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UNIVERSITA’ DEGLI STUDI DI PERUGIA FACOLTA’ DI MEDICINA VETERINARIA DIPARTIMENTO DI PATOLOGIA DIAGNOSTICA E CLINICA VETERINARIA SEZIONE DI SCIENZE SPERIMENTALI E BIOTECNOLOGIE APPLICATE CORSO DI LAUREA MAGISTRALE IN MEDICINA VETERINARIA TESI DI LAUREA PESTE DEI PICCOLI RUMINANT I(PPR) NEL SAHARA OCCIDENTALE: indagine epidemiologica nelle Wilaias e nei “Territori Liberati”della Repubblica Democratica Araba Saharawi (RASD). PESTE DES PETITS RUMINANTS (PPR) IN WESTERN SAHARA: a epidemiological survey among Wilaias and “Liberated Territories” of the Saharawi Arab Democratic Rebublic (SARD). Settore Scientifico Disciplinare VET 05 LAUREANDO RELATORE Sabatini Laura Prof. Passamonti Fabrizio ANNO ACCADEMICO 2008-2009

UNIVERSITA’ DEGLI STUDI DI PERUGIA - AFRICA '70 O.N.G ... · interessata è quella che si estende dal nord dell’Egitto al sud del Kenia e da ... come la Grecia, ... sopravvivere

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UNIVERSITA’ DEGLI STUDI DI PERUGIA

FACOLTA’ DI MEDICINA VETERINARIA

DIPARTIMENTO DI PATOLOGIA DIAGNOSTICA E CLINICA

VETERINARIA

SEZIONE DI SCIENZE SPERIMENTALI E BIOTECNOLOGIE APPLICATE

CORSO DI LAUREA MAGISTRALE IN MEDICINA VETERINARIA

TESI DI LAUREA

PESTE DEI PICCOLI RUMINANT I(PPR) NEL SAHARA

OCCIDENTALE: indagine epidemiologica nelle Wilaias e nei “Territori Liberati”della Repubblica Democratica Araba

Saharawi (RASD).

PESTE DES PETITS RUMINANTS (PPR) IN WESTERN

SAHARA: a epidemiological survey among Wilaias and “Liberated Territories” of the Saharawi Arab Democratic

Rebublic (SARD).

Settore Scientifico Disciplinare VET 05

LAUREANDO RELATORE

Sabatini Laura Prof. Passamonti Fabrizio

ANNO ACCADEMICO 2008-2009

INDICE

ABSTRACT pag. 4

RIASSUNTO pag. 6

1. INTRODUZIONE pag. 8

2. CARATTERISTICHE GENERALI DELLA PPR pag. 11

2.1 EZIOLOGIA pag. 11

2.2 EPIDEMIOLOGIA E TRASMISSIONE pag. 16

2.3 SEGNI CLINICI E LESIONI ANATOMOPATOLOGICHE pag. 20

2.4 DIAGNOSI pag. 24

2.4.1 DIAGNOSI DIFFERENZIALE pag. 25

2.5 PREVENZIONE E CONTROLLO pag. 28

3. PARTE SPERIMENTALE pag. 31

3.1 AREA DI STUDIO pag. 31

3.1.1 STORIA E SITUAZIONE POLITICA pag. 32

3.1.2 IL POPOLO SAHARAWI E LA SUA STORIA pag. 34

3.1.3 I CAMPI PROFUGHI SAHARAWI OGGI pag. 39

3.2 POPOLAZIONE ED ECONOMIA pag. 42

3.2.1 TECNICHE DI ALLEVAMENTO pag. 46

3.2.2 I SERVIZI VETERINARI SAHARAWI pag. 52

3.3 ASPETTI CLIMATICI E TERRITORIALI pag. 53

3.4 MATERIALI E METODI pag. 58

3.4.1 PIANO DI CAMPIONAMENTO pag. 59

2

3.4.2 ELABORAZIONE STATISTICA DEL CAMPIONE DI

STUDIO pag. 61

3.4.3 SCREENING ANTICORPALE NELLA RASD pag. 64

3.4.4 PROTOCOLLO ELISA–COMPETITIVA pag. 65

4. RISULTATI pag. 70

4.1 ANALISI DI SIEROPREVALENZA pag. 71

4.1.1 SIEROPREVALENZA GENERALE pag. 71

4.1.2 SIEROPREVALENZA PER SINGOLE REGIONI pag. 73

4.1.3 SIEROPREVALENZA PER CLUSTER pag. 75

4.2 ANALISI DI CORRELAZIONE pag. 78

4.2.1 CORRELAZIONE PER SPECIE ANIMALE pag. 78

4.2.2 CORRELAZIONE PER ETA’ DEI SOGGETTI pag. 79

4.2.3 CORRELAZIONE PER SESSO DEI SOGGETTI pag. 80

4.2.4 FUNZIONE DI CORRELAZIONE pag. 80

4.3 ANALISI DI MODELLAZIONE SPAZIALE pag. 82

5. CONCLUSIONI pag. 84

BIBLIOGRAFIA pag. 86

3

ABSTRACT

Peste des Petitis Ruminants (PPR) is an acute viral disease affecting small

ruminants and characterized by high morbidity and mortality. Up to today it is

considered a tropical disease because of its major diffusion in sub-saharian Africa,

Middle East and south of Asia, but ecological and environmental changes that

have taken place in these last years and the intensification of the animal trade

could favour the spread of this disease even in Europe.

This study aims to perform an epidemiological survey of PPR in the Saharawi

Arab Democratic Republic (SARD), assessing the potential presence of the virus,

since no reference data had been reported, but also its prevalence and the

distribution in these territories.

This work, conducted with the collaboration of the Veterinary Direction of the

Pubblic Helth Ministery, is based on census and collection of sheep and goat

population and camels living on this territories, from which blood samples were

collected to undergo serological tests.

Blood samples were collected in March and April 2008 and the sampling

methodologyperformed has been allowed to identify 11 sites of sampling for a

total of 976 tested animals.

The results of these tests have evidenced a serological positive prevalence in

about 30% of the tested animals, even though during the collection no animal

presented clinical signs related to the subjected disease. A major number of

4

positive animals was revealed in goats with higher prevalence in subjects over 36

moths of age. Some positive cases were reported also in camels, which normally

aren’t considered a susceptible species to this disease.

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RIASSUNTO

La Peste dei Piccoli Ruminanti (PPR) è una malattia virale acuta che colpisce gli

ovi-caprini, caratterizzata da elevata morbilità e mortalità. A tutt’oggi viene

considerata una malattia tropicale in quanto presenta la sua maggiore diffusione in

Africa sub-sahariana, Medio Oriente e Asia meridionale, ma i cambiamenti di

ordine ecologico-ambientale a cui si assiste negli ultimi anni e l’intensificarsi del

commercio animale potrebbero favorire la diffusione di questa malattia anche in

Europa.

Lo scopo di questo studio è stato quello di eseguire un’indagine epidemiologica

sulla PPR nei Campi Profughi Saharawi e nei Territori Liberati della Repubblica

Democratica Araba Saharawi (RASD), per valutarne sia l’eventuale presenza,

dato che non esistonosono dati bibliografici in merito, sia la prevalenza e

distribuzione.

Lo studio, svolto in collaborazione con la Direzione di Veterinaria del Ministero

della Salute Pubblica della RASD, si è basato sul censimento e campionamento

della popolazione ovi-caprina e dei dromedari presenti in queste regioni dai quali

sono stati eseguiti prelievi di sangue da sottoporre a test sierologici.

La raccolta dei campioni di ematici è stata effettuata nei mesi di Marzo e Aprile

2008 utilizzando una specifica metodica di campionamento che ha permesso di

individuare 11 aree di campionamento per un totale di 976 animali testati.

I risultati degli esami eseguiti hanno messo in evidenza una prevalenza sierologica

in circa il 30% dei campioni testati, anche se al momento del campionamento

6

nessun soggetto presentava segni clinici riconducibili alla malattia. Una maggiore

sieropositività è stata riscontrata nei caprini con maggior prevalenza negli animali

di età superiore a 36 mesi. Alcune positività sono state evidenziate anche nei

dromedari, i quali normalmente non rappresentano una specie sensibile a questa

malattia .

7

1. INTRODUZIONE

La Peste dei Piccoli Ruminati (PPR) è una malattia infettiva degli ovini e dei

caprini caratterizzata da alta morbilità e mortalità. E’ una malattia soggetta ad

obbligo di notifica, tenuta sotto stretta sorveglianza dall’Organizzazione Mondiale

per la Salute Animale (OIE) e un tempo inserita nella lista “A”, ossia tra le

malattie ad elevato impatto economico. La PPR risulta capillarmente distribuita in

tutta l’Africa Sub-Sahariana, nel Medio Oriente e nell’Asia Meridionale (fig.1),

dove causa gravi perdite economiche (Taylor, 1984a; Shaila et al., 1989; Diallo, 2003) e si

presenta come un forte ostacolo allo lo sviluppo dell’allevamento dei piccoli

ruminanti in questi Paesi (Couacy-Hymann et al., 2007).

Figura 1: Distribuzione mondiale della PPR (dati OIE, 2004).

Malattia riportata presente

Malattia riportata assente Dati non disponibili o assenti

8

Questa malattia fu descritta per la prima volta in Costa d’Avorio nel 1942

(Gargadennec & Lalanne, 1942) e fu denominata “Peste dei Piccoli Ruminanti” per

favorire la sua differenziazione dalla Peste Bovina con cui presenta numerose

correlazioni dal punto di vista eziologico, clinico ed anatomo-patologico. E’ anche

nota come complesso stomatite-pneumoenterite che meglio descrive i segni clinici

associati alla malattia (Rowland et al., 1969, 1970). In seguito la PPR fu segnalata anche

in alcune regioni francesi dell’Africa Occidentale ed in Senegal (Gilbert e Monnier,

1962) con conseguente diffusione in gran parte del continente africano, in particolar

modo nelle regioni al nord della zona sub-sahariana, in Sudan (El Hag Ali e Taylor,

1984; Taylor, 1984), in Africa Orientale, Kenya e Uganda (Wamwayi et al, 1995) ed

Etiopia (Roeder et al., 1994). In Tanzania non sono stati mai segnalati focolai attivi

nonostante la presenza della malattia nei paesi confinanti quali Kenya ed Uganda

(P.N. Wambura, 2000).

A tutt’oggi è quindi possibile affermare che la PPR è presente in molti paesi

africani che si trovano tra l’Oceano Atlantico e il Mar Rosso. L’area principalmente

interessata è quella che si estende dal nord dell’Egitto al sud del Kenia e da est a

ovest del Gabon; mancano segnalazioni nel resto del continente africano (fig.2).

Il 23 luglio 2008 le autorità sanitarie del Marocco hanno segnalato la presenza di

due focolai nella parte centrale del Paese dove la malattia si è rapidamente diffusa a

sud e a nord-est ed il 14 agosto 2008 sette focolai sono stati riportati al confine con

l’Algeria. Attualmente più di un centinaio di focolai sono stati denunciati su tutto il

territorio marocchino (CESME).

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Al momento la situazione in Africa sta diventando sempre più preoccupante in

quanto si stanno evidenziando nuovi focolai d’infezione.

Figura 2: Distribuzione della PPR nel continente africano.

Per quanto riguarda la Penisola Arabica la PPR è endemica in Oman (Taylor et al.,

1990) ed è stata anche riscontrata in Arabia Saudita (Abu Elzein et al., 1990) mentre in

Medio Oriente è presente in Libano, Giordania (Lefefre et al., 1991) ed Israele (OIE,

1993).

In Asia fu segnalata per la prima volta in India nel 1987 (Shaila et al., 1989) dove da

allora si presenta a carattere endemico (Nanda et al., 1996) e da cui si è estesa sino al

Nepal, Bangladesh, Tajikistan, Pakistan ed Afganistan (AVIS).

Nel 2007 nuovi focolai sono stati notificati in Cina (Tibet e Nepal), dove la malattia

è tutt’ora presente.

In Europa, dove la PPR non viene segnalata, il rischio maggiore è rappresentato

dall’introduzione di animali recettivi e infetti (piccoli ruminanti) provenienti da

Paesi endemici ed è per questo motivo che la legislazione veterinaria europea vieta

il commercio di animali sensibili alla PPR con paesi non indenni (CESME).

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La distribuzione geografica degli ultimi 50 anni probabilmente è riconducibile ad

una maggiore consapevolezza della malattia dovuta ad una più alta disponibilità di

mezzi diagnostici e ad una maggiore conoscenza del virus che in natura potrebbe

avere subito mutazioni (AVIS).

La PPR è una malattia contagiosa a rapida diffusione che colpisce gli ovi-caprini,

animali che per le popolazioni africane rappresentano la maggiore fonte di

sostentamento. Dal commercio del bestiame, infatti, deriva buona parte del reddito

di queste popolazioni e quindi la presenza della PPR implica un grande impatto

socio-economico.

Studi epidemiologici risultano essere, di conseguenza, particolarmente significativi

non solo nelle aree dove la malattia è endemica ma anche in quelle a rischio di

introduzione come ad esempio l’Europa dove in questo momento la PPR è assente,

sebbene alcuni paesi europei, in particolare quelli più a sud come la Spagna ed a est

come la Grecia, a causa della loro posizione geografica, risultano essere

particolarmente esposti all’introduzione della malattia. Occorre inoltre ricordare che

un ulteriore rischio per il continente europeo è rappresentato dalla presenza della

malattia in Turchia, dove l’infezione è presente fin dal 1999 (CESME).

2. CARATTERISTICHE GENERALI DELLA PPR

2.1 EZIOLOGIA

Il virus della Peste dei Piccoli Ruminanti (PPRV) appartiene alla famiglia

Paramyxoviridae, genere Morbillivirus, antigenicamente correlato al virus della

Peste Bovina, del Cimurro del cane, del Morbillo umano, e ai virus che colpiscono i

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mammiferi marini (Phocine distemper delle foche, Morbillivirus dei Cetacei isolati

da delfini e focene), anch’essi inclusi nello stesso genere (Gibbs et al., 1979; Barrett et

al., 1993).

Gli appartenenti alla famiglia dei Paramyxoviridae sono

virus a RNA molto grandi (150-300 nm di diametro),

particolarmente pleomorfi. Il nucleocapside, a simmetria

elicoidale, contiene un filamento di ssRNA (–) di 15-16

kb, non segmentato, ed avvolto dall’envelope (fig.3). Figura 3: struttura del PPRV (AVIS).

La resistenza delle particelle virali al calore, all’acidità e ai comuni disinfettanti è

molto scarsa in tutti i membri della famiglia, con l’eccezione del virus della malattia

di Newcastle o pseudo-peste aviare, che oltre ad essere termoresistente, sopravvive

per mesi a temperatura ambiente e a 4°C, nei tessuti degli animali infetti e nelle

uova.

Il virus della PPR può resistere a temperatura di 60°C per 60 minuti, è stabile a pH

compreso tra 4 e 10, è sensibile ad alcool, etere ed ai comuni disinfettanti e può

sopravvivere al congelamento e alla refrigerazione per lunghi periodi.

I membri della famiglia Paramyxoviridae possiedono due tipi di proteine del

nucleocapside, strutturali ed ausiliarie: le strutturali sono proteine che vengono

denominate in modo diverso a seconda del genere (NP, NC o N). Sono proteine

costituite da due domini: amino-terminale, che comprende i due terzi della molecola

e che interagisce direttamente con l’RNA, e carbossi-terminale, che si pone sulla

superficie esterna del nucleocapside, rendendolo particolarmente flessibile.

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Le proteine ausiliari sono invece implicate nel processo di trascrizione e

replicazione del genoma. Si differenziano in proteina L (large), molto grande (che

verosimilmente rappresenta la RNA polimerasi) e proteina P, fosforilata

(polymerase associated), più piccola. Insieme possiedono l’attività enzimatica

richiesta per la trascrizione (RNA polimerasi) e per le modificazioni post-

trascrizionali dell’RNAm: poliadenilazione all’estremità 3’ e metilazione al 5’.

