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UNIVERSITA’ DI PISA Corso di Laurea Magistrale in Medicina Veterinaria PK/PD dei farmaci analgesici nel cane e nel gatto Candidato: Shapira Sigal Relatori: Prof. Soldani Giulio Dott. Giorgi Mario ANNO ACCADEMICO 2009-2010

UNIVERSITA’ DI PISA Corso di Laurea Magistrale in Medicina ... · EFFETTI SUL RIFLESSO DELLA TOSSE pag 48 . 5 EFFETTI A LIVELLO OCCULARE pag 48 ... per la mancanza della comunicazione

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UNIVERSITA’ DI PISA

Corso di Laurea Magistrale in Medicina Veterinaria

PK/PD dei farmaci analgesici nel cane e nel gatto

Candidato: Shapira Sigal Relatori: Prof. Soldani Giulio

Dott. Giorgi Mario

ANNO ACCADEMICO 2009-2010

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INDICE

RIASSUNTO/ABSTRACT pag 10

CAPITOLO 1 - IL DOLORE NEGLI ANIMALI pag 11

NEL CANE E GATTO pag 11

CAPITOLO 2 - I FARMACI ANTINFIAMMATORI

NON STEROIDEI

pag 14

FARMACOLOGIA DEI FANS pag 15

FARMACOCINETICA pag 19

ASSORBIMENTO pag 19

DISTRIBUZIONE pag 20

METABOLISMO pag 21

ESCREZIONE pag 22

I FARMACI pag 22

PARACETAMOLO pag 22

ACIDO ACETIL SALICILICO pag 24

CARPROFENE pag 26

COXIB pag 28

CELECOXIB/ ROFECOXIB/ VALDECOXIB pag 29

DERACOXIB pag 29

FIROCOXIB pag 30

4

ROBENACOXIB pag 31

FLUNIXINA MEGLUMINA pag 31

KETOPROFENE pag 32

MELOXICAM pag 34

FENILBUTAZONE pag 36

PIROXICAM pag 37

TEPOXALIN pag 38

ACIDO TOLFENAMICO pag 39

VEDAPROFENE pag 40

CAPITOLO 2 – OPPIOIDI pag 42

FARMACOLOGIA DEGLI OPPIOIDI pag 44

AZIONE FARMACOLOGICA pag 45

EFFETTI ANALGESICI pag 46

EFFETTI SEDATIVI ED ECCITTATORI pag 46

EFFETTI SULLA TERMOREGOLAZIONE pag 46

EFFETTI SU SISTEMA RESPIRATORIO pag 47

EFFETTI SU SISTEMA CARDIOCIRCOLATORIO pag 47

EFFETTI SU SISTEMA GASTRO-INTESTINALE pag 48

EFFETTI SULL’APPARATO URINARIO pag 48

EFFETTI SUL RIFLESSO DELLA TOSSE pag 48

5

EFFETTI A LIVELLO OCCULARE pag 48

EFFETTI SUL VOMITO pag 48

EFFETTI SU SISTEMA ENDOCRINO pag 49

EFFETTI SU SISTEMA IMMUNITARIO pag 49

EFFETTI METABOLICI pag 49

TOLLERANZA E DIPENDENZA pag 49

FARMACOCINETICA pag 49

CONTROINDICAZIONI pag 50

VALUTAZIONE DELL’EFFICACIA DEGLI OPPIOIDI

NEGLI ANIMALI

pag 50

EFFETTI COLLATERALI pag 51

VIE DI SOMMINISTRAZIONE pag 52

ENDOVENOSA/ INTRAMUSCOLARE/

SOTTOCUTANEA

pag 52

ORALE pag 53

SISTEMI DI TRASPORTO TRANSDERMALE pag 53

ASSORBIMENTO TRANSMUCOSALE pag 53

SOMMINISTRAZIONE EPIDURALE pag 53

I FARMACI pag 54

BUTORFANOLO pag 54

6

BUPRENORFINA pag 55

FENTANILE pag 57

IDROMORFONE pag 58

MEPERIDINA pag 60

METADONE pag 60

MORFINA pag 62

NALBUFINA pag 63

OSSIMORFONE pag 64

TRAMADOLO pag 64

CAPITOLO 3 - ALFA 2 AGONISTI pag 67

SISTEMA NERVOSO CENTRALE pag 67

SISTEMA CARDIOVASCOLARE pag 68

SISTEMA RESPIRATORIO pag 69

SISTEMA ENDOCRINO pag 69

SISTEMA URINARIO pag 70

SISTEMA GASTROENTERICO pag 70

SANGUE pag 70

UTERO pag 70

OCCHIO pag 71

7

VARIE pag 71

ALFA 2 ANTAGONISTI pag 71

I FARMACI pag 71

MEDETOMIDINA pag 71

XILAZINA pag 74

ROMIFIDINA pag 75

CAPITOLO 4 - ANTAGONISTI DEI RECETTORI

NMDA

pag 78

KETAMINA pag 78

CHIMICA pag 79

FARMACOCINETICA pag 79

MECCANISMO D’AZIONE pag 80

EFFETTI CLINICI SU VARI APPARATI pag 81

SNC pag 81

CUORE E APPARATO CARDIOCIRCOLATORIO pag 82

OCCHIO pag 82

APPARATO RESPIRATORIO pag 83

INDICAZIONI CLINICHE E PROTOCOLLI pag 83

SOVRADOSSAGGIO E TOSSICITA pag 84

8

SOGGETTI PORTATORI DI DISFUNZIONI

EPATICHE O RENALI

pag 85

SOGGETTI PORTATORI DI AFFEZIONI CARDIACHE pag 85

CHIRURGIA OFTALMICA ED ENDOCRANICA pag 85

SOGGETTI AFFETTI DI EPILESSIA pag 86

INTERAZIONI FARMACOLOGICHE pag 86

CAPITOLO 5 - ANESTETICI LOCALI pag 88

MECCANISMO D’AZIONE pag 88

POTENZA pag 89

TEMPO DI INSORGENZA DELL’AZIONE E DURATA

ANESTETICA

pag 89

SENSIBILITA AGLI ANESTETICI LOCALI pag 89

I FARMACI pag 90

PROCAINA pag 90

TETRACAINA pag 91

PRILOCAINA pag 91

LIDOCAINA pag 92

ETIDOCAINA pag 93

9

MEPIVACAINA pag 94

BUPIVACAINA pag 95

ROPIVACAINA pag 97

CAPITOLO 6 – BIBLIOGRAFIA pag 99

10

RIASSUNTO

Parole chiave: dolore, analgesia, farmaci antinfiammatori non steroidei,

oppioidi, α2-agonisti, ketamina, anestetici locali, cane e gatto.

La gestione del dolore in campo veterinario si basa sulla terapia con farmaci

sistemici e/o locali. Le classi di farmaci più utilizzati contro il dolore sono: i

FANS, oppioidi, α2-agonisti, anestetici locali e farmaci non convenzionali come

la ketamina.

Questo lavoro descrive i principi farmacologici delle diverse classi di farmaci in

uso, focalizzando l’attenzione su i singoli farmaci.

ABSTRACT

Key words: pain, analgesia, NSAIDs, opioids, alpha2-agonists, ketamine, local

anaesthetics, dogs and cat.

Pain management in veterinary medicine is based on the therapy with systemic

and/or local drugs. The classes of drugs mostly used against pain are: NSAIDs,

opiods, α2-agonists, local anaesthetics and unconventional drugs such as

ketamine.

This work describes the pharmacological principles of the different classes of

drugs in use, focusing on the individual drugs.

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IL DOLORE NEGLI ANIMALI

In assenza di comunicazione verbale, chi valuta il dolore negli animali si deve

basare su altre strategie per stabilire la natura e l’intensità dell’esperienza

dolorosa o nocicettiva. Un approccio consiste nel considerare i parametri

coinvolti nella valutazione di grandi gruppi come avviene nell’uomo, ma sempre

per la mancanza della comunicazione verbale, significa che la valutazione si

dovrà basare su delle strategie di osservazione. Queste strategie si suddividono

in quattro gruppi principali: in primo luogo, l’osservazione o la misura dei

parametri fisiologici quali la temperatura, il polso, l’alimentazione e la

respirazione possono essere utili. In secondo luogo, come viene modificato il

comportamento degli animali; questo strumento è ampiamente utilizzato e

potente, in particolare da medici esperti. In terzo luogo, la risposta fisica di

esacerbazione dello stimolo doloroso, con la palpazione o la manipolazione e la

risposta evocata. Infine l’alterazione del dolore presunto, con la terapia

analgesica. Considerando la complessità delle valutazioni interagenti e la

variabilità delle specie, sono state sviluppate una serie di scale analogiche visive

(VAS), ma sono sempre specie specifiche e spesso situazione specifiche

(Livingston, 2004).

CANE E GATTO

Nel cane, grazie alla stretta associazione con gli esseri umani e l’accesso alle

cure mediche, è una specie in cui le risposte del dolore sono state apprezzate, in

particolare quando i proprietari sono in sintonia e riescono a rilevare minime

variazioni nel comportamento, dell’appetito, perdita di peso, etc.

Le diverse condizioni del dolore (acuto, cronico e neuropatico) sono state

trattate. Infatti, con l’eccezione degli studi su animali di laboratorio, la maggiore

parte dei trattamenti e strategie di prevenzione del dolore sono state sviluppate

nel cane e gatto. Nel cane come negli uomini, le risposte al dolore sono

potenzialmente modificate in base all’ambiente. Infatti, un cane che soffre il

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dolore post-chirurgico non presenterà gli stessi comportamenti come quelli che

avrà nella propria casa, questo ha portato allo sviluppo della prima VAS (Holton

& coll, 1998). Il concetto di VAS non è nuovo, ma la sua introduzione come

scala multifattoriale nel cane è stata un progresso significativo. Uno dei

problemi comuni di tutte le scale comportamentali è quello di quantificare il

dolore poiché la correlazione tra il grado di dolore, la frequenza cardiaca e

respiratoria, e le risposte comportamentali quali vocalizzazione o aggressività

come risposta alla palpazione, ogni correlazione sarà sempre imprecisa. La VAS

sviluppata da Holton fu la prima a fornire una stima, utilizzando una varietà di

fattori come una componente della valutazione. Per esempio, a ogni serie di

comportamenti e interazioni è stato assegnato un punteggio, questi poi sono stati

sommati, indicando il livello d’intervento analgesico richiesto. Questa VAS è

stata modificata per produrre una forma abbreviata nota come CMPS (composite

measure pain score), impiegato in ambito clinico di routine queste scale sono

state studiate per una risposta basata sulle descrizioni, delle interazioni con le

persone familiari, con le valutazioni degli aspetti del dolore. Tuttavia, è

importante notare che ci sono troppe variabili e ogni VAS può essere utilizzata

solo per una forma di dolore in una specie.

