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UNIVERSITÀ DEGLI STUDI DI PADOVA Dipartimento di scienze politiche, giuridiche e studi internazionali General Course, diritti umani e inclusione 2017/2018 IL MOVIMENTO COME ESPRESSIONE DI SÉ, BENESSERE E INCLUSIONE FEDERICI GIULIA Matricola 1156057 TREVISAN MANUEL Matricola 1172861 SCHWIENBACHER VALERIA Matricola 1096332

UNIVERSITÀ DEGLI STUDI DI PADOVA Dipartimento di scienze ... MOVIMENTO E... · Se il corpo di una persona è fatto bene e funziona bene allora la sua salute e il suo funzionamento

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UNIVERSITÀ DEGLI STUDI DI PADOVA

Dipartimento di scienze politiche, giuridiche e studi internazionali

General Course, diritti umani e inclusione 2017/2018

IL MOVIMENTO COME ESPRESSIONE DI SÉ, BENESSERE

E INCLUSIONE

FEDERICI GIULIA

Matricola 1156057

TREVISAN MANUEL

Matricola 1172861

SCHWIENBACHER VALERIA

Matricola 1096332

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INDICE

1. Attività fisica e movimento: una visione inclusiva Schwienbacher Valeria

1.1 Le persone con disabilità nel diritto nazionale ed internazionale…………5

1.1.1 Giustizia, uguaglianza ed equità…………………………………….8

1.2 Definizioni utili……………………………………………………………9

1.3 I benefici dell’attività sportiva…………………………………………...11

1.4 Necessità di strutture adeguate…………………………………………...15

1.4.1 Personale formato…………………………………………………..16

1.5 Attività fisica adattata…………………………………………………….18

1.5.1 Esempio di attività fisica adattata: Acquaton………………………18

1.5.2 Esempio di manifestazione internazionale inclusiva: il Trofeo

Settecolli……………………………………………………………19

1.6 Bibliografia e sitografia…………………………………………………..20

2. Movimento e danzaterapia Trevisan Manuel

2.1 Movimento e danza………………………………………………………23

2.2 La storia di Eugenio e Francesca…………………………………………27

2.3 Danzaterapia: il Metodo Maria Fux……………………………………...31

2.4 L’incontro con Martha Grahm…………………………………………...34

2.5 L’intervista a Maria………………………………………………………36

2.6 Obiettivi del metodo……………………………………………………...40

2.7 Esperienze di danzaterapia……………………………………………….42

2.8 Bibliografia e sitografia…………………………………………………..44

3. Espressione di sé e inclusione Federici Giulia

3.1 Benefici psicologici, cognitivi e relazionali……………………………..45

3.2 L’Empowerment nella danzamovimentoterapia…………………………50

3.3 Danza e inclusione……………………………………………………….53

3.3.1 Dall’inserimento all’inclusione…………………………………….53

3.3.2 Il potere inclusivo della danza……………………………………...55

3.4 La funzione sociale della danza………………………………………….59

3.5 Bibliografia e sitografia…………………………………………….…….63

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5

SCHWIENBACHER VALERIA

Corso di laurea in Medicina e Chirurgia

Matricola 1096332

9 crediti formativi

1. ATTIVITÀ FISICA E MOVIMENTO: UNA VISIONE

INCLUSIVA

“Disability need not be an obstacle to success. I have had motor

neurone disease for practically all my adult life. Yet it has not

prevented me from having a prominent career in astrophysics and a

happy family life.”

Professor Stephen W. Hawking

1.1 Le persone con disabilità nel diritto nazionale ed internazionale

Il concetto di persona con disabilità racchiude un mondo eterogeneo di individui,

la visione del grande pubblico, però, tende a classificare questa parte di

popolazione in pochi gruppi di stereotipi tra i quali le persone in sedia a rotelle o

quelle affette da sindrome di Down (Park A et al).

Un certo grado di disabilità è però parte della condizione umana stessa: ad un

certo punto ognuno di noi si ritroverà ad affrontare una serie di difficoltà dovute

principalmente all’età avanzata.

Il World report on disability (2011) è stato prodotto dall’Organizzazione

Mondiale della Sanità (OMS), raccoglie ed analizza la documentazione scientifica

reperibile in materia di persone con disabilità. Nonostante questo argomento

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riguardi una vasta parte della popolazione, consapevolezza, informazione,

definizioni e statistiche a livello internazionale erano quasi completamente

assenti.

Il reportage si prefigge lo scopo di portare chiarezza a livello della popolazione e

fornire linee guida per governi ed accordi internazionali.

Dichiarazione Universale dei Diritti Umani

Articolo 2: ad ogni individuo spettano tutti i diritti e tutte le libertà enunciate nella

presente Dichiarazione, senza distinzione alcuna, per ragioni di razza, di colore, di

sesso, di lingua, di religione, di opinione politica o di altro genere, di origine

nazionale o sociale, di ricchezza, di nascita o di altra condizione. Nessuna

distinzione sarà inoltre stabilita sulla base dello statuto politico, giuridico o

internazionale del paese o del territorio cui una persona appartiene, sia

indipendente, o sottoposto ad amministrazione fiduciaria o non autonomo, o

soggetto a qualsiasi limitazione di sovranità.

L’articolo 2 della Costituzione Italiana recita: La Repubblica riconosce e

garantisce i diritti inviolabili dell'uomo, sia come singolo, sia nelle formazioni

sociali ove si svolge la sua personalità, e richiede l'adempimento dei doveri

inderogabili di solidarietà politica, economica e sociale.

Normalità come identità dei diritti: normalità come pari valore di ognuno a

prescindere dalle condizioni personali o sociali. Ciò è alla base della nostra

Costituzione in cui si affermano i pari diritti e le pari opportunità per tutti. Il

bisogno di normalità nasce dall’affermazione del possesso degli stessi diritti di

tutti gli altri, sentirsi normali nel senso di sentirsi di pari valore anche se molto

diversi. Questo bisogno di normalità non nega la diversità e non la usa come

discriminante per giustificare la riduzione dei diritti e opportunità.

La normalità è un fare come tutti, vivere con tutti, appartenere ad un gruppo e

creare coesione.

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Tutt’oggi molte persone con disabilità non hanno accesso a sistemi sanitari,

istruzione e posti di lavoro adeguati, e servizi necessari per prendere parte alla vita

di tutti i giorni.

Storicamente la soluzione a questo, allora definito problema, è stata quella di

segregare uomini e donne in ambienti speciali (Parmenter TR.) senza dar loro

alcuna possibilità di interagire con l’esterno.

Il cambiamento è cominciato negli anni ’70 quando queste persone hanno iniziato

a riunirsi in associazioni e sindacati per far sentire la loro voce (Charlton J.).

Prima che diventasse prassi l’integrazione degli alunni con disabilità nella scuola

normale italiana, i genitori lottavano per integrare i propri figli nella scuola

pubblica, per avere il riconoscimento di pari dignità e valore: un alunno con

disabilità in una situazione integrata apprende di più rispetto a una situazione di

non appartenenza. Quindi non si considera solo un valore essenziale, ma anche

strumentale, ovvero un mezzo per raggiungere un fine.

Si ricorda, però, che ancora durante gli anni ’90, più di 40 nazioni in tutto il

mondo avevano legislature discriminanti le persone con disabilità (Quinn G et al.).

Con gli anni la situazione è migliorata e si è sentito il bisogno di redigere la

Convenzione Sui Diritti Delle Persone con Disabilità (CRPD), adottata

dall’Assemblea Generale delle Nazioni Unite il 13 dicembre 2006 ed entrata in

vigore il 3 maggio 2008.

Tale convenzione è il più recente e completo documento riconoscente i diritti di

questi soggetti come diritti umani, ne descrive i diritti civili, culturali, politici,

religiosi, sociali ed economici (Convention on the Rights of Persons with

Disabilities).

Ha lo scopo di promuovere, proteggere e assicurare il pieno ed eguale godimento

di tutti i diritti umani e di tutte le libertà fondamentali da parte delle persone con

disabilità, e promuovere il rispetto per la loro inerente dignità.

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Art.3

I principi della presente Convenzione sono:

• il rispetto per la dignità intrinseca, l’autonomia individuale, compresa la

libertà di compiere le proprie scelte, e l’indipendenza delle persone;

• la non discriminazione;

• la piena ed effettiva partecipazione e inclusione nella società;

• il rispetto per la differenza e l’accettazione delle persone con disabilità

come parte della diversità umana e dell’umanità stessa;

• la parità di opportunità;

• l’accessibilità;

• la parità tra uomini e donne;

• il rispetto dello sviluppo delle capacità dei minori con disabilità e il

rispetto del diritto dei minori con disabilità a preservare la propria identità.

1.1.1 Giustizia, uguaglianza ed equità

• Giustizia: virtù morale che consiste nel rispettare i diritti altrui e nel

riconoscere a ciascuno ciò che gli spetta, giudicare con equità

a. intesa come uguaglianza formale: pari diritto di avere le stesse

cose, o giustizia distributiva: distribuire le cose in parti uguali

perché le persone che abbiamo di fronte sono uguali, hanno pari

diritti, pari dignità, pari opportunità, pari valori;

b. intesa come equità, uguaglianza sostanziale, o giustizia

commutativa: le leggi, oltre ad essere uguali per tutti, devono però

prevedere leggi speciali a favore delle categorie più deboli; bisogna

avere il coraggio di dire che siamo disuguali come persone, uguali

solo come diritti ed accettare il concetto di disuguaglianza come

parte costitutiva della realtà. La diversità è normale, non bisogna

scappare dalla differenza, ma farne tesoro.

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• Uguaglianza: condizione di pari dignità, senza distinzione di privilegi.

• Equità: capacità di valutare e giudicare con equilibrio e imparzialità a

seconda del caso.

La giustizia commutativa o regolatrice come equità è il modo per realizzare la

giustizia distributiva come uguaglianza formale, facendo differenze fra disuguali

si realizza la giustizia come uguaglianza.

Rendere giustizia significa creare uguaglianza di opportunità: mettere tutti nelle

condizioni di esprimere al meglio le proprie capacità individuali, eliminando gli

ostacoli che ne impediscono la piena espressione e realizzazione e recuperando e

colmando le difficoltà

Il fulcro sta nel definire la persona come soggetto di diritto dando, di fatto, una

voce a chi prima rischiava di essere considerato alla stregua di un oggetto.

1.2 Definizioni utili

Questo scritto vuole fornire una visione più inclusiva del concetto di movimento,

per questo scopo è necessario fornire alcune definizioni utili a collegare gli

argomenti che verranno trattati nei paragrafi successivi, ponendo particolare

attenzione all’ultimo, quello coniato più recentemente, a dimostrazione di come la

nostra società si stia evolvendo verso un mondo senza barriere fisiche o

linguistiche.

L’enciclopedia Treccani definisce:

• MOVIMENTO (lat. motus; fr. mouvement; sp. movimiento; ted.

Bewegung; ingl. movement, motion). - La motilità è una delle

caratteristiche fondamentali degli esseri viventi, ed è, di solito, la

manifestazione più immediata ed evidente di una proprietà essenziale degli

organismi, l'eccitabilità o irritabilità.

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• SPORT: attività intesa a sviluppare le capacità fisiche e insieme psichiche,

e il complesso degli esercizi e delle manifestazioni, soprattutto

agonistiche, in cui tale attività si realizza, praticati nel rispetto di regole

codificate da appositi enti, sia per spirito competitivo (accompagnandosi o

differenziandosi, così, dal gioco in senso proprio), sia, fin dalle origini, per

divertimento, senza quindi il carattere di necessità, di obbligo, proprio di

ogni attività lavorativa.

• EDUCAZIONE FISICA (o motoria): attività svolta nelle scuole come

parte integrante del progetto educativo, con l'obiettivo di favorire lo

sviluppo fisico, l'affinamento e l'integrazione degli schemi motori e lo

sviluppo della socialità.

L’educazione fisica, da parte sua, è uno strumento di carattere sostanzialmente

pedagogico; lo sport possiede, invece, caratteristiche specifiche di agonismo e di

volontarismo.

• ATTIVITÀ FISICA ADATTATA: si riferisce al movimento, all’attività

fisica e agli sport nei quali viene data un’enfasi particolare agli interessi e

alle capacità degli individui caratterizzati da condizioni fisiche

svantaggiate, quali disabili, malati, anziani.

Questa definizione è stata introdotta nel 1973, anno di fondazione

della Federazione Internazionale Attività̀ Fisica Adattata (IFAPA).

Nel 2013 un gruppo di lavoro voluto da Ministero della Salute, Ministero

dell’Istruzione, Università e Ricerca, Regioni e rappresentanze professionali dei

fisioterapisti e dei laureati in scienze motorie ha aggiunto un accordo sulle

modalità per garantire la giusta dose di movimento anche per quelle categorie di

soggetti “fragili”, come persone anziane e con diverse abilità.

Il documento sottolinea che l’attività fisica adattata non sostituisce in alcun modo

la fisioterapia o interventi riabilitativi, ma mira a ricondizionare lo stato di salute

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individuale al termine della riabilitazione, combattere l’ipomobilità, favorire la

socializzazione e promuovere stili di vita più corretti.

