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UNIVERSITA’ DEGLI STUDI DI TORINO FACOLTA’ DI MEDICINA E CHIRURGIA I CLINICA ORL II CLINICA ORL - AUDIOLOGIA MEDICINA DEL LAVORO FEDERAZIONE ITALIANA AUDIOPROTESISTI Atti del Convegno: L’IDONEITÀ ALLA GUIDA DI AUTOMEZZI: LA TEORIA E LA PRATICA Torino 15 giugno 2010

UNIVERSITA’ DEGLI STUDI DI TORINO - diss-it.org · riferimento al Rapporto INAIL 2008 sugli infortuni mortali in Italia. In quell’anno gli infortuni mortali tra chi lavora sulla

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UNIVERSITA’ DEGLI STUDI DI TORINO

FACOLTA’ DI MEDICINA E CHIRURGIA I CLINICA ORL

II CLINICA ORL - AUDIOLOGIA MEDICINA DEL LAVORO

FEDERAZIONE ITALIANA AUDIOPROTESISTI

Atti del Convegno:

L’IDONEITÀ ALLA GUIDA DI AUTOMEZZI: LA TEORIA E LA PRATICA

Torino 15 giugno 2010

Segreteria Scientifica: Dott. C. Canovi - ANAP Dott. M. Garzaro – Università di Torino Dott. A. Pira – Università di Torino

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L’idoneità alla guida come strumento di prevenzione E. Pira1, A. Ferrario1, C. Ciocan1, C. Giordano2 1 Medicina del Lavoro – Università di Torino 2 Clinica ORL1 – Università di Torino Abbiamo ritenuto opportuno organizzare questo Convegno in quanto è nostra

convinzione che il problema della sicurezza stradale sia da considerare

prioritario in una società civile. I numeri sono estremamente preoccupanti e

chiunque si interessi di Sanità Pubblica non può non porsi la domanda se non

esistano margini di intervento per incidere su questa vera e propria ecatombe.

I dati più recenti disponibili, riportati in Tabella 1, sono relativi al 2008

(http://www.aci.it).

Tabella 1. Analisi incidentalità 2008.

INCIDENTI TOTALI DECEDUTI FERITI ITALIA 218963 4731 310739 PIEMONTE 13152 332 19229

Si ricorda che nel computo dei decessi da incidente stradale sono compresi gli

eventi che occorrono nelle 24 ore successive (decesso sul colpo) e quelli che

occorrono nei 29 giorni successivi. Se ne ricava che il numero totale dei decessi

ufficiali è calcolato per difetto.

Il fenomeno rappresenta una larga parte, come vedremo, dell’infortunistica in

ambito professionale, e questo fatto induce ad alcune opportune riflessioni.

Infatti una delle affermazioni ricorrenti, almeno sugli organi di stampa, è che il

numero degli infortuni mortali in Italia non accenni a diminuire, se non in

percentuali infinitesimali, rilevando così, indirettamente, che la prevenzione in

ambito industriale non sarebbe efficace. Se rivedessimo però il dato alla luce

della modifica della disciplina assicurativa dell’infortunio in itinere (Legge 17

maggio 1999, n 144) potremmo agevolmente verificare che, dall’introduzione

della legge, nel 2000, il numero degli infortuni mortali occorsi (prevalentemente

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se non totalmente per incidenti della strada) registrati in tale condizione

assicurativa rappresenti circa il 25% di tutti gli infortuni mortali nel nostro

Paese.

Tabella 2. Infortuni mortali avvenuti nel periodo 2001-2008 per modalità di evento-valori assoluti (www.INAIL.it).

MODALITA’ DI EVENTO

2001 2002 2003 2004 2005 2006 2007 2008

In occasione di lavoro

1250 1082 1087 1023 994 1061 903 844

Var. % su anno precedente

- 13,4 0,5 - 5,9 - 2,8 6,7 - 14,9 - 8,5

Var. % su anno 2001

- 13,4 - 13,0 - 18,2 - 20,5 - 15,1 - 27,8 - 32,5

In itinere 296 396 358 305 286 280 304 276 Var. % su anno precedente

33,8 - 9,6 - 14,8 - 6,2 - 2,1 8,6 - 9,2

Var. % su anno 2001

33,8 20,9 3,0 - 3,4 - 5,4 2,7 - 6,8

Totale 1548 1478 1445 1328 1280 1341 1207 1120 Var. % su anno precedente

- 4,4 - 2,2 - 8,1 - 3,6 4,8 - 10,0 - 7,2

Var. % su anno 2001

- 4,4 - 6,5 - 14,1 - 17,2 - 13,3 - 21,9 - 27,6

La riflessione assume connotazioni ancora più rilevanti quando si faccia

riferimento al Rapporto INAIL 2008 sugli infortuni mortali in Italia. In

quell’anno gli infortuni mortali tra chi lavora sulla strada sono stati 611 (più del

54% sul totale), mentre i casi in itinere (276) sono calati del 9,2% rispetto al

2007. Ne consegue che ai 276 infortuni mortali in itinere, riferiti ad eventi che

hanno interessato lavoratori di comparti diversi durante il tragitto per e dal

luogo di lavoro, vanno sommati 335 decessi di lavoratori del trasporto stradale.

Se ne ricava che gli infortuni mortali occorsi nel settore produttivo vero e

proprio o nel terziario sarebbero “solo” 509. Questi numeri indicano,

indirettamente, che un effetto della prevenzione nei siti produttivi propriamente

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detti sia più che evidente, anche se non è comunque tollerabile un numero di

decessi così elevato.

La prevenzione degli incidenti della strada è esercizio sicuramente complesso e,

per consuetudine professionale, abbiamo provato a semplificare il modello

immaginandolo come una realtà industriale fatta di strutture, macchine, uomini,

tutti potenziali destinatari di politiche di prevenzione.

La struttura è la strada, o meglio, i diversi tipi di strada, con elementi di rischio

diversi e non standardizzabili, per tutta una serie di variabili, prima fra tutte la

situazione meteorologica. Eppure abbiamo chiara idea di come vorremmo fare

la “nostra” autostrada di percorrenza abituale: a carreggiata larga, con

separazione strutturale e solida per i 2 sensi di marcia, con corsia di emergenza,

aree di sosta sicure, asfalto in buone condizioni e drenante, segnaletica

orizzontale e verticale di facile lettura ed interpretazione, parapetti solidi,

gallerie ben illuminate, presidi antinebbia, etc. Sembra una improbabile lista per

regali natalizi ma il fatto che in alcuni casi tutto questo sia stato realizzato

induce a ritenere che l’esperienza possa essere estesa: si tratta ovviamente di

operare scelte di indirizzo per fondi pubblici. Ma se, nella riflessione, e nella

scelta delle priorità d’investimento, come è consuetudine in ambito industriale,

intervenisse l’obbligatorietà della scelta in quanto elemento determinante per la

tutela della vita umana le cose cambierebbero? Probabilmente sì, e a sostegno di

questa risposta, proponiamo una riflessione su una nota autostrada

interregionale che ha completato il raddoppio di carreggiata nel novembre 2001:

i morti negli anni precedenti il raddoppio (1960-2001) sono stati 441, mentre

negli anni successivi al raddoppio (2002-2009) sono stati 45. Questo dato, già

significativo in termini assoluti, va però interpretato facendo riferimento sia alla

progressiva entrata in esercizio di tratti stradali sia, soprattutto, ai volumi di

traffico che sono andati progressivamente crescendo dai 241 milioni di veicoli

del 1970 ai 980 milioni di veicoli del 2009. Il dato confrontabile è, però, il tasso

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di mortalità espresso dal rapporto fra il numero dei decessi e le percorrenze

svolte dalle unità veicolari nel periodo relativo (veicoli/km).

Il tasso di mortalità dell’Autostrada Torino-Savona nel 1992 (anno peggiore)

era pari a 5,6 contro un dato di riferimento per l’intera rete autostradale italiana

di 1,40 (RR=4). Nel 2009 questo tasso di mortalità è stato di 0,20 decessi per

100.000 veicoli/km contro lo 0,31 del dato nazionale (RR=0,65).

Se passiamo poi a considerare strade statali e provinciali l’analisi diviene

desolante. Nella personale esperienza di uno degli autori è ricorrente la

riflessione sulla percorrenza di una strada di grande comunicazione

interregionale che, nel tratto piemontese e nella prima parte del tracciato ligure,

non ha nulla (o poco) di diverso da quando la percorreva in età infantile, nei

primi anni ’60, sulla 600 del padre. La differenza, ovviamente, è nel numero

delle vetture circolanti e nella loro potenza (ovvero velocità). Non è un caso che

sia sorto un Comitato per le vittime della strada statale 28.

Esempi di questo tipo sono purtroppo numerosi ma, evidentemente, la

percezione del rischio non è tale da spingere all’adozione di radicali

cambiamenti. A volte, come accade in una industria non adeguata sotto il

profilo strutturale, si provvede a limitare la funzione di esercizio della strada,

nell’intento di impedire che il deficit di struttura possa determinare l’infortunio:

ecco i limiti di velocità. L’adozione di limiti è sicuramente corretta e

condivisibile quando logica (130 e 90 km/h), ma che dire di cartelli a 30 e 40

km/h in tratti rettilinei perché una buca non è stata prontamente riparata? La

differenza con l’ambito industriale è che, nel primo caso, la limitazione di

utilizzo è generalmente rispettata (chiusura parziale o totale dell’impianto,

accesso regolamentato, blocco di determinate azioni) mentre nel caso delle

strade la limitazione è generalmente prescritta con una indicazione temporanea

e il rispetto della norma è in genere più funzione della responsabilità individuale

dell’autista, piuttosto che della possibilità di una coercizione mediante

procedure sanzionatorie.

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Sempre seguendo il parallelismo con il mondo industriale valutiamo il secondo

elemento: i macchinari inseriti nella struttura. Nel nostro caso i macchinari sono

gli autoveicoli, di diversa foggia, dimensioni e potenza, di uso civile e

professionale. Si può senza dubbio affermare che questi macchinari, negli ultimi

due decenni hanno conosciuto una importante e continua trasformazione verso

requisiti di sicurezza: cinture di sicurezza, airbag, carrozzerie ad assorbimento

d’urto, sistemi di frenata e di controllo dalla trazione sempre più sofisticati,

navigatori satellitari, radar con controllo automatico della frenata, etc. ma un

elemento (anch’esso in continua evoluzione e crescita) contrasta con i dettami

della sicurezza: l’aumento di potenza e quindi di velocità che costituisce

stridente antitesi con le norme di limitazione della velocità stessa e, soprattutto,

con le caratteristiche strutturali di una rete stradale vetusta. Certamente

l’adeguamento tecnico (trazione integrale, riduzione dello spazio di frenata,

controllo della trazione e quindi della traiettoria, manovre servo assistite)

compensano spesso l’accresciuta potenza, ma non invariabilmente e, allora,

l’elemento cardine è dato dal fattore umano, ovvero, per terminare il

parallelismo, dal lavoratore/autista. In ambito industriale il lavoratore è

destinatario di informazione e formazione specifica per la tutela della propria e

altrui incolumità, segue periodicamente corsi, ed è obbligato ad attenersi a

definite linee di condotta. Inoltre la sua idoneità a svolgere una determinata

mansione è oggetto di valutazione prima dell’affidamento del compito specifico

e, periodicamente, durante lo svolgimento dello stesso, al fine di acquisire

elementi che comprovino la effettiva capacità di condurre l’attività senza

riceverne, nel tempo, detrimento per la propria salute. Se riprendiamo il

paragone tra lavoratore e conduttore di autoveicoli (tralasciando le situazioni in

cui non vi è distinzione in quanto il lavoratore è conduttore di autoveicoli come

verrà discusso in uno degli interventi congressuali) dobbiamo domandarci se,

attualmente, il nostro ordinamento legislativo (la teoria), e le valutazioni

quotidiane (la pratica), consentano di mettere in atto procedure di valutazione

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alla guida di automezzi che permettano di definire con buona precisione

l’effettiva idoneità alla guida di automezzi.

A questo scopo abbiamo disegnato un percorso in cui vengono analizzate le

condizioni classiche di valutazione dell’idoneità alla guida, tenendo in

considerazione, tra queste, alcuni aspetti di recente accresciuto interesse nella

comunità scientifica, quali ad esempio la sindrome da apnee notturne, ma,

soprattutto, abbiamo lasciato largo spazio ad un aspetto, la valutazione della

funzione uditiva, che pare, ad oggi, assolutamente sottostimato, come emergerà

dalle relazioni dedicate. E’ una condizione che merita attenzioni molto

approfondite, come dimostrano recenti, tragici, fatti di cronaca cittadina.

Riteniamo quindi che questo Convegno in cui saranno esaminati e discussi

aspetti noti ed aspetti innovativi della valutazione dell’idoneità alla guida di

automezzi possa rappresentare lo spunto per porre in discussione e, magari,

rivedere le norme per la concessione della patente di guida, dato che il

cosiddetto fattore umano rappresenta una componente estremamente rilevante

nella sicurezza alla guida, forse la più importante, e non riteniamo ammissibile

che condizioni pregiudizievoli per una corretta condotta nel complesso sistema

della circolazione stradale non debbano o possano essere rilevate, limitando così

una più approfondita valutazione per la concessione della licenza di guida.

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I PROBLEMI NOTI

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La valutazione del neurologo: epilessia, disturbi del sonno, disturbi dello stato di coscienza S. Garbarino (1,2,3) (1) Dipartimento di Neuroscienze, Oftalmologia e Genetica, Università di Genova. (2) Dipartimento di Medicina Legale e del Lavoro, Università degli Studi di Genova. (3) Servizio Sanitario Polizia di Stato, Ministero dell’Interno. EPILESSIA

L’epilessia, riconosciuta come “malattia sociale” dal 1965 interessa

direttamente fra lo 0,5 - l% della popolazione italiana, circa 500.000 cittadini

con 25.000 nuovi casi/anno. Di questi solo un numero esiguo guarisce. Se circa

il 30 % non trova ancora oggi una terapia adeguata, è pur vero che la

maggioranza riesce a controllare terapeuticamente le crisi conducendo una vita

normale.

Tuttavia, come ha affermato un noto epilettologo americano, Lennox, “Il

soggetto con epilessia soffre più che per la sua malattia per tutto ciò che essa

comporta, soprattutto a livello sociale”.

In ambito lavorativo, frequentemente, si registrano le maggiori criticità. La

vigente legislazione riconosce esclusivamente i soggetti che manifestano crisi in

corso di trattamento farmacologico cronico come affetti da epilessia con

invalidità. Pertanto vengono esclusi da qualsiasi agevolazione prevista dalla

68/99 (“Norme per il diritto al lavoro dei disabili”) circa l’80% dei 500.000

cittadini italiani che soffrono di epilessia, senza contare che le stesse tabelle di

riferimento utilizzate per il calcolo della percentuale di invalidità sono

incomplete per quanto concerne l’effettivo grado di “efficienza lavorativa”. Il

datore di lavoro, in particolare il privato, è spesso intimorito dalla semplice

parola “epilessia” e ciò rende difficile l’inserimento lavorativo. In questo

contesto sociale l’autista preferisce celare la propria condizione esponendosi, in

caso di crisi, al licenziamento o alla non-copertura assicurativa in caso di

infortunio/incidente stradale.

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Nei rari casi di guarigione, viene negato il riconoscimento della superata

condizione patologica.

Paradigmatico è la questione dell’idoneità psicofisica alla guida di veicoli a

motore. L’appendice II all’Art.. 320 del D.P.R. 6/12/92, n. 495 “Regolamento di

esecuzione e di attuazione del nuovo codice della strada”, limita l’idoneità alla

guida a soli due anni, nega l’idoneità alle patenti di categoria superiore (C, D,

E) agli autisti affetti o che abbiano sofferto in passato di epilessia. Tale

situazione crea una discriminazione ingiustificata nei confronti dei soggetti

guariti.

Nel 2009 l’UE ha emanato due Direttive Europee (2009/112/CE della

Commissione del 25 agosto 2009 recante modifica della Direttiva 91/439/CEE

del Consiglio concernente la patente di guida e la Direttiva 2009/113/CE della

Commissione del 25 agosto 2009 recante modifica della Direttiva 2006/126/CE

del Parlamento Europeo e del Consiglio concernente la patente di guida), in

materia di idoneità alla guida in caso di epilessia, diabete mellito e disabilità

visiva che obbligheranno i vari Stati a uniformare la propria legislazione entro

l'anno in corso.

Le nuove disposizioni, infatti, a differenza della normativa vigente prendono in

considerazione le diverse sindromi e condizioni patologiche in grado di non

compromettere o compromettere l’idoneità alla guida, disponendo per queste

ultime le previste comunicazioni alle autorità competenti. Le direttive prendono

in considerazione le crisi epilettiche provocate rispetto alle non provocate, le

crisi morfeiche e le crisi senza effetti sulla stato di coscienza o sulla capacità di

azione. Le crisi dovute a modificazioni o a riduzioni della terapia antiepilettica

per decisione dello specialista neurologo. L’autista può essere dichiarato idoneo

alla guida dopo un periodo di un anno senza ulteriori crisi. Viene per la prima

volta introdotto il concetto di guarigione dopo 5 anni di assenza di crisi

epilettiche per il gruppo 1 (patenti cat. A-B) e di 10 anni senza assunzione di

farmaci antiepilettici per il gruppo 2 (patenti cat. C D E). La normativa inoltre,

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prende in considerazione tutte le altre cause di perdita di coscienza in base al

rischio di ricorrenza durante la guida (pari o inferiore al 2% nel corso dell’anno)

da parte del neurologo

Fondamentale è, dunque, il ruolo assunto dallo specialista neurologo nella

rimozione degli ostacoli di natura giuridica e sociale per il pieno riconoscimento

del soggetto affetto da epilessia o da episodi ricorrenti di perdita di coscienza.

Una corretta diagnosi e certificazione, che attesti le reali, e non le presunte,

limitazioni delle persone affette da questi disturbi costituiscono il primo passo

per un concreto inserimento sociale.

DISTURBI DEL SONNO ED ECCESSIVA SONNOLENZA DIURNA

Gli incidenti stradali (IS) costituiscono un grave fenomeno in tutti i Paesi

Industrializzati con un impatto drammatico in termini sanitari ed economici.

L’Unione Europea ha posto come priorità sociale del decennio l’obiettivo di

ridurre del 50% la mortalità da IS entro il 2010. Considerando che in Europa ed

in molti altri Paesi, recenti stime indicano nei prossimi 10 anni un incremento

del traffico professionale del 50%, diviene determinante individuare le cause di

IS per predisporre adeguate strategie preventive.

L’eccessiva sonnolenza diurna (EDS) è stata indicata come la causa principale

di IS mortali e di infortuni, ed è causa e/o concausa di circa il 22% di IS, con

una percentuale di mortalità doppia rispetto agli IS dovuti ad altre cause (11.4%

contro il 5.62%).

Per molti anni l’EDS alla guida è stata ritenuta conseguenza quasi esclusiva di

deprivazione di sonno e disturbi del sonno (OSAS, RLS, PLM, disturbi del

ritmo circadiano etc.), attualmente vengono considerati fattori determinanti EDS

anche comuni condizioni/abitudini sociali quali l’assunzione di alcool, farmaci e

droghe. Tutti questi fattori causali inducono, con diverse modalità, a livello del

sistema nervoso centrale l’attivazione di una cascata di eventi fisiologici che

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termina in una “via finale comune” caratterizzata da progressiva riduzione del

livello di vigilanza, EDS fino al “colpo di sonno”.