Cosi la “scala di Glasgow” vale solo per il dolore acuto nel cane, e altri indici

CMPS dovranno essere sviluppati per altri tipi di dolore e altre specie.

L’analisi al computer dei comportamenti associati al dolore, in particolare la

registrazione video, è stata estesa al cane. Due tecniche sono state avanzate

“observer” e “ethovision”. Queste due tecniche generalmente valutano l’attività

e il movimento, un'altra area d’avanzamento negli ultimi anni è stata l’uso di

tecniche di analisi computerizzate del passo, che sono utilizzate per monitorare

gli effetti benefici degli analgesici per il trattamento del dolore acuto e cronico

agli arti nel cane e gatto. Si comincia anche a comprendere le risposte al dolore

attraverso studi elettroencefalografici. La maggior parte della ricerca si basa sui

dati nel cane, mentre nel gatto sono stati fatti pochi studi. Infatti, per questo

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motivo, almeno fino a tempi recenti erano spesso negati gli interventi analgesici

nel gatto per il motivo che il gatto potrebbe avere reazioni disforiche con l’uso

degli oppioidi, per la difficoltà del metabolismo dei FANS, che ha portato

all’aumento della suscettibilità alla tossicità. Studi recenti hanno cambiato un

po’ le cose e anche se il riconoscimento di stati del dolore nei gatti non ha

ancora ricevuto lo stesso livello d’attenzione del cane. Recentemente, hanno

sviluppato dei dispositivi per la misurazione della soglia termica e meccanica

nei gatti, che hanno consentito la quantificazione dell’efficacia degli analgesici

nel trattamento del dolore acuto, mentre studi sul dolore cronico sono stati

concentrati sulle condizioni cliniche analoghe alle situazioni umane, per stabilire

il mezzo per ridurre l’insorgenza del dolore severo e per la riduzione generale

del dolore cronico associato ad esempio alle condizioni artritiche. Diversi punti

d’interesse derivano dal comportamento osservato nei gatti afflitti dal dolore.

Infatti, i gatti tendono a nascondere dai padroni quando sentono dolore, questo

ovviamente ostacola il riconoscimento in questa specie. I gatti fanno le fusa

quando sentono dolore, in contrasto con le convinzioni di molti cioè che le fusa

sono sempre un segno di contentezza. I segni più evidenti, come in cani e la

maggior parte delle altre specie sono: vocalizzazione, zoppia, guardia,

inappetenza, riluttanza al movimento e atteggiamenti particolari. Tutta via se

l’animale si nasconde, probabilmente tutti questi indizi sono persi (Livingston,

2004).

I farmaci che vengono utilizzati per la riduzione del dolore

clinicamente/sperimentalmente nel cane e nel gatto sono:

1) Gli antinfiammatori non steroidei (FANS).

2) Gli oppioidi.

3) Gli α2 agonisti.

4) La ketamina.

5) Gli anestetici locali.

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I FARMACI ANTINFIAMMATORI NON STEROIDEI (FANS)

L’infiammazione è un complesso di eventi vascolari e cellulari che nell’insieme

costituiscono la risposta dell’organismo a qualsiasi danno di natura fisica,

chimica, biologica, o altro.

L’infiammazione per l’organismo ha un significato sia difensivo che offensivo,

e può compromettere la qualità della vita dell’individuo, per il dolore che a essa

si associa e/o per il danno tissutale che essa provoca.

Le molecole appartenenti a questa classe vengono classificati sulla base della

loro struttura chimica in:

acidi carbossilici

• Derivati dell’acido salicilico: salicilato di sodio, acido acetil salicilico,

acetilsalicilato di lisina, diflunisal.

• Derivati dell’acido propionico: ibuprofene, naproxene, carpofene,

ketoprofene, vedaprofene.

• Acidi antanilici: acido tolfenamico, acido meclofenamico, acido

mefenamico.

• Derivati dell’acido acetico: indometacina, sulindac (pro farmaco), eltenac,

etodolac, diclofenac, ketorolac, tolmetina.

• Acidi amino nicotinici: flunixina meglumina.

• Acidi chinolinici: cincofene.

Acidi enolici

• Pirazolonici: fenilbutazone, dipirone, isopirina.

• Oxicami: piroxicam, meloxicam, tenoxicam.

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Altri

• Derivati del paraminofenolo: fenacetina, paracetamolo, acetanilide.

• Sulfonanilidi: nimesulide.

• Alcanoni: nabumetone.

L’attività antinfiammatoria dei FANS deriva principalmente dalla loro capacità

di inibire la sintesi e la liberazione delle prostaglandine, che hanno un ruolo

chiave nella genesi della sintomatologia clinica dell’infiammazione, soprattutto

come “amplificatori” degli effetti di altri mediatori che sono coinvolti nel

processo flogistico (bradichinina, istamina, citochine, etc.).

In medicina veterinaria esiste una grande differenza specie-specifica nei

meccanismi fisiopatologici dell’infiammazione e nella risposta immunitaria

(diversa sensibilità agli stimoli, variabilità del tipo e dell’intensità delle reazioni

a insulti di varia natura, diversa incidenza di patologie specifiche, etc.).

FARMACOLOGIA DEI FANS:

I FANS sono largamente utilizzati sia in medicina umana che veterinaria per la

loro efficacia nel produrre effetti antinfiammatori, analgesici ed antipiretici,

tuttavia sono responsabili, di ben noti effetti collaterali indesiderati (gastropatie,

nefropatie, turbe dell’emostasi, etc.), che costituiscono un importante limite al

loro potenziale terapeutico.

Il primo FANS di sintesi introdotto per l’uso terapeutico è stato il salicilato di

sodio, dal quale venne sintetizzato l’acido acetilsalicilico, meglio noto come

Aspirina ®, che è il progenitore dei FANS moderni. Da allora sono stati

sintetizzati altri composti come i derivati pirazolonici (anni 40), l’indometacina

(anni 60), i derivati oxicamici (anni 80) che sono stati introdotti nella pratica

clinica nel tentativo di produrre un farmaco più efficace e sicuro dell’aspirina;

tuttavia nessuno di essi ha mai offerto particolari vantaggi in termini di

tollerabilità rispetto all’aspirina (Zizzadro & Belloli 2009).

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Negli ultimi 15 anni, sono stati compiuti progressi significativi grazie alle

conoscenze acquisite in merito alla biologia degli enzimi ciclossigenasi (COX)

che rappresentano il principale bersaglio dell’azione dei FANS. Da ciò sono nati

i nuovi gruppi di FANS cosidetti “innovativi” (inibitori selettivi delle COX - 2),

che rispetto ai FANS “tradizionali , sembrano offrire potenziali vantaggi in

termini di efficacia e/o tollerabilità (soprattutto gastrica) anche se nessuno di

essi può essere considerato come il farmaco “ideale”.

Inoltre, i FANS selettivi, non possono sostituire i FANS tradizionali, ma la loro

introduzione ha ampliato le possibilità di scelta del farmaco più adatto per

ciascun tipo di paziente e di patologia.

I principali effetti terapeutici dei FANS sono: riduzione della febbre, riduzione

del dolore e dell’infiammazione. Queste proprietà derivano dalla capacità di

questi farmaci di inibire gli enzimi COX, che mediano la produzione delle

prostaglandine dall’acido arachidonico (Lees & Coll, 2004 a, b).

Recentemente sono state identificate due distinte isoforme di COX: la COX-1 e

la COX-2, prodotte da geni differenti (Warner & Mitchell, 2004).

Le COX-1 sono presenti in molteplici cellule dell’organismo, comprese le

piastrine, le cellule della mucosa gastro-intestinale, le cellule endoteliali e nel

rene. In questi tessuti, le COX-1 sono associate con l’attività fisiologica

dell’emostasi, come l’aggregazione delle piastrine (attraverso la sintesi di

trombossani A2) e con la secrezione gastrica e il bilancio elettrolitico del rene

(Warner & Mitchell, 2004).

La COX-2 è presente in basse concentrazioni nei monociti, nei macrofagi, nelle

cellule muscolari lisce, nei fibroblasti e nei condrociti, ma anche nei tessuti

come reni, cervello e sistema riproduttivo, giocando un ruolo cruciale nel

funzionamento di questi organi. Questa proteina viene indotta rapidamente da un

danno tissutale, dalle citochine, da fattori di crescita, da infezioni batteriche

presenti nei siti d’infiammazione (attraverso l’interleukina-1) e da neoplasie

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come risposta ai mitogeni. Questa descrizione può sembrare troppo

semplicistica, dato che entrambe le COX sono note come costitutivamente

espresse e inducibili: ad esempio esiste l’evidenza che sia la COX-1 che la

COX-2 sono espresse nel SNC e in particolare nel midollo spinale, dove sono

coinvolte nel modulare il segnale nocicettivo dovuto a stati dolorosi neuropatici

ed infiammatori (Warner & Mitchell, 2004).

La maggior parte dei FANS agisce attraverso l’inibizione competitiva degli

enzimi COX, così che gli effetti risultino reversibili, una volta che le

concentrazioni plasmatiche del farmaco decrescono.

Fa però eccezione l’acido acetilsalicilico, che oltre all’inibizione competitiva,

blocca in modo irreversibile le COX acetilando un residuo di serina in

prossimità del sito attivo dell’enzima (Castella-Lawson & coll, 2001).

In questo modo per riattivare l’attività ciclossigenasica deve essere sintetizzato

un nuovo enzima; inoltre, le piastrine, non essendo capaci di sintetizzare nuovi

enzimi, sono responsabili del prolungato effetto anticoagulante del farmaco.

Altro esempio particolare è il paracetamolo, il cui meccanismo d’azione deve

essere ancora completamente chiarito, che svolge azioni antipiretiche e

analgesiche grazie all’inibizione delle COX a livello del SNC (Graham & Scott,

2005). È da sottolineare che questo farmaco, come tutti quelli coniugati al

glutatione, risulta estremamente tossico nel gatto, specie carente di questo

enzima.

