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UNIVERSITÀ DEGLI STUDI DI ROMA FACOLTÀ DI LETTERE E FILOSOFIA Corso di laurea specialistica in Editoria e scrittura Cattedra di Storia delle Istituzioni Politiche Tesi di laurea Ut Clericorum Regularium Instituti condimenta”. La nascita di una congregazione dedicata all’Immacolata Concezione nella Francia di fine Ottocento. Relatore Prof. Claudio Canonici Correlatore Prof. ssa Marina Caffiero Candidato Francesca Segneri Matricola 962270 A/A 2008/2009

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UNIVERSITÀ DEGLI STUDI DI ROMA

FACOLTÀ DI LETTERE E FILOSOFIA

Corso di laurea specialistica in Editoria e scrittura

Cattedra di Storia delle Istituzioni Politiche

Tesi di laurea

“Ut Clericorum Regularium Instituti condimenta”.

La nascita di una congregazione dedicata all’Immacolata Concezione nella Francia di

fine Ottocento.

Relatore

Prof. Claudio Canonici

Correlatore

Prof. ssa Marina Caffiero Candidato

Francesca Segneri

Matricola 962270

A/A 2008/2009

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I.1 Il sigillo dei Canonici Regolari di don Gréa

Figura II.1 Stemma dei Canonici Regolari

dell’Immacolata Concezione

Lo stemma riportato, così come gli altri che seguono, sono stati estratti da un recente lavoro di

Giulio Zamagni1, che rappresenta uno strumento utilissimo per quanti, come noi, sono alla ricerca

della storia di antichi ordini religiosi. Tale opera, infatti, intende riempire un vuoto esistente

nell’ambito dell’araldica ecclesiastica riguardo agli stemmi e ai simboli degli ordini e delle

congregazioni religiose. Il volume presenta, rispettando l’ordine di precedenza previsto

dall’Annuario Pontificio, gli stemmi o gli emblemi dei vari ordini, congregazioni e altri Istituti di

perfezione maschili di diritto pontificio sia esistenti che estinte. Segue, poi, una breve descrizione

degli stessi cui fa seguito la relativa interpretazione degli elementi simbolici presenti nei vari

stemmi. Secondo l’autore, che ha pazientemente raccolto ed elaborato il materiale per oltre un

decennio, il simbolo è un linguaggio universale che offre molteplici significati accessibili a tutti.

Simbolico, allora, è anche il linguaggio del sacro, che trasforma e rende comprensibili realtà

spirituali altrimenti impossibili da rappresentare e comunicare. Nel caso che ci interessa, e cioè

della Congregatio Canonicorum Regularium Immaculatae Conceptionis: C.R.I.C. (1866),

leggiamo: «Trattasi più di sigillo che di stemma, rappresentante l’agnello-Cristo su di una roccia (la

Chiesa), da cui scaturiscono quattro sorgenti, che probabilmente rappresentano i quattro evangelisti

e la loro dottrina che irriga il mondo. Nei mistici, le quattro sorgenti, o anche i quattro fiumi

dell’Eden, rammentano le Piaghe del Redentore. (O fons acquae Paradisi – a quo quator divisi –

1 Cfr. Giulio Zamagni, Il valore del simbolo: stemmi, simboli, insegne e imprese degli Ordini religiosi, delle

Congregazioni e degli altri Istituti di perfezione, Cesena, Il ponte vecchio, 2003.

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dulces fluunt rivuli). Dalla roccia sorge un giglio2, simbolo della purezza, in questo caso,

probabilmente riferito all’Immacolata Concezione di Maria Vergine».

Figura II.2 Vari stemmi dei Canonici Regolari

2 Come si vedrà a breve, nell’enciclica Ineffabilis Deus di Pio IX, tra i vari appellativi che nella storia della Chiesa sono

stati attribuiti a Maria, e le sue varie raffigurazioni iconografiche, c’è anche quella del giglio: «Perciò non si stancarono

mai di proclamarla giglio tra le spine; terra assolutamente inviolata, ecc.» (si veda l’Appendice di questa tesi a p. 162).

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Figura II.3 Altri stemmi dei Canonici Regolari

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Figura II.4 Stemmi dei Canonici Regolari

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CAPITOLO II

IL DOGMA DELL’IMMACOLATA CONCEZIONE PROCLAMATO DA PIO IX

II.1 L’Immacolata Concezione di Maria

L’Immacolata Concezione di Maria è un dogma della Chiesa cattolica, per esattezza il terzo

mariano in ordine di tempo, dopo la Divina maternità e la Verginità perpetua della Madonna. Con il

quarto, l’Assunzione, è uno dei due dogmi che non viene definito per combattere un’eresia.

Proclamato da papa Pio IX con la bolla Ineffabilis Deus dell’8 dicembre 1854, recita così:

… con l’autorità di nostro Signore Gesù Cristo, dei beati apostoli Pietro e Paolo e

Nostra, dichiariamo, affermiamo e definiamo rivelata da Dio la dottrina che sostiene che

la beatissima Vergine Maria, per particolare grazia e privilegio di Dio onnipotente, in

previsione dei meriti di Gesù Cristo Salvatore del genere umano è immune da ogni

macchia di peccato originale fin dal primo istante della suo Concepimento, e ciò

deve pertanto essere oggetto di fede certo ed immutabile per tutti i fedeli3.

L’Immacolata Concezione è un dogma perché esso definisce una verità assoluta, cioè valida

sempre, in ogni cultura e in ogni tempo, a cui ogni singolo credente deve prestare fede. Nei primi

secoli del Cristianesimo nella dottrina dell’Immacolata Concezione era presente il parallelismo tra

Eva e Maria, secondo una duplice relazione di somiglianza e di opposizione. Sulla base della prima,

come Eva fu plasmata senza macchia dalle mani di Dio, similmente Maria doveva essere creata da

Dio, Immacolata. Per opposizione, colei che doveva essere la restauratrice delle rovine di Eva, non

poteva essere travolta dal peccato. Lo stesso Pio IX nell’Ineffabilis Deus parlando di Maria, afferma

che «i Padri non solo la paragonarono spessissimo ad Eva ancora vergine, innocente, non corrotta e

non ancora caduta nei lacci delle mortali insidie del serpente ingannatore, ma la anteposero a lei con

una meravigliosa varietà di parole e di espressioni». Tale parallelo è ripreso in maniera molto

pertinente ed efficace anche dal Concilio Vaticano II, nella costituzione Lumen Gentium4. Come si

3 Si veda il testo completo riportato in Appendice.

4 Si tratta di una delle quattro costituzioni del concilio ecumenico Vaticano II, insieme alla Sacrosanctum Concilium,

Gaudium et Spes e Dei Verbum. Fu emessa il 16 novembre del 1964 e promulgata da papa Paolo VI il 21 novembre

dello stesso anno.

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evincerà dalla storia del dogma nel corso dei secoli, esso ha a che fare con il grande dibattito

teologico sul peccato originale.

II.2 Storia del dogma

Il dogma, verità eterna, è una formulazione del contenuto di fede attraverso un linguaggio

adatto, quello filosofico e teologico, che permetta la miglior espressione possibile quanto a

chiarezza espositiva e ortodossia della fede. Per questo motivo spesso i dogmi sono avvertiti come

difficili da capire, sia per il linguaggio usato che per il loro contenuto. Kierkegaard nel suo Diario5

paragona i dogmi della Chiesa a splendide dame che dormono un sonno fatato: occorre un cavaliere

che le ridesti con un bacio d’amore perché balzino in piedi in tutta la loro gloria. Se i dogmi

definiscono esattamente, cioè senza errori, il mistero di Dio, ci si può chiedere, dunque, quale sia il

posto di Maria in essi. L’Immacolata Concezione è un dogma che riguarda Maria e Maria

solamente; apparentemente non dice nulla di Dio e di Gesù. Da questo si è erroneamente dedotto

nella storia della Chiesa che la Bibbia non ne parlasse affatto e dunque che la Chiesa si sarebbe

inventata una verità su Maria senza fondamento. La smentita, però, viene da uno sguardo rapido alla

storia dei dogmi, di come e quando essi sono nati. L’Immacolata Concezione di Maria prima di

essere una verità definita, è una verità creduta e celebrata. Nella Scrittura, infatti, non v’è alcun

riferimento esplicito, e la stessa tradizione più antica tace. I Padri e gli Scrittori della Chiesa, fin dai

primissimi tempi di costituzione di questa, ebbero parole di lode per la Madonna ed elogiarono con

diversi titoli la sua santità. La dottrina della perfetta santità di Maria fin dal primo istante del suo

concepimento ha trovato qualche resistenza in Occidente, e ciò in considerazione delle affermazioni

di san Paolo sul peccato originale e sull’universalità del peccato, riprese ed esposte con particolare

vigore da sant'Agostino. Il grande dottore della Chiesa si rendeva senz'altro conto che la condizione

di Maria, madre di un Figlio completamente santo, esigeva una purezza totale e una santità

straordinaria. Per questo, nella controversia con Pelagio6, ribadiva che la santità di Maria costituisse

5 Soren Kierkegaard, Diario (1834-1849), (a cura e con introduzione di Cornelio Fabro), Brescia, Morcelliana, 1962,

vol. I, pp. 135 ss.

6 Pelagio Britannico (360-420 d.C. ca.) fu un monaco e teologo di grande cultura, vissuto a Roma tra IV e V secolo.

Durante il suo soggiorno in Africa, Pelagio conobbe il suo futuro avversario sant’Agostino. Si stabilì poi in Palestina,

dove produsse svariati scritti. Durante un sinodo svolto a Gerusalemme, san Girolamo e Paolo Orosio cercarono di farlo

condannare per le sue dottrine. A Roma nel 417 papa Innocenzo I condannò il pelagianismo. Sostanzialmente la sua

dottrina affermava che gli uomini non fossero predestinati, ma potevano con la propria volontà (libero arbitrio) evitare il

peccato. Il pelagianismo negava, inoltre, la trasmissione del peccato originale. Per questo motivo venne contestato da

sant’Agostino. Quando il nestorianesimo venne condannato nel Concilio di Efeso nel 431, anche il pelagianismo fu

perseguitato in Oriente fino alla sua estinzione. In Occidente sopravvisse più a lungo, in particolare nelle isole

Britanniche.

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un dono eccezionale di grazia, e affermava in proposito: «Facciamo eccezione per la Santa Vergine

Maria, di cui, per l'onore del Signore, voglio che in nessun modo si parli quando si tratta di peccati:

non sappiamo forse perché le è stata conferita una grazia più grande in vista di vincere

completamente il peccato, lei che ha meritato di concepire e di partorire Colui che manifestamente

non ebbe alcun peccato?». Agostino ribadì la perfetta santità di Maria e l'assenza in lei di ogni

peccato personale per l’eccelsa dignità di Madre del Signore. Egli tuttavia non riuscì a cogliere

come l'affermazione di una totale assenza di peccato al momento della Concezione potesse

conciliarsi con la dottrina dell'universalità del peccato originale e della necessità della redenzione

per tutti i discendenti di Adamo. A tale conseguenza giunse, in seguito, la Chiesa, chiarendo come

Maria abbia beneficiato della grazia redentrice di Cristo fin dal suo concepimento. La Chiesa, prima

di definire Maria Immacolata con un dogma, come già detto, la celebra come tale. La sua

celebrazione ebbe probabilmente inizio in Oriente già nel quinto secolo. San Saba7 compilò un

calendario, il Tipico, e tra le feste dell’anno, risulta quella dell’Immacolata Concezione. E san Saba

visse tra il V e il VI secolo. Inoltre, da alcune testimonianze storiche, sappiamo che san Saba

incluse tale festività nel Tipico, avendola ricevuta dai suoi predecessori. Da ciò deriverebbe che la

festa della Concezione di Maria fosse solennizzata in Oriente ancor prima del V secolo. Ma la

prima testimonianza certa di una festa dell’Immacolata Concezione è data da sant’Andrea di Creta,

vissuto dal 660 al 740 d.C. circa, verso la fine del VII secolo e l’inizio dell’VIII. Col passare del

tempo, nel IX secolo, la festa dall’Oriente venne introdotta anche in Occidente, prima nell'Italia

meridionale, a Napoli, e poi in Inghilterra. È in Occidente che da festa anniversaria diventa festa di

concetto. Qualcuno afferma che la prima nazione europea che l’abbia celebrata sia stata la Spagna,

ad opera dell’Arcivescovo di Toledo sant’Ildefonso (607-667 d.C.). In Occidente nel XII secolo

nacque un’accesa discussione teologica sull’Immacolata Concezione, che si chiuderà solo nel 1854.

I secoli intermedi furono di lotte senza tregua, con alterne vicende. Francescani da una parte e

Domenicani8 dall’altra.

Che cosa dicono la Sacra Scrittura, i Padri e la Chiesa riguardo all’Immacolata Concezione di

Maria prima del secolo XII? Come detto in precedenza, se cercassimo il dogma nella Bibbia, nei

Padri della Chiesa e nei primi sette concili della Chiesa cattolica (325-787 d.C.) cercheremmo

invano, perché di esso nel primo millennio dell’era cristiana non viene detto nulla; o meglio, non è 7 San Saba Archimandrita (Cesarea di Cappadocia 439-Mar Saba 532 d.C.) nasce suddito dell’Impero romano

d’Oriente, in una famiglia di cristiani. Diventa monaco trovando una guida decisiva nella figura di Eutimio, detto «il

grande». Con Eutimio Saba condivide la vita eremitica nel deserto della Giordania. Col tempo si formò attorno a lui

un’aggregazione monastica piuttosto famosa in tutta la Palestina.

8 In genere i teologi domenicani sono tradizionalmente fedeli alla Summa di san Tommaso, e quindi contrari

all’Immacolata Concezione.

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detto nel modo esatto ed esplicito della definizione dogmatica finale. La discussione teologica, cui

si accennava, scaturì dallo scritto di un discepolo di sant’Anselmo, il benedettino Eadmero di

Canterbury (†1124), il “Trattato sulla Concezione di Santa Maria”. Egli lamentava che la relativa

celebrazione liturgica, gradita soprattutto a coloro «nei quali si trovava una pura semplicità e una

devozione più umile a Dio», era stata accantonata o soppressa. Desiderando promuovere la

restaurazione della festa, il monaco respinse l'obiezione9 di sant'Agostino al privilegio

dell'Immacolata Concezione, fondata sulla dottrina della trasmissione del peccato originale nella

generazione umana. Maria, dunque, sarebbe stata al riparo da ogni peccato. Nonostante Eadmero, i

grandi teologi successivi secolo fecero ancora proprie le difficoltà di sant'Agostino, sostenendo che

la redenzione operata da Cristo non sarebbe universale se la condizione di peccato non fosse

comune a tutti gli esseri umani. E Maria, se non avesse contratto la colpa originale, non avrebbe

potuto essere riscattata. La redenzione consiste, in effetti, nel liberare chi si trova nello stato di

peccato.

Finalmente fu Duns Scoto, al seguito di alcuni teologi del XII e XIII secolo10, a offrire la

chiave per superare queste obiezioni circa la dottrina dell'Immacolata Concezione di Maria. Egli

sostenne che Cristo, il mediatore perfetto, ha esercitato proprio in Maria l'atto di mediazione più

eccelso, preservandola dal peccato originale. In tal modo egli introdusse nella teologia il concetto di

redenzione preservatrice, secondo cui Maria è stata redenta in modo ancor più mirabile: non per via

di liberazione dal peccato, ma per via di preservazione dal peccato. L'intuizione del beato Duns

Scoto, chiamato in seguito il «Dottore dell'Immacolata», ottenne, sin dall'inizio del XIV secolo, una

buona accoglienza da parte dei teologi, soprattutto francescani11. Al di là delle lotte e discordie che

attraverso i secoli ostacolarono la definizione del dogma mariano, l’ordine francescano, primo tra

gli altri, contribuì, infatti, a diffondere il culto alla Vergine Immacolata (coronata di stelle, col

serpente sotto il piede). Proseguendo lungo i secoli, e ripercorrendo il cammino che condurrà alla

proclamazione del dogma soltanto nell’Ottocento, il pontificato di Sisto IV merita un’attenzione

particolare. Nato nel 1414, Francesco della Rovere entrò giovanissimo a far parte dell’ordine dei

frati minori conventuali. Fu eletto pontefice nel 1471. Nel frattempo, il 17 settembre 1439 il

9 Egli ricorre opportunamente all’immagine della castagna «che è concepita, nutrita e formata sotto le spine, ma che

tuttavia resta al riparo dalle loro punture». Anche sotto le spine di una generazione che per sé dovrebbe trasmettere il

peccato originale, argomenta Eadmero, Maria è rimasta al riparo da ogni macchia, per esplicito volere di Dio che «l’ha

potuto, manifestamente, e l’ha voluto. Se dunque l’ha voluto, lo ha fatto».

10 In particolare furono Alessandro di Hales (†1245), Alberto Magno (†1280), Bonaventura (†1274), Tommaso

d’Aquino (†1274) e prima di loro Anselmo di Aosta (†1109) e Bernardo di Chiaravalle (†1153).

11 Interessante è il collegamento tra il culto della Vergine e il francescanesimo evidenziato da Giuseppe Curci in Storia

del dogma dell’Immacolata Concezione, Napoli, Tipografia Laurenziana, 1986.

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Concilio di Basilea12, che aveva in quella data perduto il suo carattere ecumenico, dichiarò la verità

dell’Immacolata Concezione “conforme al culto della Chiesa, alla fede cattolica, alla retta ragione e

alla sacra Scrittura”. Nel Concilio, Giovanni de Segovia, canonico di Toledo e fautore del privilegio

mariano, si scontrò fortemente con Giovanni da Montenero, il generale dei Domenicani. Nel 1475

Sisto IV istituì la festa della Visitazione della Vergine pubblicando un’enciclica a questo proposito.

Dotò Roma di numerosi Santuari testimoni eloquenti del suo culto per la Vergine: Santa Maria del

Popolo, Santa Maria della Pace, e la Cappella Sistina, espressamente dedicata all’Immacolata

Concezione13. Infine, in seguito alla sua approvazione della “Messa della Concezione” avvenuta il

27 febbraio 1477 con la bolla Cum praecelsa, la dottrina della Vergine Maria fu sempre più

accettata nelle scuole teologiche. Tale provvidenziale sviluppo della liturgia e della dottrina preparò

la definizione del privilegio mariano da parte del Supremo Magistero. Questa avvenne solo dopo

molti secoli, sotto la spinta di un’intuizione di fede fondamentale: la Madre di Cristo doveva essere

perfettamente santa sin dall'origine della sua vita. Nel corso degli anni, l’indagine biblica e

patristica si arricchì di nuovo dati, tanto che nella sessione VI del Concilio di Trento (1546) non

mancarono coloro che si appellarono alla definizione dogmatica dell’Immacolata Concezione.

Probabilmente il Concilio di Trento può esser considerato un’occasione mancata, ma negli anni

successivi crebbe sempre più il prestigio della posizione immacolista.

L’opposizione di cui si servirono maggiormente gli avversari nel XVII secolo fu

l’Inquisizione, affidata quasi esclusivamente ai Domenicani. Gli inquisitori erano, infatti, molto

preoccupati della predicazione francescana, che controllarono anche attraverso una rigorosa censura

sulla stampa. Con un’insistenza protrattasi per oltre un secolo, cercò di negare le pubblicazioni nelle

quali si illustrava il privilegio mariano. Il Seicento fu un secolo di risveglio francescano e, allo

stesso tempo, di grandi e gravi polemiche. Una delle caratteristiche più importanti dell’ordine

francescano fu il ritorno agli studi e, in particolar modo, a quelli di Giovanni Duns Scoto14.

Nonostante, però, la pietà e le feste praticate dai fedeli per l’Immacolata, e nonostante le dispute

continue dei teologi, la Chiesa fu prudente e non prese alcuna decisione. Un’ulteriore discussione

12 Il Concilio ecumenico di Basilea fu convocato da papa Martino V nel 1431, in applicazione del decreto del concilio di

Costanza (il decreto Frequens), che prevedeva la tenuta periodica di un concilio della Chiesa cattolica. La Svizzera in

quel tempo era, infatti, cattolica.

13 Papa Sisto IV, come i suoi predecessori, ebbe a cuore la Basilica di San Francesco in Assisi. Diede vita, infatti, ad

un’intensa campagna di restauro di tutto il complesso edilizio. A lui si deve la nuova impaginazione del Chiostro

Maggiore, che da quel momento sarà detto «sistino», secondo un modulo rinascimentale di chiara ed esemplare

euritmia.

14 Il Capitolo di Toledo decise che i Lettori di filosofia dell’ordine dei minori seguissero la dottrina di Duns Scoto.

Fiorirono, così, tali studi in Spagna, nell’Italia meridionale, in Francia e Irlanda.

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era nata tra i Francescani, sostenuti dai Gesuiti e dai Benedettini, che difendevano l’Immacolata

Concezione contro il pensiero dei Domenicani, i quali ammettevano, invece, solo la santificazione

di Maria. Paolo V nel 1616 rispose a tutto questo con una bolla, riconfermando le condanne dei

pontefici Sisto IV e Pio V nei confronti di coloro che avessero parlato pubblicamente

dell’Immacolata Concezione. Nel 1617, con un decreto dell’Inquisizione, fu impedito agli avversari

dell’Immacolata di esporre pubblicamente le loro idee, permettendo ai difensori, invece, di

manifestare le proprie. Un movimento promozionale senza analogie si determinò nel Seicento a

partire dalle università: quello che includeva il giuramento di difendere l’Immacolata Concezione

fino all’effusione del sangue. Ad emettere nel 1617 il votum sanguinis è l’Università di Granada,

preceduta da quella di Siviglia e seguita dalle altre spagnole e da alcune italiane. Tale gesto si

diffuse presto tra gli ordini religiosi, i santi, le confraternite e i fedeli. Alessandro VII15 con la

promulgazione della Costituzione Sollicitudo omnium Ecclesiarum nel 1666 determinava l’oggetto

preciso della festa, precisando che si trattasse della preservazione dell’anima della Vergine dalla

colpa originale, nel primo istante della sua creazione e infusione al corpo, per speciale grazia e

privilegio di Dio, in vista dei meriti di Cristo suo Figlio, Redentore del genere umano.

L’Immacolata Concezione e i tribunali dell’Inquisizione sarebbero un capitolo tutto da scrivere

nella storia della secolare controversia. Ma occorre procedere oltre16.

Dalla metà del XVIII secolo non si registrarono più contestazioni significative: di fronte allo

sviluppo della controversia favorevole all’opinione francescana, anche la tenacia degli inquisitori

finalmente si dovette arrendere. E’ importante rilevare, infine, che nel Seicento ci fu una forte

collaborazione tra i religiosi francescani e i sovrani17, i quali si unirono per combattere insieme

contro i nemici del singolare privilegio della Madonna. Fatto singolare, i reali di Spagna, allora la

corte più fastosa d’Europa, si fecero promotori di una serie di iniziative tendenti a sollecitare la

definizione del dogma18.

15 Egli afferma, come verrà riportato da Pio IX nella bolla Ineffabilis Deus, che «fin dall’antichità la pietà dei fedeli

verso la Beatissima Madre Vergine Maria aveva creduto che la sua anima, fin dal primo istante della sua Concezione e

della sua infusione nel corpo, per una speciale grazia e privilegio di dio, in vista dei meriti di Gesù Cristo suo Figliolo e

Redentore del genere umano, fu preservata immune da ogni macchia di peccato originale; ed aveva celebrato

solennemente, in questo senso, la festa della Concezione».

16 Esemplificativo di questo conflitto, fu un episodio accaduto a Bologna negli anni 1639-1640. L’inquisitore di

Bologna volle sopprimere la confraternita detta dello Stellario (dell’Immacolata Concezione), ma si trovò di fronte a

numerose proteste da parte dei padri conventuali. Due di loro vennero rinchiusi nelle carceri dell’Inquisizione, poi

scomunicati e condannati all’esilio.

17 In particolare Filippo III, Filippo IV e Carlo II.

18 Due grandi nomi della letteratura spagnola, Lope de Vega e Calderón de la Barca, sono autori di numerose opere

dedicate alla Vergine Immacolata.

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Sarà proprio questa vivacità del culto mariano che porterà papa Pio IX due secoli più tardi ad

affrontare la questione dell’Immacolata Concezione in vista di una definitiva proclamazione del

dogma. Tutte le diatribe ebbero fine e i teologi19 ribelli, che erano divenuti ormai meno numerosi, si

sottomisero al pensiero della Chiesa. Alcuni studiosi20 sostengono che nella storia dei dogmi non ci

sia probabilmente caso più sorprendente di questo, in cui la credenza e la devozione popolare

impongono progressivamente il loro modo di vedere e lo fanno trionfare malgrado l’opposizione dei

grandi teologi.

II.3 Papa Mastai Ferretti e il dogma

Pio IX21 lavorò, lottò, predicò e scrisse sull’Immacolata Concezione di Maria. L’opinione

assolutamente favorevole alla definizione del dogma spinse il pontefice alla preparazione della bolla

Ineffabilis Deus con la quale fu definito il dogma dell’Immacolata Concezione. Frutto di lunghe

consultazioni con l’episcopato sin dal 1848, la definizione si fondava prevalentemente sull’autorità

del papa, anticipando l’infallibilità personale del pontefice promulgata soltanto qualche anno dopo.

Il metodo seguito nella bolla dogmatica, partendo dal consenso attuale della Chiesa e interpretando

in questa luce le testimonianze passate, apriva nuove vie alla teologia, largamente seguite da quel

momento. Ma ripercorriamo la sua genesi.

Nel 1849 il papa, che solo pochi anni prima era stato salutato come alfiere della rivoluzione

liberale e poi era stato invece costretto a fuggire da Roma, inviò da Gaeta, dove era in esilio, la

bolla Ubi primum. Chiedeva ai vescovi di tutto il mondo di far conoscere per lettera il loro pensiero

e quello dei fedeli riguardo all’Immacolata Concezione22. Egli realizzò così una sorta di «concilio

scritto», da cui risultò una convergenza quasi plebiscitaria a favore della definizione dogmatica (546

su 603 vescovi), che lo incoraggiò a far preparare la bolla di definizione. Un secolo prima, in

19 Uno degli ultimi fu lo storico italiano Ludovico Muratori († 1750), che si oppose al cosiddetto «voto sanguinario». In

varie opere pseudonime il celebre erudito ha attaccato questo voto bollandolo come imprudente, gravemente colpevole

e ispirato da pietà non illuminata. Contro di lui si schierò la più efficace apologia di s. Alfonso de Liguori (†1787).