Le industrie automobilistiche stanno approntando dispositivi di detezione della

sonnolenza all'interno del veicolo. Spesso gli autisti con EDS compiono grandi

sforzi per mantenere un adeguato livello di vigilanza, di conseguenza le fasi

dell'addormentamento alla guida non sono sovrapponibili a quelle in condizioni

"normali". Gli eventi fisiologici che precedono il sonno e che l'autista cerca di

contrastare presentano latenze e sequenze diverse, pertanto i metodi adottati per

la loro misurazione (EEG, simulatori di guida) presentano scarsa attendibilità

anche nelle migliori condizioni di laboratorio.

A tuttoggi, non esistono dispositivi di detezione della sonnolenza affidabili, il

metodo più valido ed efficace per rilevare il grado di sonnolenza in un autista è

la sua stessa consapevolezza.

L’elaborazione di adeguate strategie preventive deve quindi tenere conto della

diversità dei fattori determinanti l’EDS. E’intuitivo che campagne di

prevenzione ed educazionali rivolte a popolazioni mirate come gli

autotrasportatori devono privilegiare gli aspetti conoscitivi ed esperenziali

connessi alla problematica.

Principali cause di IS fra gli autisti professionali sono: debito di sonno, perturbazione

del ciclo sonno-veglia (lavoro a turni, overtime etc.), disturbi del sonno (OSAS, RLS)

e errati stili di vita (alcool, farmaci, droghe e loro interazione).

Per gli autisti professionali (turnisti e overtime) sarebbero opportuni interventi

volti a modificare e ottimizzare l’organizzazione degli orari di lavoro e dei

sistemi di turnazione evitando la formazione e l’accumulo di debito di sonno, i

turni a rotazione rapida e in anticipo di fase. Di interesse a questo proposito

appare un nostro studio condotto sull’universo degli autisti della Polizia

Stradale italiana operanti in turni sulla rete stradale italiana, per sei anni, in cui

si è dimostrata l’efficacia profilattica sull’incidentalità di un periodo di sonno

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(nap) posizionato prima dell’ingresso nel turno notturno. Un modello

biomatematico ha permesso di stimare in circa 40% la diminuzione della

frequenza degli IS realmente occorsi rispetto a quelli attesi in assenza del nap

preventivo. Le caratteristiche del modello preventivo elaborato, per la loro

generalità sono tali da renderlo facilmente applicabile a tutte le categorie di

lavoratori operanti in turni, così come alla popolazione generale.

Il regolamento CEE 561/2006 in vigore dal 11/04/2007 stabilisce che il

conducente, nei limiti necessari alla protezione della sicurezza delle persone, del

veicolo o del suo carico, può derogare alla durata dei periodi di guida e di riposo

a condizioni di non compromettere la sicurezza stradale e di poter raggiungere

un punto di sosta appropriato, ma la rigidità e la cadenza dei periodi di guida e

riposo quasi mai coincidono con zone di sosta adatte ai veicoli pesanti. Diviene

fondamentale la realizzazione di itinerari stradali europei strutturati in modo tale

da fornire una mappatura precisa dei punti di ristoro e recupero fisico (aree di

sosta) atti ad agevolare in particolare gli autotrasportatori.

Per quel che riguarda l’EDS da condizioni patologiche l’allargamento delle

capacità di intervento diagnostico e terapeutico da parte del Servizio Sanitario

Nazionale potrebbe essere auspicabile con corsi di aggiornamento mirati ad una

maggior conoscenza di queste patologie da parte del personale sanitario.

In particolare, la sindrome delle Apnee Ostruttive nel Sonno (OSAS), presenta

una elevata prevalenza negli autisti professionali. Dati recenti confermano che

gli autotrasportatori ne sono affetti in maniera significativamente maggiore

rispetto alla popolazione generale (17% vs 8.6 %). Un adeguato trattamento di

questa patologia riduce significativamente l’EDS alla guida e il rischio di IS

nella popolazione affetta.

Uno studio del nostro gruppo, che valutava la prevalenza dell’OSAS negli

autotrasportatori di merci pericolose (ENI) del Nord-Ovest d’Italia, ha

individuato una elevata ed inattesa prevalenza di OSAS, circa il 30% con RDI >

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10 (Respiratory Distress Index), l’8,5% con RDI > 30 corrispondente ad una

condizione di patologia grave. Dai medesimi dati è stato possibile elaborare un

nuovo strumento di screening per l’OSAS (sensibilità 0.99, specificità 0.78)

ricavato da alcuni items della Sleep Disorders Score (SDS), dall’esame clinico e

dalla Polisonnografia (PSG).

Il sospetto di OSAS potrà essere formulato in ambito ambulatoriale basandosi

sul punteggio ricavato dalle risposte a pochi items presenti nel SDS e su

parametri antropomorfici facilmente misurabili, ricordando che la PSG rimane

l’esame “gold standard” per la diagnosi di certezza dei casi individuati. Nel caso

in cui gli effetti negativi dell’alcool sul livello di vigilanza siano associati a

EDS si registra un effetto moltiplicativo capace di aumentare notevolmente il

rischio di incidentalità. Dati sperimentali sull’animale e sull’uomo in condizioni

di laboratorio (simulatori di guida etc.) dimostrano un incremento di errori a

livelli pari di alcolemia in rapporto alle oscillazioni circadiane del livello di

vigilanza e alla deprivazione di sonno E’ tuttavia intuitivo che livelli di

alcolemia “tollerabili” (0.5 g/L valore limite sanzionabile) in un autista al

massimo livello di vigilanza comportino, in momenti di forte propensione

circadiana al sonno o dopo periodi eccessivamente prolungati di veglia, un

elevato rischio di incidentalità.

Recentemente il nostro gruppo ha condotto uno studio sul campo, per la prima

volta a livello internazionale, con analisi correlative fra tasso alcolemico e

propensione circadiana al sonno dei conducenti di veicoli coinvolti in IS occorsi

sulla rete stradale ligure per il periodo di un anno.

Pattuglie delle Forze di Polizia dotate di “etilometro” hanno raccolto sulla scena

dell’IS dati relativi ad ogni singolo IS osservato nell’arco delle 24 ore (dinamica

e ora dell’IS, abitudini di guida, e quantità di veglia nelle 24 h precedente l’IS

etc.) e, in caso di ricovero in ambiente ospedaliero, la valutazione veniva

effettuata da parte dei sanitari delle strutture di riferimento (Pronto Soccorso).

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Le curve dell’andamento in funzione del tempo (24 ore) del rischio d’IS

attribuiti a EDS e ad intossicazione alcolica evidenziano significative

concentrazioni di rischio in concomitanza della fascia notturna e del picco

meridiano e in una zona compresa fra le 18:00 e le 22:00.

L’analisi dei risultati mostra una forte interazione fra EDS e livelli

d’intossicazione alcolica nel determinismo degli IS attribuiti agli effetti

dell’alcool. Si tratta di una interazione diversa essendo evidente come elevati

livelli di vigilanza esercitino un effetto “protettivo” e come, all’inverso, elevati

livelli di EDS esercitino un ruolo “contributivo” rendendo possibile

l’occorrenza d’IS con livelli di alcolemia significativamente minori.

Dall’analisi dei dati, presenti in letteratura, sembra possibile individuare zone di

massima propensione al sonno e zone di massima vigilanza che riflettono le dinamiche

dei fattori circadiani omeostatici e inerziali della sonnolenza e/o della vigilanza.

L’accoppiamento EDS e intossicazione alcolica esercita un effetto

moltiplicativo sulla entità del rischio d’IS confermando sul campo i dati

sperimentali e di laboratorio.

In conclusione, supportati da tali evidenze, come potrebbe essere ridotto il

rischio di IS da EDS?

I Paesi Industrializzati hanno il dovere di recepire l'impatto nefasto degli IS

legati a EDS, che si ripercuote sulla salute ed il benessere degli individui.

I nostri dati e quelli già presenti in Letteratura dovrebbero fornire gli elementi

fondamentali per persuadere le Istituzioni ad emanare leggi e normative al fine di

ridurre IS e/o infortuni causati da EDS, mediante la predisposizione di idonei sistemi

di turnazione, l’attuazione di screening per le patologie comportanti EDS e favorendo

la divulgazione di contromisure e strategie preventive in settori ad alto rischio come

quello dei Trasporti, della Sanità e della Pubblica Sicurezza.

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La valutazione dell’ortopedico: limitazione funzionale e disabilità da patologie dell’apparato muscoloscheletrico E. Brach del Prever1, A. Bistolfi2, E. Pira1 1 Medicina del Lavoro – Università di Torino 2 Azienda Ospedaliera CTO – Maria Adelaide Torino Le patologie dell’apparato muscolo-scheletrico possono causare una diversa

abilità alla guida di autoveicoli. Le patologie traumatiche, metaboliche,

infiammatorie, infettive, degenerative e tumorali provocano danni anatomici

con conseguenti limitazioni funzionali temporanee o permanenti in tutti i

pazienti, in particolare per quanto riguarda l’abilità alla guida di autoveicoli.

L’analisi sia della causa che della situazione generale e locale permette di

identificare la migliore strategia terapeutica, in particolare di raggiungere gli

obiettivi riabilitativi corretti in modo che il paziente abbia una disabilità ben

compensata anche per guidare.

Alcuni esempi:

- un paziente affetto da artrite reumatoide può avere gravi limitazioni

della mobilità generale, in particolare di collo, arti superiori ed inferiori,

con difficoltà allo spostamento nell’auto, rotazione del collo, movimenti

dell’arto superiore, presa del volante, uso della chiave per l’accensione,

ecc: un programma terapeutico interdisciplinare tra cui quello

riabilitativo che comprenda l’uso di ausili e modifiche dell’auto

(specchietti retrovisori aggiuntivi, presa del volante ecc) permette al

paziente disabile di guidare in sicurezza ed autonomia (Cranney AB et

al. Driving problems in patients with Rheumatoid Arthritis. J

Rheumatology 2005; 32:12)

- anche un paziente con spondilite anchilopoietica riesce a guidare bene

con modifiche minori dell’auto che compensino la minore mobilità ed il

dolore ai movimenti (Holden W et al. Neck pain is a major clinical

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problem in ankylosing spondylitis and impact on driving and safety.

Scandinavian J of Rheumatology 2005; 34:159)

- un paziente operato di protesi di ginocchio per una grave gonatrosi è in

grado di guidare in sicurezza dopo circa 6 settimane, anche se la

capacità di uso soprattutto del pedale del freno è già adeguata dopo 10

giorni dall’intervento chirurgico (Marques CJ et al. Does the brake

response time of the right leg change after left TKA? A prospective

study. The knee 2008; 15:295 - Pierson JL et al. Brake response time

after TKA. When is it safe for patients to drive? J Arthroplasty

2003;18:840).

Alcune patologie dell’apparato muscolo-scheletrico, inoltre, possono

predisporre il guidatore-paziente ad una maggiore probabilità di danno

anatomico e funzionale grave in caso di incidente. In alcuni casi, infatti, una

patologia e/o un intervento chirurgico, eseguito per il trattamento, possono

essere la base di un grave danno in caso di trauma. In tutti questi casi, è

essenziale la formazione ed informazione del paziente e dei medici di famiglia.

Alcuni esempi:

- un paziente con spondilite anchilopoietica ha un’alta probabilità di

avere una lesione mielica del rachide in caso di incidente (Alaranta H et

al. Traumatic spinal cord injury as a complication to Ankylosing

Spondylitis. Clinical and Experimental Rheumatology 2002; 20:66). Lo

stesso può succedere ad un paziente con artrite reumatoide e la tipica

lesione di C2

- pazienti operati di protesi d’anca e/o ginocchio, in caso di trauma,

possono avere una frattura periprotesica del femore con conseguente

difficile terapia e risultato funzionale limitato

19

- un paziente operato di protesi totale d’anca deve evitare sedili bassi per

prevenire la lussazione della protesi, favorita dalla flessione e rotazione

dell’anca.

La maggior parte delle persone anziane ha una patologia degenerativa

poliarticolare con limitazione della mobilità e dolore, più o meno compensati.

Questo danno anatomico è sempre associato, in misura differente, ad un

decadimento della capacità psico-fisiche, in particolare della capacità di

coordinamento e velocità di reazione con conseguente probabilità di minore

sicurezza alla guida per sé e gli altri. Questo dato determina la necessità di

valutare sempre nel guidatore anziano anche questi aspetti con metodi adeguati

(Soderstrom CA and Joyce JJ. Medical review of fitness to drive in older

drivers: the Maryland experience. Traffic Injury Prevention 2008; 9:342 - Ball

KK et al. Can high-risk older drivers be identified through performance-based

measures in a Department of motor vehicles setting? J Am Geriatr Soc 2006;

54:77 - Fildes BN. Future directions for older driver research. Traffic Injury

Prevention 2008; 9:387 - Wheatley CJ and Di Stefano M. Individualized

assessment of driving fitness for older individuals with health, disability and

age-related concerns. Traffic Injury Prevention 2008; 9:320 - Ergun Y and

Rizzo M. Driving and neurodegenerative diseases. Current Neurology and

Neuroscience Reports 2008; 8:377). Tuttavia, è importante valutare anche

l’opportunità per il guidatore anziano di autonomia negli spostamenti, uno dei

fattori base per mantenere una buona qualità di vita (Oxley J and Whelan M. It

can not be all about safety: the benefits of prolonged mobility. Traffic Injury

Prevention 2008; 9:367).

20

La valutazione dell’oculista: guidare con difetti della vista e malattie oculari F. Grignolo1, A. Fea1, A. Giordano2 1 Dipartimento di Fisiopatologia Clinica - Clinica Oculistica – Università di

Torino 2 Servizio Medicina Legale ASL 1 Torino La problematica relativa alla funzione visiva e alla guida può essere affrontata

in modi diversi: 1) normative vigenti per ottenere i diversi tipi di patente; 2)

effetto di diverse patologie sulle capacità visive; 3) alterazioni di alcune

funzioni visive e loro effetto sulla visione. In questa breve relazione ci

limitiamo a considerare i punti 2 e 3 relativamente alle patologie più frequenti e

alle funzioni visive più importanti (acuità visiva, campo visivo e sensibilità al

contrasto).

PATOLOGIE OCULARI

Cataratta

La cataratta è la più frequente causa di riduzione dell'acuità visiva dopo i 60

anni di età. Quasi la metà degli adulti di età superiore ai 75 anni presenta

cataratta in fase iniziale e fino ad un quarto presenta invece cataratta in fase

avanzata e tale da determinare una significativa riduzione dell'acuità visiva. Per

quanto siano attualmente disponibili trattamenti chirurgici altamente efficaci per

tale patologia e' tuttavia innegabile che molti anziani devono comunque

convivere per periodi di tempo anche relativamente lunghi con la cataratta fino

al momento in cui essa determina una riduzione dell'acuità visiva tale da

giustificarne la rimozione. La maggior parte dei pazienti con cataratta riferisce

disturbi alla guida, specie di notte, sulle autostrade, con pioggia o neve e nelle

ore di punta. Molti anziani tendono a ridurre la guida o ad abbandonarla

spontaneamente e attribuiscono tale decisione alle difficoltà determinate dalla

cataratta. Inoltre molti pazienti riferiscono una netta riduzione nella difficoltà di

guida dopo l'intervento.

21

Recentemente è stato possibile dimostrare che la presenza di cataratta determina

incidenti con una frequenza superiore: gli affetti presentavano una frequenza di

incidenti superiori di due volte e mezza rispetto a soggetti sani di pari età. Tale

associazione rimaneva valida anche dopo aver aggiustato i risultati in funzione

di patologie concomitanti oculari e generali, depressione, tempo di guida e

tipologia di guida (centri urbani, traffico, etc.).

Glaucoma

Il glaucoma è tra le quattro maggiori cause di deficit visivo nel mondo. E' stato

possibile determinare grazie a questionari relativi alla qualità della vita che

pazienti con glaucoma presentano maggiori problemi alla guida rispetto a

individui sani di pari età.

Uno studio eseguito nello stato di Washington ha appurato che le persone

coinvolte in un incidente con colpa presentavano il 50% di possibilità in più di

essere glaucomatose. Analogamente in uno studio caso controllo è stato

possibile dimostrare che persone anziane coinvolte in incidenti con colpa nei 5

anni precedenti presentavano glaucoma 3,6 volte più di soggetti di pari età che

non erano stati coinvolti in incidenti nello stesso periodo di tempo. E'

importante sottolineare che l'uso di alcuni farmaci anti-glaucomatosi è stato

associato ad un aumento nel rischio di cadute. Non sono noti studi che abbiano

correlato l'uso di tali farmaci con incidenti automobilistici.

Maculopatia senile

La maculopatia senile è la più frequente causa di riduzione dell'acuità visiva

centrale (dopo la cataratta) in pazienti anziani. E' stato riportato che i pazienti

affetti da tale patologia riferiscono maggior difficoltà alla guida, tendono a

guidare di meno e ad essere più prudenti alla guida.

In uno studio che comprendeva sia situazioni di guida simulata sia di guida

reale, i pazienti affetti da degenerazione maculare presentavano performance

inferiori rispetto a soggetti di pari età. Nello stesso studio tuttavia i pazienti con

22

maculopatia avevano avuto meno incidenti rispetto al gruppo di controllo. E'

possibile che tale patologia tenda ad indurre una tale riduzione delle capacità

visive e di guida che i pazienti limitino le loro attività o adottino strategie

opportune per minimizzare i rischi.

ALTERAZIONE DELLE FUNZIONI VISIVE

Acuità visiva

L'acuità visiva è probabilmente la funzione che è sottoposta ma maggior

controllo per abilitare alla guida nella maggior parte dei paesi. Infatti sull'acuità

visiva si basa anche l'emissione di patenti limitate. Il rapporto tra acuità visiva e

capacità di guida è stato diffusamente analizzato. Forse lo studio più ampio è

stato condotto da Burg, che ha analizzato i dati relativi a 17500 guidatori. Tale

analisi indica che mentre nei soggetti giovani o di mezz'età non c'è relazione tra

incidenti e acuità visiva, tale correlazione è presente negli anziani. Altri studi

hanno riportato una correlazione tra numero e entità degli incidenti e acuità

visiva, tuttavia tale correlazione è sempre risultata relativamente modesta.

Considerato che l'acuità visiva è il parametro principale per dare la patente, i

risultati di tali studi risultano in larga parte paradossali. E' tuttavia possibile

spiegare la modesta associazione riscontrata in tali studi: 1) le capacità visive

che vengono utilizzate durante la guida trascendono in larga parte l'acuità

visiva. Ben diverso infatti è leggere lettere ad alto contrasto o integrare stimoli

di tipo diverso (centrali e periferici) in un ambiente relativamente affollato di

stimoli visivi di ogni genere. 2) proprio perché l'acuità visiva è un fattore

importante per il rilascio della patente è probabile (e auspicabile) che la maggior

parte dei guidatori presenti una visione almeno accettabile. Tale osservazione

porta a considerare che è estremamente difficile ottenere dati rilevanti

relativamente alla frequenza di incidenti in rapporto all'acuità visiva. 3) E'

possibile che persone che presentino acuità visiva identica differiscano infatti in

altri aspetti della visione che possono essere importanti nella guida. Per tale

ragione è possibile che valutazioni della capacità di guida basate su funzioni

23

visive diverse possano rivelarsi più utili nel discriminare i guidatori in funzione

del loro rischio. A sostegno di tale ipotesi, uno studio condotto in Pennsylvania

ha dimostrato che in un gruppo di 12400 conducenti, quelli che non superavano

un apposito screening che esaminava diversi aspetti della visione avevano

riportato un numero maggiore di incidenti.