L’obiettivo, dunque, è promuovere l’attività motoria, sia per la prevenzione di

problemi di salute che per il mantenimento di uno stato di salute accettabile. Nel

farlo occorre però tenere conto dei bisogni di movimento delle diverse categorie

di persone cosiddette “fragili”, che necessitano di un approccio più specifico

rispetto all’attività motoria standard. (COMUNICATO STAMPA n. 19 26

gennaio 2013).

1.3 I benefici dell’attività sportiva

Genetica e ambiente interagiscono tra di loro: persone che hanno lo stesso

patrimonio genetico si sviluppano in modo diverso perché hanno vissuto

circondate e influenzate da ambienti diversi.

Nella grande dialettica fra queste due enormi classi di forze, biologiche e

contestuali, si trova il corpo della persona, il quale è in continua evoluzione sia dal

punto di vista funzionale che strutturale.

Il funzionamento del corpo si basa sulle sue funzioni, ovvero sulla sua fisiologia, e

sulle sue strutture, ovvero sulla sua anatomia. Condizioni fisiche e fattori di

contesto ambientali e personali fanno pressione sul corpo di una persona, sulle

attività personali e sulla partecipazione sociale.

Se il corpo di una persona è fatto bene e funziona bene allora la sua salute e il suo

funzionamento sono buoni.

L’OMS definisce la parola salute come lo stato di completo benessere fisico,

mentale e sociale e non la semplice assenza dello stato di malattia o infermità. Il

corpo, le attività personali e la partecipazione sociale stanno sullo stesso piano.

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L’attività fisica è fondamentale in uno stile di vita salutare, uno stile di vita

sedentario porta almeno a raddoppiare il rischio di sviluppare patologie croniche o

morte prematura.

Benefici dell’esercizio (Carraro e Gobbi)

• aumento forza e resistenza muscolare

• perdita di peso

• abbassamento ipertensione

• aumento gittata cardiaca massima

• aumento estrazione periferica di ossigeno

• abbassamento frequenza cardiaca a riposo

• aumento tolleranza al glucosio

• aumento equilibrio e coordinazione

• aumento del senso di benessere

Negli anziani

• aumento margine di sicurezza

• aumento delle capacità funzionali

Nelle persone con disabilità

• aumento qualità della vita

• diminuzione del rischio di possibili complicanze mediche

Da sempre l’Organizzazione Mondiale della Sanità sostiene che l’attività̀ fisica

regolare diminuisca il rischio di cancro. Vari studi specifici lo confermano:

l’attività̀ fisico-sportiva riduce del 15-20% il rischio di carcinoma alla mammella;

del 22% negli uomini e del 29% nelle donne il rischio di cancro al colon; del 20-

40% il rischio di tumore dell’endometrio.

Motivo per cui molti autori concordano nel dire che il nuovo obiettivo della sanità

pubblica sta nell’ indurre all’attività fisica tutte le persone che al momento sono

sedentarie (Füzéki E. and Banzer W).

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Molte persone con disabilità si considerano in buona salute (Watson N. Well); un

sondaggio australiano ha evidenziato come il 40% degli intervistati, presentanti

disabilità severe, abbia definito la propria salute come buona, ottima o eccellente

(National Health Survey 2007–8).

Svolgere un qualsiasi tipo di attività fisica può evitare che si sviluppino patologie

croniche: gli adulti con disabilità hanno una maggior tendenza ad avere

ipertensione, malattie cardiovascolari o diabete (Havercamp SM, Scandlin D,

Roth M.).

Le misure riabilitative hanno come target strutture e funzioni corporee, attività e

partecipazioni, fattori ambientali e personali. Tutti questi fattori contribuiscono

all’ottimale funzionamento ed interazione del singolo con l’ambiente circostante

(World report on disability,).

Inoltre, in aggiunta alle necessità standard, alcune persone potrebbero aver

bisogno di misure specifiche quali tecnologie assistenziali, programmi di

allenamento o riabilitazione vocale.

Un recente studio giapponese ha determinato una correlazione tra la

partecipazione come pubblico ad eventi sportivi e la percezione della propria

salute: comparando chi aveva assistito ad eventi sportivi a chi invece non lo aveva

fatto, era evidente che i primi tendevano a descrivere il proprio stato di salute in

termini più positivi (Inoue Y, Sato M, Nakazawa M).

A dimostrazione del fatto che lo sport e le arti figurative, oltre ad essere un

modello di integrazione eccellente, sono anche molto utili nello sviluppo

psicomotorio del giovane, un fisioterapista ha sottoposto la madre di una bambina

con sindrome di Down al test del PedsQL (Pediatric Quality of Life InventoryTM)

prima e dopo l’esperienza della figlia in un programma di 14 settimane presso la

comunità artistica locale.

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Durante questo periodo di tempo la giovane, assistita da uno studente di

fisioterapia, ha avuto modo di confrontarsi con varie materie quali danza, canto e

recitazione; l’assistente ha aiutato la ragazzina ad imparare la coreografia e a

migliorare la sua posizione sul palco.

La partecipante ha completato l’intero saggio finale senza nessun tipo di aiuto.

I punteggi del PedsQL sono migliorati sensibilmente, ciò ha evidenziato come

semplici modificazioni personalizzate possano facilmente includere ogni bambino

in ogni tipo di programma ricreativo (Emily Becker & Stacey Dusing).

Per decenni lo sviluppo ed il design di protesi si sono concentrati principalmente

sulle attività motorie giornaliere quali camminare e scendere le scale. Questi

lavori hanno sicuramente portato grandissimi benefici alle vite di coloro che ne

avevano bisogno, ma si limitavano solamente a garantire movimenti base; un

gruppo di biomechanics americano ha così deciso di studiare la cinematica della

danza latino-americana per apportare alcune modifiche ad una protesi di caviglia.

Partendo dallo studio della meccanica della caviglia di ballerini di rumba gli

studiosi sono riusciti a realizzare un prototipo e a farlo testare da un ex ballerino

professionista che ha dovuto sottoporsi ad una amputazione transtibiale

traumatica; la nuova attrezzatura, comprata con una classica protesi, ha superato le

aspettative. C’è ancora molto lavoro da fare prima di poter replicare la funzione

delle articolazioni umane ma, questo studio, permette di sperare in un futuro in cui

il gap tra amputati e non amputati sarà quasi inesistente (Rouse EJ, Villagaray-

Carski NC, Emerson RW, Herr HM).

Per quanto la scienza e la tecnica possano avanzare, comportamenti ed

atteggiamenti negativi portano bambini ed adulti con disabilità ad avere una bassa

autostima, riducendone la partecipazione nelle varie attività (Thornicroft G, Rose

D, Kassam A.) evitando spazi comuni, cambiando la propria routine o, addirittura,

portandoli a non uscire di casa (Hate crime against disabled people in Scotland).

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1.4 Necessità di strutture adeguate

“…abbiamo bisogno di intensificare la lotta alla sedentarietà e promuovere

l’attività fisica attraverso lo sviluppo sul territorio di una rete di strutture per la

‘somministrazione-erogazione’ dell’attività fisica presso realtà specificamente

attrezzate come palestre e centri sportivi pubblici e privati.”

(prof. Renato Balduzzi,COMUNICATO STAMPA n. 19 26 gennaio 2013)

Le persone con disabilità sono più propense al fumo, all’inattività fisica e, di

conseguenza, all’obesità (Rimmer JH, Rowland JL).

Sono gli stessi ambienti inaccessibili ad accentuare la disabilità, in quanto creano

barriere non indifferenti a partecipazione ed inclusione.

Tali ambienti possono essere cambiati attraverso leggi, scoperte scientifiche,

avanguardie architettoniche e sviluppi tecnologici per migliorare le condizioni di

vita ed evitare le disparità.

L’Universal Design si occupa di progettazione di prodotti ed ambienti utilizzabili

da tutti, senza bisogno di personalizzazioni o adattamenti particolari. Non c’è

nessun destinatario prefissato e non ha lo scopo di risolvere problemi, ma di

eliminare possibili barriere ancor prima che si manifestino (Miotto e Santamaria).

Questo tipo di design è pratico ed economico, quindi facile da realizzare anche nei

paesi in via di sviluppo (Jones H, Reed R.), ma soprattutto può salvare molte vite

in situazioni di emergenza.

L’accesso alle strutture pubbliche quali edifici e strade, ma anche bagni o

spogliatoi, è essenziale per prendere parte alla vita civica, all’educazione ed al

mercato del lavoro; la mancata accessibilità a tutti può escludere le persone con

disabilità o renderle dipendenti da una persona esterna (Meyers AR et al).

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È doveroso sottolineare come migliorare un solo aspetto delle strutture pubbliche

accessibili non sia sufficiente: per quanto uno stabile possa essere inclusivo esso

risulta “inutile” se non è presente un servizio di trasporto pubblico ben attrezzato

per raggiungerlo o una porta abbastanza larga da permettere il passaggio di una

sedia a rotelle.

Il prerequisito di ogni cambiamento è la creazione di possibilità: effettivi

miglioramenti sono facilmente raggiungibili se coadiuvati da una maggiore

informazione, la quale crea maggiore disponibilità di risorse, tecnologie, fondi e

sviluppi.

Bisogna però tener conto che ognuno di questi passaggi richiede un impegno

economico non indifferente: come in ogni altro campo è la domanda che genera

l’offerta.

Ogni tipo di miglioramento porta beneficio all’intera popolazione: il buono non fa

discriminazioni.

1.4.1 Personale formato

Il concetto di bisogno è l’interdipendenza che io ho tra me e i contesti in cui sono.

Attraverso i bisogni io sono interdipendente con qualcosa o qualcuno che mi deve

dare qualcosa che serve a me.

Ognuno di noi ha dei bisogni.

È necessario che figure lavorative quali insegnati, istruttori, allenatori ecc.

sappiano svolgere le loro mansioni seguendo il concetto di didattica inclusiva:

differenziando l’approccio di base, esiste uno standard uguale per tutti da

smembrare in base ai problemi di ciascuno.

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La formazione di personale qualificato è un processo lungo e costoso, che si tratti

di operatori assistenziali o tecnici sportivi si nota sempre di più una mancanza di

preparazione adeguata a svolgere la mansione che si andrà a ricoprire, dovuta alla

mancanza di pratica e/o esercizio o, in certi casi, di corsi adatti.

Ogni tipo di competenza richiede conoscenze e abilità: per saper fare qualcosa si

parte dalla teoria per poi passare alle operazioni, alle quali un buon insegnante, in

un corso di formazione ben strutturato, dovrebbe fornire una serie di feedback

costruttivi.

Sfortunatamente la maggioranza di personale qualificato non ha ricevuto una

formazione adeguata e, al momento della messa in pratica del lavoro, non viene

adeguatamente pagato (Jorgensen D et al.); questo circolo vizioso fa sì che la

maggior parte di questi lavoratori pensi al proprio impiego come temporaneo

causando un turnover di specialisti destinato a destabilizzare le persone seguite.

Un gruppo di scienziati americani ha confrontato gli effetti del cambiamento di

staff a contatto con persone con disabilità gravi.

Il comportamento degli assistiti variava molto tra personale conosciuto e

sconosciuto suggerendo la necessità di creare un legame stabile per ottenere un

livello soddisfacente di fiducia e rispetto reciproci.

In alcuni casi, una volta raggiunta una certa familiarità tra i soggetti, si è potuto

notare un grande miglioramento nell’umore dell’assistito.

Questo studio indica chiaramente qual è il punto fondamentale sul quale ogni tipo

di corso di formazione professionale dovrebbe maggiormente focalizzarsi: porre

attenzione ai legami interpersonali, oltre ad essere segno di professionalità, è

indice di un miglior clima lavorativo ed evolutivo a livello personale (Parsons

MB, Bentley E, Solari T, Reid DH).

18

1.5 Attività fisica adattata

Corpo di conoscenze interdisciplinari diretto all’identificazione e alla soluzione di

problemi psicomotori (individuali o ambientali) che si manifestano durante tutto

l’arco della vita. Ciò significa che l’attività motoria adattata comprende sia

attitudini e interventi atti a supportare le differenze individuali e l’adattamento, sia

un sistema di sviluppo di servizi destinato a migliorare i problemi (Carraro A,

Gobbi E).

Può essere svolta in contesti:

• integranti: persone con disabilità interagiscono con partecipanti non

disabili

• segreganti: include solo persone con disabilità

Uno dei punti fondamentali della differenza tra integrazione e inclusione è che

l’inclusione si riferisce a tutti, al 100% degli individui, riconoscendo il fatto che

ognuno ha un qualche tipo di differenza o più tipi di differenza, ognuno è diverso

dall’altro.

La capacità (iniziale) e la performance (finale) sono entrambe reali e importanti

per la salute e il funzionamento di una persona: bisogna sapere quali sono le

capacità iniziali per poter offrire un contesto favorevole/facilitatore che

elimini/tolga barriere o non che non crei barriere in vista di una migliore

performance.

1.5.1 Esempio di attività fisica adattata: Acquaton

In questa attività il paziente è guidato dall'operatore nell'esecuzione di una serie di

esercizi che comportano la mobilizzazione di tutte le articolazioni. Le finalità e gli

obiettivi terapeutici sono la prevenzione delle malattie cronico-degenerative e la

prevenzione e cura del sovrappeso.

