalla parte centrale verso un'estremità, si osserverà che da una situazione in cui

Fig. 4.9. Comportamento di una muratura.

84 Al. Crislitia Forlani

tutto i l concio è sollecitato si passa ad una in cui uno dei lembi opposti è com- pletamente scarico.

Se il carico sarà spostato ulterior- mente, il margine opposto al punto di applicazione del carico, dall'essere scarico passerà ad essere sollecitato a trazione; nel muro si genera allora una fessurazio- ne che al limite porterà alla rottura (fig. 4.9).

« Per un muro, un pilastro, una co- lonna simmetrica, affinché non si verifì- chino fessure e rotture, la linea su cui agisce il carico deve passare nel centro dall'alto verso il basso n.

Quando la costruzione si presenta di una certa complessità, facilmente si avranno spinte oblique, ad esempio per la presenza di un arco o un tetto; nel caso di sollecitazioni decentrate o non perfettamente verticali, la linea di azione del carico diverrà curva e si sposterà dal centro verso un estremo: quando questa curva per l'accrescersi delle pressioni ten- derà ad uscire dal suo spessore, si veri- ficheranno le possibilità di rottura. Per evitare che ciò avvenga occorre aumen- tare lo spessore del muro per contenere la spinta al suo interno, oppure aggiun- gere un peso la cui azione verticale, com- binandosi con la spinta, dovrebbe tendere a riportare la linea verso il centro e ripri- stinare una certa stabilità complessiva (fig. 4.10).

Fig. 4.10. Sollecitazioni decentrate in una mu- ratura.

S5 Material i , Strutture, Forme

Sistema spingente.

Rappresentativo del sistema è I'arco (fig. 4.1 1); questo è un elemento curvo che lavora unicamente a compressione e trasmette il peso proprio e i carichi che agiscono su di esso a due appoggi distan- ziati tra loro: partendo dal concio di chiave si può scomporre la forza-peso P secondo le direzioni normali ai piani del- le facce convergenti; si avranno così le componenti R S che rappresentano gli sforzi reciproci che si creano' all'interno della struttura. Applicando il ragiona- mento all'intera struttura il concio di chiave trasmette un'azione che si scom- pone di volta in volta con i carichi par- ziali relativi ai successivi conci così da determinare una curva detta delle pres- sioni (fig. 4.12). I conci quindi eserci- tano una spinta sulla linea d'imposta del- I'arco: il funzionamento è simile a quello di un muro curvo, la linea di spinta si incurva e segue pressappoco la forma dell'arco; come nel muro, se la linea va

fuori, si formano delle fessure. Comun- que gli archi sono molto stabili e sono poco sensibili ai movimenti delle proprie fondamenta: un movimento ,notevole nel- le fondamenta di un muro porta facil- mente al crollo mentre in un arco le di- storsioni sono abbastanza comuni. Dun- que l'arco, dal punto di vista tensionale, è un elemento affine al supporto e al muro più che all'architrave, anche se la funzione di determinare varchi può dar adito a false analogie.

Ma nonostante l'affinità tensionale con la muratura costruire un arco non è sem- plice come erigere una colonna o un muro; infatti per questi basta avere la forza o un meccanismo sufficiente ad al- zare un elemento per posarlo sugli altri mentre per costruire un arco occorre una struttura di supporto, la centina, al fine di sostenere tutti i conci fino al colloca- mento di quello di chiave; solo allora l'arco entra in funzione e assicura la

d'imposta - W - - - -

Fig. 4.1 1 . Arco: nomenclatura. 3

Fig. 4.12. Determinazione della curva delle pressioni.

1 Stabilita' dellserco semicircolere

direrlone e verso delle epinte del

mezzo arco simmetrico

stabilità di tutto l'insieme (fig. 4.13). Si possono distinguere due categorie

di archi: quello timpanato in cui ci sono elementi strutturali collaboranti e quello libero. Nel caso dell'arco timpanato le spinte proprie dell'arco sono ostacolate e assorbite dal muro di accompagnamento. Infatti se la muratura ha un certo spes- sore la linea di spinta è facilmente conte- nuta, l'arco timpanato non lavora da solo ma è aiutato da porzioni di muro.

L'arco libero è invece un elemento statico puro e affinché sia assicurato i l suo equilibrio deve essere pensato secondo I'antifunicolare dei carichi ipotizzati; na- turalmente l'arco libero non è un ele- mento strutturale dell'antichità poiché gli antichi costruttori quasi mai (o alme- no non coscientemente) tennero conto del rapporto tra comportamento e forma de- terminata dalla funicolare dei carichi ma piuttosto affidarono agli spessori i l pro- blema della stabilità; i romani, grandi costruttori di archi, per essere sicuri della stabilità usarono proprio ingenti spessori della muratura, sia pure alleggerita con pomice o detriti, cosicché la spinta era facilmente contenuta e non si correva i l rischio di svergolamenti della struttura.