20 Cfr. Jean Galot, Maria: la donna della salvezza, Roma, Editrice Pontificia Università Gregoriana, 1991, pp. 198-199.

21 Per la lunga gestazione della bolla, ma soprattutto per un importante approfondimento sulla vita del pontefice, uno

strumento essenziale è costituito dallo studio di Giacomo Martina. Si veda in particolare il suo La definizione

dell’Immacolata Concezione in Pio IX (1851-1866), Roma, Editrice Pontificia Università Gregoriana, 1986, pp. 261-

286.

22 Antonio Rosmini, pur ritenendo «moralmente sicura» la credenza dell’Immacolata Concezione, sconsiglia di definirla

e propone al papa di interrogare tutti i vescovi mediante un’enciclica.

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particolare, il missionario francescano Leonardo da Porto Maurizio23, in una «lettera profetica»

chiedeva di proclamare il dogma dell’Immacolata Concezione senza bisogno di convocare un

concilio. Finalmente dopo cinque anni di studio e di lavoro, aiutato da una commissione costituita

appositamente, con la famosa bolla Ineffabilis Deus, secondo la tesi scotista, l’8 dicembre 1854 Pio

IX proclamò il dogma dell’Immacolata Concezione di Maria. La commissione antipreparatoria

concluse i suoi lavori soltanto nell’agosto del 1853. Venne immediatamente stabilito di rinviare ad

un secondo tempo l’esame degli errori moderni, e di limitarsi all’Immacolata. Pio IX, infatti, già

verso la fine del 1851 si era orientato nell’unire la definizione dell’Immacolata alla condanna degli

errori del suo tempo. L’idea era nata da un complesso di diversi fattori. Occorre dire che nel 1851 il

conte Emiliano Avogadro della Motta24, filosofo e uomo politico cattolico, avversario deciso del

razionalismo e della laicizzazione, aveva pubblicato l’opera Saggio intorno al socialismo. L’autore

vedeva una particolare connessione tra la definizione dell’Immacolata e gli errori moderni, poiché

«il solenne atto avrebbe fugato le tenebre della superba e laida eterodossia moderna». «La Civiltà

Cattolica» recensì ampiamente il volume. Tuttavia, sebbene inizialmente il pontefice volle che si

procedesse in questo senso, e chiese per questa ragione il sostegno del benedettino di Solesmes, don

Guéranger25, cambiò in seguito idea. Nel giorno della festa dell’Annunciazione del 1858, la figura

dell’apparizione di Lourdes dichiarò alla piccola Bernadette Soubirous di essere l’Immacolata

Concezione26, esattamente quattro anni dopo la proclamazione del dogma. Quasi un secolo dopo un

altro papa, Pio XII, con l’enciclica Fulgens Corona del 1953 riconobbe nell’apparizione di Lourdes

una conferma divina al dogma proclamato da Pio IX. Con la proclamazione del dogma vi fu quindi

il trionfo della Madonna e il pontificato di Pio IX restò caratterizzato dal grande avvenimento

23 Sarà lo stesso Pio IX a canonizzare san Leonardo nel 1867.

24 Nato a Vercelli nel 1798 e morto a Torino nel 1865, fu un grande contro-rivoluzionario dai molteplici interessi. Come

giornalista collaborò all’Armonia e all’Unità Cattolica. Teorico del diritto naturale, scrisse la Teorica sulla istituzione

del matrimonio nel 1859 e in qualche modo fu anche filosofo (Saggio sul valore scientifico e le pratiche conseguenze

del sistema filosofico dell’abate Rosmini, nel quale dipinge il rosminianesimo come una nuova forma di panteismo). Il

recente volume di Vittoria Romana Valentino, che da diversi anni si occupa della figura e del pensiero di Avogadro,

risulta prezioso per gli studiosi perché, finora, non esisteva uno studio a lui dedicato. Cfr. Il conte Emiliano Avogadro

della Motta (1798-1865). Un’introduzione alla vita e alle opere, Vercelli, Associazione amici degli archivi piemontesi,

2001; si veda, inoltre, la sua ricerca sull’Immacolata: Id., Un laico tra i teologi. Il contributo di Emiliano Avogadro

della Motta alla preparazione della definizione del dogma sull’Immacolata Concezione e all’elaborazione del Sillabo,

Vercelli, Arti Grafiche Gallo, 2003, pp. 461 ss.

25 Ne avevamo già parlato relativamente alla restaurazione degli ordini religiosi e, in particolare, della rinascita del

canto gregoriano.

26 La Vergine, infatti, si presenta alla fanciulla dicendo: «Io sono l’Immacolata Concezione». Cfr. René Laurentin,

Lourdes, Mondadori, Milano, 2002, p. 201.

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mariano27. Anzi, come spesso accadeva nella Chiesa ottocentesca, fu attribuito un ruolo politico a

tale episodio. Giuseppe Calvetti su «La Civiltà Cattolica»28 mostrò con chiarezza le implicazioni

controrivoluzionarie che il culto scaturito dalla nuova dottrina mariana doveva far circolare. A suo

avviso il dogma, stabilendo che al di fuori di Maria, tutti gli uomini nascevano con il peccato

originale, determinava il riconoscimento che le loro facoltà, radicalmente viziate fin dalle origini,

potevano essere usate in modo retto solo mediante il soccorso della grazia redentrice, di cui la

Chiesa era mediatrice.

Questa verità teologica aveva, poi, un’immediata traduzione sul piano sociale e politico.

Secondo il gesuita, infatti, la costruzione della società su basi puramente razionali, facendo perno

sul principio derivante dalla Rivoluzione francese della capacità umana di stabilire la miglior forma

di organizzazione collettiva, non poteva che risolversi in uno spaventoso disastro. Molto di

frequente il religioso nei suoi scritti ribadisce che il più funesto degli errori della sua età

consisterebbe nell’indifferenza assoluta della ragione. Affidandosi, invece, alla guida ecclesiastica,

l’umanità avrebbe ottenuto quel sostegno soprannaturale alla costruzione della convivenza civile.

27 Recentemente, il 3 settembre 2000, Giovanni Paolo II ha beatificato Pio IX che «proclamando il dogma

dell’Immacolata Concezione, ricordò a tutti che nelle tempeste dell’esistenza umana brilla nella Vergine la luce di

Cristo, più forte del peccato e della morte».

28 Giuseppe Calvetti, “Congruenze sociali di una definizione dogmatica sull’immacolato concepimento della B.V.

Maria”, in La Civiltà Cattolica, vol. 8°, 1852, pp. 391-392.

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Per Calvetti:

il popolo minuto per ristorare la sua fede ha bisogno di obbietti concreti, e di verità che

non parlino al solo intelletto, ma alla fantasia altresì, ai sensi, e che parlando al cuore, si

facciano meno forse intendere che sentire29.

La grande costruzione dogmatica di Pio IX, dunque, avrebbe abilmente permesso che il culto

all’Immacolata Concezione diventasse un canale fondamentale per diffondere a livello popolare tesi

controrivoluzionarie. Per comprendere quanto fosse atteso un nuovo dogma della Chiesa, potremmo

concludere con le parole dello stesso Calvetti, che così presentava sul suo giornale l’evento

imminente:

Un avvenimento oltre modo fausto è vicino a compiersi in questi giorni, e pel quale

l’età presente andrà superba sopra tutti i secoli antipassati, e vivrà in voce di

benedizione e di laude presso i secoli che sono avvenire. La pia ed universale credenza

dell’immacolato concepimento di Maria sta oggimai per essere definita domma di fede

cattolica30.

Si trattava davvero di un giorno importante per tutta la Chiesa cattolica, che vedeva la fine di

dispute e incomprensioni sorte diversi secoli addietro.

29 Giuseppe Calvetti, cit., p. 392.

30 Cfr. Giuseppe Calvetti, “Definizione dommatica sopra l’immacolato concepimento di Maria Santissima”, in La

Civiltà Cattolica, vol. 5°, 1854, p. 353.

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Figura II.1 Frontespizio del giornale e dell’articolo citato

II.4 «Voglia Ella anche ai nostri giorni […] allontanare le presenti tristissime vicende …»

Sarà utile analizzare il testo della bolla, sia nella redazione definitiva che nella sua

anticipazione offerta dall’Ubi primum, per scorgere dietro le parole del pontefice non soltanto una

fine dissertazione teologica, quanto un riferimento alla precisa situazione politico-sociale che il

papato stava vivendo nei difficili anni della Repubblica Romana31. Questa fu, in un certo senso, il

primo fondamentale atto di rottura con il passato papalino. Il testo della Ineffabilis Deus consta di

un prologo, un’esposizione storico-dottrinale e, infine, una parte più precisamente dogmatica32. Nel

lungo testo definitivo della bolla Pio IX inizia ripercorrendo le origini della devozione verso

l’Immacolata Concezione della Vergine. Nata nell’antichità e tramandata dal prezioso operato dei

Padri della Chiesa, era piuttosto venerata dai fedeli. Afferma, poi, che numerosi furono i Romani

Pontefici Nostri Predecessori ad occuparsene «avendo istituito nella Chiesa Romana la festa della

31 Sulla Repubblica Romana si veda il recente studio di Marco Severini, La primavera della nazione. La Repubblica

Romana del 1849, Ancona, Affinità elettive, 2006; cfr., inoltre, il volume di Marina Caffiero, Roma repubblicana:

1798-99, 1849, Roma, Università degli studi Roma Tre, 2001 e il numero monografico Rassegna storica del

Risorgimento, Roma, Istituto per la storia del Risorgimento italiano, 2001.

32 Al momento della definizione, nel 1854, esistevano in tutta la Chiesa latina tre formulari di Messa e Ufficio, ma Pio

IX sollecitato da molti vescovi e per sua decisione ordinò nel 1863 la redazione di un nuovo testo liturgico che

rispondesse alla definizione dogmatica e rendesse con precisione la verità definita. Il testo definitivo, preparato da

mons. Bartolini, segretario della Congregazione dei Riti, fu approvato il 27 agosto del 1863.

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Concezione con Ufficio e Messa proprii, per mezzo dei quali veniva affermato, con la massima

chiarezza, il privilegio dell'immunità dalla macchia originale». Si nominano in particolare papa

Sisto IV, Alessandro VII e gli interventi del Concilio di Trento. Papa Pio IX, attraverso un

minuzioso excursus storico, giunge alla sua decisione del 1849 di inviare a tutti i vescovi della

cristianità un invito a riflettere sulla necessità di un nuovo dogma. Dalle loro risposte piene di gioia

ed entusiasmo, Pio IX dice di aver compreso, non solo che una devozione verso l’Immacolata

Concezione di Maria fosse un patrimonio comune nelle varie chiese, ma che gli stessi vescovi lo

implorassero di proclamarlo ufficialmente. Così, finalmente, la proclamazione solenne del dogma.

Il pontefice si mostra piuttosto categorico al termine del documento, quando ordina che «Nessuno

pertanto si permetta di violare il contenuto di questa Nostra dichiarazione, proclamazione e

definizione, o abbia l'ardire temerario di avversarlo e di trasgredirlo». Ma il testo non dice solo

questo.

Leggendo tra le righe, cioè, la bolla contiene molto altro. Oltre la bella impalcatura teologica

costruita ad arte da Pio IX, ci sono sparse qua e là in tutto il testo espressioni che, interpretate a

posteriori, appaiono delle vere e proprie spie. Sembrerebbero voler rilevare che l’intenzione del

pontefice fosse anche politica, oltre che ovviamente spirituale. Spetta a noi, in questo umile lavoro,

formulare delle domande ai documenti che abbiamo la fortuna di possedere. Purtroppo un’intervista

diretta al pontefice non è possibile se non nella nostra fantasia. Varie sono le questioni che saltano

alla mente. Pio IX è ospitato a Gaeta dal 25 novembre 1848 al 4 settembre 1849. Il 6 dicembre

1848, dopo appena una decina di giorni, egli istituisce una Consulta di trenta teologi e una

Congregazione preparatoria di otto cardinali e otto consultori per chiarire i termini della questione

dell’Immacolata, verificare la possibilità di una definizione dogmatica e suggerire come procedere

alla medesima. Prima fra tutte, è la domanda sul perché proprio nel 1849 il pontefice abbia deciso di

deliberare sul tema dell’Immacolata, visto che la sua particolare devozione verso la Madonna

durava da anni. Ci siamo soffermati abbastanza sull’annosa disputa teologica che accompagna

l’abbozzo del dogma dalle origini della cristianità. Non fu certo, come detto più volte, il primo papa

ad avere a cuore la questione33. Eppure dall’esilio a Gaeta dove era fuggito, papa Pio IX scrive

33 Uno studio di René Laurentin, che parte dalla storia del dogma nei vari secoli della storia della Chiesa, dimostra la

coerenza dei papi, di cui nessuno avrebbe espresso l’opinione maculista nell’esercizio del magistero, e la loro attività

moderatrice, promotrice di maturazione, chiarificatrice e decisionale. Secondo Laurentin tra i papi che hanno svolto tale

attività bisogna annoverare innanzitutto Sisto IV, che iniziò la serie degli interventi pontifici a favore dell’Immacolata

Concezione pur non prendendo alcuna decisione sul piano dogmatico. Anche altri pontefici, quali Alessandro VII e

Clemente XI contribuirono notevolmente a rafforzare la fede nell’Immacolata Concezione, ma neanche a loro spetta

una svolta significativa. Cfr., René Laurentin, L’action du Saint-Siège par rapport au problème de l’Immaculée

Conception, in Virgo immaculata. Acta congressus mariologici-mariani internationalis, Romae anno 1954 celebrati,

vol. II, Romae 1956, p. 1-98.

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un’accorata lettera enciclica ai vescovi per ascoltare i loro pareri e interrogarli sul da farsi.

Cerchiamo, allora, di fare delle giuste domande ai documenti, col tentativo di trovare delle risposte,

che non abbiano la pretesa di porsi come verità assolute. Mai come in questo momento, infatti,

occorre seguire gli insegnamenti di Marc Bloch34 che, nella sua fondamentale opera Il mestiere

dello storico, esortava coloro che si accingessero a compiere una ricerca storica a fare delle

domande non restando passivi nei confronti delle testimonianze del passato. Diamo la parola, allora,

ai testi partendo da un passo centrale della lettera Ubi primum:

Maria […] tutta amorevole e piena di grazia, liberò il popolo cristiano dalle più gravi

calamità, dalle insidie e dagli assalti di tutti i nemici, sottraendolo sempre alla morte.

Voglia Ella anche ai nostri giorni, con lo splendido tratto del misericordioso affetto

materno, con il suo patrocinio sempre efficace e potentissimo presso Dio, allontanare le

presenti tristissime vicende piene di lutti, le gravissime tribolazioni, le angustie, le

difficoltà e i flagelli della collera divina, che ci affliggono per i nostri peccati; voglia

sedare e disperdere le agitatissime tempeste di mali, da cui, con profondo Nostro

dolore, è dappertutto sbattuta la Chiesa35.

Il discorso è chiaro. Non c’è bisogno di aggiungere parole. E’, infatti, evidente il parallelismo che si

costruisce tra i tempi passati e i nostri giorni. Papa Pio IX esorta la Vergine a venire in soccorso,

ancora una volta, del suo popolo. E in quale altro momento della storia così tanto buio un pontefice

avrebbe potuto richiedere la protezione mariana, se non in quel particolare frangente, quando si

sentì privato del suo potere temporale? Sulla stessa linea proseguirà qualche anno più tardi con la

bolla Ineffabilis Deus, dove, nell’incipit esorta Maria affinché «riportasse il pieno trionfo sull'antico

serpente». Nei passi successivi il papa riconferma il ruolo di guida che la Vergine possiede, e che ha

34 «Ma dal momento che non siamo più rassegnati a registrare puramente e semplicemente i discorsi dei nostri

testimoni, dal momento che intendiamo costringerli a i parlare, sia pure contro la loro volontà, più che mai si impone un

questionario. Tale è infatti la prima necessità di ogni ricerca storica ben condotta. Parecchie persone, e anche -a quanto

pare- alcuni autori di manuali, si fanno un’immagine sorprendentemente ingenua del modo di procedere del nostro

lavoro. «All’inizio, direbbero volentieri, ci sono i documenti. Lo storico li riunisce, li legge, si sforza di valutarne

l’autenticità e la veridicità. Dopo di che, e dopo di ciò soltanto, li utilizza. Non c’è che un guaio: nessuno storico, mai,

ha proceduto in questo modo. Anche quando, per caso, immagina di farlo. I testi, infatti, o i documenti archeologici, sia

pure quelli in apparenza più chiari e compiacenti, parlano soltanto quando li si sappia interrogare. […] Naturalmente

occorre che la scelta ragionata di questi sia estremamente duttile, suscettibile di arricchirsi, cammin facendo, di una

folla di quesiti nuovi, aperta a tutte le sorprese e, in pari tempo, tale da servire, sin dall’inizio, da calamita per le

limature del documento. L’esploratore sa benissimo, in antecedenza, che non seguirà punto per punto l’itinerario

prefissosi. Ma, a non averne uno, rischierebbe di errare eternamente a caso». Cfr. Marc Bloch, Apologia della storia o

mestiere di storico, Torino, Einaudi, 1969, pp. 66-73.

35 Si è compiuta una scelta dei passi maggiormente significativi, all’interno dei quali si è usato il grassetto per

sottolineare le espressioni di sostegno alla nostra ipotesi, inserendo in Appendice, a fine tesi, le bolle papali nella loro

integrità.

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avuto nei momenti cruciali della storia della Chiesa36, ma lascia intendere che anche la società

attuale trarrebbe vantaggio da un suo intervento. Ed infine, a conclusione della bolla, si legge così:

la Vergine, che è gloria dei Profeti e degli Apostoli, onore dei Martiri, gioia e corona di

tutti i Santi, sicurissimo rifugio e fedelissimo aiuto di chiunque è in pericolo,

potentissima mediatrice e avvocata di tutto il mondo presso il suo Unigenito Figlio,

fulgido e straordinario ornamento della santa Chiesa, incrollabile presidio che ha sempre

schiacciato le eresie, ha liberato le genti e i popoli fedeli da ogni sorta di disgrazie e ha

sottratto Noi stessi ai numerosi pericoli che Ci sovrastavano, voglia, con il suo

efficacissimo patrocinio, portare aiuto alla santa Madre, la Chiesa Cattolica,

perché, rimosse tutte le difficoltà, sconfitti tutti gli errori, essa possa, ogni giorno di

più, prosperare e fiorire presso tutti i popoli e in tutti i luoghi, dall'uno all'altro

mare, e dal fiume fino agli estremi confini della terra, e possa godere pienamente della

pace, della tranquillità e della libertà.

A quali errori si riferisce Pio IX? Quali sono i nemici che egli teme? Come detto ampliamente

nella parte introduttiva di questo lavoro, il papa è preoccupato dal liberalismo, il socialismo e il

modernismo, ma soprattutto, per la repubblica che a Roma incalzava e che rischiava di privarlo del

suo potere temporale. Già nel novembre del 1848 qualcosa si era insinuato nella sua mente, quando

cominciò la preparazione dell’esodo. La permanenza a Roma era divenuta, infatti, molto disagevole,

e l’uccisione di Pellegrino Rossi fu la goccia che fece traboccare il vaso. L’importante era uscire

dallo Stato; la meta fissata era il Regno delle Due Sicilie, e, oltrepassato il confine, il primo centro

di una certa consistenza era Gaeta. Se nei documenti ufficiali che abbiamo analizzato, il papa cerca

nella Madonna una protezione, allora vuol dire che la Vergine è vista come colei che combatte

contro i nemici della Chiesa. Dalla Riforma protestante in poi, infatti, si era diffuso tale pensiero,

che poi trovò, proprio nell’Ottocento, un illustre rappresentante nell’abate francese Augustin

Barruel (1741-1820). Figura piuttosto controversa, gesuita e polemista, fu uno dei più feroci

oppositori dell’Illuminismo. L’Illuminismo, col suo forte tentativo di laicizzare lo stato, sarebbe

36 «Di questo nobile e singolare trionfo della Vergine, della sua straordinaria innocenza, purezza e santità, della sua

immunità da ogni macchia di peccato, della sua ineffabile abbondanza di tutte le grazie divine, di tutte le virtù e di tutti i

privilegi a Lei donati, gli stessi Padri videro una figura sia nell’Arca di Noè che, voluta per ordine di Dio, scampò del

tutto indenne al diluvio universale; sia in quella scala che Giacobbe vide ergersi da terra fino al cielo, e lungo la quale

salivano e scendevano gli angeli di Dio e alla cui sommità stava il Signore stesso; sia in quel roveto che Mosè vide nel

luogo santo avvolto completamente dalle fiamme e, pur immerso in un fuoco crepitante, non si consumava né pativa

alcun danno ma continuava ad essere verde e fiorito; sia in quella torre inespugnabile, eretta di fronte al nemico, dalla

quale pendono mille scudi e tutte le armature dei forti; sia in quell’orto chiuso che non può essere violato né devastato

da alcun assalto insidioso; sia in quella splendente città di Dio che ha le sue fondamenta sui monti santi; sia in

quell’eccelso tempio di Dio che, rifulgendo degli splendori divini, è ricolmo della gloria del Signore; sia in tutti gli altri

innumerevoli segni dello stesso genere che, secondo il pensiero dei Padri, preannunciavano cose straordinarie sulla

dignità della Madre di Dio, sulla sua illibata innocenza e sulla sua santità, mai soggetta ad alcuna macchia».

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stato un male per la società cristiana. Anzi, egli si spinse molto oltre, ipotizzando una sorta di

complotto ordito dai nemici della cristianità. Nei cinque volumi della sua poderosa opera del 1799

Saggi per giovare alla storia del Giacobinismo, Barruel, oltre ad analizzare le cause e le complesse

vicende della Rivoluzione francese, volle indagare anche sulle trame “occulte” che la resero

possibile e di cui, secondo l’abate, furono responsabili le intense attività di alcune logge

massoniche37. Per concludere38, potremmo ipotizzare che, se è vero che l’Ubi primum è la lettera di

un papa preoccupato dalle minacce della società moderna e costretto all’esilio, l’Ineffabilis Deus è

scritta in un periodo più tranquillo e può concentrarsi maggiormente sugli aspetti teologici e

dogmatici. Le domande che abbiamo provato a fare ai documenti, pur non cambiando di molte le

cose, forse ci hanno aiutato a comprendere meglio la situazione. Occorre ora passare ad altri quesiti,

che, tra l’altro, sono quelli che più interessano ai fini della tesi. Don Gréa come si pose nei confronti

della bolla di Pio IX? Perché scelse di dedicare il suo ordine proprio all’Immacolata Concezione?

II.5 «… Tibi perpetuae servitutis nostrae dedicantes inviolabile pactum»

Cerchiamo di capire come nasce questa relazione filiale dei nostri canonici regolari con

Maria. Alcune prime importanti indicazioni sono offerte dalla biografia dello stesso fondatore, don

Adriano Gréa. La prima è una scoperta di appena cinque fa. Come visto nel capitolo dedicato alla

sua vita, ordinato sacerdote nel 1856, egli divenne cappellano nella chiesa di Baudin nel Giura fatta

costruire nel 1854 dallo zio Edmondo Monnier nella sua ferriera. Qui, ci raccontano i biografi, il

giovane Gréa fondò una scuola per l’educazione religiosa e l’iniziazione liturgica dei figli degli

operai. Recentemente alcuni Canonici Regolari dell’Immacolata Concezione di Roma, pellegrini nei

luoghi in cui ha vissuto don Gréa, hanno visitato anche questa piccola cappella oggi abbandonata.

Dai loro racconti sappiamo che la custode, piuttosto sorpresa di vederli, rivelò loro come proprio in

quella stessa giornata avesse ritrovato il libricino della Dedicazione della chiesa autografato dal

Gréa. E qui la doppia coincidenza: la cappella, è dedicata all’Immacolata Concezione e la

Dedicazione è avvenuta nel novembre 1854, un mese prima che il papa, l’8 dicembre 1854,

proclamasse solennemente il dogma. Bisogna, però, ridimensionare l’accaduto. E’ probabile che

37 Stando alla sua tesi, tutto quanto accadde in quegli anni fu determinato e organizzato da chi teneva le fila delle

cospirazioni ordite nelle società segrete. Del resto, è proprio nel Settecento che nasce la moderna massoneria che,

organizzata in logge e ordini diffusi in tutta Europa, si configura come un’organizzazione potente in grado di

influenzare le più importanti scelte politico-economiche del tempo.

38 Teniamo in considerazione quanto detto nel precedente paragrafo, sulla maggiore presenza di riferimenti alla

minacciosa situazione politica nell’Ubi primum rispetto alla bolla definitiva del 1854.

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don Adriano fosse attento ai fatti della Chiesa di Roma, e perciò, avendo letto la lettera enciclica di

Pio IX del 1849, sperava in una vicina approvazione dogmatica. Tale spiegazione razionale, non

cancella tuttavia un certo mistero che il racconto dei canonici regolari, alla scoperta del loro

passato, ci hanno fatto. La seconda indicazione riguarda il sogno di don Gréa di far rinascere in

Francia l’antico e prestigioso istituto dei canonici regolari soppresso dalla Rivoluzione francese.

Nel 1870, partecipando al Concilio Vaticano I come teologo del vescovo, egli espose a Pio IX il suo

progetto e ottenne dal papa la benedizione sull’opera iniziata già da alcuni anni. Espressamente don

Adriano chiese e ottenne la denominazione dell’Immacolata Concezione. Da allora la

congregazione sarà chiamata dei Canonici Regolari dell’Immacolata Concezione e ancora oggi l’8

dicembre è celebrato come giorno di festa per tutta la comunità in onore della sua patrona. Proprio

in questa stessa giornata (terza e ultima indicazione) nel 1896 Gréa verrà eletto abate39 dell’abbazia

di Saint-Antoine nella diocesi di Grenoble, oggi come allora semi-abbandonata ma resa illustre

dalla presenza dei resti di sant’Antonio Abate. Da non dimenticare, inoltre, che l’8 settembre 1871,

giorno in cui la Chiesa festeggia la Natività di Maria, Adriano Gréa e altri quattro compagni fecero

la professione perpetua nelle mani del vescovo di Saint Claude. Quel giorno è per i Canonici

Regolari un’importante festa mariana e, insieme, ricorrenza della nascita della congregazione

dedicata a Maria. Dunque un legame forte con Maria caratterizzò l’ordine fin dalla sua fondazione e

continua ancora oggi, intatto, lungo la storia. Infine, c’è un importante documento già presente

nell’archivio CRIC a Roma, ma fortemente rivalutato durante la preparazione di questo lavoro, che

conferma ulteriormente quanto appena esposto. E’ uno scritto datato 18 ottobre 1867, nel quale lo

stesso don Gréa dedica la nascente congregazione alla Beatissima et Immaculata Virgo Maria,

affidando alla sua protezione i pochi novizi e gli studenti che vivevano con lui a Saint-Claude. Una

particolare protezione viene invocata affinché la Vergine possa sostenerlo nella difficilissima arte di

educare i giovani canonici. Riportiamo la Dedicatio (fig. IV.2), dalla quale, tra l’altro, è stato

estrapolato il titolo di questa tesi di laurea.

