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Università di Pisa Facoltà di Medicina e Chirurgia Scuola di Specializzazione in Anestesia, Rianimazione, Terapia Intensiva Direttore Prof. F. Giunta Tesi di Specializzazione: CONFRONTO FRA GIUDIZIO ECOGRAFICO E GIUDIZIO CLINICO NELLA VALUTAZIONE DELLO STATO VOLEMICO DEL GRAVE POLITRAUMATIZZATO Relatore Candidato Dr. Paolo Malacarne Dr. Orsolina Fiori A.A. 2012-2013

Università di Pisa - CORE · monitoraggio seriato del paziente e di guida in tempo reale, permettendo di verificare subito gli effetti del trattamento e di correggere o modificare

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Università di Pisa

Facoltà di Medicina e Chirurgia

Scuola di Specializzazione in Anestesia, Rianimazione, Terapia Intensiva

Direttore Prof. F. Giunta

Tesi di Specializzazione:

CONFRONTO FRA GIUDIZIO ECOGRAFICO E GIUDIZIO

CLINICO NELLA VALUTAZIONE DELLO STATO VOLEMICO

DEL GRAVE POLITRAUMATIZZATO

Relatore Candidato

Dr. Paolo Malacarne Dr. Orsolina Fiori

A.A. 2012-2013

SOMMARIO

INTRODUZIONE .................................................................................................................................................. 4

CONSIDERAZIONI CLINICHE NELLA VALUTAZIONE VOLEMICA DEL GRAVE POLITRAUMA ................................ 6

MONITORAGGIO E DIAGNOSI DELLE CONDIZIONI DI IPOPERFUSIONE E IPOVOLEMIA NEL

POLITRAUMATIZZATO GRAVE ........................................................................................................................... 9

LA VENA CAVA INFERIORE NELLA VALUTAZIONE DELLO STATO VOLEMICO .................................................. 12

RUOLO DELL’ULTRASONOGRAFIA IN TERAPIA INTENSIVA E NEL POLITRAUMA ............................................. 17

CONSIDERAZIONI SULL’APPROCCIO ECOGRAFICO ALLA STIMA DELLA VOLEMIA ........................................... 23

STUDIO ............................................................................................................................................................. 27

CONCLUSIONI .................................................................................................................................................. 30

BIBLIOGRAFIA .................................................................................................................................................. 32

INTRODUZIONE

L’utilità dell’ultrasonografia (US) in terapia intensiva e la rapida

divulgazione delle sue svariate applicazioni in area critica sono ormai note

e assodate (1), tanto da definire l’ecografia uno strumento indispensabile

nella gestione dei pazienti critici, capace di fornire in maniera rapida e

non invasiva importantissime informazioni che integrano la valutazione

clinica. La sicurezza, la possibilità di utilizzo al letto del paziente, la facilità

d’uso e il basso costo nonché la non invasività rendono l’ecografo un

presidio ideale per l’utilizzo in terapia intensiva. Nel 2005 è stato

pubblicato sulla rivista CHEST un compendio redatto in due parti che

elenca le diverse possibilità degli US in area critica sottolineando il grande

vantaggio dell’esecuzione bedside che riduce le complicanze da trasporto

intraospedaliero dei pazienti critici (1).

L’ecografia transtoracica (TTE) è una metodica diagnostica non invasiva

capace di fornire in tempo reale informazioni attendibili su molte variabili

fondamentali nel paziente critico, quali lo stato volemico e la

performance cardiaca, oltre ad accertare, in particolare nel traumatizzato,

l’integrità vascolare e lo stato del pericardio. Inoltre l’esame è

immediatamente ripetibile e pertanto può offrire l’opportunità di un

monitoraggio seriato del paziente e di guida in tempo reale, permettendo

di verificare subito gli effetti del trattamento e di correggere o modificare

tempestivamente le scelte operative.

In area critica, oltre all’esame obbiettivo, il monitoraggio dello stato

volemico dei pazienti si basa tradizionalmente sull’interpretazione dei

parametri ottenuti in maniera invasiva, quali ad esempio la pressione

venosa centrale (PVC) tramite catetere venoso centrale o le pressioni di

riempimento delle camere cardiache tramite catetere in arteria

polmonare (PAC), presidi che, rimanendo pur sempre il Gold Standard

come guida al riempimento volemico, non rappresentano uno strumento

di monitoraggio scevro da rischi e complicanze.

La possibilità di avvalersi, insieme alla valutazione clinica, di uno

strumento di diagnosi anche differenziale, di rapida esecuzione, non

invasivo ed esente da rischi, fruibile anche da un operatore con un

training di base, come può essere il medico rianimatore, offre un grande

ausilio per l’orientamento diagnostico e quindi terapeutico del paziente

con trauma grave.

In terapia intensiva perciò, nella gestione fluidica dei pazienti

politraumatizzati, prende sempre più piede l’utilizzo del TTE come

strumento per questo tipo di valutazioni, non sostituendo, ma anzi

arricchendo, la valutazione fatta dal rianimatore sulla base della propria

esperienza clinica e delle misurazioni invasive e certamente sensibili, (ma

non altamente specifiche, soprattutto nei pazienti politraumatizzati), di

stato volemico.

Il diametro della IVC e le sue variazioni con il respiro e del diametro del

VS, per esempio, sono dati che possono essere ottenuti rapidamente con

l’ecografia e sono stati ampiamente validati in letteratura come metodi di

stima dello stato volemico del paziente critico (15).