Campo visivo

Numerosi studi hanno considerato il rapporto tra deficit del campo visivo e

incidenti. Tra questi lo studio di Keltner ha dimostrato una frequenza di

incidenti superiore del doppio in pazienti con deficit del campo visivo

binoculare. Altri Autori non hanno confermato tali risultati ed è probabile che

tale contraddizione possa essere sanata se si considera che Keltner ha

considerato deficitari campi visivi con danni consistenti al contrario degli altri

Autori. Simulando un restringimento del campo visivo è stato possibile

dimostrare che tale deficit determina una compromissione di alcuni aspetti della

performance durante la guida (identificazione dei segnali, capacità di evitare

ostacoli, tempo di reazione), ma non altri (stima della velocità, distanza tra

veicoli). Un esame attento della letteratura rivela che i risultati sono molto poco

conclusivi. E' ragionevole supporre tuttavia che deficit gravi del campo visivo

possano determinare una importante riduzione nella capacità di guida, mentre

deficit più modesti non giochino un ruolo significativo in problemi durante la

guida.

Sensibilità al contrasto

Lo studio della sensibilità al contrasto non viene comunemente adottata nella

valutazione della capacità di guida. Alcuni studi riportano una correlazione tra

sensibilità al contrasto e performance nella guida. Capacità di guida migliori

sono presenti in soggetti con sensibilità al contrasto più elevata. Pazienti anziani

che riportavano difficoltà nella guida diurna e notturna presentavano sensibilità

al contrasto inferiore rispetto ad un gruppo di controllo. Come per l'acuità

24

visiva, la sensibilità al contrasto è correlata alla capacità di riconoscere i segnali

stradali. Tuttavia studi che hanno considerato in modo prospettico il rischio di

incidenti in pazienti con alterazioni della sensibilità al contrasto hanno

dimostrato che tale funzione non era correlata al rischio futuro di

coinvolgimento in incidenti stradali se i dati venivano corretti in funzione dei

chilometri guidati e di altri fattori di rischio indipendenti. In realtà il numero di

studi che ha valutato l'impatto della sensibilità al contrasto sulla capacità di

guida è relativamente modesto. Considerata l'importanza di tale funzione nel

riconoscimento degli oggetti e dei pattern sarebbe auspicabile che tale funzione

nei confronti della capacità di guida venisse ulteriormente analizzata.

25

La valutazione del dietologo: l’alimentazione razionale per la guida E. Arcelli Dipartimento di Scienze dello Sport, Nutrizione e Salute – Università di Milano A proposito dell’alimentazione immediatamente prima della guida, al di là degli

effetti negativi dell’assunzione acuta di alcool (effetti tanto noti che non vale la

pena di parlarne), di solito vengono sconsigliati vivamente sia l’assunzione di

cibi molto ricchi di grassi, sia quella di pasti troppo abbondanti. Non si può non

essere d’accordo. Nella presente relazione, ad ogni modo, si vuole sottolineare

l’importante ruolo che anche i carboidrati possono avere ai fini della guida

sicura. Da un lato, infatti, è bene non rimanere molte ore di seguito senza

assumerne. Se, per esempio, si cena la sera e la mattina successiva non si fa la

prima colazione, si rischia di andare incontro ad ipoglicemia, causata dal fatto

che, dopo molte ore di digiuno, si esaurisce il glicogeno epatico, vale a dire la

“scorta” endogena responsabile del mantenimento a valori costanti della

glicemia. L’ipoglicemia, a sua volta, fa sì che si riduca anche il tasso di glucosio

nel liquido cefalo-rachidiano e il sistema nervoso centrale, non avendo proprie

scorte di energia, tende a perdere di efficienza D’altro lato, tale ridotta

efficienza si può avere anche in seguito all’assunzione in un solo pasto di una

elevata quantità (per un totale di varie decine di grammi di carboidrati) di cibi

quali pane, riso, bevande dolci, cereali del mattino, miele, marmellata, dolci,

biscotti, patate e così via. Questi alimenti hanno in comune il fatto di essere “ad

alto indice glicemico”, vale a dire di determinare un forte innalzamento della

glicemia, cui consegue l’increzione di una quantità anch’essa elevata di insulina

da parte del pancreas endocrino. L’iperinsulinemia che ne consegue determina,

a sua volta, la “fuga” delle molecole di glucosio dal sangue e l’abbassamento

della glicemia sotto la norma. Si parla in questi casi di “ipoglicemia reattiva”,

poiché avviene come reazione all’iperglicemia.

26

La valutazione del medico del lavoro: la normativa e l’idoneità alla guida in ambito professionale C. Romano Medicina del Lavoro – Università di Torino L’espressione del Giudizio di Idoneità costituisce l’atto finale della sorveglianza

sanitaria (preventiva e periodica) eseguita dal Medico Competente. Essa

rappresenta la fase più direttamente operativa della Prevenzione Secondaria

messa in atto dalla Medicina del Lavoro, potendo, per certi aspetti, essere

paragonata alla prescrizione terapeutica della Medicina Clinica.

Questo “atto conclusivo” spesso comporta, per il Medico Competente, le

difficoltà maggiori, nell’ambito del suo non facile percorso professionale,

intanto perché implica la necessità di contemperare due fondamentali diritti del

lavoratore, non di rado tra loro in contrasto, il diritto alla salute (e alla

sicurezza) lavorativa e il diritto ad una proficua occupazione produttiva. Inoltre,

mentre le prescrizioni terapeutiche della Medicina Clinica devono, in genere,

rispondere “solo” ai dettami di una buona pratica medica (possibilmente “basati

sull’evidenza” e congruenti con eventuali Linee Guida o, quanto meno,

protocolli o documenti di consenso), i contenuti del Giudizio di Idoneità in

Medicina del Lavoro devono rispettare anche le previsioni, e non di rado i

limiti, inclusi in un insieme di disposti legislativi, spesso tra loro non coordinati

e non sempre coerenti.

Nel caso del Giudizio di Idoneità alla guida in ambito professionale, poi, si

vengono a sommare altre criticità applicative, rappresentate, da un lato, dalla

necessità etica di tenere presente anche la sicurezza dei “terzi” (non

esplicitamente prevista, in relazione all’operato del Medico Competente, dalla

normativa vigente, se non per le questioni attinenti all’assunzione di sostanze

psicotrope e stupefacenti ed alla presenza di uno stato di alcol-dipendenza);

dall’altro dall’esistenza di un riferimento legislativo (sostanzialmente

rappresentato dalle previsioni del Codice della Strada) la cui applicazione e le

27

cui conseguenze non sono affidate dal Legislatore al Medico Competente, ma a

specifici Organi della Amministrazione Pubblica.

È da sottolineare che non esiste allo stato attuale una esperienza condivisa, vasta

e consolidata a livello di Medici Competenti, Organi di Vigilanza ed Istituzioni

in materia di sorveglianza sanitaria specifica per la mansione di autotrasporto

nell’ambito privato (il trasporto pubblico è sempre stato interessato da

normative speciali).

Ad oggi le uniche indicazioni operative prodotte da esperti sono rappresentate

dalla Bozza delle Linee Guida della Società Italiana di Medicina del Lavoro ed

Igiene Industriale – SIMLII - su “autotrasporto di merci”, Linee Guida che,

tuttavia, non hanno poi mai ricevuto un consenso definitivo e non sono state

ufficializzate nella loro prevista versione definitiva.

L’idoneità alla guida in ambito professionale, dunque, rappresenta un

complesso processo in cui il Medico Competente dovrà confrontarsi

sostanzialmente con cinque diversi percorsi valutativi.

Il percorso globale è rappresentato nella Figura 1.

1 - I rischi “classici” per la salute del lavoratore.

È evidente che, qualora l’attività di guida professionale comporti, in seguito alle

caratteristiche specifiche degli automezzi utilizzati, dei percorsi effettuati, della

natura dei carichi trasportati, delle operazioni eventualmente connesse al

trasporto stesso, la presenza di rischi che possiamo definire “classici” (ma anche

“aspecifici”), come le vibrazioni, il rumore, la movimentazione macula e di

carichi, la manipolazione di agenti chimici o biologici, questi rischi dovranno

essere inclusi nel Documento di Valutazione dei Rischi ed il Medico

Competente, che a tale Valutazione dovrà opportunamente partecipare per

quanto di sua competenza, dovrà porre in atto una Sorveglianza Sanitaria

congrua con i rischi residui eventualmente evidenziati ed esprimere

conseguentemente un Giudizio di Idoneità al lavoro, secondo le modalità

28

abitualmente impiegate per altre categorie di lavoratori. In questa attività potrà

essere di supporto il contenuto di numerose Linee Guida della SIMLII, dedicate

ai rischi sopra menzionati.

Al riguardo dei rischi “classici” potenzialmente presenti nelle attività svolte

dagli autotrasportatori, sarà utile ricordare che il D.Lgs 81/08 prevede, all’Art.

28, comma 1, che la valutazione dei rischi “deve riguardare tutti i rischi per la

salute e la sicurezza dei lavoratori”, inclusi quelli “connessi alle differenze di

genere, all’età, alla provenienza da altri Paesi”. A prescindere dalle difficoltà

derivanti dallo scarso o scarsissimo patrimonio scientifico relativo alla

differente suscettibilità ai rischi – e quindi alla differente possibile idoneità al

lavoro – di soggetti in età avanzata e provenienti da altri paesi, a fronte di tale

obbligo “generalizzato”, il Legislatore, tuttavia, poi prevede, all’Art. 41 che: “1.

La sorveglianza sanitaria è effettuata dal medico competente: a) nei casi previsti

dalla normativa vigente e dalle indicazioni fornite dalla Commissione

consultiva di cui all'articolo 6; b) qualora il lavoratore ne faccia richiesta e la

stessa sia ritenuta dal medico competente correlata ai rischi lavorativi”. La

formulazione proposta appare ancora una volta limitativa, anche se meno di

quanto non lo fosse la lettera del D.Lgs 626/94. Così come è impostato il testo

di legge rimarrebbero formalmente esclusi dalla sorveglianza sanitaria numerosi

rischi, non esplicitamente previsti dalla normativa vigente e non si sa se in

futuro indicati o meno dalla Commissione consultiva, ancorché

obbligatoriamente valutati da parte del datore di lavoro che deve, giustamente,

valutare “tutti i rischi”. Per poter legittimamente procedere alla sorveglianza

sanitaria, sul piano formale si dovranno nuovamente intraprendere i tortuosi

percorsi interpretativi dei vari articoli del testo in comparazione fra loro, come

era stato necessario fare a seguito del D.Lgs 626/94. Non a caso la SIMLII

aveva fermamente raccomandato al legislatore (che tuttavia non ha ritenuto di

tenerne conto, anche se, si noti, tale impostazione era presente in una delle

bozze del testo di legge che erano circolate prima della stesura definitiva ed è

29

poi scomparsa nel testo finale!) di prevedere l’effettuazione della sorveglianza

anche ogniqualvolta questa venga formalmente individuata, all’esito del

processo di valutazione dei rischi, quale misura specifica di prevenzione e

protezione. Questa ulteriore possibilità, che avrebbe ampliato il ventaglio di

quelle contenute nel decreto legislativo, avrebbe garantito una più efficace e

meno equivoca attività del medico competente e una maggiore tutela dei

lavoratori.

2 - I rischi da organizzazione del lavoro: il lavoro notturno.

La Sorveglianza Sanitaria degli addetti professionali alla guida non potrà

ovviamente prescindere dal rispetto delle indicazioni fornite dal D.Lgs 66/03

(Attuazione delle direttive 93/104/CE e 2000/34/CE concernenti taluni aspetti

dell'organizzazione dell'orario di lavoro) che norma specificatamente nel nostro

Paese le attività lavorative svolte in periodo notturno e che superano quelle

contenute nel D.Lgs 532/99 (Disposizioni in materia di lavoro notturno, a

norma dell'art.17 della Legge 5/2/1999, n. 25), nel quale erano escluse le

attività di trasporto stradale. Un ulteriore approfondimento è stato fornito dalla

Legge 133/08 (Conversione in legge, con modificazioni, del decreto-legge 25

giugno 2008, n. 112, recante disposizioni urgenti per lo sviluppo economico, la

semplificazione, la competitività, la stabilizzazione della finanza pubblica e la

perequazione tributaria).

Per la valutazione dell’idoneità al lavoro si rimanda ai contenuti delle Linee

Guida della SIMLII (Messineo et al. Linee Guida per la sorveglianza sanitaria

degli addetti a lavori atipici e a lavori a turni. Linee Guida per la Formazione

Continua e l’Accreditamento del Medico del Lavoro. Volume 8, 2004. I Libri

della Fondazione Maugeri).

L’anamnesi e l’esame obiettivo dovranno tenere conto delle principali patologie

mediche con possibile interferenza sul lavoro notturno, quali cardiopatie,

30

ipertensione, nefropatie, diabete, dismetabolismi, epilessia ed altre patologie

neurologiche, patologie psichiatriche.

La formulazione del Giudizio di Idoneità, in questo caso, non sempre si

configurerà come ovvia, e necessiterà di un attento confronto tra le effettive

condizioni cliniche del lavoratore, gli aspetti di effettiva tolleranza al lavoro

notturno e le reali condizioni di organizzazione del lavoro.

3 - Il rischio da stress lavoro-correlato.

L’articolo 28, comma 1, del D.Lgs 9 aprile 2008, n° 81, prevede che la

valutazione dei rischi debba essere effettuata tenendo conto, tra l’altro, dei

rischi da stress lavoro correlato, secondo i contenuti dell’accordo europeo dell’8

ottobre 2004 come recepito in Italia dall’Accordo interconfederale del 9 giugno

2008.

Questa indicazione ha suscitato una confusa molteplicità di proposte operative

da parte dei più diversi soggetti (istituzionali e privati), che, conseguentemente,

ha comportato una paralisi operativa da parte dei datori di lavoro e delle altre

figure della prevenzione.

La letteratura scientifica propone per la valutazione del rischio da stress

occupazionale due principali approcci: soggettivo oppure oggettivo.

Date le difficoltà segnalate in ordine alla individuazione di idonee metodologie

di attuazione delle linee di indirizzo dell’Accordo Interconfederale, con

l’articolo 18 del D.Lgs 6 agosto 2009, n°106 (disposizioni integrative al D.Lgs

81/2008), è stato introdotto all’articolo 28 il comma 1-bis che riporta

testualmente “La valutazione dello stress lavoro-correlato di cui al comma 1 è

effettuata nel rispetto delle indicazioni di cui all’articolo 6, comma 8, lettera m

quater), e il relativo obbligo decorre dalla elaborazione delle predette

indicazioni e comunque, anche in difetto di tale elaborazione, a fare data dal 1°

agosto 2010.”. Questo specifico comma attribuisce alla Commissione

Consultiva il compito di formulare indicazioni metodologiche in ordine al

31

corretto adempimento dell’obbligo, finalizzate a indirizzare le attività dei datori

di lavoro, dei loro consulenti e degli organi di vigilanza. Attualmente la

Commissione Consultiva non ha ancora pubblicato queste indicazioni

metodologiche ma fonti ufficiose suggeriscono che il gruppo di lavoro si sia

ormai orientato (seguendo le indicazioni della Guida Operativa per la

valutazione dello stress lavoro-correlato recentemente elaborata nel marzo 2010

dal Coordinamento Tecnico Interregionale della Prevenzione nei Luoghi di

Lavoro) verso un approccio che si basi, in prima istanza, sulla valutazione di

parametri oggettivabili (di tipo epidemiologico ed organizzativo) e, se

necessario, unicamente ove siano stati rilevati fattori di rischio da stress lavoro

correlato (non eliminati o ridotti per mezzo di misure correttive adottate in

conseguenza alla rilevazione effettuata con gli strumenti di indagine oggettiva),

solo in una seconda fase, su una rilevazione soggettiva.

A prescindere dalle incertezze tuttora evidenti in merito alle modalità di

valutazione del rischio da stress lavoro-correlato (che nel caso degli

autotrasportatori potrebbe necessitare di schemi di valutazione personalizzati,

adeguati alla rilevazione dei fattori critici tipici della specifica attività) scarsa o

nulla attenzione è stata posta alle conseguenze operative per il Medico

Competente, in termini di modalità e tipologia della Sorveglianza Sanitaria e di

espressione del Giudizio di Idoneità. Anche il Documento di Consenso proposto

dalla SIMLII nel 2006 (Cesana et al. Valutazione, prevenzione e correzione

degli effetti nocivi dello stress da lavoro. Linee Guida per la formazione

Continua e l’Accreditamento del Medico del Lavoro, Vol. 21 – I Libri della

Fondazione Maugeri) di fatto lascia aperto questo punto, che non potrà essere

affrontato se non su base strettamente individuale, inevitabilmente con il

contributo specialistico di psicologi ed eventualmente di psichiatri.

32

4 - I rischi per la sicurezza di terzi: alcol e sostanze piscotrope e stupefacenti.

L’Art. 41, comma 4 del D.Lgs 81/08 prevede che: “……….Nei casi ed alle

condizioni previste dall'ordinamento, le visite di cui al comma 2, lettere a), b) e

d) sono altresì finalizzate alla verifica di assenza di condizioni di alcol

dipendenza e di assunzione di sostanze psicotrope e stupefacenti”.

Questo è l’unico esempio di attività formalmente previste in capo al Medico

Competente mirate non (solo) alla tutela della salute e sicurezza del lavoratore

medesimo, bensì anche alla sicurezza di terzi. Tale disposizione ha suscitato una

vivace discussione in merito alla opportunità dell’assegnazione al Medico

Competente di azioni di “controllo” originariamente previste in capo alle

Strutture Pubbliche (soprattutto quando si tenga conto che il Legislatore non ha

invece ritenuto di allargare l’azione del Medico Competente a tutti gli aspetti

relativi alla sicurezza di terzi). In effetti, il comma 6 dell’articolo 26 del D.Lgs

106/09 prevedeva che “Entro il 31 dicembre 2009, con accordo in Conferenza

Stato-regioni, adottato previa consultazione delle parti sociali, vengono

rivisitate le condizioni e le modalità per l’accertamento della tossicodipendenza

e della alcol dipendenza”. Tale ripensamento, che la SIMLII aveva da tempo

richiesto in tutti i suoi documenti ufficiali, allo scopo di superare le incertezze e

le criticità legate alla applicazione delle procedure previste per i medici

competenti rimane tuttavia al momento in sospeso. Allo stato delle cose, in

attesa della prevista “rivisitazione”, si deve ritenere che gli obblighi previsti

dalle norme specifiche e dai Provvedimenti della Conferenza Stato-Regioni

rimangano in vigore secondo le modalità già note, non essendovi nel testo del

D.Lgs 106 indicazioni di rinvii della loro validità o abrogazioni.

Sono da segnalare i seguenti elementi di criticità specifica.

Mentre le procedure operative e valutative da applicare allo scopo della

definizione e gestione della presenza di uno stato di “assunzione” di sostanze

psicotrope o stupefacenti (di interesse in questa sede per gli addetti professionali

33

alla guida che necessitino di patente C, D o E) è stato dettagliatamente definito

dai documenti approntati ad hoc dalla Conferenza Stato/Regioni, la materia

relativa all’alcol rimane oggetto di profonde incertezze interpretative. Di fatto,

l’unica indicazione legislativa certa è quella relativa al divieto di assunzione e

somministrazione di bevande alcoliche sul lavoro (imposto dalla Legge 125/01)

per una ampia serie di attività lavorative che include gli addetti ad attività di

trasporto per cui è necessaria la patente di guida di categoria B, C, D o E. Una

posizione formale in merito all’obbligo di verifica dell’assenza di alcol-

dipendenza (si noti: non di assunzione di alcol) per le medesime categorie di

lavoratori non è stata proposta dal legislatore, così come non è stato chiarito il

livello di obbligo della verifica dell’osservanza (mediante alcolimetria) del

divieto imposto dalla Legge 125/01. Persiste altresì un ampio dibattito in merito

alla sequenza di accertamenti da implementare a livello di screening

(questionari mirati e validati, accertamenti biologici – Volume Globulare

Medico, Transaminasi AST-ALT, gGT, CDT, Etilglicuronato nell’urina e nel

capello, etc) ed alla loro sensibilità e specificità.