19

Durante l'attività possono essere utilizzate attrezzature specifiche (es. idrobike,

tapis roulant)

L'attività fisica in acqua è in grado di ridurre significativamente il rischio di

sviluppare malattie croniche, quali l'obesità, l'osteoporosi, il diabete, le neoplasie e

la depressione. Per tale ragione, l'esercizio fisico si propone come mezzo

preventivo e terapeutico fisiologico, economico ed efficace in numerose

condizioni cliniche (Gruppo Veneto Diagnostica e Riabilitazione).

1.5.2 Esempio di manifestazione internazionale inclusiva: il Trofeo Settecolli

Considerato il meeting di nuoto più antico del mondo, si tratta di un

importantissimo evento internazionale di nuoto che si disputa ogni anno a Roma

presso la piscina scoperta di 50m del complesso natatorio del Foro Italico.

Nacque nel 1963 grazie al segretario generale del CONI Mario Saini, egli voleva

una manifestazione nella quale i campioni italiani avrebbero potuto confrontarsi

con i grandi internazionali al di fuori delle competizioni ufficiali.

Nel corso degli anni i desideri di Saini si sono avverati in quanto il trofeo ha visto

partecipare alcuni tra i migliori nuotatori al mondo.

Nel 2016 alla sua 53esima edizione ha aperto le porte agli atleti della Federazione

Italiana Nuoto Paralimpico i quali, in rappresentanza delle proprie squadre, hanno

gareggiato nei 100 stile libero OPEN.

L’evento, trasmesso anche su RaiSport, è valso come qualificazione alle

Paralimpiadi di Rio 2016 durante le quali l’italiano Federico Borlacchi ha vinto

l’argento nei 100m farfalla.

Nel 2017-2018 gli atleti FIN (federazione Italiana Nuoto) e FINP (Federazione

Italiana Nuoto Paralimpico) hanno avuto modo di ritrovarsi per quattro

avvenimenti importanti quali il Trofeo Città di Milano, il Trofeo Sette Colli a

Roma, i Giochi del Mediterraneo ed il Collegiale di preparazione agli europei che

si terrà ad Ostia.

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1.6 Bibliografia

• Park A et al. British social attitudes survey 23rd report. London, Sage, 2007.

• Parmenter TR. The present, past and future of the study of intellectual disability:

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1998

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21

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• Rimmer JH, Rowland JL. Health promotion for people with

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friendly environments. Journal of Lifestyle Medicine, 2008,2:409-420.

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• Jones H, Reed R. Water and sanitation for disabled people and other vulnerable

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Loughborough University, Water and Development Centre, 2005

• Meyers AR et al. Barriers, facilitators, and access for wheelchair users:

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Social Science & Medicine (1982), 2002,55:1435-1446. doi:10.1016/S0277-

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• Jorgensen D et al. The providers’ profile of the disability support workforce in

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• Parsons MB, Bentley E, Solari T, Reid DH. Familiarizing New Staff for Working

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• Carraro A, Gobbi E Il ruolo dell’attività motoria nella disabilità

22

Sitografia

• Gruppo veneto diagnostica e riabilitazione http://www.gvdr.it

• Associazione italiana fisioterapisti https://aifi.net

• OHCHR United Nation Human Right Office of the High Commissioner

https://www.ohchr.org

• Federeazione italiana nuoto paralimpico http://www.finp.it

• Coni http://www.coni.it/it/

• Università di Padova http://www.unipd.it

• Federazione italiana sport paralitici degli intellettivo relazionali

http://www.fisdir.it

• Pubmed https://www.ncbi.nlm.nih.gov/pubmed

• ISTAT https://www.istat.it

• OMS http://www.who.int

• Enciclopedia Treccani http://www.treccani.it

23

TREVISAN MANUEL

DAMS triennale

Matricola 1172861

9 crediti formativi

2. MOVIMENTO E DANZATERAPIA

2.1 Movimento e danza

Danza e società moderna

Quando si pensa alla danza la prima cosa che viene in mente è una bambina con

un tutù rosa, dal fisico snello e slanciato che danza su un grande palcoscenico

esibendo la sua tecnica migliore.

Ma perché al posto di quella bambina non potrebbe esserci un bambino o un

ragazzo?

Lo stereotipo vuole che i maschi pratichino solo attività “virili” come il calcio, il

basket o le arti marziali e che la danza sia uno sport esclusivamente femminile e

che sia preferibile lasciar loro questa attività, poiché per i ragazzi è poco adeguata

ed associata a scarsa mascolinità.

Facendo un passo indietro e tornando al 1948 Aurel Milloss ricordò al

sovraintendente Antonio Ghiringhelli che “L’uomo non balla” quando

quest’ultimo chiese di dotare il corpo di ballo del Teatro alla Scala di elementi

maschili. Un aneddoto che oggi ci rende così lontani da una tale affermazione e da

quei tempi, eppure si può percepire, anche dalle piccole cose, come alcuni luoghi

comuni siano lenti a scomparire. Fra questi ve n’è uno, di certo più lieve delle

problematiche analizzate dai recenti studi su danza e gender apparsi negli ultimi

decenni, ma piuttosto resistente che, partendo dal pregiudizio tipicamente

borghese che la danza sia soprattutto da declinare al femminile, immagina il

24

ballerino pressoché esclusivamente relegato al ruolo di porteur

dell’étoile (Corriere di avviamento)1.

Il pensiero di Ghirindelli, in realtà,

si ricollegava all’immaginario

europeo che c’era sulla figura del

ballerino come mostra la caricatura

di una stampa di Edouard de

Beaumont databile intorno al 1860

che raffigura come un ballerino in

realtà facesse solo la spalla di una

ballerina, sminuendone così la sua

figura e importanza.

Un’immagine che sembra

contraddire, però, le vette raggiunte

dalla figura maschile nel corso dei

secoli precedenti. Nel corso dell’ottocento, infatti, molti danzatori hanno conteso

alle partner il favore del pubblico. Un semplice sguardo alla storia ci rivela quanto

la danza d’arte maschile sia stata a lungo la protagonista più o meno indiscussa

delle sale come dei palcoscenici di tutta Europa proprio a partire dall’Italia del XV

secolo con il suo ballare.

Pensiero che con il tempo e con la cultura dell’uomo “virile” che si è esportato in

tutto il mondo è andato perduto. Non a caso negli studi sulle problematiche

analizzate da recenti ricerche su “danza e gender” apparsi negli ultimi decenni, ma

piuttosto resistenti, si può notare come il primo dei pregiudizi sia il fatto che la

danza non sia una cosa da uomini, almeno non da uomini eterosessuali. Infatti i

ragazzi che la praticano sono omosessuali, si può constatare da quanto risalta da

queste analisi sull’immaginario comune.

Le classi delle scuole di danza sono piene di bambine mentre scarseggia la

presenza maschile. Si è visto come questo dipenda molto dalle scelte che i genitori

fanno per i propri figli. In generale i maschi si mandano a praticare uno sport e le

1 Ballo oltre il pregiudizio: la danza maschile - di Claudia Celi - Giornale della Danza

25

femmine a danza. Questo significa che se una ragazza sceglie la danza come

professione, sceglie qualcosa con cui ha già avuto a che fare, direttamente oppure

indirettamente, perché se a scuola di danza lei non ci è andata, sicuramente c’è

andata qualcuna delle sue amiche. Per un ragazzo invece scegliere la danza

significa scegliere qualcosa che non solo non ha mai praticato, ma che ha sempre

vissuto come qualcosa che appunto riguarda l’altro sesso.

Ne è un esempio il famoso film “Billy Elliot”2 che ha fatto storia.

Tutto è cominciato nei primi anni 2000. La società del nuovo millennio ha

cominciato a ribellarsi alle costrizioni ed alle limitazioni. È cresciuta con l’idea di

poter fare qualsiasi cosa, determinare il proprio destino in ogni settore della vita.

Lo sport, l’arte, la vita sociale, la vita sessuale, il mondo del lavoro, etc. Nulla è

precluso all’essere umano che di natura è così adattabile e flessibile. Billy Elliot è

un film che racconta proprio questo. Venne scritto e trasmesso nel 2000,

raccontando una storia ambientata nel 1984 nel Regno Unito. Il dodicenne Billy è

orfano di madre, e vive col fratello ed il padre. Entrambi sono minatori di carbone,

il padre, come molti uomini dell’epoca che esistono ancora oggi, è una persona

chiusa e legata ad un modo di pensare statico ed arcaico. Probabilmente mosso

anche dall’immenso dolore per la scomparsa della moglie vieta a Billy il proprio

sogno: quello di danzare. Il dodicenne non vive un conflitto sessuale interiore, o

2 https://it.wikipedia.org/wiki/Billy_Elliot

26

almeno questo non si evince in maniera marcata, si scontra semplicemente con il

pregiudizio. Il balletto? La danza classica? Roba da femmine. Eppure dimostra

che non è così, va avanti in segreto e coltiva il suo sogno. Alla fine padre e fratello

vanno allo spettacolo di cui è protagonista principale. Si commuovono, e

capiscono. Non a caso da molti giornali questo film è stato ritenuto il miglior

musical inglese di tutti i tempi ed il 39esimo film britannico meglio riuscito della

storia. Racconta dell’evoluzione di un pensiero.

Evoluzione che negli ultimi anni ha fatto passi in avanti e questi pregiudizi piano

a piano stanno scomparendo, nonostante sia difficile che fino in fondo si

elimineranno, come spiega il ballerino Leon Cino in un’intervista qui riportata.

Intervista con Leon Cino3:

- Leon Cino, classe 1982, ballerino. La tua terra d’origine è l’Albania, paese

che spesso si sente nominare per i flussi migratori che investono l’Italia: come

hai vissuto, appena arrivato qua, l’essere albanese con i pregiudizi delle

persone ipnotizzate dai mass media?

I media hanno un ruolo molto importante come anche le statistiche, credo però

che tocchi a noi informarci più a fondo. Dico questo per esperienza personale:

finché sei parte di una statistica la gente giudica a seconda della notizia/statistica;

dopo averti conosciuto, ti apre le porte della sua casa.

- La danza è la tua passione: quando e come è nata?

Non sapevo che questa sarebbe stata la mia passione: una sfilza di eventi mi

hanno portato ad amare il ballo. La prima di tutte e forse la più ovvia è che la

danza può essere tutto: divertimento, amore, spettacolo… e di questo te ne rendi

conto da solo. Poi aggiungi la passione trasmessa da chi prima di te l’ha amata ed

ecco che la fai tua per sempre.

- Purtroppo a volte chi non conosce il mondo della danza da vicino, vive con

pregiudizio il binomio danza-uomo. Tu hai mai avuto difficoltà nella vita a

causa di questo sciocco pregiudizio? Se sì, come hai reagito?

Sì, qualche evento qua e là, ma non di grande rilevanza; ho imparato che con chi

3 http://www.lachiavedisophia.com/blog/la-danza-larte-contro-il-pregiudizio-intervista-a-leon-

cino/

27

ha una piccola fiamma di pregiudizio basta soffiarci sopra ed essa si spegne.

Anche perché in fondo tutti da adolescenti portiamo l’amica a ballare alle feste

delle medie o delle superiori o in discoteca…quindi perché avere pregiudizi?

- Cosa pensi della Filosofia al giorno d’oggi? Può essere utile per vivere (o

forse sopravvivere)?

Se la filosofia è il campo che porta l’uomo a riflettere, allora oggi è assolutamente

necessaria perché l’uomo molto spesso è portato a essere banalmente una pecora

che segue la pecora davanti a sé. E noi invece siamo uomini con il dono del

pensiero. Il movimento del corpo può raccontare l’Uomo, la sua interiorità si

esplicita attraverso disegni nell’aria. Con la danza l’Uomo scopre se stesso e il

mondo, interpretando situazioni diverse, personaggi opposti tra loro, propri simili

o completamente dissimili.

Tutto diventa un viaggio che si sviluppa passo dopo passo e che si rivela

comprensibile solo alla fine, col senno di poi, perché viene interiorizzato in modo

soggettivo da ogni spettatore.

2.2 La storia di Eugenio e Francesca

Se questi pregiudizi di genere si stanno affievolendo, non è così per quelli

riguardanti chi possa avvicinarsi a questa disciplina. Riprendendo il concetto

iniziale, di come la società veda la danza un’arte riservata a chi ha doti tecniche e

fisiche, pensiero vecchio di 300 anni e che risale ad un’epoca ormai trapassata,

bisogna considerare come oggi, seppur in modo non molto considerato e sminuito,

il concetto di danza ha aperto le porte in modo inclusivo.

Come si evince dalla storia, tratta da un’intervista, di Eugenio e Francesca, due

cugini di un piccolo paese di Frosinone, che fanno coppia fissa nella danza.

Questo non dovrebbe ormai più sorprendere, dopo aver constatato come i

pregiudizi di genere stiano scomparendo, se non per il fatto che Eugenio presenta

disabilità motoria ed è in sedia a rotelle.