Le glicoproteine dell’envelope hanno funzioni sia di attacco che di fusione. Le

proteine di attacco sono diverse nei diversi generi: H (emoagglutinina) ed N

(neuroaminidasi) nel genere Paramyxovirus sono in grado di riconoscere i recettori

cellulari specifici che presentano acido sialico, per i quali hanno un’affinità molto

elevata; sono in grado di agglutinare gli eritrociti dei mammiferi e dei uccelli e,

contemporaneamente, presentano attività neuraminidasica che si esplica al

momento del rilascio delle particelle. La proteina H nel genere Morbillivirus è

deputata all’ adsorbimento ed è emoagglutinante, ma non ha attività

neuraminidasica. La proteina G nel genere Pneumovirus possiede la sola funzione

di adsorbimento e manca di attività emoagglutinante e neuraminidasica. La proteina

5F, di fusione, è presente in tutti i generi e garantisce la fusione dell’envelope con la

membrana cellulare, permettendo il rilascio del nucleocapside nel citoplasma. Le

proteine F vengono sintetizzate come precursori inattivi (F0), e sono attivate

dall’azione di un enzima cellulare tripsino-simile. Questo scinde la F0 in F1, la cui

parte idrofobica si inserisce nella membrana cellulare, e in F2, sub-unità più piccola

che rimane ancorata alla F1 mediante ponti disolfuro. Grazie a questo meccanismo,

l’entrata del nucleocapside avviene a pH neutro. Il fatto che l’ingresso del virus

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nelle cellule sia legato alla modificazione enzimatica della F0 ha due importanti

conseguenze: 1) il tropismo del virus è ristretto ai tipi cellulari che possiedono le

adatte proteasi; 2) la maggiore o minore sensibilità delle diverse F0 all’azione

enzimatica è direttamente collegata a diversi gradi di patogenicità.

La proteina F agisce anche come fattore di fusione tra cellule contigue, permettendo

la diffusione del virus persino in presenza di anticorpi. Dal momento che la proteina

F è fondamentale per la penetrazione, come lo sono le proteine di adesione, gli

anticorpi anti-F contribuiscono, insieme a quelli diretti contro le proteine di

adesione, a conferire immunità nei confronti del virus.

Dal punto di vista antigenico, le proteine superficiali dei Paramyxovirus sono molto

più stabili rispetto a quelle degli Orthomyxovirus. Sono stati infatti definiti alcuni

“sierotipi” nel genere Paramyxovirus (che forse sono da intendere come specie

virali diverse), ma nell’ambito dello stesso sierotipo le variazioni tra isolati diversi

sono molto scarse ed evidenziabili solo mediante anticorpi monoclonali. Nel genere

Morbillivirus sono state messe in evidenza estese cross-reazioni tra gli antigeni

superficiali F, ma non con H. All’interno di una singola specie virale la

configurazione antigenica è molto uniforme.

Sempre nell’ambito delle proteine di attacco dell’envelope ritroviamo anche le

proteine M, di matrice. Queste si allineano all’interno dell’envelope e sono deputate

al riconoscimento del nucleocapside durante l’assemblaggio e verosimilmente

partecipano anche alla formazione dell’envelope stesso.

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Il processo di replicazione si esplica con lisi cellulare con formazione di sincizi e di

corpi inclusi acidofili. Pur essendo la replicazione completamente a carico del

citoplasma, corpi inclusi acidofili si formano anche nel nucleo.

La replicazione inizia con la trascrizione primaria dell’RNA gonomico, ad opera

della RNA polimerasi-RNA dipendente, in 6-10 (secondo i generi) filamenti di

RNAm monocistronici, che utilizzano la stessa sequenza leader e sono sintetizzati

nello stesso ordine in cui i rispettivi geni sono situati nel genoma. Deve quindi

esistere, all’inizio e alla fine di ogni gene, un meccanismo che controlla l’inizio e la

fine della trascrizione: in effetti, alle estremità dei geni, esistono delle sequenze

nucleotidiche omologhe alle sequenze coinvolte nei segnali di inizio/fine

trascrizione del DNA cellulare. Inoltre, esiste una fine regolazione nella “quantità”

di RNAm trascritto per ciascun gene, che dipende dalla posizione del gene stesso

nel genoma. L’efficienza della trascrizione, infatti, decresce con l’aumentare della

distanza del gene stesso dall’estremità 3’ del genoma. Il motivo di tale regolazione

è che il virus necessita di molte copie delle proteine strutturali (come ad esempio la

NP) e solo di alcune copie delle proteine di attività enzimatica (come ad esempio la

L).

Contemporaneamente alla trascrizione degli RNAm si producono alcuni filamenti

(+) a lunghezza genomica che fungono da intermedi replicativi per la sintesi

dell’RNA progenie. Ovviamente, la trascrizione dell’intero RNA (–) genomico in

un singolo filamento (+) comporta che, in questo caso, la trascrizione stessa

avvenga ignorando tutti i segnali di inizio/fine. Non è ancora del tutto chiaro come

il medesimo enzima (RNA polimerasi) possa comportarsi in due modi così diversi.

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Potrebbe essere dovuto al fatto che l’interazione dell’enzima con le proteine del

nucleocapside in via di formazione sia in grado di influenzare l’attività in questo

senso.

La maturazione e il rilascio prevedono l’incorporazione delle proteine strutturali

glicosilate [H e N (N o G) e F] nella membrana plasmatica della cellula ospite,

l’associazione della proteina M alla superficie interna della stessa membrana,

l’allineamento del nucleocapside (RNA+NP+L+P) al di sotto della proteina M e,

infine, il rilascio, mediante budding, dei virioni maturi (Poli).

In natura è recettiva al virus della PPR la capra, in minor misura la pecora ed il

bovino che, se sottoposto ad infezione sperimentale, presenta soltanto febbre di

modesta entità. Nel maiale è riproducibile soltanto la forma subclinica, seguita da

risposta anticorpale, non associata ad escrezione del virus mentre nel cervo,

l’infezione sperimentale, può provocare sintomi di entità molto variabile con

possibile acquisizione di infezione subclinica o di infezione acuta o letale.

Su base sierologica, con l’impiego di anticorpi policlonali, è possibile dimostrare

strette correlazioni antigeniche nei confronti degli altri membri del genere

Morbillivirus, che risultano particolarmente marcate per il virus della Peste Bovina

andando a giustificare la presenza di reazioni sierologiche crociate in pecore e

bovini inoculati con i rispettivi virus. Comunque l’analisi del genoma con sonde

molecolari derivate dal gene N (nucleoproteina), oppure l’impiego di antisieri

monoclonali attivi sulle proteine di superficie consentono di riconoscere

l’appartenenza dei virus a specie distinte (Farina & Scatozza 1998).

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2.2 EPIDEMIOLOGIA E TRASMISSIONE

La Peste dei Piccoli Ruminanti (PPR) è una infezione virale acuta, altamente

contagiosa che colpisce i piccoli ruminanti e occasionalmente anche alcuni

ruminanti selvatici (Gazella dorcas, Capra ibex nubiana, Oryx gazella, Ovis

orientalis laristanica), caratterizzata da febbre alta, scolo nasale e oculare,

polmonite, necrosi, infiammazione ed ulcerazione delle mucose e delle membrane

del tratto gastro-intestinale che portano a grave diarrea (Radostits et al., 2000).

A causa dell’elevato tasso di mortalità, soprattutto tra i giovani animali, la PPR

riveste una grande importanza economica anche per le misure restrittive che porta

al commercio del bestiame (Al-Majali, A.M., et al., 2008).

Quando la malattia si presenta per la prima volta in una zona sono possibili

manifestazioni caratterizzate da febbre molto alta e forte depressione che spesso

esitano nella morte dei soggetti colpiti ancor prima dell’evidenziazione di ogni

altro tipico segno clinico. Un quadro più comune tuttavia, si appalesa con una

rapida diffusione della malattia con improvvisa comparsa di depressione,

secrezioni nasali e oculari, respirazione anomala, tosse, diarrea e morte (fig.4).

Figura 4: gregge affetto da PPR (P.L. Roeder).

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Sebbene sia le capre che le pecore siano suscettibili all’infezione e possano

manifestare segni clinici di malattia, a volte tale specie non vengono colpite

simultaneamente. Nel continente africano ad esempio sono più comunemente

colpiti i caprini, mentre in Asia meridionale ed occidentale principalmente gli

ovini (AVIS).

Le secrezioni oculari e nasali tipiche della PPR, come pure le feci, contengono

grandi quantità di virus. Piccolissime particelle aerosoliche, che si liberano in

seguito a tosse e starnuti, favoriscono la diffusione del virus tra gli animali e lo

stretto contatto quindi rappresenta il più importante fattore di rischio ai fini della

trasmissione. Secrezioni ed escrezioni infette possono anche contaminare acque di

bevanda, alimenti o le lettiere, trasformandoli in ulteriori fonti di infezione anche

se quest’ultimi sono relativamente importanti in quanto il virus della PPR non è in

grado di sopravvivere a lungo al di fuori dell’ospite (Recognizing Peste des Petits

Ruminants, a field manual FAO).

La localizzazione primaria del virus è rappresentata dalla mucosa delle prime vie

respiratorie a cui segue replicazione nelle tonsille palatine e nei linfonodi faringei

e mandibolari. Il successivo adsorbimento alla superficie dei mononucleati è

responsabile della viremia che precede di 1-2 giorni la comparsa dei sintomi. Le

localizzazioni secondarie sono rappresentate dagli organi linfoidi, nonchè dalle

mucose degli apparati digerente e respiratorio. Nella fase prodromica, la

replicazione virale è molto efficiente ma si arresta successivamente alla comparsa

di febbre e di anticorpi specifici nel torrente circolatorio. La viremia persiste a

18

lungo in presenza di stipiti virali ad elevata virulenza e/o di soggetti ad elevata

recettività, ma di norma alla guarigione non segue lo stato di portatore anche se,

sia pure occasionalmente, il virus è stato isolato a distanza di settimane o mesi

dalla regressione dei sintomi.

Casi clinici di PPR possono essere associati a movimentazione degli animali,

all’abitudine di costituire gruppi di animali di specie ed età diverse,

all’introduzione di nuovi soggetti, al commercio animale ed, in particolare, nei

mercati dove greggi provenienti da differenti regioni vengono poste a stretto

contatto o, infine, con greggi nomadi attraverso la condivisione di pascoli e punti

di abbeverata. Anche i cambiamenti climatici possono svolgere un ruolo

importante, episodi di malattia infatti si registrano più frequentemente all’inizio

della stagione delle piogge (caldo e umido), o l’inizio della stagione secca. Nelle

aree endemiche la maggior parte degli animali malati o morti risultano quelli di

età compresa tra i quattro mesi e i due anni (AVIS).

La trasmissione avviene quindi per contatto diretto per via inalatoria, mentre il

contatto indiretto, pur non potendo essere escluso, assume rilevanza modesta. La

comparsa di PPR in territori riconosciuti indenni è costantemente riferibile

all’importazione di animali infetti che presentano una forma subclinica o

asintomatica.

Nelle aree indenni, quindi, in presenza di animali ad alta recettività, la PPR

evolve in forma grave e letale anche dopo contatto con stipiti a bassa virulenza al

contrario di quanto si verifica invece nelle aree endemiche. La morbilità può

raggiungere anche il 100% in una popolazione recettiva, mentre la mortalità varia

19

dal 50 all’80%. Queste percentuali sono in genere più basse nelle zone endemiche

dove gli animali entrano frequentemente in contatto con il virus.

2.3 SEGNI CLINICI E LESIONI ANATOMOPATOLOGICHE

I segni clinici, in seguito ad infezione naturale, compaiono in media dopo due/sei

giorni dall’avvenuto contatto, con l’insorgenza improvvisa di febbre alta, 40-

41°C, anoressia e ottundimento del sensorio. Inizialmente si può osservare

un’essudazione oculo-nasale sierosa che si trasforma poi in muco-purulenta in

seguito ad infezioni batteriche secondarie che si sviluppano soprattutto a carico

dell’apparato respiratorio (Pasteurella sp.) (fig. 5 e 6). A breve distanza di tempo

compaiono erosioni ed aree necrotiche sulle mucose del cavo orale associate a

diarrea persistente.

Figura 5: secrezione oculare sierosa (FAO). Figura 6: secrezione oculo-nasale muco- Purulenta (FAO).

Uno o due giorni dopo l’insorgenza della febbre le membrane delle mucose

buccali e oculari diventano molto congeste. La necrosi epiteliale porta a delle

piccole aree tondeggianti di colore grigio sulle gengive, sul palato, sulle labbra,

all’interno delle guance e sulla superficie superiore delle lingua che tendono a

crescere di numero e di dimensioni fino a confluire (fig.7). La cavità buccale

20

assume un aspetto drasticamente modificato, assume un colorito pallido ed è

ricoperta di cellule morte che in alcuni casi possono formare una vera e propria

pellicola di materiale spesso ed appiccicoso al di sotto del quale si possono

trovare ulteriori erosioni superficiali (fig.8). In alcuni casi le lesioni possono non

essere facilmente notate e richiedono un attendo esame visivo. Con il semplice

sfregamento della gengiva e del palato è possibile asportare materiale

maleodorante contenente brandelli di tessuto epiteliale. Stesse modificazioni si

posso riscontrare anche nelle mucose del naso, della vulva e della vagina dove le

labbra tendono a gonfiarsi e a ricoprirsi di croste.

Figura 7: tipica lesione buccale in corso Figura 8: tipico aspetto della mucosa di PPR (CESME). Buccale in corso di PPR (FAO).

Con il progredire della malattia viene prodotto un caratteristico essudato

maleodorante dalla bocca e, i soggetti colpiti, a causa del dolore non riescono ad

aprire la bocca e quindi a nutrirsi.

La diarrea compare generalmente dopo due o tre giorni dall’insorgenza della

febbre, anche se, in alcuni casi può non essere evidente. Le feci sono inizialmente

morbide e poi acquose, maleodoranti e possono contenere tracce di sangue e pezzi

di tessuto necrotico. Quando la diarrea non è evidente, l’inserimento di un

21

tampone di cotone idrofilo nel retto può rilevare la presenza di feci molli spesso

macchiate di sangue.

Gli animali colpiti presentano una respirazione anomala, a volte talmente veloce

da presentare discordanza toraco-addominale ad ogni atto respiratorio. Nei casi

più gravi si può avere difficoltà nella respirazione con intensi rumori respiratori,

che l’animale esprime estendendo testa e collo, dilatando le narici, protendendo la

lingua e con una tosse non secca ma dolorosa, tipici segni di una polmonite.

Questi soggetti possono andare incontro a forte disidratazione visibile dagli occhi

notevolmente incavati. La morte può subentrare dai sette ai dieci giorni dalla

comparsa dei primi segni clinici di malattia. Alcuni animali, a seguito di una

lunga convalescenza, possono invece recuperare un buono stato di salute.

Superata la fase acuta della malattia frequentemente si possono riscontrare piccole

lesioni nodulari a livello cutaneo, sulla parte esterna delle labbra ed intorno al

muso. L’eziologia di queste lesioni non è ben nota ma viene ipotizzata

un’infezione da Dermatophilus sp. o la riattivazione del virus dell’ectima

contagioso (AVIS).

La carcassa di un animale colpito generalmente risulta essere emaciata, con i

quarti posteriori sporchi e ricoperti di feci morbide o acquose e con i bulbi oculari

estremamente incavati in seguito alla imponente disidratazione. Gli occhi e il naso

risultano secchi o coperti da essudazioni.

A livello della bocca si riscontrano erosioni biancastre sulle gengive, sul palato

molle e su quello duro, sulla lingua, nelle guance fino a tutto l’esofago. Le labbra

22

sono gonfie e possono presentare anch’esse erosioni ed eventualmente croste e

noduli.

Il rivestimento della cavità nasale è congesto con essudazione di colore chiara o

gialla cremosa e presenza di erosioni.

I polmoni presentano aree di colore rosso scuro o porpora, duri al tatto,

specialmente nei lobi anteriore e cardiaco, come riscontro di polmonite lobare

acuta è indicativa di complicanze secondarie (fig. 9 e 10).

Figura 9: riscontro di polmonite lobare acuta Figura 10: tipiche lesioni polmonari in corso in corso di PPR (FAO). di PPR (FAO).

I linfonodi, a livello polmonare ed intestinale, sono morbidi ed aumentati di

volume. L’abomaso è congesto e talvolta emorragico. Anche il piccolo intestino

appare congesto, emorragico con presenza di erosioni e le placche del Peyer

presentano deplezione linfocitaria indicativa del coinvolgimento delle strutture

linfoidi. Il grosso intestino (cieco, colon e retto) presenta piccole emorragie

rossastre lungo le pieghe della mucosa che tendono a confluire con il tempo

diventando più scure fino a risultare verdi-nerastre nelle carcasse più vecchie (fig

11).