I1 comportamento statico delle strut- ture spingenti dipende dalle particolari forme che l'arco assume; le caratteristi- che più semplici sono dell'arco a tutto sesto mentre si hanno dei vantaggi strut- turali negli archi rialzati o a sesto acuto e maggiori problemi di spinta negli archi ribassati (fig. 4.14).

La forma assume speciale importanza perché la sua variazione determina la diversa inclinazione della spinta.

Le spinte possono essere assorbite dal- la muratura, da contrafjorti, da archi ram- panti, o possono essere contrastate da

Fig. 4.13. Centinatura pesante di un arco.

Fig. 4.14. Morlologia dell'arco e andamento delle spinte.

catctlc che si oppongono alla divarica- zione, oppure ancora possono essere mo- dificate dalla presenza di statue c pinna- coli che con il loro peso verticale si com- binano con le spinte fino a ridurre le componenti orizzontali di queste, o infine con altri sistemi che partono comunque dai principi ora enunciati (fig. 4.15).

L'estenzione spaziale dell'arco e le successive combinazioni determinano ele-. menti strutturali di copertura, le volte, tra i più antichi della tecnica costrut- tiva.

L'utilizzazione delle volte avviene per spazi di una certa importanza; infatti la

Fig. 4.15. Sistemi di assorbimento della spinta dell'arco.

Fig. 4.16. Volta a botte.

Fig. 4.17. Volta a bacino.

costruzione di una volta è più costosa, per la sua complessità di quella di un solaio e ha bisogno di strutture di soste- gno nella fase costruttiva.

Le volte possono essere ottenute geo- metricamente traslando linearmerztc utz arco o rnotatido lo stesso itltorrzo ad un asse: nel primo caso si ottiene una volta a bottc (fig. 4.16) nel secondo una volta a bacino (fig. 4.17). 11 profilo dell'arco generatore può essere di forma qualun- que e, nel caso della volta a botte, lo scorrimento può avvenire lungo un asse generico rettilineo, obliquo, curvo ad elica o altro.

90 A l . Cristitia Forlatii

Volta a botte.

A prima vista si potrebbe pensare alla volta a botte come ad una serie di archi giustapposti, ma in effetti la conti- nuità lungo le generatrici, determinata' dallo sfalsamento dei conci lungo queste, consente alla volta di lavorare anche in regime di flessione nel senso longitudinale (fig. 4.18). Ogni arco può ricevere aiuto dagli archi contigui trasmettendo loro una parte dell'eventuale carico concentrato ad esso applicato.

La combinazione di volte cilindriche (a botte) ha dato luogo a realizzazioni interessanti come i padiglioni e le cro- ciere.

Considerando una volta a botte circo- lare retta a base quadrata, la scomposi- zione secondo i piani diagonali determina quattro spicchi uguali ed opposti a due a due: unghie e fusi (fig. 4.19).

Nelle ungliie le generatrici si appog- giano tra gli archi frontali e le ellissi diagonali di sezione. I1 peso va a gravare sui vertici in cui confluiscono le curve. Nei fusi le generatrici sono disposte pa- rallelamente ai fianchi e sollecitano uni- formemente la linea d'imposta. Questi settori voltati sono importanti anche come superfici di raccordo oltre che come e soprattutto componenti essenziali della crociera (unghie) e del padiglione (fusi).

11 con~portamento strutturale delle volte a crociera e a padiglione deriva quindi da quello di questi settori che gravano su appoggi discontinui nel caso della crociera e continui sul perimetro in quello del padiglione.

Volta a crociera.

Con le volte a crociera è possibile coprire ambienti poligonali qualunque in cui ad ogni lato corrisponde un'un- gliia; i l vertice della volta, punto di con-

Fig. 4.18. .,-Sistema costruttivo nella volta a botte.

vergenza delle varie unghie, avrà come proiezione i l baricentro della pianta stessa.

L'ossatura portante della volta è co- stituita dagli archi frontali e da quelli diagonali comuni a due unghie contigue; attraverso questa ossatura, poggiante sui supporti ai vertici del poligono di base, i l peso della copertura viene scaricato a terra (fig. 4.20). A seconda anche del sistema costruttivo utilizzato per determi- nare la crociera si hanno due schemi tipici di comportamento: se le unghie sono costituite da filari di niattoni sfal- sati lungo le generatrici, questi devono appogiarsi contemporaneamente sugli ar- chi diagonali e su quello frontale che assumono quindi una rilevanza struttu- tale; se le unghie sono invece formate da archetti paralleli (come nella falsa botte), questi vanno a scaricare solo sugli archi diagonali per cui q~ie l lo frontale perde in importanza strutturale (fig. 4.2 1 ) . L'utilizzazione della crociera secon- do schemi aggregativi riduce i l problema delle spinte che si annullano vicendevol- mente; rimangono da contrastare solo quelle generate lungo i l perimetro del- l'edificio e queste vengono assorbite se- condo i sistemi classici: contrafforti archi rampanti, ecc.