28

Per chi lo circondava, era difficile quindi ritenerlo in grado di esibirsi su un

palcoscenico, o addirittura gareggiare durante i Campionati nazionali di danza

paralimpica. Invece Eugenio ci è riuscito. Ad iniziare Eugenio nel mondo della

danza è stato l’insegnante della scuola che frequentava Francesca, la cugina. La

madre del ragazzo frequentava l’associazione sportiva quasi tutti i giorni ed

Eugenio spesso la accompagnava, assisteva alle lezioni di danza silenzioso,

lanciando di tanto in tanto qualche commento sul fascino che la musica esercitava

su di lui. È stato questo il dettaglio che non è sfuggito all’insegnante, che ha

convinto il ragazzo a provare ad allenarsi. «Aveva difficoltà a muovere mani e

braccia, quindi inizialmente ero scettica sulle possibilità di riuscita di questo

esperimento», spiega Maria, la madre di Eugenio «e soprattutto, non immaginavo

che mio figlio desiderasse esibirsi. Con il tempo però ho dovuto ricredermi, ora

leggo l’entusiasmo nei suoi occhi e so che non potrebbe più fare a meno della

danza».

Prima che Eugenio iniziasse a ballare con Francesca, per tre mesi ha lavorato

individualmente con l’insegnante, che continua ancora oggi ad allenarlo a titolo

gratuito. «La prima fase del percorso ha coinvolto unicamente il lato psicologico

del ragazzo», mi racconta l’istruttore, «era importante fargli prendere confidenza

con quanto stava per sperimentare, farlo entrare nella giusta predisposizione

mentale. Quindi abbiamo guardato insieme diversi video di ballerini che si

esibivano utilizzando la sedia a rotelle». Dopo questa prima fase però, è

subentrato anche il lavoro fisico: «abbiamo iniziato a muoverci eseguendo alcuni

esercizi di potenziamento delle braccia, utilizzando cerchi e pesetti, e poi abbiamo

continuato con dei percorsi a terra», continua l’insegnate, «ad esempio: Eugenio,

sdraiato sul pavimento, doveva riuscire a disegnare un “otto” utilizzando

solamente la forza del suo corpo».

Da quel momento, ha cominciato a farsi strada nella mente dell’istruttore l’idea di

far ballare Eugenio con una partner. Questo perché altrimenti il ragazzo non

avrebbe potuto muovere da solo la sedia a rotelle. Francesca si è subito rivelata la

candidata ideale per questo ruolo, non solo perché il rapporto tra i due cugini era

sempre stato molto stretto ed Eugenio non avrebbe avuto difficoltà a fidarsi di lei,

ma anche perché la ragazza non era nuova al mondo della danza. Quando

29

l’insegnate le propone di fare coppia con Eugenio, Francesca infatti balla già da

anni danze latino americane, con un partner. «Abbiamo fatto una prova e sono

stata subito d’accordo», racconta Francesca. «Ora continuo ad esibirmi con il mio

primo cavaliere e durante la settimana frequento anche le lezioni di

dell’insegnante di Eugenio. Sono due esperienze diverse, ma entrambe

bellissime». Non appena i due ragazzi hanno iniziato a prendere lezioni con

l’istruttore, non sono mancate le difficoltà. Con il tempo però, gli errori sono

diventati sempre meno e la sicurezza in se stessi sempre di più. «Ho iniziato le

prime lezioni mostrando ai ragazzi una coreografia, seduto su una sedia girevole,

con una base musicale scelta insieme, che piacesse ad entrambi», mi spiega

l’insegante, «poi abbiamo lavorato per step, aumentando il grado di difficoltà dei

movimenti. E i ragazzi ancora oggi mi seguono, memorizzando la corrispondenza

tra passo e momento musicale. Fin dall’inizio ho cercato di far capire loro che la

sedia a rotelle non doveva essere concepita come un ostacolo ma come uno

strumento, come una parte integrante della coreografia e quindi un’opportunità in

più».

Dopo un anno e mezzo, i due ballerini sono migliorati molto e ricordano ridendo

gli incidenti capitati in sala prove «abbiamo fatto saltare più di un battiscopa e

abbiamo rotto diversi spigoli delle colonne che si trovano nella sala», raccontano,

«per non parlare poi delle crepe nei muri, quando abbiamo cominciato a usare la

sedia a rotelle elettrica». Fino a pochi mesi fa infatti, Eugenio e Francesca per

esibirsi usavano una sedia a rotelle tradizionale, che si muoveva solo per

trascinamento. Negli ultimi mesi invece, hanno iniziato ad utilizzare una sedia a

rotelle elettrica, che permette loro di inserire movimenti molto diversi nelle

coreografie. Grazie ai comandi elettronici, infatti, la sedia può andare avanti e

indietro, sollevarsi in altezza, distendere lo schienale all’indietro facendo alzare le

gambe di Eugenio.

30

Ad un anno e mezzo di distanza

dall’inizio delle lezioni, il

cambiamento per Eugenio è stato

netto. «Quando abbiamo iniziato

ad allenarci, non riusciva

nemmeno a muovere le braccia,

ore le stende e ha potenziato la sua

capacità di presa con le mani»

spiega l’insegnante «questi sono

risultati che il ragazzo non aveva

mai raggiunto con la sola

fisioterapia: con la danza il suo

atteggiamento è diventato più

attivo, ha acquisito maggiore

consapevolezza e padronanza del

suo corpo. Anche la predisposizione mentale al movimento è cambiata, ora

Eugenio lavora per obbiettivi e si allena per un fine preciso: migliorare». Il

movimento in questo modo non svolge più solamente una funzione terapeutica,

intervenendo sul potenziamento muscolare, ma acquisisce anche una finalità

espressiva: l’uso del corpo diventa un modo per entrare in contatto con se stessi e

per comunicare con gli altri, soprattutto considerando che Eugenio ha alcune

difficoltà nell’articolazione del linguaggio. Gli stimoli della danza insomma, non

agiscono solamente a livello fisico, ma è prima di tutto la mente ad essere

coinvolta. Un ruolo importante in questo senso lo hanno avuto anche le gare: «gli

spettacoli e le competizioni hanno un potere motivazionale enorme» mi dice

l’istruttore «tra l’altro Eugenio adora sentirsi al centro dell’attenzione, quindi

simili occasioni sono importanti anche per questo».

Alla domanda perché hanno scelto di ballare insieme, le risposte arrivano

immediate: «Fare coppia con mio cugino nella danza è stato un modo per

dimostrare agli altri che, non solo io, ma anche Eugenio potesse farcela», dice

Francesca. «Prima di esibirci davanti agli occhi di tutti, nessuno al paese credeva

che Eugenio potesse danzare, servirsi della musica per esprimersi come ogni altro

31

ballerino: insieme invece abbiamo dimostrato che non solo è possibile ma ci piace

farlo». «La danza mi fa sentire libero», dice Eugenio, «da quando ho iniziato a

ballare mi sento un’altra persona. E poi ho conosciuto tanti nuovi amici».

Frequentare le lezioni di danza per Eugenio ha significato anche inserirsi

all’interno di un gruppo di coetanei, soprattutto grazie alle serate che ogni sabato

vengono organizzate dagli insegnanti dell’associazione sportiva, e che

coinvolgono tutti gli allievi della scuola.

2.3 Danza terapia: il Metodo Maria Fux

L’esempio di Eugenio e Francesca dimostra, come la danza, possa non solo

aiutare psicologicamente e fisicamente un individuo a vivere appieno la vita con

le capacità che questa gli ha offerto, ma anche di mettersi in relazione con il

proprio io più intimo e con le persone che lo circondano.

Questo è stato possibile grazie ad un nuovo modo di fare ed intendere la danza,

che va contro, sconfiggendo tutti gli stereotipi, al modo “classico” di intendere

questa disciplina. Il modo in questione è la DANZA TERAPIA di Maria Fux:

danzatrice nata a Buenos Aires, 2 gennaio 1922. La sua formazione, come tipico

del tempo, è stata di tipo classico.

32

Maria Fux4: “La danza è stata sempre per me una necessità di dare qualcosa, di

esprimermi e trovare un punto di

incontro con la vita che mi

circonda; per questa ragione è

presente nella mia esistenza con

l’identico valore, con il medesimo

senso e naturalezza del parlare o

del camminare. Cominciai ad

essere me stessa con la danza

forse a 4 o 5 anni, quando

inventavo con qualsiasi musica.

Ricordo che quell’inventare e

improvvisare aveva una tale forza che mi portava a fare la parte della ballerina in

ogni riunione infantile tra cioccolatini, torte e spettatori della mia età, io

trasformavo quell’improvvisazione nello spettacolo del compleanno. Non

pensavo, né sognavo nient’altro che danzare. Però la parola danza era una temibile

parolaccia per le orecchie di mio padre che aspirava, benevolmente, a vedermi

proiettata in un altro futuro. In questi anni mi sono spesso domandata perché ho

questo interesse ad entrare nei limiti delle persone investigando i miei. Un giorno,

come fosse una rivelazione, ho compreso: mia madre ha avuto una gamba rigida

da quando aveva cinque anni; quando è arrivata con i suoi genitori e i suoi undici

fratelli dalla Russia, fuggendo al Progrom, nel periodo in cui lo Zar uccideva gli

ebrei, aveva un’infezione al ginocchio e nell’Ospedale per bambini di Buenos

Aires hanno dovuto asportarle la rotula per salvarle la gamba, perdendo così

completamente la possibilità di piegarla…”

“Nella mia infanzia e nella mia adolescenza, il suo zoppicare e la sua gamba

rigida producevano dolore nel mio corpo. Senza dubbio lei condivideva i miei

desideri per la danza. Non aveva mai ballato, però cantava e agitava le mani

quando stirava i nostri cinque grembiuli per la scuola…”.

4 http://www.danzaterapiamariafux.it/sito/la-storia-2/

33

Quelle mani che accompagnavano le sue canzoni erano anche le sue danze e

credo, nel tempo, di essermi trasformata io stessa nella gamba immobile di mia

madre, tramutandola in movimento dinamico.

“Yosoy la pierna de mi mamàque danza”

Io sono la sua gamba, le sue due gambe che non hanno mai danzato. La sua

gamba rigida senza rotula è in tutto il mio corpo e io sono la gamba di mia madre

che danza. È stata lei che mi ha indicato l’altra strada in cui mi trovo: la strada di

riconoscere nell’immobilità dell’altro la possibilità di dire “Si può”. Mi ha

indicato il ponte: soltanto con amore si può dare all’altro la possibilità di crescere.

Io sto crescendo e lei mi ha insegnato la via.

“Con mio padre lentamente le cose cambiarono, tappa dopo tappa e attraverso la

mia crescita, ho imparato a non essere arrabbiata con lui e ho cercato di mostrargli

che attraverso la danza poteva esistere un altro mondo, un mondo meraviglioso

che era il movimento. Papà lo ha compreso il giorno che è venuto a vedermi al

teatro Colòn: quel giorno ha pianto e mi ha chiesto perdono…”

“…Ho cominciato a studiare danza a 13 anni nello studio di Ekaterina

De Galantha, dove sono riuscita ad avere una borsa di studio. Dal magro stipendio

della mia famiglia, la mamma toglieva venti centavos perché potessi prendere il

tram n° 2 e andare da casa mia fino a Retiro dalla mia insegnante…”

“Quel mio problema di allora è un problema sociale che ancora oggi esiste in

molte famiglie, perché i genitori temono tanto la danza? Per la cattiva

informazione ed educazione ricevuta e perché non sanno che la danza e l’arte

significano per il bambino un’esplorazione profonda della vita. Indubbiamente

parlo della danza contemporanea perché la conoscenza e la formazione estetica

del bambino, attraverso un insegnamento classico codificato ed esaltato da 300

anni, non può dare un cammino di creazione se non un tecnicismo pieno di

difficoltà fisiche che restringono e danneggiano il suo mondo mentale, emotivo e

fisico…”

34

“…Insegnare ad un bimbo la danza nella sua forma più classica, partendo

dall’idea che il culmine del movimento sia l’equilibrio sulla punta del piede, è

una limitazione, si ricorre, in questo modo, alla vanità e agli elementi esterni alla

danza, conformando una tecnica di sviluppo contraria alla sua evoluzione

naturale (…)”.

2.4 L’incontro con Martha Grahm

L’incontro più importante nella vita di Maria Fux, che le permise di continuare a

credere in questa rivoluzione del pensiero della danza, fu quello con Martha

Grahm: “(…) La mia illusione era studiare, studiare con Martha, ma lei non dava

lezioni nel gruppo elementare nel quale ho cominciato ad imparare cosa era una

contrattura o una slogatura.

La classe era gestita da uno dei suoi aiutanti ed il mio inglese era così povero che

non capivo bene le parole,

imparavo in forma limitata

e angosciosa. Quando finii

quel primo corso, passai a

quello successivo dove

avevo un contatto diretto

con Martha comprovando che lei era sulla cima della montagna…era impossibile

parlarle e l’atmosfera che si creava intorno a lei la faceva assomigliare ad una dea.

La mia piccolezza e la mia forza di volontà erano allo stesso livello. Sapevo per

quale motivo ero in U.S.A. Avevo lasciato mio figlio di sette anni e la mia vita in

Argentina per qualcosa di importante: l’incontro con la tecnica. Oh, povera illusa!

Volevo che Martha vivesse le mie coreografie (sapevo intimamente che avevano

qualche valore) perché avevo bisogno dell’opinione di un’artista come lei per

continuare a progredire.