39 Da cui il titolo francese dom, italianizzato in don.

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Figura II.2 Documento contenuto nell’Archivio CRIC di Roma

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CAPITOLO III

IL CONCILIO VATICANO I E DON GRÉA

III.1 I parlamenti della Chiesa tra storia e memoria cristiana

Il termine concilio, assimilabile alla parola sinodo, richiama quelle assemblee che le comunità

cristiane, più o meno numerose, celebravano attraverso i loro personaggi rappresentativi per

discutere e decidere su problemi interessanti la vita ecclesiale. Diffuse già nel secondo secolo, in

configurazioni ereditate forse dai modelli del sinedrio ebraico e del senato romano, esse plasmarono

molto precocemente l’aspetto della Chiesa. Lungo i secoli della sua storia, infatti, simili riunioni

costellano molti percorsi delle comunità cristiane, piccole o grandi, in morfologie così frastagliate

da disarmare ogni tentativo di classificazioni troppo rigide. La prassi canonista, tuttavia, ha finito

per stilizzare alcune categorie, specificandole con il ricorso ad appositi aggettivi, quali «diocesano»,

«particolare», «regionale», «metropolitano», «generale», «universale», «plenario», «ecumenico»,

per indicare le tipologie, le dimensioni, gli scopi degli incontri ecclesiali riconducibili, pur nella

loro esuberante fioritura, alle simmetrie del sinodo o concilio. La qualifica di «ecumenico» si è

imposta per distinguere quelle assise cui si riconoscono valore e autorità vincolanti per l’intero

corpo della Chiesa. Un elenco elaborato in ambito romano-cattolico tra la fine del XVI e l’inizio del

XVIII secolo, aveva conteggiato in totale diciannove concili ecumenici; a questi sono stati aggiunti

in seguito, dalla stessa Chiesa, i due Vaticani del 1869-70 e del 1962. I concili hanno sempre

esercitato un particolare fascino sui fedeli. Recenti studi, mediante un’accurata analisi della

letteratura cristiana, orientale e occidentale, dalle origini attraverso il Medioevo sino all’età

moderna, hanno mostrato, infatti, come in una simile forma di aggregazione sia stata colta

un’emergenza solenne dell’unità fra le Chiese e i credenti e al tempo stesso un segno tangibile

dell’armonia ecclesiale. Va inoltre riconosciuto che nel gran fiume della vicenda del cristianesimo,

molte correnti di dottrina, di spiritualità e di devozione siano state sospinte o respinte, avviate o

imbrigliate, comunque poste in nitida luce, proprio ad opera dei concili. Per un accostamento

agevole, forse spontaneo, i concili sono spesso stati paragonati a quei modelli di assemblee

deliberative e rappresentative che vengono definiti organismi parlamentari.

In realtà quest’analogia affonda le radici nel tardo Medioevo, in particolare nelle teorie

cosiddette conciliariste, le quali trovarono sbocchi proprio sul versante degli equilibri del potere

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civile. Già negli anni trenta del secolo scorso, uno storico del liberalismo sostenne che simili tesi,

mentre consideravano la Chiesa alla stregua di uno Stato, finivano per proporre assetti alternativi

all’assolutismo monarchico. Ad esempio, era da considerarsi, a suo avviso, assolutamente rettilinea

la strada che conduceva dal concilio di Costanza a quella «gloriosa rivoluzione» che nel 1688

istaurò in Inghilterra un regime di tipo parlamentare. Non stupisce vedere riaffiorare l’analogia tra i

concili e i parlamenti ancora in occasione del Vaticano I. Il cardinale Antonino De Luca40, destinato

a diventare uno dei presidenti del concilio, affermava che la mentalità invalsa nell’epoca moderna

induceva ad accettare «più volentieri i decreti statuiti nelle assemblee legislative», riferendosi però

al Vaticano I. Nel diario di uno stenografo del concilio, Leone Dehon41, il tono di alcuni discorsi

tenuti in San Pietro veniva senza troppe remore definito «più parlamentare che episcopale». Il leit-

motiv, del resto, non si attenuerà neppure in occasione del Vaticano II. Ricordiamo solo che in una

conferenza stampa del 30 ottobre 1959 il cardinale Domenico Tardini, presidente della

commissione antipreparatoria del concilio, mostrava un’affinità tra la suprema assemblea

ecclesiastica e le grandi rappresentanze parlamentari. Si delineava così, a ragione, l'immagine di un

«parlamento mondiale di carattere sacro»42.

III.2 Il Concilio Vaticano I contro gli errori moderni

Il Concilio Vaticano I43, così designato dal luogo in cui si tenne, la basilica di San Pietro a

Roma, fu aperto da Pio IX l’8 dicembre 186944 e sospeso ufficialmente un anno dopo, il 20 ottobre

1870. Fu lo scoppio della guerra franco-prussiana e l’occupazione di Roma da parte del governo

italiano a causare la sospensione del concilio, che non sarà più ripreso e per questo motivo passerà

alla storia come incompiuto. Roma e la Città del Vaticano costituivano il luogo più adatto, carico di

40 Antonino De Luca (1805-1883), vescovo di Anversa nel 1845, arcivescovo titolare di Tarso nel 1853, cardinale nel

1863, fu membro della Congregazione direttrice e uno dei presidenti delle Congregazioni generali del Vaticano I.

41 Cfr. Leone Dehon, Diario del Concilio Vaticano I, (a cura di Vincenzo Carbone), Città del Vaticano, Tipografia

poliglotta vaticana, 1962, p. 74.

42 Non meraviglia affatto che un volume piuttosto recente di Philippe Levillain, dedicato a ricostruire gli sviluppi e le

elaborazioni del Vaticano II, s’intitoli La mécanique politique du Vatican II. La majoritè et la minorité dans un concile,

Parigi, Beauchesne, 1975.

43 Da rilevare, come nota curiosa, che la designazione di «primo» attribuita al Concilio Vaticano, appariva nei

documenti iniziali dell’assise ecumenica: si vedano i riferimenti precisi nello studio di Michele Maccarrone, Il Concilio

Vaticano I e il «Giornale» di Mons. Arrigoni, Padova, Antenore, 1966, p. 151.

44 Fu la bolla Aeterni Patris del 29 giugno 1868 a indirlo.

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eredità umane e cristiane, per un concilio ecumenico. La solenne assise sembrava riproporre la

tradizione ormai remota dei «concili papali» lateranensi celebrati nei secoli XII-XIII e, l’ultimo

all’abbrivo del Cinquecento. In realtà, se a partire dall’epoca della Restaurazione il prestigio del

papato e della Chiesa di Roma era sensibilmente accresciuto «nei cuori e nelle menti», la situazione

ecclesiale era molto mutata, non solo rispetto all’epoca del Medioevo ma anche a quella che, nel

secolo XVI, vide prodursi la grande frattura della cristianità e la celebrazione del concilio di Trento,

vero e proprio spartiacque nella storia della cattolicità occidentale. «Tre secoli sono passati dopo

l’ultimo concilio» era la costatazione, ovvia ma non superflua, dell’ambasciatore austriaco a Roma,

il barone Joseph Alexander Hübner, nel dispaccio inviato al suo governo il 13 luglio 1867, una

ventina di giorni dopo che Pio IX aveva dato l’annuncio di un nuovo concilio. Circondato da

moltissimi vescovi convenuti a Roma per assistere a solenni canonizzazioni durante la festa dei

santi Pietro e Paolo, il pontefice aveva manifestato, infatti, il proposito di convocare presto

un’assemblea ecumenica. Lo scopo, generalmente dichiarato, era quello di approntare «i necessari e

salutari rimedi» ai mali che incombevano sulla Chiesa. Il concilio fu inoltre convocato per definire

le prerogative dello stesso pontefice e il suo ruolo nella Chiesa. Proprio mentre stavano cadendo gli

ultimi resti di quel dominio temporale che per un lungo volger di secoli aveva accompagnato la

missione del pontefice, il primato di questi su tutta la Chiesa e l’infallibilità di determinati suoi

pronunciamenti ricevevano un solenne sigillo definitorio. Numerosi erano stati gli interventi del

papa che, insistentemente, lungo il suo lungo pontificato riportavano sulle stesse convinzioni.

L’autorità della Chiesa, del magistero, soprattutto quello papale, costituiva per Pio IX l’antidoto più

efficace agli smarrimenti che la cultura, la politica e la mentalità del tempo potevano provocare nei

fedeli. Animavano simile prospettiva la tragicità degli avvenimenti contemporanei e la trepida

sollecitudine di lanciare antiche e sicure ancore di salvezza. Secondo una suggestiva impressione,

papa Mastai si mostrava spesso incline a vedere «il mondo correre a ruina», e ad affermare che

l’unica salvezza provenisse dalla forte guida della Chiesa45.

E’ interessante, oltre che utile, andare a interrogare i documenti del tempo. Anche in questo

caso il periodico dei Gesuiti «La Civiltà Cattolica» ci sarà di grande ausilio. Nell’Allocuzione di Pio

IX del 26 giugno 1867, riportata integralmente sia in latino che in italiano46, era evidente la

contrapposizione tra regno di Gesù Cristo in terra e forze del male diffuse ovunque. Il pontefice si

45 Si vedano tutte le implicazioni che la proclamazione del dogma dell’Immacolata Concezione aveva avuto con la

complessa situazione del papato, come si è ampiamente esposto nel quarto capitolo di questa tesi dedicato a tale

argomento.

46 Cfr.”Allocutio habita in concistorio segreto die XXVI ivnii MDCCCLXVII”, in La Civiltà Cattolica, vol. 11°, 1867,

pp. 100-112.

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rivolge ai suoi fedeli vescovi, rammentando come «Già è gran tempo che Noi, per difesa della

giustizia e della religione, stiamo combattendo in campo contro astuti e fieri nemici»47. Manifesta,

così, la sua intenzione di convocare un nuovo concilio48. Qualche giorno più tardi i cinquecento

vescovi49 risposero in maniera piuttosto positiva e favorevole alla proposta del papa. Nella risposta

di Pio IX risaltava, inoltre, piuttosto nitidamente il non certo casuale richiamo all’intercessione

della Vergine Immacolata, e cioè Colei, sotto il cui piede fin dal principio fu posto il capo del

serpente. Non sarà per nulla un caso se il concilio si aprirà lo stesso giorno, in cui rinovellasi la

memoria di questo insigne privilegio a Lei conferito. Interessante è quanto afferma Annibale

Zambarbieri nella sua opera50 dedicata proprio ai concili tenutisi al Vaticano. La promulgazione

dell’enciclica Quanta cura e del Sillabo era avvenuta nel giorno della festa dell’Immacolata del

1864. Non sembra dunque per nulla casuale che proprio alla vigilia della pubblicazione di questi

documenti, il 6 dicembre, il papa avesse manifestato per la prima volta, sebbene in forma

confidenziale, la sua intenzione di convocare il concilio a un gruppo di cardinali esponenti della

Curia romana. Ancora una volta, dunque, i fili della storia e quelli della religione, quelli della

politica di un pontefice e la devozione alla Vergine, sono ben intrecciati tra loro. Il timore di

pericoli e di errori incombenti sulla Chiesa e sull’umanità attraversava molte lettere pastorali dei

vescovi, omelie, orazioni e libri ascetici. Molti cardinali e vescovi avevano, infatti, espresso un

parere favorevole circa la convocazione di un concilio: l’eresia protestante era riuscita a negare

«tutto il corpo de’ dommi rilevati». Ma soprattutto, come affermava energicamente il cardinale De

Luca, la terribile Rivoluzione francese aveva mostrato la sua devastante efficacia producendo «una

sfrenata empietà sotto forme filosofiche o di razionalismo, o di criticismo, o di panteismo, e di

materialismo».

47 Giuseppe Calvetti, cit., p.105.

48 «Imperocchè da gran tempo andiamo volgendo nell’animo cosa, che secondo le circostanze fu resa nota a parecchi

dei nostri Venerabili Fratelli, e confidiamo di poterla mettere in esecuzione, tostochè ci si offerisca la desiderata

opportunità; vale a dire di tenere un sacro ecumenico e generale Concilio di tutt’i vescovi dell’orbe cattolico, acciocchè

riuniti i pareri e congiunte le cure si apprestino coll’aiuto del Signore i rimedi necessarii e salutari contro i tanti mali da

cui è oppressa la Chiesa».

49 Si veda “L’indirizzo dei Vescovi e risposta del Santo Padre”, in La Civiltà Cattolica, vol. 11°, 1867, pp. 129-159. Vi

compare, inoltre, la lista dei nomi di tutti i vescovi interessati, con la rispettiva diocesi di appartenenza. Tra i tanti vi

compare anche il francese Lodovico Nogret (Ludovicus Nogret, Episc. S. Claudi), che, come sappiamo, portò con sé il

suo teologo di fiducia don Adriano Gréa.

50 Cfr. Annibale Zambarbieri, I concili del Vaticano, Cinisello Balsamo, Edizioni San Paolo, 1995. Il libro fornisce una

ricostruzione storica dettagliata e accurata dei due concili Vaticani, del 1869-70 e del 1962. Sono enucleati le diverse

posizioni e i diversi personaggi più influenti. L’inedito e puntuale accostamento tra i due concili si dimostra di grande

interesse.

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Di cosa effettivamente la Chiesa romana aveva così tanto timore? Nessuno poteva mettere in

dubbio che i lineamenti della civiltà mondiale presentassero aspetti originali e inediti. Quello che si

chiamava ormai «Occidente», comprendendovi gli Stati Uniti d’America, aveva conosciuto decisive

mutazioni e un accelerato sviluppo. Al culmine di un’ascesa secolare, inaugurata dai lumi e giunta

all’età del ferro e del vapore, nel periodo in cui si affermava la Rivoluzione industriale e nasceva

dalla filosofia razionalista il primo embrione dello Stato rappresentativo-parlamentare, la civiltà

occidentale era innervata da quelle che si rivelavano sempre più come nuove forze motrici della

storia. Ci riferiamo alla morale laica al di là dei dogmi e dei vincoli confessionali, al culto della

ragione e del metodo sperimentale, ai diritti civili per la prima volta riconosciuti, alla fiducia nel

progresso, nella scienza e nella tecnica. Nella civiltà europea si era diffuso un forte dinamismo che

proclamava l’idea di progresso in tutti i campi: nella scienza, con le sue applicazioni alla medicina,

nella tecnica, nell’istruzione, grazie ad una migliore scolarizzazione e alla stampa per certi versi più

moderna. Spesso, inoltre, nel corso dell’Ottocento, iniziarono le grandi migrazioni dalle campagne

alle città, per cui, grandi masse di uomini e donne si trovavano catapultati dall’universo dei campi,

in fitti agglomerati urbani. L’impatto di queste grandiose e composite trasformazioni con gli atavici

convincimenti e le strutture religiose si configurò spesso come uno stridente contrasto. Il francese

Hippolyte Taine51 descriveva efficacemente la sua società, quando parlando degli scienziati e dei

filosofi, da un lato, e della Chiesa, dall’altro, affermava che «I due quadri, dipinto uno dalla fede e

l’altro dalla scienza, diventano sempre più dissimili, e la contraddizione intima appare flagrante nel

loro sviluppo …» In effetti, molte difficoltà sorgevano non solo per la Chiesa cattolica ma anche

per tutte le altre confessioni cristiane di fronte all’idea di progresso. Più in generale, lo spazio della

religiosità pareva restringersi per colpa di quella modernità che prepotentemente avanzava.

La risposta del cattolicesimo, tuttavia, non fu quella di una passiva accettazione, bensì quella

di un nuovo e sorprendente attivismo, teso a rinvigorire e a esprimere in modalità originali,

convincimenti e scelte di fede. La struttura parrocchiale venne rinsaldata, mentre un forte impulso

ricevette l’istruzione catechistica. Alcune rinnovate forme devozionali, specie quelle rivolte alla

Vergine, al Sacramento e al Sacro Cuore, favorirono il diffondersi di una nuova pietà, non aliena

peraltro, dall’intento di riaffermare il valore e il peso della professione cristiana, anche in ordine

alla riconquista dei centri del potere politico. Per terminare questa breve introduzione, la Chiesa del

Vaticano I era percorsa da tali fremiti e inquietudini e impegnata a irrobustire e a difendere un

51 Cfr. la sua opera Les origines de la France contemporaine, Paris, Laffont, 1986, p. 685. Brevi, acute note sulla

posizione del Taine, in Owen Chadwick, The secularization of the European mind in the nineteenth century,

Cambridge, Cambridge University Press, 1990, pp. 202-211.

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ordine di cui si paventava l’offuscamento. La cronaca della fase preparatoria del concilio è

punteggiata da notizie, prese di posizione e proposte che rivelano un simile atteggiamento.

III.3 «Un popolo immenso occupava il portico e il grandioso tempio Vaticano»

Il 17 maggio 1868 si stabilì che, oltre ai vescovi residenti, anche quelli titolari52 fossero

membri dell’assemblea, mentre il 24 dello stesso mese fu deciso di ammettervi anche i generali

degli ordini religiosi, gli abati nullius, gli abati superiori di una congregazione generale53. Numerosi

furono, inoltre, i vari teologi invitati a partecipare al’importante evento. Più delicato il dilemma se

invitare o no i capi di Stato, i quali, secondo una solida consuetudine, erano intervenuti a passati

concili. Tramontò alla fine la partecipazione dei poteri politici: si trattò, infatti, forse dell’unico

concilio esclusivamente «ecclesiastico». I capi di Stato, infatti, designati come «populorum

principes et moderatores», erano semplicemente esortati, soprattutto se cattolici, a cooperare alla

buona riuscita dell’impresa. La frase, sebbene lasciasse aperto uno spiraglio alla collaborazione con

le autorità civili, segnava comunque un trapasso rilevante nella geometria, storicamente assai

composita, fra Chiesa e Stato. Un’ulteriore incertezza era sorta nella fase preparatoria circa gli inviti

da rivolgere a ortodossi e protestanti54. Nessuna svolta, però, si produsse in campo ecumenico,

poiché le reazioni dei cosiddetti “acattolici” furono nettamente negative. Il numero dei partecipanti

fu comunque rilevante e per la prima volta comprese anche vescovi di diocesi non europee.

Mercoledì 8 dicembre 1869 venne tenuta la solenne cerimonia inaugurale del concilio. «Un popolo

immenso occupava il portico e il grandioso tempio Vaticano», scrisse monsignor Vincenzo

Tizzani55, che ha fortunatamente lasciato un diario del concilio vera e propria cronaca costruita

giorno per giorno. I prelati presero posto nel transetto di destra della basilica, dove era stata allestita

l’aula conciliare. Alla prima cerimonia parteciparono, su un migliaio degli aventi diritto, circa

52 I cosiddetti titolari sono quei vescovi dotati del carattere episcopale, ma privi di responsabilità pastorale.

53 L’invito alla partecipazione era rivolto ai vescovi residenziali e titolari, oltre che agli abati e a tutti gli altri cui «per

diritto o per privilegio» spettava di intervenire ai concili. Formula, quest’ultima, non priva di genericità, che dette luogo

a successive discussioni.

54 Per approfondire quest’aspetto sarà utile leggere Angelo Tamborra, Il Concilio Vaticano I e gli ortodossi: illusioni e

disinganni. 1868-1870, Roma, Istituto per la Storia del Risorgimento italiano, 1970.

55 Si veda l’intervento di Giuseppe M. Croce, “Una fonte importante per la storia del pontificato di Pio IX e del Concilio

Vaticano I: i manoscritti inediti di Vincenzo Tizzani”, in Archivum Historiae Pontificiae, 23 (1985), pp. 217-345; 24

(1986) pp. 273-363; 25 (1987) pp. 263-363.

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settecento56 padri. Solo il terzo e il quarto concilio lateranensi e il secondo lionese avevano superato

la cifra del Vaticano, ma unicamente grazie a una presenza massiccia degli abati. Nel 1869-1870

l’episcopato57 mostrava una varietà di provenienza geografica mai prima segnalabile. Se per due

terzi l’assemblea era ancora europea, circa duecentocinquanta padri provenivano dal resto del

mondo: dall’America, dall’Asia, dall’Oceania e dall’Africa. Non mancava una nutrita

rappresentanza del rito orientale58. La prevalenza tuttavia dell’elemento europeo, anzi latino,

rimaneva comunque inequivocabile. I vescovi tendevano a distinguersi e a caratterizzarsi secondo le

varie nazionalità; spesso accadeva che all’interno di questi gruppi, specie in quello francese,

sorgessero delle differenziazioni negli orientamenti, sia ecclesiologici, sia politici. In via puramente

esemplificativa si può affermare che, se gli americani si mostravano piuttosto preoccupati che non

fossero condannate le libertà democratiche, e se l’episcopato germanico e ungherese si mostravano

profondamente preparati culturalmente, la competenza di quello spagnolo nell’ambito della teologia

scolastica era notevole.

Una divisione fondamentale, spesso ribadita dagli echi giornalistici e in genere dall’opinione

pubblica, fu quella che identificava nell’assemblea una maggioranza e una minoranza, rivestendo la

distinzione di analogie con gli schieramenti e le procedure invalsi nelle aule parlamentari. Gli stessi

vescovi parlarono con estrema naturalezza di partiti. Schematizzando in ampia misura, si possono

configurare tre gruppi. Da una parte si schierava la cosiddetta «maggioranza», formata da molti

vescovi che sollecitavano la perentoria ripulsa degli errori moderni secondo la traccia del Sillabo, la

solenne riaffermazione della guida indiscussa della Chiesa nei confronti della società e, soprattutto,

il richiamo al ruolo preminente del papa, da considerarsi infallibile. Di contro, un numero

notevolmente inferiore di padri, molto più cauti nel giudicare gli errori del loro tempo,

mantenevano, invece, un atteggiamento critico a riguardo della definizione dell’infallibilità

pontificia. Si può configurare, infine, un terzo gruppo59 che, pur non ostile all’infallibilità,

56 Tale numero rimase abbastanza costante lungo l’arco delle sedute, fino al sensibile calo che, iniziato dopo la Pasqua

del 1870, ne determinò in luglio la riduzione al livello di seicento.

57 Si possono ancora oggi utilizzare come strumento efficace i dettagliati volumi del benedettino tedesco Pius

Bonifacius Gams, ed in particolare la Series episcoporum ecclesiae catholica pubblicata a Ratisbona nel 1873. A

qualche decennio più tardi risale invece l’importante opera del francescano tedesco Konrad Eubel, la Hierarchia

Catholica Medii Aevi, su i papi, i cardinali e i vescovi del Medioevo, che apparve in tre volumi a partire dal 1898. Essa

copre il periodo dal 1198 al 1592 e, per alcuni versi, si mostra più dettagliata del lavoro del Gams. Con il titolo

Hierarchia Catholica Medii et Recentioris Aevi, il lavoro ha avuto un seguito e attualmente sono stati pubblicati altri

nove volumi che arrivano fino al 1922.

58 Assenti i vescovi dell’impero russo, ai quali era stato impedito il viaggio a Roma, e molti portoghesi di Goa, Angola e

Macao per difficoltà sorte in quelle zone.

59 Tra questi ricordiamo Joseh Fessler, vescovo austriaco di Sankt-Pölten e l’arcivescovo di Baltimora Martin Spalding.

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desiderava contenerne la portata entro limiti precisi, sulla falsariga delle dottrine teologiche antiche.

Ma furono soprattutto le prime due formazioni a polarizzare gli scontri dialettici all’interno e anche

all’esterno del concilio. All’interno sella maggioranza si notavano vescovi soprattutto italiani,

spagnoli, irlandesi o dell’America latina, per i quali la definizione dell’infallibilità pontificia

rappresentava il modo più ovvio per rispondere a un sentimento diffuso di devozione al papa, e il

mezzo più efficace per dirimere controversie teologiche collegate con il gallicanesimo e il

regalismo. Come si vedrà a breve, lo stesso Lodovico Nogret, vescovo e amico di don Gréa fu

sempre tra i convinti sostenitori del dogma dell’infallibilità del papa. Tra i padri della minoranza si

avvertivano istanze, teorie e sensibilità di diversa natura, che convergevano in una netta riserva

verso la progettata definizione. Nell’episcopato tedesco e austroungarico prevalevano motivazioni

di ordine storico e teologico. Monsignor Hefele, ad esempio, aveva presenti i casi dei papi Liberio e

Onorio, che inducevano a concludere come il magistero pontificio non fosse rimasto indenne da

pronunciamenti erronei. Un gruppo di teologi e sacerdoti, che, secondo le argomentazioni diffuse

dal prestigioso studioso tedesco von Döllinger (1799-1890) nel volumetto Il papa e il concilio,

ritenevano la nuova definizione conciliare in contrasto con la lezione evangelica, diede vita a uno

scisma. Si arrivò, così, alla formazione della Chiesa dei «Vecchi cattolici», numericamente

circoscritta, ma ancora oggi viva in paesi del centro-Europa. Lo scenario del concilio era popolato

da correnti e personaggi diversi, solcato da indirizzi di pensiero e impostazioni argomentative

molteplici: se ne poteva prevedere, nonostante ripetute voci in contrario, uno svolgimento non certo

monocorde. Anche le ripercussioni sull’opinione pubblica portavano i dibattiti fuori dall’aula

conciliare, intensificandone la risonanza anche attraverso approssimazioni e voci incontrollate.

Stampa e telegrafo fungevano da moltiplicatori di echi e di commenti, che si susseguivano e si

sovrapponevano in una ricca gamma di toni. «La Civiltà Cattolica» dedicò nei suoi volumi largo

spazio, come già accennato, sia alla fase preparatoria che al concilio in sé. Anzi molte notizie

curiose si colgono forse solo dal periodico. Come quella che racconta in anteprima dove e come

saranno alloggiati i vescovi partecipanti al concilio60. La macchina conciliare, oltre ai suoi membri

principali, constava anche di altri elementi che si giudicherebbero secondari, eppure in realtà

indispensabili: notai, scrutatori, interpreti, stenografi. E’ interessante notare che persino la

storiografia del concilio fosse in un certo senso studiata e preparata a tavolino dallo stesso Pio IX.