Con lo sviluppo dei nuovi FANS, sono state identificate delle molecole che

inibiscono selettivamente la COX-2, apportando minimi effetti sulla COX-1

(Warner & Mitchell, 2004). Queste nuove molecole vengono usate nella pratica

clinica, dato che l’effetto terapeutico del farmaco è mediato principalmente

dall’inibizione della COX-2, evitando così gli effetti indesiderati apportati

dall’inibizione della COX-1 (danni renali e gastro – intestinali, inibizione della

funzione piastrinica).

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Numerosi studi in vitro ed in vivo sono stati effettuati per valutare la selettività

d’inibizione dei vari FANS verso le due isoforme, COX-1 e COX-2.

Normalmente viene utilizzato il rapporto COX-1/COX-2: questo è stabilito

dividendo la concentrazione del farmaco che inibirà la COX-1 di un determinato

valore (normalmente 50%, IC50) con la concentrazione del farmaco che inibirà la

COX-2 della stessa entità.

In base a questo valore i FANS vengono classificati in:

1)Inibitori non selettivi delle COX (ratio=1) se risultano equi-potenti verso la

COX-1 e la COX-2 (IC50 cox-1=IC50 COX-2).

2)Inibitori preferenziali o selettivi della COX-1 (ratio <1 o<<1,

rispettivamente).

3)Inibitori preferenziali o selettivi della COX-2.

Valori elevati rappresentano una selettività verso la COX-2.

Sebbene siano stati condotti pochi studi nelle differenti specie, le prime evidenze

indicano che potrebbero esserci numerose specie – specificità nella selettività

COX-1/COX-2 di alcuni farmaci.

Il (R, S-) carprofene, risulta, ad esempio cox-2 selettivo nei cani (rapporto

COX 6,5) e gatti (5,5), mentre nei cavalli è praticamente non selettivo (1,9) ed

addirittura COX-1 selettivo, nell’uomo (0,02), (Brideau & coll, 2001).

Quindi è necessario effettuare studi farmacodinamici nelle specie in cui il

farmaco deve essere utilizzato, dato che la selettività del farmaco non può essere

estrapolata dai dati provenienti da altre specie.

Purtroppo, mentre in campo umano sono numerosi gli studi sulla selettività

COX, in campo veterinario, esistono pochissimi dati. Inoltre, oltre alla

differenza di specie che di per sé rappresenta un problema, anche il valore del

rapporto COX può variare in vivo rispetto al vitro per il sistema usato per

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l’analisi e l’estrapolazione del dato che può dipendere da molti altri fattori quali

distribuzioni del farmaco e interazioni farmacodinamiche.

Infine è importante sottolineare che, anche se la COX-2 viene maggiormente

indotta in una determinata specie, può risultare costitutiva in un'altra, quindi per

ciascuna specie dovremmo conoscere la selettività COX e la fisiologia delle

COX nel distretto dove agisce il farmaco.

FARMACOCINETICA

La farmacocinetica dei FANS mostra degli aspetti più o meno comuni a tutte le

molecole, con alcune varietà legate ai singoli composti o più spesso a differenza

specie – specifica.

ASSORBIMENTO

Le formulazioni presenti in commercio sono per uso orale e per uso parenterale

(IM, SC, EV). Questi farmaci trovano un largo impiego nei carnivori domestici

e sono utilizzati soprattutto in caso di una terapia prolungata. In questi animali

l’assorbimento orale è generalmente rapido e completo per la combinazione di

tre fattori: il pKa, la liposolubilità ed il pH acido dello stomaco.

Infatti, i FANS per la maggior parte sono acidi deboli con valori di pKa

compresi tra 3 e 6; nello stomaco, questi farmaci, predominano nella forma

indissociata liposolubile che consente un rapido superamento delle membrane

cellulari della mucosa gastrica ed un lento abbandono dalla cellula al torrente

circolatorio dal momento che il pH intracellulare è leggermente alcalino.

Questo, fa si che ci sia un accumulo intracellulare ed una conseguente inibizione

completa dell’attività ciclossigenasica della cellula stessa. Tale comportamento

giustifica l’azione lesiva che i FANS esercitano sullo stomaco e sulla porzione

prossimale del duodeno. Inoltre, la fisiologia digestiva dei carnivori domestici,

rende questi animali ancora più sensibili all’azione lesiva dei FANS poiché a

livello gastrico il pH è acido e l’assunzione non continua di cibo, fa si che, tra un

pasto e l’altro, vadano incontro a uno svuotamento completo dello stomaco,

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aumentando il rischio di esposizione diretta al farmaco (Zizzadro & Belloli,

2009).

DISTRIBUZIONE

Nel sangue, i FANS risultano legati alle proteine plasmatiche (>95%) e questo

legame si traduce in un limitato volume di distribuzione, cioè una scarsa

capacità di raggiungere i distretti extra-vasali, che però non costituisce un limite

al raggiungimento di una concentrazione efficace nel sito d’azione dal momento

che in un tessuto infiammato aumenta la permeabilità vasale e ciò permette alle

proteine plasmatiche di passare nei liquidi interstiziali.

Inoltre, in un tessuto infiammato, il pH è debolmente acido favorendo così la

forma indissociata e quindi la sua penetrazione nel focolaio flogistico, dove

viene intrappolato, raggiungendo una concentrazione sufficiente per inibire la

produzione delle prostaglandine.

Un altro problema legato al legame siero-proteico è rappresentato dalle possibili

interazioni con altri farmaci che si legano alle proteine plasmatiche.

La maggior parte dei FANS attraversa liberamente la placenta e la penetrazione

della barriera emato-encefalica è legata alle caratteristiche delle varie molecole.

Ad esempio: il paracetamolo è un farmaco non acido per cui ha uno scarso

legame con le proteine plasmatiche e questa proprietà gli consente una migliore

capacità di penetrare nel SNC.

METABOLISMO

I FANS sono eliminati dall’organismo attraverso processi di metabolismo che si

svolgono principalmente in sede epatica.

A livello epatico, i FANS possono andare incontro a reazioni di fase-1

(ossidazione, riduzione, idrolisi etc.) e/o a reazioni di fase-2 (coniugazione). La

predominanza di una via metabolica rispetto all’altra dipende dal singolo

composto e dalla specie animale.

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In genere la via metabolica della fase-1 porta a formazioni di metaboliti inattivi.

Tuttavia, in alcuni casi, i metaboliti presentano un’attività farmacologica

residua, che può contribuire all’efficacia terapeutica (il fenilbutazone

metabolizzato diventa ossifenilbutazone: il salicilato, metabolita deacetilato

dell’acido acetilsalicilico, è privo di molti effetti tipici dell’Aspirina®).

In alcuni composti (sulindac e nabumetone), il metabolismo di fase-1 è

indispensabile per poter osservare l’effetto terapeutico, poiché, l’attività

farmacologica risiede principalmente nei metaboliti.

Esiste anche la possibilità che il metabolismo di fase-1 dia luogo a metaboliti

tossici come ad esempio il paracetamolo, la cui ossidazione determina la

formazione di un metabolita ad elevata epatotossicità.

Nella via metabolica di fase-2, nella maggiore parte dei casi, avviene la

coniugazione con l’acido glucuronico (glucuronoconiugazione), catalizzata

dall’enzima glucuronil-transferasi.

Il deficit di attività enzimatica (gatto) spiega alcuni importanti limiti all’impiego

di alcuni FANS (aspirina e paracetamolo) in questa specie animale.

ESCREZIONE

La principale via di eliminazione dei FANS è rappresentata dai reni, e il

passaggio nelle urine consegue ad un trasporto tubulare attivo o di filtrazione

glomerulare.

L’acidità delle urine dei carnivori domestici, favorisce il riassorbimento

tubulare, rendendo la loro eliminazione più lenta; ne deriva che

l’alcalinizzazione delle urine rappresenta un utile metodo per accelerare

l’eliminazione di questi farmaci in caso di sovradosaggio e/o comparsa di effetti

tossici.

Nel cane i farmaci come naproxene, ibuprofene e indometacina, attraverso la

glucurono-coniugazione, vengono eliminati in massima parte per via biliare

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subendo così il circolo enteroepatico, che spiega la loro lunga emivita in questa

specie animale.

Inoltre, un'altra conseguenza di questo fenomeno è l’esposizione prolungata

della mucosa enterica al farmaco, che spiega la frequente comparsa di ulcere

duodenali piuttosto che gastriche, quando si ha l’assunzione prolungata di questi

farmaci da parte del cane.

USI CLINICI

Per le loro proprietà farmacologiche, i FANS, trovano un largo impiego in tutte

le condizioni morbose.

I FARMACI

PARACETAMOLO

Questa molecola è uno dei farmaci più utilizzati in medicina umana nel trattare

il dolore lieve e stati febbrili, ma talvolta questo farmaco viene utilizzato anche

in altre specie (uso fuori etichetta).

In Italia, viene applicata nei trattamenti degli stati febbrili in suini affetti da

sindrome influenzale (Gabbrocet®).

Gatto

Questa molecola è controindicata per svariate ragioni.

In primo luogo l’indice terapeutico in questa specie è molto basso, già a 60

mg/kg provoca gravi effetti collaterali quali anoressia, vomito, depressione,

metaemoglobina ed anemia dei corpi di Heinz (Savides & Coll, 1984).

In secondo luogo, nei gatti, a dosi terapeutiche, il paracetamolo non mostra una

cinetica di eliminazione lineare, accumulandosi ed evidenziando effetti tossici

con somministrazioni ripetute.

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Il T ½ nel gatto passa da 0,6 a 4,8 h, dopo dosaggi rispettivamente di 20 e 120

mg/kg (Savides & coll, 1984).

In terzo luogo, grazie alla scarsa capacità di glucuronare il farmaco per

l’eliminazione della molecola, viene sfruttata la via della solfatazione

(detossificate), che una volta saturata, si attiva un metabolismo del citocromo

P450 che produce un metabolita altamente reattivo denominato N-acetil-p-

benzochinone-ammina che porta danni ossidativi (Allison & coll, 2000).

La comparsa di metaemoglobina è il sintomo più precoce di tossicità nel gatto,

può verificarsi anche una necrosi centro lobulare a livello epatico. In questa

specie animale il paracetamolo non sarebbe da utilizzare, anche se in letteratura

sono numerosi i casi di somministrazione accidentale o intenzionale del farmaco

(Finco & coll, 1975; Sundlof, 1990; Jones & coll, 1992; Villar & coll, 1998).