Con questa esperienza personale, in una rianimazione polivalente con un

importante accesso di politraumi, si vuole osservare quante volte la

valutazione ecografica (formulata da un operatore non specialista in

radiologia e con un training di base in ecografia), concorda con il giudizio

di stato volemico che viene espresso dal medico curante sulla base della

propria esperienza clinica e sulla valutazione dei parametri monitorati

quali frequenza cardiaca (FC), ECG, pressione arteriosa (PA) invasiva,

diuresi oraria, emogasanalisi arteriosa (EGA), PVC, in pazienti

politraumatizzati gravi.

CONSIDERAZIONI CLINICHE NELLA VALUTAZIONE

VOLEMICA DEL GRAVE POLITRAUMA

Il paziente con trauma grave è esposto al rischio di shock, per varie cause

e in qualunque fase dell’iter diagnostico. Lo shock è sempre riconducibile

ad un disequilibro fra trasporto (DO2) e consumo (VO2) di ossigeno o tra

VO2 e richiesta.

Questo diverso inquadramento in termini di disossia , prescinde dai valori

pressori, dato che una situazione di insufficiente apporto o utilizzo di O2

può accompagnarsi o meno a ipotensione (2).

In genere, nel trauma maggiore si assiste ad una disfunzione del

microcircolo con insufficienza del flusso regionale che porta ad

incremento dei lattati e acidosi. Dal punto di vista eziologico, lo shock

consegue per lo più ad una serie di condizioni che, al di là delle

classificazioni classiche (ipovolemico, cardiogeno, ostruttivo),

determinano uno stato di squilibrio tra DO2 e VO2. Durante il decorso

clinico tuttavia , è possibile rilevare anche condizioni di shock mal

distributivo, come in presenza di SIRS (Systemic inflammatory response

syndrome), sepsi grave o shock settico, che coinvolge il microcircolo in

maniera disomogenea con aree a ridotto o assente flusso che si

affiancano ad aree con flusso aumentato e che, complessivamente,

realizzano uno squilibrio tra VO2 e O2 demand. I markers di

sottoutilizzazione dell’O2 sono i lattati e la differenza artero-venosa di

PCO2 (Δa-vCO2). I lattati prodotti dalla glicolisi anaerobia, vengono

normalmente smaltiti da fegato e rene ma, in condizioni di ipoperfusione,

all’aumentata produzione si associa una ridotta clearance. Il ripristino

tempestivo di un’adeguata perfusione determina una riduzione

progressiva della lattatemia.

Il Δa-vCO2 calcolato sulla base di prelievi arteriosi e venosi misti o

centrali, in condizione di ipoperfusione e a ventilazione invariata, tende a

superare i valori normali di 5 mmHg. Infatti i valori di PvCO2 aumentano

da un lato per un diminuito wash-out tissutale, dall’altro per un

incremento della produzione (tamponamento dell’acido lattico tissutale

ad opera del sistema bicarbonato); a livello arterioso invece, in condizioni

di ipoperfusione, la CO2 tende a ridursi per lo sbilanciamento del

rapporto V/Q a favore della ventilazione. Il ripristino di una buona

perfusione porta ad una più precoce normalizzazione del Δa-vCO2

rispetto ai lattati (3).

L’iperkaliemia potrebbe essere considerata un altro valido marker di

ipossia tissutale, rilevando come essa si manifesti subito dopo

un’emorragia, indipendentemente dal grado dal grado di acidosi

raggiunto; tale incremento è contemporaneo all’incremento di ΔCO2 e

proporzionale all’emorragia stessa (4).

Nel trauma grave, condizioni cliniche caratterizzate da grave

ipoperfusione, si manifestano inizialmente con eventi puramente idraulici

e, per riduzione della perfusione tissutale, si trasformano in breve in

eventi biologici sistemici, che evolvono rapidamente in insufficienza

d’organo e MOF (multiple organ failure); in assenza di un tempestivo

riconoscimento e trattamento le ripercussioni sono gravi ed irreversibili.

Ipoperfusione, danno da riperfusione, distruzione tissutale e trasfusioni di

emoderivati sono stati riconosciuti come fattori trigger in grado di

scatenare la MOF (5).

La MOF nel traumatizzato si presenza tipicamente in due tempi diversi:

early (entro i primi tre giorni dal trauma) o late (dopo il terzo giorno). Le

forme precoci non sono in genere associate a segni di infezione e

vengono attribuite a una sindrome infiammatoria generalizzata (SIRS) e

sono gravate da una mortalità lievemente superiore rispetto alle forme

tardive (innescate invece da fenomeni infettivi) (6).

Le condizioni cliniche sopra descritte sono da monitorizzare e trattare

aggressivamente in una fase molto precoce, poiché, quando la sindrome

è conclamata, anche il trattamento più aggressivo è più difficilmente in

grado di influenzare l’outcome in senso favorevole (7-8). Tuttavia è bene

sottolineare che nel correggere precocemente le condizioni di

ipoperfusione del paziente traumatizzato è importante evitare un

eccessivo apporto di fluidi che, in associazione all’aumentata permeabilità

capillare, soprattutto del circolo splancnico, potrebbe compromettere

l’apporto di ossigeno ai tessuti. E’ stato infatti descritto l’impatto negativo

di un’eccessiva rianimazione volemica sulla bilancia emostatica, la

motilità gastrointestinale, la tenuta delle anastomosi chirurgiche, la

funzionalità cardiaca e respiratoria (9). Tale condizione può inoltre

partecipare in maniera determinante all’innesco dei meccanismi

fisiopatologici che conducono all’insorgenza dell’ipertensione addominale

e al mantenimento del circolo vizioso che peggiora ulteriormente

l’ipoperfusione periferica (10-11).