Persiste inoltre, al momento, la discrepanza tra i livelli alcolimetrici ammessi

dal Codice della Strada (0.5 g/l) ed i livelli alcoli metrici compatibili con

l’osservanza della Legge 125/01 (sostanzialmente pari a 0 g/l) e la possibile

derivante divergenza tra le conseguenze di accertamenti effettuati da Polizia

Stradale, Carabinieri e Vigili Urbani da un lato e Medico Competente dall’altro.

Appare più che mai necessaria, al proposito, la “rivisitazione” prevista dal

D.Lgs 106/09.

5 - I rischi di infortuni (e i rischi per la sicurezza di terzi) legati alla guida di per sé.

Nell’ambito della Sorveglianza Sanitaria, il Medico Competente potrà rilevare

condizioni cliniche non in linea con i requisiti minimi previsti dal Codice della

Strada per il possesso della Patente di Guida delle varie categorie (condizioni –

di natura visiva, uditiva, neurologica, metabolica - che possono rappresentare

34

una situazione di rischio individuale (possibilità di incidenti stradali con

infortunio lavorativo per l’addetto alla guida), ma anche di rischio per terzi.

Come già detto, il D.Lgs 81/08 non prevede (se non per le problematiche

relative all’assunzione di alcol e sostanze psicotrope e stupefacenti) una azione

del Medico Competente volta alla tutela dei terzi.

Inoltre, ci si interroga sulla possibilità legale del Medico Competente di limitare

o negare l’idoneità specifica alla guida professionale di soggetti in possesso di

una regolare Patente di Guida rilasciata dai competenti Organi Amministrativi

pubblici.

Un giudizio di non idoneità alla guida formulato dal Medico Competente sulla

base di riscontri clinico-anamnestici che sono (almeno in teoria) alla base della

concessione della Patente di Guida rilasciata dal Ministero dei Trasporti può

ovviamente prestarsi ad un contenzioso da parte del titolare della Patente stessa.

Gli accertamenti sanitari cui gli autisti sono stati sempre sottoposti consistono

nelle visite per il rinnovo della patente, volte ad escludere patologie o

menomazioni che impediscano la conduzione sicura di mezzi secondo l’art. 122

del codice della strada. Tali visite vengono effettuate presso le ASL e non

prevedono il coinvolgimento del medico competente.

Si ritiene tuttavia che, tenuto conto anche dell’intervallo non breve intercorrente

fra i momenti di rinnovo della Patente stessa, laddove il Medico Competente

riscontri elementi palesemente configgenti con i requisiti minimi previsti dal

Codice della Strada per la concessione o il rinnovo della Patente stessa, sia suo

onere professionale ed etico formulare un giudizio di non idoneità – quanto

meno temporanea – con la conseguente necessità di invio di segnalazione ad

hoc alla Commissione Medica Locale, che dovrebbe avere l’onere di revisione

della concessione della Patente in questione.

Un aspetto particolare di questo ambito valutativo è rappresentato da una

patologia oramai ben emersa con una prevalenza nella popolazione generale

35

assai superiore a quella inizialmente stimata: da parte della comunità scientifica

vari studi significativi hanno infatti recentemente indicato l’esistenza di un

problema di ampie proporzioni sia nella popolazione generale sia più

specificamente tra gli autotrasportatori riguardo la diffusione di alcuni disturbi

del sonno riconosciuti quali cause di un’importante frazione di incidenti

stradali. Si tratta della Sindrome delle Apnee Notturne (OSAS: Obstructive

Sleep Apnea Syndrome), una cui valutazione non sembra oggi eludibile

nell’ambito della Sorveglianza Sanitaria degli addetti professionali alla guida.

Si ripropone, tuttavia, al riguardo, l’incertezza operativa derivante dai limiti

procedurali imposti dal dettato del D.Lgs 81/08. È ben vero che il Decreto 81/08

prevede, all’Art. 28, comma 1, che la valutazione dei rischi “deve riguardare

tutti i rischi per la salute e la sicurezza dei lavoratori”. Tuttavia, per le

considerazioni precedentemente esposte, non appare immediatamente ovvia

l’attuazione di una sorveglianza sanitaria rivolta ad un rischio “emergente” e

non esplicitamente normato. Appare comunque oggi ineludibile una specifica

attenzione del Datore di Lavoro e del Medico Competente ad un problema di

cui si vanno appalesando le possibili conseguenze sulla sicurezza dei lavoratori

e più in generale dei cittadini.

Una possibile modalità di gestione del fenomeno può indubbiamente fare

riferimento ai “programmi di promozione della salute” previsti come possibili

per il Medico Competente ai sensi dell’Art. 25, comma 1, lettera a) del D.Lgs

81/08, “secondo i principi della responsabilità sociale”. Indubbiamente, nel caso

in esame la “responsabilità sociale” sarebbe rispettata. Tale approccio,

comunque, richiederebbe un consenso condiviso delle rappresentanze dei

lavoratori. E si porrebbe il problema della possibilità di esprimere un giudizio di

idoneità a seguito di una “sorveglianza sanitaria” messa in atto non a seguito di

una valutazione del rischio, bensì di un programma di promozione della salute.

Sembra pertanto preferibile ipotizzare l’inclusione (sia pure bob

“convenzionale”) del “rischio da OSAS” fra quelli formalmente previsti dal

36

Documento di Valutazione del rischio e la conseguente implementazione di una

Sorveglianza Sanitaria mirata, che potrà articolarsi in più livelli, partendo da

una raccolta clinico-anamnestica e procedendo quindi ad un approfondimento

dei casi sospetti, che, a sua volta, potrà consistere o direttamente nella

esecuzione di una polisonnografia o in una fase preliminare di monitoraggio

cardio-respiratorio e solo successivamente, nei casi critici, nella

polisonnografia.

Resta da definire, in assenza di indicazioni validate in merito, quale possa essere

lo spettro dei Giudizi di Idoneità: argomento sul quale è indispensabile che si

realizzi un consenso ampio e ufficiale a livello nazionale.

37

38

UN PROBLEMA EMERGENTE,

LA FUNZIONALITA’ UDITIVA

LA VALUTAZIONE DELL’OTORINOLARINGOIATRA

39

Presentazione del protocollo operativo ACI-ANAP C. Giordano Clinica ORL1 – Università di Torino Il progetto, realizzato dall'ANAP e dall'ACI Italia sotto il coordinamento

clinico-scientifico del Prof. Carlo Giordano (Direttore della I Clinica ORL

dell'Università di Torino), è finalizzato a promuovere il tema dell'udito

nell'ottica della sicurezza stradale.

Il progetto consiste in un road show che prevede, tra febbraio e giugno 2010,

l'organizzazione di un presidio medico specialistico nelle sedi ACI di sette

grandi città italiane, dove sarà a disposizione un'equipe medico specialistica che

visiterà gratuitamente le persone di età superiore ai 50 anni muniti di patente

che volontariamente desiderano sottoporsi ad una serie di accertamenti clinico-

strumentali finalizzati a valutare la funzionalità psicouditiva e comportamentale

dei soggetti interessati.

Gli accertamenti proposti, non invasivi, veloci, senza valore medico-legale e

senza alcuna ripercussione sul rinnovo e/o il rilascio della patente di guida, sono

finalizzati ad informare l'automobilista sull'importanza dell'udito e del sistema

vigilanza-attenzione per quanto riguarda la guida ed anche ad ottenere dati

documentali clinico-statistici (unici in Europa) finalizzati ad avviare un

processo di riesame delle normative per il rilascio e/o il rinnovo della patente.

La motivazione principale di questo progetto scaturisce dal rilievo oggettivo che oltre

il 30% degli incidenti stradali è determinato dal fattore umano attraverso un deficit di

vigilanza-attenzione sul quale il deficit uditivo svolge un ruolo rilevante.

Tra i fattori negativi che agiscono sull'uomo ai fini della sicurezza nella guida

particolare rilievo dobbiamo attribuire ai deficit visivi (spesso associati a quelli

uditivi), alla sociopresbiacusia, all'inquinamento acustico, al progresso

tecnologico (uso di dispositivi elettroacustici, etc.), all'insonorizzazione

dell'abitacolo, etc.

40

Partendo dal presupposto che il 12% della popolazione italiana (pari ad oltre 6

milioni di persone) soffre di problemi d'udito e che il 37% di questi non è

consapevole del problema né si è mai sottoposto ad accertamenti specialistici,

risulta evidente l'importanza di questo progetto ai fini della sicurezza stradale.

Alla luce di questi dati, risulta evidente che nel mondo ed in Italia, una

significativa quota di persone munite di patente di guida e circolante su strada

ha problemi d'udito spesso associati ad altri deficit psicosensoriali.

Il protocollo operativo è così articolato:

Road show: da febbraio a giugno 2010

Sedi operative ACI: Torino – Genova – Firenze – Roma – Napoli – Bari – Milano.

Popolazione: soggetti di sesso maschile e femminile di età superiore ai 50 anni

muniti di patente di guida e circolanti

Accertamenti clinico-strumentali: Visita ORL + otoscopia – Compilazione di 9

questionari psicosensoriali e psicoattitudinali, presentati in dettaglio in una

relazione precedente – Esame audiometrico tonale liminare.

Si tratta pertanto di una valutazione estremamente articolata in cui vengono

combinati elementi di valutazione oggettiva, accertamenti strumentali classici

nella pratica audiologica e otorinolaringoiatrica nonché accurate indagini sulla

percezione soggettiva dello stato di umore, di attenzione e del conseguente

livello di vigilanza personale.

La raccolta dati nell’ambito di questo studio nazionale sarà completata entro il

corrente mese di giugno, come da protocollo di ricerca, e i risultati finali

saranno presentati in un convegno organizzato Enti promoventi (ANAP-ACI).

In occasione di questo nostro Convegno Torinese sono pertanto presentati, in

forma preliminare, i dati ad oggi acquisiti che forniscono comunque alcune

interessanti indicazioni.

41

Quali patologie ORL inficiano l’idoneità alla guida?

G.C. Pecorari, M. Garzaro, G. Riva Clinica ORL1 – Università di Torino.

OSAS

La sindrome delle apnee ostruttive durante il sonno (OSAS) è un disturbo

respiratorio del sonno caratterizzato da episodi ripetuti di completa o parziale

ostruzione delle vie aeree superiori associate a fasiche cadute dell’ossiemia e

conseguenti desaturazioni dell’emoglobina arteriosa.

La gravità dell’OSAS viene valutata sulla base dell’AHI (Apnea-Hypopnea

Index), ottenuto mediante polisonnografia:

• 5 < AHI < 15 lieve

• 15 < AHI < 30 moderata

• AHI > 30 grave.

Cause di apnee ostruttive notturne possono essere la deviazione del setto,

l’ipertrofia dei turbinati inferiori, il prolasso del palato molle con o senza

dolicomegaugola, l’ipertrofia adenotonsillare.

I soggetti con OSAS presentano una serie di sintomi e segni notturni

(russamento abituale, pause respiratorie nel sonno riferite dal partner, risvegli

con sensazione di soffocamento, sonno notturno agitato, nicturia, enuresi) e

diurni (eccessiva sonnolenza diurna, sensazione di sonno notturno non

riposante, aumentato rischio di incidenti stradali, deficit cognitivi riguardanti

memoria, concentrazione e attenzione, depressione del tono dell’umore,

impotenza sessuale, cefalea, soprattutto nelle ore mattutine). Tali pazienti hanno

inoltre un aumentato rischio cardiovascolare.

Secondo i dati ISTAT del 2002 il tasso di prevalenza di OSAS in Italia è del

3,21% tra i soggetti di sesso maschile e del 1,88% tra quelli di sesso femminile.

42

I costi derivanti dalla sindrome delle apnee ostruttive del sonno possono essere

distinti in:

• diretti, per curare la patologia

• indiretti, perdite produttive, patologie derivanti dall’OSAS.

L’entità dei costi correla con la gravità dell’OSAS, valutata sulla base dell’

Apnee-Ipopnea Index

(AHI), anche dopo le correzioni per sesso, età, BMI. Inoltre, osservando il

punto soglia della curva, oltre il quale i costi non aumentano, esso ci indica che

con ogni probabilità l’impatto reale sui costi si ottiene solo dopo che si è

ottenuta una riduzione dell’AHI al di sotto di 15.

Nel 2009 Aguiar M. et al. hanno dimostrato che i soggetti con una storia di

incidenti stradali presentano una sindrome delle apnee ostruttive più grave con

un AHI ed una sonnolenza diurna maggiori di coloro che non avevano avuto

incidenti stradali (p<0.05).

Uno studio del 2008 di Garbarino S. et al. ha evidenziato come l’eccessiva

sonnolenza diurna è causa del 22% degli incidenti stradali e proprio questi

ultimi presentano una mortalità maggiore degli incidenti per altre cause (11,4%

vs 5,6%). Tra gli autisti di professione l’OSAS, spesso causa di eccessiva

sonnolenza diurna, ha una prevalenza (17%) superiore a quella della

popolazione generale (8,6%).

Nel 2001 Garbarino S. aveva già dimostrato che l’associazione tra sonnolenza

diurna e numero di incidenti stradali presenta un coefficiente di regressione pari

a 5,83.

In uno studio di Carter N. et al. del 2003 l’odds ratio di incidenti stradali tra gli

autisti di professione che soffrono di debito di sonno con uno score ESS >10

(Epworth Sleepiness Scale) rispetto a coloro che hanno uno score ESS <8 era di

43

2,4 (0,9-6,5). Inoltre maggiore è il numero di ore di debito di sonno, maggiore è

il rischio di andare incontro ad incidenti stradali.

Un’associazione statisticamente significativa tra ESS e rischio di incidenti

stradali è stato evidenziato anche da Pizza F. et al. nel 2008. Tuttavia in questo

studio la correlazione tra AHI e rischio di incidenti stradali non è risultato

statisticamente significativo.

Rispetto ai controlli, i soggetti con OSAS mostrano difficoltà negli

aggiustamenti della velocità. Tuttavia questi ultimi mantengono maggiori

distanze con il veicolo che li precede. L’analisi EEG ha mostra aumentati livelli

di attività theta e beta, associati ad un comportamento più cauto alla guida. In

definitiva le performances alla guida dei soggetti con OSAS in condizioni

medie di traffico risultano nei limiti di norma, ma con un comportamento più

cauto associato ad un maggiore sforzo di rimanere svegli (attività beta all’EEG).

In condizioni di guida simulata viene mantenuta la correlazione tra OSAS e

tempi di reazione e distanza necessaria per arrestare il veicolo, anche in

condizioni di distrazione e di anticipazione della distrazione. Tale correlazione

non esiste più dopo trattamento con CPAP e risoluzione delle apnee notturne.

L’efficacia della CPAP è stata dimostrata anche da uno studio giapponese in cui

la percentuale di incidenti stradali passa dal 16.8% prima del trattamento con

CPAP al 3,1% dopo il trattamento.

IPOACUSIA

Grattan E. et al. già nel 1968 avevano dimostrato che la presenza di ipoacusia

rappresentava un fattore di rischio per incidenti stradali tra gli autisti di autobus

londinesi. I dati americani erano tuttavia contrastanti: in Colorado i soggetti

ipoacusici avevano avuto la metà degli incidenti dei soggetti non ipoacusici,

mentre in California i soggetti ipoacusici avevano un RR di 1,78 di andare

incontro ad incidenti stradali.

44

Alcuni anni prima, nel 1964, lo studio degli incidenti stradali nei soggetti

ipoacusici aveva evidenziato come questi ultimi erano addirittura migliori dei

soggetti senza disturbi dell’udito, in quanto più attenti alla guida per sopperire

al loro handicap.

La presenza di un deficit uditivo determina un RR di 1,19 di avere incidenti

stradali, tuttavia la relazione non raggiunge la significatività statistica in una

metanalisi del 2003.

L’associazione tra ipoacusia e rischio di incidenti stradali rimane poco chiara.

Colsher e Wallace hanno notato che la capacità uditiva gioca un ruolo nella

guida, mentre Gresste e Meyer hanno trovato che i soggetti anziani con disturbi

dell’udito non vanno incontro ad un numero maggiore di incidenti stradali.

McCloskey et al. hanno evidenziato che la presenza di ipoacusia non è associata

ad un maggiore rischio di incidenti stradali, mentre lo è l’utilizzo di protesi

acustiche.

In caso di ipoacusia destra il RR di incidenti stradali è di 1.9 (IC 95% 1.1; 3.4),

in caso di ipoacusia sinistra 1.2 (IC 95% 0.6; 2.3), in caso di ipoacusia bilaterale

1.4 (IC 95% 0.9; 2.1). I risultati di questo studio australiano devono ancora

essere confermati dall’analisi dei dati in Paesi con guida a destra.

Il ruolo della funzione uditiva alla guida dei veicoli riguarda le seguenti

situazioni:

• percepire i segnali acustici di avvertimento del pericolo (sirene, clacson,

passaggi a livello)

• percepire i segnali acustici emessi dalle varie componenti meccaniche

dei veicoli (motore, freni, pneumatici)

• individuazione di malfunzionamenti dell’autoveicolo che potrebbe

evitare il potenziale verificarsi di incidenti stradali

45

• funzionalità di un normale livello uditivo nella fase di comunicazione

verbale del conducente nel caso in cui succedano fenomeni sinistrosi

che coinvolgono anche il conducente stesso.

L’analisi dei livelli di rumorosità all’interno dei veicoli ad uso civile ha

evidenziato che un rumore più intenso è presente se il finestrino è aperto,

soprattutto in caso di percorso autostradale. I livelli di rumorosità all’interno

dell’abitacolo variano da 75,11 a 87,91 dB(A).

La Matrice di Haddon mette in evidenza i fattori umani, ambientali e legati al

veicolo che sono coinvolti nelle varie fasi dell’incidente stradale. La capacità

uditiva rientra nella maggior parte di tali fasi, in relazione alle funzioni sopra

descritte.

Essere in grado di individuare la localizzazione dei segnali acustici di

avvertimento del pericolo e percepirne la diversa natura dipende principalmente

dalle facoltà uditive del soggetto interessato e dall’ambiente di rumorosità

circostante.

Tale interrelazione è estremamente importante in quanto permetterebbe di

effettuare una valutazione ipotetica sulla tempestività ed adeguatezza di

reazione alla segnalazione del pericolo.

I guidatori con deficit uditivi lievi sono meno coinvolti in eventi sinistrosi in

quanto in grado di percepire avvertimenti acustici emessi ad una intensità

sufficientemente alta.

Non così per i soggetti con un grave deficit uditivo in quanto non potrebbero

compensare attraverso altre funzioni, quali quella visiva o mediante una più

affinata sensibilità tattile.

Il soggetto ipoacusico non è generalmente cosciente delle sue ridotte capacità

uditive e che quindi guida in condizioni di costante pericolo.

46

L’ausilio protesico, secondo chi lo indossa, consente di udire meglio i segnali di

pericolo e di muoversi con maggiore sicurezza nel traffico.