23

Figura 11: tipiche lesioni “a zebra” del colon (FAO).

2.4 DIAGNOSI

L’elevata diffusibilità della PPR ed il relativo comportamento su base anatomo-

clinico, che si possono riscontrare nelle aree endemiche, danno fondamento al

sospetto diagnostico anche se i caratteri della malattia possono variare ampiamente

in relazione alla recettività degli animali e alla virulenza degli stipiti virali presenti

nei singoli focolai. Supporto significativo nell’indagine anamnestica è sicuramente

quello riguardante la movimentazione degli animali con attenzione

all’introduzione di nuovi soggetti provenienti dalle zone infette e/o aree

endemiche.

La comparsa improvvisa di secrezioni oculo-nasali, diarrea e morte associata a

problemi respiratori, soprattutto in soggetti giovani, deve suscitare il sospetto di

malattia così come i rilievi dell’indagine post-mortem nelle carcasse colpite.

La sola diagnosi “provvisoria” non è però sufficiente perché molte altre gravi

malattie che colpiscono gli ovi-caprini possono presentare segni clinici

riconducibili alla PPR; per questo è sempre necessaria anche una diagnosi di

laboratorio per individuare la presenza del virus o di anticorpi specifici.

24

2.4.1 DIAGNOSI DIFFERENZIALE

La peste dei Piccoli Ruminati può facilmente essere confusa con altri quadri

morbosi, quindi nell’emissione di un sospetto clinico di PPR occorre tenere

presente diverse patologie caratterizzate da una sintomatologia e da lesioni

sovrapponibili. Tra queste possono essere citate:

- la Peste Bovina che può colpire anche gli ovicaprini determinando quadri

clinici molto simili.

- la Febbre Catarrale degli ovini (Bluetongue) che può essere confusa con la

PPR per le lesioni orali e i sintomi respiratori, anche se tuttavia la

bluetongue ha un andamento per lo più stagionale e si differenzia per la

presenza di zoppia legata alle lesioni erosive a livello del cercine

coronario, l’edema della testa, della lingua e del musello. Inoltre, nel caso

della bluetongue, l’incidenza attesa di animali infetti nel gregge è

inferiore.

- l’Ectima contagioso: le lesioni orali sono pustolose e crostose, mancano la

diarrea e la polmonite a differenza della PPR.

- il Vaiolo ovicaprimo: mancano i sintomi gastroenterici tipici della PPR.

- l’Afta epizootica: nella PPR non sono presenti zoppia e le tipiche

vescicole dell’afta.

- la Pasteurellosi: mancano le lesioni necrotiche e la diarrea tipiche della

PPR.

25

- la Pleuropolmonite contagiosa caprina (CCPP): può essere confusa per i

sintomi respiratori, tuttavia mancano la diarrea e le lesioni delle mucose

tipiche della PPR.

- l’Idropericardite dei ruminanti: si differenzia per la presenza di sintomi

neurologici.

- la Coccidiosi, Salmonellosi ed Elmintiasi: possono essere confuse per i

sintomi gastroenterici, tuttavia mancano le lesioni orali e i sintomi

respiratori.

- gli avvelenamenti da sostanze di origine minerale e vegetale: i sintomi

variano in relazione alla sostanza responsabile, pertanto l’anamnesi ed un

attento esame clinico, in aggiunta ad esami tossicologici, possono

permettere la differenziazione dalla PPR.

Per l’isolamento virale se eseguito intra vitam è consigliato l’utilizzo di sangue

defribinato, secreto oculare e raschiato delle lesioni del cavo orale; nell’esame

post mortem, possibilmente su eseguito su carcasse di soggetti sacrificati non oltre

4-5 giorni dall’esordio della sintomatologia, sono da preferire linfonodi, milza e

tonsille. Il virus può essere isolato da colture primarie di rene di diverse specie

animali (pecora, capra, bovino, scimmia), da testicolo di capra ed amnios umano,

fra le linee cellulari continue sono utilizzabili le BHK 21, Hep-2, MDBK e Vero.

L’identificazione virale può essere eseguita mediante sieroneutralizzazione,

immunofluorescenza diretta, precipitazione in gel di agar (AGID) e fissazione del

complemento. L’isolamento e la successiva identificazione però, pur auspicabili

26

per sensibilità ed affidabilità, richiedono tempi di esecuzione relativamente

lunghi. Inoltre l’individuazione degli antigeni virali tramite AGID, seppur utile

come prova iniziale, non permette la differenziazione tra la PPR e la Peste Bovina

(PB).

La diagnosi sierologica su campionamento seriale è ugualmente affidabile ma non

trova applicazione soprattutto nelle aree indenni in quanto richiede 2-3 settimane

di attesa fra il prelievo di fase acuta e quello effettuato in fase di remissione dei

sintomi. Esistono, per tale motivo, anche test immunoenzimatici (ELISA) che

permettono di svelare la presenza di IgM specifiche che compaiono precocemente.

Anche il ricorso all’istologia potrebbe fornire un valido supporto diagnostico

attraverso l’osservazione di necrosi focale delle mucose dell’apparato digerente e

dei linfociti, mentre nel polmone si evidenziano cellule multinucleate contenenti

inclusi eosinofili a sede nucleare e citoplasmatica. Questa tecnica associata con

l’utilizzo di anticorpi monoclonali specifici (immunoistochimica) permette anche

la differenziazione del virus della PPR dalla PB.

Nell’ultimo decennio, grazie all’utilizzo di tecniche di biologia molecolare molti

dei problemi sopracitati sono stati superati attraverso la validazione di RT-PCR

(reverse transcriptase polymerase chain reaction) (Jingyue Bao. Et al., 2008; E. Couacy-

Hymann et al., 2005), attualmente caratterizzati da una notevole rapidità di

esecuzione, sensibilità e precisione e che permettono l’individuazione anche di

minime tracce dell’acido nucleico virale. Questi, coadiuvati da test ELISA,

rappresentano le prove di laboratorio a cui, ad oggi, più frequentemente si fa

ricorso.

27

2.5 PREVENZIONE E CONTROLLO

Un’ importante caratteristica dell’infezione causata dal PPRV è rappresentata,

come per altri Morbillivirus, da un’intensa ma transitoria immunosoppressione

che il virus provoca nell’ospite, con il conseguente aumento di suscettibilità nei

confronti di infezioni da germi di irruzione secondaria e quindi aumento della

mortalità. Questo effetto immunosoppressivo non è solamente la conseguenza

diretta della moltiplicazione del virus nelle cellule linfoidi, ma anche delle diverse

strategie che i Morbillivirus hanno elaborato per eludere il sistema immunitario

degli ospiti (Rajak et al., 2005; Schneider-Schaulies et al., 2001). Tuttavia, l’effetto è di

tipo transitorio ed il recupero dalla malattia è di solito seguito da una risposta

immunitaria, da parte dell’ospite, specifica e a lungo termine (Servet-Delprat et el.,

2003; Cosby et al., 2005).

Subito dopo il primo isolamento del virus in colture tissutali, negli anni ’60,

furono eseguiti diversi tentativi per sviluppare dei vaccini attenuati, ma senza

successo (Gilbert Y. e Monnier J., 1962; Benazet B., 1973). A quei tempi era disponibile

un vaccino vivo attenuato, molto valido contro la Peste Bovina (Plowright W., Ferris

RD., 1962) e vista la stretta correlazione antigenica tra i due virus fu utilizzato

questo vaccino per immunizzare le capre nei confronti della PPR . Le valutazioni

della risposta immunitaria in questi animali dimostrarono la presenza di anticorpi

neutralizzanti contro il PBV, ma non contro il PPRV, se non in alcuni casi (Taylor

WP., 1979). Tuttavia, in tutti gli animali, in seguito a challenge, fu evidenziato un

certo grado di resistenza all’azione patogena del virus, accompagnata da un

innalzamento nell’attività degli anticorpi neutralizzanti contro il PPRV.

28

Nonostante non proteggesse nei confronti dell’infezione questo vaccino è stato per

anni utilizzato con successo, in quanto conferiva comunque un’immunità di lunga

durata (Rossiter PB., Taylor WP., 1994; Bourdin P., Rioche M., Laurent A., 1970; Taylor WP. Et

al., 1990).

Un altro vaccino molto utilizzato in passato è stato il TCRV (tissue-culture

rinderpest), estratto da cellule tissutali di animali infetti da Peste Bovina. Secondo

Gibbs et al. (1977) il TCRV conferiva un’immunità completa per le capre senza

trasferire la malattia ad altri animali e secondo Adu e Nawathe (1981) anche gli

animali gravidi erano ben tolleranti a questo vaccino. Al contrario, Abegunde

(1983) specificò che se gli animali risultavano già infetti prima della vaccinazione,

magari in forma subclinica, a seguito di questa potevano mostrare segni di

malattia ed inoltre in quelli gravidi si poteva registrare aborto.

Nel 1989 si riuscì con successo ad attenuare il PPRV attraverso dei passaggi

seriali su cellule Vero. I soggetti vaccinati con tale vaccino attenuato non

trasmettevano il virus agli altri animali con cui erano a stretto contatto e gli

anticorpi prodotti persistevano per almeno tre anni, ossia l’effettiva vita

economica degli animali. Il vaccino omologo attenuato è attualmente l’unico

permesso nelle pecore e nelle capre per garantire un’efficace immunizzazione nei

confronti dell’infezione da PPRV (Diallo A. et al., 2007) anche se un inconveniente

nell’uso è rappresentato dal fatto che, essendo allestito con un virus appartenente

alla famiglia delle Paramyxoviridae, è molto sensibile al calore e quindi non

adatto all’utilizzo nelle aree endemiche caratterizzate da un clima estremamente

29

caldo dove talvolta mancano le strutture per garantire la conservazione del

vaccino stesso.

Questo problema è stato risolto da Worwall et al. attraverso l’allestimento di un

vaccino liofilizzato termoresistente congelato con un crioprotettore contenente

trealosio (Worwall et al., 2001).

L’utilizzo di questi vaccini però non permette la differenziazione tra la risposta

immunitaria vaccinale e l’infezione naturale, rendendo difficile il controllo della

malattia nelle aree endemiche. Per questo motivo sono allo studio dei vaccini

ricombinanti che prevedono l’utilizzo delle due glicoproteine dell’envelope virale

capaci di sviluppare una risposta anticorpale, rappresentate dalla proteina di

fusione (F) e l’emoagglutinina (H). Le proteine F ed H del PPRV sono state

quindi inserite separatamente nel genoma di un Capripox virus (Berhe G. et al., 2003)

ed il conseguente virus ricombinato è stato testato nelle capre dimostrandosi

efficiente nel proteggere gli animali nei confronti della PPR. Entrambi i vaccini

hanno dimostrato la loro utilità anche perché possiedono caratteristiche DIVA,

ossia danno la possibilità di distinguere, in sede di diagnosi laboratoristica, gli

animali vaccinati da quelli che sono stati esposti naturalmente al virus (Diallo A. et

al., 2002).

Per l’Italia e i Paesi Europei la PPR è considerata una malattia esotica, quindi si

applicano i dispositivi sanitari previsti nei piani di emergenza per le malattie della

ex lista “A” dell’ OIE.

E’ importante sapere che per i Paesi indenni è previsto il blocco dell’importazione

di animali vivi e prodotti di origine animale provenienti da zone infette ed, in caso

30

di comparsa di un focolaio, l’obbligo di denuncia alle autorità sanitari competenti

con notifica all’OIE. E’ inoltre obbligatorio lo stamping-out (abbattimento coatto

degli animali infetti e sospetti di infezione o contaminazione) con distruzione

delle carcasse mediante incenerimento o sotterramento, creazione di una zona di

protezione e di sorveglianza, ed infine può essere prevista una vaccinazione di

massa nelle zone adiacenti al focolaio.

Per i Paesi endemici invece il protocollo sanitario in caso di comparsa di nuovi

focolai di malattia prevede l’immediata notifica all’OIE, lo stretto controllo delle

movimentazioni dei capi animali, una rigorosa sorveglianza epidemiologica e la

vaccinazione (CESME).

3. PARTE SPERIMENTALE

3.1 AREA DI STUDIO

Lo studio oggetto di questa tesi ha avuto come scopo l’indagine epidemiologica

della PPR nella Repubblica Democratica Araba Saharawi (RASD).

Tale ricerca è stata parte integrante del progetto “Soutien à l’élevage de bétail

dans les Camps de Réfugiés Sahraoui” (ONG-PVD/2006/131-812), finanziato

dalla Commissione Europea e coordinato da Africa ’70, una Organizzazione non

Governativa Italiana (ONG).

Le caratteristiche, l’estensione e la gravità di una malattia quale la PPR,

dipendono ovviamente dalla sua epidemiologia, ma anche dall’ambiente e dalla

popolazione in cui si sviluppa. Per questo è necessario conoscere l’area

31

considerata dalla studio, la sua storia, le sue caratteristiche biologiche e

climatiche, la popolazione umana residente ed il bestiame allevato.

3.1.1 STORIA E SITUAZIONE POLITICA

Il Sahara Occidentale è una regione del Nord Africa confinante a nord con il

Marocco, a nord-est con l’Algeria, a sud e ad est con la Mauritana e ad ovest con

l’Oceano Atlantico.

Questo territorio è stato senza un’autorità governativa autonoma fin dal 1960

quando fu colonizzato dalla Spagna (prendendo il nome di Rio de Oro o Sahara

Spagnolo). Successivamente al ritiro coloniale spagnolo (1975) il Sahara

Occidentale venne invaso dal Marocco e dalla Maurtania, mentre il Fronte

Polisario (Fronte Popolare per la Liberazione di Saguia-el-Hamra e del Rio de

Oro) rivendicava la sovranità su tutto il territorio.

Il conflitto creatosi ha condotto alla proclamazione, il 27 Febbraio 1976, della

Repubblica Democratica Araba Saharawi (RASD), in seguito al ritiro della

Mauritania pattuito con il Fronte Polisario (Shelley, 2004). Da quell’anno il Marocco

ha costantemente mantenuto l’occupazione del territorio, mentre il Polisario ha

continuato la sua campagna militare contro le armate marocchine con lo scopo di

ottenere la liberazione. Nel 1991 le Nazioni Unite, attraverso la MINURSO

(Missione delle Nazioni Unite per il Referendum del Sahara Occidentale), quale

parte del programma di risoluzione del conflitto iniziato con il cessate il fuoco,

organizzò un referendum di autodeterminazione libero ed equo per mezzo del

32

quale veniva data la possibilità al Popolo Saharawi di scegliere fra l’integrazione

con il Marocco e l’indipendenza.

Attualmente la RASD controlla circa il 20% del territorio del Sahara Occidentale.

Questa regione, definita “Territori Liberati”, comprende la porzione orientale del

Saquia-el-Hamra e del Rio de Oro. Il Marocco invece controlla il resto del

territorio che gestisce come sue “Province Meridionali”, mentre vengono

considerate dalla RASD come “Territori Occupati”. Queste due zone sono tuttora

divise fra loro dal Berm, una struttura difensiva lunga più di 2.700 km che

rappresenta una “zona tampone” fra le due parti. E’ controllata militarmente dalle

forze armate marocchine ed è formata essenzialmente da un muro di sabbia il cui

perimetro è costellato interamente da mine antiuomo (Jesen, 2005). Il muro si

estende dal sud del Marocco fino al nord della Mauritania, attraversando tutto il

Sahara Occidentale, e separa fisicamente la parte orientale del Sahara Occidentale

sotto il controllo del Polisario dalla parte occidentale occupata dal Marocco (San

Martín, 2004; Loewenberg, 2005).

La RASD è attualmente riconosciuta come autorità governativa del Sahara

Occidentale da 43 Stati e anche se non ha alcun rappresentante presso le Nazioni

Unite, la repubblica è un membro a pieno titolo dell’ Unione Africana.

33

3.1.2 IL POPOLO SAHARAWI E LA SUA STORIA

Saharawi, letteralmente “gente del deserto”, è il nome dato a quelle tribù di

pastori nomadi che storicamente abitavano la zona costiera del Nord Africa che

corrisponde all’attuale Sahara Occidentale.