Cane

Nel cane per produrre gli stessi effetti tossici mostrati nel gatto sono necessari

dosaggi 5 volte superiori (300 mg/kg) (Savides & coll, 1984). I T ½ rimangono

costanti (1,2 ore) anche con dosaggi superiori a 200 mg/kg grazie ad una

glucuronazione epatica costante del farmaco. Comunque trattamenti prolungati

per 6 settimane (325 mg/die in cani di circa 7 kg) hanno mostrato variazioni

significative nei parametri ematici dei pazienti: metaemoglobinemia al 4,6%,

elevate attività sieriche di alanina transaminasi e fosfatasi alcalina, e

iperbilirubinuria (Harvey & coll, 1976). Ultimamente, in uno studio condotto da

Spiler & coll, (2005), il paracetamolo viene suggerito come farmaco

cardiovascolare per la riduzione di aree infartuate; ulteriori studi saranno

necessari per confermare questa nuova applicazione.

ACIDO ACETILSALICILICO

L’acido acetilsalicilico, largamente conosciuto come “aspirina”, viene

rapidamente idrolizzato per opera dell’esterasi ad acido salicilico, molecola

attiva ma con azione inferiore rispetto al farmaco parentale (Williams & coll,

24

1989). L’aspirina inibisce irreversibilmente le COX attraverso l’acetilazione

covalente di un residuo serinico (Patrono, 1989); per rigenerare le funzioni COX

in molti tessuti, nuovi enzimi devono quindi essere sintetizzati. Le piastrine però

non hanno la possibilità di rigenerare nuovo enzima e la funzione COX rimane

permanentemente inattivata in queste cellule. La clearance di questo farmaco è

regolata dalla coniugazione con glutatione e con glicina, ma esiste anche

un’eliminazione renale di farmaco non modificato (Davids & Westfall, 1972). In

Italia esistono numerose formulazioni per bovini, suini e pollame (Acido

acetilsalicilico 80% Dox-AL®; ASA 50®; Ascopir®; Ganadol®; Salicimix®)

indicato come antipiretico antinfiammatorio analgesico in tutti gli stati flogistici

compresi quelli sostenuti da virus e batteri, processi infiammatori e degenerativi

a carico dell’apparato muscolo scheletrico, forme reumatiche croniche ed acute,

nella terapia sintomatica dell’ipertermia di origine infettiva o di natura non

precisata. I tempi di sospensione sono nulli ma il farmaco non va somministrato

in galline ovaiole in ovodeposizione e in bovine il cui latte è destinato al

consumo alimentare.

Gatto

La farmacocinetica dell’aspirina nei gatti mostra una bassa clearance dell’acido

salicilico (4-5 ml/kg h) ed un prolungato tempo di emivita (22-45 ore) se

paragonato con altre specie (Davis, 1980; Parton & coll, 2000). Da ciò deriva

che la dose terapeutica da somministrare a questa specie è più bassa e gli

intervalli di dosaggio più lunghi che in altre specie animali. Questo farmaco è

stato il FANS più studiato per quanto riguarda la coagulazione ematica nei gatti,

allo scopo di trovare una dose di aspirina che prevenisse le trombosi associate

con cardiomiopatie e parassiti cardiaci (Dirofilaria immitis), senza risultare

tossica. La maggior parte degli studi, sebbene talvolta conflittuali, hanno

mostrato una modesta inibizione dell’aggregazione piastrinica alla dose di 20-25

mg/kg (Lascelles & coll, 2007). Al momento non esistono però studi che

25

valutano l’efficacia e la sicurezza dell’aspirina nel trattamento del dolore, febbre

ed infiammazione nel gatto.

Il dosaggio suggerito di norma in gatti contro dolore e febbre è di 10 mg/kg ogni

due giorni, mentre dosi da 10 a 25 mg/kg ogni 1-2 giorni potrebbero essere usate

contro i fenomeni flogistici avendo sempre cura di controllare la tossicità

gastrointestinale (Lascelles & coll, 2007).

Cane

Nel cane l’aspirina mostra un volume di distribuzione variabile tra 0,4 e 0,6 l/kg.

La biodisponibilità varia con la casa produttrice altrettanto quanto con la

preparazione ed è compresa in un intervallo tra il 68 ed il 76% (Morton &

Knottenbelt, 1989). La dose necessaria per alleviare clinicamente varie zoppie

del cane sembra variare da 23 a 86 mg/kg due volte al giorno, con

concentrazioni plasmatiche variabili tra 71 e 281 µg/ml (Jezyk, 1983). La

variabilità nell’eliminazione del farmaco nelle varie specie suggerisce che un

monitoraggio del farmaco in corso di terapie prolungate può essere utile per

accertare il raggiungimento delle concentrazioni efficaci ed escludere quelle

tossiche >300µg/ml (Morton & Knottenbelt, 1989). Gli stessi ricercatori hanno

anche dimostrato una correlazione tra concentrazione plasmatica ed effetto

clinico: dopo somministrazioni di 25 mg/kg ogni 8 ore possiamo ipotizzare che

le concentrazioni plasmatiche si conservino efficaci. Anche gli effetti collaterali

a carico dell’apparato GI sembrano dose e preparazione dipendenti. Dosi di 25

mg/kg di aspirina semplice provocano nel cane erosioni della mucosa nel 50%

dei soggetti, mentre si verifica un minimo danno in animali che abbiano ricevuto

la stessa dose sottoforma di preparazioni tamponate o gastro-resistenti (Lipowitz

& coll, 1986).

CARPROFENE

Il carprofene è una miscela racemica degli enantiomeri R (-) e S (+) in rapporto

1:1. L’enantiomero S (+) sembra essere quello con maggiore attività (Lees &

26

coll, 2004b). In Italia è commercializzato come specialità veterinaria per cani e

gatti (Norocarp®; Rimadyl®), indicato nel trattamento dell’infiammazione e del

dolore nelle forme patologiche acute e croniche a carico degli apparati

muscolare e scheletrico (osteoartriti, etc). Può inoltre essere impiegato per la

terapia del dolore post-operatorio grazie alla sua ridotta tossicità renale.

Gatto

Taylor & coll, (1996) hanno suggerito che il carprofene causa una limitata

inibizione COX risolvendo l’aneddoto della sua riconosciuta buona sicurezza e

del susseguente largo uso in medicina veterinaria. Brideau & coll, (2001) hanno

indicato una preferenziale inibizione COX-2 nel sangue di gatto, mentre

Giraudel & coll, (2005) hanno evidenziato che questa selettività si perde con

l’aumentare della dose. Alle posologie consentite in Europa (4 mg/kg) è stata

valutata un’inibizione del 100% della COX-2 e del 44% della COX-1 (Giraudel

& coll, 2005).

Nei paesi dove è approvato come farmaco veterinario (Regno Unito, Francia,

Germania, Olanda, Italia, Belgio, Australia e Nuova Zelanda) questa molecola

viene indicata in casi di dolore post operatorio e somministrata per via

endovenosa e sottocutanea alla dose di 4 mg/kg. Questo farmaco riporta nei gatti

lievi effetti collaterali (comuni a tutti i FANS) ed un’ottima efficacia clinica. Il

carprofene in uno studio condotto su 30 gatti sottoposti ad ovarioisterectomia ha

prodotto una profonda e prolungata analgesia se comparato con la meperidina

(Lascelles & coll, 1995). Altri studi hanno confermato l’ottima analgesia del

carprofene nell’ovarioisterectomia comparandolo a buprenorfina e butorfanolo

(Mollenhoff & coll, 2005; Al-Gizawiy & Rude, 2004). Casi clinici di tossicità

da carprofene sono noti, ma sono generalmente associati a patologie

contemporanee e a somministrazioni prolungate della formulazione orale (Runk

& coll, 1999). Uno studio (Parton & coll, 2000) non ha però mostrato alcun

effetto collaterale a livello GI dopo singola dose di farmaco. Il carprofene non

sembra variare la funzionalità renale dato che i livelli di urea e creatinina non

27

risultano influenzati dalla combinazione di chirurgia, anestesia e posologia

analgesica (Lascelles & coll, 1995). Alcuni autori sottolineano comunque come

la dose che massimizza il margine di sicurezza e si mantiene clinicamente

efficace sia 1-2 mg/kg in dose singola (Lascelles & coll, 2007).

Cane

Il carprofene è un farmaco di prima scelta in questa specie: si tratta di un

inibitore reversibile e selettivo della COX-2 con un buon profilo tossicologico

nel cane, con un’incidenza piuttosto bassa di effetti indesiderati sul tratto GI.

Nel cane mostra un assorbimento orale >90% con un’emivita di circa otto ore.

Sebbene sia in commercio come racemo, l’isomero S è circa 200 volte più

potente del suo enantiomero R. Uno studio sulla valutazione biofarmaceutica di

differenti formulazioni di carprofene (Schmitt & Guentert, 1990), indica dopo

somministrazione iv (100 mg/cane), un T½ 11,7 ore, un volume di distribuzione

compreso tra 0,12-0,22 l/kg ed una clearance di 0,017 l ora/kg. L’assorbimento

orale si è dimostrato più rapido della formulazione rettale, mentre la

biodisponibilità relativa del farmaco somministrato in supposte è risultata più

bassa del 20% rispetto alla soluzione somministrata per via orale. Dopo

somministrazione orale questo farmaco subisce una circolazione enteroepatica

enantioselettiva soltanto per l’enantiomero S (+) (Priymenko & coll, 1998) ed è

quindi importante la preventiva valutazione della funzionalità epatica e del pH

intestinale del paziente per prevenire importati variazioni nella biodisponibilità.

Clark & coll (2003) hanno dimostrato inoltre che la biodisponibilità della

somministrazione orale e sottocutanea sono uguali.

COXIB

Il termine coxib, spesso usato in letteratura, deve essere associato ad una

specifica classe di composti facente parte di una sottoclasse dei FANS come

riportato dall’Organizzazione Mondiale della Sanità e non a tutti i composti con

attività blanda sulla COX-1. Ad eccezione del lumiracoxib, tutti i farmaci con il

28

suffisso COXib portano una struttura triciclica ed un gruppo solfone o

solfonamidico; lumiracoxib ha invece una struttura biciclica. Questa struttura

chimica dona all’intera classe alta specificità d’azione, saturabilità e facile

reversibilità di legame. I COXib, come tutti i FANS, inibiscono la COX-2

apportando un blando effetto sulla COX-1. Frequentemente i termini COX-2

selettivo, COX-2 specifico o COX-2 preferenziale sono usati per descrivere

l’azione di alcuni FANS, ma ciò può trarre in confusione senza fornire il

rapporto di inibizione delle COX. In tutto il mondo, numerosi COXib sono stati

introdotti in medicina umana e numerosi altri sono in fase III di

sperimentazione. Questi composti includono 2 metil solfoni (rofecoxib ed

eterocoxib) ed i 2 solfonamidi (celecoxib e il più nuovo, di seconda generazione,

valdecoxib disponibile in forma iniettabile come parecoxib). Il più nuovo della

classe è però il lumiracoxib che rispetto agli altri COXib riporta un più breve

tempo di emivita e un’affinità maggiore per la COX-2.