L’utilizzo di un device elettronico in grado di generare una vibrazione trasmessa

all’autista del veicolo in seguito alla comparsa di suoni di allarme dall’ambiente

circostante (sirene, clacson, passaggi a livello) è risultato efficace nel ridurre il

rischio di incidenti stradali.

47

Il bilancio audiometrico A. Pira Clinica ORL2 – Audiologia e Foniatria - Università di Torino

Nell’ambito della normale attività clinica dell’Audiologo l’esame audiometrico

tonale liminare costituisce elemento base per la valutazione della funzionalità

uditiva di un individuo e ci consente di individuare eventuali alterazioni della

stessa con una prima definizione della tipologia del danno

(trasmissivo/percettivo).

L’esame è molto semplice, di facile esecuzione, ed è correntemente utilizzato in

campagne di valutazione su gruppi di persone, in diversi ambiti. Una classica

applicazione riguarda l’utilizzo di questa metodica nell’ambito della valutazione

dell’idoneità lavorativa e della successiva sorveglianza sanitaria in esposti a

rumore in ambito industriale, al fine di individuare eventuali meiopragie che

possano pregiudicare la funzione uditiva o, nel caso della valutazione periodica

successiva, eventuali innalzamenti di soglia su determinate frequenze,

correlabili all’effetto del Trauma Acustico Cronico.

In questo caso, quindi, l’esame audiometrico ha una funzione e validità preventiva,

primaria quando attuata prima dell’avviamento al lavoro (non esporre un individuo

con particolare suscettibilità all’agente nocivo) e secondaria (individuazione precoce

di un innalzamento di soglia prima che il processo possa esitare in un danno

conclamato ed irreversibile). Il destinatario di questa politica di prevenzione è quindi

l’individuo, anche per quanto riguarda la tutela da rischi infortunistici individuali e

collettivi (percezione di segnali di avviso o di allarme).

Quando la valutazione è condotta con valenza medico-legale questo

accertamento, di primo livello e di tipo soggettivo, può essere integrato con

accertamenti di 2° livello (audiometria oggettiva - ERA, Otoemissioni, etc.) che

consentono una migliore valutazione della realtà esistente.

Nel caso dell'idoneità alla guida di automezzi, condizione che richiederebbe una

accurata valutazione dell'idoneità psico-fisica, sia in ambito civile che professionale,

48

l'accertamento dei requisiti di idoneità per la funzione uditiva sì basa invece

sostanzialmente su quanto stabilito dalla legge e riportato in Tabella 1.

La valutazione della "idoneità uditiva" per il conseguimento delle diverse

categorie di patenti di guida normali o speciali, è indicata in diversi articoli del

codice della strada e prevede la comprensione della voce di conversazione con

fonemi combinati a diverse distanze.

Tabella 1 Patenti A e B 2 m per ciascun orecchio, anche con

protesi acustica, certificata dal costruttore in data non anteriore a 3 mesi

Patenti C D E 8 m complessivi, 2 m per orecchio peggiore senza protesi

A Speciale 2 m, anche con protesi acustica più obbligo di specchi retrovisori su ambedue i lati dell’automezzo

B Speciale Inferiore a 2 m, anche con protesi acustica + 2 specchi retrovisori

C e D Speciali

Invalidi, mutilati e

portatori di handicap 4 m e 2 m per l’orecchio peggiore, anche con

protesi + 2 specchi retrovisori Tutte queste categorie speciali non possono guidare Ambulanze e Bus

C.I.G.C. (Certificato Idoneità guida Ciclomotori)

14 anni o maggiorenni che non hanno altra patente

Abilitazione guida ciclomotori 50 cc e tricicli leggeri tipo APE o quadricicli

Certificato di Abilitazione Professionale (CAP) (art. 116 C.d.S. / 310,311 Reg.) Tipo KA sono richiesti almeno 21 anni e la patente di categoria A

- per guidare, a carico, motoveicoli di massa complessiva fino a 2,5 t in servizio di noleggio con conducente (NCC)

Tipo KB sono richiesti almeno 21 anni e la patente di categoria B - per guidare, a carico, motoveicoli di massa complessiva fino a 2,5 t in servizio di noleggio con conducente ed autovettura in servizio di piazza (taxi) o di noleggio con conducente (NCC). Il CAP di tipo KB vale anche per la guida dei veicoli per i quali è richiesto il KA

49

Per meglio comprendere a quale tipologia di mezzo siano riferite le diverse

categorie di patente si riporta, in Figura 1, un quadro sinottico in cui si associa

la licenza di guida al mezzo di trasporto.

Figura 1 (da esseBì Italia s.r.l.)

50

51

E' evidente che la percezione della voce parlata a distanze variabili sia

caratterizzata da un grande margine di variabilità, che rende la prova di dubbia

affidabilità, date le variabili di esecuzione (voce dell'esaminatore, caratteristiche

del locale, rumore di fondo, eventuali patologie otologiche in atto all'esaminato,

etc.).

A dimostrazione di questa variabilità si propongono gli oscillogrammi e i

sonogrammi di soggetti diversi che pronunciano gli stessi fonemi.

52

Le Frequenze fondamentali registrate sono comprese nell’ambito di quelle

indicate in letteratura per sesso, classi di età e particolari professioni.

Frequenza fondamentale

53

E’ evidente l’estrema variabilità di un esame condotto "alla voce parlata" che,

sicuramente non è in grado di fornire una indicazione accettabile sulla qualità

della funzione uditiva del soggetto esaminato.

Indipendentemente dalla possibilità di percepire segnali acustici di allarme

ritengo che sia necessaria una capacità uditiva adeguata per cogliere, nel

traffico urbano e stradale, il sopraggiungere di mezzi connotati da particolari

fonti sonore: mi riferisco ad esempio al rumore emesso dal motore di una

motocicletta lanciata ad alta velocità su percorso autostradale che ci raggiunge

mentre stiamo ipotizzando il sorpasso di un veicolo più lento che ci precede.

Penso che a tutti noi sia capitato più di una volta di aver valutato nel retrovisore

(o nei retrovisori) la situazione della carreggiata alle nostre spalle prima di

intraprendere la manovra e di aver interrotto la stessa solo per la percezione

uditiva dal momento che nella carreggiata che ci era apparsa sgombra da

veicoli è improvvisamente comparso un centauro lanciato a velocità ben

superiori ai limiti consentiti dalla legge. L’importanza del fattore uditivo per la

tutela della sicurezza stradale è comprovata dal fatto che nella progettazione dei

veicoli a trazione elettrica si sta prospettando la necessità di dotazioni in grado

di emettere rumore in quanto la loro naturale silenziosità costituisce un fattore

di rischio, soprattutto per i pedoni, ma anche per gli altri utenti della strada. In

conclusione si ritiene che sia anacronistico basare la valutazione della funzione

uditiva unicamente su una prova scarsamente affidabile e si renda necessario

introdurre almeno l’esame audiometrico tonale liminare come elemento base su

cui condurre una corretta valutazione sulla capacità uditiva individuale.

54

Test psico-uditivi R. Boggero Clinica ORL2 – Università di Torino

Vengono presentati i test ai quali sono stati sottoposti circa 550 guidatori

volontari, di età superiore ai 50 anni in 7 grandi città italiane (Bari, Milano,

Roma, Firenze, Napoli, Genova e Torino); ad una parte dei questionari gli

esaminati rispondevano in maniera autonoma (Disability Uditiva Giordano,

Driving Behaviour Questionnaire, STAI-X1 per l' ansia di stato e STAI-X2 per

l' ansia di tratto) mentre gli altri questionari (Bilancio uditivo del soggetto,

Percezione uditiva durante la guida, disagio uditivo nei pazienti sordi,

Questionario attenzione ed Epworth Sleepiness Scale) venivano compilati con l'

aiuto di uno Specialista ORL che provvedeva inoltre all' esecuzione di una

audiometria tonale in ambiente silente.

QUESTIONARI DI VALUTAZIONE PSICO-UDITIVA AUTOGESTITA

Questionario Disability Uditiva Giordano

Viene valutata al presenza di disability uditiva mediante l'attribuzione da parte

del soggetto di un punteggio da 0 a 4 ad una serie di situazioni riguardanti la

capacità uditiva dello stesso.

55

MAI

TALVOLTA

DI FREQUENTE

QUASI SEMPRE

SEMPRE

1. Ho difficoltà a seguire programmi alla TV o alla radio? 0 1 2 3 4

2. Ho difficoltà a percepire le voci sussurrate? 0 1 2 3 4

3. Mi sento escluso/a dalle conversazioni in famiglia? 0 1 2 3 4

4. Ho difficoltà a seguire funzioni religiose? 0 1 2 3 4 5. Ho difficoltà ad ascoltare l’autoradio? 0 1 2 3 4 6. Ho difficoltà di ascolto quando faccio

visita a parenti, amici? 0 1 2 3 4

7. Mi sento limitato/a nella mia vita personale? 0 1 2 3 4

8. Devo assumere particolari posizioni per ascoltare? 0 1 2 3 4

9. Ho difficoltà al cinema (teatro) a seguire i dialoghi? 0 1 2 3 4

10. Ho difficoltà in luoghi pubblici (pub, bar, ristoranti) a seguire i dialoghi? 0 1 2 3 4

11. Ho difficoltà a comunicare se vado a fare acquisti? 0 1 2 3 4

12. Mi sento in qualche modo limitato/a insicuro/a? 0 1 2 3 4

13. Mi trovo a disagio perché sento diversamente con le due orecchie? 0 1 2 3 4

14. Devo chiedere alle persone di ripetere ciò che hanno detto? 0 1 2 3 4

15. Ho dei malintesi/fraintendimenti con parenti/amici? 0 1 2 3 4

56

DBQ: Driving Behaviour Questionnaire

Il Driving Behaviour Questionnaire si basa sulla valutazione dei comportamenti

alla guida, individuando i seguenti comportamenti errati alla guida:

• comportamento aggressivo

• tendenza a commettere violazioni

• tendenza a commettere errori

• tendenza a commettere errori per distrazione.

La distinzione tra errori e violazioni si basa sulla differente origine psicologica e

sulle differenti tipologie di rimediazione. Gli errori sono il risultato di problemi

di processamento cognitivo, mentre le violazioni includono una componente

motivazionale in un determinato contesto.

Gli errori sono definiti come “il fallimento di azioni programmate per ottenere

determinate conseguenze”. Le violazioni sono “deviazioni deliberate dai

comportamenti necessari per garantire la sicurezza in un contesto

potenzialmente pericoloso”.

Viene chiesto al soggetto in esame di attribuire un punteggio da 0 a 5 ad una

serie di item sulla base dei propri comportamenti alla guida.

57

MAI

QUASI MAI

TALVOLTA

DI FREQUEENTE

SPESSO

SEMPRE

Mi è capitato di ripartire al semaforo con una marcia sbagliata 0 1 2 3 4 5

Stancarsi di un guidatore lento che ti precede in corsia di sorpasso, e sorpassarlo da destra 0 1 2 3 4 5

Guidare di proposito molto vicino alla vettura che ti precede, per segnalare al guidatore di accelerare o farsi da parte

0 1 2 3 4 5

Tentare di sorpassare qualcuno, senza esserti accorto che sta per effettuare una svolta a sinistra 0 1 2 3 4 5

Dimenticarti in quale punto del parcheggio hai lasciato la vettura 0 1 2 3 4 5

Acceso qualcosa, per esempio le luci, mentre tentavi di accendere qualcos'altro, per esempio i tergicristalli

0 1 2 3 4 5

Accorgerti di non avere una chiara consapevolezza del percorso che hai appena completato 0 1 2 3 4 5

Attraversare un incrocio sapendo che il semaforo è appena passato dal giallo al rosso 0 1 2 3 4 5

Non notare che dei pedoni stanno attraversando, quando svolti dalla strada principale su una strada laterale

0 1 2 3 4 5

Esasperato dal comportamento di un altro guidatore, seguirlo per dirgliene quattro 0 1 2 3 4 5

Fraintendere le segnalazioni e prendere un senso unico contromano 0 1 2 3 4 5

58

MA I

Q U A S I MA I

TALVOL TA

D I FREQUEENTE

S PES SO

SEMPRE

Non rispettare i limiti di velocità di notte o la mattina presto 0 1 2 3 4 5

Nello svoltare a destra, evitare di poco l'impatto con un ciclista che procedeva al tuo fianco 0 1 2 3 4 5

Nell'immetterti su una strada principale, presti totale attenzione al traffico, così che per poco non tocchi la vettura che ti precede

0 1 2 3 4 5

Guidare anche se comprendi che potresti aver superato il tasso alcolico consentito 0 1 2 3 4 5

Provare avversione per una particolare tipologia di utenti stradali, e manifestare la tua ostilità in ogni modo possibile

0 1 2 3 4 5

Sottostimare la velocità di un veicolo che sopraggiunge, mentre cerchi di sorpassare una vettura che ti precede

0 1 2 3 4 5

Toccare in retromarcia qualcosa che non avevi precedentemente visto 0 1 2 3 4 5

59

MAI

QUASI MAI

TALVOLTA

DI FREQUEENTE

SPESSO

SEMPRE

Volendo raggiungere una destinazione A, “svegliarti” ed accorgerti di trovarti sulla strada verso la destinazione B, probabilmente perché la B è una destinazione più frequente per te

0 1 2 3 4 5

Nell'avvicinarti ad un incrocio, entrare nella corsia sbagliata 0 1 2 3 4 5

Non vedere un segnale di precedenza, ed evitare per poco la collisione con il traffico che ha diritto di precedenza

0 1 2 3 4 5

Non ricordarti di controllare lo specchio retrovisore prima di immetterti in una strada, cambiare corsia, etc.

0 1 2 3 4 5

Essere coinvolto in “competizioni” non ufficiali con altri guidatori 0 1 2 3 4 5

Frenare troppo velocemente su una strada scivolosa, o sterzare nel modo sbagliato e slittare 0 1 2 3 4 5

A volte, quando si guida, le cose avvengono molto rapidamente. Mantieni la calma in queste situazioni?

0 1 2 3 4 5

Pianifichi con anticipo i viaggi lunghi, compresi i luoghi in cui fermarti a riposare? 0 1 2 3 4 5

Ti infastidiscono le persone che ti danno consigli sul tuo modo di guidare? 0 1 2 3 4 5

60

MA I

Q U A S I MA I

TALVOL TA

D I FREQUEENTE

S PES SO

SEMPRE

Ti capita di superare il limite dei 90 km/h, quando guidi su strade extraurbane? 0 1 2 3 4 5

Ti capita di passare al semaforo dopo che è diventato rosso? 0 1 2 3 4 5

Ti capita di superare il limite di velocità nei centri urbani? 0 1 2 3 4 5

Di solito ignori i passeggeri che ti chiedono di ridurre la velocità? 0 1 2 3 4 5

Ti senti agitato quando devi affrontare pericoli improvvisi durante la guida? 0 1 2 3 4 5

Quanto spesso intraprendi un viaggio non familiare senza prima consultare una mappa? 0 1 2 3 4 5

Sei contento di ricevere consigli su come guidi? 0 1 2 3 4 5

Guidi con prudenza? 0 1 2 3 4 5

Trovi facile ignorare le distrazioni mentre guidi? 0 1 2 3 4 5

Guidi veloce? 0 1 2 3 4 5

Avendone l'opportunità, sorpassi i veicoli sulla destra? 0 1 2 3 4 5

Il tuo modo di guidare è influenzato dalla pressione che esercitano altri guidatori? 0 1 2 3 4 5

61

STAI-X1

Lo STAI (State-Trait Anxiety Inventory) di C.D. Spielberger permette anche

una differenziazione concettuale tra Ansia di Stato e Ansia di Tratto. Infatti il

test è composto di due scale separate che consentono di misurare due distinti

concetti di ansia: l’ansia di Stato (A-Stato) è definita come uno stato transitorio

emotivo o come condizione dell’organismo percepita a livello cosciente come

tensione ed apprensione; mentre l’ansia di Tratto (A-Tratto) invece si riferisce a

differenze individuali relativamente stabili nella disposizione verso l’ansia, cioè

nella tendenza a percepire situazioni stressanti come pericolose e minacciose e a

rispondere a tali situazioni con diversa intensità.

Ciascuna delle due scale, STAI Forma X-1 (Ansia di Stato) e STAI Forma X-2

(Ansia di Tratto), è costituita da 20 affermazioni a cui il soggetto dovrà

rispondere valutando, su di una scala a 4 punti, l’intensità dei propri sentimenti.

Nella prima, agli esaminati viene chiesto come si sentono in un particolare

momento, nella seconda invece viene chiesto loro di descrivere come si sentono

generalmente, valutando la frequenza dei sentimenti d’ansia.

Test STAI – X1 per l’ANSIA DI STATO Sono qui di seguito riportate alcune frasi che le persone spesso usano per

descriversi. Legga ciascuna frase e poi contrassegni la risposta che indica come

lei stesso si sente ADESSO, cioè in questo preciso momento, mentre sta

iniziando a compilare questo test. Non ci sono risposte giuste o sbagliate.

Risponda a TUTTE le domande.

Non impieghi troppo tempo per rispondere alle domande e scelga la sua risposta

tra le seguenti:

62

1 = per nulla; 2 = un poco; 3 = abbastanza; 4 = moltissimo 1 2 3 4

2.1 Mi sento calmo

2.2 Mi sento sicuro

2.3 Sono teso

2.4 Ho dei rimpianti

2.5 Mi sento tranquillo

2.6 Mi sento turbato

2.7 Sono attualmente preoccupato per possibili disgrazie

2.8 Mi sento riposato

2.9 Mi sento ansioso

2.10 Mi sento a mio agio

2.11 Mi sento sicuro di me

2.12 Mi sento nervoso

2.13 Sono agitato

2.14 Mi sento molto teso

2.15 Sono rilassato

2.16 Mi sento contento

2.17 Sono preoccupato

2.18 Mi sento sovraeccitato e scosso

2.19 Mi sento allegro

2.20 Mi sento bene

63

Test STAI-X2 per l’ANSIA DI TRATTO CBA 2.0 – Scheda 3

Legga ciascuna frase e poi contrassegni con una crocetta la risposta come Lei si

sente ABITUALMENTE. Risponda pensando a come Lei è di solito, non al

momento attuale.

Risponda a tutte le domande scegliendo la risposta tra le seguenti:

1 = quasi mai; 2 = qualche volta; 3 = spesso; 4 = quasi sempre 1 2 3 4

3.1 Mi sento bene

3.2 Mi stanco facilmente

3.3 Mi sento come se dovessi piangere

3.4 Vorrei poter essere felice come sembrano essere gli altri

3.5 Spesso perdo delle occasioni perché non riesco a decidermi abbastanza in fretta

3.6 Mi sento riposato

3.7 Io sono calmo, tranquillo e padrone di me

3.8 Sento che le difficoltà si accumulano tanto da non poterle superare

3.9 Mi preoccupo troppo di cose che in realtà non hanno importanza

3.10 Sono felice

3.11 Tendo a considerare “difficili” le cose

3.12 Manco di fiducia in me stesso

3.13 Mi sento sicuro

3.14 Cerco di evitare di affrontare crisi o difficoltà

64

1 2 3 4

3.15 Mi sento stanco e depresso

3.16 Sono contento

3.17 Pensieri di scarsa importanza mi passano per la mente e mi infastidiscono

3.18 Vivo le delusioni con tanta partecipazione da non poter togliermele dalla testa

3.19 Sono una persona costante

3.20 Divento teso e turbato quando penso alle mie attuali preoccupazioni

QUESTIONARI DI VALUTAZIONE

PSICO-UDITIVA GUIDATA Bilancio uditivo del soggetto

Consiste in una valutazione soggettiva (risposte possibili sì/no) della capacità

uditiva del soggetto in esame.