60 «Affine di provvedere convenientemente di alloggio il gran numero di Vescovi che verranno a Roma pel Concilio,

Sua Santità ha nominata una speciale Commissione prelatizia […]. Registriamo qui a tal proposito l’atto generoso del

sig. Principe Torlonia, il quale ha già offerto a Sua Santità il suo palazzo monumentale a piazza Scoscia Cavalli,

chiamato palazzo Giraud, perché vi possano albergare quei Prelati che il Santo Padre vi destinerà. Sappiamo di altri

Principi e Signori romani i quali si propongono di dare anch’essi ricetto ai Vescovi, per ossequio a Sua Santità, e per

servigio alla Chiesa». (Cfr. Giuseppe Calvetti “Cose spettanti al futuro concilio”, in La Civiltà Cattolica, vol. 5°, 1869,

p. 358).

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Egli ebbe, infatti, il merito di far raccoglierne con cura e conservarne gli atti ufficiali e tutta la

documentazione, provvedendo alla stampa degli atti delle congregazioni generali61. Qualche anno

prima il pontefice aveva affidato l’incarico a mons. Eugenio Cecconi62, arcivescovo di Firenze, di

scrivere la storia del Concilio Vaticano, mettendo a sua disposizione la documentazione anche non

ufficiale. Purtroppo, sebbene vari studiosi vi si siano dedicati con tenacia, ancora oggi la

storiografia del Concilio Vaticano I si presenta lacunosa, e le diverse fasi della sua storia si

dovrebbero approfondire ulteriormente. E’ da segnalare un lavoro di qualche decennio fa, ma non

per questo superato, dello studioso Bruno Bellone63, che si occupò, per primo, di fornire un’accurata

recensione dei vescovi dello Stato pontificio presenti al Concilio Vaticano I.

III.4 Nogret e don Gréa dicono la loro

La nostra attenzione si concentrerà ora, dopo una doverosa seppur rapida panoramica

introduttiva, su un aspetto specifico del Concilio Vaticano, e cioè sull’intervento di don Adriano

Gréa e del suo vescovo Lodovico Nogret, senza addentrarsi nella complessa rete di proposte,

discussioni anche piuttosto vivaci, problemi ecclesiologici, e decisioni finali del primo concilio

ecumenico che si tenne a Roma. E’ importante, però, considerare ancora altri elementi basilari. Dal

concilio di Trento in poi si andò affermando l’autorevolezza del binomio «fides et mores», che,

durante tutto il periodo della Controriforma, diventò lo schema rigido di classificazione degli

argomenti ecclesiali. Così, anche per il concilio del 1869 in una prima fase erano stati predisposti

progetti di risoluzioni secondo la stessa bipartizione. Il Concilio Vaticano I, però in finale, si limitò

solo a una parte degli argomenti dottrinali, poiché la sospensione del 1870 impedì la trattazione

degli argomenti riguardanti i «costumi».

Per avere un’idea su cosa accadesse nei giorni di quella particolarissima assemblea quale fu il

Vaticano I, faremo un rapido accenno alla prassi amministrativa, per così dire. Le «congregazioni

generali», o sedute ordinarie costituivano l’asse portante dei lavori: se ne conteranno ottantanove al

termine dell’assise. Presiedute dai cinque cardinali che rappresentavano il papa, De Luca, De

61 Furono editi in quattro volumi dal 1875 al 1878 dal prefetto dell’Archivio Vaticano, mons. Antonio Cani, sotto l’alta

direzione del cardinale Luigi Bilio, uno dei presidenti del concilio, nel 1884 si aggiunge un quinto volume, che concluse

la serie.

62 Ne uscirono quattro volumi in-quarto, dal 1872 al 1878, a cura della Tipografia Vaticana, sotto il titolo: Storia del

concilio ecumenico Vaticano scritta sui documenti originali.

63 Cfr. Bruno Bellone, I vescovi dello Stato pontificio al Concilio Vaticano I, Roma, Libreria editrice della Pontificia

Università Lateranense, 1966.

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Angelis, Bizzarri, Capalti e Bilio, iniziavano con la celebrazione della messa, proseguivano con la

comunicazione dei risultati delle eventuali votazioni della seduta precedente e con la lettura del

processo verbale. La fase senza dubbio più interessante, e talora palpitante, era quella dei discorsi

dei vari padri iscritti a parlare intorno ai testi proposti. Dopo le varie critiche, aggiunte e modifiche,

si poteva così procedere alle votazioni circa i singoli punti. Gli emendamenti che ottenevano la

maggioranza ritornavano alla commissione che li elaborava per il testo definitivo. Questo era poi

votato per appello nominale, secondo una triplice possibilità: placet (voto positivo), non placet

(negativo), placet iuxta modum (positivo ma a certe condizioni). In quest’ultimo caso, i votanti

dovevano presentare all’esame dell’apposita commissione le concrete modifiche proposte. La

votazione finale di un documento, espressa mediante placet o non placet, aveva luogo nel corso

delle sessioni pubbliche. La durata degli interventi, tutti in lingua latina, era a discrezione degli

oratori. Come detto in precedenza, sul Vaticano I pesarono le vicende internazionali. La sua fine

anticipata portò all’approvazione di solamente due fra i documenti preparati per essere discussi e

votati. La prima costituzione approvata, Dei Filius, si proponeva di mostrare, condannando diversi

errori contemporanei, che non vi fosse opposizione tra fede e ragione nel riconoscere i presupposti

della fede cattolica. Tuttavia indicava nella ribellione protestante e nella teoria del libero esame

l’origine di sistemi filosofico-culturali pericolosi per la Chiesa. Si parla poi della fede in un Dio

personale, libero e trascendente. Molto interessante è l’ultimo capitolo che affronta il tema delle

relazioni tra ragione e fede. Viene respinta l’autonomia assoluta della prima, ma non se ne offusca il

valore: non esistono e non possono esistere, infatti, due verità. L’altra costituzione, Pastor aeternus,

frutto di un intenso dibattito in aula, proclama che il papa è infallibile quando parlando

solennemente ex cathedra, con la consapevolezza soggettiva di mettere in atto la sua autorità,

interviene su una questione che riguarda la fede o i costumi. Il primato di Pietro e dei suoi

successori si qualifica dunque come «potere di giurisdizione», perciò differente da un semplice

«primato d’onore» poiché comporta una vera legittimazione a governare la Chiesa in ciò che

concerne fede, morale e disciplina. Come risulta dai documenti, sin da subito si entrò nel vivo delle

questioni, finché il 21 gennaio fu consegnato ai padri il Primum schema constitutionis de ecclesia

Christi. Constava di quindici capitoli e di ventuno canoni, il tutto corredato da settanta note

esplicative. Nel complesso lo schema nei primi dieci capitoli mirava a esporre l’essenza, le

proprietà e il potere della Chiesa, condannando gli errori contrari alla dottrina esposta. Il capitolo

XI, invece, trattava del primato del papa, che non doveva considerarsi mera prerogativa onorifica,

ma un vero potere di giurisdizione ordinaria e immediata nei confronti degli altri pastori e dei

fedeli. Gli ultimi quattro erano incentrati sul particolare rapporto della Chiesa con la società civile.

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Il capitolo XI è quello che maggiormente interessa ai fini della ricerca di questa tesi, poiché

dai documenti a disposizione risulta che Lodovico Nogret e don Gréa espressero il loro parere in

proposito. Come compare nell’Annuario pontificio (fig. V.2) del 1870 Lodovico Anna Nogret era

vescovo della diocesi francese di Saint-Claude dal 1862. Don Gréa vi si era trasferito da pochi anni

e aveva iniziato proprio lì con due o tre compagni l’esperimento dei Canonici Regolari, praticando

le osservanze e le penitenze della vita canonicale. Non dev’essere difficile pensare che in occasione

della convocazione del concilio il vescovo abbia chiesto all’illustre teologo di accompagnarlo. Forte

sarà il loro legame anche negli anni successivi, se don Adriano scriverà alla sua comunità

annunciando la morte del vescovo l’8 gennaio 1884: «Monsignor Nogret, nostro padre, nostro

benefattore e, in un certo senso, nostro fondatore è morto. Preghiamo per lui»64. Dai lacunosi dati

che possediamo, tornando a quel capitolo XI delle decisioni conciliari, si vede che Nogret, insieme

a Caverot, vescovo di Saint-Dié, condannarono alcuni errori. In particolare, secondo i prelati

francesi, sarebbe sbagliato che il pontefice non possa comunicare liberamente con tutti e singoli

pastori e i fedeli, indipendentemente dalle autorità civili65. In proposito, padre Galletti di Alba

chiede che siano aggiunte parole comminatorie contro quelle autorità civili che attentassero al libero

esercizio del ministero pastorale del sommo pontefice. Nogret e Caverot con il preciso intento di

condannare le dichiarazioni del concilio di Parigi voluto da Napoleone I nel 1811, che attribuivano

all’autorità civile il diritto di eleggere i vescovi, chiedono, invece, che alla sola sede apostolica

appartenga per diritto divino eleggere o confermare i vescovi. Secondo la loro proposta, dunque,

nessuno potrà più essere riconosciuto come legittimo pastore se non sarà prima stato eletto dalle

norme stabilite. Alcune utili informazioni dello stesso Eugenio Cecconi, nell’opera citata in

precedenza, forniscono informazioni indicative sulla particolare situazione della Chiesa di Francia

al concilio. «Dopo il Concordato del 1802, lo stato del clero francese è eccezionale, non solo nelle

sue relazioni col Governo, regolate dagli Articoli organici, ma bensì nelle sua disciplina interna. Il

Dritto canonico ha finito d’esistere in Francia. Ve ne ha di canonisti: una dozzina forse una ventina.

In pratica non c’è più il Dritto canonico. Importa che si conosca esattamente questo stato di cose,

senza dissimularne nè ingrandirne gli inconvenienti. L’abolizione di tutti i benefizii, la spogliazione

dei beni ecclesiastici, l’assegnamento somministrato al clero dallo Stato, sono state le cause

principali della dimenticanza in cui il Dritto canonico è caduto in Francia. Si cessò di studiarlo fin

64 Cfr. Tarquinio Battisti, cit., p. 42, nota 40.

65 La condanna di tale errore è enunciata nelle parole «supremi capitis cum pastoribus et gregibus communicationem

impediendam dicunt, aut eamdem reddunt saeculari potestati obnoxiam, ita ut contendant, quae ab apostolica sede vel

eius auctoritate ad regimen ecclesiae constituuntur, vim ac valorem non habere, nisi potestatis saecularis placito

confirmentur».

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dal giorno in cui riusciva di nissuna applicazione della pratica. Un gran numero di vescovi francesi

attendono a questo stato di cose»66.

Purtroppo non conosciamo direttamente gli interventi di don Gréa al concilio. Possiamo, però,

tentare di ricostruire a posteriori quelle che erano le sue posizioni e il suo pensiero. Il vescovo

Nogret era un convinto sostenitore dell’infallibilità pontificia poiché fortemente preoccupato, come

numerosi altri esponenti del clero, della Francia del tempo. Tenendo conto, dunque, sia del loro

particolare legame sia di alcuni scritti del teologo, è facile ipotizzare che anche don Adriano fosse

dalla parte di chi dichiarava che il Vicario di Cristo sia infallibile. Egli ha lasciato numerosi scritti67,

sicuramente poco noti agli studiosi, ma non per questo meno validi ai fini della ricerca storica. In

particolar modo il Gréa fu uno tra i primi teologi ad affrontare espressamente il tema

dell’episcopato, inserendolo nel discorso generale della struttura gerarchica della Chiesa. L’opera

alla quale si fa riferimento, che tra l’altro è considerata il suo capolavoro, è De l’Eglise et de sa

divine constitution68 iniziata nel 1878, ma già nelle intenzioni dell’autore quando era studente a

Parigi nel 1844-1845. Il merito di don Gréa non è quello di aver detto cose nuove sulla Chiesa, ma

d’aver dimostrato che se ne potesse parlare in modo nuovo pur dicendo cose antiche. Affermando

che la Chiesa è fondata sul collegio apostolico, al quale succede quello episcopale, si sofferma

molto sui vescovi e sulla loro unica e particolarissima consacrazione. Davvero nelle numerose

pagine del suo trattato emerge un’innovativa teoria del ruolo del vescovo, che, seppur sottovalutato

dall’ecclesiologia del suo tempo, troverà, invece, un pieno riconoscimento nel mondo della teologia

contemporanea. Don Gréa confutò l’episcopalismo dei Gallicani che attribuivano al collegio dei

vescovi e al Concilio il diritto di limitare l’autorità papale. Essi ritenevano, infatti, che l’autorità del

papa non provenisse da Cristo ma dal corpo episcopale, e perciò ad essa subalterna. Poiché il

teologo francese attribuiva ai vescovi un’importanza grandissima, si potrebbe sospettare una

vicinanza del suo pensiero con quello gallicano. In realtà, invece, in vari punti della sua lunga

opera, egli spiega molto chiaramente la sua posizione. Afferma infatti che «Il Vicario di Cristo è un

vescovo che sotto questa qualifica non è superiore agli altri vescovi: perché i vescovi sono tra loro

uguali. L’episcopato non soffre d’inferiorità in nessuno dei suoi membri, e il vescovo di Roma non

66 Cit. pp.208-209.

67 Sono ancora oggi conservati presso l’Archivio Cric nella sede della casa generalizia di Roma, in via Federico Torre al

Gianicolo.

68 Ebbe una lunga gestazione: nel 1880 l’editore Palmé accettò la prima pubblicazione; nel 1904 il libro apparve anche

in traduzione italiana ad opera di monsignor Lancia di Monreale, curata dalla libreria pontificia Pustet; infine, nel 1965

l’opera del Gréa veniva di nuovo ristampata dalla casa editrice belga Casterman a cura di padre Gaston Fontaine, un

canonico regolare dell’Immacolata Concezione.

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è più vescovo di quello di una qualunque sperduta città. Ma, Vicario di Cristo, questo vescovo

esercita un potere che non è contenuto nelle facoltà essenziali dell’episcopato, ma è al di sopra

dell’episcopato sia per natura che per titolo; poiché questo potere è il potere stesso di Gesù Cristo,

capo, principe e sovrano dell’episcopato»69. Concludendo, infine, essendoci per Gréa assoluta

identità fra l’autorità del papa e quella di Cristo, il papa viene definito supremo capo di tutti i

vescovi. Poteva allora, alla luce della nostra argomentazione, non ritenerlo infallibile?

Figura III.1 Frontespizio dell’Annuario Pontificio del 1870

Figura III.2 Pagina dell’Annuario in cui si nomina Nogret,

vescovo di Saint-Claude

69 Cfr. don Adriano Gréa, De l’Eglise et de sa constitution, Casterman, 1965, p. 142.

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CAPITOLO IV

I CANONICI REGOLARI DELL’IMMACOLATA CONCEZIONE A ROMA

IV.1 La fondazione della casa di Roma

Dopo aver disquisito a lungo sui vari aspetti della congregazione dei Canonici Regolari

dell’Immacolata Concezione fondati da don Adriano Gréa, nel capitolo conclusivo di questa tesi di

laurea tratteremo una questione piuttosto specifica che riguardò il fondatore, soffermandoci sul

periodo della costruzione della casa di Roma nei primissimi anni del Novecento. Nelle pagine

precedenti si è descritto il clima religioso che si respirava nel contesto della Francia della

Restaurazione. Tornando, poi, indietro di molti secoli si è cercato, dapprima, di ridare luce

all’antico ordo dei canonici regolari, e, in seguito di ripercorrere la complessa storia del dogma

dell’Immacolata Concezione. Infine, è stato il Concilio Vaticano I a occupare la nostra attenzione,

poiché don Adriano ebbe l’onore di parteciparvi.

A questo punto, però, la ricerca, partita da territori e tempi lontani, approderà a lidi non solo

più vicini poiché si parlerà di Roma e di una costruzione ancora visibile e abitata, ma avrà come

tema problemi pratici e discussioni che don Adriano dovette affrontare in prima persona. Difficoltà

concrete di chi dedicò la propria esistenza all’ideale, e non soltanto, restaurazione di un antico

ordine in Francia, nutrito com’era di un forte amore per il Medioevo e per quella particolarissima

regola che univa sant’Agostino a san Benedetto. Si è scelto di orientare la ricerca storica

complessiva seguendo un percorso che va dall’universale al particolare, poiché in questo modo, il

caso specifico di don Adriano Gréa, di certo poco noto se non agli stessi religiosi che ancora oggi

s’ispirano a lui, si colora di varie sfumature e acquista un respiro maggiore, tale da inserirlo

perfettamente nella storia di quegli anni. La fondazione della casa di Roma, inoltre, si presta

fortemente a uno studio visto che vi è tuttora presente l’unico archivio della congregazione, che ho

avuto la possibilità di visitare e dal quale ho tratto numerosi documenti inediti davvero interessanti.

Il piccolo archivio è popolato, infatti, oltre che dagli scritti di don Gréa, da tante altre tracce che

ancora una volta dobbiamo andare ad interrogare: dagli atti di vendita della casa alle foto in bianco

e nero che ritraggono un «Monte Gianicolo» poco abitato, dagli spartiti del canto gregoriano che si

cantava ogni giorno, fino alle più piccole curiosità che ci permettono di ricostruire la vita dei

canonici regolari di quel periodo. Ma procediamo con ordine.

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Perché la scelta di una nuova fondazione cadde proprio sulla Città Eterna? In più punti della

biografia di don Gréa scritta da don Benoît, sono contenute le motivazioni. Innanzitutto, perché i

superiori della maggior parte degli istituti fondati dopo il XIII secolo risiedono a Roma o almeno vi

hanno un loro procuratore. Don Gréa nutriva per la Santa Sede e per Roma una grande devozione

che aveva messo in luce in pagine ammirevoli nel suo libro sulla Chiesa e che aveva comunicato ai

suoi. Tutti, da qualche tempo, prevedevano, per un prossimo futuro, una fondazione a Roma come

un passo importante per la comunità. Delaroche cercava energicamente di persuadere don Gréa,

affinché, senza tardare, si stabilisse una residenza a Roma e si nominasse padre Antonio Moquet70

come superiore. Don Adriano scriveva a don Benoît il 10 ottobre 1899: «Stiamo per avere una

piccola residenza a Roma. É una bellissima cosa sulla quale ti darò dei dettagli. É giunto il

momento di essere presenti a Roma personalmente. Questo il parere dei nostri più illustri

consiglieri. Don M. A. Delaroche ha avuto da me l’incarico di prendere accordi con padre Pie de

Langogne, cappuccino, (…), che lui conosce e che in questo momento è consultore più accreditato

per vescovi e regolari. Costui (p. Pie de L.) chiedeva il nome di un procuratore generale per avviare

la cosa e preparare un piccolo centro per qualche studente che avrebbe seguito i corsi presso i

Domenicani (al Collegio Romano sono troppi e gli studenti non vengono ben seguiti). (…) Ma le

cose andarono diversamente: don M. A. Delaroche in persona accompagnò a Roma don Moquet,

come superiore, insieme ad altri nei primi giorni di novembre 1899 e vi rimase il mese di novembre

e di dicembre»71. Pare che la primissima sistemazione dei Canonici Regolari a Roma fosse in vicolo

Zucchetti n° 6, piuttosto piccola, e «secondo il fondatore (don Gréa) avrebbe dovuto ricevere

qualche studente destinato all’insegnamento e il procuratore generale. Ma ben presto, da modesta

residenza si passò ad un grande ambiente, una casa di proprietà del fratello di Delaroche sul

Gianicolo in via Trenta Aprile»72. Sebbene il Gréa volesse, almeno come idea principale, che i

giovani religiosi facessero tutti i loro studi nelle loro abbazie o collegiali, non era contrario al fatto

che alcuni di loro, terminati i corsi “elementari” potessero continuare gli studi di filosofia e teologia

a Roma. Era sua intenzione, infatti, che questi una volta terminati gli studi superiori, diventassero

70 Nato a Lione 7 maggio 1870, è qui ordinato sacerdote il 19 settembre 1896. Priore-procuratore a Roma e primo

assistente dei Canonici Regolari dell’Immacolata Concezione dal 1906 al 1930. Dopo essere uscito dalla comunità,

lavora come Vicario a La Bocca, uno dei principali quartieri di Cannes, dal 1932 al 1936, presso la parrocchia Notre-

Dame de Bon Voyage, dove muore il 10 maggio 1940.

71 Paul Benoît, Vie de Dom Gréa, 1914, pp. 446-448, opera inedita custodita presso gli archivi di Roma.

72 Paul Benoît, cit., p. 505. Maria Agostino Delaroche e suo fratello Stefano, anche lui religioso, erano originari di

Lione, dove il padre lavorava come esportatore di seta. Dai dati posseduti ricaviamo che Stefano sia stato più volte

prodigo nei confronti dei Canonici Regolari dell’Immacolata Concezione, soprattutto quando si trattò di acquistare la

casa di Roma.

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professori nelle case-maggiori e in altri collegi. Avendo la comunità dei Canonici Regolari un

Cardinale Protettore nella persona dello svizzero Gaspare Mermillod, si era quasi dell’avviso che

questi prestassero servizio in una chiesa di Roma; si pensava a Santa Maria in Navicella73, ma a

causa della morte del cardinale nel 1892 non si fece nulla. A quel punto il Gréa, vedendo che la

comunità cresceva e vi era la necessità di una fondazione vicino alla Santa Sede, decise di inviare a

Roma due studenti, nuovi professi e accoliti, Hugues Villon e Stalislas Chuard, per studiare

filosofia e teologia all’Accademia di San Tommaso. Questi furono affidati all’autorità di don

Antonio Moquet, loro superiore.

I Canonici a Roma hanno cambiato più volte residenza. Dopo varie peregrinazioni, infatti,

finalmente giunsero nella zona del Gianicolo, avendo raggiunto un compromesso ideale fra la

vicinanza con il Vaticano e con i luoghi di studio. Una sorta di dettagliatissimo diario di bordo

rinvenuto in archivio ci dà una precisa indicazione temporale sul momento del loro trasferimento. In

una pagina del 2 novembre 1901 delle Croniques particulières sur notre Reverendissime Père74

apprendiamo che «Il reverendo Delaroche, priore e maestro dei novizi, si è recato a Roma il 6

maggio e vi è rimasto per un mese e mezzo. Si trattava, per la comunità dei nostri giovani studenti,

di mettersi al servizio della confraternita di San Giovanni Decollato75, dedita all’assistenza dei

condannati a morte e ad altre opere di carità. Dopo una lunga discussione tale progetto fu

abbandonato. Essendo i nostri studenti cresciuti di numero e stando troppo stretti nell’abitazione

attuale, dovranno reperire un altro alloggio. Con soddisfazione possiamo annunciare che con tutta

probabilità e molto presto si trasferiranno sul monte Gianicolo, noto come località salubre, in una

abitazione provvista di giardino e di ogni altro conforto». Perciò con molta probabilità si può

ipotizzare che, a partire dal novembre del 1901, o appena qualche mese dopo, i Canonici Regolari

scelsero la zona del Gianicolo per la loro casa generalizia, per poi non abbandonandola mai più.

73 Santa Maria in Domnica, anche nota come Santa Maria alla Navicella, è una basilica di Roma. Sorge sulla sommità

del colle Celio, nell’attuale piazza della Navicella, così chiamata per la fontana a forma di nave romana che la decora.

74 Si tratta di un manoscritto inedito del canonico regolare Ignace Delavena. (Archivio CRIC, Titre III, 10/12).

75 Nel 1488 nacque a Firenze l’Arciconfraternita della Misericordia, con lo scopo di assistere i condannati a morte. Dal

1490 è presente anche in Roma presso la chiesa di San Giovanni Decollato, iniziando anche qui a svolgere la propria

opera di carità, che consisteva nel confortare i condannati a morte per decapitazione e nella cura della sepoltura dei

cadaveri. Ottenne da papa Innocenzo VIII l’area attuale su cui stabilirsi, nel rione Ripa, dove fu iniziata la costruzione

di un complesso conventuale, procrastinata fino alla metà del Cinquecento. I confratelli, nella ricorrenza del 29 agosto,

giorno del ritrovamento in Siria del corpo del Battista, avevano la facoltà di liberare un condannato a morte.

Nell’Ottocento le esecuzioni si svolgevano nell’adiacente piazza dei Cerchi.

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IV.2 «Io mi ritiro nella preghiera e nel silenzio»: don Adriano difende la sua regola

La prima cosa che si nota iniziando la ricerca nell’archivio dei Cric, è che il nome di Adriano

Gréa non compare spesso, o meglio, non fu lui a occuparsi personalmente della fondazione della

casa di Roma. Quando, infatti, venne fondata una casa dei Canonici Regolari dell’Immacolata

Concezione a Roma, paradossalmente c’era un altro vicario generale, don Maria Agostino

Delaroche76. Sintetizzando a grandi linee le varie tappe della sua vita, don Gréa, come detto, era

stato cappellano nella chiesa di Baudin, e poi, per molti anni visse a Saint-Claude dal 1865, dove

insieme con due compagni sperimentò una prima forma di vita canonicale. L’8 aprile 1876 Pio IX

accordò alla nuova fondazione il Decreto di Lode, e qualche anno dopo, il 12 marzo 1887 Leone

XIII approvò e confermò l’Istituto, rinviando, però, a un tempo più opportuno l’approvazione delle

costituzioni poiché ritenute incomplete77. La nuova comunità di canonici regolari crebbe

rapidamente, nonostante le rigide osservanze monastiche, che prevedevano il canto dell’ufficio di

giorno e di notte, oltre all’astinenza perpetua e al digiuno. Nel 1887, infatti, l’istituto di don Adriano

contava più di ottanta membri. Il fervore spirituale, lo splendore della liturgia animata dal canto

gregoriano, lo stile antico di vita dei suoi religiosi, rendevano la comunità di Saint-Claude un

unicum in tutta la Francia. Nel 1890 tale comunità, a causa di difficoltà sorte con il clero della

cattedrale, si trasferì a Saint-Antoine, nella diocesi di Grenoble, dove don Adriano riceverà il titolo

di abate. Si aprirono nel frattempo nuove fondazioni in Francia, Svizzera, Perù e Canada.