3 Fig. 4.19. Settori di volta a botte e genesi di volte complesse.

/ Genesi geometrica della volta a crociera

O arco elementare traelezione normale dell'arco

elementare: volta a bot te

unghia -

cilindri intersezione di due

volte a b o t t e :

volta a crociera

I fusa cilindrico

Proprieta ' aggregative

della v o l t a a crociera

Statica della volta a crociera

1 le torxm perprndloolmrl ohr sglioono rullr voltr r oroolrrr O dee-rrnlneno rollealtrxionl m oomprrdonm aim vrngono

~ r r l a r t m ruqll rrahi d.lntrrm-x lonr

93 Maicriali, Str~rtture, Forr~ic

Volta a padiglione.

Anche la volta a padiglione è otte- nuta, come quella a crociera, da settori di volta a botte, e nello specifico da fusi che accostati lungo le diagonali riescono a coprire spazi a base poligonale diversa.

Come nella crociera ad ogni lato del poligono di base deve corrispondere un fuso e la convergenza di questi nel ver- tice deve corrispondere al baricentro del- la base. 11 comportamento statico però è notevolmente dissimile: il padiglione presuppone un appoggio continuo in quanto scarica il suo peso uniforme- mente su tutto il perimetro. Da questa notazione deriva che le strutture peri- metrali di bordo devono avere una note- vole rilevanza, il problema della spinta si pone come nell'arco e può essere ri- solto utilizzando gli stessi sistemi; gene- ralmente però è la dimensione del muro perimetrale cui spetta il con~pito di assor- bire le spinte, talora mediante l'aiuto determinato dalla presenza di catene.

Costruttivamente si prevedono in ge- nerale filari di mattoni disposti secondo le generatrici, parallelamente ai lati del poligono di base (fig. 4.22)

f- Fig. 4.20. Comportamento della volta a cro- Fig. 4.22. Volia a padiglioiie e sistemi costrut- ciera. tivi.

Fig. 4.2.1. Sistemi costruttivi nella volta a cro- ciera.

Volta a bacino.

Le volte a bacino, determinate geo- Naturalmente il comportamento strut- metricamente dalla rotazione di un arco turale di un bacino si differenzia in base intorno al proprio asse verticale, possono alla forma dell'arco generatore in analo- presentare profili diversi a seconda che gia del diverso comportamento degli archi l'arco generatore sia a tutto sesto o a rispetto alla loro geometria. In generale, sesto acuto o rialzato oppure a sesto qualsiasi sia la curva, la superficie con- ribassato e altro. tinua, su pianta circolare, sollecita i l

piano d'iniposta e questo deve essere costituito da u n appoggio perimetrale continuo come nella volta a padiglione.

L'analisi della superficie porta a indi- viduare diversi comportamenti strutturali in base alle possibili sezioni: lungo i meridiani si sviluppano le compressioni; questi infatti si comportano come archi e quindi come antifunicolari dei carichi.

Le spinte oltre che assorbite dai clas- sici meccanismi già descritti, sono contra- state dalle azioni prodotte dai paralleli: la forma sferica produce delle trazioni nel parallelo estremo richiedendo pertanto una cintura molto resistente.

La forma migliore per evitare la pre-

Fig. 4.23. Volta a bacino: forma e comporta- mento.

senza di pericolose trazioni, in una strut- tura costituita da materiale non resistente a tali sollecitazioni è quella con la diret- trice rialzata (fig. 4 .23) .

L'utilizzazione della volta a bacino per coprire vani a base poligonali ha bisogno di elementi di raccordo tra le due superfici: generalmente vengono u ti- lizzati i settori della volta a botte, un- ghie o fusi o anche altri elementi come archi diagonali, trombe (ossia settori di volta a botte conica) e pennacchi sferici (ossia porzioni di volta a vela) (fig. 4.24).

I1 bacino utilizzato per ambienti poli- gonali viene comunemente denominato cupola.

Fig. 4.24. Cupola ovvero volta a bacino su pianta poligonale.

\'olia a vela.

La genesi geometrica della volta a vela avviene facendo intersecare un ba- cino, ovvero una semisfera, con un pri- sma retto (fig. 4.25).

I piani verticali di sezione determi- nano così una serie di archi aventi in comune a due a due un vertice del poli- gono.

I1 comportamento strutturale continua ad essere analogo a quello della forma

generatrice nel senso clie i l peso si sca- rica lungo tutto i l perimetro; nel caso della vela, quindi, i l peso si concentra lungo le pareti verticali d'intersezione che necessariamente devono essere continue per tutto il perimetro.

La possibilità di avere passaggi negli archi d'intersezione è resa possibile solo nel passaggio di questi dalla forma geo- metrica a quella strutturale, ossia facendo in modo che'il peso gravi sulla « strut- tura ad arco » invece che sulla parete verticale.

! 1 Fig. 4.25. Volta a vela. L