MONITORAGGIO E DIAGNOSI DELLE CONDIZIONI DI

IPOPERFUSIONE E IPOVOLEMIA NEL POLITRAUMATIZZATO

GRAVE

Un’approccio centrato sulla diagnosi precoce, sulla rapida correzione

degli stati di ridotto DO2 e sul tempestivo riequilibrio dei principali

sistemi omeostatici richiede necessariamente un monitoraggio integrato

a invasività mirata e calibrata.

Nella gestione del traumatizzato, i segni clinici utili nelle prime fasi,

perdono progressivamente valore in quanto aspecifici e difficilmente

apprezzabili in pazienti sedati, intubati e ventilati meccanicamente:

oliguria, sete, tempo di refill capillare, segni di ipoperfusione cutanea,

tachipnea, tachicardia, e confusione mentale sono segni di ridotta

perfusione e possono sottendere uno stato di shock, ma non sono comuni

ad un gran numero di quadri clinici e non sono discriminanti.

La clinica e la corretta interpretazione di parametri ottenuti con tecniche

di minima invasività (FC, ritmo ECG, SpO2, PA, lattatemia, EGA arteriosa e

venosa), prontamente disponibili e di facile lettura, consentono tuttavia

di attuare alcune manovre e terapie “ferma tempo”, in quanto

l’instaurazione di sistemi di monitoraggio più invasivi e completi e la

corretta interpretazione dei dati richiedono tempi più lunghi.

Nessun monitoraggio di per se ha impatto diretto sull’outcome, ma

l’utilizzo appropriato delle informazioni e la loro trasformazione in

interventi terapeutici, permette di frenare l’evoluzione verso la MOF e la

morte.

Alcuni sistemi di monitoraggio, come per esempio analisi del contorno del

polso, doppler esofageo, impedenziometria transtoracica, posso essere

adatti a condizioni di bassa criticità, altri come la tecnica della

termodiluizione transtoracica (PiCCO) o il catetere polmonare (PAC)

possono essere utilmente impiegati in condizioni più complesse; in altri

casi può essere utile l’integrazione dei dati rilevati dai diversi sistemi,

come nel caso dell’integrazione dei parametri volumetrici e dinamici con

quelli delle pressioni e resistenze polmonari. Non va dimenticato tuttavia

che la cateterizzazione dell’arteria polmonare è una procedura

particolarmente invasiva che richiede il passaggio del PAC attraverso due

valvole cardiache, con l’alto rischio di rottura delle stesse, e l’insuflazione

del palloncino distale una volta arrivato in situ può provocare la rottura

dei vasi con conseguenze disastrose. Inoltre, la continua presenza del

PAC aumenta la probabilità di aritmia, di infezioni sistemiche ed

endocarditi.

La possibilità di utilizzare la saturazione in vena cava superiore (ScvO2)

quale surrogato della saturazione venosa mista (SvO2) nella valutazione

della bilancia ossiforetica ha ulteriormente favorito l’espandersi dell’uso

delle metodiche meno invasive. Infine va ricordato che i sistemi non

invasivi offrono ulteriori informazioni, quali i volumi ematici intratoracici,

l’acqua extravascolare polmonare e indici dinamici di reclutabilità

ventricolare, che possono essere particolarmente utili in situazioni quali

l’ipertensione addominale (12).

Tuttavia ancora oggi, il monitoraggio con PAC viene considerato il gold

standard e diversi Autori ritengono il ricorso precoce al cateterismo

cardiaco in grado di influire sull’outcome di alcune categorie di pazienti

come quelli con ISS o APACHE II elevati, shock severo non rapidamente

corretto o anziani (13).

Di recente, si è dato molto risalto ad alcune nuove tecniche in grado di

studiare il microcircolo, tra le altre le tecniche di video microscopia e la

Near-infrared Spectrosopy, che rileva la saturazione d’ossigeno a livello

tissutale, che sembrano fornire precocemente utili informazioni sul grado

di compromissione del microcircolo e sull’efficacia del trattamento (14).

Recentemente studi condotti su pazienti con sepsi severa o shock settico

hanno valutato il ruolo delle variazioni del diametro della IVC nel predire

la fluid responsivness) definendolo un indice attendibile a tal riguardo (15-

18), e anche in pazienti traumatizzati e ventilati meccanicamente questo

parmento è risultato utile come guida nella terapia infusionale (19-21).

LA VENA CAVA INFERIORE NELLA VALUTAZIONE DELLO

STATO VOLEMICO

La vena cava inferiore (VCI) è un grande vaso di capacitanza, la cui

distensione è funzione diretta dello stato volemico (22-24). Essa,

originando dalla fusione delle vene iliache di destra e di sinistra e

terminando alla base dell’atrio di destra dopo aver attraversato il

diaframma, è un vaso intra-addominale la cui porzione intra-toracica è

puramente virtuale. Nei pazienti in respiro spontaneo, i ciclici

cambiamenti della pressione pleurica, trasmessi all’atrio destro,

producono ciclici cambiamenti del ritorno venoso, inducendo un

decremento inspiratorio del diametro della IVC e un aumento espiratorio

del suo diametro. (20,23).

I cambiamenti ciclici del diametro della VCI sono evidenti in condizioni di

normale o ridotto stato volemico. Essi sono invece aboliti quando il vaso è

dilatato a seguito di uno stato di ipervolemia e/o ipertensione atriale.

Kircher et al (25), hanno dimostrato che le dimensioni dell VCI il

decremento inspiratorio del suo diametro, espresso come indice, ossia:

diametro espiratorio - diametro inspiratorio

diametro espiratorio

ben correlano con la pressione atriale, nei pazienti in respiro spontaneo.