Nel 1899 fu fondata a Roma78 una casa per gli studenti, che diverrà in seguito procura

generale. Dopo la partenza da Saint-Claude, dove, stando alle testimonianze di ospiti della comunità

e di altre persone, si avvertiva e si viveva una profonda spiritualità, le cose cambiarono. Don Gréa

evitava di parlarne, tanto che i suoi confratelli e gli amici più cari, difficilmente si rendevano conto

di quanto stesse soffrendo. Ricordiamo che egli non aveva ancora presentato il progetto definitivo

76 Nato a Lione il 19 marzo 1849, dove compie gli studi letterari ed ecclesiastici. Ordinato sacerdote il 7 giugno 1873, è

nominato cappellano dell’orfanatrofio delle Cinq-Plaies (Lione). Ammiratore dell’opera iniziata da don Gréa a Saint-

Claude, vi comincia il suo noviziato nel 1889. Alla partenza di don Paul Benoit per il Canada, diviene il braccio destro

del Gréa; fu il fondatore della procura a Roma nel 1899 e “cofondatore” delle case in Perù (1905). Nominato, poi,

Vicario Generale della Congregazione nel 1906. Superiore Generale il 6 dicembre 1912, si trova di fronte alla

situazione della divisione della Congregazione e alle difficoltà della guerra, ma continua coraggiosamente la sua opera.

Fu lui, per esempio, a volere la fondazione della Parrocchia di Regina Pacis a Roma. Rieletto nel Capitolo Generale del

1924, per motivi di salute si vede imporre nel 1930 un Vicario Generale con pieni poteri nella persona del padre Ciprian

Casimir. Si ritira nel silenzio delle Cinq-Plaies di La Croix-Rousse a Lione.

77 Si rimandava a un’altra data, non ulteriormente specificata, l’approvazione degli statuti, per i quali si richiedeva una

più attenta e completa stesura, mentre nessuna modifica veniva avanzata riguardo alle osservanze liturgiche e

penitenziali, e all’organizzazione delle collegiate e le loro succursali.

78 Situata, per esattezza, sul Gianicolo nel quartiere di Monteverde in via Trenta Aprile n° 4.

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delle costituzioni, consigliato di aspettare anche dai cardinali Caverot e Mermillod, che gli avevano

suggerito «di non avere fretta: un tempo più lungo di prova ne avrebbe favorito una redazione più

prudente ed illuminata»79. In alcune case nell’Istituto, intanto, si stava manifestando una certa

insofferenza nei riguardi della regola, ritenuta piuttosto dura, quasi impraticabile: qualcuno iniziò a

remare contro e voleva cambiarla. Modificazioni e attenuazioni vi furono introdotte proprio nella

casa di Roma, ovviamente all’insaputa del fondatore. Spieghiamo meglio l’accaduto. Nel maggio

1906 la casa romana dei Canonici Regolari, procura e casa per studenti, situata sul Gianicolo, era

stata sottoposta a visita apostolica da Pio X, che l’aveva voluta anche per le altre comunità religiose

della città. Il visitatore mons. Luigi Morando80, vescovo di Brindisi, approvò notevoli mitigazioni

alla regola all’insaputa del fondatore. Il 26 gennaio 1907 fu inviato un decreto nel quale si diceva

che don Gréa, a causa dell’età non avrebbe più potuto essere il Superiore con accortezza e forza, e

che, pertanto, aveva bisogno di qualcuno dei suoi migliori collaboratori, che nello stesso tempo si

preparasse, così, anche a succedergli nella direzione dell’Istituto. Tale incarico fu affidato da Pio X

a don Agostino Delaroche. Don Adriano non si oppose, visto che stimava molto la persona

designata. Un secondo decreto, in cui si dichiarava che, pur riservando all’abate un primato d’onore,

tutta l’autorità passava nelle mani del Delaroche affinché egli potesse presentare le costituzioni alla

Santa Sede per l’approvazione, fece invece capire chiaramente al Gréa che non si trattasse di una

semplice nomina, ma di una sostituzione. Il Delaroche, infatti, ben presto redasse le costituzioni,

tenendo presenti le norme del diritto che regolavano la fondazione di nuovi istituti e soppresse

dunque quasi tutte le osservanze monastiche volute da don Gréa.

Tra le altre cose don Gréa venne anche accusato di non conoscere bene il diritto canonico, di

apportare innovazioni nel campo della liturgia, perfino di indebolimento della mente. Il votum del

consultore della Congregazione, approvato all’unanimità, criticava maggiormente: il ritorno

all’antichità; le eccessive osservanze concernenti l’ufficio e il digiuno; l’organizzazione delle case

maggiori in una congregazione a voti semplici. Le nuove costituzioni furono approvate per sette

79 Per tutta la questione si veda la dettagliata biografia di don Gréa scritta da Felix Vernet, Dom Gréa (1828-1917),

Paris, Labergerie, 1937. In particolar modo il capitolo V La grande épreuve (1906-1912), e il capitolo VI Dom Gréa

devant l’épreuve, pp. 142-163, presso l’Archivio CRIC, Titre III, 10/26.

80 Luigi Morando (San Pietro Incariano, Verona 1846-Brindisi 1909), della Congregazione dei Padri Stimmatini, era

vescovo di Brindisi dal 1909. La Congregazione delle Sacre Stimmate di Nostro Signor Gesù Cristo, comunemente

chiamata dei Padri Stimmatini, è una famiglia religiosa di confratelli (sacerdoti e non) di vita apostolica. Il loro

fondatore è stato Gaspare Bertoni, che nacque a Verona, nella repubblica di Venezia, il 9 ottobre 1777. Chiamato a

collaborare in una grande missione popolare nella parrocchia di San Fermo in Verona, rivelò il suo grande spirito di

evangelizzatore tanto da ottenere il 20 dicembre 1817 dal papa Pio VII il titolo e le facoltà di “missionario apostolico”.

Morì il 12 giugno 1853. Papa Giovanni Paolo II lo proclamò santo nel 1989. La loro Curia Generale è situata a Roma in

via Mazzarino.

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anni nell’ottobre del 1908 e definitivamente nel dicembre del 191281. In esse don Adriano non

riconobbe più la sua volontà originaria. Il suo comportamento di fronte alla prova lo possiamo

conoscere dalla lettura delle meravigliose lettere che ci ha lasciato. In un’accorata lettera di quegli

anni al cardinale Vivès82 scrisse: «Vostra Eminenza non può dubitare della mia sottomissione; ma

posso dissentire che a causa della nuova costituzione è abolita nei suoi punti essenziali l'opera ha

quale sono votato da cinquant’anni. Io mi ritiro nella preghiera e nel silenzio»83. Presto, diversi

professi, nonostante il parere contrario e l’insistenza del fondatore, chiesero e ottennero la

secolarizzazione. Egli rimase con alcuni padri e studenti che avevano chiesto di entrare in noviziato

nella casa in Liguria di Andora84, dove nel 1903 la comunità francese, perseguitata a causa delle

leggi Waldeck-Combes85, dovette esiliare.

Nel 1913 arrivò l’ordine di chiudere anche quella casa. Don Gréa, privato di ogni autorità e

ormai ottantenne, domandò e ottenne senza difficoltà, l’autorizzazione di lasciare l’istituto insieme

a un altro padre, don Michel, potendo in questo modo continuare a professare fino gli ultimi giorni

della sua vita l’antica regola alla quale si era votato. Nel 1915 il cardinale Sevin86 lo convinse a

recarsi a Roma per ottenere una separazione tra le due comunità, ma purtroppo questo tentativo

fallì. Decise a quel punto di ritirarsi in un luogo vicino al suo paese natale, a Rotalier, dai suoi nipoti

che si presero cura di lui fino alla morte, avvenuta il 23 febbraio del 1917. A questo punto è lecito

81 Il breve di Pio X per l’approvazione delle costituzioni Salutare maxime è dell’11 febbraio del 1913. Tali costituzioni

saranno, in seguito, profondamente modificate durante il Capitolo Generale di aggiornamento (1969-1971), e approvate

dalla Congregazione per i Religiosi con decreto dell’8 dicembre 1989.

82 Il teologo cappuccino spagnolo José de Calasanz Félix Santiago Vives y Tutó nacque a San Andrés de Llevaneras nel

1854. Fu nominato cardinale da papa Leone XIII. Divenne, poi, nel 1908 prefetto della Congregazione per i Religiosi.

Morì a Monteporzio Catone, presso Roma, nel 1913.

83 Cfr. la biografia di Felix Vernet, Dom Gréa (1828-1917), Paris, Labergerie, 1937, p.155.

84 I Canonici Regolari avevano fortunatamente trovato ospitalità nel paese della provincia di Genova, nella diocesi di

Albenga, in una grande villa affacciata sul Mediterraneo.

85 La legge Waldeck-Rousseau del 1901, che prende il nome dal politico francese Pierre Marie René Ernest Waldeck-

Rousseau, proclamò in Francia la libertà sindacale. La legge sulle associazioni assicurava un regime estremamente

liberale verso tutte le associazioni salvo che per le congregazioni religiose, alle quali veniva applicato uno statuto

discriminatorio, fino a giungere alla soppressione degli ordini religiosi, dei conventi e delle scuole religiose da tutta la

Francia. Le leggi volute, invece, da Emile Combes stabilirono di chiudere per decreto le scuole non autorizzate e il

divieto alle congregazioni religiose di insegnare.

86 Hector-Irenée Sevin (1852-1916) ebbe una lunga carriera ecclesiastica; fu ordinato sacerdote nel 1876 ed eletto

vescovo di Châlons-sur-Marne nel 1908. Divenne arcivescovo di Lione nel 1912 e cardinale nel 1914. Si schierò

fortemente contro il modernismo, e fu senza dubbio una delle personalità più eminenti della Chiesa di Francia del suo

tempo.

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domandarsi quale sia stata la sua regola difesa fino agli ultimi giorni della propria esistenza. Un

rapido excursus sulla sua vita e i suoi studi giovanili ci sarà d’aiuto.

Educato nel clima romantico della prima metà del XIX secolo, si può dire, infatti, che egli sia

stato portato quasi naturalmente a guardare al passato cristiano della Francia con interesse e

simpatia. Durante gli anni dei suoi studi a Parigi ebbe la possibilità di approfondire la patrologia e la

storia ecclesiastica al punto da orientarsi definitivamente verso il mondo cristiano antico e

medievale. Non fu di certo un caso isolato. Con la Restaurazione e il Romanticismo si diffuse,

infatti, in Francia un forte interesse verso il Medioevo, che si tradusse anche in una volontà di

recupero architettonico87, attraverso iniziative di censimento, salvataggio e restauro dei monumenti,

spesso con l'appoggio dello Stato. Un importante esponente di questo ambiente fu Viollet-Le-Duc88,

il grande reinventore del romanico e del gotico. Ispettore nel servizio dei monumenti nazionali

francesi, restauratore d'importanti edifici medievali, compilò due fondamentali enciclopedie di

antichità medievali, fondate su una straordinaria conoscenza di testi e monumenti. Nei suoi

numerosi scritti sostenne la teoria secondo la quale lo stile gotico, da lui proposto come stile

nazionale, sarebbe il risultato dei tentativi di risolvere un problema di carattere ingegneristico:

quello del collegamento degli archi a sesto acuto con le volte a costoloni. Alla fine dell'Ottocento,

attraverso minuziose osservazioni sui materiali e le tecniche si puntò a ricostruire l'organizzazione

del cantiere e la storia della costruzione medievale, mirando a comprendere non solo le funzioni ma

anche il significato simbolico dell'edificio e delle sue parti. Si affermò così in quegli anni una

concezione dell'archeologia medievale come complemento alla lettura stilistica e formale propria

della storia dell'arte.

L’amore per il Medioevo si manifestò, come più volte ribadito, nel recupero del canto

gregoriano, che don Gréa stimava moltissimo. Numerosi sono gli spartiti presenti ancora oggi

87 Alla luce degli studi recenti tutto ciò è apparso piuttosto rudimentale, poiché si studiavano essenzialmente i caratteri

strutturali e stilistici degli alzati, e si trascuravano spesso la ricostruzione dell’impianto originario e l’evoluzione storica

degli edifici. I diversi restauri allora compiuti in Gran Bretagna e in Francia s’ispirarono a criteri ora, non sempre a

ragione, rifiutati, poiché in taluni casi, più che mettere in luce e consolidare le strutture dell’edificio, si tese a ricostruire

un Medioevo ideale.

88 Viollet-le-Duc, Eugène-Emmanuel (Parigi 1814-Losanna 1879), architetto e scrittore francese,

specializzato nel restauro di edifici medievali. Nacque a Parigi da genitori benestanti. Contrario ai valori tradizionali,

non volle frequentare l’École des Beaux-Arts e nel 1836-37 venne in Italia per studiarne le opere architettoniche.

L’incontro con Prosper Mérimée, ispettore della Commissione per i monumenti storici, rappresentò una svolta decisiva

per la sua vita. Viollet-le-Duc progettò e sovrintese ai restauri della città di Carcassonne e della sua cinta muraria, del

castello di Pierrefonds, della chiesa di Vézelay, nonché delle cattedrali di Lâon, Amiens e Notre-Dame di Parigi. Fra le

sue opere si annoverano il Dizionario ragionato dell’architettura francese dall’XI al XVI secolo, in dieci volumi (1854-

1868) e il Dizionario ragionato dell’arredamento francese dall’epoca carolingia al Rinascimento, in sei volumi (1855-

1875).

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nell’archivio, a testimoniare che appena un secolo fa una comunità di religiosi viveva a Roma

imitando gli antichi monaci. Don Gréa per tutta la sua vita ritenne il passato come il solo depositario

di ciò che era stato vero e grande nella storia della civiltà e del cristianesimo. Il progetto di

restaurare i canonici regolari trova proprio in queste disposizioni e in questi pensieri la sua origine.

In varie lettere autografe degli anni sessanta don Adriano manifesta questo suo desiderio anche con

espressioni veementi: «anche a costo di ingoiare delle pietre, fonderò i Canonici Regolari»89. Egli

aveva ben presenti esempi molto eloquenti delle antiche comunità di chierici, istituite da

sant’Agostino a Ippona, da sant’Eusebio a Vercelli, da san Martino a Tours. Si rendeva conto di una

certa vicinanza tra l’Ordine monastico e l’Ordine canonico, e iniziò, così, a sognare di poter essere

prete in quella maniera antica, e di risuscitarla nel clero diocesano contemporaneo. Ma, invece di

creare dei canonici regolari per il suo tempo, con uno stile di vita adattato alle esigenze del XIX

secolo, il Gréa si lasciò forse troppo trasportare dalla sua stima per il Medioevo e per alcune sue

istituzioni. Diede quindi inizio a un gruppo di canonici regolari che, nelle sue intenzioni dovevano

essere la copia perfetta di certe comunità medievali. In una conferenza del 23 giugno del 1887

diceva: «Restaurando la vita canonicale, non devo far altro che ritornare alle antiche osservanze di

quest’ordine»90. Si rivelò, però, troppo idealista. Con una visione forse non del tutto corretta della

storia, don Gréa ritenne forme di vita possibili nel presente, solo perché lo furono nel passato. Di

conseguenza la regola che governava i canonici di don Gréa era complessa e, in un certo senso,

anomala. Proveniva in parte dalla cosiddetta regola di sant’Agostino, ma quasi tutte le osservanze

erano tratte dalla regola di san Benedetto, nella forma praticata in alcune comunità sorte dopo la

riforma gregoriana. Era un vero ammiratore della regola benedettina. Spesso nei suoi scritti ripeteva

che quasi tutti i fondatori di ordini si siano ispirati a san Benedetto o abbiano comunque ricevuto

qualcosa di positivo da lui. Nella regola del Gréa, infatti, grande spazio era riservato alle osservanze

ascetiche dell’astinenza perpetua, del digiuno, praticato secondo una forma stretta e rigorosa, e alla

cosiddetta Laus perennis della tradizione monastica, che comportava il canto integrale dell’ufficio

divino di giorno e di notte91. Prevedeva, inoltre, che i canonici possedessero i beni in comune fra

89 Cfr. Bruno Mori, Il contributo di Dom Adriano Gréa allo sviluppo della dottrina teologica sull’episcopato collegiale

e la Chiesa particolare, Roma, Pontificia Universitas Urbaniana, 1971, p. 4.

90 «Restaurant la vie canonique, je n’ai qu’à retourner aux antiques observances de cet ordre»: così si espresse in una

Conferenza del 23 giugno 1887. (Archivio CRIC, Titre III, 9/29).

91 Il XVI capitolo della Regola di san Benedetto, Qualiter divina opera per diem agantur, così recita: «Si deve

osservare quello che dice il Profeta: Sette volte al giorno io canto la tua lode. Questo sacro numero di sette sarà

rispettato se adempiremo il dovere del nostro servizio a lodi, prima, terza, sesta, nona, vespri e compieta, poiché a

queste ore diurne si è riferito il salmista dicendo: Sette volte al giorno canto la tua lode. Quanto alle veglie notturne il

medesimo Profeta dice: Nel mezzo della notte mi alzavo a celebrarti. Rendiamo dunque lodi al nostro Creatore per le

sentenze della sua giustizia a lodi, prima, terza, sesta, nona, vespri e compieta, e alziamoci per celebrarlo nella notte».

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loro, seguendo gli insegnamenti del santo di Ippona, che nella sua comunità aveva così deliberato:

«Norma fondamentale era che nessuno in quella società avesse qualcosa di proprio, ma tutto doveva

essere comune, e a ciascuno venir distribuito secondo il bisogno»92.

Le regole di sant’Agostino e di san Benedetto non erano, però, le sole a dirigere il nuovo

istituto. Se capitava che i religiosi del Gréa si trovassero davanti a situazioni e questioni troppo

moderne da essere contemplate dalle antiche regole, il fondatore non esitava ad attingere direttive

dalle costituzioni di congregazioni più recenti. Le norme così introdotte non avevano mai un

carattere definitivo, perché potevano essere sostituite con altre ritenute più valide. Questo suo modo

di procedere suscitò delle perplessità nei suoi contemporanei. Non soltanto era criticato per

un’eccessiva instabilità, ma non si riusciva bene a capire perché volesse imporre ai suoi religiosi

due regole. Con uno sguardo più profondo, in realtà, come si evince da studi recenti93, la stessa

regola di san Benedetto non appare scritta di getto, ma composta, per così dire, sul campo, da una

persona che si sia scontrata con le difficoltà e le esigenze della realtà quotidiana e ne sia stata con

frequenza indotta a rivedere, riconsiderare e modificare punti di vista e soluzioni normative. In

effetti, l’analisi attenta sia delle forme che dei contenuti ha confermato che la regola benedettina sia

frutto di un’elaborazione progressiva, e ha mostrato che certi brani siano delle aggiunte, che in altri

siano ripresi punti trattati diversamente in precedenza, che più volte sia ben visibile l’intervento

destinato ad adattare la norma a situazioni nuove. C’è, dunque, una vicinanza stretta tra la regola di

san Benedetto e quella del tutto particolare di don Gréa. Un documento trovato in archivio la mostra

chiaramente. Si tratta della lettera dello stesso Adriano a un certo monsignor de Poitiers94, che

Cfr. La Regola di San Benedetto, (con traduzione e commento di Anna Maria Quartiroli), Abbazia di Praglia, Edizioni

Scritti Monastici, 2002, pp. 142-143.

92 Cfr. Vita di Sant’Agostino/Possidio, a cura di Michele Pellegrino, Alba, Edizioni Paoline, 1955, pp. 52-53.

93 Negli ultimi decenni si sono moltiplicati studi scientifici approfonditi, di carattere storico, di analisi testuale e

letteraria, che hanno permesso una conoscenza più solida di san Benedetto, del suo tempo e della tradizione monastica

in genere. Tutto ciò ha favorito il moltiplicarsi di nuove edizioni della Regola. Si veda, in particolare, quella di Anna

Maria Quartiroli, cit., e La Regola di San Benedetto e le Regole dei Padri, a cura di Salvatore Pricoco, Milano,

Fondazione Lorenzo Valla/ Arnoldo Mondadori Editore, 2007. Cfr., inoltre, la recente edizione di un’opera di qualche

decennio fa, Luigi Salvarorelli, San Benedetto e l’Italia del suo tempo, (con postfazione di Girolamo Arnaldi), Roma,

Laterza, 2007.

94 Pie Louis, (Pontgouin, Eure-et-Loir, 1815-Poitiers 1880), vescovo di Poitiers dal 1849, risoluto ultramontano, fu il

capo riconosciuto dei cattolici intransigenti francesi durante il pontificato di Pio IX. In tutte le polemiche del suo tempo

(gallicanesimo, liturgia romana, Stati pontifici, infallibilità del papa) prese partito a favore della Sede romana in

opposizione al governo francese e ai cattolici liberali che avevano in Dupanloup la loro guida spirituale. Condannò

l’annessione di una parte degli Stati pontifici al Regno d’Italia (1861), criticando duramente l’atteggiamento di

Napoleone III in proposito e venendo per ciò deferito al Consiglio di Stato. La nomina a cardinale del 1879 lo

ricompensò, tuttavia, della sua fedeltà alle direttive del papa, soprattutto al Concilio Vaticano I. Fu autore di scritti

polemici e apologetici.

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commenteremo nel paragrafo successivo. I rapporti di don Gréa con l’eminente prelato non furono

frequenti a causa della sua morte prematura nel 1880. Tuttavia don Gréa non perse occasione per

intrattenere con lui relazioni sia per iscritto, sia in qualche provvidenziale occasione95.

IV.3 La formule des nos observances est conforme à ce que St. Benoît avait reglé pour les

Cenobites d’Occident

Fin dall’inizio della lettera don Adriano non sembra avere dubbi affermando che «la formula

delle nostre osservanze è conforme a quanto S. Benedetto aveva scritto per i Cenobiti di

Occidente»96. Soltanto alcune parole di commento. Don Gréa fa un rapido excursus storico a partire

dai tempi degli apostoli, sostenendo che nei primi anni della comunità cristiana non ci fosse molta

differenza tra i monaci, i chierici o i canonici: comuni erano le astinenze e i digiuni. Solo in seguito

si operò una distinzione tra l’ordine monastico e il clero secolare, e di conseguenza apparvero le

prime regole. Egli ha esplicite parole di lode per quella di san Benedetto, definita un «capolavoro di

discrezione»97. Pertanto don Gréa sembra voler giustificare che i primi Canonici Regolari

adottassero universalmente tale norma di vita, pur mantenendo uno spirito proprio e unico. Afferma

poi che l’Ordine Canonico Regolare fu piuttosto lento a svilupparsi, poiché per lungo tempo resterà

confuso nella massa del clero e salvo qualche raro esempio, come quello di sant’Agostino e di

sant’Eusebio di Vercelli, aspetterà l’undicesimo e dodicesimo secolo per apparire del tutto

formato98. Numerosi santi dell’antichità, sia in occidente che in oriente, erano stati piuttosto vicini

alle pratiche monastiche. Lo stesso sant’Agostino praticava digiuno e astinenza pur non essendo un

monaco. Non possedevano, inoltre, nulla di proprio. Bello è il riferimento alla permanenza

95 Fu uno dei religiosi ai quali il Gréa si rivolse per la domanda del Decreto di Lode (1876). Nel 1878 lo incontrò a

Lione in occasione della riunione annuale dei vescovi francesi. Durante il suo episcopato a Poitiers aveva anche accolto

a Beauchesne dei Canonici Regolari di San Giovanni in Laterano.

96 Questa lunga lettera di ben sei pagine priva di datazione si trova nell’archivio di Roma, e ha come titolo Note soumise

à Mgs. de Poitiers (Archivio CRIC, Titre III, 9/39). «Comme vous l’avrez reconnu, Monseigneur, la formule de nos

observances est conforme à ce que St. Benoît avait reglé pour les Cenobites d’Occident. Celle a été l’anciènne pratique

des Chanoines Réguliers et je ne crois pas qu’en cela ils se soient revêtus d’habits étrangers, et qu’ils soient sortis par

emprunts faits au dehors, de l’ésprit et de la tradition de leur Ordre».

97 «St. Benoît, résumant une tradition déjà ancienne et commune, redigea sa Règle, chef d’oeuvre de discretion, où tout

est ancien sauf la formule».

98 «L’Ordre Canonique Régulier fut plus lent à prendre son développement propre, et à parvenir à une existence

distincte. Il demeura longtemps généralement confondu dans la masse du Clergé, et sauf quelques rares exemples, tels

que ceux de St. Augustin et St. Eusèbe de Verceil, qui le dégagèrent dans leurs églises de l’élément séculier par voie de

suppression de cet element, il attendit les onzième et douzième siècles pour apparaître complètement formé et distinct

de ce qui n’est pas lui».

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giovanile a Roma99 nel 1856 nell’Abbazia benedettina di San Paolo fuori le Mura, dove don Gréa

alloggiò e condivise la vita monastica. In conclusione egli descrive lucidamente la realtà della sua

Francia, e si aggrappa, ancora una volta, a quel legame con il passato e la tradizione, stavolta quella

monastica, facendone un modello per il suo presente. «Mi sembra, infatti, che noi abbiamo bisogno,

noi che cominciamo e che nasciamo in questa terra di Francia, privi di rispetto, di obbedienza e di

virtù tradizionali, di questa osservanza in apparenza austera per attirare con il profumo del mirto le

anime, che cercano la croce e per scartare le anime deboli che la fantasia conduce alla vita religiosa

e che ne ignorano la vera virtù»100.

Col passare del tempo, purtroppo, le rigide osservanze monastiche incominciarono a essere

avvertite come impossibili da conciliarsi con le esigenze del ministero pastorale. Monaci o

canonici? Questo interrogativo serpeggiava tra i religiosi. Nacque, così, parallelamente all’operato

di Delaroche quel movimento di reazione al quale facevamo riferimento all’inizio del paragrafo.

L’opera del Gréa non fu, però, fortunatamente, distrutta, ma adattata con senso realistico sia alle

disposizioni del diritto che alle esigenze dei tempi. Ancora oggi essa è viva, conservando immutata

l’intuizione originale e valida che l’aveva fatta nascere: introdurre la vita comune e religiosa nel

clero ordinario delle chiese particolari, creando dei preti che siano i religiosi del vescovo. Papa Pio

X nel breve Salutare maxime dell’11 febbraio 1913, approvando le Costituzioni dei Canonici

dell’Immacolata, si espresse così: «Questi Religiosi che uniscono in modo così lodevole la vita

pastorale alla vita contemplativa, dimostrano all’evidenza, con il loro esempio, che i due generi di

vita non sono in contrasto tra di loro, ma quando siano ben compresi e regolati, si completino e si

fortificano a vicenda». I Canonici Regolari dell’Immacolata Concezione continuano oggi il loro

operato, pur risentendo della crisi delle vocazioni che sta interessando tutti gli ordini religiosi. Sono

presenti nel mondo in numero limitato ma in vari continenti e varie nazioni: in Italia (Roma e

Ferentino nel Lazio; Montichiari, Piubega e Volta Mantovana in Lombardia); in Inghilterra101; in

99 «Je sais, par mon sejour à St. Paul de Rome, tout ce qu’il y a de vertu pure et simple, d’obéissance, de pauvreté, et

surtout de délicieuse charité dans ces vieilles institutions de l’Italie, moins resserées en apparence par la rigueur de la

lettre que par la douce ferveur de l’esprit».