Sebbene l’introduzione in medicina veterinaria di farmaci con scarsa influenza

sulla COX-1 abbia dato buoni risultati, non sono ancora stati completamente

eliminati gli effetti collaterali. Ultimamente per esempio, una nuova variante di

COX-1 è stata descritta ed è stata chiamata COX-3. Questo isoenzima è stato

isolato dalla corteccia celebrale di cane ed è inibito da paracetamolo, aspirina,

diclofenac ed ibuprofene. La sua sensibilità a questi farmaci potrebbe

parzialmente spiegare l’efficacia di queste molecole nel controllo della febbre e

del dolore. I futuri sviluppi di nuove classi di FANS selettivi sono adesso rivolte

alla COX-3.

CELECOXIB, ROFECOXIB, VALDECOXIB

Queste molecole sono farmaci COX-2 selettivi approvati per l’uso in medicina

umana. Non esistono preparazioni veterinarie commerciabili in Italia per questi

tre principi attivi. Il rofecoxib è stato ultimamente sospeso dalla

commercializzazione a causa di un sospetto aumento nel rischio di trombosi

cardiovascolare dopo terapie prolungate. Sebbene non approvati per gli animali,

29

la sicurezza di questi farmaci nell’uomo ha portato all’utilizzo off-label in altre

specie attraverso studi di efficacia e sicurezza in animali da compagnia (Moreau

& coll, 2005). Brideau & coll, (2001) saggiando e comparando la selettività di

numerosi FANS aspecifici e COX-2 selettivi in cani, gatti e cavalli concludono

che questa ultima classe di farmaci potrebbe provocare una più bassa incidenza

di effetti collaterali se confrontata con i classici FANS. Ulteriori studi

sperimentali su efficacia, sicurezza e farmacocinetica nelle singole specie si

rendono però necessari prima di intraprendere trattamenti clinici in specie

veterinarie. Ultimamente il parecoxib (Dynastat®) un profarmaco iniettabile del

valdecoxib ha dato ottimi risultati in medicina umana ed è ad i primi trials in

medicina veterinaria. La farmacodinamica in vivo sembra essere ottimale

(Kongara & coll, 2009), la cinetica è ai primi stadi di studio, e la dinamica ex

vivo ed in vitro deve essere ancora testata.

DERACOXIB

Sebbene non esistano ancora preparazioni farmaceutiche per la medicina

veterinaria in Italia,mentre è commercializzato in USA e Canada come

Deramaax®, il deracoxib è una molecola sulla quale negli ultimi anni sono stati

condotti alcuni studi in animali da compagnia (Cox & coll, 2005; Gassel & coll,

2006; Sennello & Leib, 2006). I dati più interessanti sembrano essere quelle sul

tempo di emivita (8,4 ore) nel gatto, risultato di 3 ore più prolungato rispetto a

quello riscontrato nel cane.

FIROCOXIB

Questo farmaco è stato recentemente approvato in Europa (in Italia Previcox®) e

negli USA per il trattamento del dolore derivante da osteoartriti nel cane (5

mg/kg) e nel cavallo (0,1 mg/kg solo USA).

30

Gatto

Molto scarse sono le informazioni in questa specie, sebbene sembri essere un

inibitore altamente COX-2 selettivo nei felini dopo una dose di 2 mg/kg iv o 3

mg/kg os (Lascelles & coll, 2007).

Cane

Concentrazioni plasmatiche di firocoxib mantenute a regimi terapeutici sono

capaci di inibire la COX-2 con uno scarso impatto sulla COX-1 (McCann &

coll, 2005). La selettività COX-2 registrata risulta di 350/430 volte rispetto alla

COX-1. In studi clinici il firocoxib è risultato nel cane altamente efficace per il

controllo del dolore e dell’infiammazione associati con osteoartriti (Hanson &

coll, 2006; Pollmeier & coll, 2006; Ryan & coll, 2006). Inoltre lo zoppicamento

in cani con sinoviti sperimentalmente indotte trattati con firocoxib si è rilevato

minore rispetto al gruppo trattato con carprofene (McCann & coll, 2004). Studi

preliminari (28 giorni di trattamento) sulla tossicità GI del farmaco hanno dato

esito negativo; terapie più prolungate potrebbero comunque comportare il

verificarsi di ulcere duodenali (Steagall & coll, 2007). Ulteriori studi su terapie

prolungate con firocoxib non hanno mostrato nessun effetto collaterale a livello

GI, e dei parametri biochimici sierici od ematologici, suggerendo che il

dosaggio di 5 mg/kg per un mese nel cane sembra essere ben tollerato

(Mantovani & coll, 2007).

ROBENACOXIB

COX-2 selettivo (Onsior®) di ultima generazione. Indicato per il trattamento del

dolore e dell'infiammazione associati a chirurgia ortopedica o dei tessuti molli

nei cani e gatti.

Gatto

I dosaggi testati in questa specie attraverso il PK/PD modelling sono variati da

0,1 fino a 10 mg/kg (Giraudel & coll, 2009a). La concentrazione massima e stata

31

rilevata tra 1 e 1,5 ore. Il rapporto COX-1/COX-2 è molto selettivo (32)

(Schmid & coll, 2010). La dose clinica è di 1 mg kg con un limite a 2,4 mg/kg.

Cane

Un intervallo di dosaggio da 0,25 a 4 mg/kg ha permesso una riduzione del

dolore e dell’infiammazione primaria e secondaria (Schmid & coll, 2010). Il

rapporto COX-1/COX-2 è molto selettivo (19,8) (King & coll, 2010). Dopo

somministrazione SC la Cmax è rilevata ad 1 ora e le concentrazioni

plasmatiche rimangono sopra il limite di determinazione del metodo fino

all’ottava ora (Jung & coll, 2009). La dose clinica varia da 1-2 mg/kg al giorno.

FLUNIXINA MEGLUMINA

Derivato dell’acido nicotinico con forte effetto analgesico, utilizzato per

alleviare dolori altrimenti riducibili soltanto con oppiacei. Particolarmente

indicato nei dolori viscerali acuti associati a sindromi coliche. Viene inoltre

indicato in processi infiammatori in cui esiste una contro indicazione alla terapia

con i corticosteroidi. In Italia sono commercializzate diverse formulazioni iv ed

im specifiche per bovini, equini e suini (Alivios®, Finadyne®, Flogend®,

Flunamine®, Flunifen®, Flunixin®, Meflosyl®, Niglumine®).

Gatto

Questa molecola è ben assorbita dal tratto GI dei gatti e sottostà al fenomeno

della circolazione enteroepatica con conseguente biodisponibilità >100%

(McKellar & coll, 1991; Taylor & coll, 1994). Il tempo di emivita è risultato di

1-1,5 ore (con limite di determinazione di 0,25 µg/ml) e di 6,6 ore (con limite di

determinazione di 0,046 µg/ml). Il tempo di emivita potrebbe essere ridotto

bloccando il ricircolo enteroepatico. In studi sulla tossicità epatica è stato

evidenziato un incremento dell’alanina aminotransferasi (ALT) da 11,4 a 21,3

UI/l, suggerendo una possibile tossicità epatica causata da somministrazioni

croniche (Lascelles & coll, 2007).

32

Cane

Dopo somministrazione iv di 1,1 mg/kg in cani sani, l’emivita del farmaco è

risultata di 3,67 ore, la sua clearance di 0,064 l/h/kg ed il volume di

distribuzione di 0,18 l/kg (Hardie & coll, 1985). La flunixina sembra modulare

lo shock settico nel cane, infatti, dosi di 1,1 mg/kg bloccano la produzione di

prostaglandine I2 mentre dosi di 2,2 mg/kg aumentano il tempo di sopravvivenza

di cani in preda a shock settico (Hardie & coll, 1985). La tossicità, di solito a

carico del tubo GI, limita l’uso di questo farmaco nel cane a 2-3 giorni. Dosi

prolungate o 3-5 volte superiori a quelle consigliate determinano con certezza

disturbi GI (Luna & coll, 2007).

KETOPROFENE

Il ketoprofene è una molecola chirale avente due forme speculari enantiomeriche

R (-) e S (+) con farmacocinetiche diverse. Poiché è un potente inibitore delle

ciclossigenasi, ha forti proprietà antinfiammatorie, analgesiche ed antipiretiche.

Anche se non definitivamente certo l’efficacia ketoprofene è anche attribuita alla

sua abilità di inibire le lipossigenasi e la conseguente formazione di leucotrieni;

sembra anche possedere un’importante azione antagonista sulla bradichinina

(Williams & Upton, 1988). Il farmaco è commercializzato in Italia come

specialità per cani, gatti, equini, suini e bovini in compresse da 5, 10 e 20 mg in

soluzioni intramuscolo o sottocutanee (1 e 10%) (Findol®, Vet-Ketofen®).

Gatto

Utilizzato nel trattamento degli stati infiammatori e dolorosi del gatto con

particolare rilevanza in artriti, traumi lussazioni, distorsioni, ernie del disco ed

edemi. Particolarmente indicato anche nel trattamento degli stati febbrili. In gatti

con piressia 39,3°C il ketoprofene più antibiotici ha mostrato un migliore

recupero che in gatti somministrati solo con antibiotici (Glew & coll, 1996). In

uno studio su gatti ovarioisterectomizzati, la riduzione del dolore si è rilevata

sovrapponibile a quella riscontrata dopo 4-8 ore da trattamento con oppioidi

33

come meperidina e buprenorfina (Slingsby, 1997). Altri studi condotti sempre su

gatti ovarioisterectomizzati, hanno dimostrato invece la maggiore efficacia del

ketoprofene rispetto agli oppiacei (Slingsby & Waterman-Pearson, 1998; 2000).

Due casi di insufficienza renale sono stati riportati nel gatto ma dopo

somministrazioni 15 volte superiori a quelle normalmente utilizzate (Pages,

2005). Da una valutazione critica dei dati presenti in letteratura fino al 2007, i

dosaggi raccomandati sono 1 mg/ml (os o sc) per un massimo di 5 giorni o 2

mg/kg in singola somministrazione (Lascelles & coll, 2007).