35

Con Martha era impossibile comunicare; io avevo superato un anno nel quale

sentivo la mancanza dei miei e la mancanza di alimentazione (i 45 dollari

settimanali che guadagnavo servivano per pagare la mia stanza, i miei viaggi, il

cibo e le lezioni). Un giorno nel corso di una delle lezioni, per eccessivo sforzo,

sudando in abbondanza e presa da una gran debolezza, sono svenuta; allora,

finalmente, lei si accorse di me. Mi mandò a dire da un suo assistente che non la

pagassi più e che mangiassi carne, giacché noi argentini non possiamo vivere

senza. Così ottenni la borsa di studio.

Si avvicinava la data della mia partenza; era passato un anno. In quel tempo

conobbi il dipartimento spagnolo in varie Università dove, in cambio di vitto e

alloggio, danzavo durante il fine settimana. Ogni lunedì ricominciava il mio

lavoro presso le Aerolinee Argentine, le lezioni e i miei sogni, con lo stesso

fervore delle mie danze.

Un giorno alla fine delle lezioni, finalmente l’irraggiungibile Martha Graham

rimase da sola con me.

Fu nell’ascensore. Con il mio scarso e cattivo inglese la supplicai – mi

rimanevano solo pochi giorni e poi sarei tornata in Argentina- di guardare le mie

danze. Accettò guardando il suo orologio: mi avrebbe concesso mezz’ora il giorno

dopo. Quella fu una notte infernale, ripassai a memoria tutte le mie danze e tutte

mi sembravano molto scarse. Finalmente arrivò il momento. Lei mi stava

aspettando ed io, con i miei dischi sciupati, iniziai a ballare di fronte a Martha.

Ormai non mi importava più niente, quella era la mia meta. Lei, che aveva la

conoscenza della danza, mi guardava

veramente!

Senza guardare l’orologio cominciò a

chiedermi di più, fino a che, dopo un’ora, io

non avevo altro da darle e mi sedetti di fronte

a lei.

36

Allora con la sua voce gutturale mi disse:” Sei un’artista, non cercare maestri

fuori di te. Non avere paura di fare danze teatrali, sei un’attrice. Continua a

cercare dentro di te il più possibile. Ritorna in Argentina e non aspettare nessun

maestro. Il tuo maestro è la vita”.

Capii il suo linguaggio ed ancora oggi, dopo tanti anni, le sue parole hanno valore

per me e io…continuo a cercare… (…)”5

2.5 L’intervista a Maria

“… la danza non deve essere privilegio di coloro che si definiscono dotati, bensì

patrimonio dell’educazione comune” (Maria Fux).

L’esperienza della sua vita, il nuovo modo di intendere la danza, ha portato Maria,

a creare una disciplina inclusiva. La Danzaterapia infatti, vuole coinvolgere

contemporaneamente individui che presentano disabilità insieme a individui

normodotati. Solo in questo modo tutti avrebbero potuto ricavare delle possibilità

maggiori dagli altri componenti della classe.

Attraverso questa intervista6, Maria Fux ci spiega nel dettaglio, cosa intenda lei

per Danzaterapia:

- Maria come nasce l’espressione “Danzaterapia”?

“…Dopo molti anni di lavoro con persone sorde, persone con sindrome di Down e

altri problemi, Lia Lerner, un’amica psicologa attualmente note fece

un’osservazione a proposito delle mie lezioni con adulti.

So, attraverso questa esperienza, che tramite il movimento si può formulare una

teoria e comprendere più a fondo un paziente, perché, per quanto grandi siano le

resistenze psicologiche durante una psicoterapia, il corpo non mente.

5 http://www.danzaterapiamariafux.it/sito/la-storia-2/ 6 http://www.danzaterapiamariafux.it/sito/il-suo-metodo-di-danza/

37

In realtà fu proprio lei ad affermare che ciò che stavo realizzando era un lavoro

terapeutico più che una danza creativa. È in questo modo casuale – dico casuale

perché non fu né imposto, né ricercato – che è nata l’espressione “Danzaterapia”.

Quando qualcosa viene nominato, questo qualcosa ha già un corpo proprio che gli

permette di essere quello che è…

Ho sempre saputo che il corpo ha risposte che si possono analizzare senza parole.

Si può conoscere la psiche attraverso il movimento e l’espressione del corpo, che

hanno un linguaggio proprio, ma non è quello che faccio io. Non mi stanco di

sottolineare che non sono una psicologa, non offro interpretazioni, né do ricette.

Sono un’artista che, attraverso un lavoro creativo, ha trovato un metodo che

ottiene cambiamenti nelle persone mediante il movimento. Quello che faccio è

unicamente stimolare le potenzialità che ciascuno possiede… (…)

“… non parlo mai di curare, bensì di cambiare. E, qualunque sia il tipo o la gravità

del problema ci sarà sempre qualcosa che si potrà modificare, anche se è

necessario chiarire che il solo movimento di per sé non permette a una persona di

cambiare, così come non tutte le persone sono necessariamente predisposte a un

cambiamento (nel corpo, nel modo di sentire, nella vita).

Si tratta, anche, del momento adatto. A volte non è il momento giusto per ricevere

un aiuto, aprirsi di fronte ad una difficoltà.

I passi avanti si verificano quando le circostanze lo permettono, non solo per una

questione di volontà o insistenza. È come un cibo delizioso che può essere gustato

lentamente, condiviso e assimilato da molti, anche se non da tutti né in qualsiasi

momento… (…)”.

- Qual è il segno più chiaro di progresso (o di evoluzione) nel processo di

apprendimento della danzaterapia?

“… Non rimanere con la stessa immagine iniziale, non ripetere. Il segno più

chiaro è quando il lavoro diventa più sciolto, con la fluidità di un linguaggio

verbale, rompendo i nodi del corpo. La risposta più evidente si percepisce nei

cambiamenti corporei visibili attraverso l’espressione della bocca, dello sguardo,

del torace, della mano attraverso l’atteggiamento del corpo e un rapporto più

38

diretto con la gioia e con la possibilità di sentire che “sto danzando e quello che

sto facendo mi appartiene… (…)”.

- Qual è il primo cambiamento che l’alunno sperimenta con la danzaterapia?

“…Il suo sorriso, il suo sguardo verso il mio corpo (che lentamente si trasforma

nel suo) e l’accettazione dei suoi limiti che non significa rassegnazione, bensì

riconoscimento e opportunità.

Ovviamente questo non succede da un giorno all’altro, ma è certo che avverrà, per

ciascuno al momento giusto. L’alunno arriva a comunicare con il proprio corpo,

senza imposizioni, sentendo di abbandonare lentamente tutta la sua rigidità e di

diventare più flessibile, e questo, che lo aiuta a riconoscersi, lo porta ad una

sensazione piacevole e stabile di “sì, posso”.

In alcuni casi stimolo più la sensibilità che il movimento, perché la sensibilità ci

conduce direttamente alle possibilità che si aprono interiormente ed esteriormente.

Quello che facciamo non è una ginnastica tecnica così che nessuno resta ai

margini. Nelle mie lezioni non mostro mai quello che so o che non so ed è per

questo che ottengo sempre una risposta che è un atto creativo…”

- Come affronta la danza con l’adulto?

“…Molti adulti arrivano al movimento dopo un lungo cammino segnato da oblio e

mancati incontri con il corpo, da una vita fatta di sedentarietà, da atteggiamenti

che li allontanano sempre più dalla flessibilità naturale che tutti ci portiamo

dall’infanzia, da tensione psichica e da preconcetti.

La maggior parte si domanda se vale la pena muoversi, dal momento che sentono

di aver perduto ogni possibilità di espressione e di movimento al di fuori della

prevedibile routine. Alcuni vengono mossi da un dolore più che da un desiderio

stesso di muoversi ed esprimersi.

La domanda classica è “posso alla mia età?” che sostituisce, elegantemente,

l’affermazione “non posso”. Si sono, comunque, avvicinate al mio studio e questo

significa che hanno fatto un passo per uscire dalla staticità o dall’ignoranza delle

proprie possibilità…”

39

- I suoi alunni si raggruppano in base alla preparazione o al loro stato fisico?

“… Quando ricevo un alunno, non chiedo a cosa si dedica (lo faccio solo in

seguito) per non farmi condizionare o limitare: preferisco scoprire cosa fa un

corpo che non ha titoli. Mi interessa solo sapere il suo nome.

La stessa cosa avviene con i bambini: non chiedo mai che medico li ha mandati,

per non lasciarmi condizionare da storie (o diagnosi mediche o psicologiche). Ciò

che ho imparato è che, attraverso la conoscenza dell’altro, vedo che i limiti

segnalano sempre possibilità, li vedo come opportunità.

Per me non esistono il sano e l’infermo; molte volte ricevo risposte che superano

di molto le aspettative legate alle “possibilità” di persone con grandi difficoltà,

mentre capita che alunni molto dotati necessitano di tempi più lunghi per

sensibilizzarsi e introdursi nei meandri più profondi del corpo…”

- Arrivate a questo punto, credo sia opportuno (e necessario) domandarle:

cos’è la danzaterapia?

“…Onestamente non so se posso risponderti con una definizione da dizionario,

ma, sì, posso affermare che attraverso il movimento si producono cambiamenti

che non sono solo fisici ma che coinvolgono attivamente il nostro corpo interiore,

molte volte isolato, ignorato, segnato da paure e problemi sia sensoriali che

psichici.

Attraverso gli stimoli

che offro si muovono e

cambiano i “no” del

corpo, trasformandosi in

successivi “sì”, in “ciò

che sto facendo mi

appartiene”.

40

“Stimolo semplicemente le aree addormentate, che non si raggiungono solo

attraverso forme uditive, ma con la partecipazione attiva di tutto il corpo, il vero

protagonista. Ovviamente questo cambiamento non avviene in un giorno, né in un

mese. Si può cambiare in un istante, ma questo istante può arrivare dopo molto

anni.

Io aspetto questo cambiamento con pazienza e, anche quando ho di fronte 50

persone, percepisco un mutamento in quell’essere, in quell’unica persona che

durante tanti anni ha detto soltanto “No, non posso”. In questo istante misterioso

comincia a sorridere perché sente, senza parole, che “sì, può”. È questo che fa di

me un ponte e non un modello…”

2.6 Obbiettivi del metodo

INTEGRAZIONE INDIVIDUALE:

Il livello corporeo

1. L'individuo impara a conoscere o a riconoscere il proprio corpo e le sue

sensazioni con il risultato che il vocabolario motorio si amplia e il

movimento diventa fluido: “...è la trasformazione del proprio corpo, nel

quale il movimento fluisce. Lentamente accade qualcosa di meraviglioso:

il corpo si libera”.

2. La persona impara ad ascoltare e a vivere in armonia con il proprio ritmo

interno. “Il ritmo è in tutto. E` nella nostra respirazione, nella circolazione

sanguigna; il nostro nome è ritmo, la nostra maniera di muoverci, di

parlare, di dormire, di mangiare, è ritmo. Ogni movimento proiettato nello

spazio ha il suo ritmo anche se realizzato senza musica. Ognuno produce

ritmo in maniera diversa, personale, creativa”.

41

3. L'individuo impara come scaricare le tensioni in eccesso. La nostra società

alienante, il cumulo di tensioni, di rifiuti e di difese che sperimentiamo

nella vita quotidiana ci fanno ridurre e contrarre il nostro corpo per

affrontarla. Credo che la danza ed il movimento, incarnati nella creatività

che tutti abbiamo, aiutino ad una prevenzione terapeutica che dovremmo

realizzare giornalmente.

Il livello emotivo

1. La persona ritrova una connessione con il proprio mondo emotivo. Il corpo

non soltanto vive nuove emozioni, ma ha bisogno di scaricarle e inoltre,

simbolicamente, in quello spazio in cui si trova, inizia a percepire una

realtà e una forza nella quale comprende che può disegnare e proiettare

anche i suoi sentimenti.

2. L'individuo apprende come canalizzare le emozioni. Attraverso questo

cammino, l'incontro con la danza, si libera l'energia accumulata a causa

delle nostre preoccupazioni e paure, della nostra impossibilità e della

nostra mancanza di naturalezza nell'espressione.

Il livello immaginativo

1. La persona scopre una via per attingere all'immaginario, infatti il corpo

produce immagini.

2. La persona impara a liberare la propria creatività`. “Io servo da ponte per

fare in modo che comincino ad esprimersi attraverso il loro corpo in

relazione con la musica: in accordo con le loro età e le loro possibilità di

comprensione, sveleranno il loro mondo interno e cominceranno ad

esprimersi attraverso creazioni.

42

2.7 Esperienze di danzaterapia

Due casi ci dimostrano, come la danza terapia possa essere utile, tanto a persone

che presentano disabilità, quanto a persone normo dotate.

Nel primo caso, Maria Fux ci ricorda una esperienza avuta con una bambina con

disabilità uditiva. L’approccio inizialmente non è stato dei più facili, poiché

Maria, non sapeva come far arrivare l’emozione della musica a questa bambina.

Nella sua esperienza di ballerina però, si ricordava di come lei stessa avesse

ballato nel silenzio, fermamente convinta, che la danza non potesse provenire solo

da imput esterni, ma, soprattutto, da imput interni al danzatore.