100 «Il me semble en effet que nous avons besoin, nous qui commençons et qui naissons sur cette terre de France

dépourvue de respect, d’obeissance, et de vertus traditionnelles, de ces observances assez austères en apparence pour

attirer à l’odeur de la myrrhe les âmes qui cherchent la croix et pour écarter les âmes légères que l’imagination mène à

la vie religieuse et qui en ignorent la vertu veritable».

101 La prima comunità CRIC in Inghilterra fu fondata da padre Francis Burgess nel 1937. Mentre in molti paesi i

Canonici Regolari hanno più di una parrocchia, attualmente ce n’è soltanto una in Inghilterra, a Milton Keynes, vicino a

Londra.

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Francia102; in Canada103; in Usa104; in Perù105; in Brasile106. Il futuro della congregazione resta un

interrogativo aperto. Si opereranno forse delle fusioni con altri Canonici Regolari107, o si

chiuderanno alcune case? La prova più ardua sarà comunque quella di conservare intatto lo spirito

del fondatore che, in nome della Immaculata Virgo Maria, si era così espresso: «Je ne cesserai de

me donner à cette oeuvre des chanoines réguliers»108.

IV.4 La «Villa in Roma al Monte Gianicolo»

Dopo aver affrontato le varie questioni e i vari aspetti del nostro lavoro, sperando di aver

tracciato in maniera sufficientemente esaustiva la storia della congregazione di don Gréa, sarà utile

lasciare lo spazio ad alcuni documenti e immagini reperiti in archivio. Come accennato all’inizio di

questo capitolo, essi racchiudono le più disparate notizie.

102 I CRIC si sono insediati nella regione dell’Alvernia nella Francia centro-meridionale, a Charroux, che fu fin dal

Medio Evo una città fortificata autonoma.

103 L’insediamento è a Brigham, un comune fondato nel 1855 situato nella provincia del Quebec nella regione

amministrativa di Montérégie.

104 Negli Stati Uniti sono nella città di Santa Paula in California nell’arcidiocesi di Los Angeles.

105 I primi tre missionari CRIC arrivarono al Callao, porto di Lima, il 20 novembre 1905. Furono ospiti dei Padri

Redentoristi che li accolsero in modo fraterno. Si stabilirono nella poverissima città di Chachapoyas. Sono presenti

ancora oggi a Lima, Zarumilla, Tamarindo, Uchumayo.

106 L’insediamento originario in Brasile è avvenuto nello Stato del Goiás, dove si trovano attualmente. Nel 1998 è stato

costruito il nuovo seminario CRIC di Santa Monica in una parte della fazenda della diocesi, nel municipio di Goiânira,

confinante con Brazabrantes. Ci sono varie parrocchie, nelle quali, anche grazie alla collaborazione dei laici, i sacerdoti

si occupano soprattutto dei bambini orfani. Oggi sono a Brazabrantes; Santo Antônio de Goiás; Caturaí e Goiânira.

107 Forse con i Canonici Regolari Lateranensi, con i quali già si fanno attività comuni?

108 In questo caso si è mantenuta la lingua originaria che ha una maggiore carica espressiva. Il passo è tratto da una

lettera manoscritta di don Gréa del 7 febbraio 1863 all’abate Bouvet conservata in archivio (Archivio CRIC). Don

Adriano aveva conosciuto Raymond Bouvet negli anni della gioventù. Egli fu, infatti, curato di Marigna-sur-Valouse

(Giura) per trent’anni.

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Figura IV.1 La prima casa di Roma

La prima casa di Roma, destinata inizialmente agli studenti e, in seguito, adibita a procura

generale, fu fondata nel 1899 sul colle Gianicolo in via Trenta Aprile (fig. VI.1). Molti degli edifici

circostanti e lo stesso terreno sul quale si costruì la casa erano stati a lungo proprietà della Banca

d’Italia109. La trasformazione del vasto territorio alle falde del colle Gianicolo, in gran parte di

proprietà della principesca famiglia Barberini di Sciarra110, alla fine dell’Ottocento vide, infatti,

coinvolta la stessa Banca d’Italia. Questa zona collinare, pur compresa nel tracciato delle mura della

città, era caratterizzata fino ad allora da pochi edifici di tipo suburbano e soprattutto dall’importante

presenza della mostra dell’Acqua Paola111, monumento che ricordava l’arrivo dell’acqua in questa

zona che ne era precedentemente sprovvista. Come si può notare anche dalla foto, l’area circostante

era quasi del tutto disabitata ed era rimasta pressoché inedificata fino all’Unità d’Italia. Il passaggio

109 Per un approfondimento si veda l’articolo di Gerardo Doti, “Un nuovo episodio urbano tra Otto e Novecento. Il

quartiere di Villa Sciarra al Gianicolo e San Cosimato”, in Roma moderna e contemporanea, 3 (2002), pp. 421-454.

110 Ai possedimenti originari aggregò grossi appezzamenti di terreno di provenienza diversa. La vicenda di tale

vastissimo territorio, inizialmente suddiviso tra due grandi proprietari (Sciarra e Spada), più alcuni piccoli proprietari, è

piuttosto complessa. Alcuni di questi terreni furono venduti dallo Sciarra alla Compagnia Fondiaria (13 settembre 1888,

atti Polidori) e finalmente ceduti alla Banca d’Italia. Altri terreni vennero posti in sociale dal principe Sciarra con la

Compagnia Fondiaria e in parte ceduti per 1/8 alla Banca Subalpina di Torino: anche questi terreni giunsero fra le

proprietà della Banca d’Italia.

111 L’acqua, proveniente dal lago di Bracciano, vi fu portata per la prima volta da Traiano; decaduto l’acquedotto, la

fornitura idrica fu ripristinata da Paolo V che nel 1612 fece restaurare ed integrare le condutture e fece costruire il

“fontanone” dell’Acqua Paola sul Gianicolo e un’altra fontana alla testata di ponte Sisto, in fondo a via Giulia (ora

spostata sulla piazza di ponte Sisto a Trastevere).

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di Roma a capitale del Regno determinò, nel giro di pochi anni, un primo, rapido sviluppo

urbanistico della città. Nella scelta della tipologia edilizia con cui procedere all’edificazione del

nascente quartiere, si preferì ricorrere al tipo del “villino” di raffinato disegno e circondato dal

verde, destinando dunque la zona a un ceto sociale medio-alto. In particolar modo, dagli atti

documentari risulta che tre villini, uno su via Garibaldi, uno su viale Glorioso e appunto quello su

via Trenta Aprile, costruiti con un linguaggio architettonico aperto a citazioni neo-gotiche e neo-

romaniche (con largo uso di torri, atrii porticati, polifore), furono tra le prime proprietà ex-Sciarra

che passarono alla Banca d’Italia. Dopo averli acquisiti, non risulta che la Banca d’Italia abbia

eseguito interventi diretti di tipo edilizio su questi tre villini per i quali, stante il loro pregio, si

trovarono immediatamente delle offerte di affitto fino a che, dopo pochi anni, furono venduti a enti

pubblici o religiosi e a una nobile famiglia romana. Il terzo villino, che è la location di nostro

interesse, posto nel terreno di forma pressoché triangolare fra via Seni, via Calandrelli e via Trenta

Aprile, era stato affittato fin dal gennaio 1895 ad un certo Ascenzi per «stabilirvi una casa di riposo

per malattie nervose e mentali», destinazione d’uso che venne mantenuta nonostante la Banca

d’Italia si fosse premunita di vietare, in una convenzione successiva che stipulò con il Comune nel

dicembre 1898, la costruzione di sanatori, ospedali o case di salute nel quartiere Gianicolo.

L’Ascenzi vi fece molte “migliorie” ma, nonostante l’interesse dello stesso affittuario, questo

villino fu venduto nell’ottobre 1901 a don Antonio Moquet, procuratore dei Canonici Regolari

dell’Immacolata Concezione per £. 83.000. In archivio tra le varie carte c’è anche una piccola

mappa stradale che indica con precisione ove fosse ubicata tale costruzione: era tra Villa Sciarra112

e le Mura Urbane113 (fig. VI.2). Col colore rosso sono indicati i confini: è interessante notare con

quanta cura sia stato eseguito lo schizzo.

112 La storia della villa, che avrà nel corso del tempo vari proprietari, inizia nel Quattrocento. Nel 1575 il terreno

divenne proprietà di monsignor Innocenzo Malvasia che vi fece edificare un casino, un edificio a due piani con loggia.

Nel 1614 la proprietà fu acquistata da Gaspare Rivaldi, appaltatore delle Dogane Pontificie, fino al 1653, quando

Antonio Barberini ristrutturò completamente l’edificio insieme al verde circostante. Dopo un breve passaggio alla

famiglia Ottoboni, la villa fu di nuovo acquistata nel 1746 dai Barberini, e precisamente da Cornelia Costanza

Barberini, moglie di Giulio Cesare Colonna di Sciarra: i figli erediteranno, così, i beni e il nome della famiglia Colonna

di Sciarra e dei Barberini. Nel frattempo la proprietà si era ingrandita talmente da occupare, intorno al primo ventennio

dell’Ottocento, tutta l’area del Gianicolo e di Monteverde compresa tra le antiche mura Aureliane e le nuove mura

Gianicolensi. Nel 1849 la Villa fu l’epicentro dei combattimenti avvenuti fra le truppe italiane guidate da Giuseppe

Garibaldi e quelle francesi del generale Oudinot: gravi furono i danni subiti dal complesso. L’ultimo proprietario della

Villa fu il principe Maffeo II Sciarra che, in seguito ad errate speculazioni finanziarie, perse l’intero patrimonio e così il

terreno fu lottizzato in base a convenzioni stipulate nel 1889 tra il Comune di Roma, la Compagnia Fondiaria Italiana e

lo stesso principe.

113 Le mura di quel tratto di città furono realizzate da Urbano VIII e non appartengono al circuito delle antiche mura

Aureliane.

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Figura IV.2 Mappa stradale con le coordinate della casa

Nel documento seguente (fig. VI.3), si dice che il giorno 18 febbraio 1905 due ingegneri, uno in

rappresentanza di Stefano Bastard Delaroche, come già detto fratello di Maria Agostino, e un altro

al posto degli altri proprietari, e cioè l’impresa Ricciardi, si recarono al Gianicolo per tracciare le

rispettive linee di confine. Le loro rispettive proprietà, infatti, «hanno le fronti sui viali Trenta

Aprile e Nicola Fabrizi».

Figura IV.3 Verbale conservato in archivio

Le due immagini successive (fig. VI.4 e fig. VI.5) sono documenti di consuntivo e collaudo dei

lavori eseguiti.

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Figura IV.4 Documento relativo alla casa del 1903

Figura IV.5 Documento relativo alle spese effettuate

Stefano Bastard Delaroche nel 1908 decise di affittare la casa di via Trenta Aprile, un maestoso

fabbricato di tre piani, con scuderia e terreno circostante, ad Antonio Moquet. L’atto di affitto (fig.

VI.6) stabilisce che si inizierà dal 1° gennaio 1908 fino al 31 dicembre 1910. Viene specificato, tra

l’altro, che la casa, composta di ben venticinque ambienti disposti su tre piani e un piano sotterraneo

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(con piccola scuderia e un orto circostante) sia in «perfetto stato di abitabilità» e che «i locali si

affittano al solo uso di civile abitazione».

Figura IV.6 Atto di affitto dell’abitazione

Le cose, però, andarono un po’ diversamente dal previsto. Stefano Delaroche, infatti, venne a

mancare nel 1909, lasciando in eredità a suo fratello Maria Agostino ricche proprietà, tra le quali il

famigerato villino di via Trenta Aprile. In un’altra immagine (fig. VI.7) c’è l’atto di successione

stipulato presso il Tribunale Civile e Penale di Roma alla presenza di Antonio Moquet come

procuratore di Maria Agostino. Nel successivo, invece, un documento dattiloscritto (fig. VI.8),

sicuramente posteriore anche se non datato, nel quale si traccia il resoconto delle proprietà dei

Canonici Regolari a Roma. In un francese arcaico, ma non per questo difficile da tradurre, si dice

che il collegio posseduto, e cioè la casa-studentato in via Federico Torre, sia stata acquistata con la

vendita del villino sul Gianicolo: «Le college fut bâti avec l’argent qui provint de la vente de notre

maison du “Gianicolo”». A questo punto tutti i nodi sono stati dipanati, e, grazie soprattutto ai

documenti d’archivio, i vari spostamenti dei nostri religiosi appaiono più chiari.

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Figura IV.7 Atto di successione

Figura IV.8 Elenco delle proprietà

Infine, qualche documento, per così dire, interno alla casa: nel primo (fig. VI.9) una vecchia foto

che contiene sul retro preziose indicazioni; nel secondo (fig. VI.10) una preziosa lista di Règles

Communes che disciplinavano il comportamento degli studenti sia in casa che all’esterno, e, nel

terzo (fig. VI.12) uno spartito di canto gregoriano, Modus Hinc Marianus.

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Figura IV.9 Retro di una vecchia fotografia

In archivio abbiamo avuto la fortuna di trovare per caso un doppio documento, o meglio, due

importanti tracce contenute in un'unica carta. La curiosità sta nel fatto che nel fronte ci sia una foto

della casa che abbiamo già descritto (fig. VI.1), e che nel retro sia ben visibile un appunto o

un’annotazione scritta molto probabilmente dallo stesso Delaroche. In essa si traccia il progetto di

suddivisione dell’abitazione in piani e varie stanze (fig. VI.9). Viene detto che al pian terreno ci

sono la cucina, la dispensa e il refettorio. Al primo piano il salone, la libreria e una loggia. Accanto

a questa doveva esserci un’altra libreria con una grande porta che conduceva all’esterno114. Nel

secondo piano doveva essere localizzata una spaziosa biblioteca al di sopra del salone. Infine il

terzo era del tutto riservato agli studenti, suddiviso nelle varie camere, e comprendeva anche un

luogo riservato alla cappella.

114 Con estrema sincerità il compilatore ipotizza che potrebbe essere la sua stanza!

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Figura IV.10 Le Règles Communes

Procediamo verso il secondo dei documenti (fig. VI.10). Sebbene non siamo in possesso della data

esatta delle regole scritte in francese, esse racchiudono particolari interessanti sulla vita quotidiana

dei religiosi. Sembrerebbero dodici indicazioni più che veri comandi da eseguire, visto che non si

parla affatto di eventuali punizioni o rimproveri in caso di inadempienze. Interroghiamole. Nelle

prime dell’elenco si dice che gli studenti dovranno ascoltare il suono della campana per sapere

quando entrare in chiesa. Poi entreranno tutti insieme per la benedizione del Padre Superiore (Père

Supérieur). La quarta regola ci colpisce particolarmente: è quella del silenzio. Si doveva osservare

un silenzio assoluto in tutti i luoghi della casa ad eccezione del momento di ricreazione. Il silenzio

era di regola davvero in ogni momento, anche durante la mensa che, in conformità con l’uso

introdotto da sant’Agostino, veniva accompagnata dalla lettura, e nelle case degli studenti da

esercizi di eloquenza, con disquisizioni per lo più teologiche. Se qualcuno avesse avuto qualcosa di

necessario da dire, avrebbe dovuto chiedere il permesso per poter parlare, però sempre e soltanto a

voix basse. La quinta regola disciplinava il comportamento degli studenti mentre si recavano

all’università per assistere alle lezioni. Alcuni dei canonici andavano a studiare presso

l’Angelicum115, altri, invece, al Propaganda Fide116. Nell’archivio sono conservate tutte le loro

pagelle, e, in via esemplificativa ne inseriamo due, una per ciascun istituto (fig. VI.11).

115 La Pontificia Università San Tommaso d’Aquino, conosciuta anche come Angelicum, è l’istituto di insegnamento e

ricerca dei Domenicani a Roma. L’Angelicum affonda le sue radici nello Studium medievale dell’ordine domenicano.

Fu fondato da monsignor Juan Solano († 1580) presso il convento della Minerva a Roma. Nel 1727 papa Benedetto XIII

concesse agli studi maggiori dell’ordine domenicano, e quindi anche al Collegio di San Tommaso, il diritto di conferire

i gradi accademici in teologia agli studenti esterni. Nel 1873 il Collegio dovette iniziare un periodo di migrazione: per

vari anni dovette cercare rifugio in alcuni palazzi romani. Solo nel 1882 avvenne la fondazione della Facoltà di

Filosofia e, nel 1896, quella della Facoltà di Diritto Canonico. Nel 1906 ricevette da Pio X il titolo di Pontificium, e

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Figura IV.11 Pagelle degli studenti

Ritornando alle Regole, in un altro punto viene detto che durante il tragitto verso la scuola gli

studenti avrebbero dovuto, all’andata, ripetersi a turno gli argomenti delle lezioni, e poi, al ritorno,

avrebbero recitato il rosario (chapelet). È prescritto con esattezza il punto del percorso dedicato a

esso: «da Piazza Colonna fino alle piccole scale del Gianicolo». Con un po’ di fantasia, allora, si

può immaginare questo gruppetto di giovani canonici che ogni giorno parlavano in francese di

teologia o dei Padri della Chiesa e recitavano preghiere, camminando per le strade di Roma. Nelle

regole seguenti era loro vietato di parlare con religiosi che non fossero della stessa congregazione.

Anche con l’economo si doveva parlare soltanto a bassa voce. Le persone esterne non potevano

assolutamente entrare nelle loro camere, e nella infermeria le visite ai malati dovevano durare il

qualche anno dopo, con una Lettera apostolica del 1908, fu così eretto il nuovo Pontificio Collegio Angelicum al posto

del Collegio di San Tommaso. La nuova sede era situata in via San Vitale, ma nel 1932 si trasferì nel fabbricato,

appositamente ampliato, dell’antico monastero domenicano dei santi Domenico e Sisto.

116 Il Pontificio Collegio Urbano “De Propaganda Fide” è stato costituito a Roma nel 1622 allo scopo di formare dei

missionari da inviare in tutto il mondo per la diffusione della fede cattolica (è questo il senso del termine latino “de

propaganda fide”) e, in second’ordine, studiare usi e costumi dei popoli di cui si veniva a conoscenza con le nuove

scoperte geografiche, specialmente in Oriente. Nella prima metà dell’1800 il Collegio ha avuto come direttore spirituale

san Vincenzo Pallotti. Le strutture del Collegio Urbano sono geograficamente entro i confini dello Stato della Città del

Vaticano. Il palazzo nel quale è situato vicino a Piazza di Spagna, fu eretto dal Bernini per volere dei Gesuiti, e

terminato dal Borromini. Il Collegio fu istituito nel 1626 da papa Urbano VIII Barberini, dal quale è poi derivato il

nome di Collegio Urbano. Sulla facciata è, infatti, ben visibile, ancora oggi, l’iscrizione Collegium Urbanum de

Propaganda Fide coronata dallo stemma di Urbano VIII con le api dei Barberini tra due festoni.

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meno possibile. Si ribadisce di nuovo il silentium nell’undicesima regola, nel rispetto dei tempi

voluti dalle Costituzioni. Infine, quando i canonici dovevano entrare in una chiesa, dovevano

inginocchiarsi a due a due in modo ordinato. Nella vita dei canonici regolari regnava, dunque, un

silenzio quasi totale che li rendeva, anche per questa pratica, molto vicini ai monaci. Per

riequilibrare la situazione interveniva forse lo strumento della musica e del canto. Diamo, pertanto,

a questo punto la parola al terzo documento (fig. VI.12). È un inno latino di ringraziamento ai santi,

da recitarsi in due cori, che probabilmente i canonici proclamavano ogni giorno, o forse in

particolari occasioni e festività. Vengono invocati Sancta Maria, Sancte Antoni, l’Amatissimo patri

nostro Mariae Augustino, Sancte Augustine, Sancte Stephane, Sancte Hadriane. Non sappiamo

purtroppo di che anno sia, ma è piuttosto singolare che si invochino come santi protettori, sia Maria

Agostino che Adriano. Chissà se con la magia di un canto si sanciva finalmente la pace tra i due

fondatori. Una cifra caratteristica dei Canonici Regolari dell’Immacolata Concezione, come

dimostrano numerosi documenti d’archivio, era la splendida solennità con la quale si celebravano

l’Ufficio Divino e la Liturgia. Ci riferiamo, in particolare, a uno scritto del fondatore del 1911 La

prière publique de l’Eglise117 (fig. VI.13) che tratta esplicitamente del canto ecclesiastico (Chant

ecclesiastique). Senza addentrarsi in questioni troppo specifiche, concludiamo con uno tra i pensieri

più significativi dello stesso don Gréa tratto da tale componimento. «L’Ufficio divino si presenta

per la forma stessa con cui è stato istituito, non come una preghiera privata che si recita, ma come

un’azione pubblica dove il canto anima la parola. Il canto non è, in fondo, che l’accento più

energico della parola umana».

117 Documento dattiloscritto presente in archivio, Archivio CRIC, Titre III, 9/55.

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Figura IV.12 Spartito di canto gregoriano

Figura IV.13 Alcune pagine di uno scritto dedicato al canto

Segue una foto (fig. VI.14) della nuova casa generalizia dei Canonici Regolari

dell’Immacolata Concezione in via Federico Torre da loro costruita negli anni Venti del Novecento,

per nulla distante dalla precedente, che è la stessa nella quale vivono oggi (fig. VI.15).

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Figura IV.14 La casa generalizia ieri

Figura IV.15 La stessa casa abitata dai canonici di oggi

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CONCLUSIONI

Una breve riflessione conclusiva al termine di questa tesi appare doverosa. Il lavoro è stato

compiuto attraverso un lungo percorso che ci ha portati indietro nei secoli seguendo e inseguendo le

tracce di un personaggio, don Adriano Gréa, sul quale forse ancora poco è stato detto e scritto.

Pertanto, si può dire che le fonti del nostro lavoro, non codificate in una bibliografia ben precisa e

determinata in partenza, ma acquisita, per così dire, cammin facendo, si sia via via accresciuta di

materiale a volte inaspettato e, per questo, ancora più prezioso. Si è scelto di analizzare, come

esposto nella Premessa, soltanto alcuni momenti dell’esistenza del sacerdote francese, privilegiando

la sua partecipazione al Concilio Vaticano I e la fondazione di una casa di canonici regolari a Roma,

e si è compreso, come detto, che il suo esempio particolare sia molto vicino a quello di numerosi

religiosi che, vissuti nel periodo post-rivoluzionario, necessariamente dovettero fare i conti con un

mondo improvvisamente moderno. Si è varie volte ribadito, inoltre, che la sua risposta alla

secolarizzazione, che avanzava nella società francese ed europea in genere, sia stata estremamente

conservatrice, volendo prendere in prestito un termine dal linguaggio della politica. Il suo ideale di

restaurare un antico ordine lo portava, non solo a guardare il passato pre-rivoluzionario, ma si

spingeva, anacronisticamente, verso un Medioevo lontanissimo, ma vivo nel suo animo. La sua

regola, del resto, è benedettina tout court. Certamente, se si dovesse tentare di fare un bilancio

conclusivo sulla riuscita del suo progetto, esso non sarebbe del tutto univoco. Da un punto di vista

storico-religioso, la parabola umana di don Adriano si potrebbe riassumere, con estrema sintesi,

come un coraggioso tentativo di far rivivere la vita monastica in una realtà non più pronta ad

accettarla. La intricata e triste questione del rapporto con Delaroche e il racconto degli ultimi anni

di vita trascorsi nel silenzio, lontano dalle luci della ribalta, parlano chiaro. Hanno il sapore amaro

di una triste sconfitta. Ma se la medesima esperienza si guardasse da un’altra prospettiva, parlerebbe

di uomo che crea attorno a sé, dal nulla, una comunità di canonici regolari, dediti al canto

gregoriano e agli studi, che diventano famosi in Francia, e generano curiosità e ammirazione in

molti, la valutazione finale forse cambierebbe. Ancora una volta ricorriamo nell’aiuto dello stesso

don Gréa, che usava parole di grande espressività rispondendo a Raymond Bouvet: «Dimenticate,

caro amico, la mia debole e indegna personalità. Poco importa che si abbia di me una buona o

cattiva opinione. Dio si servirà dell’una e dell’altra a suo tempo. Mi dona la forza e una volontà

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ferma di lavorare alla sua opera di cui già spesso vi ho parlato»118. Alla luce di tale interpretazione,

del tutto soggettiva, probabilmente il caso della congregazione dei Canonici Regolari

dell’Immacolata Concezione meriterebbe una maggiore attenzione negli studi di storia della Chiesa

contemporanea. La ricerca da noi condotta, umilmente iniziata e limitata soltanto ad alcuni aspetti,

potrebbe e dovrebbe continuare ancora a lungo, visto che si ha la fortuna di possedere una miniera

quasi del tutto inesplorata di fonti e dati.

118 Il passo è tratto da una lettera manoscritta di don Gréa del 7 febbraio 1863 all’abate Bouvet conservata in archivio

(Archivio CRIC). Don Adriano aveva conosciuto Raymond Bouvet negli anni della gioventù. Egli fu, infatti, curato di

Marigna-sur-Valouse (Giura) per trent’anni.

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APPENDICE

Sono riportate le due costituzioni apostoliche di Pio IX Ubi primum e Ineffabilis Deus tradotte

in italiano, delle quali si parla nel quarto capitolo della tesi. Segue, inoltre, la lettera in francese

scritta da don Adriano Gréa a mons. de Poitiers menzionata nel sesto capitolo (Archivio CRIC,

Titre III, 9/39).