Cane

Rapidamente assorbito nel tratto GI riporta delle cinetiche simili dopo

somministrazione orale od intramuscolare, sebbene il dosaggio im dia una Cmax

più elevata (Schmitt & Guentert, 1990). È stato inoltre evidenziato che la

presenza di cibo nello stomaco non ne influenza la biodisponibilità.

Analogamente ad altri FANS questa molecola si lega per il 99% alle proteine

plasmatiche; bisogna quindi avere cura di prevenire politerapie con farmaci che

possono spiazzare il ketoprofene dalle proteine plasmatiche aumentandone

drasticamente la biodisponibilità. La sua metabolizzazione avviene per via

epatica con trasformazione in metaboliti inattivi e l’eliminazione per via urinaria

sottoforma di coniugato glucuronato. Ultimamente in questa specie è stata anche

riportata una possibile circolazione enteroepatica dovuta a fenomeni di picchi

plasmatici multipli a seguito di somministrazioni sia orali che iv (Granero &

Amidon, 2008). Studi sulla tossicità del ketoprofene in cani riportano che

somministrazioni multiple di dosi ridotte (0,25mg/kg) hanno rilevato danni da

leggeri a moderati sull’apparato GI, mentre non si sono verificati effetti sulle

funzioni renali ed omeostatica (Narita & coll, 2006).

MELOXICAM

Questo principio attivo è largamente biodisponibile dopo somministrazione

sottocutanea in numerose specie animali. La sua attività sembra essere rivolta

34

soprattutto a produrre un’inibizione maggiore della COX-2 rispetto alla COX-1

(Lees & coll, 2004a). In Italia è registrato come specialità per cani, gatti, equini,

bovini e suini (Metacam®) nell’attenuazione dell’infiammazione e del dolore nei

disturbi muscoloscheletrici sia acuti che cronici.

Gatto

La terapia nei gatti con questo farmaco viene di norma adottata come singola,

prevalentemente prima di interventi chirurgici. L’efficacia antipiretica del

meloxicam nel gatto è stata valutata come dose dipendente attraverso uno studio

sperimentale su modelli felini in dosi multiple iv (0,1 - 0,3 - 0,5 per 5 giorni). La

dose iv efficace è stata stimata come 0,3 mg/kg (Justus & Quirke, 1995). In un

altro studio dosi superiori di farmaco (4 mg/kg) sono state somministrate a gatti

anestetizzati, inducendo blandi effetti sulla pressione arteriosa e nessun effetto

sul flusso ematico, velocità cardiaca, tracciato ECG e volume respiratorio

(Engelhardt & coll, 1996). Valutazioni sull’efficacia clinica del meloxicam in

gatti con disordini locomotori dovuti al dolore (dose di attacco 0,3 mg/kg

seguita da 4 giorni a 0,1 mg/kg) hanno mostrato che non esiste una differenza

significativa se confrontati con dosaggi di ketoprofene ad 1 mg/kg per 5 giorni

consecutivi. Entrambi sono stati ben tollerati dagli animali evidenziando bassi

effetti collaterali. Il meloxicam ha mostrato una compliance maggiore grazie alla

sua migliore palatabilità (Lascelles & coll, 2001). Invece studi di confronto con

oppioidi (butorfanolo) hanno mostrato un’efficacia maggiore del FANS rispetto

al derivato oppioide, sebbene gli effetti collaterali si siano dimostrati

apparentemente sovrapponibili (Carroll & coll, 2005). Dato che non esistono

dati sulla tossicità indotta da trattamenti prolungati con meloxicam sarebbe

necessario non somministrare cronicamente questo farmaco. In studi

tossicologici in dose singola le BUN risultano diminuite, mentre le aspartato

aminotransferasi aumentate, lasciando inalterate la creatina e le ALT (Slingsby

& Waterman-Pearson, 2002). Alcuni autori dopo valutazione critica dei dati

presenti in letteratura raccomandano dosi di 0,1-0,2 mg/kg os o sc per il dolore

35

post operatorio seguita da dosaggi giornalieri di 0,05 mg/kg per 1-4 giorni;

ridurre poi la dose a 0,025 mg/kg ogni 24-48 ore e monitorare strettamente

l’animale per eventuali effetti collaterali (Lascelles & coll, 2007).

Cane

Questo farmaco in cani sani mostra una cinetica molto lunga con concentrazioni

plasmatiche determinabili fino a 70 ore dopo il dosaggio; Tmax 8,5 ore, Cmax

0,82 µg/ml e T1/2 12-13 ore (Montoya & coll, 2004). Studi sull’efficacia del

meloxicam nell’attenuazione del dolore derivante da chirurgia ortopedica

dimostrano che questo farmaco è sicuro ed efficace se somministrato iv in dose

singola (0,2 mg/kg) prima dell’intervento (Deneuche & coll, 2004). Altri studi

attestano che l’efficacia clinica e gli effetti collaterali di singoli dosaggi di

meloxicam (0,2 mg/kg) sono uguali a quelli riscontrati con trattamento di

carprofene (4 mg/kg) (Arculus, 2004).

Recenti studi sulla permeabilità GI e sulla capacità assorbente della mucosa di

cane dimostrano che il meloxicam somministrato a dosi terapeutiche per 7 giorni

non influenza significativamente questi parametri (Craven & coll, 2007).

Viceversa un altro studio in cui viene sviluppato un trattamento fino a 90 giorni

con dosi di 0,1 mg/kg riporta una lieve frequenza di effetti GI, un incremento nel

tempo di sanguinamento e di coagulazione dopo 7 giorni (Luna & coll, 2007).

Un recente studio riporta inoltre reazioni cutanee ed oculari associate a

somministrazioni di meloxicam in un cane (Niza & coll, 2007). E’ quindi buona

norma monitorare strettamente eventuali effetti collaterali in cani con pregresse

patologie cutanee allergiche o cani trattati per alleviare il dolore cronico.

FENILBUTAZONE

Questa sostanza è commercializzata in Italia sottoforma di formulazione iv, im,

gel, granuli, polvere e pasta per cavalli (Bute®, Afibutazone®, Fenilbutazone®).

Indicato in soggetti sportivi per tutti i processi dolorifici ed infiammatori, dovuti

a traumi e accompagnati da tumefazioni. Il prodotto non deve essere

36

somministrato a cavalli allevati a scopo alimentare. In ogni caso i cavalli

sportivi potranno essere destinati all’alimentazione umana dopo 180 giorni

dall’ultima somministrazione.

Gatto

Sebbene non registrato per questa specie, questa molecola è stata utilizzata nei

gatti, ma un’alta incidenza di effetti tossici ne suggerisce un’estrema

precauzione nel suo impiego. Secondo alcuni studi il 100% di gatti trattati con

dose giornaliera di 44 mg/kg diviene anoressico dopo 2-3 giorni e l’80% di essi

muore dopo 2-3 settimane. La tossicità si manifesta primariamente a carico del

midollo osseo ed è caratterizzata da una ridotta produzione di eritroblasti oltre

che da una possibile interferenza sulla maturazione degli elementi della serie

mieloide. Si rilevano anche tossicità GI, epatotossicità e nefrotossicità (Carlisle

& coll, 1968).

Cane

Nonostante l’uso del fenilbutazone sia autorizzato da parte del FDA con

formulazioni orali nel cane, poche sono le informazioni che si hanno su tale uso.

Apparentemente il cane tollera meglio dell’uomo questo farmaco. Il

fenilbutazone riporta un breve tempo di emivita 3-6 ore (Zech & coll, 1993).

Questo farmaco viene spesso utilizzato illegalmente per ridurre i dolori articolari

in cani sportivi (Mills & coll, 1995).

PIROXICAM

Questa molecola è utilizzata in Italia (Flogostil® collirio) in cani e gatti affetti da

stati infiammatori oculari, reazioni flogistiche post-traumatiche,

cheratocongiuntiviti di natura allergica o da agenti chimici o fisici e

mantenimento della midriasi intra-operatoria. Negli ultimi anni questo farmaco

viene utilizzato in associazione con antitumorali per la sua possibile azione

antiangiogenetica, apportando una riduzione nei dosaggi dei chemioterapici

(terapia metronomica).

37

Gatto

Il piroxicam è ben assorbito per via orale nel gatto (80%) e sembra essere ben

tollerato alla dose di 0,3 mg/kg. La sua emivita di 13 ore fa presupporre una

singola somministrazione giornaliera e sembra dovuta ad una circolazione

enteroepatica.

Cane

Se somministrato alla dose di 0,3 mg/kg a cani beagle riporta un’emivita di 40

ore, un volume di distribuzione di 0,29 l/kg, ed una clearance di 0,0066 l/ora. La

sua biodisponibilità orale si attesta intorno al 100% con una Cmax di circa 3 ore

(Galbraith & McKellar, 1991). Sebbene la DL50 nel cane sia superiore a 700

mg/kg, in soggetti trattati con 1 mg/kg al giorno possono verificarsi lesioni

gastriche e necrosi delle papille renali; lievi fenomeni di tossicità (GI od

emorragie) possono verificarsi anche a seguito di dosi di 0,3 mg/kg a giorni

alterni (Knapp & coll, 1992).

TEPOXALIN

Molecola classificata come inibitore sia della COX-1 e COX-2 che della 5

lipoosigenasi. E’ indicato in Italia nel cane (Zubrin®) per la riduzione

dell’infiammazione o sollievo del dolore associati a patologie muscolo

scheletriche acute o croniche.

Gatto

Farmaco non approvato per l’uso nel gatto; non esistono informazioni sulla sua

efficacia, sulla sicurezza o tossicità in questa specie (Lascelles & coll, 2007).

Cane

Il tepoxalin viene assorbito rapidamente (Tmax di circa 2 ore) dopo

somministrazione orale nel cane. Alla dose terapeutica di 10 mg/kg, la Cmax di

tepoxalin è 1,08 µg/ml nei cani a stomaco pieno, dopo un pasto a basso

38

contenuto lipidico, 1,19 µg/ml nei cani a stomaco pieno, dopo un pasto ad

elevato contenuto lipidico e 0,58 µg/ml a digiuno. L’assorbimento di tepoxalin è

quindi facilitato durante la somministrazione a stomaco pieno (Homer & coll,

2005). Tepoxalin viene in larga parte convertito nel suo metabolita acido potente

inibitore della ciclossigenasi prolungando l’attività del composto immodificato.