L’inverso avviene nei pazienti ventilati meccanicamente, dove la fase

inspiratoria produce un incremento della pressione pleurica, che viene

trasmessa a livello atriale riducendo il ritorno venoso. Comparata con la

ventilazione in respiro spontaneo, la ventilazione a pressione positiva

incrementa sia la pressione pleurica che la pressione del ventricolo

destro. Ne risulta una riduzione del gradiente fra sistema vasale extra-

toracico e atrio destro, e quindi del ritorno venoso, che si ripercuote in

termini di decremento di gittata cardiaca che frequentemente si osserva

nei pazienti ventilati (26). A questo si aggiunge che anche l’aumento della

pressione addominale indotta dalla ventilazione meccanica influenza il

ritorno venoso. (27). L’effetto della ventilazione meccanica sul ritorno

venoso è principalmente influenzato dalla pressione trans murale sia della

vena cava superiore (SVC) sia della vena cava inferiore (IVC in inglese). La

pressione transmurale della vena cava è determinata dalla pressione

intravascolare, che a sua volta dipende dal volume di sangue circolante e

dalla funzione del ventricolo destro, nonché dalle pressioni circostanti

(pressione intra-addominale nel caso della IVC e intratoracica per la SVC).

(28,29).

Il diametro della IVC quindi è determinato principalmente dalla sua

pressione trans murale, che dipende soprattutto dalle pressioni

retrograde (pressione nell’atrio destro) e dalla pressione intra-

addominale (30), piuttosto che dalla pressione pleurica, in quanto la

porzione intratoracica di questo vaso è virtuale. La relazione fra la

pressione transmurale venosa e il diametro venoso è curvilinea:

l’incremento della pressione a valle (intra-addominale per esempio)

può non corrispondere ad un aumento dei calibro della IVC quando il

vaso è già completamente disteso (31). Poiché l’aumento ciclico della

pressione pleurica indotto dalla ventilazione meccanica aumenta la

pressione transmurale sia della IVC che dell’atrio destro e la pressione

delle vie aeree viene trasmessa solo in minima parte all’addome (32),

la pressione trans murale dell’IVC aumenta in inspirazione e il vaso

tende a dilatarsi. Sebbene negli studi attuali le variazioni respiratorie

del diametro della IVC sono amplificate nei pazienti “precarico

dipendenti”, esse possono essere ridotte, e anche abolite, in presenza

di elevate pressioni dell’atrio destro e di IVC completamente distesa

(quindi non compliante), dovute a ipervolemia, disfunzione del

ventricolo destro o severa ipertensione polmonare (33). La fig. 1

mostra la relazione fra diametro della vena cava inferiore (IVC) e

pressione venosa centrale (CVP).

Figura 1: Relazione tra diametro IVC pressione venosa centrale (CVP)

La relazione pressione / diametro vena cava inferiore mostra un iniziale parte ripida,

dove un minimo aumento della CVP, in risposta ad un aumento pressione

intratoracica, è associato ad un forte aumento del diametro dell’IVC, e una parte

piana dove la compliance dell’IVC diminuisce, con conseguente minore dilatazione

dell’IVC e un maggiore incremento CVP. Freccia scura: l'effetto di un aumento della

pressione intratoracica in un paziente “precarico-dipendente”. Freccia grigia: effetto

di aumento della pressione intratoracica in un paziente “non precarico-dipendente”

(fonte: Barbier C, Loubieres Y, Schmit C, Hayon J, Ricome JL, Jardin F et al. Respiratory changes in inferior

vena cava diameter are helpful in predicting fluid responsiveness in ventilated septic patients. Intensive

Care Med (2004) 30(9):1740–1746)

Si è dimostrato che la ventilazione meccanica induce variazioni cicliche sul

flusso della vena cava e sul suo diametro che si riflettono in alterazioni del

flusso aortico nel giro di pochi battiti cardiaci (34,35). Le variazioni

respiratorie del flusso aortico sono state utilizzate da diversi autori come

indici predittivi di fluid responsivness (36-41), così come lo stroke volume

variation. Considerando che le modificazioni sul ritorno venoso indotte

dalla ventilazione meccanica sono molto più marcate negli stati di

ipovolemia che in condizioni di normovolemia, Feissel ritiene che le

variazioni del diametro della vena cava possano anch’esse essere

utilizzate nell’individuazione di pazienti che potrebbero giovare del

riempimento volemico, e che la differenza dei diametri massimo e

minimo della IVC durante il ciclo respiratorio, possa servire come

strumento semplice e non invasivo per determinare l’appropriata

espansione volemica nei pazienti ventilati meccanicamente (42).

RUOLO DELL’ULTRASONOGRAFIA IN TERAPIA INTENSIVA E

NEL POLITRAUMA

La valutazione dello stato volemico gioca un ruolo fondamentale come

guida per gli interventi adottati in terapia intensiva per la rianimazione ed

il riequilibrio dei pazienti più gravi, come i politraumatizzati. Uno stato

volemico non adeguatamente valutato ricade spesso nell’utilizzo

inappropriato di amine vasoattive come la noradrenalina che possono a

loro volta incrementare lo condizione di ipoperfusione e di ischemia nello

stato di shock. Di contro un’eccessiva correzione volemica può,

sovraccaricando il circolo, determinare alterazioni respiratorie,

incrementare l’ipossiemia e aumentare la pressione delle vie aeree, o può

peggiorare una preesistente insufficienza cardiaca.