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Ubi primum

Non appena fummo elevati, non per nostro merito, ma per arcano disegno della divina Provvidenza,

alla sublime Cattedra del Principe degli Apostoli e prendemmo in mano il timone di tutta la Chiesa,

fummo presi da grandissima consolazione, Venerabili Fratelli, nel rilevare come già sotto il

Pontificato del Nostro Predecessore Gregorio XVI, di felice memoria, fosse divenuto ardente nel

mondo cattolico il desiderio che finalmente venisse definito dalla Sede Apostolica, con solenne

provvedimento, che la Santissima Madre di Dio e Madre nostra amabilissima, l’Immacolata

Vergine Maria, era stata concepita senza peccato originale. Questo piissimo desiderio è chiaramente

e indubbiamente testimoniato dalle suppliche inviate al Nostro Predecessore e a Noi: suppliche con

le quali celebri Vescovi, insigni Capitoli di Canonici e Famiglie Religiose, tra le quali l’inclito

Ordine dei Predicatori, gareggiarono nell’implorare con insistenza che si permettesse di annunciare

pubblicamente e di aggiungere nella sacra Liturgia, particolarmente nel Prefazio della Messa della

Concezione della beatissima Vergine, l’aggettivo “Immacolata”. Sia il Nostro Predecessore, sia Noi

esaudimmo molto volentieri queste aspirazioni. A ciò si aggiunge che moltissimi di voi, Venerabili

Fratelli, non cessarono di inviare lettere al Nostro Predecessore e a Noi stessi, per implorare con

rinnovate istanze e raddoppiato entusiasmo che definissimo come dottrina della Chiesa Cattolica

che il concepimento della beatissima Vergine Maria fu del tutto immacolato ed assolutamente

immune dal peccato originale. Né sono mancati, anche ai giorni nostri, uomini insigni per ingegno,

virtù, pietà e dottrina, i quali con i loro dotti e poderosi scritti hanno illustrato questo argomento e

questa piissima opinione; tanto che molti si stupiscono che la Chiesa e la Sede Apostolica non

abbiano ancora decretato alla santissima Vergine quell’onore che la comune pietà dei fedeli così

ardentemente desidera sia tributato alla Vergine dal solenne giudizio e dall’autorità della Chiesa e

della medesima Sede Apostolica.

Senza dubbio questi voti sono tornati di sommo gradimento e gioia a Noi che, fin dalla Nostra più

tenera età, nulla abbiamo avuto più a cuore che venerare con speciale pietà, devozione e intimo

affetto la beatissima Vergine Maria, e mettere in pratica tutto ciò che era diretto a procurare la

maggiore lode e gloria della stessa Vergine, e a promuoverne il culto. Perciò, fin dall’inizio del

Nostro supremo Pontificato, con il maggior ardore possibile, abbiamo rivolto le Nostre sollecitudini

e il Nostri pensieri ad una così importante questione, e non abbiamo trascurato di innalzare umili e

devote preghiere a Dio, affinché voglia illuminare la Nostra mente con la luce della sua grazia

celeste, onde possiamo conoscere ciò che in tale materia dobbiamo fare. Grande infatti è la Nostra

fiducia in Maria, la beatissima Vergine che fece salire i suoi meriti sopra i cori angelici fino al

trono di Dio (1), e che schiacciò con la potenza del suo piede il capo dell’antico serpente; che,

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collocata fra Cristo e la Chiesa (2), tutta amorevole e piena di grazia, liberò il popolo cristiano

dalle più gravi calamità, dalle insidie e dagli assalti di tutti i nemici, sottraendolo sempre alla morte.

Voglia Ella anche ai nostri giorni, con lo splendido tratto del misericordioso affetto materno, con il

suo patrocinio sempre efficace e potentissimo presso Dio, allontanare le presenti tristissime vicende

piene di lutti, le gravissime tribolazioni, le angustie, le difficoltà e i flagelli della collera divina, che

ci affliggono per i nostri peccati; voglia sedare e disperdere le agitatissime tempeste di mali, da cui,

con profondo Nostro dolore, è dappertutto sbattuta la Chiesa, e cambiare così in gioia la Nostra

amarezza. Voi infatti ben sapete, Venerabili Fratelli, che ogni fondamento della Nostra fiducia

riposa nella santissima Vergine; dal momento che Dio ha posto in Maria la pienezza di ogni bene,

sappiamo che ogni speranza, ogni grazia, ogni salvezza derivano da Lei … perché questa è la

volontà di Colui che stabilì che tutto ricevessimo per mezzo di Maria (1).

Pertanto abbiamo scelto alcuni ecclesiastici di specchiata pietà ed affermati negli studi teologici, ed

alcuni Nostri Venerabili Fratelli Cardinali di Santa Romana Chiesa, illustri per virtù, religione,

santità, senno e conoscenza delle cose divine, e abbiamo affidato loro l’incarico di fare, conforme

alla loro prudenza e dottrina, un diligente, profondo e completo esame dell’argomento,

comunicandoci successivamente con pari scrupolosità il loro parere. Così facendo, riteniamo di

seguire le orme dei Nostri Predecessori e di imitare i loro esempi.

Abbiamo perciò pensato, Venerabili Fratelli, di scrivervi la presente Lettera per spronare la vostra

esimia pietà e il vostro zelo pastorale, e per inculcarvi con ogni premura di volere, secondo il vostro

prudente giudizio, indire e tenere pubbliche preghiere nelle vostre diocesi, onde il clementissimo

Padre di ogni lume si degni di illuminarci con la luce del suo divino Spirito, perché in una cosa di

tanta importanza possiamo prendere quella deliberazione che più risponda alla maggior gloria del

suo Nome, alla lode della beatissima Vergine ed all’utilità della Chiesa militante. Desideriamo

inoltre ardentemente che, con la maggiore sollecitudine possibile, vogliate farci conoscere quale sia

la devozione che anima il vostro clero e il vostro popolo cristiano verso la Concezione della

Vergine Immacolata, e con quale intensità mostri di volere che la questione sia definita dalla Sede

Apostolica; ma soprattutto, Venerabili Fratelli, amiamo sapere quale sia in questa materia il vostro

pensiero ed il vostro desiderio.

E poiché abbiamo già permesso al clero romano che, invece di quelle contenute nel comune

Breviario, possa recitare le speciali ore canoniche in onore della Concezione della beatissima

Vergine, recentemente composte e pubblicate, con la presente Lettera concediamo anche a voi,

Venerabili Fratelli, se ciò sarà di vostro gradimento, che tutto il clero delle vostre diocesi possa

recitare lecitamente e validamente le stesse ore canoniche della Concezione della santissima

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Vergine in uso presso il clero romano, senza che dobbiate perciò domandare il permesso a Noi o

alla sacra Congregazione dei Riti.

Non dubitiamo affatto, Venerabili Fratelli, che per la vostra particolare pietà verso la santissima

Vergine Maria sarete lieti di corrispondere con ogni premura ed ogni zelo a questi Nostri desideri, e

che vi affretterete ad inviarci le opportune risposte, che vi abbiamo richiesto. Frattanto, come

auspicio di ogni celeste favore e come particolare attestato della Nostra benevolenza verso di voi,

ricevete l’Apostolica Benedizione, che con vivissimo affetto impartiamo a voi, Venerabili Fratelli, a

tutti i sacerdoti e ai fedeli affidati alle vostre cure.

Dato a Gaeta, il 2 febbraio 1849, anno terzo del Nostro Pontificato.

Ineffabilis Deus

Dio ineffabile, le vie del quale sono la misericordia e la verità; Dio, la cui volontà è onnipotente e la

cui sapienza abbraccia con forza il primo e l'ultimo confine dell'universo e regge ogni cosa con

dolcezza, previde fin da tutta l'eternità la tristissima rovina dell'intero genere umano, che sarebbe

derivata dal peccato di Adamo. Avendo quindi deciso, in un disegno misterioso nascosto dai secoli,

di portare a compimento l'opera primitiva della sua bontà, con un mistero ancora più profondo –

l'incarnazione del Verbo – affinché l'uomo (indotto al peccato dalla perfida malizia del diavolo) non

andasse perduto, in contrasto con il suo proposito d'amore, e affinché venisse recuperato

felicemente ciò che sarebbe caduto con il primo Adamo, fin dall'inizio e prima dei secoli scelse e

dispose che al Figlio suo Unigenito fosse assicurata una Madre dalla quale Egli, fatto carne, sarebbe

nato nella felice pienezza dei tempi. E tale Madre circondò di tanto amore, preferendola a tutte le

creature, da compiacersi in Lei sola con un atto di esclusiva benevolenza. Per questo, attingendo dal

tesoro della divinità, la ricolmò – assai più di tutti gli spiriti angelici e di tutti i santi –

dell'abbondanza di tutti i doni celesti in modo tanto straordinario, perché Ella, sempre libera da ogni

macchia di peccato, tutta bella e perfetta, mostrasse quella perfezione di innocenza e di santità da

non poterne concepire una maggiore dopo Dio, e che nessuno, all'infuori di Dio, può abbracciare

con la propria mente.

Era certo sommamente opportuno che una Madre degna di tanto onore rilucesse perennemente

adorna degli splendori della più perfetta santità e, completamente immune anche dalla stessa

macchia del peccato originale, riportasse il pieno trionfo sull'antico serpente. Dio Padre dispose di

dare a Lei il suo unico Figlio, generato dal suo seno uguale a sé, e che ama come se stesso, in modo

tale che fosse, per natura, Figlio unico e comune di Dio Padre e della Vergine; lo stesso Figlio

scelse di farne la sua vera Madre, e lo Spirito Santo volle e operò perché da Lei fosse concepito e

generato Colui dal quale egli stesso procede.

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La Chiesa Cattolica che – da sempre ammaestrata dallo Spirito Santo – è il basilare fondamento

della verità, considerando come dottrina rivelata da Dio, compresa nel deposito della celeste

rivelazione, questa innocenza originale dell'augusta Vergine unitamente alla sua mirabile santità, in

perfetta armonia con l'eccelsa dignità di Madre di Dio, non ha mai cessato di presentarla, proporla e

sostenerla con molteplici argomentazioni e con atti solenni sempre più frequenti. Proprio la Chiesa,

non avendo esitato a proporre la Concezione della stessa Vergine al pubblico culto e alla

venerazione dei fedeli, ha offerto un'inequivocabile conferma che questa dottrina, presente fin dai

tempi più antichi, era intimamente radicata nel cuore dei fedeli e veniva mirabilmente diffusa

dall'impegno e dallo zelo dei Vescovi nel mondo cattolico. Con questo atto significativo mise in

evidenza che la Concezione della Vergine doveva essere venerata in modo singolare, straordinario e

di gran lunga superiore a quello degli altri uomini: pienamente santo, dal momento che la Chiesa

celebra solamente le feste dei Santi.

Per questo essa era solita inserire negli uffici ecclesiastici e nella sacra Liturgia, riferendole anche

alle origini della Vergine, le stesse identiche parole impiegate dalla Sacra Scrittura per parlare della

Sapienza increata e per descriverne le origini eterne, perché entrambe erano state preordinate

nell'unico e identico decreto dell'Incarnazione della Divina Sapienza.

Sebbene tutte queste cose, condivise quasi ovunque dai fedeli, dimostrino con quanta cura la stessa

Chiesa Romana, madre e maestra di tutte le Chiese, abbia seguito la dottrina dell'Immacolata

Concezione della Vergine, tuttavia meritano di essere elencati, uno per uno, gli atti più importanti

della Chiesa in questa materia, perché assai grandi sono la sua dignità e la sua autorità, quali si

addicono ad una simile Chiesa: è lei il centro della verità cattolica e dell'unità; in lei sola fu

custodita fedelmente la religione; da lei tutte le altre Chiese devono attingere la tradizione della

fede.

Dunque, questa stessa Chiesa Romana ritenne che non potesse esserci niente di più meritevole che

affermare, tutelare, propagandare e difendere, con ogni più eloquente mezzo, l'Immacolata

Concezione della Vergine, il suo culto e la sua dottrina. Tutto questo è testimoniato e messo in

evidenza, in modo assolutamente inequivocabile, da innumerevoli e straordinari, atti dei Romani

Pontefici Nostri Predecessori, ai quali, nella persona del Principe degli Apostoli, fu affidato, per

volere divino, dallo stesso Cristo Signore il supremo compito e il potere di pascere gli agnelli e le

pecore, di confermare nella fede i fratelli, di reggere e governare tutta la Chiesa.

I Nostri Predecessori infatti si vantarono grandemente, avvalendosi della loro autorità Apostolica, di

avere istituito nella Chiesa Romana la festa della Concezione con Ufficio e Messa propri, per mezzo

dei quali veniva affermato, con la massima chiarezza, il privilegio dell'immunità dalla macchia

originale; di aver rafforzato, circondato di ogni onore, promosso e accresciuto con ogni mezzo il

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culto già stabilito, sia con la concessione di Indulgenze, sia accordando alle città, alle province e ai

regni la facoltà di scegliere come Patrona la Madre di Dio sotto il titolo dell'Immacolata

Concezione, sia con l'approvazione di Confraternite, di Congregazioni e di Famiglie religiose,

costituite per onorare l'Immacolata Concezione, sia con il tributare lodi alla pietà di coloro che

avevano eretto monasteri, ospizi, altari e templi dedicati all'Immacolata Concezione, oppure si

erano impegnati, con un solenne giuramento, a difendere strenuamente l'Immacolata Concezione

della Madre di Dio.

Provarono anche l'immensa gioia di decretare che la festa della Concezione dovesse essere

considerata da tutta la Chiesa, con la stessa dignità e importanza della Natività; inoltre, che fosse

celebrata ovunque come solennità insignita di ottava e da tutti santificata come festa di precetto, e

che ogni anno si tenesse nella Nostra Patriarcale Basilica Liberiana una Cappella Papale nel giorno

santo dell'Immacolata Concezione.

Spinti dal desiderio di rafforzare, ogni giorno di più, nell'animo dei fedeli questa dottrina

dell'Immacolata Concezione della Madre di Dio e di stimolare la loro pietà al culto e alla

venerazione della Vergine concepita senza peccato originale, furono lietissimi di concedere la

facoltà che venisse pronunciata ad alta voce la Concezione Immacolata della Vergine nelle Litanie

Lauretane e nello stesso Prefazio della Messa, affinché i dettami della fede trovassero conferma

nelle norme della preghiera.

Noi quindi, seguendo le orme di Predecessori così illustri, non solo abbiamo approvato e accolto

tutto ciò che è stato da loro deciso con tanta devozione e con tanta saggezza, ma, memori di ciò che

aveva disposto Sisto IV, abbiamo confermato, con la Nostra autorità, l'Ufficio proprio

dell'Immacolata Concezione e, con sensi di profonda gioia, ne abbiamo concesso l'uso a tutta la

Chiesa.

Ma poiché tutto ciò che si riferisce al culto è strettamente connesso con il suo oggetto e non può

rimanere stabile e duraturo se questo oggetto è incerto e non ben definito, i Romani Pontefici Nostri

Predecessori, mentre impiegavano tutta la loro sollecitudine per accrescere il culto della

Concezione, si preoccuparono anche di chiarirne e di inculcarne con ogni mezzo l'oggetto e la

dottrina. Insegnarono infatti, in modo chiaro ed inequivocabile, che si celebrasse la festa della

Concezione della Vergine e respinsero quindi, come falsa e assolutamente contraria al pensiero

della Chiesa, l'opinione di coloro che ritenevano ed affermavano che da parte della Chiesa non si

onorava la Concezione ma la santificazione di Maria. Né ritennero che si potesse procedere con

minore decisione contro coloro che, al fine di sminuire la dottrina sull'Immacolata Concezione della

Vergine, avendo escogitato una distinzione fra il primo istante e il secondo momento della

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Concezione, affermavano che si celebrava sì la Concezione, ma non quella del primo iniziale

momento.

Gli stessi Nostri Predecessori stimarono loro preciso dovere difendere e sostenere, con tutto

l'impegno, sia la festa della Concezione della Beatissima Vergine, sia la Concezione dal suo primo

istante come vero oggetto del culto. Di qui le parole assolutamente decisive, con le quali Alessandro

VII, Nostro Predecessore, mise in evidenza il vero pensiero della Chiesa. Egli si espresse in questi

termini: “È sicuramente di antica data la particolare devozione verso la Beatissima Madre, la

Vergine Maria, da parte dei fedeli: infatti erano convinti che la sua anima – fin dal primo istante

della sua creazione e della sua infusione nel corpo – fosse stata preservata immune dalla macchia

del peccato originale per una speciale grazia e per un singolare privilegio di Dio, in previsione dei

meriti di Gesù Cristo, Figlio suo e Redentore del genere umano. Animati da tale persuasione,

circondavano di onore e celebravano la festa della Concezione con un rito solenne”

[ALEXANDER VII, Const. Sollicitudo omnium Ecclesiarum, 8 decembris 1661] .

E fu proprio impegno primario dei Nostri Predecessori custodire con ogni cura, zelo e sforzo,

perfettamente integra la dottrina dell'Immacolata Concezione della Madre di Dio. Infatti non solo

non tollerarono mai che la stessa dottrina venisse in qualche modo biasimata e travisata da

chicchessia, ma, spingendosi ben oltre, asserirono, con chiare e reiterate dichiarazioni, che la

dottrina, con la quale professiamo l'Immacolata Concezione della Vergine, era e doveva essere

considerata a pieno titolo assolutamente conforme al culto della Chiesa; era antica e quasi

universalmente riconosciuta, tale da essere fatta propria dalla Chiesa Romana, con l'intento di

assecondarla e custodirla, e del tutto degna di aver parte nella stessa Sacra Liturgia e nelle preghiere

più solenni.

Non contenti di ciò, affinché la dottrina dell'Immacolato Concepimento della Vergine si mantenesse

integra, vietarono, con la più grande severità, che ogni opinione contraria a questa dottrina potesse

essere sostenuta sia in pubblico che in privato e la vollero colpita a morte. A queste ripetute e

chiarissime dichiarazioni, perché non risultassero vane, aggiunsero delle sanzioni. Tutto questo è

stato riassunto dal Nostro venerato Predecessore Alessandro VII con le seguenti parole:

“Considerando che la Santa Chiesa Romana celebra solennemente la festa della Concezione

dell'Intemerata e sempre Vergine Maria, e che, al riguardo, ha un tempo composto un Ufficio

proprio e specifico in ossequio alla pia, devota e lodevole disposizione emanata dal Nostro

Predecessore Sisto IV; volendo Noi pure favorire, sull'esempio dei Romani Pontefici Nostri

Predecessori, questa lodevole e pia devozione, questa festa e questo culto, prestato conformemente

a quella direttiva e che dalla sua istituzione non ha subito, nella Chiesa Romana, alcun mutamento;

volendo anche salvaguardare questa particolare forma di pietà e di devozione nel rendere onore e

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nel celebrare la Beatissima Vergine preservata dal peccato originale con un atto preventivo della

grazia dello Spirito Santo; desiderando inoltre conservare nel gregge di Cristo l'unità dello spirito

nel vincolo della pace, dopo aver placato i motivi di scontro e le dispute e aver rimosso gli

scandali; accogliendo le istanze e le suppliche a Noi rivolte dai Vescovi sopra ricordati, unitamente

ai Capitoli delle loro Chiese, dal Re Filippo e dai suoi Regni; rinnoviamo le Costituzioni e i Decreti

emanati dai Romani Pontefici Nostri Predecessori, soprattutto da Sisto IV, da Paolo V e da

Gregorio XV, per avvalorare l'affermazione intesa a sostenere che l'anima della Beata Vergine

Maria, nella sua creazione e nell'infusione nel corpo, ebbe il dono della grazia dello Spirito Santo e

fu preservata dal peccato originale; per favorire la festa e il culto della stessa Concezione della

Vergine Madre di Dio, in linea con la pia proposizione suesposta, decretiamo che tali Costituzioni

e Decreti siano osservati, sotto pena d'incorrere nelle censure e nelle altre sanzioni previste nelle

Costituzioni stesse.

“Decretiamo che quanti ardiranno interpretare le Costituzioni e i Decreti citati in modo da

vanificare il favore reso, per mezzo loro, alla sunnominata affermazione, alla festa e al culto

prestato nel rispetto della stessa; avranno osato mettere in discussione questa affermazione, questa

festa e questo culto, o prendere posizione contro di essa in qualunque modo, direttamente o

indirettamente, ricorrendo a qualsivoglia pretesto, sia pure con l'intento di esaminarne la sua

definibilità e di spiegare e di interpretare, al riguardo, la Sacra Scrittura, i Santi Padri, e i Dottori;

o ancora farsi forti di ogni altro possibile pretesto od occasione e poter quindi esprimere,

dichiarare, trattare, disputare a voce e per iscritto, precisando, affermando e adducendo qualche

argomentazione contro di essa, senza portarla a compimento; dissertare infine contro di essa in

qualsiasi altro modo, addirittura fuori dell'immaginabile; [decretiamo] che siano privati anche

della facoltà di predicare, di leggere, di insegnare e di dissertare in pubblico; di aver voce attiva e

passiva in ogni tipo di elezioni, senza bisogno di alcuna dichiarazione. Incorreranno dunque, ipso

facto, nella pena della perpetua interdizione di predicare, di leggere, di insegnare e di dissertare in

pubblico.

“Da queste pene essi potranno essere assolti o dispensati solamente da Noi o dai Romani Pontefici

Nostri Successori. Intendiamo anche sottoporli, ed effettivamente con la presente li sottoponiamo,

ad altre pene da infliggere a Nostro insindacabile giudizio e dei Romani Pontefici Nostri

Successori, mentre rinnoviamo le Costituzioni e i Decreti di Paolo V e di Gregorio XV sopra

ricordati.

“Dichiariamo inaccettabili, e le sottoponiamo alle pene e alle censure contenute nell'Indice dei

libri proibiti, le pubblicazioni nelle quali vengono messi in dubbio quella affermazione, la festa e il

culto approvato; viene scritto, o vi si possa leggere, alcunché di contrario a ciò che è stato sopra

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riportato; trovino spazio discorsi, prediche, trattati, dissertazioni che ne avversano il contenuto.

Ordiniamo e decretiamo che siffatti libri siano, ipso facto, da considerare espressamente proibiti,

senza attendere una specifica dichiarazione”.

D'altra parte tutti sanno con quanto zelo questa dottrina dell'Immacolata Concezione della Vergine

Madre di Dio sia stata tramandata, sostenuta e difesa dalle più illustri Famiglie religiose, dalle più

celebri Accademie teologiche e dai Dottori più versati nella scienza delle cose divine. Tutti

parimenti conoscono quanto siano stati solleciti i Vescovi nel sostenere in pubblico, anche nelle

assemblee ecclesiastiche, che la santissima Vergine Maria, Madre di Dio, in previsione dei meriti

del Redentore Gesù Cristo, non fu mai soggetta al peccato ma, del tutto preservata dalla colpa

originale, fu redenta in una maniera più sublime.

A tutto ciò si aggiunge il fatto, decisamente assai rilevante e del massimo peso, che lo stesso

concilio di Trento, quando promulgò il decreto dogmatico sul peccato originale, nel quale, sulla

scorta delle testimonianze della Sacra Scrittura, dei Santi Padri e dei più autorevoli Concili, stabilì e

definì che tutti gli uomini nascono affetti dal peccato originale, dichiarò tuttavia solennemente che

non era sua intenzione comprendere in quel decreto, e nell'ambito di una definizione così generale,

la Beata ed Immacolata Vergine Maria Madre di Dio.

Con tale dichiarazione infatti i Padri Tridentini indicarono con sufficiente chiarezza, tenendo conto

della situazione del tempo, che la Beatissima Vergine fu esente dalla colpa originale. Indicarono

perciò apertamente che dalle divine Scritture, dalla tradizione, dall'autorità dei Padri, niente poteva

essere desunto che fosse in contrasto con questa prerogativa della Vergine.

Per la verità, illustri monumenti di veneranda antichità della Chiesa orientale ed occidentale

testimoniano con assoluta certezza che questa dottrina dell'Immacolata Concezione della Beatissima

Vergine, che, giorno dopo giorno, è stata magnificamente illustrata, proclamata e confermata

dall'autorevolissimo sentimento, dal magistero, dallo zelo, dalla scienza e dalla saggezza della

Chiesa e si è diffusa in modo tanto prodigioso presso tutti i popoli e le nazioni del mondo cattolico,

è da sempre esistita nella Chiesa stessa come ricevuta dagli antenati e contraddistinta dalle

caratteristiche della dottrina rivelata.

Infatti la Chiesa di Cristo, fedele custode e garante dei dogmi a lei affidati, non ha mai apportato

modifiche ad essi, non vi ha tolto o aggiunto alcunché, ma trattando con ogni cura, in modo accorto

e sapiente, le dottrine del passato per scoprire quelle che si sono formate nei primi tempi e che la

fede dei Padri ha seminato, si preoccupa di limare e di affinare quegli antichi dogmi della Divina

Rivelazione, perché ne ricevano chiarezza, evidenza e precisione, ma conservino la loro pienezza, la

loro integrità e la loro specificità e si sviluppino soltanto nella loro propria natura, cioè nell'ambito

del dogma, mantenendo inalterati il concetto e il significato.

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In verità, i Padri e gli scrittori ecclesiastici, ammaestrati dalle parole divine – nei libri elaborati con

cura per spiegare la Scrittura, per difendere i dogmi e per istruire i fedeli – non trovarono niente di

più meritevole di attenzione del celebrare ed esaltare, nei modi più diversi ed ammirevoli, l'eccelsa

santità, la dignità e l'immunità della Vergine da ogni macchia di peccato e la sua vittoria sul terribile

nemico del genere umano. Per tale motivo, mentre commentavano le parole con le quali Dio, fin

dalle origini del mondo, annunciando i rimedi della sua misericordia approntati per la rigenerazione

degli uomini, rintuzzò l'audacia del serpente ingannatore e rialzò mirabilmente le speranze del

genere umano: “Porrò inimicizia fra te e la donna, fra la tua e la sua stirpe”, essi insegnarono che

con questa divina profezia fu chiaramente e apertamente indicato il misericordioso Redentore del

genere umano, cioè il Figliuolo Unigenito di Dio, Gesù Cristo; fu anche designata la sua beatissima

Madre, la Vergine Maria, e, nello stesso tempo, fu nettamente espressa l'inimicizia dell'uno e

dell'altra contro il demonio. Ne conseguì che, come Cristo, mediatore fra Dio e gli uomini, assunta

la natura umana, annientò il decreto di condanna esistente contro di noi, inchiodandolo da

trionfatore sulla Croce, così la santissima Vergine, unita con Lui da un legame strettissimo ed

indissolubile, poté esprimere, con Lui e per mezzo di Lui, un'eterna inimicizia contro il velenoso

serpente e, riportando nei suoi confronti una nettissima vittoria, gli schiacciò la testa con il suo

piede immacolato.