Nel cane, le concentrazioni plasmatiche del metabolita acido sono più elevate di

quelle del farmaco immodificato. Non si rileva accumulo di tepoxalin o del suo

metabolita acido dopo somministrazione ripetuta, a diversi dosaggi. Tepoxalin

ed i suoi metaboliti sono fortemente legati alle proteine plasmatiche, in misura

superiore al 98%. Tepoxalin ed i suoi metaboliti sono escreti nelle feci (99%)

(Agnello & coll, 2005). La sua somministrazione in singola dose o per dieci

giorni prima dell’intervento chirurgico non sembra influenzare il tempo richiesto

per indurre l’anestesia nel paziente (Matthews & coll, 2007).

In seguito del trattamento può manifestarsi vomito o diarrea. Occasionalmente

può comparire anche eritema e alopecia, ed i tipici effetti indesiderati associati

ai FANS quali vomito, feci molli/diarrea, sangue nelle feci, ridotto appetito e

letargia. Alla comparsa di tali effetti indesiderati, il trattamento dovrebbe essere

interrotto immediatamente. In rari casi, in particolare in cani anziani o con

ipersensibilità al principio attivo, questi effetti indesiderati possono essere gravi

o fatali. Nel corso di uno studio clinico, l’incidenza di reazioni gastrointestinali

(diarrea/vomito) è stata del 10% (Knight & coll, 1996). Il tepoxalin non deve

essere somministrato in associazione ad altri farmaci antiinfiammatori non

steroidei o corticosteroidi. Altri FANS, diuretici, anticoagulanti o altri farmaci

che possiedono un forte legame con le proteine plasmatiche possono competere

per tale legame, causando effetti potenzialmente tossici. La somministrazione

orale di 30 mg/kg di p.c. ed oltre di tepoxalin (sovradosaggio) è associata a feci

scolorite, di colore variabile da bianco a giallo, risultato del farmaco non

assorbito. Il sovradosaggio da FANS è caratterizzato da: vomito, feci

soffici/diarrea, presenza di sangue nelle feci, riduzione dell’appetito e letargia.

In caso di sovradosaggio sospendere la terapia. Se si sospetta sanguinamento

39

gastrointestinale, somministrare protettori della mucosa gastrica. Se il vomito

continua, somministrare farmaci anti-emetici. Controllare frequentemente

l’ematocrito. Somministrare fluidi per via endovenosa e, se necessario,

trasfondere sangue intero.

ACIDO TOLFENAMICO

L'acido tolfenamico (acido N- (2-metil-3-clorofenil) antranilico) è un farmaco

antinfiammatorio non steroideo (FANS) appartenente al gruppo dei fenamati.

L'acido tolfenamico esercita un'attività antinfiammatoria, analgesica ed

antipiretica. L'attività antinfiammatoria dell'acido tolfenamico è dovuta

principalmente ad un’inibizione della ciclossigenasi e, conseguentemente, ad

una riduzione della sintesi di prostaglandine e trombossani, che sono importanti

mediatori del processo infiammatorio. Viene venduta in Italia come specialità

per cani e gatti e per suini e bovini (Tolfedine®). La possibilità di una sua

eventuale selettività COX-1/COX-2 sembra essere legata alla specie animale.

Gatto

Nel gatto, l'assorbimento dell'acido tolfenamico è molto rapido, sia in seguito

alla somministrazione parenterale che orale. Dopo la somministrazione

parenterale di 4 mg/kg di acido tolfenamico la Cmax di 3,9 µg/ml viene

raggiunta in circa 1ora (Tmax), mentre la somministrazione della stessa dose

singola per os, dà luogo, dopo circa 1 ora (Tmax) dalla somministrazione, a

concentrazione massima pari a 5,6 µg/ml. L’efficacia del farmaco in questa

specie è stata poco studiata: esiste un solo studio in cui l’acido tolfenamico

sembra avere la stessa efficacia di altri FANS quali caprofen, ketoprofen e

meloxicam (Slingsby & Waterman-Pearson, 2000).

Cane

Nel cane, l'acido tolfenamico risulta rapidamente assorbito qualunque sia la via

di somministrazione. Dopo somministrazione di 4 mg/kg di acido tolfenamico

40

per via parenterale (sottocutanea o intramuscolare), la massima concentrazione

plasmatica (Cmax) di circa 4 µg/ml (sc) e 3 µg/ml (im), viene raggiunta in 2 ore,

mentre dopo somministrazione orale unica della stessa dose, la concentrazione

massima plasmatica (Cmax) di 4 µg/ml è raggiunta in circa 1 ora. Quando la

stessa dose di acido tolfenamico viene somministrata durante il pasto, Cmax è

dell'ordine di 2-3 µg/ml. Queste variazioni sono da imputare ad un rilevante

circolo enteroepatico della molecola in oggetto.

VEDAPROFENE

Sostanza attiva nella riduzione dell’infiammazione ed alleviamento del dolore

associati ad affezioni muscolo scheletriche ed a traumi. In Italia

commercializzata come specialità per cani (Quadrisol®).

Gatto

Esiste un solo studio dell’efficacia del vedaprofene in gatti somministrato alla

dose di 0,5 mg/kg a seguito di ovarioisterectomia (Hoorspool & coll, 2001). Gli

autori indicano che i gatti trattati con il farmaco (n=142) hanno riacquistato un

comportamento ed appetito normale più velocemente di quelli trattati con il

placebo (n=160). L’incidenza di effetti a livello GI non è stata

significativamente differente tra i due gruppi attestandosi sul 5-7%. Non

esistono dati pubblicati riguardo a sicurezza e tossicità del vedaprofene nel gatto

e nessuna dose od intervallo di dosaggio è stato stabilito. in seguito di ciò, l’uso

di questo farmaco non può essere ancora esteso alla razza felina.

Cane

Formulazione gel per somministrazione orale per il controllo

dell’infiammazione e la riduzione del dolore. Presenta un’elevata

biodisponibilità orale ed un elevatissimo legame con le proteine plasmatiche

(solo 0,01% sembra rimanere libero) che ne determina una cinetica molto

prolungata con tempo di emivita tra le 12-17 ore (Hoeijmakers & coll, 2005).

41

Studi di somministrazioni ripetute per 14 giorni indicano che non c’è accumulo

di farmaco somministrandolo una volta al giorno alle dosi terapeutiche

(Hoeijmakers & coll, 2005). In un recente studio sulla valutazione del controllo

del dolore nelle laminiti nel cane il vadeprofene sembra avere la stessa efficacia

del firocoxib, ma superiore al carprofene (Hazewinkel & coll, 2008).

42

OPPIOIDI

Gli oppioidi sono dei peptidi naturali, di sintesi o semisintetici che hanno effetti

morfino-simile. I farmaci oppiacei esplicano i loro effetti, legandosi ai recettori

specifici presenti in tutto il sistema nervoso centrale e periferico.

I recettori oppioidi sono parte integrante delle vie nervose discendenti che

modulano la trasmissione dello stimolo dolorifico nel midollo spinale e nel

sistema nervoso centrale (SNC).

La stimolazione di zone specifiche della corteccia, del talamo e del tronco

cerebrale, provoca la liberazione degli oppioidi endogeni nei siti presinaptici del

neurone nocicettivo primario nel midollo spinale. Il legame tra gli oppioidi e i

loro specifici recettori impedisce la liberazione dei neurotrasmettitori eccitatori

(sostanza P e glutammato) dai terminali afferenti presinaptici.

Sono stati identificati dei recettori specifici per gli oppioidi nel cervello, nel

midollo spinale, nelle strutture del sistema nervoso autonomo (SNA), nel plesso

mesenterico del tratto gastro-intestinale, nel rene, nei vasi deferenti, nel

pancreas, negli adipociti, nei linfociti, nel surrene, ecc. A tali recettori si legano

in modo più o meno profondo gli oppioidi endogeni, rappresentati da quattro

famiglie:

Le β-endorfine, le encefaline, le dinorfine e le endomorfine.

Le β-endorfine si trovano in alte concentrazioni nell’ipofisi e nelle regioni

mediali, basale ed arcuata dell’ipotalamo. Le β-endorfine si trovano anche al di

fuori del SNC come ad esempio nell’intestino tenue, nella placenta e nel plasma.

Le encefaline sono largamente distribuite in aree del SNC che ricevono

afferenze nocicettive come l’amigdala, globo pallido, striato, ipotalamo, tronco

encefalico e lamina I, II e V delle corna ventrali del midollo spinale, inoltre, le

43

encefaline sono presenti anche nel sistema nervoso periferico come nei gangli

periferici, nel SNA e nella midollare del surrene.

Le dinorfine sembrerebbero distribuite lungo altre aree del SNC che sono

implicate nella nocicezione: PAG, sistema limbico, talamo e lamina I e V delle

corna ventrali del midollo spinale.

Le endomorfine si trovano negli strati superficiali delle corna dorsali del

midollo spinale, nel nucleo spinale del trigemino, nel nucleo ambiguo, nei nuclei

talamici, nell’ipotalamo, nell’amigdala.

I recettori specifici per gli oppioidi sono: i recettori mu (µ), recettori kappa

(κ), recettori delta (δ), e i recettori sigma (σ), sono stati ipotizzati alcuni

sottotipi recettoriali.

Ai recettori mu, di cui ne sono stati identificati due sottotipi, si legano di

preferenza le β-endorfine, sono numerosi nelle aree dell’elaborazione centrale

nocicettive ne sono stati identificati due sottotipi e sembra che mediano

l’analgesia sopraspinale e spinale, l’euforia, la depressione respiratoria, la miosi,

la bradicardia, l’ipotermia e la dipendenza fisica.

I recettori delta a cui si legano le encefaline, producono: eccitazione,

ipercinesia, euforia e allucinazione, analgesia periferica, depressione

respiratoria, midriasi, mediano e potenziano l’analgesia provocata dagli agonisti

µ che sembra quello implicato nella mediazione del recettore. I recettori kappa

a cui si legano prevalentemente le dinorfine risultano coinvolti nell’analgesia

spinale e sovraspinale, nella miosi, modesto stato di sedazione, disforia, un certo

grado di depressione respiratoria e di effetti stimolanti vasomotori.

I recettori sigma non sembrano essere strettamente correlati con l’analgesia

(Della Rocca, 2009).

I recettori µ e δ si possono trovare sulle stesse cellule, mentre i recettori κ non

possono coesistere con nessun altro recettore.