Questo popolo origina dalla fusione tra il gruppo arabo Bani Hasan, proveniente

dallo Yemen e giunto in Africa tra l’ XI e il XIII secolo A.C., e quello berbero

Sahjaha, originario del Sahara Occidentale. Attraverso un lento processo di

integrazione tra i migranti e la popolazione berbera autoctona, avvenuto fino al

XVI secolo, si è costituito il Popolo Saharawi. Questo popolo è costituito

essenzialmente da nomadi, di religione mussulmana sunnita, dediti

all’allevamento di dromedari, capre e pecore, che basano la propria alimentazione

principalmente sulla carne ed il latte di dromedario, datteri, zucchero e qualche

cereale e legume (OXFAM, 1995). La loro struttura sociale è di tipo tribale ed è

organizzata suddividendo gli individui in gruppi gerarchici patrilinei che tuttavia

si sono sempre trovati in competizione, tra violenze e negoziati, per avere accesso

alle limitate risorse locali (Caratini, 2000).

Il processo storico che ha condotto le diverse popolazioni di questa regione a

formare un insieme relativamente unito ed omogeneo, quale il Popolo Saharawi,

comprende tre tappe: la prima è quella che precede la colonizzazione, ovvero il

Sahara non ancora compreso da confini precisi; la seconda è quella della

colonizzazione spagnola, che ha assegnato le frontiere al territorio, ha riunito la

popolazione in un quadro ben definito e ha permesso al popolazione di divenire

34

un popolo unito con una sua propria identità; infine, la terza tappa che corrisponde

al periodo contemporaneo, che è caratterizzata dalla lotta per la liberazione.

Durante il periodo pre-coloniale la regione del Sahara Occidentale era

principalmente popolata da tribù berbere venute dal nord, rappresentate da due

gruppi tradizionalmente rivali: i Sanhaja e gli Zeneti. A partire dal VII secolo e

fino all’inizio del XII, l’infiltrazione di genti arabo-yemenite, i Moquil, favorì il

mescolamento dei gruppi nomadi berberi e anche l’adozione della religione

islamica e della lingua araba. Si formarono così tribù di differente origine e

importanza che vivevano in luoghi distinti, ma che avevano numerosi tratti

comuni dovuti alla loro storia, ai loro contatti, alla natura del territorio di origine e

alle sue condizioni climatiche. Infatti, queste tribù, possedevano uno stile di vita

pressoché identico, gli stessi costumi, le stesse feste, la stessa lingua (l’Hassanya,

un dialetto arabo) e la stessa religione.

Ogni tribù aveva una sua organizzazione e struttura sociale specifica che

comprendeva delle frazioni e delle sub-frazioni ripartite a loro volta in diversi

accampamenti che contavano varie decine di famiglie; l’autorità era esercitata

dagli shekh e dalle assemblee.

Le tribù vivevano relazionandosi con le altre nei periodi di nomadismo ed

esistevano tra loro anche dei rapporti gerarchici, poiché alcune erano sottomesse

ad altre. Carattere comune e predominante, inoltre, era l’attaccamento alla loro

indipendenza e alla loro libertà. A nord mantenevano e difendevano la loro

indipendenza nei confronti del Sultano del Marocco, mentre a sud respingevano

le incursioni degli europei che provenivano dal mare.

35

Il Periodo Coloniale ebbe inizio già verso la fine del ‘400, ma la colonizzazione

spagnola vera e propria iniziò solo nel 1884 con la conferenza di Berlino che

riconobbe la sovranità spagnola sul Rio de Oro. Infatti gli spagnoli cominciarono

ad avere forte interesse nel territorio del Sahara Occidentale dopo la scoperta

dell’America, sollecitati dall’avanzata francese in Algeria, Marocco e Mauritania.

Il dominio spagnolo ha giocato un ruolo fondamentale nella formazione del

Popolo Saharawi apportando delle trasformazioni profonde che hanno lasciato

tracce indelebili fino ai nostri giorni.

La Spagna, innanzitutto, ha delimitato il territorio dandogli, per la prima volta,

delle frontiere ben determinate, fissate da convenzioni internazionali (Parigi nel

1900 e 1904, Madrid nel 1912) e basate sui meridiani e i paralleli.

Questi confini vennero tracciati però senza riflettere sulle realtà sociali e

geografiche e basandosi esclusivamente sui rapporti tra le potenze coloniali

presenti nella regione, cioè la Spagna e la Francia. Il territorio, definito dalla

Spagna all’inizio del secolo, in accordo con la Francia, comprendeva due zone a

statuto differente: da una parte, la regione di Tarfaya, tra il Wadi Draa, il

meridiano 11° e il parallelo 27°40’ (oggi facente parte del Marocco) e con statuto

di protettorato; dall’altra parte, più a sud, la Saguia el Hamra e il Rio de Oro con

statuto di colonia e formanti il Sahara Spagnolo.

Solo a partire dal 1934 gli spagnoli cominciarono a spingersi all’interno del

territorio installando postazioni militari e strutture amministrative. Nel 1934

l’amministrazione spagnola attribuì alla popolazione uno stato civile e un

documento di identità con l’introduzione di un visto obbligatorio per la

36

transumanza in territori francesi. Contemporaneamente inizia la formazione di una

resistenza da parte dei Saharawi contro lo sfruttamento e i soprusi coloniali. Nel

1961 furono creati degli organismi amministrativi locali, ed El-Aaiun divenne la

capitale del territorio.

Nel 1967 si istituì un’Assemblea Generale eletta dai Saharawi allo scopo di

rappresentarli. Tutte queste istituzioni contribuirono a formare un insieme

omogeneo che prese coscienza della sua unità e identità. Nel 1974 un censimento

effettuato stimava il totale della popolazione Saharawi di 73.497 persone, la

maggior parte delle quali vivevano nelle tre città principali: El-Aaiun, Smara e

Villa Cisneros. Le professioni più esercitate erano quelle del pastore e del

manovale.

E’ solo durante il Periodo Contemporaneo, alla fine degli anni ’50, che il

Popolo Saharawi cominciò ad affermare la sua indipendenza. Nel 1957-58 si ebbe

una prima grande sommossa che, a causa della repressione spagnola, spinse parte

della popolazione Saharawi a rifugiarsi nel sud del Marocco ed in Mauritania.

Una decina d’anni più tardi, dopo l’indipendenza dei paesi limitrofi, cominciarono

ad apparire vari movimenti nazionalisti (tra cui il Movimento di Liberazione del

Sahara con a capo Mohamed Bassiri) con l’intento di opporsi alla colonizzazione

spagnola. Ma nel 1970 ci fu una nuova durissima repressione con morti e

centinaia di arresti, tra cui lo stesso Bassiri, determinando un sentimento sempre

più crescente di identità nazionale che portò nel 1973 alla creazione del FRONTE

POLISARIO (Fronte Popolare di Liberazione della Saguia el Hamra e Rio de

Oro).

37

Nel 1956 il Marocco, dopo aver ottenuto l’indipendenza dalla Francia, rivendicò

un territorio che comprendeva il Sahara Occidentale, la Mauritania, parte

dell’Algeria e del Mali. La Mauritania dopo l’indipendenza (1960), pretese

anch’essa il dominio sul Sahara Occidentale. Questa situazione di conflitto

interruppe il processo di decolonizzazione iniziato dall’ONU e culminò con la

decisione della Spagna di cedere il Sahara Occidentale al Marocco e alla

Mauritania (Accordo di Madrid, 14.11.1975). Al momento del ritiro definitivo

della Spagna dai territori, il Fronte Polisario proclamò la Repubblica Democratica

Araba Saharawi (RASD., 27.02.1976), a cui seguì l’invasione del Sahara

Occidentale da parte del Marocco e della Mauritania che provocò un forte esodo

di rifugiati nei paesi vicini, soprattutto in Algeria (Hammada de Tindouf), e

l’intensificarsi dei movimenti armati del Fronte Polisario, tanto che la Mauritania

si ritirò definitivamente dai territori nel 1979.

Nel 1980 la RASD venne ammessa come stato membro dell’OUA

(Organizzazione per l’Africa Unita) e ottenne così il riconoscimento di Stato

Rifugiato da più di ottanta paesi. Nello stesso anno il Polisario recuperò una parte

di territorio dai marocchini costringendo Hassan II (regnante dal 1961 fino al

1999) a iniziare la costruzione dei “muri di sabbia” lungo gran parte del territorio.

Nell’agosto 1988 il Segretario Generale dell’ONU ottenne dal Marocco e dal

Fronte Polisario un accordo per un piano di pace. Il piano prevedeva il cessate il

fuoco, il dispiegamento di forze dell’ONU e un Referendum di

autodeterminazione, per sancire l’indipendenza o l’integrazione al Marocco.

38

Il 29 aprile 1991 il Consiglio di Sicurezza dell’ONU approvò la risoluzione

690/91 che stabiliva il piano di pace, mettendo in moto il meccanismo del

referendum e l’istituzione della missione di pace della MINURSO (Missione delle

Nazioni Unite per il Referendum nel Sahara Occidentale).

Il Referendum, inizialmente fissato per il settembre del 1992, viene

continuamente rimandato a causa dei continui ostracismi marocchini che ne

impediscono tuttora l’attuazione.

Il Marocco è sostenuto dalla Francia e dagli Stati Uniti, da cui viene considerato

un alleato storico e leale nella lotta al terrorismo e con cui ha firmato accordi di

sfruttamento delle risorse petrolifere. Il Polisario invece è appoggiato

dall’Algeria, la quale ha dichiarato di non accettare che la sovranità del Marocco

si estenda a tutto il Sahara Occidentale, e dalla Spagna che ha ribadito il sostegno

ad una soluzione del conflitto che favorisca la libera scelta della popolazione

Saharawi.

3.1.3 I CAMPI PROFUGHI SAHARAWI OGGI

Gli accampamenti dei rifugiati sono situati nella parte occidentale del deserto

algerino (Hammada de Tindouf), vicino al confine con il Sahara Occidentale, in

un’area concessa dal governo algerino che si estende per circa 10.000 Kmq2. E’

qui che a partire dal 1976, dopo un vero e proprio esodo attraverso il deserto, si

rifugiò parte della popolazione Saharawi a causa dell’invasione marocchina. Le

popolazioni arrivate fin qui si riunirono inizialmente attorno alle prime fonti

39

d’acqua del deserto algerino (a Rabouni) e successivamente si divisero in quattro

grandi tendopoli per evitare il rischio di epidemie.

Oggi la divisione amministrativa della RASD è composta dai Campi Profughi,

localizzati in territorio algerino, e dai Territori Liberati, la parte orientale del

Sahara occidentale, divisa in sei regioni militari.

Figura 12: tipica wilaia dei Campi Profughi (Sabatini L., 2008).

I Campi Profughi si sviluppano intorno a Rabouni, centro amministrativo e

governativo, sede dei ministeri e dell’ospedale nazionale ed anche centro di

accoglienza e di residenza delle associazioni umanitarie operanti nel territorio.

I Campi sono organizzati in 4 grandi tendopoli chiamate wilaia (“provincie”) (fig.

12) a cui è stato dato il nome delle città tuttora occupate dai marocchini: El-Aaiun,

ex capitale del Sahara Occidentale, Awserd, Smara e Dakhla, un tempo città

costiera. Negli ultimi anni si è formata un quinto centro abitato chiamato 27

Febrero che si può considerare ormai come un quinta wilaia, di dimensioni più

piccole, situata a circa 10 km da Rabouni dove è presente una scuola professionale

per le donne. Ogni wilaia è suddivisa fisicamente ed amministrativamente in 6-7

daira (“comuni”). Awserd e Smara comprendono oggi sei daira. Dakhla ed El-

40

Aaiun ne possiedono sette. Il 27 Febrero è costituito da un'unica daira. Ogni daira

è a sua volta suddivisa in baladiat (“distretti”).

Le tendopoli distano da Rabouni circa 35-50 Km (fa eccezione Dakhla che si trova

a 160 Km). Da Rabouni la strada asfaltata raggiunge solo Smara e il 27 Febrero,

mentre per raggiungere le altre wilaia bisogna seguire piste nel deserto

estremamente dissestate.

Le sei regioni militari presenti nei Territori Liberati sono numerate da 1 a 6 e

chiamate con i nomi delle principale città presenti: Bir Lehlou, Tifariti, Mehaires,

Mijek, Agwanit, e Dougaj. Le singole regioni sono amministrate dai rispettivi

comandanti militari del Fronte

Polisario (fig. 13).

Oggi l’intera popolazione

Saharawi è suddivisa tra i Campi

Profughi in Algeria (circa

165.000 abitanti), la parte

occidentale del Sahara

Occidentale sotto il controllo del

Marocco (circa 65.000 – 90.000

abitanti), la parte orientale del

Sahara Occidentale controllata

dal Polisario (circa 10.000 - 30.000 abitanti) e la Mauritania (circa 25.000

abitanti), mentre una piccola minoranza si divide tra Spagna, le Isole Canarie,

l’Algeria e il sud del Marocco (Arkell, 1991; UNHCR, 2002, 2005).

Figura 13: mappa del Western Sahara (UN, 2004).

41

Nei Campi la gente vive in tende di tela e case di fango e presentano numerose

difficoltà nell’approvvigionamento di cibo e acqua. L’unione Europea insieme a

donatori bilaterali, agenzie delle Nazioni Unite e gruppi di solidarietà europei,

forniscono loro cibo, alloggi e altre necessità (Loewenberg, 2005). Il contesto in cui si

trovano attualmente i Saharawi, costretti ad abbandonare le loro tradizioni e a

dipendere quasi esclusivamente dagli aiuti umanitari, li ha portati a lottare

attraverso la resistenza militare, sociale e culturale, per la loro identità che si sta

perdendo (Seddon, 2000; Shelley, 2004; Volpato et al., 2007).

3.2 POPOLAZIONE ED ECONOMIA

Attualmente la maggior parte della popolazione Saharawi vive tra i Campi

Profughi (165.000 abitanti) e i Territori Liberati (10.000-30.000 abitanti).

La lingua ufficiale è l’Arabo ma la lingua più parlata è l’Hassanya, un tipo di

dialetto diffuso anche in Mauritania. Come conseguenza del periodo coloniale, la

lingua spagnola è parlata dalla maggioranza della popolazione La religione

ufficiale è l’Islam, di dottrina sunnita.

I campi sono per la maggior parte abitati da donne, anziani e bambini, visto che la

maggioranza degli uomini sono impegnati al fronte o emigrati all’estero per

lavorare. Proprio per questo motivo la donna saharawi, a differenza del resto del

mondo arabo, ha assunto un ruolo importante all’interno dell’organizzazione

sociale.

42

Le tende degli accampamenti non sono le tradizionali jaimas di lana di

dromedario, ma tende militari in tela. Ognuna ospita un nucleo familiare e vicino

alla tenda ogni famiglia ha costruito inoltre delle strutture in mattoni di fango,

adibite a cucina e abitazione per i mesi più freddi.

L’illuminazione è fornita da lampade al neon, alimentate da batterie collegate a

piccoli pannelli solari, o da lampade a gas. L’acqua manca nelle wilaia di Awserd

e Smara e del 27 Febrero: per questo viene prelevata giornalmente dai pozzi di

Rabouni e trasportata con autobotti per riempire le cisterne presenti nei baladiat.

Nelle altre due wilaia di El-Aaiun e Dakhla l’acqua è reperibile in pozzi poco

profondi disseminati nelle varie daira.

La maggior parte dei fabbisogni della popolazione sono soddisfatti dagli aiuti

internazionali che sono gestiti e finanziati dall’UNHCR (Alto Commissariato

delle Nazioni Unite per i Rifugiati), dal PAM (Programma Alimentare Mondiale)

e da ECHO (Organismo per gli Aiuti Umanitari della Commissione Europea).

Solamente una minima parte dei fabbisogni alimentari è assicurata

dall’allevamento familiare (soprattutto ovi-caprini e dromedari) e dall’orticoltura.

Infatti, nonostante la scarsa fertilità del terreno e l’elevata salinità dell’acqua, si

coltivano cipolle, patate, legumi e qualche albero da frutto in orti comuni costruiti

all’interno delle wilaia.

Per anni il senso di provvisorietà ha prevalso tra la popolazione Saharawi, in

quanto il loro obbiettivo finale era quello di poter tornare in patria. Questo ha

influito negativamente sullo sviluppo della zootecnia, dell’agricoltura e

dell’economia in generale.