La determinazione della volemia e la guida alla sua eventuale correzione,

rappresentano perciò una sfida quotidiana per il rianimatore. Anche nella

nostra esperienza più diretta con i pazienti politraumatizzati, questo tipo

di valutazioni si basano fondamentalmente sull’integrazione fra esame

obbiettivo condotto del medico e interpretazione dei parametri più o

meno invasivi (FC, EGA arteriosa, PA, PVC, diuresi oraria) che vengono

generalmente monitorizzati nel paziente critico, ma che non sono

altamente specifici in condizioni di sedazione e ventilazione meccanica.

Inoltre alcune manovre per determinare la fluid responsivness, come il

sollevamento passivo delle gambe, trovano delle grosse limitazioni nei

politraumatizzati, nei quali i cambiamenti posizionali possono alterarne lo

stesso equilibrio emodinamico o neurologico; si pensi ad esempio al

traumatizzato cranico nel quale è importante mantenere la testa

sollevata di 30 gradi per il compenso della pressione intracranica (PIC) o al

trauma spinale nel quale la mobilizzazione è addirittura controindicata

Diventa perciò particolarmente interessante la ricerca di nuovi indici e di

valutazioni rapide e poco invasive che siano adiuvanti al giudizio clinico

nella valutazione volemica di questa categoria di pazienti.

In questo contesto trova dunque sempre più spazio l’utilizzo

dell’ecografia come strumento di indispensabile ausilio per il clinico e

sempre più studi vengono condotti a riguardo, anche sottolineando la

facile fruibilità della tecnica anche da parte di personale con esperienza

formativa minima (43).

Fino a pochissimi anni fa l’utilizzo dell’ecografia nel politrauma veniva

marginalizzato alla sua indiscutibile e comprovata utilità nella diagnosi

precoce del sanguinamento itra-addominale e intratoracico

nell’applicazione dei protolli FAST (Focused Assessment with Sonography

for Trauma) e FAST-CRASH (dove CRASH sta per Cardiac arrest/failure,

Respiratory arrest/failure, Acute Abdomen and Shock), mediante i quali si

effettua una ricerca rapida ma rigorosa di raccolte ematiche nel cavo

peritoneale, pleurico, pericardico e nello scavo pleurico offrendo una

alternativa valida ed affidabile alla TC e al lavaggio peritoneale ed

esaltando le qualità di sicurezza e praticità di una pratica bedside come

l’ecografia. Il metodo FAST tuttavia non fornisce informazioni circa lo

stato volemico, quantità di volume perso o risposta al reintegro volemico

(22).

Negli ultimi anni, la valutazione sonografica del diametro della VCI come

indice di stato volemico e come guida nel trattamento del reintegro

fluidico ha guadagnato molta popolarità all’interno dei reparti intensivi, in

quanto la visualizzazione della VCI con l’ecografo si è dimostrata essere

un metodo attendibile e non invasivo di approccio (44). Vi sono tuttavia

delle limitazioni intrinseche all’utilizzo dell’ecografia sui pazienti critici.

Tali limiti sono legati principalmente alla visualizzazione non ottimale

delle immagini che talvolta si riscontra nei pazienti critici come

conseguenza di condizioni fisiche cui essi sono costretti. Per uno studio

ecografico adeguato è necessario ottenere una buona “finestra acustica”.

L’ecografia sfrutta il principio fisico della riflessione degli ultrasuoni

sull’interfaccia dei tessuti, consentendo di ottenere una ricostruzione

bidimensionale della struttura anatomica studiata. Tutto ciò che limita la

riflessione dell’onda acustica, sia esso aria, osso, calcio, corpo estraneo o

altra struttura interposta, interferisce con la trasmissione degli ultrasuoni

e riduce la qualità complessiva dell’esame. Nelle unità di terapia

intensiva, un terzo dei pazienti è sottoposto a ventilazione meccanica, e la

qualità delle immagini ecografiche è spesso limitata dall’interposizione

del polmone ventilato tra il cuore e la parete toracica. Altri importanti

fattori limitanti l’acquisizione di dati nei pazienti critici sono legati alla

presenza di ferite, medicazioni e suture chirurgiche, tubi di drenaggio,

enfisema sottocutaneo, obesità e BPCO. Inoltre la mancanza di

collaborazione del paziente e la difficoltà o l’impossibilità a posizionarlo

nella maniera ottimale contribuiscono ad aumentare la difficoltà tecnica

dell’esame. Anche se l’ecografia fornisce la possibilità di valutare la

struttura e la funzione del cuore e di altri importanti organi, l’acquisizione

e l’interpretazione dei dati può riservare delle insidie. L’esecuzione

dell’esame ecografico richiede un buona conoscenza dell’anatomia e della

strumentazione (settaggio della macchina sul guadagno, scala di grigi,

profondità di penetrazione delle onde etc.) (1). La possibilità di

esecuzione dell’esame ecografico a letto del paziente, consente di

ottenere quelle prestazioni e informazioni per le quali in passato era

richiesto il trasporto in radiologia. Questo è un vantaggio molto

importante nei pazienti critici, per i quali la portabilità dello strumento

evita tutte le possibili complicanze che si possono verificare nel trasporto

fuori dall’unità intensiva (45-47). L’ecografo è diventato uno strumento

prezioso nella gestione dei pazienti critici; la sua sicurezza e portabilità

consentono l’utilizzo al letto del paziente e permette di ottenere

informazioni rapide e dettagliate sull’anatomia e funzione del sistema

cardiocircolatorio e di altri apparati, caratteristiche che appaiono

particolarmente vantaggiose per esempio nella gestione della

popolazione pediatrica. Inoltre può essere utilizzato per la valutazione

dello spazio pleurico e intra-addominale o per l’esecuzione in sicurezza di

molte manovre invasive (48-52).