Di questo nobile e singolare trionfo della Vergine, della sua straordinaria innocenza, purezza e

santità, della sua immunità da ogni macchia di peccato, della sua ineffabile abbondanza di tutte le

grazie divine, di tutte le virtù e di tutti i privilegi a Lei donati, gli stessi Padri videro una figura sia

nell'Arca di Noè che, voluta per ordine di Dio, scampò del tutto indenne al diluvio universale; sia in

quella scala che Giacobbe vide ergersi da terra fino al cielo, e lungo la quale salivano e scendevano

gli angeli di Dio e alla cui sommità stava il Signore stesso; sia in quel roveto che Mosè vide nel

luogo santo avvolto completamente dalle fiamme e, pur immerso in un fuoco crepitante, non si

consumava né pativa alcun danno ma continuava ad essere verde e fiorito; sia in quella torre

inespugnabile, eretta di fronte al nemico, dalla quale pendono mille scudi e tutte le armature dei

forti; sia in quell'orto chiuso che non può essere violato né devastato da alcun assalto insidioso; sia

in quella splendente città di Dio che ha le sue fondamenta sui monti santi; sia in quell'eccelso

tempio di Dio che, rifulgendo degli splendori divini, è ricolmo della gloria del Signore; sia in tutti

gli altri innumerevoli segni dello stesso genere che, secondo il pensiero dei Padri, preannunciavano

cose straordinarie sulla dignità della Madre di Dio, sulla sua illibata innocenza e sulla sua santità,

mai soggetta ad alcuna macchia.

Per descrivere debitamente quest'insieme di doni celesti e l'innocenza originale della Vergine dalla

quale è nato Gesù, i Padri ricorsero alle parole dei Profeti ed esaltarono questa divina, santa

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Vergine, come una pura colomba, come una Santa Gerusalemme, come un eccelso trono di Dio,

come un'arca della santificazione, come la casa che l'eterna Sapienza si è edificata, come quella

Regina straordinaria che, ricolma di delizie e appoggiata al suo Diletto, uscì dalla bocca

dell'Altissimo assolutamente perfetta e bella, carissima a Dio e mai contaminata da alcuna macchia

di peccato.

Siccome poi gli stessi Padri e gli scrittori ecclesiastici erano pienamente convinti che l'Angelo

Gabriele, nel dare alla beatissima Vergine l'annuncio dell'altissima dignità di Madre di Dio, l'aveva

chiamata, in nome e per comando di Dio stesso, piena di grazia, insegnarono che con questo

singolare e solenne saluto, mai udito prima di allora, si proclamava che la Madre di Dio era la sede

di tutte le grazie divine, era ornata di tutti i carismi dello Spirito Santo, anzi era un tesoro quasi

infinito e un abisso inesauribile di quegli stessi doni divini, a tal punto che, non essendo mai stata

soggetta a maledizione ma partecipe, insieme con il suo Figlio, di eterna benedizione, meritò di

essere chiamata da Elisabetta, mossa dallo Spirito di Dio: “Benedetta tu fra le donne e benedetto il

frutto del tuo seno”.

Da tutto ciò derivò il loro concorde e ben documentato pensiero che, in forza di tutti questi doni

divini, la gloriosissima Vergine, per la quale “grandi cose ha fatto colui che è potente”, rifulse di

tale pienezza di grazia e di tale innocenza da diventare l'ineffabile miracolo di Dio, anzi il culmine

di tutti i miracoli e quindi degna Madre di Dio, la più vicina a Dio, nella misura in cui ciò è

possibile ad una creatura, superiore a tutte le lodi angeliche ed umane.

Per questo motivo, con l'intento di dimostrare l'innocenza e la giustizia originale della Madre di

Dio, i Padri non solo la paragonarono spessissimo ad Eva ancora vergine, innocente, non corrotta e

non ancora caduta nei lacci delle mortali insidie del serpente ingannatore, ma la anteposero a lei con

una meravigliosa varietà di parole e di espressioni. Eva infatti, avendo dato ascolto

disgraziatamente al serpente, decadde dall'innocenza originale e divenne sua schiava, mentre la

beatissima Vergine accrebbe continuamente il primitivo dono e, senza mai ascoltare il serpente, con

la forza ricevuta da Dio ne annientò la violenza e il potere.

Perciò non si stancarono mai di proclamarla giglio tra le spine; terra assolutamente inviolata,

verginale, illibata, immacolata, sempre benedetta e libera da ogni contagio di peccato, dalla quale è

stato formato il nuovo Adamo; giardino delle delizie piantato da Dio stesso, senza difetti, splendido,

abbondantemente ornato di innocenza e di immortalità e protetto da tutte le insidie del velenoso

serpente; legno immarcescibile che il tarlo del peccato mai poté intaccare; fonte sempre limpida e

segnata dalla potenza dello Spirito Santo; tempio esclusivo di Dio; tesoro di immortalità; unica e

sola figlia, non della morte, ma della vita; germoglio di grazia e non d'ira che, per uno speciale

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intervento della provvidenza divina, è spuntato, sempre verde e ammantato di fiori, da una radice

corrotta e contaminata.

Ma come se tutte queste espressioni non bastassero, pur essendo straordinarie, i Padri formularono

specifiche e stringenti argomentazioni per affermare che, parlando del peccato, non poteva in alcun

modo essere chiamata in causa la santa Vergine Maria, perché a Lei era stata elargita la grazia in

misura superiore per vincere ogni specie di peccato. Asserirono quindi che la gloriosissima Vergine

fu la riparatrice dei progenitori, la fonte della vita per i posteri. Scelta e preparata dall'Altissimo da

tutta l'eternità e da Lui preannunciata quando disse al serpente: “Porrò inimicizia fra te e la donna”,

schiacciò veramente la testa di quel velenoso serpente.

Sostennero dunque che la beatissima Vergine fu, per grazia, immune da ogni macchia di peccato ed

esente da qualsivoglia contaminazione del corpo, dell'anima e della mente. Unita in un intimo

rapporto e congiunta da un eterno patto di alleanza con Dio, non fu mai preda delle tenebre, ma fruì

di una luce perenne e risultò degnissima dimora di Cristo, non per le qualità del corpo, ma per lo

stato originale di grazia.

Parlando della Concezione della Vergine, i Padri aggiunsero espressioni assai significative, con le

quali attestarono che la natura cedette il passo alla grazia e si trovò incapace a svolgere il suo

compito. Non poteva infatti accadere che la Vergine Madre di Dio potesse essere concepita da

Anna, prima che la grazia sortisse il suo effetto. Così doveva essere concepita la primogenita, dalla

quale doveva poi essere concepito il Primogenito di ogni creatura.

Proclamarono che la carne della Vergine, derivata da Adamo, non ne contrasse le macchie, e che la

beatissima Vergine fu quindi il tabernacolo creato da Dio stesso, formato dallo Spirito Santo,

capolavoro di autentica porpora, al quale diede ornamento quel nuovo Beseleel ricamandolo

variamente in oro. Fu a buon diritto esaltata come il primo vero capolavoro di Dio: sfuggita ai dardi

infuocati del maligno, entrò nel mondo, bella per natura e assolutamente estranea al peccato nella

sua Concezione Immacolata, come l'aurora che spande tutt'intorno la sua luce.

Non era infatti conveniente che quel vaso di elezione fosse colpito dal comune disonore, perché

assai diverso da tutti gli altri, di cui condivide la natura ma non la colpa. Al contrario era

assolutamente conveniente che come l'Unigenito aveva in cielo un Padre, che i Cherubini esaltano

tre volte santo, avesse sulla terra una Madre mai priva dello splendore della santità.

Proprio questa dottrina era a tal punto radicata nella mente e nell'animo degli antenati, che divenne

abituale l'uso di uno speciale e straordinario linguaggio. Lo impiegarono spessissimo per chiamare

la Madre di Dio Immacolata, del tutto Immacolata; innocente, anzi innocentissima; illibata nel

modo più eccelso; santa e assolutamente estranea al peccato; tutta pura, tutta intemerata, anzi

l'esemplare della purezza e dell'innocenza; più bella della bellezza; più leggiadra della grazia; più

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santa della santità; la sola santa, purissima nell'anima e nel corpo, che si spinse oltre la purezza e la

verginità; la sola che diventò, senza riserve, la dimora di tutte le grazie dello Spirito Santo, e che si

innalzò al di sopra di tutti, con l'eccezione di Dio: per natura, più bella, più graziosa e più santa

degli stessi Cherubini e Serafini e di tutte le schiere degli Angeli. Nessun linguaggio, né del cielo né

della terra, può bastare per tesserne le lodi.

Nessuno ignora che la celebrazione di Lei fu, con tutta naturalezza, introdotta nelle memorie della

santa Liturgia e negli Uffici ecclesiastici. Tutti li pervade e li domina per larghi tratti. La Madre di

Dio vi è invocata ed esaltata come incorrotta colomba di bellezza, rosa sempre fresca. Essendo

purissima sotto ogni aspetto, eternamente immacolata e beata, viene celebrata come l'innocenza

stessa, che non fu mai violata, e come la nuova Eva che ha generato l'Emmanuele.

Non vi è dunque niente di straordinario se i Pastori della Chiesa e i popoli fedeli si sono

compiaciuti, ogni giorno di più, di professare con tanta pietà, con tanta devozione e con tanto amore

la dottrina dell'Immacolata Concezione della Vergine Madre di Dio, che, a giudizio dei Padri, è

stata inserita nella Sacra Scrittura, è stata trasmessa dalle loro numerose e importantissime

testimonianze, è stata manifestata e celebrata con tanti insigni monumenti del venerando tempo

antico, è stata proposta e confermata dal più alto e autorevole magistero della Chiesa. Pastori e

popolo niente ebbero di più dolce e di più caro che onorare, venerare, invocare ed esaltare ovunque,

con tutto l'ardore del cuore, la Vergine Madre di Dio concepita senza peccato originale. Per questo

già dai tempi antichi i Vescovi, gli uomini di chiesa, gli Ordini regolari, gli stessi Imperatori e Re

chiesero, con insistenza, che questa Sede Apostolica definisse l'Immacolata Concezione della

Madre di Dio come dogma della fede cattolica. Queste richieste sono state nuovamente ripetute nei

tempi più recenti, specialmente al Nostro Predecessore Gregorio XVI di felice memoria, e sono

state rivolte anche a Noi dai Vescovi, dal Clero secolare, da Famiglie religiose, da Sovrani e da

popoli fedeli.

Poiché dunque, con straordinaria gioia del Nostro cuore, avevamo piena conoscenza di tutto ciò e

ne comprendevamo l'importanza, non appena siamo stati innalzati, sebbene immeritevoli, per un

misterioso disegno della divina Provvidenza, a questa sublime Cattedra di Pietro, ed assumemmo il

governo di tutta la Chiesa, abbiamo ritenuto che non ci fosse niente di più importante, sorretti anche

dalla profonda devozione, pietà e amore nutriti fin dalla fanciullezza per la santissima Vergine

Maria Madre di Dio, del portare a compimento tutto ciò che poteva ancora essere nelle aspettative

della Chiesa, per accrescere il tributo di onore alla beatissima Vergine e per metterne ancora più in

luce le prerogative.

Volendo tuttavia procedere con grande prudenza, abbiamo costituito una speciale Congregazione di

Nostri Venerabili Fratelli, Cardinali di Santa Romana Chiesa, illustri per la pietà, per la competenza

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e per la conoscenza delle cose divine; abbiamo pure scelto uomini del Clero secolare e regolare,

particolarmente versati nelle discipline teologiche, perché esaminassero con ogni cura tutto ciò che

riguarda l'Immacolata Concezione della Vergine e presentassero a Noi le loro conclusioni.

Quantunque già dalle istanze, da Noi ricevute per patrocinare l'eventuale definizione

dell'Immacolata Concezione della Vergine, risultasse chiaro il pensiero di molti Vescovi, tuttavia

abbiamo inviato ai Venerabili Fratelli Vescovi di tutto il mondo cattolico una Lettera Enciclica,

scritta a Gaeta il 2 febbraio 1849, perché, dopo aver rivolto preghiere a Dio, Ci comunicassero per

iscritto quali fossero la pietà e la devozione dei loro fedeli nei confronti dell'Immacolata

Concezione della Madre di Dio e, soprattutto, quale fosse il loro personale pensiero sulla proposta

di questa definizione e quali fossero i loro auspici, al fine di poter esprimere il Nostro decisivo

giudizio nel modo più autorevole possibile.

Non è certo stata di poco peso la consolazione che abbiamo provato, quando Ci pervennero le

risposte di quei Venerabili Fratelli. Infatti nelle loro lettere, pervase da incredibile compiacimento,

gioia ed entusiasmo, Ci confermarono nuovamente, non solo la straordinaria pietà e i sentimenti che

essi stessi, il loro Clero e il popolo fedele nutrivano verso l'Immacolata Concezione della

Beatissima Vergine, ma Ci supplicarono anche, con voto pressoché unanime, che l'Immacolata

Concezione della Vergine venisse definita con un atto decisivo del Nostro ufficio e della Nostra

autorità.

Nel frattempo abbiamo gustato una gioia non certo minore, quando i Nostri Venerabili Fratelli

Cardinali di Santa Romana Chiesa, della speciale Congregazione sopra ricordata, e i citati teologi da

Noi scelti come esperti, dopo aver proceduto con tutta l'attenzione ad un impegnativo e meticoloso

esame della questione, Ci chiesero con insistenza la definizione dell'Immacolata Concezione della

Madre di Dio.

Dopo queste premesse, seguendo le prestigiose orme dei Nostri Predecessori, desiderando

procedere nel rispetto delle norme canoniche, abbiamo tenuto un Concistoro, nel quale abbiamo

parlato ai Nostri Venerabili Fratelli, Cardinali di Santa Romana Chiesa, e, con la più grande

consolazione del Nostro animo, li abbiamo uditi rivolgerci l'insistente richiesta perché decidessimo

di emanare la definizione dogmatica dell'Immacolata Concezione della Vergine Madre di Dio.

Essendo quindi fermamente convinti nel Signore che fossero maturati i tempi per definire

l'Immacolata Concezione della santissima Vergine Maria Madre di Dio, che la Sacra Scrittura, la

veneranda Tradizione, il costante sentimento della Chiesa, il singolare consenso dei Vescovi e dei

fedeli, gli atti memorabili e le Costituzioni dei Nostri Predecessori mirabilmente illustrano e

spiegano; dopo aver soppesato con cura ogni cosa e aver innalzato a Dio incessanti e fervide

preghiere; ritenemmo che non si potesse più in alcun modo indugiare a ratificare e a definire, con il

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Nostro supremo giudizio, l'Immacolata Concezione della Vergine, e così soddisfare le sacrosante

richieste del mondo cattolico, appagare la Nostra devozione verso la santissima Vergine e, nello

stesso tempo, glorificare sempre più in Lei il suo Figlio Unigenito, il Signore Nostro Gesù Cristo,

perché ogni tributo di onore reso alla Madre ridonda sul Figlio.

Perciò, dopo aver presentato senza interruzione, nell'umiltà e nel digiuno, le Nostre personali

preghiere e quelle pubbliche della Chiesa, a Dio Padre per mezzo del suo Figlio, perché si degnasse

di dirigere e di confermare la Nostra mente con la virtù dello Spirito Santo; dopo aver implorato

l'assistenza dell'intera Corte celeste e dopo aver invocato con gemiti lo Spirito Paraclito; per sua

divina ispirazione, ad onore della santa, ed indivisibile Trinità, a decoro e ornamento della Vergine

Madre di Dio, ad esaltazione della Fede cattolica e ad incremento della Religione cristiana, con

l'autorità di Nostro Signore Gesù Cristo, dei Santi Apostoli Pietro e Paolo e Nostra, dichiariamo,

affermiamo e definiamo rivelata da Dio la dottrina che sostiene che la beatissima Vergine Maria fu

preservata, per particolare grazia e privilegio di Dio onnipotente, in previsione dei meriti di Gesù

Cristo Salvatore del genere umano, immune da ogni macchia di peccato originale fin dal primo

istante del suo concepimento, e ciò deve pertanto essere oggetto di fede certo ed immutabile per

tutti i fedeli.

Se qualcuno dunque avrà la presunzione di pensare diversamente da quanto è stato da Noi definito

(Dio non voglia!), sappia con certezza di aver pronunciato la propria condanna, di aver subito il

naufragio nella fede, di essersi separato dall'unità della Chiesa, e, se avrà osato rendere pubblico, a

parole o per iscritto o in qualunque altro modo, ciò che pensa, sappia di essere incorso, ipso facto,

nelle pene comminate dal Diritto.

La Nostra bocca è veramente piena di gioia e la Nostra lingua di esultanza. Innalziamo dunque a

Gesù Cristo Signore Nostro i più umili e sentiti ringraziamenti perché, pur non avendone i meriti,

Ci ha concesso, per una grazia particolare, di offrire e di decretare questo onore e questo tributo di

gloria alla sua santissima Madre.

Fondiamo senz'altro le nostre attese su un fatto di sicura speranza e di pieno convincimento. La

stessa beatissima Vergine che, tutta bella e immacolata, schiacciò la testa velenosa del crudelissimo

serpente e recò al mondo la salvezza; la Vergine, che è gloria dei Profeti e degli Apostoli, onore dei

Martiri, gioia e corona di tutti i Santi, sicurissimo rifugio e fedelissimo aiuto di chiunque è in

pericolo, potentissima mediatrice e avvocata di tutto il mondo presso il suo Unigenito Figlio,

fulgido e straordinario ornamento della santa Chiesa, incrollabile presidio che ha sempre schiacciato

le eresie, ha liberato le genti e i popoli fedeli da ogni sorta di disgrazie e ha sottratto Noi stessi ai

numerosi pericoli che Ci sovrastavano, voglia, con il suo efficacissimo patrocinio, portare aiuto alla

santa Madre, la Chiesa Cattolica, perché, rimosse tutte le difficoltà, sconfitti tutti gli errori, essa

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possa, ogni giorno di più, prosperare e fiorire presso tutti i popoli e in tutti i luoghi, “dall'uno

all'altro mare, e dal fiume fino agli estremi confini della terra”, e possa godere pienamente della

pace, della tranquillità e della libertà. Voglia inoltre intercedere perché i colpevoli ottengano il

perdono, gli ammalati il rimedio, i pusillanimi la forza, gli afflitti la consolazione, i pericolanti

l'aiuto, e tutti gli erranti, rimossa la caligine della mente, possano far ritorno alla via della verità e

della giustizia, e si faccia un solo ovile e un solo pastore.

Ascoltino queste Nostre parole tutti i carissimi figli della Chiesa Cattolica e, con un ancor più

convinto desiderio di pietà, di devozione e di amore, continuino ad onorare, ad invocare e a

supplicare la beatissima Vergine Maria, Madre di Dio, concepita senza peccato originale, e si

rifugino, con piena fiducia, presso questa dolcissima Madre di misericordia e di grazia in ogni

momento di pericolo, di difficoltà, di bisogno e di trepidazione. Sotto la sua guida, la sua

protezione, la sua benevolenza, il suo patrocinio, non vi può essere motivo né di paura, né di

disperazione, perché, nutrendo per noi un profondo sentimento materno e avendo a cuore la nostra

salvezza, abbraccia con il suo amore tutto il genere umano. Essendo stata costituita dal Signore

Regina del Cielo e della terra, e innalzata al di sopra di tutti i Cori degli Angeli e delle schiere dei

Santi, sta alla destra del suo Figlio Unigenito, Signore Nostro Gesù Cristo e intercede con tutta

l'efficacia delle sue materne preghiere: ottiene ciò che chiede e non può restare inascoltata.

Da ultimo, perché questa Nostra definizione dell'Immacolata Concezione della beatissima Vergine

Maria possa essere portata a conoscenza di tutta la Chiesa, decidiamo che la presente Nostra Lettera

Apostolica resti a perenne ricordo, e ordiniamo che a tutte le trascrizioni, o copie, anche stampate,

sottoscritte per mano di qualche pubblico notaio e munita del sigillo di persona costituita in dignità

ecclesiastica, si presti la stessa fede che si presterebbe alla presente se fosse esibita o mostrata.

Nessuno pertanto si permetta di violare il contenuto di questa Nostra dichiarazione, proclamazione e

definizione, o abbia l'ardire temerario di avversarlo e di trasgredirlo. Se qualcuno, poi, osasse

tentarlo, sappia che incorrerà nello sdegno di Dio onnipotente e dei suoi beati Apostoli Pietro e

Paolo.

Dato a Roma, presso San Pietro, nell'anno dell'Incarnazione del Signore 1854, il giorno 8

dicembre, nell'anno nono del Nostro Pontificato.

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Note soumise à Mgs. de Poitiers

… Comme vous l’avrez reconnu, Monseigneur, la formule de nos observances est conforme à ce

que St. Benoît avait reglé pour les Cenobites d’Occident. Celle a été l’anciènne pratique des

Chanoines Réguliers et je ne crois pas qu’en cela ils se soient revêtus d’habits étrangers, et qu’ils

soient sortis par emprunts faits au dehors, de l’ésprit et de la tradition de leur Ordre. Oserais-je,

monseigneur, vous exposer et vous soumettre mes faibles idées à cet égard, en vous demandant

pardon de la longueur de ma dissertation.

Dès les temps apostoliques la vie religieuse fut pratiquée et dans le peuple, et dans le clergé, sans

que ceux qui l’embrassaient eussent encore formé de corps distinct et séparé. A’ cette époque, il ne

pouvait y avoir de formule de vie déterminée ni pour les Moines melés au peuple, ni pour les Clercs

Religieux mêlés au reste du clergé.

Dès cette époque pourtant, les uns et les autres s’adonnaient à l’envie aux jeûnes, aux abstinences et

autres austerités.

Après la persecution, grace à ce développement que Dieu donne dans le cours des âges aux

institutions dont il a deposé le germe précieux dans le champs de l’Eglise, l’Ordre Monastique se

detache de l’Ordre laique séculier, et les formules de vie ou Règles commencèrent à paraitre, et à

determiner et fixer pour lui les jeûnes, abstinences et autres observances. St. Benoît, résumant une

tradition déjà ancienne et commune, redigea sa Règle, chef d’oeuvre de discretion, où tout est

ancien sauf la formule.

L’Ordre Canonique Régulier fut plus lent à prendre son développement propre, et à parvenir à une

existence distincte. Il demeura longtemps généralement confondu dans la masse du Clergé, et sauf

quelques rares exemples, tels que ceux de St. Augustin et St. Eusèbe de Verceil, qui le dégagèrent

dans leurs églises de l’élément séculier par voie de suppression de cet element, il attendit les

onzième et douzième siècles pour apparaître complètement formé et distinct de ce qui n’est pas lui.

Il serait long, et pourtant intéressant d’étudier les causes de cette difference profonde entre l’histoire

de l’Ordre Monastique et celle de l’Ordre Canonique. On verrait les efforts tentés pour fonder le

Clergé séculier dans l’Ordre Canonique, efforts persévérants, et qui maintinrent longtemps l’union

mal définie des deux éléments.

Lorsque définitivement l’Ordre Canonique se dégagea, par le fait normal du développement de la

semence apostolique, il dut, à son tour, formuler ce qu’il avait pratiqué d’une manière vague et

générale. Il trouva toute faite la formule de St. Benoît, et il se l’adapta universellement. En cela

faisait-il un emprunt proprement dit? Je ne le pense pas, mais il déterminait, dans la liberté de vie

qui lui était désormais acquise, ce qu’il avait toujours plus ou moins cherché à pratiquer, et de fait,

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je pense que les anciens Clers Religieux s’étaient toujours beaucoup rapprochés de la vie des

Moines, sauf la direction donné à leur activité par la hiérarchie ecclésiastique.

Nous pourrions retrouver la trace des jeûnes et des abstinences quasi-monastiques dans les vies de

tous les grands saints Evêques ou clers de l’antiquité. St. Germain d’Auxerre, votre illustre St.

Hilaire, St. Ambroise, St. Augustin, et ce dernier ne formule rien à cet égard dans sa Règle, où il ne

trace que les devoirs essentiels de la vie religieuse, et qui suppose, dans ceux à qui il l’adresse, des

réglements et statuts déjà connus d’ailleurs et observés; mais nous savons, par d’autres documents,

que, dans sa Communauté il faisait donner de la chair aux infirmes, ce qui est une confirmation de

l’usage habituel de l’abstinence. St. Ambroise, son maître, jéunait tous les jours, hors les fêtes des

martirs, etc.etc. les uns faisaient plus, les autres moins en matière d’observances austères; le fonds,

comme à l’origine de la vie monastique pour les Moines eux mêmes, était identique. Mais rien

n’avait encore été formulé, déterminé, arrêté.

Du reste il n’y avait point, dans cette antiquité, de difference bien tranchée entre l’Orient et

l’Occident. En Orient la Règle de St. Basile était dès lors suivi par une partie considérable du

clergé, et c’est ce qui fait qu’on n’y connut pas la distinction exacte de l’Ordre Monastique et de

l’Ordre Canonique (…).

Aussi nulle part les Congrégations de Chanoines Réguliers, en se formant, n’hésitèrent, elles à

emprunter les formules discrètes d’observances tracées par St. Benoît, tout en gardant l’ésprit

propre et la direction special de l’Institut Canonique. Cela ce fit naturellement et sans provoquer

d’objections d’aucun côté. On trouvait, dans ce trésor commun, les antiques traditions de la vie

religieuse, également propres aux Moines tirés du peuple, et aux Chanoines Réguliers tirés du

Clergé. J’ai sous les yeux les premièrs status des Chan. Rég. de Latran, et ils ne font pas exception.

Toutefois, Monseigneur, je n’entende nullement trouver mauvais ce que l’Eglise loue et approuve,

et ce qui conduit à une haute perfection les Réligiuex admirables, auquels vous avez offert dans

votre diocèse, un asile précieux pour toute l’Eglise de Rome. Je sais, par mon sejour à St. Paul de

Rome, tout ce qu’il y a de vertu pure et simple, d’obéissance, de pauvreté, et surtout de délicieuse

charité dans ces vieilles institutions de l’Italie, moins resserées en apparence par la rigueur de la

lettre que par la douce ferveur de l’esprit. Ils sont ce vin vieux et délicieux, dont parle l’Evangile, et

ils n’ont pas besoin, comme nous, vin nouveau et qui fermente encore, de la forte pression des

observances rigoureuses.

Il me semble en effet que nous avons besoin, nous qui commençons et qui naissons sur cette terre

de France dépourvue de respect, d’obeissance, et de vertus traditionnelles, de ces observances assez

austères en apparence pour attirer à l’odeur de la myrrhe les âmes qui cherchent la croix et pour

écarter les âmes légères que l’imagination mène à la vie religieuse et qui en ignorent la vertu

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veritable. Je sais bien que l’on peut mortifier la nature en bien d’autres manières plus excellentes;

un ascétisme puissament constitué, tel qu’il se trouve chez les Jésuites, les Rédemptoristes et les

autres Instituts récents, peut tenir lieu de la sévérité des observances.

Mais si nous entrions en cette voie, nous ne serions plus nous-mêmes; nous n’appartiendrions plus à

l’antique et traditionnel Institut des Chanoines Réguliers, mais bien à la famille des Clercs

Réguliers famille admirable mais qui n’est pas la nôtre…..