43

Oggi, dopo il fallimento da parte dell’ONU nell’istituzione del Referendum per il

Sahara Occidentale, le cose stanno cambiando: le abitazioni in mattoni di cemento

stanno lentamente sostituendo le tende ed i mattoni di fango e all’interno dei

centri abitati nascono un po’ ovunque piccole attività e negozi.

Nonostante una solida struttura sociale i Saharawi si trovano costantemente a

dover far fronte a grandi problemi, in particolar modo quelli sanitari. Le cattive

condizioni di salute interessano sia la popolazione che il sistema di allevamento

del bestiame e sono estremamente condizionate dall’insufficiente conoscenza in

materia e dalla mancanza di un sistema di prevenzione e controllo delle principali

malattie. Infatti i Saharawi hanno sempre basato la medicina su rimedi naturali

tradizionali sia per la salute umana che animale, spesso anche efficaci, ma non

sicuramente in grado di risolvere le carenze e combattere efficacemente le

malattie più diffuse (Volpato G., et al., 2007). Anche se l’instaurarsi di un sistema

sanitario basato su un modello di tipo occidentale ha portato, negli ultimi anni, al

miglioramento del sistema sanitario, resta il fatto che le condizioni di salute

estremamente precarie risultano essere un problema ancora attuale. Proprio per

questo motivo la popolazione è ancora fortemente legata alle organizzazioni

internazionali e al sostegno delle Organizzazioni Non Governative (ONG) che

agiscono sul territorio attraverso programmi di emergenza e di sviluppo (Olmi,

1998; Lopriore e Branca, 2001).

L’economia del Popolo Saharawi si basa principalmente sull'allevamento e sul

commercio del bestiame, spesso con i paesi vicini come la Mauritania, il Mali e

l’Algeria (fig. 14 e 15). Tuttavia le condizioni climatiche, la poca acqua e spesso

44

la carenza del foraggio a disposizione rendono molto difficile lo sviluppo di un

sistema forte ed indipendente.

Il commercio si effettua nei mercati presenti in tutte le wilaia, dove gli animali

vengono importati ed esportati (fig. 16 e 17). Spesso i Campi Profughi

rappresentano una vera e propria via di transito del bestiame proveniente da sud

(Mauritania, Mali e Territori Liberati) e diretto a nord (Algeria). Questo aspetto si

rivela di particolare importanza dal punto di vista epidemiologico.

Figura 14: animali entranti dalla Mauritania Figura 15 : mercato del bestiame di Smara (Rossi D., 2008). (Rossi D., 2008).

Figura 16: trasporto degli ovi-caprini Figura 17: trasporto dei dromedari

(Rossi D., 2008). (Rossi D., 2008).

45

Da sempre la principale fonte di sussistenza dei nomadi saharawi è rappresentata

dalla pastorizia. Dopo la guerra la maggior parte della popolazione ha perso le

proprie mandrie, dovendo così abbandonare la pastorizia. Dopo un primo periodo

di emergenza i rifugiati saharawi hanno ripreso le attività pastorali, nonostante i

problemi dovuti alla condizione sedentaria e l’assenza di pascoli nei Campi

Profughi. Da questa situazione ha preso vita un regime di semi-nomadismo per cui

le popolazioni si spostano verso i Territori Liberati durante la stagione delle

piogge, alla ricerca di pascoli per il bestiame, permettendo così la conservazione

delle tradizioni del Popolo Saharawi (Broglia A. e Volpato G., 2008).

3.2.1 TECNICHE DI ALLEVAMENTO

Nella RASD esistono due tipi di allevamento: l’allevamento di stato e quello

privato.

L'allevamento di stato comprende alcune grosse mandrie di dromedari (in totale

circa 11.000 capi dal censimento 2007 della Direcciòn de Veterinaria Saharawi)

allevate nei Territori Liberati ed oltre il confine con la Mauritania. Ogni mandria è

formata da un numero che varia tra gli 80 e i 100 capi: un maschio intero, il

gruppo delle femmine ed i giovani. Di solito un maschio è sufficiente per 100

femmine; gli altri vengono castrati all’età di 2-3 anni secondo la metodica

tradizionale a scroto aperto che prevede un taglio netto del funicolo spermatico e

l’utilizzo della sabbia per tamponare l’emorragia.

46

Il sistema di allevamento è quello nomade: uomini e mandrie si spostano

periodicamente con l’alternanza delle stagioni, alla ricerca di fonti d’acqua e di

pascolo, assicurando un equilibrio tra le risorse pastorali ed il bestiame.

L’intera struttura del Polisario e dei singoli ministeri possiede queste mandrie che

vengono utilizzate come fonte di autofinanziamento. Vi sono inoltre alcune

piccole mandrie stanziali di dromedari allevate nelle tendopoli che servono a

fornire latte a strutture sanitarie adiacenti (ospedali, scuole, un centro per

tubercolotici, un centro per bambini con ritardo di crescita).

L’allevamento di stato nei Territori Liberati comprende anche ovini e caprini

allevati in gruppi di 50-200 animali con il tradizionale sistema nomade, come le

mandrie di dromedari (in totale circa 30.000 capi dal censimento della Direccòn

de Veterinaria Saharawi).

A Rabouni, inoltre, esiste un allevamento industriale di galline ovaiole gestito dal

Ministero della Cooperazione Saharawi. Questo consta di tre capannoni ognuno

dei quali può contenere fino a 25.000 animali, ma attualmente solo uno è in

funzione.

L’allevamento privato è principalmente costituito da ovini, caprini e dromedari.

Per quanto riguarda l’allevamento ovi-caprino l’ultimo censimento del 2007 ha

identificato più di 60.000 capi di cui il 51% è rappresentato da ovini ed il 49% dai

caprini (Direciòn de Veterinaria, 2007).

Questi animali durante il giorno vengono lasciati liberi in greggi comuni alla

ricerca dello scarso pascolo che questa regione desertica può offrire. Dopo il

47

tramonto vengono rinchiusi in recinti di fortuna che ospitano in media dai 6 ai 10

capi. Questi recinti, chiamati corrales, sono collocati alla periferia delle daira per

motivi igienico-sanitari e sono costruiti con materiali di recupero tra i più

disparati: pezzi di lamiera, reti metalliche e rottami di auto e camion che

conferiscono a queste strutture un’ottima funzionalità. Essi, infatti, servono a dare

un riparo alle greggi nelle ore più calde e a rinchiuderli durante la notte e all’ora

della mungitura (fig. 18).

Figura 18: tipici corrales alla periferia delle wilaia (Sabatini L., 2008).

Il pascolo è incapace di coprire i fabbisogni alimentari delle greggi. Perciò

l’alimentazione degli ovi-caprini è costituita essenzialmente dai residui

dell’alimentazione umana (pane, pasta, riso, farine, legumi, vegetali, fondi ti tè

ecc.). Per integrare la carenza di fibra grezza indispensabile per la ruminazione

(questo tipo di alimentazione rende di fatto questi animali dei monogastrici)

vengono forniti anche pezzi di cartone o qualsiasi altro materiale cartaceo. Spesso

48

gli animali sono costretti a cercare il cibo tra le immondizie, dove ingeriscono

stracci, plastica e altri rifiuti, causando gravissimi problemi digestivi (fig. 19 e

20): questi materiali cadono nel rumine e qui vi si accumulano nel tempo,

formando grosse matasse che esitano in atrofia delle papille ruminali, indigestioni,

stenosi, occlusioni e gravi ruminiti. Tra gli ovi-caprini è segnalata anche un’alta

frequenza di coprofagia che può essere spiegata da un punto di vista dietetico-

carenziale.

Figura 19: pecora in cerca di cibo Figura 20: gregge tra l’immondizia (Rossi D., 2008). (Sabatini L., 2008).

Le razze allevate sono tutte di tipo saheliano. I caprini appartengono a razze

Canaria, Arabe, Busghender e Sika; gli ovini a razze Tadamant e Akarran. Gli

animali che vengono acquistati provengono dal Senegal, dalla Mauritania e

dall’Algeria. Le razze saheliane sono il risultato di un lungo processo di selezione

e di adattamento a queste dure condizioni ambientali che le ha rese

particolarmente resistenti, di moderate necessità nutrizionali e insostituibili

nonostante la loro scarsa produttività.

Spesso gli animali vengono acquistati nei paesi limitrofi quali Mali, Mauritania e

a volte persino in Senegal. Una volta giunti nelle wilaia, gli animali devono

49

ricevere il controllo sanitario da parte dei servizi veterinari saharawi, il quale

consta attualmente di una visita clinica e del Test Rosa Bengala per la diagnosi di

brucellosi la quale attualmente è assente. Spesso però alcuni animali appartenenti

a commercianti non rispettosi delle leggi sfuggono a questo controllo.

Gli ovini vengono allevati principalmente per la produzione di carne, mentre i

caprini per la produzione del latte. Raramente il latte viene consumato fresco: man

mano che viene munto si raccoglie in sacche di pelle e lasciato acidificare

naturalmente all’interno della tenda. Completata l’acidificazione viene separato il

burro mediante sbattimento, mentre il latte viene posto in grandi tazze e

consumato dopo l’aggiunta di acqua fresca e zucchero.

La macellazione degli ovi-caprini non è frequente. Avviene soprattutto in

concomitanza con le feste e ad essere sacrificati sono i giovani maschi in quanto

le femmine sono troppo importanti sia per la riproduzione che per il latte.

Le macellazioni, sia che si tratti di quelle domestiche che di quelle commerciali,

cioè di animali la cui carne è destinata alla vendita, avvengono sempre secondo il

rito islamico. Questo è regolamentato da precise leggi coraniche che devono

essere rigorosamente rispettate affinchè la carne possa essere definita halal,

ovvero “lecita”.

Normalmente il sacrificio avviene lontano dalle aree destinate ai corrales. La

macellazione avviene direttamente sul campo e le parti non utilizzate (pelle,

estremità degli arti, coda, organi genitali, vescica, cistifellea, contenuto gastrico ed

intestinale) vengono normalmente abbandonate nel luogo del sacrificio (fig. 21).

50

Figura 21: area destinata alla macellazione nella periferia di Dakhla (Sabatini L., 2008).

Per quanto riguarda la macellazione commerciale, l’unica carne ad essere venduta

è quella di dromedario. La maggior parte degli animali proviene dai Territori

Liberati, dalla Mauritania, dal Mali e dall’Algeria ed a volte da paesi sahariani e

saheliani molto più lontani.

Prima della macellazione è prevista per ogni animale una visita clinica ante-

mortem da parte di un tecnico veterinario.

Terminata la macellazione la carne viene caricata su delle Land-Rover e portata al

Dipartimento di Veterinaria della wilaia competente, dove viene eseguita

l’ispezione delle carni.

Nei Campi Profughi l'ispezione veterinaria non è obbligatoria per le macellazioni

familiari che vengono condotte secondo la maniera tradizionale, spesso mettendo

la popolazione a serio rischio di zoonosi. I visceri sono spesso abbandonati e

costituiscono cibo per cani randagi ed uccelli con il risultato di una potenziale

rapida diffusione delle malattie infettive (Africa ’70, 2007).

Le macellerie dove viene venduta la carne sono piccole costruzioni in mattoni di

fango essiccato con il tetto in lamiera ed una piccola finestra da dove la carne

51

viene esposta e venduta. Il livello di igiene è insufficiente, anche se, grazie al

lavoro svolto da Africa '70 e dalla Dirección de Veterinaria Saharawi attraverso

corsi di formazione ai macellai, interventi di ristrutturazione delle macellerie e

campagne di sensibilizzazione della popolazione, si sono ottenuti negli ultimi anni

notevoli miglioramenti nel sistema di vendita. Nonostante questo però ancora oggi

i risultati non sono del tutto soddisfacenti.

3.2.2 I SERVIZI VETERINARI SAHARAWI

Nella RASD i servizi veterinari sono organizzati nella Dirección de Veterinaria

(DV) la quale è inquadrata all'interno del Ministero della Sanità. La sede centrale

della DV è ubicata a Rabouni, vicino all'Ospedale Nazionale, mentre in ciascuna

wilaia è presente un Dipartimento di Veterinaria dove lavorano medici, tecnici ed

ausiliari veterinari. Medici e tecnici si sono diplomati in università cubane grazie

ad accordi esistenti tra il governo cubano ed il Fronte Polisario. Gli ausiliari sono

stati formati in loco durante l'ultimo progetto coordinato da Africa '70. Attraverso

le attività di cooperazione di Africa '70 presente in loco fin dal 1999, la DV è stata

formata, organizzata, potenziata ed equipaggiata. Le è stata conferita una struttura

piramidale con la presenza di un Direttore Centrale e di Direttori di Dipartimento

che coordinano le attività dei vari tecnici, ausiliari e donne coadiuvanti veterinarie

presenti in ogni daira e baladiat. Questo personale è stato dislocato sul territorio

in maniera uniforme in modo tale da garantire un’assistenza adeguata a tutti gli

allevatori delle wilaia.

Le attività della Direzione di Veterinaria prevedono:

52

- ispezione ante e post-mortem degli animali le cui carni sono destinate alla

vendita;

- vigilanza periodica delle macellerie per valutarne le condizioni igienico-

sanitarie;

- attività di sensibilizzazione e formazione degli addetti al settore;

- attività clinica di appoggio ai problemi sanitari del bestiame allevato;

- educazione sanitaria della popolazione soprattutto per quanto riguarda le

zoonosi ed il rischio sanitario connesso;

- attività di consulenza per gli allevatori al fine di migliorare le tecniche di

allevamento;

- periodici studi epidemiologici sulla situazione sanitaria del bestiame.

3.3 ASPETTI CLIMATICI E TERRITORIALI

Il Sahara Occidentale è un’area di 284.000 Km2 situata tra il 20° e il 30° parallelo

vicina al tropico del Cancro, che può essere divisa in tre ecosistemi distinti: il

primo a nord-est si estende dalla catena montuosa dell’Atlas alle colline dello

Zemmour. Si tratta di un deserto roccioso (Hammada) caratterizzato da altopiani

brulli e pochi punti d’acqua. E’ la zona più simile al territorio dove sorgono i

Campi Profughi. Il secondo è costituito dai fiumi Wadi Draa a nord e il Jat a

ovest. Qui l’acqua si raccoglie nella breve stagione delle piogge, ma, a causa

dell’elevata temperatura, evapora rapidamente. Questa zona è attraversata dal

Saguiat el-Hamra che dà il nome alla regione e che garantisce una sufficiente

53

vegetazione per il pascolo ed un terreno favorevole alla coltivazione del

frumento. L’ultimo ecosistema è quello del Rio de Oro. Questo si trova all’interno

e si estende fino a sud. E’ formato da pianure e dune di sabbia. Qui la terra è

troppo permeabile per trattenere l’acqua e troppo piana per permetterne il suo

scorrimento, per cui l’acqua viene ad accumularsi in falde freatiche presenti nel

sottosuolo formando numerosi pozzi, ma avendo un’elevata salinità non risulta

essere potabile ed è quindi di difficile utilizzo agricolo.

Nel Sahara Occidentale l’ecosistema è molto variabile. L’ambiente cambia da

regione a regione ed è possibile trovare caratteristiche differenti in ogni territorio.

Le wilaia si trovano in uno dei deserti più inospitali della terra, l’Hammada,

anche noto come il “giardino del diavolo”. Si tratta di un altopiano desertico a

circa 500 metri di altitudine, composto interamente da rocce e sabbia (fig. 22).

Figura 22: deserto dell’Hammada o “giardino del diavolo” (SaharaMet.org).

54

Qui la temperatura può oscillare dai -5°C in inverno fino ad oltre i 50°C in estate.

I venti, quasi sempre presenti, determinano molto spesso la produzione di

tempeste di sabbia. Le piogge sono rare e spesso, durante gli episodi piovosi di

forte intensità si vengono a creare delle vere e proprie inondazioni, come

registrato ad El-Aaiun nel 1993 dove circa 4.000 persone rimasero senza riparo e

come si è ripetuto nei campi di Smara ed El-Aaiun nel 2006 dove le aree rimasero

allagate per diversi mesi (fig. 23 e 24).