Le tabelle di seguito mostrano le indicazioni all’utilizzo dell’ecografia in

terapia intensiva.

(Fonte: Chest. 2005 Aug;128(2):881-95. Bedside ultrasonography in the ICU: part 1. Beaulieu Y,

Marik PE).

Tab.1 General Indications for Performance of an Echocardiographic Examination in the ICU

Hemodynamic instability

Ventricular failure

Hypovolemia

Pulmonary embolism

Acute valvular dysfunction

Cardiac tamponade

Complications after cardiothoracic surgery

Infective endocarditis

Aortic dissection and rupture

Unexplained hypoxemia

Source of embolus

Tab.2 Other Indications for Use of Bedside Ultrasonography by the Intensivist

Central line placement

Assessment of pleural effusions and intra-abdominal fluid collections

Urinary bladder scan

Focused assessment of the trauma patient

Intra-aortic balloon counterpulsation

Sia l’acquisizione che l’interpretazione delle immagini sono altamente

dipendenti dalla perizia dell’operatore. Come suggerito dalla American

College of Cardiology and the American Heart Association, è necessaria

una formazione rigorosa, minimo di livello 2, che consiste nell’aver

eseguito almeno 150 esami e interpretato 300 immagini, se l’obiettivo è

quello di eseguire un ‘esame ecocardiografico completo (53). Tuttavia, è

sufficiente un minor grado di formazione quando l’obiettivo è di eseguire

un esame mirato che sia l’estensione dell’esame clinico, come

riconoscere un versamento pleurico o pericardico per esempio. Esami

ecografici condotti da personale medico non cardiologo hanno

dimostrato di essere diagnostici in 75%-90% dei casi e con una corretta

interpretazione nel 70-80% dei casi. Il training dei medici in questi casi

consisteva in 30- 40 h di formazione didattica con esecuzione di alcuni

esami con supervisore esperto (53-56). In particolare l’utilizzo dei nuovi

dispositivi portatili, cosiddetti Hand-Carried Ultrasound (HCU), ha reso

estremamente fruibile questo strumento, che non ha la pretesa di

sostituire gli esami diagnostici più complessi e completi, ma si pone come

valido ausilio per il clinico nel completare l’esame obbiettivo in maniera

rapida, sicura e non invasiva. L’ultrasonografia bedside, se eseguita da

personale con adeguata preparazione e che comprenda i limiti dello

strumento, ha quindi le potenzialità per essere un enorme vantaggio nella

valutazione e nel trattamento dei pazienti in terapia intensiva (57-59). Il

valore dell’HCU si estende oltre l’esame cardiovascolare, in quanto

permette di eseguire procedure invasive, tradizionalmente condotte “alla

cieca”, in maniera sicura e guidata direttamente a letto del paziente (per

esempio incannulamento di vasi centrali) riducendo le eventuali

complicanze associate a tali procedure (60).

Il valore dell’HCU come aiuto nella diagnosi e nel trattamento dei disturbi

emodinamici acuti, è stato ben dimostrato sia in terapia intensiva che nei

dipartimenti di emergenza (61,62), evidenziando che l’ultrasonografia

non debba essere ad uso esclusivo dei radiologi e dei cardiologi.

Opportunamente formati gli anestesisti e i medici di terapia intensiva

possono utilizzare con successo i dispositivi di ecografia. Diversi studi

hanno comunque dimostrato che questi strumenti possono fornire

importanti informazioni cliniche, ma anche se utilizzati da mani esperte

possono generare informazioni non corrette (63).

Sembra quindi essere arrivata l’era dell’esame clinico “technology

estended”, e sembra esserci un ruolo fondamentale per l’esame

ecografico specifico e mirato (53,64). Tuttavia, è essenziale una

formazione adeguata, e questa deve essere personalizzata e fatta su

misura per le specifiche esigenze e applicazioni dell’utilizzatore (53). Con

esperti di supporto, l’ecografia mirata bedside eseguita da intensi visti, è

non solo facilmente fruibile, ma può essere fatta rapidamente e in modo

sicuro, e può fornire informazioni pertinenti alla gestione dei pazienti

critici. Tuttavia, l’inadeguata interpretazione o applicazione dei dati

acquisiti da un utente poco esperto possono avere conseguenze negative.

Per evitare un uso improprio di questa tecnologia, è essenziale

un’adeguata formazione (53).

CONSIDERAZIONI SULL’APPROCCIO ECOGRAFICO ALLA

STIMA DELLA VOLEMIA

Importanti studi a riguardo sono stati condotti su pazienti con

insufficienza renale cronica sottoposti ad emodialisi. Gli autori hanno

dimostrato l’utilità del diametro della VCI nel monitoraggio dello stato

volemico di pazienti sottoposti ad emodialisi stimandone il peso secco

prima e dopo la procedura (65-68). Non ci sono però ancora disponibili

grossi studi multicentrici che definiscano l’utilizzabilità della misura

ecografica del diametro della VCI e le sue modificazioni col ciclo

respiratorio per la stima della volemia nei pazienti di terapia intensiva

ventilati meccanicamente, e molti sono i pareri discordanti a rigurado. In

una meta analisi condotta nel 2012 su 5 studi prospettici, appare che un

livello di evidenza moderato suggerisce che il diametro della vena cava è

considerevolmente ridotto negli stati ipovolemici rispetto ai

normovolemici (16).