Domande Si No 1. Hai mai sofferto di disturbi dell’udito? 2. Hai mai fatto un esame audiometrico? 3. E’ stato valutato l’udito al rilascio o al rinnovo

della patente?

4. Pensa di avere un udito normale? 5. Le sembra di sentire di meno del normale? 6. Le sembra di sentire molto meno del normale? 7. Ha l’invalidità per ipoacusia/sordità 8. Porta le protesi acustiche?

Valutazione indiretta della Percezione Uditiva durante la guida

Viene valutata la capacità uditiva alla guida mediante l'attribuzione da parte del

soggetto in esame di un punteggio da 0 a 4 ad una serie di affermazioni.

Se <30 indicativo di percezione uditiva soggettiva di norma.

65

Se compreso tra 30 e 40 indicativo di percezione uditiva alterata di grado moderato.

Se >40 indicativo di percezione uditiva alterata di grado severo.

MAI 

TALVOLTA

DI FREQUENTE 

QUASI SEMPRE 

SEMPRE 

1. Quando guida percepisce il rumore del ticchettio degli indicatori di direzione? 0 1 2 3 4

2. Quando guida percepisce il rumore degli altri veicoli fermo al semafori? 0 1 2 3 4

3. Quando guida percepisce il rumore del motore? 0 1 2 3 4

4. Quando guida alza il volume della radio? 0 1 2 3 4 5. Quando guida percepisce la provenienza

degli avvisatori acustici di pericolo? 0 1 2 3 4

6. Quando guida percepisce la provenienza degli avvisatori di soccorso? 0 1 2 3 4

7. Quando guida percepisce il rumore del rotolamento dei pneumatici? 0 1 2 3 4

8. Percepisce la sirena delle autoambulanze come 2 suoni di differente intensità? 0 1 2 3 4

9. Il clacson della sua auto le sembra sufficientemente intenso? 0 1 2 3 4

10. Le sembra che i cristalli laterali salgano/scendano senza far rumore? 0 1 2 3 4

11. Quando è fermo sente il rumore del motore al minimo? 0 1 2 3 4

12. Con la ventola alla massima velocità sente il rumore dell’aria che esce dalle bocchette? 0 1 2 3 4

13. Capisce sempre i notiziari alla radio? 0 1 2 3 4 14. Quando ha passeggeri a bordo capisce

sempre cosa le dicono? 0 1 2 3 4

15. Chiede spesso di ripetere alle persone che ha a bordo? 0 1 2 3 4

66

Disagio Uditivo nei pazienti sordi

Viene valutata la percezione del disagio provocato dall'ipoacusia mediante

l'attribuzione di un punteggio da 0 a 4 ad una serie di item.

Se <15 indicativo di percezione uditiva soggettiva di norma.

Se compreso tra 15 e 20 indicativo di percezione uditiva alterata di grado

moderato.

Se >20 indicativo di percezione uditiva alterata di grado severo.

MAI 

TALVOLTA

DI FREQUENTE 

QUASI SEMPRE 

SEMPRE 

1. A causa della sua ipoacusia/sordità ha paura di guidare? 0 1 2 3 4

2. A causa della sua ipoacusia/sordità si sente più impacciato quando guida nel traffico? 0 1 2 3 4

3. A causa della sua ipoacusia/sordità si sente insicuro? 0 1 2 3 4

4. A causa della sua ipoacusia/sordità si sente disattento? 0 1 2 3 4

5. A causa della sua ipoacusia/sordità sente timore nel guidare? 0 1 2 3 4

6. Con l’aiuto di una protesi uditiva si sentirebbe più sicuro? 0 1 2 3 4

7. Ha mai considerato di acquistare una protesi acustica? 0 1 2 3 4

8. Familiari o amici le hanno mai consigliato di acquistare una protesi acustica? 0 1 2 3 4

67

Questionario Attenzione

Viene valutata al presenza di uno stato di vigilanza e di attenzione alterato

mediante una scala VAS (maggiore o minore di 5 cm).

Per favore valuti come si sente in questo momento rispetto alle dimensioni

sottoelencate. Per ogni definizione c’è una linea di misurazione che separa gli

estremi opposti “PER NIENTE” e “MOLTISSIMO”. Risponda segnando sulla

linea un trattino verticale nel punto della linea che corrisponde alla sua

valutazione. Per esempio tanto più si sente di avere un buon livello di attenzione

tanto più il trattino dovrà essere tracciato in prossimità di “MOLTISSIMO”,

viceversa tanto meno si sente “attento/a” tanto più dovrà essere vicino a “PER

NIENTE”.

IN QUESTO MOMENTO MI SENTO

ATTENTO/A

Per niente Moltissimo

CONCENTRATO/A

Per niente Moltissimo

STANCO/A

Per niente Moltissimo

SONNOLENTO/A

Per niente Moltissimo Scala Di Valutazione Della Sonnolenza (Epworth Sleepiness Scale)

Viene valutata la presenza ed il grado di sonnolenza diurna mediante

l'attribuzione di un punteggio da 0 a 3 ad una serie di situazioni da parte del

soggetto.

Se > 11 indicativo di sonnolenza diurna eccessiva moderata.

Se > 15 indicativo di sonnolenza diurna eccessiva severa.

68

Che probabilità ha di appisolarsi o di addormentarsi nelle seguenti situazioni,

indipendentemente dalla sensazione di stanchezza?

La domanda si riferisce alle usuali abitudini di vita nell’ultimo periodo. Qualora

non si sia trovato di recente in alcune delle situazioni elencate sotto, provi ad

immaginare come si sentirebbe.

Usi la seguente scala per scegliere il punteggio più adatto ad ogni situazione:

0 = Non mi addormento mai 1 = Ho qualche probabilità di addormentarmi 2 = Ho una discreta probabilità di addormentarmi 3 = Ho un’alta probabilità di addormentarmi

Situazioni

a. Seduto mentre leggo b. Guardando la TV c. Seduto, inattivo in un luogo pubblico ( a teatro, ad una

conferenza)

d. Passeggero in automobile, per un’ora senza sosta e. Sdraiato per riposare nel pomeriggio, quando ne ho

l’occasione

f. Seduto mentre parlo con qualcuno g. Seduto tranquillamente dopo pranzo, senza avere bevuto

alcolici

h. In automobile, fermo per pochi minuti nel traffico I risultati preliminari di questi test verranno illustrati e discussi in una

successiva Relazione.

69

La terapia dei deficit uditivi R. Albera1, C. Canovi2 1 Clinica ORL2 – Università di Torino 2 Segreteria Generale ANAP - Milano Sono fortunatamente passati i tempi in cui l’audioprotesista si comportava come

un qualsiasi venditore e il paziente ipoacusico veniva trattato come un semplice

cliente. Gli audioprotesisti oggi sono tecnici sanitari con un’alta competenza

tecnologica in grado di soddisfare le esigenze più disparate dei soggetti

ipoacusici.

Il salto di qualità, inutile negarlo, è stato incredibilmente grande. Tutto ciò,

unito ad un progresso tecnologico oltre ogni immaginazione (pensiamo agli

apparecchi acustici degli anni ’50 – ’60 in rapporto a quelli odierni), ha portato

lo stato dell’arte audioprotesica e il livello di competenze professionali degli

operatori coinvolti ad un livello mai raggiunto prima, tanto da far assurgere il

comparto audioprotesico italiano a modello europeo. Da “venditori”, a

“tecnici”, dunque, dopo adeguata formazione universitaria e relativo tirocinio

clinico e professionalizzante.

Sarà pertanto fonte di stupore il fatto che al giorno d’oggi l’audioprotesista si

trovi coinvolto in una nuova sfida, se possibile ancora più grande. Le

competenze tecnologiche sulla fisica acustica, sulla fornitura e il controllo degli

apparecchi acustici, sul loro funzionamento e adattamento al paziente, oltre che

sulla tecnologia digitale a ciò collegata sono ormai, dopo anni di formazione

universitaria, convegni e pubblicazioni scientifiche di vario genere, un

patrimonio comune. Se anni fa il problema che si poneva a chi provava a

ripensare ad un profilo professionale era eminetemente centrato sulle

competenze, adeguando e modernizzando quelle di carattere tecnologico, oggi

la core competence del tecnico audioprotesista è la presa in carico del paziente,

che si fonda sulla conoscenza della persona (del suo contesto relazionale, della

sua storia privata e delle sue risorse personali) e su valutazioni

70

multidimensionali mirate alla progettazione di un percorso correttivo

personalizzato.

Il compito dell’audioprotesista si configura pertanto come quello di un

professionista che non si limiti ad effettuare esami valutativi di tipo meramente

tecnico e che solo su tali basi fornisca l’ausilio corretto: a queste due

competenze di base vanno necessariamente aggiunte l’assistenza e la guida del

paziente nel percorso che va dall’individuazione della patologia al ripristino

della funzionalità uditiva compromessa.

L’assistenza e la presa in carico del paziente rappresentano più di ogni altra

competenza tecnologica ciò che maggiormente avvicina l’audioprotesista alla

classe medica. Il paziente, infatti, è un soggetto che necessariamente deve essere

seguito passo passo nel corso della sua terapia (anche se è improprio parlare di

terapia nel caso della correzione dei deficit uditivi, il principio rimane il

medesimo).

Crescono le competenze, dunque, ma di pari passo cresce anche la

responsabilità dell’audioprotesista. La sua attività è inquadrata in un contesto

sociale, sanitario ed etico che richiede comportamenti adeguati. La prestazione

fornita è tecnica ed intellettuale. Il professionista sanitario, infatti deve

necessariamente svolgere la sua attività in conformità ad un codice

deontologico, ed il suo campo d’azione è regolato da linee guida ben precise.

A partire da ciò, occorre aggiungere che l’audioprotesista deve rappresentare

una guida per il paziente ipoacusico non solo a livello tecnico, ma anche su un

piano empatico e psicologico. Ciò implica molto di più che la conoscenza del

soggetto e va a toccare quelle che sono le inclinazioni naturali: cordialità,

spontaneità e capacità di interagire col soggetto. E’ necessario ascoltare il

paziente ipoacusico, metterlo in una condizione nella quale esprima liberamente

le sue sensazioni, comprendere il suo mondo e fargli capire che il suo problema

è stato capito.

71

La presa in carico del paziente, infatti, è supportata dal counseling, ossia quel

processo in cui, attraverso metodiche informative di vario tipo, si stabilisce un

rapporto psicologico tra il paziente e chi lo cura con lo scopo di guidarlo nelle

scelte e nei comportamenti per il raggiungimento dell’obiettivo prefissato. E’

necessario tenere conto anche dei familiari del paziente, sempre fondamentali

durante la protesizzazione: l’adattamento emozionale del paziente risulta

fortemente influenzato dalle risposte emozionali e comportamentali di chi si

prende cura di lui.

Dopo aver comunicato al paziente i principali aspetti eziologici della sua

ipoacusia e delle sue ripercussioni a livello relazionale si passa ad una fase

adattativa, in cui l’apparecchio acustico viene regolato in base alle esigenze

comunicative del soggetto. Nel caso della presa in carico di un musicista, ad

esempio, è necessario che l’apparecchio acustico si in grado di amplificare

un’ampia gamma di suoni per consentirgli di discernere appieno le differenze di

tonalità delle note. Se invece il soggetto da protesizzare è un bambino, bisogna

tenere conto del fatto che nel caso di un’ipoacusia congenita egli deve ancora

sviluppare competenze uditivo – verbali relative al linguaggio. Questi due

esempi sono esplicativi di come sia impossibile ignorare la storia personale del

soggetto, le sue esigenze, i campi nei quali si esercitano le sue attività e tutto ciò

che può coinvolgere l’udito.

L’adattamento di un apparecchio acustico è un processo necessariamente

multidisciplinare: il coinvolgimento di audiologi, otorinolaringoiatri ed

eventualmente di logopedisti, psicologi e pediatri (nel caso di una

protesizzazione infantile), si rivela fondamentale per il buon successo di

un’applicazione protesica.

Al termine della prima fase di adattamento, il paziente è pronto per scoprire un

nuovo mondo di suoni. E’ certamente un momento di grande gioia per il

paziente, che nonostante ciò, per il fatto che probabilmente da molto tempo si

era abituato ad escludere situazioni comunicative dalla sua vita a causa

72

dell’ipoacusia, deve essere rieducato e comunque assistito durante questa nuova

situazione.

Durante il primo periodo di applicazione dell’apparecchio acustico, infatti, le

regolazioni dello stesso non possono prescindere da una fase detta di

acclimatamento, durante la quale l’audioprotesista, oltre a sincerarsi del corretto

funzionamento dell’apparecchio e della corretta impostazione dei parametri

elettroacustici che trovano riscontro in apposite prove di collaudo, deve

verificare l’accoppiamento acustico fornendo supporto psicologico e

coadiuvando l’apprendimento all’uso.

L’assistenza non termina con l’applicazione, dunque. Il paziente deve essere in

un certo senso addestrato all’uso dell’apparecchio, deve conoscerne il

funzionamento, essere in grado di pulirlo e di sostituirne le pile ed in ogni caso

deve necessariamente essere seguito nel tempo con verifiche periodiche.

Il percorso di verifica si presenta come il tentativo, fondamentale, di valutare la

soddisfazione del paziente ipoacusico nel corso del tempo. Ciò è necessario per

misurare e far percepire la crescita nel tempo del beneficio apportato dalla

protesizzazione, con le medesime modalità attuate durante il periodo di

adattamento. E’ pertanto una fase molto più complessa di una mera valutazione

elettroacustica dell’apparecchio. Nessuno dei test disponibili sul mercato (test di

Sanders, test di Denver, COSI, APHAB, etc…) sono infatti specifici per

valutare la soddisfazione del paziente circa il lavoro che l’audioprotesista ha

svolto con lui. Per valutare se la sua percezione di handicap si è alleggerita, se

la sua capacità di comunicazione in diversi ambienti sia migliorata, se gli pare

di essersi avvicinato ai suoi desiderata mediante l’utilizzo degli apparecchi

acustici è necessario ancora una volta un approccio psicologico ed empatico al

soggetto, che valichi i confini dei puri esami audiometrici per giungere ad un

giudizio complessivo sulla buona riuscita della protesizzazione, intesa

principalmente come percorso umano.

73

Il lavoro dell’audioprotesista, infatti, in questi casi, è proprio quello di capire

ciò che il paziente vuole e accetta e fornirglielo. Naturalmente non deve piegarsi

a fornire prestazioni completamente errate, ma deve fornire ciò che più si

avvicina ai desiderata del paziente compatibilmente con una congrua capacità di

comprendere e capire il parlato.

Per concludere, la presa in carico del paziente è un processo di alta complessità

che prevede la coesistenza di un grande numero di competenze e di

responsabilità. La crescita del profilo professionale dell’audioprotesista e delle

competenze tecnologiche relative non può prescindere dall’avvenuta presa di

coscienza di un intero comparto che per essere professionisti sanitari è

necessario prendersi carico del paziente secondo principi etici e umani, come

già Ippocrate affermava nel IV secolo Avanti Cristo : “Regolerò il tenore di vita

per il bene dei malati secondo le mie forze e il mio giudizio, mi asterrò dal recar

danno e offesa”.

74

Disturbi vestibolari:diagnosi e terapia A. Canale, J. Nadalin Clinica ORL1 – Università di Torino DISTURBI DI VESTIBOLARI: DIAGNOSI E TERAPIA

La diagnosi delle patologie vestibolari è principalmente clinica e requisito

fondamentale è la raccolta di un’adeguata anamnesi.

L’anamnesi si basa principalmente sullo studio dei disturbi vertiginosi riferiti

dal paziente e sulla ricerca dei sintomi ad essa correlati. Nelle sindromi

vertiginose un'accurata raccolta dei dati anamnestici consente, nella maggior

parte dei casi, di definire un sospetto diagnostico ben preciso, eventualmente da

approfondire con l'esame obiettivo e/o i test di funzionalità.

Le caratteristiche della vertigine da esplorare con l'anamnesi sono:

1) la tipologia;

2) la modalità di insorgenza;

3) la durata;

4) il numero degli episodi;

5) la modalità di risoluzione;

6) i sintomi associatile;

7) le condizioni favorenti.

L'esame obiettivo

È volto alla ricerca di segni clinici espressione di patologie vestibolari,

periferiche o centrali, presenti spontaneamente o evocati da manovre non

strumentali.

A. Il Ny spontaneo

Deve essere ricercato con paziente in posizione seduta e sguardo in avanti e poi

75

lateralizzato a destra ed a sinistra.

Poiché il Ny spontaneo viene facilmente inibito dalla vista è utile, soprattutto

nelle fasi non acute della malattia, ricercarlo facendo indossare al paziente

occhiali con lenti biconvesse di 20 diottrie (occhiali di Bartels o di Frenzel se

illuminati), che eliminano l'interferenza visiva e consentono di decelare più

facilmente un Ny spontaneo. Mediante l'osservazione del Ny è possibile

valutarne la frequenza e, in termini molto imprecisi, l'ampiezza (scosse ampie o

piccole), la morfologia e la regolarità.

In alternativa il Ny può esser registrato su carta mediante

l'elettronistagmografia (ENG) o la videooculografia.

B. La ricerca delle asimmetrie del tono muscolare (ricerca delle deviazioni

segmentarlo-toniche)

Consente di definire se esistono asimmetrie del tono muscolare, presenti in

caso di asimmetria vestibolare in atto.

La prova più semplice è quella di Romberg, cui il paziente è posto in posizione

eretta con piedi leggermente divaricati e braccia lungo i fianchi. Il test va

eseguito prima ad occhi aperti, quindi ad occhi chiusi. Normalmente la

posizione viene mantenuta correttamente in entrambe le condizioni. In caso di

sofferenza vestibolare periferica il soggetto tende a cadere verso un lato

soprattutto ad occhi chiusi; nelle altre condizioni ci si orienta verso una forma

centrale.

Si può quindi eseguire la prova della marcia, test più sensibile della prova di

Romberg nel decelare asimmetrie vestibolari. La prova può essere eseguita

facendo camminare il paziente avanti ed indietro per 5-6 volte o facendo

eseguire la marcia sul posto per 60"; queste prove vanno eseguite ad occhi

chiusi e nel caso di deficit vestibolare si verifica una deviazione nella direzione

della marcia verso il lato ipofunzionante.

76

C. La ricerca del Ny di posizionamento

La manovra di Dix-Hallpike viene eseguita su un lettino da visita portando

rapidamente il paziente dalla posizione seduta alla posizione supina con capo

iperesteso e ruotato verso un lato (il paziente va posto con le spalle allineate al

margine del lettino da visita al fine di poter estendere il capo). Durante la

manovra il paziente viene invitato a tenere gli occhi aperti, o indossa gli

occhiali di Frenzel, al fine di poter evidenziare il Ny. La comparsa di un Ny

con direzione orizzontale-rotatoria, diretto verso terra (geotropo), caratterizzato

da latenza ed esauribilità ed accompagnato da vertigine oggettiva è patogno-

monico della vertigine parossistica posizionale benigna da canalolitiasi.

Dopo un adeguato periodo di tempo, al fine di attendere il manifestarsi della

vertigine e la sua eventuale risoluzione, il paziente viene riportato rapidamente

alla posizione seduta di partenza. In caso di canalolitiasi si verifica nuovamente

una crisi vertiginosa parossistica associata a ny con direzione opposta a quello

manifestatosi in posizione supina.