Figura 23: alluvione a Smara 2006 (Rossi, 2006). Figura 24: alluvione a El-Aiun 2006 (Rossi,2006)

A causa della scarsità di piogge, la vegetazione è quasi inesistente, tranne per

alcuni alberi di acacia (Acacia spp.) ed alcune specie di alofite, come lo

Zygophyllum gaetulum.

L’acqua è reperibile a breve profondità (2-6 metri), ma avendo un’elevata salinità

non è potabile e di difficile uso agricolo.

La regione del Sahara Occidentale comprendente i Territori Liberati è

caratterizzata, invece, da un clima desertico di tipo sub-oceanico dove la

mancanza di piogge è parzialmente compensata dall’elevata percentuale di

55

umidità dell’aria. Tale proprietà determina lo sviluppo di differenti tipologie

vegetative, come piante annuali (es. Diplotaxis pitiridana, Cotulea cinerea,

Asphodelus tenuifolius, Astragalus spp.), alcune specie di alofite della famiglia

delle Chenopodiacee (es. Trangum nudatum, Salsola spp., Cornulacea

moncantha, Nucularia perrinii) ed alberi di acacia (Ozenda, 1991). Inoltre, i

Territori Liberati sono caratterizzati da una forte biodiversità, con un ecosistema

che risulta differenziarsi drasticamente da nord a sud.

La regione di Bir Lehlou (situata a nord-est, la più vicina ai Campi) è quasi

paragonabile a quella delle wilaia, con distese di sabbia battuta e pianure rocciose,

dove è presente una vegetazione più diffusa, tanto che dopo le piogge il paesaggio

assume le caratteristiche di una savana (fig. 25 e 26).

Figura 25: regione di Bir-Lehlou. Figura 26: ecosistema dopo le piogge. (Rossi D., 2008). (Rossi D., 2008).

Le regioni di Tifariti e Mehaires (situate a nord-ovest) si trovano ad altitudini più

elevate e sono caratterizzate da un terreno collinare il cui paesaggio nei pressi

dell’altopiano di Tifariti può diventare anche molto ricco di vegetazione, tipico

esempio di paesaggio saheliano. Qui infatti le regioni sono più umide e anche se

56

le piogge sono comunque variabili, il tasso di precipitazione è al di sopra della

media (fig 27 e 28).

Figura 27: regione di Tifariti Figura 28: ecosistema della regione di Tifariti (Sabatini L., 2008). (Rossi D., 2008).

Questo tipo di ecosistema è presente anche nella parte settentrionale della regione

di Mijek (regione centrale dei territori Liberati), ma gradualmente si differenzia

per la presenza di banchi di sabbia nella zona più meridionale.

La regione di Agwanit (regione centro-orientale) è molto più arida ed è

caratterizzata da pianure di sabbia e di roccia dalle quali si innalzano isolate

formazioni di granito (fig. 29).

Figura 29: tipicho ecosistema della regione di Agwanit (Sabatini L., 2008).

57

Le uniche dune di sabbia presenti nei Territori Liberati si trovano nei pressi di Zug

che fa parte della regione militare di Dougaj (ultima regione all’estremo sud) (fig.

30).

Figura 30: dune di sabbia presenti nella regione di Dougaj (Rossi D., 2008).

3.4 MATERIALI E METODI

Il monitoraggio epidemiologico di una data popolazione animale e la valutazione

dei rischi legati alla diffusione di specifiche malattie infettive vengono

“idealmente” condotti da autorità sanitarie di competenza nazionale e delineati

all’interno di programmi di sorveglianza e controllo. Purtroppo, l’assenza di tali

sistemi di controllo governativi nella RASD, come in altri paesi in via di sviluppo

del continente africano, ha costituito un grosso ostacolo nell’approccio allo studio

e nell’indagine epidemiologica oggetto di questa tesi. Oltre alla mancanza di

informazioni storiche sulla prevalenza e diffusione della PPR nel territorio di

studio, un altro importante ostacolo è stato la presenza di campi minati, che hanno

impedito l’accesso ad alcune zone che, conseguentemente, non sono state inserite

58

nell’indagine. Inoltre il sistema di allevamento nomade ha reso laboriosa la scelta

del metodo di campionamento ed il calcolo statistico del campione oggetto di

studio, che è stato, per tanto, accuratamente elaborato per il caso specifico (Di

Nardo, 2008).

3.4.1 PIANO DI CAMPIONAMENTO

Lo studio del livello di rischio che la Peste dei Piccoli Ruminanti può

rappresentare per l’intera popolazione animale suscettibile presente nella RASD,

ha richiesto l’elaborazione di un protocollo d’indagine epidemiologica specifico al

fine di valutare la presenza, e nel caso, la prevalenza e la distribuzione di tale

malattia nella suddetta popolazione. Tuttavia a causa della tipologia di

allevamento presente in questa area i classici metodi di campionamento per

randomizzazione, necessari per estrarre valide conclusioni circa la popolazione,

non sono risultati essere applicabili ed inoltre l’utilizzazione su tutto il territorio

della RASD sarebbe risultata dispendiosa sia in termini di tempo che di costi.

Anche la mancanza di una completa lista delle unità campionarie presente

nell’area geografica ed il caratteristico allevamento di tipo nomade, che non

permette la precisa localizzazione delle mandrie, avrebbero reso tale approccio

inadatto (Di Nardo, 2008).

Per questi motivi, è stato necessario sviluppare un metodo di campionamento

ragionato ed adatto al contesto, in grado di far fronte alle difficoltà descritte che

permettesse di ottenere risultati validi.

59

Conseguentemente, nella selezione del campione oggetto di studio è stata

utilizzata una metodica di campionamento “a cluster” secondo la tecnica a due

stadi (Thrusfield, 2007), considerata come la più indicata per le indagini

epidemiologiche condotte in paesi in via di sviluppo (Henderson e Sundaresan, 1982;

Bennet et al., 1991; Otte e Gumm, 1997). Tale metodica consiste nel selezionare un certo

numero di gruppi, mutuamente esclusivi, chiamati cluster (nella maggioranza dei

casi tali cluster vengono ad essere definiti su base spaziale), e all’interno di questi

scegliere degli individui per randomizzazione. Di conseguenza i cluster

rappresentano le unità del primo stadio e gli elementi estratti da questi (individui)

quelli del secondo stadio (Thrusfield, 2007). Nello studio, è stato identificato come

cluster ogni accampamento, punto di abbeveraggio o area di pascolo, dove la

probabilità di reperire mandrie risultava essere più elevata. Inoltre, tali cluster

sono stati selezionati anche in base alle differenze nell’ecosistema, nella struttura

della popolazione animale, e nel sistema di allevamento presenti tra le wilaia e i

Territori Liberati (Di Nardo et al., 2009).

Figura 31: Localizzazione dei singoli cluster riferiti alle singole Wilaia e Regioni Militari. (Di Nardo et al., 2009)

60

Successivamente, sono state identificante 11 aree rispondenti ai requisiti sopra

citati: un cluster per ogni wilaia (n=5) e 18 per le 6 Regioni Militarei, dei Territori

Liberati, per un totale di 23 siti di campionamento (Fig. 31).

Poiché nella rappresentazione spaziale, i cluster vengono definiti come singoli

punti (identificati mediante coordinate geografiche e raggiungibili attraverso

l’utilizzo di apparecchiature GPS), è stato necessario definire un raggio fisso per

ciascun zona, in modo tale da determinare l’area geografica in cui gli animali

venivano ad essere campionati ed aumentarne, di conseguenza, la probabilità di

reperimento del campione. Nello specifico, poiché il raggio viene calcolato in

dipendenza dalla densità della popolazione animale, sono stati prestabiliti un

raggio di 5km per ogni cluster delle wilaia ed uno di 20km per quelli delle

Regioni Militari (Di Nardo et al., 2009).

3.4.2 ELABORAZIONE STATISTICA DEL CAMPIONE DI STUDIO

In assenza di dati epidemiologici riferiti alla PPR nel territorio del Sahara

Occidentale precedenti allo studio condotto, per il calcolo del campione è stato

utilizzato un approccio di natura conservativa, considerando il paese come

endemico a bassa prevalenza (10-20%) (Di Nardo, comunicazione personale, 2009).

Come discusso in dettaglio, il calcolo è stato effettuato mediante utilizzo della

seguente formula, fissando il livello di confidenza al 95% (Thrusfield, 2007):

61

dove: g = numero di cluster da campionare

Pexp = prevalenza attesa

d = precisione assoluta desiderata

Vc = varianza tra cluster

Nel caso specifico, la Pexp è stata fissata al 18%, la d pari a 0.05 (ossia del 5%) e

la Vc con valore di 0.002635 (stimata da dati OIE riferiti alla Mauritania per

l’anno 2003). La popolazione animale oggetto di studio comprende capre, pecore

e dromedari presenti nelle singole wilaia e nelle singole Regioni Militari dei

Territori Liberati. Nella selezione del campione sono stati presi in considerazione

anche i dromedari, in quanto anche questi animali sembrano essere recettivi al

virus dalla PPR: studi condotti in Etiopia hanno dimostrato infatti come questa

specie animale possa svolgere un ruolo importante nell’epidemiologia di tale

malattia (Roger et al., 2001) e, anche se il decorso appare sempre in forma

subclinica, la presenza di anticorpi attesta un avvenuto contatto con il virus e

quindi un possibile stato di portatore.

1.962gP (1-P ) exp exp_________________

gd2 – 1.962Vc

62

Dromedario Pecora Capra TOT

WILAIA El Aaiun 140 7424 7657 15221Awserd 89 4675 5035 979927 Febrero 12 355 378 745Dakhla 125 3729 3518 7372Smara 92 7628 7537 15257TOT 458 23811 24125 48394

REGIONI MILITARI (Territori Liberati) Dougaj 1715 1395 1014 4124Tifariti 5090 9940 11500 26530Mijek 12000 18000 8000 38000Mehaires 3000 5700 3800 12500Bir Lehlou 1052 845 600 2497Agwanit 2860 2990 2610 8460TOT 25717 38870 27524 92111

Popolazione animale totale 26175

62681

51649 140505 Tabella 1: popolazione animale presente nel territorio della RASD filtrata per specie (NVD-SARD 2007)

La grandezza del campione è stata calcolata per ogni specie animale, tenendo in

considerazione i dati provenienti dal censimento del 2007 (NVD-SADR, 2007) (Tab.

1) ed utilizzando la formula di cui sopra.

In tabella 2 è riportata la grandezza del campione ottenuta (n = 1086.35),

suddivisa per specie animale (pecore, n = 360.99; capre, n = 361.44; dromedari, n

= 363.92) e per singolo cluster di campionamento (n = ~33).

Pecora Capra Dromedario Popolazione totale 62681 51649 26175 Cluster 11 11 11 Grandezza campione

360.99 (32.82/cluster)

361.44 (32.86/cluster)

363.92 (33.08/cluster)

Totale campione 1086.35 Tabella 2: Grandezza del campione di studio calcolata per singola specie animale

63

Successivamente, la validità del calcolo del campione è stata analizzata attraverso

CSurvey 2.0 (UCLA, Los Angeles, CA, USA) (Farid e Frerichs, 2007), valutando i limiti di

confidenza e l’errore standard come parametri testati in funzione del teorema

centrale limite (distribuzione Normale). Tutti i parametri computati dal

programma sono risultati in accordo con il campione ottenuto, determinandone la

correttezza nell’approccio al calcolo (Di Nardo, comunicazione personale, 2009) e ogni

animale è stato campionato in modalità assolutamente casuale, attraverso

generazione di tabelle di randomizzazione in Survey Toolbox 1.0b (ACIAR,

Camberra, AU) (Cameron, 1999). Tale metodo risulta necessario per evitare una

selezione viziata in fase di campionamento che porti ad errori sistematici

(campionario e non-campionario), per cui il campione risulterebbe non

rappresentativo o distorto (non corrispondente alla vera caratteristica di

popolazione) (Di Nardo et al., 2009).

3.4.3 SCREENING ANTICORPALE NELLA RASD

Il campionamento è stato svolto tra Marzo ed Aprile 2008, coprendo l’intero

territorio della RASD, ossia le wilaia ed i Territori Liberati, in base a quanto

dettagliato nel protocollo d’indagine. Tale esercizio ha coinvolto le associazioni

veterinarie della RASD, sotto il coordinamento del Dipartimento Veterinario del

Ministero della Salute Pubblica e con la supervisione di Africa ’70 (ONG italiana

finanziata dalla Commissione Europea).

I campioni ematici sono stati raccolti dalla vena giugulare utilizzando aghi sterili e

provette Venoject® e correttamente conservati ad una temperatura di

64

refrigerazione (~4°C). In seguito è stata effettuata la separazione del siero

mediante utilizzo di una centrifuga portatile da campo e i sieri ottenuti sono stati

prontamente congelati a -21°C nelle basi regionali della MINURSO, garantendo il

mantenimento della catena del freddo. Alla fine del periodo di campionamento, i

sieri sono stati trasferiti in Italia presso l’Istituto Zooprofilattico Sperimentale

(IZS) dell’Abruzzo e del Molise “G. Caporale”, dove sono stati analizzati

mediante ELISA competitiva (test di referenza OIE).

3.4.4 PROTOCOLLO ELISA–COMPETITIVA

Per testare la presenza di anticorpi contro la PPR nei campioni raccolti è stato

utilizzato il test ELISA, sviluppato e validato dal CIRAD (Centre de coopération

Internationale en Recherche Agronomique pour le Développement) e prodotto e

distribuito come kit dalla BDSL-2000 (Biological Diagnostic Supplies Limited,

UK), seguendo il protocollo fornito (Libeau et al, 1995). Nello specifico si tratta di

un’ELISA di tipo competitivo; tale metodologia è basata sull’abilità di inibire il

legame dell’anticorpo monoclonale (mAb) ad un epitopo PPR-specifico in

presenza di siero positivo. Tale inibizione viene ad essere rilevata come una

riduzione nel valore di densità ottica (OD), ottenuta mediante aggiunta del

coniugato e del substrato di attivazione enzimatica.

Il kit fornisce i seguenti reagenti liofilizzati:

- Antigene ricombinante N-PPRV, prodotto in cellule di insetto.

- Anticorpo monoclonale anti-PPRV (mAb anti-PPRV).

65

- Anticorpo anti-IgG di topo coniugato con perossidasi.

- Soluzione di stop [Acido solforico (H2SO4) 1 M].

- Siero di controllo fortemente positivo (C++).

- Siero di controllo positivo (C+).

- Siero di controllo negativo (C−).

Non sono invece compresi:

- Piastre ELISA Immuno MaxiSorp (ditta NUNC)

- Substrato = Tetrametilbenzidina (TMB) (ditta SIGMA)

- Tween-20 (ditta SIGMA)

Il protocollo prevede le seguenti fasi:

1. Fase di coating (o adsorbimento in fase solida): un volume di

50µl/pozzetto di Ag N-PPRV, diluito 1:3000 in PBS, viene utilizzato per

l’adsorbimento passivo dell’Ag alle pareti del pozzetto, mediante

incubazione a 37°C per 1h.

2. Fase di lavaggio: effetuata 3 volte con soluzione di lavaggio (PBS diluito

1:5 in acqua distillata/deionizzata + 0,05% Tween-20).

3. Fase di blocco: il legame Ag-fase solida viene mantenuto saldo attraverso

l’aggiunta di 45µl/pozzetto di soluzione di blocco (PBS diluito 1:5 in

acqua distillta/deionizzata + 0,05% Tween-20 + 0,5% C−).

Allestimento dei pozzetti di controllo (Tab. 3):

- 4 pozzetti (F1, F2, G1 e G2) per il controllo del monoclonale (Cm):

5µl/pozzetto di soluzione di blocco.

66

- 2 pozzetti (H1 e H2) per il controllo del coniugato (Cc): 50µl/pozzetto di

soluzione di blocco.

- 4 pozzetti (A1, A2, B1 e B2) per il controllo fortemente positivo (C++):

5µl/pozzetto di siero di controllo.

- 4 pozzetti (C1, C2, D1 e D2) per il controllo positivo (C+): 5µl/pozzetto di siero

di controllo.

- 2 pozzetti (E1 ed E2) per il controllo negativo (C-): 5 µl.

Successivamente, i sieri da testare vengono aggiunti in duplicato (A-H 3-12) in

ragione di un volume pari a 5µl/pozzetto.