In pazienti politraumatizzati Yanagawa ha dimostrato che un’inadeguta

dilatazione della vena cava inferiore valutata con gli US può indicare

un’insufficiente volume sanguigno nonostante una pressione arteriosa

normale. Nello studio il diametro della IVC appare il miglior predittore di

ricorrenza di shock rispetto a pressione arteriosa, frequenza cardiaca o

base excess arterioso (69). Selfidbackht et al. nel 2007 su un campione di

95 pazienti con trauma hanno trovato che sia il diametro espiratorio che

quello inspiratorio della VCA (misurati ecograficamente) sono

significativamente ridotti nei pazienti con shock ipovolemico (70). Gli

autori sottolineano inoltre i potenziali limiti di applicabilità della misure

dei diametri cavali, come in pazienti che presentino scompenso cardiaco

destro, insufficienza tricuspidale severa e condizioni nelle quali l’aumento

delle pressioni nell’atrio destro non è correlato con aumento del volume

circolante, ma che tuttavia grazie all’approccio ecografico possono venire

diagnosticate insufficienze cardiache spesso misconosciute nei pazienti

con trauma.

Mentre appare chiara la relazione fra diametro della IVC e pressione

venosa centrale nei pazienti in respiro spontaneo, non ci sono ancora

grossi studi che attestino la relazione fra stato volemico e diametro cavale

in pazienti ventilati meccanicamente. Gli studi principali sono di Feissel et

al. del 2004 su un campione di 39 casi e Barbier et al. (2004) che hanno

considerato 20 pazienti ventilati meccanicamente per shock settico

(20,21). Il primo riporta un valore di IVCindex > 12% come discriminante

fra fluid reponders e non responders con sensibilità e specificità

rispettivamente del 93% e 92%, mentre nel secondo studio si parla di cut

off del 18% con sensibilità e specificità del 90% .

Va inoltre considerato che non ci sono ancora linee guida che certifichino

un metodo univoco di misurazione della VCI con l’ultrasonografia nel

paziente ventilato. In letteratura (71) sono state confrontate differenti

metodiche per misurare il diametro cavale durante il ciclo respiratorio:

non sono state trovate differenze significative usando i diversi approcci.

Tra metodiche per la misurazione ecografica dei diametri cavali in pazienti

in respiro spontaneo vi sono l’approccio tramite finestra subxifoidea

longitudinale (fig.2), subxifoidea trasversale (fig.3) e anteriore

longitudinale in ascellare media, sfruttando la finestra sonografica

epatica. Tutte e tre le metodiche prevedono che il paziente sia

posizionato in posizione supina con la testa a 0° rispetto al piano di

appoggio, ma tuttavia, come si è già detto precedenteente, non sempre

è possibile posizionare il paziente critico, in particolare il

politraumatizzato grave, in questa maniera. Le misurazioni vengono prese

durante un ciclo respiratorio normale con l’utilizzo della valutazione in M-

mode (fig.5), generalmente eseguita a 2 cm dalla giunzione tra cava e

atrio destro con sonda posta perpendicolarmente ai vasi durante la

visualizzazione bidimensionale (fig.4). La misurazione dei diametri è poi

fatta con il caliper dell’ecografo ed espressa come diametro massimo e

minimo in millimetri.

Figura 2: finestra sottoxifoidea longitudinale (long axis)

Figura 3: finestra sottoxifoidea trasversale (short axis)

Figura 4: immagine ecografica bidimensionale in asse corto sottoxifoideo

Figura 5: visualizzazione VCI in M-mode

STUDIO

Lo studio è stato condotto presso la Rianimazione del Pronto Soccorso

dell’Ospedale Cisanello di Pisa nel periodo Febbraio-Maggio 2014, dopo

un periodo di training in ecografia di base in emergenza- urgenza di 30

ore.

Sono stati presi in considerazione 9 pazienti di età compresa da 18 a 74

anni (età media 46 anni) di entrambi i sessi (8 maschi e 1 femmina),

ricoverati in rianimazione per grave politrauma, tra i quali 8 traumi

toracici. Di tutti venivano monitorizzati ECG, FC, SpO2, PVC, PA invasiva

(tramite catetere in arteria radiale) ed in 4 casi, per coinvolgimento

cranico, veniva monitorizzata anche la PIC. I pazienti erano intubati e

sottoposti a ventilazione meccanica in modalità SIMV, con Vtidal 6-7

ml/Kg, FR da 20 a 24 atti/min e PEEP 8-10 cmH2O. 6 pazienti erano

sottoposti ad infusione continua di vasopressori (Noradrenalina).

E’ stata fatta una valutazione ecografica dello stato volemico, tra la 10° e

la 24° ora post accesso, ed espresso un giudizio di IPOVOLEMIA, NON

IPOVOLEMIA , denominato GIUDIZIO ECOGRAFICO, e si è osservato

quante volte questo concordasse con il giudizio di volemia posto da

clinici con almeno 5 anni di esperienza in rianimazione, basato

sull’integrazione fra esame obbiettivo e interpretazione dei parametri

monitorizzati quali FC, ECG, PA cruenta, PVC, diuresi, EGA, denominato

GIUDIZIO CLINICO. Il giudizio ecografico e clinico sono stati espressi in

cieco.

La valutazione ecografica si è basata sulla stima dell’INDICE DI

COLLASSABILITA’ DELLA IVC (Collassability Index) a PEEP 0, acquisendo i

dati con sonda convex 3,5 MHz nella finestra sottoxifoidea in asse corto e

calcolato con la seguente formula:

CI = dIVCmax – dIVCmin / dIVCmax X 100

dove dIVCmax e dIVCmin sono rispettivamente il diametro massimo il

diametro minimo della vena cava inferiore misurati con caliper in

modalità M-mode durante le fasi inspiratoria ed espiratoria dello stesso

ciclo di ventilazione meccanica ed espressi in millimetri.