Se compare vertigine soggettiva o disequilibrio senza Ny solo al rapido

passaggio in ortostatismo ci si può orientare verso una forma di insufficienza

vertebro-basilare su base emodinamica.

Più raramente si può manifestare un Ny atipico spesso espressione di

canalolitiasi atipica o, meno frequentemente, di patologia a carico del sistema

nervoso centrale.

D. Head shaking test

II capo del soggetto, flesso di 20°, viene ruotato alternativamente a destra ed a

sinistra di 45" per 20 volte in 10"; gli occhi sono chiusi e vengono indossati gli

occhiali di Frenzel; una volta fermato il movimento il soggetto viene invitato

ad aprire immediatamente gli occhi; il caso di asimmetria funzionale tra i due

labirinti compaiono almeno 3 scosse di Ny diretto verso il lato deficitario o

verso quello prevalente.

77

Le prove strumentali

L'esame vestibolare si compone di una serie di test atti a determinare la

funzionalità vestibolare.

Tra le varie prove proposte attualmente in ambito clinico le più utilizzate sono:

1) le prove termiche;

2) le prove rotoacceleratorie;

3) la posturografia;

4) i potenziali evocati vestibolari.

Le malattie dell'equilibrio sono suddivise in:

- forme che causano vertigine oggettiva;

- forme o altri disturbi dell'equilibrio.

A loro volta le malattie che causano vertigine oggettiva sono suddivise in

forme che causano crisi singole o crisi recidivanti.

MALATTIE CAUSA DI VERTIGINE OGGETTIVA

Vertigine oggettiva a crisi singola

Nevrite vestibolare

Si tratta di una malattia caratterizzata da una crisi vertiginosa ad esordio

spontaneo ed improvviso, che persiste per oltre 24 ore, accompagnata da

nausea, vomito e Ny spontaneo, e che tende a risolversi progressivamente. Nel

caso in cui alla vertigine si accompagni sordità improvvisa si parla di neurite

dell'VIII nervo cranico.

Dopo la vertigine parossistica posizionale e la malattia di Menière è la causa

più comune di vertigine di origine periferica.

La sintomatologia è caratterizzata da una vertigine acuta, intensa, accompagnata da

nausea e vomito, che costringe il paziente a letto, solitamente coricato sul lato sano.

78

La crisi acuta ha una durata di circa 24-48 ore, poi il manifestarsi del compenso

vestibolare determina una progressiva riduzione della vertigine, che si trasforma

progressivamente in instabilità. Il benessere viene raggiunto nel giro di alcune

settimane o mesi, in rapporto all'età ed alle conduzioni generali (soprattutto

neurologiche, motorie e visive del paziente). Nei casi in cui non si verifichi una

restitutio ad integrum possono persistere lievi sensazioni di instabilità, soprattutto in

seguito a bruschi movimenti del capo.

Raramente sono state descritte forme di nevrite vestibolare recidivante

(vertigine ricorrete benigna).

Esame obiettivo: in fase acuta è sempre evidente il nistagmo spontaneo.

Esami strumentali: audiometria: nella nevrite vestibolare non si rilevano

alterazioni uditive

Prove vestibolari: le prove termiche consentono di dimostrare la presenza di un

deficit vestibolare unilaterale, definendo il lato della malattia e l'entità della

lesione.

Vertigine oggettiva a crisi ripetute

Malattia di Menière

Definizione: è una malattia alla cui base vi è un aumento di volume

dell'endolinfa (idrope endolinfatico), con distensione e forse rottura, del

labirinto membranoso, che determina ipoacusia neurosensoriale fluttuante più

accentuata alle basse e medie frequenze e crisi recidivanti di vertigine oggettiva

della durata di alcune ore, seguite da benessere.

La sintomatologia è caratterizzata da una vertigine acuta, intensa,

accompagnata da nausea e vomito, che costringe il paziente a letto, solitamente

coricato sul lato sano. La crisi acuta ha una durata di circa 1 – 4 ore e tende a

regredire spontaneamente in poco tempo. Solitamente la vertigine è

79

accompagnata da acufene, senso di pienezza auricolare ed ipoacusia

unilaterale.

Esame obiettivo: in fase acuta è sempre evidente il Ny spontaneo, tuttavia è

difficile cogliere il paziente in tale fase a causa della durata relativamente breve

dell'accesso; nelle fasi intercritiche il reperto obiettivo è del tutto normale.

Esami strumentali:

audiometria: il deficit audiometrico è del tutto caratteristico in quanto di

tipo neurosensoriale, più accentuato alle medie e basse frequenze. Nelle

prime fasi della malattia è reversibile per cui l'esame può anche essere

negativo.

Prove vestibolari: le prove termiche inizialmente sono normali; con il

procedere della malattia si manifesta un deficit unilaterale nel 50 – 75%

dei casi. Le prove rotoacceleratorie e la posturografia sono normali.

Esami radiologici: lòa RMN trova indicazione soprattutto per escludere

la presenza di una lesione occupante spazio nell'angolo pontocerebellare.

Vertigine parossistica posizionale

Definizione: è una malattia alla cui base vi è la presenza di depositi

endolinfatici all'interno dei canali semicircolari e che si caratterizza con episodi

parossistici di vertigine oggettiva in seguito a movimenti del capo. È la più

comune causa di vertigine periferica e, forse, la più comune causa di vertigine

in assoluto; nella maggior parte dei casi la malattia è idiopatica.

La sintomatologia è caratterizzata da una vertigine acuta, intensa, parossistica

(10 – 40”), che si manifesta in seguito a movimenti del capo (tipicamente

coricarsi o alzarsi dal letto, girarsi su un fianco, guardare in alto). Dopo la

vertigine il paziente ritorna subito ad una condizione di benessere (in certi casi

può persistere nausea). La durata della malattia è variabile; normalmente

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persiste per alcune ore e forme che persistono per diversi mesi con momenti di

quiescenza.

Esame obiettivo e manovre diagnostiche: l'esame obiettivo è del tutto normale.

La diagnosi viene posta eseguendo manovre che consentono di determinare la

crisi vertiginosa e il nistagmo.

Per la diagnosi di canalolitiasi del canale semicircolare posteriore si esegue la

manovra di Dix – Hallpike. La rapida assunzione della posizione supina con

capo ruotato dal lato sede della malattia evoca una vertigine oggettiva associata

a nistagmo obliquo rotatorio geotropo, con una latenza di 10 – 30” ed una

durata di 10 – 40”; il ritorno alla posizione seduta evoca una reazione meno

intensa, con direzione del nistagmo opposta alla precedente.

Il trattamento medico della “Sindrome vertiginosa” presenta numerose difficoltà

e non poche incertezze. La molteplicità delle cause, i diversi meccanismi

patogenetici, la presentazione sintomatologica individuale differente da caso a

caso rendono difficile un approccio medico metodico e standardizzato. A tutto

ciò va aggiunto il fatto che la medicina odierna non ha una completa

conoscenza di tutti i meccanismi determinanti la vertigine. Tralasciando le

vertigini che riconoscono una etiologia ad origine sistemica, quali ad esempio il

diabete, l’insufficienza renale, l’ipertensione arteriosa, l’epatopatie e che

pertanto rientrano nelle pertinenze dei colleghi internisti, possiamo suddividere

la terapia medica della vertigine di competenza specialistica ORL in:

1. Terapia eziologica

2. Terapia patogenetica

3. Terapia sintomatica

4. Terapia riabilitativa

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1. Terapia eziologica

E’ volta a trattare la causa prima della malattia ed è pertanto quella che

dovrebbe permettere di ottenere i migliori risultati ma è ovviamente vincolata

alla diagnosi della eziologia del processo morboso. Proprio per la limitatezza

delle nostre conoscenze, questo tipo di terapia può essere attuata in un limitato

numero di quadri clinici.

La labirintite infettiva di tipo batterico, conseguente a complicazione dell’otite

media (acuta o cronica) o la frattura della capsula otica in seguito a frattura

della rocca petrosa devono essere trattata mediante antibiotico-terapia mirata (è

necessario instaurare la migliore terapia basandosi sull’antibiogramma).

Tuttavia in alcune circostanze, quando non sia possibile eseguire

tempestivamente un antibiogramma, può essere intrapresa una terapia

antibiotica mediante ureidopenicilline o cefalosporine di ultima generazione,

oppure con aminoglicosidi (cercando di impiegare quelli aventi minor effetto

otolesivo e nefrotossico) o fluorochinolonici.

La neuronite vestibolare di tipo virale riconosce quali agenti patogeni

preferenziali gli Herper virus ed i virus influenzali. In letteratura numerosi studi

hanno dimostrato l’esistenza di DNA virale nei gangli e nei nuclei vestibolari.

L’odierna medicina risulta abbastanza impotente di fronte a questi agenti

patogeni ed attualmente una terapia attuabile è quella basata sulla

somministrazione di stimolatori linfocitari (ad esempio metisoprinolo), di

inibitori della DNA-polimerasi (come l’Acyclovir) e di corticosteroidei

(betametasone o desametasone). L’impiego di questi farmaci deve essere

secondario all’evidenza di chiari segni di flogosi virale attiva (VES, linfocitosi,

sofferenza dei nervi cranici contigui, eruzioni vescicolari cutanee).

La Malattia di Ménière, a tutt’oggi non riconosce una causa accertata e molti

autori hanno idee contrastanti. Alcuni riconoscono l’origine in una disfunzione

del sistema autonomo e pertanto impiegano l’L-5 idrossitriptofano (precursore

della serotonina) al fine di regolare il turn over dele monoamine. Sebbene i suoi

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effetti non si esplichino nella fase critica, alcuni autori hanno dimostrato una

sua efficacia nei periodi di remissione delle crisi vertiginose.

La causa vascolare ischemica sembra trovare supporto nella particolare

condizione anatomica delle arterie del tronco encefalico e nell’irrorazione di

tipo terminale della coclea. L’associazione con alcuni determinati fattori di

rischio quali fumo, ipertensione, dislipidemia, diabete, trombofilia, e disturbi

della coagulazione ne aumentano l’incidenza. Il trattamento di queste forme,

oltre ad essere volto a ridurre i fattori di rischio, prevede farmaci agenti con

differenti meccanismi: l’eparina bloccando i fattori IX e XI ha un’azione

inibente la coagulazione; gli antiaggreganti piastrinici, come l’acido

acetilsalicilico, la ticlopidina, il diripidamolo, inducono una riduzione

dell’aggregabilità piastrinica; i farmaci attivi sulla parete endoteliale come il

mesoglicano, l’eparansolfato, il glicosaminoglicano bloccano la formazione dei

trombi a livello vasale e favoriscono la riparazione endoteliale; i farmaci che

agiscono riducendo la viscosità plasmatica, come la pentossifillina, determinano

una modificazione eritrocitaria; i vasodilatatori miolitici come il ciclandelato e

la papaverina che riducono il tono vasale.

2. Terapia patogenetica

Racchiude quell’insieme di farmaci che agiscono sui meccanismi patogenetici

della vertigine, inducendo rapidamente dei miglioramenti nella sintomatologia.

In quest’ambito ritroviamo i farmaci impiegati nella sindrome di Ménière e che

pertanto tratteremo in maniera più approfondita. Il trattamento degli attacchi

prevede innanzitutto la sedazione dei sintomi vertigine, nausea e vomito.

Neuroletticci e benzodiazepine hanno una notevole potenza antivertiginosa ed

antiemetica ma possono dare reazioni extrapiramidali ed hanno un effetto

negativo sull’instaurarsi del compenso vestibolare. Da qualche hanno una

validissima alternativa è la Levoulpiride, che bloccando i recettori

dopaminergici DA2 inibisce la trasmissione Gabaergica verso il nucleo

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vestibolare mediale e sopprime la trasmissione istaminergica a livello centrale e

labirintica.

Poiché le riacutizzazioni sono determinate da uno scompenso dell’idrope, il

secondo momento terapeutico viene perseguito mediante la somministrazione di

farmaci ad azione osmotica come il glicerolo ed il mannitolo. Questi farmaci

richiamando l’acqua dalla endolinfa alla perilinfa ed al sangue periferico ed

hanno una durata d’azione di circa 3 ore e sono in grado di attenuare la

sensazione di pienezza auricolare, l’acufene, l’ipoacusia e la vertigine. In una

piccola percentuale, 1-2% il trattamento osmotico determina un incremento dei

sintomi vertiginosi. Poiché la regressione dell’idrope mediante l’impiego di

queste sostanze è solo temporanea, bisogna instaurare un trattamento volto a

riequilibrare il bilancio idrosalino. Farmaci idonei a questo scopo sono il

clortalidone ed il canrenoato di potassio che agiscono sull’iperosmolarità,

sull’alcalosi metabolica e sull’eventuale iperaldosteronismo. Il dosaggio deve

essere modesto e per periodi brevi onde evitare deplezioni sodiche massive

favorenti lo scompenso idropico. La betaistina, succedaneo dell’istamina, ha

un’azione H1 agonista e H3 antagonista. Nelle fasi acute induce una riduzione

della scarica delle cellule ciliate e favorisce il compenso centrale. Secondo

diversi autori, si possono ottenere positivi risultati mediante l’impiego di

farmaci corticosteroidei nelle fasi immediatamente successive all’attacco.

Quando l’andamento della malattia è particolarmente invalidante, si possono

praticare delle iniezioni di gentamicina trans timpanica.

Nel caso della neuronite vestibolare la terapia prevede l’impiego di

corticosteroidi per contrastare l’edema del nervo indotto dal virus.

Un discorso a parte deve essere fatto per quei farmaci che sono descritti dal

termine “neurotrofici”. Il meccanismo d’azione è quello di incrementare il

metabolismo delle cellule nervose. Il Piracetam ad esempio aumenta il

contenuto di ATP cellulare, il consumo di ossigeno e glucosio, la sintesi

dell’AMP-ciclico e del fosfatidilinositolo. La citicolina ha diversi effetti tra cui

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quello di aumentare la dopamina e ridurre la serotonina. In sintesi l’attività

risultante è quella di un aumento dell’eccitazione basale della sostanza

reticolare e del sistema piramide favorendo i meccanismi di compenso. Il

Ginko biloba, oltre ad una attività antiaggregante piastrinica, presenta una forte

azione facilitante l’attività ed il metabolismo neuronale. Sia la citicolina che il

Ginko biloba sono costituenti bilanciati all’interno di alcune composizioni

farmaceutiche note, che avendo una sua specificità per gli acufeni, risultano

comunque molto utili anche nel trattamento della sintomatologia vertiginosa.

3. Terapia sintomatica

In presenza di qualsiasi tipo di sindrome vertiginosa, può essere intrapreso

questo tipo di terapia, indicata per ridurre la reattività vestibolare e centrale.

Possono essere somministrati in concomitanza con i farmaci precedentemente

descritti qualora lo stato psicoemotivo e l’intensità del corredo sintomatologico

richiedano una rapida attenuazione. Rientrano in questa popolazione

farmacologica i Psicofarmaci (benzodiazepine ed antidepressivi), gli

Antistaminici, le Fenotiazine e gli Anticolinergici.

I Psicofarmaci deprimono lo stato mentale mediante un effetto sedativo-ipnotico

determinando una modificazione della risposta alla vertigine. Le

benzodiazepine, sono le più efficaci in quanto possiedono anche un’azione

ansiolitica; hanno un’azione modulante ed inibente l’apparato vestibolare

associata ad un ridotto controllo posturale. La sulpiride invece agisce sulle

strutture diencefaliche ed ipotalamiche regolando gli squilibri vegetativi mediati

dai chemocettori della trigger zone.

Gli antistaminici hanno un’azione inibente sui recettori vestibolari e rallentante

l’attività sinaptica della sostanza reticolare bulbo-mesencefalica. Gli effetti

collaterali sono sedazione, xerostomia e disturbi dell’accomodazione.

Le fenotiazine hanno un triplice meccanismo d’azione: antistaminico,

anticolinergico e antidopaminergico. Questi farmaci, potenti inibitori

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dell’attività vestibolare e delle vie vestibolo-oculomotorie, presentano spiccato

effetto antiemetico (azione diretta sulla chemoreceptor trigger zone bulbare).

Poiché riducono il compenso vestibolare e determinano importanti effetti

collaterali (sonnolenza, xerostomia, disturbi visivi, sintomi extrapiramidali) il

loro impiego dovrebbe essere limitato al massimo.

Gli Anticolinergici inibiscono le vie colinergiche centrali determinando una

riduzione della nausea, della salivazione e della nausea che accompagna la

sindrome vertiginosa.

4. Terapia riabilitativa

Nella maggioranza dei casi interessa, sono tecniche che interessano il sistema

dell’equilibrio nel suo complesso tuttavia le possiamo distinguere in:

• Tecniche specifiche per il controllo posturale e della marcia, statiche e

dinamiche, strumentali e non strumentali

• Tecniche specifiche per il controllo dell’oculomotilità

• Tecniche cognitivo-comportamentali

Tecniche NON strumentali per la rieducazione della postura e della marcia

BOITE STATICA

Permette di riabilitare il controllo posturale durante la stazione eretta andando

ad agire sulla componente vestibolare e propriocettiva. Consiste nel posizionare

il paziente in stazione eretta a circa 10 cm da una parete e far mantenere la

posizione, senza entrare in contatto con la parete per almeno 10 secondi ad

occhi aperti e 20 secondi ad occhi chiusi. Il paziente affronterà questo esercizio

nelle 4 posizioni della boite ossia: con parete frontale, con parete dorsale, con

parete sul lato destro e con parete sul lato sinistro. Verrà pertanto determinato

uno score risultante dai vari tentativi necessari per ogni posizione e dalla

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sensazione soggettiva di difficoltà. Diversi sono i pregi di questa tecnica: può

essere intrapresa precocemente anche in fase acuta, è adattabile alle esigenze del

paziente, ha una tangibilità diretta dei risultati da parte del paziente ed è

effettuabile anche a domicilio.

BOITE DINAMICA

Lo scopo di questa tecnica è quello di riabilitare i disturbi del controllo

posturale durante la marcia agendo sulla componente vestibolare e

propriocettiva. Dopo aver posizionato il paziente in stazione eretta a circa 10 cm

da una parete lo si invita a marciare sul posto con le braccia tese, senza entrare

in contatto con la parete per almeno 10 secondi ad occhi aperti e 20 secondi ad

occhi chiusi. Il paziente affronterà questo esercizio nelle 4 posizioni della boite

ossia: con parete frontale, con parete dorsale, con parete sul lato destro e con

parete sul lato sinistro. Anche in questo caso verrà determinato uno score

risultante dai vari tentativi necessari per ogni posizione e dalla sensazione

soggettiva di difficoltà. Come per la boite statica i pregi sono rappresentati dalla

possibilità intraprendere il trattamento precocemente anche in fase acuta,

dall’essere adattabile alle esigenze del paziente, dall’avere una tangibilità diretta

dei risultati da parte del paziente e di essere effettuabile anche a domicilio.

MARCIA SU PERCORSI MEMORIZZATI

L’obiettivo di questa tecnica è quello di potenziare l’analisi spaziale sfruttando

sia le potenzialità di memorizzazione degli inputs vestibolari e propriocettivi sia

la capacità di trasformare le informazioni sulla velocità di spostamento in dati

definibili come coordinate spaziali raggiunte progressivamente. Il paziente deve

percorrere ad occhi aperti dei percorsi preordinati (quadrati, triangoli, poligoni,

traiettorie polisegmentate) per 2-3 volte. Successivamente il paziente deve

ripetere ad occhi chiusi il percorso memorizzato. Il tracciato deve essere

comunque sgombro da impedimenti o fonti luminescenti o sonore al fine di non

facilitare le scelte direzionali a meno che non si voglia attivare un feed-back.