1 2 3 4 5 6 7 8 9 10 11 12

A Cc Cc 1 1 9 9 17 17 25 25 33 33 B C++ C++ 2 2 10 10 18 18 26 26 34 34 C C++ C++ 3 3 11 11 19 19 27 27 35 35 D C+ C+ 4 4 12 12 20 20 28 28 36 36 E C+ C+ 5 5 13 13 21 21 29 29 37 37 F Cm Cm 6 6 14 14 22 22 30 30 38 38 G Cm Cm 7 7 15 15 23 23 31 31 39 39 H C- C- 8 8 16 16 24 24 32 32 40 40

Tabella 3: Layout piastra microtitre nell’ELISA-CIRAD

4. Fase di aggiunta dell’Ab marcato: un volume di 50/µl di mAb anti-PPRV,

diluito 1:50 in soluzione di blocco, viene aggiunto in tutti i pozzetti ad

eccezione di quelli per il controllo del coniugato.

5. Successivamente le piastre vengono lasciate ad incubare a 37°C per 1h.

6. Fase di lavaggio: effettuata 3 volte con soluzione di lavaggio.

7. Fase di aggiunta dell’enzima coniugato: in piastra viene aggiunto un

volume di 50µl/pozzetto di Ab-anti-IgG di topo coniugato con perossidasi

67

(HRPO) diluito 1:1000 in soluzione tampone, lasciando incubare a 37°C

per 1h.

8. Fase di lavaggio: effettuata 3 volte con soluzione di lavaggio.

9. Fase di aggiunta del substrato per l’enzima: un volume di 100µl/pozzetto

di TMB viene addizionato alla piastra, lasciata incubare per 20min al buio

ed a temperatura ambiente.

10. Fase di arresto della reazione enzimatica: al termine dei 20min viene

aggiunto un volume di 100µl/pozzetto di soluzione di stop (50µl di H2SO4

1M).

11. Fase di lettura: la lettura viene effettuta mediante spettrofotometro ad una

lunghezza d’onda di 492 nm.

L’inibizione del legame del mAb all’antigene PPRV, visualizzata come riduzione

nella misura della densità ottica, indica la presenza di anticorpi specifici nei sieri e

viene espressa come percentuale di inibizione (PI) del controllo del monoclonale

secondo la seguente formula:

PI = 100 − [(net-OD del campione / net-OD del Cm) x 100]

Il protocollo per l’ELISA-CIRAD possiede dati di controllo qualità (QA) al fine

di validare correttamente l’analisi diagnostica (Tab. 4) (Libeau et al., 1995). In tali

range di dati rientrano i limiti nei valori del net-OD e delle PI riferiti ai sieri di

controllo.

68

Internal Quality Control

(IQC) Upper Control Limit (UCL) Lower Control Limit (LCL)

Cm (OD) 1.500 0.500

Cc (PI) +105 +95

Cm (PI) +20 -19

C++ (PI) 90 81

C+ (PI) 80 51

C- (PI) 30 5

Tabella 4: dati di controllo qualità riferiti all’ELISA CIRAD (il dato in rosso è riferito al valoredi cut-off (Libeau et al., 1995)

Quando il valore di controllo del C+ non supera il valore limite inferiore di 50,

vengono considerati come dubbi tutti quei campioni che presentano valori di PI

compresi tra quello del C+ e 50. Il valore di cut-off (o valore soglia

positivo/negativo) viene definito dal 50% d’inibizione del Cm (50PI),

conseguentemente un valore di PI>50 definisce un risultato come positivo, mentre

un valore di PI<50 come negativo. Inoltre, essendo il test eseguito in duplicato per

ogni singolo campione, entrambi i valori di PI, riferiti a ciascun siero, devono

risultare al di sopra o al di sotto della soglia di cut-off, in caso contrario il test non

è da considerarsi attendibile e deve essere quindi ripetuto.

69

4. RISULTATI

Conformemente al protocollo d’indagine, l’area definita per ogni cluster ha

permesso il campionamento all’interno del sistema di allevamento nomade

presente nella RASD per un totale di 23 siti di raccolta suddivisi in base a quanto

precedentemente descritto. (Fig. 32).

14

13

9

1 2

3 4

23

5

6

7 8

10

11 12

15 16

17

18

19 20

21

22

Figura 32 - Localizzazione dei siti di campionamento nell’area di studio (Di Nardo, 2008)

Dei 1086 campioni totali calcolati, ne sono stati effettivamente raccolti solo 976.

Questa riduzione nel numero totale dei campioni è stata essenzialmente dovuta

all’estrema diffidenza dei pastori nomadi, soprattutto proprietari dei dromedari, nel

permettere l’esecuzione dei prelievi, ed alla difficoltà nella metodica di

separazione dei sieri che è stata condotta in condizione molto disagiate.

70

Dai risultati ottenuti attraverso analisi ELISA, è stata elaborata un’indagine

statistico-analitica specifica al fine di definire accuratamente la situazione

epidemiologica riferita alla Peste dei Piccoli Ruminanti nella RASD. L’analisi è

stata rivolta ad evidenziare i risultati di sieroprevalenza, la correlazione esistente

tra sieroprevalenza riscontrata e dati epidemiologici riferiti alla popolazione

animale presente ed, infine, alle caratteristiche spaziali di sieroprevealenza

analizzando la dimensione dei cluster. L’elaborazione dei dati è stata eseguita

attraverso l’utilizzo di EpiInfo 3.5.1 (CDC, Atlanata, GA, USA) (Burton et al., 1990) e R

2.9.0 (www.R-project.org) per l’analisi di sieroprevalenza e di correlazione, mentre

l’elaborazione dell’analisi spaziale è stata eseguita in SaTScan 8.0 (Kulldorff, 2009).

4.1 ANALISI DI SIEROPREVALENZA

I risultati sono stati analizzati come sieroprevalenza generale, sieroprevalenza per

singole regioni e sieroprevalenza per cluster, filtrando, inoltre, ciascun dato per

singole specie animali.

4.1.1 SIEROPREVALENZA GENERALE

Dei 976 campioni testati 264 (29.3%; 95% IC 28.9% ; 29.7%) sono risultati essere

positivi per IgG nei confronti del PPRV (Tab. 5).

71

N/N totale campionato Sieroprevalenza (95% IC)

Positivi 264/976 29.3% (28.9% ; 29.7%)

Negativi 712/976 70.7% (70.3% ; 71.1%)

Tabella 5: Sieroprevalenza generale

Durante la raccolta dei campioni non è stato rilevato alcun segno clinico di

malattia.

Analizzando il dato per specie animale, 141 capre su 461 campionate sono

risultate positive (29.8%; 95% IC 29.2% ; 30.4%) così come 121 pecore su 457

(30.0%; 95% IC 29.4% ; 30.6%) e 2 dromedari su 58 (2.6%; 95% IC 1.7% ;

3.8%)(Tab. 6).

Capra Pecora Dromedario

Npos/Ntot

Sieroprevalenza (95% IC)

Npos/Ntot

Sieroprevalenza (95% IC)

Npos/Ntot

Sieroprevalenza (95% IC)

Positivi 141/ 461

29.8% (29.2% ;30.4%)

121/457

30.0% (29.4%a30.6%) 2/58 2.6%

(1.7% ; 3.8%)

Negativ 320/461

70.2% (69.6% ; 70.8%)

336/457

70.0% (69.4% ; 70.6%) 56/58 97.4%

(96.2% ; 98.3%) Tabella 6: Sieroprevalenza generale filtrata per specie animale.

72

4.1.2 SIEROPREVALENZA PER SINGOLE REGIONI

Le regioni, come stato detto, sono state suddivise in base ad un criterio geografico

e valutando i differenti ecosistemi presenti. Di conseguenza sono state considerate

come unica regione le Wilaia di El Aaiun, Awserd, 27 Febrero e Smara presenti in

territorio algerino, mentre la Wilaia di Dakhla e le sei regioni militari dei Territori

Liberati (Bir Lehlou, Tifariti, Mehaires, Mijek, Agwanit e Dougaj) come singole

regioni.

La sieroprevalenza più elevata è stata riscontrata tra le wilaia con 108 positivi su

354 (30.1%; 95% IC 29.7% ; 30.6%), mentre il dato per le regioni militari risulta

essere inferiore, osservando generalmente un simile livello di prevalenza in Bir

Lehlou (33.5%; 95% IC 30.3% a 36.9%), in Tifariti (45.2%; 95% IC 42.0% a

48.5%) e in Agwanit (31.0%; 95% IC 28.4% ; 33.7%).

73

Npos/Ntot Sieroprevalenza (95% IC)

Sieroprevalenza tra cluster Sieroprevalenza tra specie animale

Wilaia 108/354 30.1% (29.7% ; 30.6%) 19.2% - 43.0% 0.0% - 43.9%

Bir Lehlou 31/89 33.5% (30.3% ; 36.9%) 0.0% - 50.0% 0.0% - 50.0%

Tifariti 40/88 45.2% (42.0% ; 48.5%) 20% - 49.6% 20.0% - 57.7%

Mehaires 15/82 19.9%

(17.4% ; 22.6%) 17.3% - 27.7% 0.0% - 42.9%

Mijek 13/81 12.4% (10.2% ; 15.0%) 3.8% - 14.3% 0.0% -

28.6%

Agwanit 34/94 31.0% (28.4% ; 33.7%) 25.0% - 34.5% 0.0% -

50.0%

Dougaj 0/85 0.0% (0.0% ; 0.7%) 0.0% 0.0%

Dakhla 23/103 19.2% (17.0% - 21.6%) 0.0% - 19.2% 5.3% -

28.6% Tabella 7: Sieroprevalenza riferita alle singole regioni.

Differentemente, è stato riscontrato un più basso livello di sieropositività nelle

regioni di Dakhla (19.2%; 95% IC 17.0% ; 21.6%), di Mehaires (19.9%; 95% IC

17.4% ; 22.6%) ed in quella di Mijek (12.4%; 95% IC 10.2% ; 15.0%). Dougaj

sembra essere l’unica regione in cui la PPR non è presente: su 85 campioni

analizzati nessuno è risultato positivo. Tuttavia, tale dato potrebbe essere riferito

alla popolazione campionata, valutando come l’intervallo di confidenza superiore

consideri un minimo livello di probabilità (0.0%; 95% IC 0.0% ; 0.7%) (Tab. 7).

Analizzando il dato di sieroprevalenza per specie animale, si evidenzia elevata

sieropositività nelle capre presenti nelle wilaia (30.0%; 95% IC 29.4% ; 30.6%),

nelle regioni di Bir Lehlou (41.9%; 95% IC 35.5% ; 48.3%) e di Tifariti (55.1%;

95% IC 50.4% ; 59.8%), mentre nelle pecore viene ad essere riscontrata nelle

wilaia (30.7%; 95% IC 30.1% ; 31.4%) , nelle regioni di Bir Lehlou (32.8%; 95%

IC 28.85 ; 37.0%), Tifariti (36.9%; 95% IC 32.4% ; 41.6%) ed Agwanit (45.5%;

95% IC 41.5% ; 49.6%) (Tab. 8).

74

Capra Pecora Dromedario N+/Ntot Sieroprev.

(95% IC) N+/Ntot Sieroprev.

(95%IC) N+/Ntot Sieroprev.

(95% IC) Wilaia 57/166 30%

(29.4%;30.6%) 51/166 30.7%

(30.1%;31.4%) 0/22 0.0%

(0.0%;1.3%)

Bir Lehlou

18/43 41.9% (35.5%;48.3%)

13/40 32.8% (28.8%;37.0%)

0/6 0.0% (0.0%;7.1%)

Tifariti 23/42 55.1% (50.4%;59.8%)

16/41 36.9% (32.4%;41.6%)

1/5 20.0% (7.7%;38.6%)

Mehaires 8/41 20.1% (16.4%;24.4%)

7/41 19.6% (16.3%;23.4%)

???? ?????

Mijek 12/42 28.6% (23.8%;33.9%)

1/37 1.4% (0.5%;3.3%)

0/2 0.0% (0.0%;5.1%)

Agwanit 11/42 26.2% (21.9%;31.0%)

23/48 45.5% (41.5%;49.6%)

0/4 0.0% (0.0%;1.7%)

Dougaj 0/43 0.0% (0.0%;1.1%)

0/42 0.0% (0.0%;1.3%)

???? ?????

Dakhla 12/42 28.6% (24.2%;33.4%)

10/42 23.8% (19.7%;28.4%)

1/19 5.3% (3.3%;8.1%)

Tabella 8: Sieroprevalenza riferita alle singole regioni e filtrata per specie animale.

4.1.3 SIEROPREVALENZA PER CLUSTER

Come riportato in tabella 9, si evidenzia una sostanziale sieroperevalenza che

viene ad essere osservata nella maggioranza dei cluster, con elevati livelli di

sieropositività riferiti alle singole wilaia e le regioni di Bir Lehlou, Tifariti, ed

Agwanit. Per quanto riguarda le wilaia, si nota un picco in 27 Febrero-1 (34.5%;

95% IC 31.1% ; 38.05), Awserd-3 (40.0%; 95% IC 42.0% ; 44.0%) ed El Aaiun-4

(32.7%; 95% IC 32.0% ; 33.5%), mentre nelle Regioni Militari elevati valori

vengono riferiti ai cluster di Bir Lehlou-5 (33.3%; 95% IC 29.2% ; 37.7%), Bir

Lehlou-8 (50.0%; 95% IC 42.5% ; 57.5%), Tifariti-9 (39.3%; 95% IC 33.8% ;

45.1%), Tifariti-10 (49.6%; 95% IC 45.5% ; 53.7%), e di Agwanit-20 (34.5%;

95% IC 31.2% ; 38.0%). Il dato filtrato per specie animale mette in evidenza una

maggior incidenza di PPR tra le capre, considerando elevati livelli di

sieropositività in 27 Febrero-1 (43.9%; 95% IC 38.9 ; 49.1%), Bir Lehlou-5

(41.9%; 95% IC 35.5% ; 48.3%), Bir Lehlou-8 (50.0%; 95% IC 42.5% ; 57.5%),

75

Tifariti-9 (50.0%; 95% IC 41.7% ; 58.3%), Tifariti-10 (57.7%; 95% IC 51.9% ;

63.3%) e Mehaires-14 (42.9%; 95% IC 30.4% ; 56.5%). Tra le pecore, dati

significativi vengono riportati nei cluster di Awserd-3 (42.9%; 95% IC 41.4% ;

44.3%), Tifariti-10 (41.2%; 95% IC 35.5% ; 47.1%) ed Agwanit-20 (42.9%; 95%

IC 37.8% ; 48.0%). Nessun dato di positività viene riportato per i cluster di

Dougaj anche se, come considerato precedentemente, l’intervallo di confidenza

superiore riporti un livello di probabilità di ~1.3%.