Il giudizio ecografico di IPOVOLEMIA è stato attribuito per valori di CI ≥

12% e di NON IPOVOLEMIA per CI < 12%, come suggerito nello studio di

Feissel (ritenendo lo studio di Feissel il pù attendibile )

In 2 casi non è stato possibile rilevare i dati necessari, per importanti

difficoltà tecniche (finestra acustica scadente per obesità ed enfisema

sottocutaneo a livello toracico e addominale).

In tutti i casi, in considerazione del pregresso trauma toracico, la

valutazione ecografica si è estesa anche al torace alla ricerca di eventuali

raccolte nello spazio pleurico e pericardico o di pneumotorace

importante.

La tabella 3 riporta tutti i casi valutati, indicando per ciascuno età, sesso,

diametro minimo e massimo della VCI , indice percentuale di collassabilità

della VCI (CI %), il giudizio ecografico e quello clinico, eventuali

osservazioni riscontrate estendendo l’ecografia al torace ed impedimenti

alla rilevazione dei dati.

Tab.3 Valutazione politraumatizzati gravi Febbraio-Maggio 2014

PAZIENTE ETA’ M/F dIVCMIN dIVCMAX CI % NOTE ECO GIUDIZIO ECO GIUDIZIO CLICNICO

1 48 M 11,9 17,5 32%

versamento

pericardico,

Kissing Vsx

ipovolemia NON ipovolemia

2 24 M 17,4 19,2 9% - NON ipovolemia ipovolemia

3 77 M 22,3 23,8 6% comete polmonari NON ipovolemia ipovolemia

4 18 M 16,8 20,7 19% - ipovolemia ipovolemia

5 68 M 18,5 22,6 18% - ipovolemia NON ipovolemia

6 38 M ND ND ND Obesità ND ipovolemia

7 33 F 18,7 31,5 40% PNX apicale ipovolemia ipovolemia

8 20 M 18,9 21,3 11% - NON ipovolemia NON ipovolemia

9 40 M ND ND ND Fratture costali,

PNX, enfisema

sottocutaneo

ND ipovolemia

CONCLUSIONI

La rapida perdita di volume (shock ipovolemico) è la principale causa di

morte nei traumi maggiori, sia essa primaria (ferite esterne, emorragie

interne addominali o toraciche) o secondaria (shock spinale, shock

settico) . Un’accurata stima dello stato volemico in questo tipo di pazienti

è fondamentale per orientarsi sulla strategia terapeutica di rimpiazzo

volemico e monitorizzare l’insorgenza di complicanze avverse da

ipovolemia come la MOF. Ci sono diverse modalità per valutare la volemia

in queste situazioni, come ricercare con l’esame obbiettivo i segni di

shock e ipoperfusione tissutale, monitorizzare i paramentri vitali in

maniera non invasiva, markers biochimici di metabolismo cellulare,

misurazioni della pressione venosa centrale, cateterizzazione dell’arteria

polmonare (PAC) ma alcuni di questi indicatori compaiono e sono

significativi con un certo periodo di latenza dovuto ai meccanismi di

compenso dell’organismo davanti ad un iniziale perdita di volume, oppure

sono troppo invasivi. Per esempio la pressione arteriosa può mantenersi

stabile e normale anche con più del 30% di perdita di volume ematico che

può essere significativo per un iniziale MOF. Il livello sierico di lattato è

utilizzato come marker di severa ipoperfusione tissutale, ma la sua utilità

nella diagnosi precoce di instabilità emodinamica e come guida nella

rianimazione volemica non è stata ancora definita (72). L’utilizzo del PAC

inoltre, è gravato da importante rischio di complicazioni.

La vena cava inferiore (VCI) è una grande vena altamente collassabile ed il

suo diametro correla strettamente con la funzione cardiaca delle sezioni

destre (73). Il suo diametro non è stato provato che sia influenzato dalla

risposta vasocostrittrice compensatoria dell’organismo alla perdita di

volume come lo è il sistema arterioso (74). Quindi questo riflette lo stato

volemico molto più strettamente di altri parametri quali la pressione

arteriosa, analisi dell’onda pressoria, diametro dell’aorta etc.

La valutazione ecografica delle dimensioni della VCI e delle sue variazioni

col ciclo respiratorio appaiono ben correlare con lo stato volemico di

soggetti in respiro spontaneo.

Anche se in letteratura ci sono ancora pareri discordanti circa la reale

validità della misura del diametro cavale come indice di stato volemico e

pochissimi studi riguardano la popolazione ventilata meccanicamente e

con politrauma, con questa esperienza si è voluto constatare quante

volte il giudizio clinico potesse concordare col giudizio ecografico

In 3/9 dei casi il giudizio ecografico ha coinciso col giudizio clinico

(33,3%), in 4/9 il giudizio ecografico NON ha coinciso col giudizio clinico

(44,4%) e in 2/9 (22,2%) non è stato possibile formulare un giudizio

ecografico per limitazioni intrinseche alla metodica (obesità, enfisema

sottocutaneo).

L’ecografia per le sue caratteristiche di non invasività e facile applicazione

anche da parte di personale non specializzato, può essere ritenuto uno

strumento valido di integrazione all’esame clinico nella valutazione di

stato volemico nei politraumatizzati gravi.

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