La stessa Maria Fux, in una delle sue tante esibizioni, poté danzare nel più totale

silenzio seguendo il solo ritmo della sua respirazione. Partendo, dunque, dalle sue

conoscenze ed esperienze vissute, capì che tipo di approccio doveva usare. Iniziò

un percorso nel quale piano a piano cresceva la sicurezza e la padronanza del

proprio corpo e dello spazio circostante nell’allieva. Un percorso che prevedeva

l’immaginazione di suoni attraverso immagini che il ballerino in questione doveva

trasformare in movimento. La stessa Maria, con l’allieva, si muoveva nello spazio

per aiutarla a comprendere meglio quelle immagini.

Tutto ciò, come appena detto, portò grandi risultati, ma per Maria non erano

sufficienti. Sentiva il bisogno che quella bambina potesse integrarsi in una classe

di danza. E fu così, la bimba si integrò benissimo potendo sfruttare anche

l’apprendimento visivo di quello che facevano i compagni udenti e potendo

comprendere meglio il ritmo di quella danza. Un gruppo che si amalgamò e che

poté compensarsi e aiutarsi.

Maria ci ricordò come all’esibizione di fine anno, venne a vedere lo spettacolo un

importante ballerino. A fine serata Maria chiese a lui quale delle ballerine del

gruppo fosse quella con disabilità uditiva: non seppe rispondere. Questo ci

testimonia come la danza terapia insista sull’importanza dell’inclusione a

trecentosessanta gradi e che ogni individuo possa e debba sfruttare le sue

caratteristiche personali.

43

“L’espressione e la creazione a livello corporeo sono proprie dell’essere umano,

qualunque sia il suo stadio sociale o qualunque sia la sua condizione fisica. Il

bisogno di muoversi fa parte della persona, più viene aiutata ad esprimersi, più

benefici otterrà nel resto delle sue attività. Nella vita privata o sociale.”

Un altro esempio, che ci dimostra come la danza terapia sia inclusiva per tutti gli

individui e non solo per coloro i quali presentano disabilità, è quello che ci

racconta la stessa Maria Fux. Nel suo libro “Frammenti di vita nella danza

terapia” riporta la sua esperienza in un istituto di educazione fisica.

“È molto interessante raccontare di un corso che tenni all’INEF (Istituto nazionale

di educazione fisica). Mi invitarono a dare lezioni a studenti dell’ultimo anno e

chiamai il corso – Sensibilizzazione nel livello di espressione corporea. Era un

gruppo di giovani ragazzi dai 20 ai 25 anni con corpi molto allenati. (…)”.

“Cominciai con loro distesi a terra, misi una musica lenta per piano, e chiesi di

chiudere gli occhi perché desideravo presentarmi attraverso quella musica. Così il

corpo poteva rispondere non a direttive tecniche ma trovare il bisogno di muoversi

con la musica sentendola nelle braccia e nelle mani. Sempre con gli occhi chiusi,

dovevano iniziare a connettersi con quello che trasmetteva la musica. La visione

che avevo di quel gruppo in quella prima lezione era di poca tranquillità, e un

desiderio evidente di negarsi a quel lavoro; erano abituati a muoversi in un modo

prestabilito, con un corpo disponibile a rispondere a ordini che non erano prodotti

dalla sensibilità.

Avendo gli occhi chiusi, non potevo percepire cosa facevano gli altri; così la

musica a poco a poco è stata assorbita nel loro corpo: le braccia, muscolose e forti,

furono prese dalla musica e si sensibilizzarono a livello di espressione.

Quell’esperienza durò circa quindici minuti fino a che, piano a piano, feci sparire

la musica. Lentamente tornarono al corpo. Li feci sedere e quando aprirono i loro

occhi erano molto sorpresi. Scoprirono qualcosa in quel corso che il loro

capogruppo espresse così: “Maria, con tutto quello che conosco del mio corpo

attraverso lo sport, è la prima volta che lo sento.”

“Questo dimostra come anche la gente che conosce molto bene il proprio corpo

ignori una parte molto importante di sé che non è stata ancora esplorata: la parte

44

sensibile ed inconscia. Per muoversi in quel modo c’è bisogno di aprirsi ed

accettarsi.”

2.8 Bibliografia

Fux, Maria (1999) Frammenti di vita nella danzaterapia. Edizioni del Cerro

Fux, Maria; Bensignor, Betina M. (2005) Cos'è la danzaterapia: il metodo María Fux.

Intervista con Betina M. Bensignor. Edizioni del Cerro.

Olive, Alessandra (2010) Le danze del labirinto. Mito e archetipo in Martha Graham.

Simple

Sitografia

http://www.danzaterapiamariafux.it/sito/

http://www.lachiavedisophia.com/blog/la-danza-larte-contro-il-pregiudizio-intervista-a-

leon-cino/

http://www.retisolidali.it/danza-e-disabilita/

45

FEDERICI GIULIA

Corso di laurea Magistrale in Psicologia di Comunità

Matricola 1156057

6 Crediti formativi

3. ESPRESSIONE DI SÉ E INCLUSIONE

3.1 Benefici psicologici, cognitivi e relazionali

«Nell’atto di creazione di ciascun individuo l’arte nutre l’anima,

coinvolge le emozioni e libera lo spirito, e questo può incoraggiare le persone a

fare qualcosa semplicemente perché vogliono farlo.

L’arte può motivare tantissimo, poiché ci riappropria, materialmente e

simbolicamente,

del diritto naturale di produrre un’impronta che nessun altro potrebbe lasciare

e attraverso la quale esprimiamo la scintilla individuale della nostra umanità.»

Bernie Warren

L’arteterapia si focalizza sulla stimolazione della creatività, sull’acquisizione della

fiducia e dell’autostima, e attraverso il gruppo ed il terapeuta, permette una

stimolazione relazionale e di apertura agli altri. Uno degli scopi principali

dell’esperienza è il processo di differenziazione e di autonomia, “il lavoro,

condotto su persone con diverse abilità, permette di dare possibilità altrimenti

negate, di visibilità e credibilità” (D’Auria, 2008).

“L’arte viene in soccorso del colloquio, della diagnosi e della gestione dei gruppi,

ma la sua grande forza sta nell’essere un linguaggio a sé, che muove processi

profondi e porta il paziente ad agire sugli aspetti del mondo interno e sulla frattura

che ha con il mondo reale” (Grignoli, 2008). Attraverso l’arte vengono utilizzati

canali che sfuggono all’intelletto e al ragionamento logico, creando un linguaggio

46

soggettivo unico nel suo genere. L’atto creativo diventa in questo modo un canale

comunicativo che estrania dalla comunicazione diretta e, attraverso il processo

creativo e lo sviluppo dell’immaginazione, permette la crescita delle potenzialità e

una maggiore conoscenza del proprio mondo interiore.

La danza può essere considerata come veicolo dell’azione umana, che pone al suo

centro il movimento; si caratterizza per una continua costruzione e ri-costruzione

di significato (Cipolletta, 2004) e rappresenta una forma di azione mediante

l’utilizzo del corpo come suo strumento principale. Propone un universo

svincolato dal mondo circostante e che risponde a leggi proprie, dettate dalle

regole del corpo, permettendo una rappresentazione metaforica della realtà, basata

sul mostrare piuttosto che sul raffigurare o descrivere (Cipolletta, 2004).

L’osservazione del movimento nella danza può aiutare ad ampliare la

comprensione psicologica della persona e, viceversa, arrivare a una maggiore

comprensione dei movimenti della persona nello spazio. Il corpo è la sede delle

sensazioni e delle azioni e vi è un’indissolubilità di percezione e azioni; la motilità

e il movimento rappresentano un modo di vivere attraverso il corpo e mediante la

manipolazione (Cipolletta, 2004).

La danza-movimento terapia può essere considerata come l’uso terapeutico del

movimento per favorire l’integrazione emotiva, cognitiva, psichica e sociale

dell’individuo; riconosce il movimento del corpo come un mezzo espressivo e

comunicativo e viene praticata come terapia individuale o di gruppo in diversi

contesti quali sanità, istruzione, centri sociali, nell’educazione e nella

riabilitazione.

“Nella danzaterapia […] movimento ed emozione sono inestricabilmente

intrecciati: il movimento può dipendere da una emozione e l’emozione e la sua

intensità evocano il movimento” (Payne, 1990). Come sostiene Hellen Payne,

nella danzaterapia sono proprio i movimenti spontanei che rivelano l’emotività:

c’è un legame tra azione ed emozione.

47

Tra gli obiettivi della danzaterapia, analizzati dalla danzaterapeuta Hellen Payne,

troviamo due aree della consapevolezza: l’autoconsapevolezza, caratterizzata

dalla consapevolezza corporea, riduzione dell’impulsività, abilità di

visualizzazione e imitazione, miglioramento dei movimenti e della loro

articolazione, sensibilità, coordinazione e capacità decisionale; e la

consapevolezza sociale, caratterizzata da elementi quali cooperazione,

adattamento, imitazione, iniziativa, saper aspettare il proprio turno, condivisione,

il saper guidare o seguire, partecipazione, lavoro di coppia. Nella danzaterapia si

enfatizzano la qualità dei movimenti e le relazioni tra le persone durante questi

movimenti (Payne, 1990). Nella danza il paziente si riappropria della

consapevolezza del proprio corpo e delle possibilità di movimenti nel tempo e

nello spazio. Per facilitare l’improvvisazione è necessario procedere

gradualmente, lavorando sulla sicurezza degli utenti e sulla loro autostima.

La danzaterapia non richiede particolari abilità e tecnicismi ma è accessibile a

qualunque fascia evolutiva e può essere sperimentata anche da persone con

disturbi o limitazioni psicofisiche.

Sebbene il termine “terapia” attribuisca una valenza terapeutica alla danza e

all’espressione attraverso il corpo, sono numerosi i campi e i metodi di

applicazione, e in base al contesto e allo scopo, può presentare differenziazioni7:

può essere utilizzata in campo clinico o in quello socio-educativo, con funzioni di

prevenzione, riabilitazione e terapia.

Oltre a stimolare la creatività attraverso attività ludiche ed espressive, favorisce

anche lo sviluppo delle abilità psicomotorie e sociali. L’incontro con l’altro e la

presa di coscienza delle diversità, dei limiti e delle risorse presenti in ciascuno di

noi, possono produrre un arricchimento generale ed una più profonda conoscenza

di sé in relazione al mondo circostante. L’approccio della Dmt, basato sui punti di

forza di ognuno, produce un senso di scopo e responsabilizzazione e massimizza

le capacità di coping, offre supporto emotivo e l’opportunità di condividere i

propri stati emotivi8.

7 Centro di psicoterapia e musicoterapia http://www.francescanicassio.it/web/ 8 American Dance Therapy Association https://adta.org

48

La danzaterapia mira a produrre miglioramenti nella qualità della vita delle

persone attraverso il gesto spontaneo e la canalizzazione delle emozioni.

Lo studio condotto da Bräuninger (Bräuninger, 2012) esamina l’esito del

trattamento di un intervento di danzamovimentoterapia di dieci settimane sulla

Qualità della Vita (QOL) su 162 partecipanti che soffrivano di stress, che sono

stati assegnati casualmente al gruppo sperimentale (n=97) e al gruppo di controllo

(65). Sono stati utilizzati i questionari Quality of Life Questionnaire 100

(WHOQOL-100) dell’Organizzazione Mondiale della Sanità e la Munich Life

Dimension List.

I partecipanti che hanno sperimentato il percorso di danzamovimentoterapia

hanno punteggi sempre superiori nelle dimensioni della QOL. A breve termine

hanno avuto dei miglioramenti nel dominio psicologico, delle relazioni sociali, nel

valore globale, salute fisica e vita generale. A lungo termine la Dmt ha migliorato

significativamente il dominio psicologico, la spiritualità e la vita generale.

La systematic review condotta da Strassel (Strassel et al. 2011) per analizzare

l’efficacia della danzaterapia ha rilevato che, nella maggior parte dei casi, le

revisioni e gli studi hanno riportato benefici positivi correlati al miglioramento

della qualità della vita, all'autostima o al trattamento di una malattia. Gli autori

suggeriscono di considerare la danza terapia una terapia aggiuntiva

potenzialmente rilevante per una varietà di condizioni che non rispondono bene ai

trattamenti medici convenzionali.

In una meta-analisi, che fornisce un’analisi dei risultati degli ultimi vent’anni di

ricerca (Koch et al. 2014) viene valutata l’efficacia della danzamovimentoterapia

e dell’uso terapeutico della danza (23 studi principali, N=1078) sulle variabili

della qualità della vita, dell’immagine corporea, del benessere e degli esiti clinici,

fornendo anche una sotto-analisi di depressione, ansia e competenza

interpersonale. I risultati suggeriscono che la DMT e la danza sono efficaci per

migliorare la qualità della vita, ridurre sintomi clinici correlati a disturbi d’ansia e

depressione; sono stati rilevati effetti positivi anche sull’aumento della percezione

soggettiva del benessere, dell’umore, dell’affettività e dell’immagine corporea.

Anche gli effetti sulle competenze interpersonali sono stati positivi, anche se non

significativi a causa dell’eterogeneità dei dati.