Possiamo giudicare questa tecnica come fondamentale in quanto coinvolge

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molte funzioni centrali dando un’immagine abbastanza fedele delle reali

capacità globali del soggetto e ne permette di monitorare i risultati.

MARCIA SU TAPPETO MORBIDO

Al fine di fornire informazioni destabilizzanti a carattere propriocettivo il

paziente viene fatto marciare su un materasso morbido. La tecnica prevede un

primo momento in cui il paziente deve marciare ad occhi aperti fissando una

mira posta ad un paio di metri ed un secondo momento di marcia ad occhi

chiusi. Questa tecnica proprio per la sua difficoltà d’esecuzione risulta allo

stesso tempo efficace ma anche poco accettata dal paziente soprattutto se

anziano. Possono essere impiegate anche delle stimolazioni ottocinetiche per

introdurre un elemento sensibilizzante.

AUTOANALISI PROPRIOCETTIVA

Attraverso l’uso delle informazioni propriocettive il paziente deve prima

riconoscere e successivamente ricostruire la posizione del proprio corpo ed i

rapporti fra i diversi segmenti. Il paziente deve indossare indumenti

preferenzialmente attillati per evidenziare al meglio forma e lineamenti.

Fondamentale per questa tecnica è la collocazione del paziente di fronte ad un

grande specchio quadrettato (tutta l’immagine corporea deve essere riflessa

dallo specchio) e l’assunzione di particolari atteggiamenti corporei a partire

dalla posizione base, sfruttando la quadrettatura dello specchio come punti di

riferimento: piedi paralleli, ginocchia e bacino simmetrici, spalle parallele ed

alla stessa altezza, torace non ruotato e capo in asse. Una volta assunta questa

posizione invitiamo il paziente a chiudere gli occhi ed effettuare attentamente

un’autoanalisi della postura assunta. Dopo aver fatto eseguire alcuni passi sul

posto ad occhi chiusi il paziente deve ricercare l’atteggiamento impostato in

precedenza e poi aprire gli occhi per controllare la postura assunta e gli

eventuali errori. La prova va ripetuta diverse volte sino al raggiungimento della

corretta postura senza errori. Lo step successivo è rappresentato dall’esecuzione

della stessa metodica partendo però da posizioni corporee differenti quali: corpo

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in asse e braccia aperte con avambracci perpendicolari, corpo in asse e braccia

parallele ai lati del capo, corpo in asse e braccia distese in avanti parallele

all’altezza delle spalle.

Questa tecnica consente di ottenere delle informazioni sia sulle capacità di

sfruttamento delle informazioni propriocettive da parte del soggetto sia sulle

capacità di utilizzo delle stesse. L’autoanalisi risulta pertanto essere il primo test

per la rieducazione vestibolare rappresentando la base ideale per gli esercizi più

complessi della rieducazione statica e/o dinamica. Anche per questa metodica i

vantaggi sono rappresentati dal fatto che: può essere intrapresa precocemente

anche in fase acuta, è adattabile alle esigenze del paziente ed ha una tangibilità

diretta dei risultati da parte del paziente. Le limitazioni sono invece: il timore di

cadere nella condizione ad occhi chiusi e la notevole difficoltà per gli anziani

poiché in questi soggetti l’utilizzo della propriocezione è ridotto.

Tecniche strumentali per la rieducazione della postura e della marcia

ESERCIZI CON PIATTAFORMA STABILOMETRICA

1. Controllo posturale statico con immagini stabilizzanti o destabilizzanti

Viene proiettato su un monitor il filo a piombo nero su fondo bianco in modo da

dare al paziente un elemento di riferimento abituale facilitando il

riapprendimento della verticalità degli oggetti. Questa immagine migliora

dunque il controllo posturale sul piano frontale. Al fine di sensibilizzare

l’esercizio possiamo modificare lo spessore del filo a piombo fino a sostituire

l’intera immagine sul display con un’immagine di parete bianca. Per ottenere un

miglioramento sul piano sagittale dobbiamo invece fornire delle immagini con

una certa profondità di campo. Se vogliamo invece dare dei fattori

destabilizzanti allora dobbiamo proiettare delle immagini con prospettiva

alterata, inabituale o incomprensibile.

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2. Controllo posturale statico con feed-back acustico o visivo

Possiamo considerare questa tecnica come l’equivalente strumentale della boite

statica. Dopo aver posizionato il paziente sulla pedana viene invitato a ridurre al

minimo le sue oscillazioni e le sue derive visualizzando sul monitor il centro di

pressione (feed-back visivo). Si possono inserire dei segnali acustici di intensità

e tonalità differenti che segnalino al paziente posto ad occhi chiusi sulla pedana

il superamento di una zona di pressione centrale verso una più periferica(feed-

back uditivo). Tra i due feed-back quello visivo è il più usato ma fornisce dei

riferimenti che nella vita quotidiana non sono normalmente presenti. Il feed-

back acustico invece ha il pregio di obbligare il paziente a basare il proprio

equilibrio sull’analisi propriocettiva.

3. Controllo posturale statico con contrasto sensoriale

Questa metodica viene impiegata per sensibilizzare le tecniche rieducative del

controllo posturale attraverso un fattore notevolmente destabilizzante. Questa

metodica richiede un box dotato di paratie, una base di appoggio mobile

regolabile su qualsiasi piano, un monitor su cui proiettare immagini di tipo

statico o dinamico. Il pregio principale è quello di poter adattare al paziente il

tipo e l’entità dl contrasto sensoriale ma viene richiesto uno strumentario

complesso.

4. Controllo posturale statico con stimolazione visiva dinamica

Il paziente viene posto ad occhi aperti sulla piattaforma stabilometrica e gli

vengono proposte delle stimolazioni: ottico cinetiche a barre contrastate o a

cielo stellato; movimenti complessi, centrifughi o centripeti, di immagini a cielo

stellato; mire luminose in movimento come pursuit sinusoidali o ramp. Ogni

tipo di stimolazione viene valutato con i parametri della stabilometria e

paragonato con i dati ottenuti ad occhi aperti. Le immagini destabilizzanti

somministrate per 1 minuto devono essere intervallate con quelle ad effetto

stabilizzante per ridurre lo stress e l’affaticamento del paziente.

90

5. Controllo posturale dinamico con mire visive

Il paziente posto sulla pedana, osserva i propri spostamenti del suo centro di

pressione rappresentato simbolicamente da una X. L’esercizio consiste nel

raggiungere e colpire alcune mire che compaiono progressivamente,

semplicemente spostando il proprio peso e quindi modificando la propria

postura senza spostare la base d’appoggio plantare. Ogni test prevede 20

bersagli con differenti score di difficoltà. Alla fine vengono valutati anche i

parametri tempo impiegato e numero di obiettivi colpiti.

MARCIA SU TAPIS ROULANT INCLINABILE

Per questa metodica lo strumentario necessario, oltre ad un tapis roulant

inclinabile, consiste in uno stimolatore NOC a proiezione. Il paziente deve

marciare, per 10-15 minuti, ad occhi aperti mentre vengono variate

l’inclinazione e la velocità del tapis roulant. Aggiungendo la contemporanea

stimolazione ottocinetica (compresa entro i 40°/sec) si rende difficoltoso il

mantenimento dell’equilibrio. Soprattutto nei pazienti anziani questa tecnica

non è facilmente applicabile ed inoltre richiede una normale funzionalità

cardiaca.

Tecniche non strumentali specifiche per il controllo dell’oculomotilità

POINT DE MIRE

Impiegando stimolazioni frequenziali della vita normale si cerca di riabilitare i

disturbi dell’oculomotilità e della coordinazione occhio-testa facilitando i

meccanismi di abitudine e compenso. Questa tecnica coinvolge

contemporaneamente il VOR, il COR, il NOC, i meccanismi vestibolo

cerebellari di fissazione e quelli di storage. Ilpaziente assume la posizione

seduta e deve fissare una mira: mantenendo lo sguardo fisso deve effettuare dei

movimenti col capo a velocità crescente fino alla soglia del fastidio. I

movimenti che devono essere eseguiti sono quelli di Yaw (rotazione

orizzontale), Roll (tilt laterali) e pitch (estensione e flessione). Effetuando i

91

medesimi esercizi a stazione eretta si va a coinvolgere anche i VSR. Dal

momento che le stimolazioni sono fisiologiche e plurisensoriali, adattabili alle

esigenze del paziente, si ha la possibilità di iniziare precocemente la

riabilitazione. Inoltre essendo eseguibile a domicilio ed i risultati appaiono

evidenti al paziente, la compliance è molto buona.

RICERCA DELLA MIRA DOPO ROTAZIONE

Il paziente viene fatto ruotare a velocità crescente e ad occhi chiusi su una sedia

dopo aver fissato una mira. Al termine della rotazione deve aprire gli occhi e

puntare con gli occhi la mira precedentemente fissata altrimenti per stimolare i

riflessi spinali il paziente dovrà dirigersi verso la mira. Questa tecnica è

complessa ed eseguibile non in fase acuta.

VESTIBULAR HABITUATION TRAINING (VHT)

Ideata da Norré per favorire i fenomeni di abitudine alle vertigini, era stata

considerata una tecnica d’elezione anche per le vertigini parossistiche ma allo

stato attuale trova indicazione nelle forme di vertigine da deficit vestibolare

periferico esacerbata dai movimenti del capo. Il paziente compie una serie di

posizionamenti per ognuno dei quali vengono annotati le caratteristiche della

vertigine, l’intensità, il corteo neurovegetativo, la durata dei sintomi al fine di

ottenere uno score che permetta di monitorare l’andamento della terapia. I 19

posizionamenti possono essere così riassunti:

1) Da seduto lasciarsi cadere in posizione supina

2) Da supino ruotare in decubito sinistro

3) Dal decubito sinistro ruotare in decubito destro

4) Da supino ritornare alla posizione seduta

5) In piedi girarsi a destra

6) In piedi girarsi a sinistra

7) Da seduto con il naso sul ginocchio sinistro portare l'orecchio destro sulla spalla destra

8) Da seduto con il naso sul ginocchio destro portare l'orecchio sinistro sulla spalla sinistra

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9) Da seduto ruotare la testa in senso orario

10) Da seduto ruotare la testa in senso antiorario

11) Da seduto piegarsi in avanti

12) Da seduto alzarsi in piedi

13) Da seduto muovere la testa avanti ed indietro

14) Passare dalla posizione seduta a quella supina, col capo esteso al di fuori del lettino, ruotato a sinistra

15) Passare dalla posizione precedente a quella seduta

16) Passare dalla posizione seduta a quella supina, col capo esteso al di fuori del lettino, ruotato a destra

17) Passare dalla posizione precedente a quella seduta

18) Passare dalla posizione seduta a quella supina, col capo esteso al di fuori del lettino

19) Ritornare seduti I pregi di questa tecnica consistono nella possibilità di indagare diversi

posizionamenti critici e di conseguenza di personalizzare completamente il

training, effettuando dopo un'informazione adeguata, la terapia a domicilio.

Tuttavia questa tecnica, nonostante sia abbastanza bene accettata, richiede tempi

lunghi (alcuni mesi) e non può essere svolta da pazienti con problemi a livello

cervicale.

TECNICA FIVE

Possiamo considerare questa tecnica come una semplificazione della tecnica

VHT di Norré. Le posizioni da assumere sono a ridotte a 5 ma vanno ripetute 5

volte per ogni seduta terapeutica con una pausa di 30 secondi tra un esercizio ed

il successivo e devono essere eseguite quotidianamente per 15 giorni. Gli

esercizi possono essere esemplificati nel modo seguente:

1) Scuotere velocemente la testa a destra e a sinistra 20 volte di seguito. Fermarsi e fissare immediatamente un punto posto di fronte

2) Voltare la testa verso destra, stendersi rapidamente all'indietro mantenendo la testa verso destra; fissare un punto sulla parete sino

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alla scomparsa delle eventuali vertigini. Rialzarsi e fissare un punto davanti.

3) Voltare la testa verso sinistra, stendersi rapidamente all'indietro mantenendo la testa verso sinistra; fissare un punto sulla parete sino alla scomparsa delle eventuali vertigini. Rialzarsi e fissare un punto davanti.

4) Stendersi rapidamente all'indietro e fissare un punto del soffitto, fino alla scomparsa delle eventuali vertigini; dopo una pausa rimettersi seduto e fissare un punto davanti

5) Stendersi lentamente sul letto di traverso, con la testa a penzoloni; fissare un punto fino alla scomparsa delle eventuali vertigini. Dopo una pausa riassumere la posizione seduta e fissare un punto di fronte.

6) Con il capo iperesteso e ruotato di 30° verso destra, stendersi lentamente sul letto di traverso, con la testa a penzoloni; fissare un punto fino alla scomparsa delle eventuali vertigini. Dopo una pausa riassumere la posizione seduta e fissare un punto di fronte.

7) Con il capo iperesteso e ruotato di 30° verso sinistra, stendersi lentamente sul letto di traverso, con la testa a penzoloni; fissare un punto fino alla scomparsa delle eventuali vertigini. Dopo una pausa riassumere la posizione seduta e fissare un punto di fronte.

Per ognuno degli esercizi vanno annotate quotidianamente la presenza di

eventuali vertigini, nausea e vomito descrivendone l'entità. Nel caso in cui dopo

15 giorni di trattamento si abbia un sostanziale miglioramento si possono

introdurre altri 2 posizionamenti:

Questa tecnica è effettuabile al domicilio e coinvolge sia la componente

vestibolare che propriocettiva cervicale e visiva. I limiti sono dovuti al numero

esiguo di posizionamenti, all'impossibilità di effettuarla su pazienti con

importante cervicalgia ed ai tempi lunghi di trattamento (mesi).

Tecniche strumentali specifiche per il controllo dell’oculomotilità ROTAZIONI SU SEDIA

Il paziente deve essere posizionato su una poltrona rotante in grado di ruotare

liberamente. Gli occhi devono essere mantenuti aperti al buio oppure sotto lenti

miopizzanti. Il test inizia dando stimolazioni roto-acceleratrici orarie ed antiorarie,

94

con velocità inizialmente inferiore a 60°/sec ed aumentate progressivamente fino a

300-400°/sec, seguite da un stop brusco o da una decelerazione progressiva. Volendo

monitorare l'andamento del nistagmo possiamo impiegare il videonistagmoscopio. La

stimolazione a livello dei canali semicircolari può essere guidata facendo assumere al

paziente varie inclinazioni del capo. Poiché questa metodica facilità il compenso del

VOR possiamo migliorare il compenso facilitando l'interferenza della componente

visiva mediante il mantenimento degli occhi aperti, senza lenti ed alla luce

ambientale. Volendo invece facilitare il meccanismo di fissazione (VOR-Fix)

possiamo effettuare il trattamento facendo fissare una mira consensuale alla rotazione.

Questa tecnica risulta pertanto essere facilmente adattabile al paziente poiché da una

stimolazione fisiologica (in grado di stimolare tutti i canali semicircolari) e permette

di interagire sia con i meccanismi labirintici sia con quelli visivi e di fissazione.

STIMOLAZIONE OTTOCINETICA

In base alla patologia e di conseguenza al disturbo visivo manifestato possiamo

effettuare una stimolazione ottocinetica di tipo orizzontale, obliqua o verticale.

La stimolazione deve essere effettuata mediante una rotazione non superiore ai

40°/sec per la durata di 10-15 minuti. Poiché la presenza di un nistagmo

spontaneo non indica quale sia il migliore tipo stimolazione e su quale asse,

dobbiamo pertanto indagare tutti i tipi di stimolazione pur sapendo che i

migliori risultati si ottengono mediante un NOC di direzione opposta al

nistagmo spontaneo stesso. A questo punto il mantenimento della posizione

seduta permette una stimolazione di tipo oculomotorio, mentre se il paziente

assume la posizione eretta si otterranno delle reazioni posturali che ingenerano

solitamente una deviazione omolaterale alla fase lenta del NOC. La metodica

ha il pregio di facilitare i meccanismi di storage e di transfer tra il NOC ed il

VOR ma ha come limite il dover adattare meticolosamente la stimolazione al

singolo paziente per evitare la comparsa di sintomi neurovegetativi importanti.

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BARRA PER MOVIMENTI OCULARI DI INSEGUIMENTO LENTO E RIFISSAZIONE

L'apparecchiatura consiste in una barra con mira programmabileposta di fronte

al paziente al fine di far eseguire dei movimenti oculari saccadici, pursuit

sinusoidale o ramp. L'esecuzione è di per sé semplice poiché il paziente deve

seguire con lo sguardo il movimento della mira sul piano orizzontale, verticale

ed obliquo ed ha come obiettivo quello di facilitare una riprogrammazione

dell'oculomotilità specialmente di tipo volontario. Proprio per la sua semplicità

e non avendo particolari effetti collaterali ha una efficacia limitata e necessità di

periodi lunghi di trattamento.

RIFISSAZIONE DOPO ROTAZIONE

Il paziente deve essere posizionato su una poltrona rotante in grado di ruotare

liberamente. Gli occhi devono essere mantenuti aperti e il paziente deve fissare un

punto di fronte a sé per alcuni secondi. Il test inizia dando stimolazioni roto-

acceleratrici orarie ed antiorarie, seguite da un stop brusco. Ad ogni stop il paziente

deve cercare di rifissare immediatamente la mira precedentemente memorizzata.

Scopo di questa tecnica è quello di favorire il meccanismo della fissazione anche in

assenza di visione, dell'orientamento spaziale e della memorizzazione dei dati

vestibolari andando a stimolare i meccanismi centrali normalmente sottoutilizzati.

SACCADICI MEMORIZZATI

In una camera buia il paziente, seduto su una poltrona libera di ruotare, deve

fissare un punto luminoso per circa 10 secondi. Spento il segnale luminoso il

paziente deve riportare lo sguardo nel punto precedentemente illuminato. In

aggiunta si può far ruotare la poltrona di 360° allo spegnimento della luce ed il

paziente al termine della rotazione deve cercare di fissare nuovamente nel punto

dove la mira era accesa attraverso un singolo movimento saccadico. Questa

tecnica, con lo strumentario adeguato permette una notevole precisione ma

presenta notevoli limiti con i soggetti anziani.

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INDICE

L’idoneità alla guida come strumento di prevenzione E.Pira, A. Ferrario, C. Ciocan, C. Giordano

Pag. 3

La valutazione del neurologo: epilessia, disturbi del sonno, disturbi dello stato di coscienza S. Garbarino

Pag. 10

La valutazione dell’ortopedico: limitazione funzionale e disabilità da patologie dell’apparato muscoloscheletrico E. Brach del Prever, A. Bistolfi, E. Pira

Pag. 17

La valutazione dell’oculista: guidare con difetti della vista e malattie oculari F. Grignolo, A. Fea, A. Giordano

Pag. 20

La valutazione del dietologo: l’alimentazione razionale per la guida E. Arcelli

Pag. 25

La valutazione del medico del lavoro: la normativa e l’idoneità alla guida in ambito professionale C. Romano

Pag. 26

Presentazione del protocollo operativo ACI-ANAP C. Giordano

Pag. 39

Quali patologie ORL inficiano l’idoneità alla guida? G.C. Pecorari, M. Garzaro, G. Riva

Pag. 41

Il bilancio audiometrico A. Pira

Pag. 47

Test psico-uditivi R. Boggero

Pag. 54

La terapia dei deficit uditivi R. Albera, C. Canovi

Pag. 69

Disturbi vestibolari:diagnosi e terapia A. Canale, J. Nadalin

Pag. 74