76

Cluster Npos/Ntot Sieroprevalenza

(95% IC) Specie Sieroprevalenza (95% IC)

27 Febrero 1 29/87 34.5% (31.1% ; 38.0%)

Dromedario Pecora Capra

0.0% (0.0% ; 26.5%) 25.6% (21.2% ; 30.5%) 43.9% (38.9% ; 49.1%)

Smara 2 16/92 19.2% (18.5% ; 19.8%) Dromedario Pecora Capra

0.0% (0.0% ; 3.9%) 19.5% (18.6% ; 20.4%) 19.0% (18.2% ; 20.0%)

Awserd 3 36/86 40.0% (42.0% ; 44.0%) Dromedario Pecora Capra

0.0% (0.0% ; 4.1%) 42.9% (41.4% ; 44.3%) 43.9% (42.5% ; 45.3%)

El Aaiun 4 27/89 32.7% (32.0% ; 33.5%) Dromedario Pecora Capra

0.0% (0.0% ; 4.5%) 35.2% (33.9% ; 36.1%) 31.0% (29.9% ; 32.0%)

Bir Lehlou 5 22/59 33.3% (29.2% ; 37.7%) Pecora

Capra 25.0% (19.9% ; 30.7%) 41.9% (35.5% ; 48.3%)

Bir Lehlou 6 0/6 0.0% (0.0% ; 7.1%) Dromedario 0.0% (0.0% ; 7.1%)

Bir Lehlou 7 2/10 20.0% (12.3% ; 29.8) Pecora 20.0% (12.3% ; 29.8%)

Bir Lehlou 8 7/14 50.0% (42.5% ; 57.5%) Pecora 50.0% (42.5% ; 57.5%)

Tifariti 9 10/23 39.3% (33.8% ; 45.1%) Pecora Capra

28.6% (21.6% ; 36.6%) 50.0% (41.7% ; 58.3%)

Tifariti 10 29/60 49.6% (45.5% ; 53.7) Pecora Capra

41.2% (35.5% ; 47.1%) 57.7% (51.9% ; 63.3%)

Mehaires 12 1/16 17.3% (12.6% ; 22.8%) Pecora Capra

33.3% (25% ; 42.5%) 0.0% (0.0% ; 3.3%)

Mehaires 13 4/21 17.9% (13.9% ; 22.6%) Pecora Capra

14.3% (9.3% ; 20.8%) 21.4% (15.2% ; 28.5%)

Mehaires 14 4/15 27.7% (19.8% ; 36.5%) Pecora Capra

12.5% (4.9% ; 24.4%) 42.9% (30.4% ; 56.5%)

Mehaires 15 4/19 22.9% (16.4% ; 30.2%) Pecora Capra

16.7% (8.7% ; 26.8%) 28.6% (19.1% ; 39.9%)

Mehaires 16 2/11 18.2% (11.1% ; 27.0%) Pecora 18.2% (11.1% ; 27.0%)

Mijek 17 1/15 3.8% (1.2% ; 8.2%) Dromedario Pecora

0.0% (0.0% ; 5.1%) 7.7% (2.4% ; 16.0%)

Mijek 18 12/66 14.3% (11.7% ; 17.3%) Pecora Capra

0.0% (0.0% ; 1.5%) 28.6% (23.8% ; 33.9%)

Agwanit 19 17/38 25.0% (21.1% ; 29.4) Dromedario Pecora

0.0% (0.0% ; 1.7%) 50.0% (43.2% ; 56.8%)

Dougaj 21 0/42 0.0% (0.0% ; 1.3%) Pecora 0.0% (0.0% ; 1.3%) Dougaj 22 0/43 0.0% (0.0% ; 1.1%) Capra 0.0% (0.0% ; 1.1%)

Dakhla 23 23/103 19.2% (17.0% ; 21.6%) Dromedario Pecora Capra

5.3% (3.3% ; 8.1%) 23.8% (19.7% ; 28.4%) 28.6% (24.2% ; 33.4%)

Tabella 9: Sieroprevalenza riferita ai singoli cluster e filtrata per specie animale.

77

4.2 ANALISI DI CORRELAZIONE

Nella pratica d’indagine epidemiologica è frequente la necessità di verificare se

esiste una specifica concordanza e/o relazione tra i dati osservati, sia di natura

qualitativa che quantitativa. Tale calcolo risulta particolarmente utile nella fase

iniziale dell’analisi statistica, quando vengono ricercate le variabili più indicative

e le relazioni di associazione esistenti (Thrusfield, 2007). Nel caso specifico sono

stati utilizzati due differenti test, ossia il test χ2 (Pearson’s χ2 test) ed il test Esatto

di Fisher, computati attraverso l’utilizzo di tabelle di contingenza 2xn. Tali test

vengono utilizzati frequentemente ed hanno valore nella verifica dell’associazione

tra le varie modalità di due o più caratteri qualitativi al dato quantitativo osservato

(Thrusfield, 2007). Il livello di significatività dei test è dato dal valore di probabilità

p (o p-value), che indica il minimo livello di significatività del test per il quale si

rifiuterebbe l’ipotesi nulla, in questo caso la mancanza di associazione tra caratteri

qualitativi e quantitativi (Kirkwood e Sterne, 2006). Il valore di cut-off riferito al p-

value è fissato, convenzionalmente, pari a 0.05 (p=0.05), determinando come

valori inferiori indichino proporzionalmente il livello di significatività nell’analisi

(Kirkwood e Sterne, 2006). L’analisi di associazione è stata eseguita tra

sieroprevalenza riscontrata e caratteristiche di specie, età e sesso della

popolazione animale campionata.

4.2.1 CORRELAZIONE PER SPECIE ANIMALE

Dai risultati dell’analisi risulta evidente come la sieropositività riscontrata è

massima per capre e pecore (χ2=19.3697; p<0.0001), minima per dromedari, e

78

con elevata frequenza nelle capre (53.4%) (Tab. 10). Tale dato indica come le

capre in particolar modo, ed in percentuale rilevante anche le pecore, sembrano

rivestire un ruolo predominante nell’epidemiologia della PPR all’interno

dell’ecosistema presente nella RASD. Inoltre, tale dato risulta essere in linea con

le caratteristiche epidemiologiche della PPR che indicano nelle capre una

maggiore suscettibilità all’infezione rispetto alle pecore (Aklaku, 1980; Bourdin,

1973).

Specie

Capra Pecora Dromedario TOT Positivi 141 121 2 264 Negativi 320 336 56 712 TOT 461 457 58 976

Tabella 10: Correlazione tra specie animale e prevalenza riscontrata (χ2 19.3697, p<0.0001)

4.2.2 CORRELAZIONE PER ETA’ DEI SOGGETTI

Come riportato in tabella 11, il livello di sieroprevalenza risulta aumentare

proporzionalmente con l’età dei soggetti (χ2 17.6462, p<0.0001), considerando

come il valore più elevato sia riscontrato nei soggetti di età superiore ai 36 mesi

(58.7%). Tale dato risulta interessante nella valutazione della situazione

epidemiologica della RASD riferita alla PPR, per cui tale territorio potrebbe

essere riferito come endemico in considerazione del fatto che: la prevalenza

riscontrata risulta essere pari a ~30%; nel siero è stata riscontrata la presenza di

IgG, quindi un’infezione non recente; il 37.1% degli animali risultati positivi

possiede età superiore ai 48 mesi ed, infine, che nel corso dell’indagine di campo

non sono stati evidenziati segni clinici riferibili alla PPR.

79

ETÀ in mesi

<12 12-36 >36 TOT Positivi 41 68 155 264 Negativi 126 272 314 712 TOT 167 340 469 976

Tabella 11: Correlazione tra età dei sogetti e sieroprevalenza riscontrata (χ2 17.6462, p<0.0001)

4.2.3 CORRELAZIONE PER SESSO DEI SOGGETTI

Il dato di associazione tra sieroprevalenza e sesso degli animali campionati risulta

non significativo (p=0.2), anche se il riscontro di positività nelle femmine risulta

avere una probabilità del 130% superiore rispetto ai soggetti di sesso maschile

(OR = 1.309) (Tab 12).

Sesso

Femmine Maschi TOT

Positivi 228 36 264 Negativi 590 122 712 TOT 818 158 976

Tabella 12: Correlazione tra sesso dei sogetti e sieroprevalenza riscontrata (Test esatto di Fisher, p=0.2)

4.2.4 FUNZIONE DI CORRELAZIONE

In ultima analisi, la relazione tra le caratteristiche epidemiologiche della

popolazione animale (specie, sesso ed età dei soggetti) ed il risultato di

sieroprevalenza è stata analizzata mediante regressione logistica binaria. Tale

metodologia statistica si propone di studiare e quantificare questa relazione per

cui la variabile dipendente è di natura dicotomica, ossia riconducibile a due valori

(in questo caso valore di sieroprevalenza positivo o negativo) (Thrusfield, 2007). Nel

caso specifico, la regressione logistica non predice la variabile così com’è, ma la

80

trasforma in funzione logit, di conseguenza si predice il logaritmo del rapporto tra

la probabilità di appartenere ad un gruppo (positivo) pittosto che ad un altro

(negativo), definiti dalla variabile dipendente (Kirkwood and Sterne, 2006). La misura

dell’associazione viene ad essere basata sul calcolo dell’Odds Ratio (OR), o anche

definito come “rapporto incrociato” (Thrusfield, 2007). Tale dato definisce il

rapporto esistente tra le frequenze osservate tra le categorie o gruppi definiti nella

funzione di regressione. Nel caso specifico, un valore di OR = 1 indica assenza di

associazione tra sieropositività e caratteristiche di popolazione, dove valori <1

indicano un’associazione negativa, mentre valori >1 un’associazione positiva. Il

dato viene ad essere validato dal test di significatività statistica (p-value) per

escludere che l’associazione sia dovuta al caso (Kirkwood and Sterne, 2006).

Dai risultati dell’analisi di regressione logistica binaria (Tab. 13) risulta evidente

come la sieropositività riportata nella RASD sia in relazione significativa con la

specie (p<0.0001) e l’età dei soggetti (p=0.003) della popolazione campionata,

mentre il sesso dell’individuo non ne influenza la relazione (p=0.713).

Ulteriormente, si evidenzia come il rapporto di probabilità di infezione da PPR

aumenta di 1.57 volte in animali di specie caprina e di 1.43 volte in soggetti di età

superiore ai 36 mesi.

Sesso

Coef SE Coef Z P OR 95% IC Constante -310.610 0.533301 -5.82 0.000 Specie 0.450666 0.124983 0,1673611 0.000 1.57 1.23 ;

2.00 0.078069 0.212399 0.37 0,4951389 1.08 0.71 ;

1.64 Età 0.358125 0.119170 3.01 0.003 1.43 1.13 ;

1.81 Tabella 13 : Risultati della funzione di regressione logistica binaria (p<0.0001).

81

4.3 ANALISI DI MODELLAZIONE SPAZIALE

Il verificarsi di manifestazioni epizootiche e/o la distribuzione endemica di

malattia, generalmente, vengono ad essere rappresentati in dimensione spaziale

come loci puntiformi d’infezione, ossia localizzazione di eventi di malattia. Tale

proprietà viene ad essere spesso associata con particolari caratteristiche

geografiche, per cui l’epidemiologia di diverse malattie infettive risulta essere

influenzata da tali fattori, mostrando come la loro diffusione si basi su determinati

modelli ambientali (Relman et al., 2008). In questo caso l’ambiente viene ad essere

considerato non solo come ecologico, ma soprattutto come insieme di specifiche

caratteristiche di popolazione animale (es. conformazione dei gruppi, densità,

movimentazioni). Di conseguenza, metodi di statistica spaziale risultano fornire

un valore aggiuntivo nell’analisi delle dinamiche di prevalenza di malattia e come

parte integrante dell’indagine epidemiologica. In ambito epidemiologico l’analisi

spaziale viene designata allo scopo di: individuare loci d’infezione su base

spaziale e temporo-spaziale nella pratica di sorveglianza; testare se l’infezione è

distribuita su base casuale o viene ad essere definita in base a caratteristiche

spaziali, temporali o temporo-spaziali; valutare il significato statistico dei loci

d’infezione; modellare, su base geografica, la distribuzione di malattia in paesi

endemici (Carpenter, 2001). Metodi di modellazione spaziale vengono ad essere

maggiormente indirizzati nell’individuazione e valutazione di loci d’infezione, sia

su base puramente spaziale che temporale o considerandone la caratteristica di bi-

dimensionalità (temporo-spaziale) (Kulldroff, 2009). Tale analisi viene ad essere

effettuata attraverso la scansione di “finestre geografiche” (definite su basi

dimensionali di spazio-tempo) valutando il rapporto tra casi osservati e casi attesi

82

in ciascuno dei loci d’infezione: la “finestra geografica” con elevata probabilità

statistica viene considerata come uno dei loci (cluster) d’infezione primaria. Il

modello di elaborazione spaziale utilizzato nell’analisi dei dati per la PPR nella

RASD è il discrete Poisson permutation model (Kulldroff, 1997) computato

attraverso il programma SaTscan (Kulldroff, 2009), considerandone 9999 iterazioni:

tale metodologia considera che i casi d’infezione all’interno di una determinata

area geografica siano distribuiti secondo la distribuzione statistica di Poisson; il

totale di casi attesi in ciascun cluster viene ad essere considerato come

proporzionale alla sua popolazione totale (Kulldroff, 1997). Dai risultati (Tab. 14,

Fig. 32), viene evidenziato un cluster significativo (p=0.0283) comprendente i siti

di campionamento di Bir Lehlou-8, Tifariti-9, Tifariti-10, Tifariti-11, ed avente

come centro la regione di Tifariti. Inoltre, tale cluster evidenzia un rischio relativo

(RR) pari a 1.753, considerando come in tale area geografica vi sia un 175% di

rischio maggiore nella diffusione e sviluppo di focolai di PPR rispetto ad altre

regioni della RASD.

Location ID Coordinate

(radius) N° casi/N° attesi

(ratio) RR P

Bir Lehlou-8 Tifariti-9 Tifariti-10 Tifariti-11

26.266389 N 10.319722 E (27.01 Km)

47/29.3 (1.619)

1.753 0.0283

Tabella 14 - Risultati dell’analisi di modellazione spaziale (p=0.0283).

83

5. CONCLUSIONI

La PPR rappresenta un’importante malattia dei piccoli ruminanti che sta mettendo

a serio rischio questa popolazione animale in Africa, nel Medio Oriente e nell’

Asia meridionale.

L’importanza economica di tale malattia è stata messa in evidenza attraverso una

relazione internazionale eseguita da Perry et al. (2002) in cui viene dato risalto al

fatto che la PPR rappresenta una malattia prioritaria da tenere sotto controllo per

ridurre il problema della povertà soprattutto in Africa Occidentale e nell’Asia

meridionale. Nella stessa relazione è stato inoltre sottolineato come la PPR sia

ancora una malattia poco conosciuta, soprattutto per quanto riguarda le

caratteristiche epidemiologiche e le dinamiche di trasmissione. Nonostante questo,

risulta comunque evidente che la presenza della malattia è legata principalmente

alla movimentazione ed al commercio degli animali recettivi ed infetti, provenienti

da paesi confinanti, come la Mauritania, il Mali ed il Marocco, che non vengono

adeguatamente controllati al momento dell’ingresso nel paese. Nel nostro studio

infatti la maggiore positività sierologica riscontrata nelle wilaia è dovuta proprio al

fatto che in queste zone c’è una maggiore concentrazione di animali provenienti da

paesi limitrofi per la presenza di fiere e mercati. Il riscontro di positività anche in

specie animali normalmente non sensibili all’infezione, come i dromedari, fa

supporre che altre specie animali, diverse dai piccoli ruminanti, potrebbero avere

un ruolo dal punto di vista epidemiologico nella diffusione della malattia, pur non

manifestando mai una sintomatologia clinica. In quest’ottica risulta importante,

84

quindi, il monitoraggio di altre specie animali soprattutto di quelle che vivono a

stretto contatto con pecore e capre che risultano altamente suscettibili.

Questo lavoro è stato il primo studio epidemiologico sulla PPR svolto nell’area

geografica decritta da cui è emerso, dall’analisi dei risultati ottenuti, l’effettiva

presenza della malattia nel territorio con una sieroprevalenza di ~30%. La

segnalazione di continui nuovi focolai, come quelli registrati di recente in Marocco

e Turchia, sta ad indicare la costante circolazione virale nel continente africano e

quindi l’importanza di una stretta sorveglianza, al fine di evitare l’eventuale

introduzione della malattia in paesi indenni come ad esempio il nostro.

85

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100

RINGRAZIAMENTI

Questo lavoro, ma soprattutto questa esperienza umana e lavorativa che mi porto

dietro, non sarebbe stata possibile senza la presenza del grande capo Davide

Rossi, mio mentore e ormai caro amico, che ringrazio infinitamente.

L’appoggio e la pazienza del professore Fabrizio Passamonti sono stati preziosi e

senza dubbio indispensabili, come il grande aiuto del Dott. Antonello Di Nardo

che mi ha aiutata con tutti quei numerini da analizzare.

Un ringraziamento speciale va a Saleh e Sidumu e a tutti i saharawi che hanno

reso il mio soggiorno nei Campi Profughi un’esperienza indimenticabile.

Per quanto riguarda i miei lunghi anni universitari non posso che ringraziare

l’estrema pazienza e fiducia che hanno avuto i miei genitori e mio fratello, che mi

hanno sempre appoggiata in tutte le mie scelte, dato la possibilità di fare

esperienze preziose e che sono e saranno sempre le persone più speciali della mia

vita, a cui devo tutto ciò che sono.

Ringrazio tutte Las Amigas che con la loro costante presenza riempiono

quotidianamente la mia vita, in particolar modo Ciop per esserci sempre, la Vanex

e Chiara compagne di avventure, Laura un’amica preziosa, Giulia cugina ma

anche sorella e Lauretta la saggia.

Ed in fine ringrazio me stessa per non aver mollato mai!