49

In uno studio (Murcia et al. 2010), 475 ballerini adulti non professionisti hanno

completato un sondaggio online, con l’intento di valutare i benefici percepiti dei

partecipanti. L’analisi qualitativa e quantitativa ha rivelato che la danza ha

potenziali effetti benefici sul benessere in diversi ambiti, in particolare legati alla

dimensione emotiva, fisica, sociale e spirituale. Inoltre i benefici erano legati

anche all’autostima e alle strategie di coping.

La danza possiede una combinazione ideale di musica e movimento. Essendo

un’attività sensomotoria complessa, coinvolge elementi fisici e mentali che hanno

effetti positivi sulle funzioni cognitive e di controllo motorio. Nella danza i

pazienti si servono dell’abilità motoria attraverso il movimento, dell’abilità

musicale, visuo-spaziale nell’uso dello spazio e nella collocazione, ma anche delle

capacità intrapersonali e interpersonali. Il ritmo, l’integrazione e la

sincronizzazione del suono e del movimento, possono coordinare e rafforzare

movimenti fondamentali e azioni complesse, trasformando l’ascolto in un

processo attivo. Diversi studi suggeriscono come le prestazioni fisiche,

incorporate nella danza, possono apportare miglioramenti cognitivi (Chaddock et

al. 2012).

Per riassumere la letteratura, una meta analisi di 18 studi clinici ha dimostrato un

effetto positivo dell’allenamento fisico sulla cognizione, nella velocità e

l'elaborazione visuo-spaziale e soprattutto sui processi di controllo esecutivo

(Colcombe & Kramer, 2003). Mentre si produce il movimento, il ballo stimola la

concentrazione e la focalizzazione dell’attenzione. Esercizi multi-tasking come la

danza sono un potente strumento per migliorare l’esecuzione contemporanea di

due compiti motori-cognitivi (Hamacher et al. 2015).

Sacks (2008) afferma che la musica permette di organizzare una capacità motoria,

di tenere a mente una grande quantità di informazioni e di eseguire sequenze

complesse, e che «la musica ha il potere di contenere e veicolare le sequenze – e

di farlo proprio quando altre forme di organizzazione (comprese quelle verbali)

falliscono».

50

È stato analizzato, attraverso un’ampia letteratura, l’uso della danza come tecnica

per la riabilitazione neurologica e cognitiva (Dhami et al. 2015). La danza, oltre

all’attività fisica, promuove differenti abilità cognitive quali percezione,

emozione, funzioni esecutive, memoria e capacità motorie (Foster, 2013). Studi di

neuroimmagine hanno dimostrato un’attività molto diffusa nel cervello durante la

danza (Brown et al. 2006). L’impegno di una tale varietà di facoltà cognitive

attribuite alla danza, deriva dalla stimolazione multisensoriale in un ambiente

coinvolgente, caratterizzato dall’incorporazione di attività fisica, ascolto musicale

e interazione sociale (Johansson, 2012).

Anche l’ambiente sociale della danza fornisce una stimolazione cognitiva, in

quanto semplici esercizi, se fatti con gli altri, possono incrementare l’attività di

una più ampia rete cerebrale (Saarela & Hari, 2008). La danza-movimento terapia

favorisce la partecipazione e il coinvolgimento, la diminuzione dell’isolamento e

del distacco interpersonale. Elementi caratteristici della danza come l’imitazione,

il movimento sincrono e la cooperazione motoria sono adatti a favorire le capacità

empatiche.

3.2 L’Empowerment nella danzamovimentoterapia

Rapaport (1984) definiva l’empowerment come un processo sociale

multidimensionale che aiuta le persone a raggiungere un maggior controllo sugli

eventi della vita, nelle proprie comunità e nei loro gruppi. I processi di

empowerment si basano su azioni che permettono agli individui, ai gruppi o alle

comunità di acquisire maggior potere, di ottenere le risorse necessarie, di

sviluppare una visione critica (Cortese, 2016). Zimmerman considera

l’empowerment individuale un fenomeno composto da tre fattori: il controllo,

inteso come il credere nelle proprie capacità; la consapevolezza critica, ovvero la

capacità di comprendere e analizzare i propri contesti di vita e capirne i

meccanismi; e la partecipazione, considerata come l’azione vera e propria, la

51

messa in atto di un piano condiviso e accettato da più individui, è quindi il motore

del cambiamento (Cortese, 2016).

Le arti terapie possono contribuire allo sviluppo dell’empowerment personale

attraverso la creatività e l’auto-espressione, e può essere praticata in modo da

enfatizzare l’empowerment dei partecipanti (Dickson, 1982; Houston, 1984) come

sperimentato in un progetto per donne di un grande complesso residenziale di

Bristol (Hogan, 1997). Il gruppo di arteterapia ha fornito, a delle donne con

diverse difficoltà. l’opportunità di esprimere se stesse, incrementare il dialogo e

l’autoefficacia, e andare avanti in circostanze difficili.

L’arte e la danza possono essere uno strumento mediante il quale incrementare

l’empowerment di giovani e adolescenti (Houstone, 2005), anche in casi di

giovani considerati a rischio (Wallace-DiGarbo & Hill, 2011, Li et al. 2015), con

difficoltà comportamentali (Thompson & Tawell, 2017), o per vittime di bullismo

(Laffier, 2016).

Sara Houstone nel suo articolo Participation in Community Dance: A Road to

Empowerment and Transformation? analizza in che modo i progetti di danza per

l’inclusione possono permettere alle persone escluse dalla società e

tradizionalmente non associate alle forme d’arte, di partecipare alle attività di

danza e di come questi progetti possono incrementare l’empowerment delle

persone.

Ken Bartlet, direttore della Foundation for Community Dance afferma, già nel

1996, che “La danza comunitaria ha tradizionalmente abbracciato un insieme di

valori... Riconosce il potere e il contributo della danza nel trasformare e

potenziare la vita degli individui e delle loro comunità”; infatti il Movimento non

è solo coinvolto nell’inclusione attraverso la partecipazione, ma si occupa anche

della nozione di empowerment dei partecipanti. La partecipazione attiva, quindi il

fare, creare, condividere, guardare, riflettere, è fondamentale per lo sviluppo

personale, sociale e artistico (Houstone, 2005). Matarasso nel suo progetto di

ricerca riportò diversi esempi di processi di trasformazione mediante progetti

52

artistici, concludendo che essi possono “conferire potere e aiutare le persone ad

avere il controllo sulla propria vita” (Matarasso, 1997).

L’autrice, inoltre, descrive nel dettaglio due progetti di danza realizzati in un

centro residenziale per anziani e in un carcere di massima sicurezza maschile, per

dimostrare l’impatto della danza su questi due esempi di gruppi socialmente

esclusi.

Per alcune persone anziane le sessioni di danza sono diventate una struttura di

supporto in termini di gestione della propria vita e resilienza, per altri hanno

prodotto un’aumentata consapevolezza dell’identità personale, orgoglio per il loro

impegno, un incremento della coesione di gruppo e divertimento.

I detenuti sottolinearono come la danza li faceva sentire meglio con se stessi; nove

mesi dopo la fine del progetto alcuni dei partecipanti mantennero visioni positive

circa la propria vita, sviluppate durante il progetto. Senza “gonfiare” il il

potenziale della danza, questa potrebbe creare uno spazio nel quale la

partecipazione potrebbe aprire una possibile strada verso l’empowerment

(Houstone, 2005).

Come scritto nella Dichiarazione Universale dei Diritti Umani “ogni individuo ha

diritto di prendere parte liberamente alla vita culturale della comunità, di godere

delle arti” (Art. 27.1) e “ha dei doveri verso la comunità, nella quale soltanto è

possibile libero e pieno sviluppo della sua personalità” (Art.29.1). Dalle diverse

argomentazioni ne emerge che la partecipazione non solo mira a favorire

l’inclusione e il coinvolgimento nelle attività di danza, ma nella società nel suo

complesso, utilizzando lo strumento della danza per iniziare un percorso di

inclusione sociale e di empowerment personale.

53

3.3 Danza e inclusione

«La danza non è un campo esclusivo per nessuno. Dà gioia e euforia a tutti

coloro che vi partecipano come danzatori o spettatori. Il linguaggio della danza

non conosce confini. Va oltre la classe sociale, l’istruzione, il paese, il credo. Il

suo vocabolario è infinito, poiché l’emozione umana risuona attraverso il

movimento. La Danza arricchisce l’anima e solleva lo spirito. la Danza vive

all’interno di tutto ciò che vive. Facciamo ballare tutti i bambini e sicuramente

seguirà la pace.»

Natalia Titova

3.3.1 Dall’inserimento all’inclusione

Negli ultimi anni del Novecento si sono verificate diverse iniziative contro il

fenomeno dell’istituzionalizzazione, anni in cui le persone con disabilità venivano

considerati come soggetti da isolare e da trattare in maniera speciale, seguite

successivamente da esperienze di inserimento e di mainstreaming, che hanno

promosso l’accettazione delle persone con disabilità e hanno portato al modello

‹‹a cascata›› (The cascade system of special education service) (Soresi, 2007). Gli

ambenti, così, sono iniziati a diventare meno restrittivi e più integranti.

Il termine “inserimento” entrò a far parte della normativa italiana con la legge

118/71, che si sostituiva all’esclusione. Si tratta dell’inserimento in un contesto

tipico, come ad esempio dalle scuole speciali a quelle dell’obbligo, e incrementa

le abilità sociali e i livelli di apprendimento, sia delle persone con disabilità che di

quelle normodotate, attraverso un ambiente stimolante.

Con la legge 517/77 si iniziò a parlare di “integrazione” e non più di inserimento,

termine che rimanda al riconoscimento reciproco di valori e potenzialità, bisogni e

opportunità, diritti e doveri, in un’ottica di partecipazione attiva; l’integrazione

genera una risposta speciale, riguardando il singolo e intervenendo sul soggetto e

solo successivamente sul contesto.

54

Il termine inclusione è stato consolidato normativamente dalla Convenzione ONU

sui diritti delle persone con disabilità, ratificata in Italia con la legge numero

18/2010. Un contesto inclusivo offre ad ognuno la possibilità di sviluppare la

propria identità, di partecipare attivamente nella società, sulla base del rispetto dei

diritti di ognuno e dell’attenzione nei confronti di aspettative e bisogni9.

Nella “Nesletter per un’inclusione di qualità: Contesto, ConTEsto, ConTEstiamo”

numero 3 (2016) possiamo rintracciare le caratteristiche insite e caratterizzanti

l’inclusione:

• Riconoscere l’interdipendenza della condizione umana universale e

riconoscere che “siamo una cosa sola, anche se non siamo tutti la stessa

cosa”;

• Considerare con attenzione i “contesti” di vita, che influenzano la qualità

della vita e possono determinare difficoltà;

• Sviluppare la capacità di considerare e riferirci agli altri considerandoli

unici, soffermandosi su punti di forza e potenzialità, invece che

categorizzandoli o riferendoci a loro in base a pregiudizi o stereotipi;

• Sviluppare la solidarietà e la costruzione comune di reti di protezione e di

aiuto.

“L’inclusione richiede la propensione a valorizzare gli altri, ad instillare speranza

e ottimismo, a sostenere azioni proprie e altrui caratterizzate da resilienza e

coraggio” (Soresi, Nota).

Come descritto dalla Professoressa Sgaramella durante il corso d’insegnamento

magistrale di “Psicologia della disabilità e dell’integrazione”, l’inclusione

risponde alla variabilità, promuove le risorse e le potenzialità di ognuno, presta

attenzione alle diversità presenti e le valorizza. L’inclusione riguarda tutti,

interviene sul contesto, in quanto deve rispondere alle necessità delle persone, e

successivamente sul soggetto; trasforma una risposta speciale in normalità, in

quanto vi è un principio di diversità tra tutte le persone; favorisce la costruzione di

legami che riconoscono la specificità dell’identità.

9 Newsletter per un’inclusione di qualità: Contesto, ConTEsto, ConTEstiamo, numero 3, Gennaio

2016 http://cda.psy.unipd.it/files/news3.pdf

55

Caratteristici dell’inclusione sono:

• Il diritto di sperimentarsi, conoscere il mondo e nuove realtà; il diritto

all’esperienza essendo consapevoli delle difficoltà;

• Il diritto di progettare, immaginare una storia in un tempo e in un futuro;

realizzare un progetto può dare senso alla vita, promuovere l’azione e

favorire l’autodeterminazione;

• Il diritto di diventare adulti e di costruire la propria storia; sviluppare un

maggior senso di autoefficacia e di autonomia, prendendo decisioni e

scelte.

La Prof. Laura Nota, al convegno “Salute e qualità di vita per le persone con

sindrome di Down”10 (Padova, 2018) descrive l’eterogeneità umana come una

fonte di saggezza, ma anche di sfida, e di aumento della complessità umana:

disabilità, povertà, religione, migrazione, disoccupazione, genere, cultura,

nazionalità, etnie e linguaggio, caratteristiche che nella società odierna si

combinano tra loro creando unicità in ogni situazione; per questo sono necessarie

la personalizzazione e l’inclusione. L’inclusione non è inserimento o integrazione,

ma attenzione nei confronti di tutti e al contesto, eterogeneità ed unicità.

3.3.2 Il potere inclusivo della danza

Ogni sport, come possibilità di crescita, rappresenta un’attività che trasmette un

senso di benessere che, soprattutto nel caso di persone con difficoltà, può aiutare a

superare i propri limiti, accettandoli e valorizzandoli, può favorire un processo di

inclusione sociale. La danza rispecchia questa prospettiva, essendo un’attività con

le caratteristiche del gruppo con l’obiettivo di promuovere un’opportunità per la

crescita personale e l’inclusione delle persone con disabilità e non (Raiola, 2015).

10 “Salute e qualità di vita per le persone con sindrome di Down”, Padova 17 marzo 2018,

organizzato dall’Associazione Down DADI e Fondazione Baccichetti, in collaborazione con

CoorDown e Dipartimento di Scienze Biomediche dell’Università di Padova.

56

Dai risultati emersi da una ricerca qualitativa italiana che indagava il significato

associato al termine inclusione nella danza e di come l’atleta pensa al fenomeno, è

stato dichiarato dall’80% dei partecipanti che consideravano la danza un’attività

utile per l’inclusione e il 70% che nella danza sia possibile parlare di integrazione

o inclusione. Alla domanda “Pensi che la presenza di una persona con disabilità

nel tuo gruppo possa essere: un disagio; un fattore di crescita personale; positivo;

indifferente; maggiore coesione di gruppo; condizione di rallentamento”, il 50%

ha risposto "un fattore di crescita personale", il 20% ha risposto "positivo", un

altro 20% ha dichiarato "un mezzo di coesione di gruppo", il 10% ha risposto

"indifferente" (Raiola, 2015). L’intento dell’autore è quello di favorire un

incremento del processo di inclusione delle persone con disabilità nel contesto

della danza.

La danza può essere espressa in diverse forme: attraverso un gesto, anche minimo,

un movimento del piede, un movimento non coordinato, così come una

coreografia che coinvolge tutto il corpo. La considerazione di una vasta gamma di

azioni come “artistiche” o “espressive” permette di eliminare i giudizi di valore

estetico, così l’arte diventa un’attività egualitaria in quanto tutti possono danzare,

fare musica, disegnare o recitare. Il livello di abilità diventa irrilevante

permettendo la sperimentazione e favorendo un primo livello di inclusione

(Karkou, 2004).

La danzamovimentoterapia (Dmt) è un’esperienza particolarmente utile per le

persone con disabilità, in quanto sfrutta i punti di forza di ciascun individuo e

chiunque, di tutte le abilità, può partecipare. Ogni individuo ha il diritto di

sviluppare il proprio potenziale umano, il senso di dignità e dell’autostima; di

sviluppare la propria personalità, talenti e creatività, come affermato nella

Convenzione delle Nazioni Unite sui diritti delle persone con disabilità.

In onore della Giornata internazionale per le persone con disabilità, la American

Dance Therapy Association si impegna per la promozione dell’accessibilità e le

pari opportunità per ognuno, e per l’inclusione di tutti gli individui nella società.

La Dmt offre supporto emotivo e condivisione in un ambiente solidale e inclusivo,

57

inoltre, il movimento essendo una modalità di comunicazione universale, può

essere utilizzato in diverse culture11.

“La danza e la musica un connubio straordinariamente potente che abbatte

qualsiasi barriera, che consente di esprimere emozioni allo stato puro, senza

condizionamenti e inibizioni”12.

Sono numerose in Italia le esperienze inclusive di danzamovimentoterapia che,

attraverso movimenti collettivi ed espressione di sé, coinvolgono ed entusiasmano

i partecipanti, ognuno con i propri tempi e le proprie percezioni, in gruppi sempre

più eterogenei. Molte di queste esperienze si basano sul metodo di Maria Fux, che

promuove la danza nella sua forma più semplice, come espressione delle emozioni

e conoscenza di sé, con l’obiettivo di intraprendere un percorso interiore

personale, attraverso la sperimentazione dei limiti e delle possibilità di ognuno.

La danzaterapia secondo il metodo di Maria Fux è stata sperimentata con successo

in tutte le età della vita e anche con persone con disabilità sensoriali, difficoltà a

livello psicologico e limitazioni fisiche13, per migliorare il benessere psicologico e

l’integrazione sociale tanto di soggetti normodotati che di soggetti con difficoltà o

limitazioni.

Il metodo non lavora su contenuti inconsci, né sostiene forme di psicoterapia, ma

si concentra sull’uso della creatività come momento di ascolto, scoperta e

relazione, senza l’utilizzo di tecniche di interpretazione degli stati interiori,

rendendo la danzaterapia un’esperienza aperta permettendone la sua

sperimentazione ad un pubblico vasto e senza la necessità di condurla con un

target specifico, favorendo invece un clima inclusivo, nel quale ognuno può

esperire un percorso individuale in un contesto di gruppo, aperto e accessibile a

tutti.

“Ma un altro grande merito della danzaterapia, secondo questo metodo – spiega

Alessandra Messina – è quello di consentire la condivisione di emozioni da parte

11 American Dance Therapy Association https://adta.org 12 Esperienze con il sud http://www.esperienzeconilsud.it 13 Metodo Maria Fux http://www.metodomariafux.com

58

di soggetti diversi, che pur nella loro specificità, riescono a sentirsi parte

integrante del gruppo”.

In quest’ottica la danzaterapia viene descritta come strumento inclusivo che

unisce differenze e diversità, e potrebbe, come affermato dall’articolo 30 della

Convenzione delle Nazioni Unite sui diritti delle persone con disabilità,

“consentire alle persone con disabilità di sviluppare e realizzare il loro potenziale

creativo, artistico e intellettuale, non solo a proprio vantaggio, ma anche per

l’arricchimento della società” e “consentire alle persone con disabilità di

partecipare su base di uguaglianza con gli altri alle attività ricreative, agli svaghi e

allo sport” incoraggiando il più possibile la loro partecipazione.

Come affermato da Erica Gobbi durante l’incontro “Corpo, movimento, salute: la

prospettiva inclusiva” del “General Course: diritti umani e inclusione”

dell’Università degli Studi di Padova tenutosi il 10 aprile 2018 a Padova,

un’attività fisica inclusiva deve porre l’enfasi sulle abilità delle persone; deve

agire sul contesto per massimizzare l’esperienza di accesso; deve “riguardare” la

diversità; promuovere l’accettazione e deve essere flessibile, permettendo

l’adattamento dell’attività alle persone attraverso modificazioni; caratteristiche

fondamentali presenti nella danzamovimento terapia.

La danzamovimento terapia potrebbe essere ricondotta alla definizione di

Claudine Sherrill del 1983 dell’attività fisica adattata, in quanto «comprende sia

attitudini e interventi atti a supportare le differenze individuali e l’adattamento, sia

un sistema di sviluppo di servizi destinato a migliorare i problemi». Nell’attività

fisica adattata “viene posta l’enfasi sulle differenze individuali e sulle interazioni

ambientali che si manifestano sotto forma di sfide a livello fisico, mentale, sociale

o emozionale, che influenzano il raggiungimento di uno stile di vita attivo e sano,

nonché del tempo libero, dell’integrazione e dell’inclusione” (ISAPA, 2005).

59

3.4 La funzione sociale della danza

Il testo La funzione sociale della danzamovimentoterapia (Bellia, Dragoni, 2016)

ripercorre una serie di esperienze di Danzamovimentoterapia (Dmt), realizzate in

grandi gruppi aperti e in contesti pubblici, finalizzate a sviluppare il legame

comunitario come matrice di crescita e di benessere personale e sociale, per

analizzarne le potenzialità per la cura della persona e della convivenza sociale.

Gli eventi realizzati in Italia, tra il 2012 e il 2016, hanno interessato diversi

territori del comune di Roma, come Velletri, Anzio, Pietralata; Lingotto (TO);

sono stati condotti flash mob di danzaterapia in piazza a San Lorenzo e a

Garbatella (RM) come ad esempio con il progetto “Ritmi DanzAbili, danzaterapia

oltre ogni barriera”; a Torino nel 2016 si è formato un gruppo che ha coinvolto gli

studenti, organizzato grazie alla collaborazione della Scuola

Danzamovimentoterapia Espressivo-Relazionale con il Corso di Laurea in Scienze

Infermieristiche e con il Dipartimento di Studi Umanistici dell’Università di

Torino; a Palermo è stato organizzato un laboratorio comunitario a partecipazione

pubblica, percorsi continuativi di Dmt in gruppi più piccoli, uno nel quartiere

ZEN e un altro in un progetto in collaborazione con l’UEPE (Ufficio Esecuzione

Penale Esterna del Ministero di Giustizia); a Cosenza si è svolta la International

Summer School di Dmt-ER, interamente scandita in open session rivolte alla

cittadinanza.

Sono state esperienze aperte a partecipazione libera, rivolte a realtà comunitarie e

realizzate in spazi pubblici, non dedicati in modo esclusivo alla

Danzamovimentoterapia. Si sono alternati ed intrecciati gruppi di Dmt con utenti

di Centri di Salute Mentale, di Centri Diurni, ASL, Centri Residenziali, Comunità

Terapeutiche, Cooperative sociali e Associazioni presenti nei diversi territori, con

anziani, bambini, adolescenti, adulti, studenti, insegnanti, familiari, cittadini, in

un’ottica inclusiva e di cooperazione. La danza ha attraversato spazi

multifunzionali delle strutture sanitarie, aule, palestre, auditorium scolastici, sale

parrocchiali, location convegnistiche e palasport.

60

Open session a Pietralata (RM)

Caratteristico di queste esperienze sono la partecipazione e l’inclusione, che

permettono la creazione di una intersoggettività e senso di appartenenza, rispetto

alle condizioni di isolamento e anomia che caratterizzano le società odierne.

La danzaterapia comunitaria implica una democratizzazione dei processi in quanto

favorisce una dinamica interattiva delle reti relazionali e instaura reciprocità tra i

partecipanti; si tratta di una riorganizzazione relazionale che affianca la dinamica

comunitaria, in cui ciascun soggetto è parte attiva e integrante (Bellia, Dragoni,

2016). Nei grandi gruppi di Dmt a valenza socio-comunitaria i partecipanti

sperimentano il riconoscimento e la valorizzazione della propria soggettività

personale, rafforzando il senso di sé. L’espressione corporea mediante la danza, in

questi contesti, instaura una connessione tra l’azione collettiva e quella soggettiva,

che come sostenuto dagli autori, il gruppo «funziona come amplificatore della

“voce” di coloro che ne fanno parte, anziché farli sparire nella folla».

Importante in questo senso è il concetto di outsight, come sostenuto da Fasolo, che

permette uno “sguardo fuori” e consente al mondo esterno di entrare nel proprio

campo rappresentativo, portando a un’autorappresentazione che comprende il

mondo esterno, include la rappresentazione di come gli altri ci

considerano/rappresentano e incrementa l’empowerment (potere personale)

attraverso la partecipazione ai processi collettivi (Fasolo, 2009).

61

Un’altra particolarità della Dmt a dimensione comunitaria che può essere

connessa al concetto di inclusione, è rappresentata dai setting aperti dei laboratori,

in quanto:

● la partecipazione è libera, il laboratorio è aperto a tutti, non c’è una

preselezione e non c’è obbligo di continuità;

● il laboratorio non è a “porte chiuse” ma uno scenario «non dedicato in

modo esclusivo», come sostenuto dagli autori;

● non è necessaria l’implicazione attiva nella danza ma è possibile anche

solo assistere.

«Nella nostra società è ancora marcata la dissociazione tra cura del sé e

promozione sociale, tra psicologia e sociologia, tra guarigione psichica ed

empowerment. In una prospettiva di sviluppo creativo del “corpo sociale” e dei

corpi che ne fanno parte, invece, setting aperto e processo di outsight sono le due

facce della “danza che cura”».

(Bellia, Dragoni, 2016)

Durante gli esercizi di danzaterapia si è liberi di muoversi come si vuole e come si

può, l’importante è sempre esprimere le proprie emozioni. Attraverso il

movimento, ciò che si è abituati ad esprimere verbalmente o ad esperire in

maniera “convenzionale”, viene espresso e sperimentato attraverso la musica, il

movimento, in uno spazio dedicato a se stessi e condiviso con gli altri, questo il

grande potere della danza.

Si impara a sentire il proprio corpo e a relazionarsi con l’altro, a ballare con il

corpo, a sentire e dipingere la musica, a danzare con lo sguardo, a passare la

musica al compagno, a suonare il corpo come fosse uno strumento.

62

‹‹La danza è un cuore che batte›› ‹‹Fantastico, stupendo. Un concerto umano››

Dipingere la musica

“Danzare? Io posso…e tu?”

Associazione Abitare Insieme,

L’Aquila, 2015/2016

Questo, il vero e primo stimolo della danzaterapia secondo un’ottica inclusiva:

fare ogni cosa come la si può fare e non seguendo le linee schematiche

dell’estetica. Migliorare la qualità di vita di ognuno, lavorando sull’autostima e

sul senso di autoefficacia percepita, per imparare a far emergere le proprie

potenzialità e sperimentare con le proprie capacità; favorire l’espressione di sé e

dei propri vissuti emozionali.

Oltrepassare quel vetro invisibile ma percepibile che ci separa dal mondo della

“diversità”, valorizzandola non escludendo ma includendo ogni forma di

differenza, per renderlo il mondo della “unicità” e dell’inclusione, attraverso uno

strumento “diverso e unico” come la danza.

63

3.5 Bibliografia

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