44

La stimolazione dei recettori µ, κ e δ inibiscono l’attività dell’adenil ciclasi, con

conseguente diminuzione dell’AMPc.

I recettori κ e δ svolgono le loro attività anche con l’aumento della conduttanza

al K+ e la riduzione dell’ingresso di Ca++ nella cellula, azioni responsabili della

loro marcata inibizione sulla trasmissione nervosa, inibiscono la liberazione

presinaptica di neurotrasmettitori.

Gli oppioidi endogeni possiedono una discreta capacità di legame e sono stati

identificati come i ligandi fisiologici di questi recettori.

Gli oppioidi endogeni variano non solo per la loro affinità nei confronti dei

recettori, ma anche per la loro efficacia.

FARMACOLOGIA DEGLI OPPIOIDI

Grazie alla loro efficacia, buon margine di sicurezza e adattabilità, gli oppioidi

sono i farmaci di prima scelta nella cura del dolore acuto e cronico in molte

specie animali e nell’uomo.

Gli oppioidi di sintesi possono agire come agonisti nei confronti di alcuni tipi

recettoriali e come antagonisti o agonisti parziali nel confronto di altri.

Alcune molecole come il butorfanolo possono essere classificate come agoniste-

antagoniste riportando un effetto massimale (detto anche effetto tetto o soffitto),

altre come brupenorfina si comportano come agonisti parziali ed altri come

antagonisti, questo comportamento degli oppioidi può giustificare il complicato

quadro farmacologico che deriva dalla loro somministrazione. E pertanto gli

oppioidi possono essere classificati in tre principali classi:

1) agonisti puri: questo gruppo include i farmaci morfino-simili, in grado di

legarsi prevalentemente ai recettori µ, anche se mostrano una certa affinità

anche ai recettori κ e δ.

45

I farmaci appartenenti a questo gruppo sono: morfina, meperidina, fentanil,

ossimorfone, etorfina, carfentanil, codeina, e metadone.

2) agonisti parziali e agonisti – antagonisti: a questa categoria appartengono i

farmaci che mostrano azioni miste, cioè comportandosi come agonisti nei

confronti di certi tipi di recettori e come antagonisti nei confronti di altri, oppure

rivelano solo una debole e limitata attività agonista.

I farmaci agonisti – antagonisti come ad esempio la pentazocina, la nalorfina e

la nalbufina agiscono come agonisti nei confronti dei recettori κ e come

antagonisti quando si legano ai recettori µ.

Il butorfanolo si comporta da agonista verso i recettori κ e δ e come antagonista

nei confronti del recettore µ.

La buprenorfina è un agonista parziale nei confronti dei recettori µ, e come

antagonista nei confronti dei recettori κ.

3) Gli antagonisti vengono definiti come quegli oppiacei che occupano il

recettore ma non attivano la trasduzione del segnale, cioè non provocano alcun

effetto, ma in realtà è più coretto considerarli come agonisti molto deboli,

perché possono manifestare effetti a dosaggi altissimi.

Gli oppiacei appartenenti a questa categoria sono: il naloxone, il naltrexone e la

diprenorfina, la cui azione è rivolta soprattutto verso i recettori µ e in maniera

assai limitata verso i recettori δ e κ (Della Rocca 2009).

AZIONE FARMACOLOGICA :

I principali effetti sono rivolti verso il SNC e al tratto gastro – intestinale, anche

se numerosi altri effetti di minore rilievo possono riguardare molti altri organi.

Generalmente la morfina viene considerata come la molecola rappresentativa

poiché gli effetti da essa provocati a carico dei diversi sistemi ed apparati, sono

riprodotti anche dagli altri farmaci del gruppo.

46

EFFETTI ANALGESICI

Gli effetti analgesici degli oppioidi possono essere spiegati per la loro

interazione con i recettori oppioidi che sono localizzati su afferenze primarie

posti sui tessuti periferici dolenti, su neuroni nocicettivi del midollo spinale ed a

livello talamico (vie ascendenti), nonché su neuroni del mesencefalo (PAG) e

del bulbo (vie discendenti) tutti implicati nella modulazione del dolore, anche

altri recettori oppioidi sono posti in altre strutture del sistema nervoso possono

essere coinvolti nel modificare la reattività al dolore come nelle strutture

limbiche, nell’ipotalamo, nella corteccia cerebrale, etc...

La loro azione si spiega dall’inibizione della trasmissione degli impulsi

nocicettivi attraverso le corna dorsali del midollo spinale e nella soppressione

dei riflessi nocicettivi spinali, ma anche dall’attivazione di vie inibitorie

discendenti che sfruttano i sistemi di neurotasduzione serotoninici e

noradrenalinici.

L’azione sopraspinale presumibilmente è svolta a livello del sistema limbico,

potrebbe essere il responsabile della riduzione della componente affettiva del

dolore.

EFFETTI SEDATIVI ED ECCITATORI

In tante specie animale, gli oppioidi, causando un’azione depressiva a carico

della corteccia cerebrale, determinando effetti sedativi che all’aumentare della

dose, si traduce in perdita della coscienza (cane, scimmia, uccelli, conigli, etc).

In altri, soprattutto nel gatto e negli animali zootecnici (cavallo, maiale, bovino,

pecora e capra), dopo la somministrazione degli oppioidi, possono comparire

fenomeni di ipereccitazione spesso dose dipendenti.

EFFETTI SULLA TERMOREGOLAZIONE

La somministrazione degli oppioidi causa variazione della temperatura corporea

a seconda della specie animale:

47

Nel coniglio, cane e scimmia causa ipertermia, mentre nel gatto bovino, cavallo

e capra causa ipotermia.

Questo fenomeno può essere spiegato dal fatto che gli oppioidi stimolano la

liberazione di 5-idrossitriptamina da neuroni serotoninergici dell’ipotalamo, e

quest’ultima stimola i neuroni sensibili al caldo e\o inibisce quelli sensibili al

freddo.

L’attivazione dei neuroni sensibili al caldo stimola la termo-dispersione, mentre

l’inibizione di quelli sensibili al freddo deprime la termoproduzione, entrambe

cooperano a causare l’ipotermia.

EFFETTI SUL SISTEMA RESPIRATORIO

Tutti gli oppioidi, in particolare quelli attivi su i recettori µ e δ, determinano

depressione respiratoria, causata dall’inibizione del centro respiratorio nel bulbo

e nell’encefalo, con conseguente riduzione della frequenza respiratoria e della

risposta alla stimolazione da parte dell’anidride carbonica.

Un sovradosaggio acuto di oppioidi può provocare la morte appunto per la

depressione respiratoria.

EFFETTI SUL SISTEMA CARDIOCIRCOLATORIO

Gli effetti a carico del sistema cardiocircolatorio mediati dagli oppioidi, sono

causati sia da un’azione centrale che periferica.

A livello periferico si osserva una vasodilatazione causata dal rilascio

d’istamina, mentre a livello centrale, sembra che gli agonisti dei recettori µ,

esercitano un effetto inibitorio sui centri che regolano l’attività cardiaca, mentre

gli agonisti dei recettori κ mostrano un effetto stimolante sul centro

cardiocircolatorio.

48

EFFETTI SUL SISTEMA GASTRO-INTESTINALE

Gli oppioidi aumentano il tono muscolare a livello degli sfinteri e riduce la

motilità di molti tratti gastroenterici, determinando un rallentamento dello

svuotamento gastrico e del transito intestinale, molto evidente a livello del

grosso intestino cui segue un eccessivo assorbimento di liquidi dal materiale

fecale che porta alla formazione di feci compatte difficilmente evacuabili.

EFFETTI SULL’APPARATO URINARIO

Gli oppioidi svolgono azione antidiuretica stimolando la secrezione di ADH,

con ritenzione urinaria che consegue all’azione inibitoria sulla muscolatura

liscia vescicale.

EFFETTI SUL RIFLESSO DELLA TOSSE

Questo effetto è alla base per l’impiego di alcuni oppioidi come farmaci

antitussigeni, anche se la loro azione non è ancora conosciuta.

EFFETTI A LIVELLO OCULARE

La stimolazione dei recettori µ e κ situati a livello del nucleo oculomotore, causa

la costrizione pupillare – miosi, tal effetto si riscontra in tutte le specie animali

che sono sottoposte all’azione sedativa degli oppioidi, mentre nelle specie

animale che gli oppioidi esercitano un’azione eccitatoria è più frequente

riscontrare la dilatazione pupillare – midriasi.

EFFETTI SUL VOMITO

Gli oppioidi agiscono, stimolando il centro del vomito chemoreceptor trigger

zone (CTZ), inducendo il vomito. L’oppioide usato a questo scopo è

l’apomorfina.

49

EFFETTI SUL SISTEMA ENDOCRINO

La morfina causa aumento della secrezione di prolattina (PLT) e di ormone

antidiuretico (ADH), mentre diminuisce la secrezione di gonadotropine e ACTH

con conseguente inibizione degli ormoni steroidei gonadici e surrenali.

EFFETTI SUL SISTEMA IMMUNITARIO

Gli oppioidi esercitano effetti immunosoppressivi, con un meccanismo non

ancora del tutto chiarito.

EFFETTI METABOLICI

Gli oppioidi esercitano effetti iper-glicemizzanti, causati dalla mobilizzazione

del glicogeno epatico e tessutale.

TOLLERANZA E DIPENDENZA

La tolleranza agli oppioidi, che si traduce in un aumento della dose necessaria a

produrre un dato effetto, è comune a tutti gli oppioidi e si sviluppa rapidamente

a prescindere dal tipo di recettore implicato dal legame.

La dipendenza dagli oppioidi è un fenomeno di scarsa evenienza negli animali,

poiché raramente sono sottoposti a trattamenti prolungati.

La dipendenza si manifesta con l’improvvisa interruzione del farmaco con la

sindrome da astinenza, alla cui base si è ipotizzato un meccanismo di feed back

che inibisce la sintesi di oppioidi endogeni, quando i recettori sono occupati da

un oppioide esogeno morfino-simile; la sospensione improvvisa può mascherare

la mancanza della sintesi endogena.

FARMACOCINETICA

Gli oppioidi sono ben assorbiti se somministrati per via sottocutanea,

intramuscolare ed endovenosa; alcuni anche per via orale (metadone).

50

Hanno un notevole effetto di primo passaggio epatico. Sono fortemente legati

alle proteine plasmatiche e perciò ben distribuiti. Gli oppioidi attraversano la

placenta e passano nel latte.

Vengono metabolizzati a livello epatico, idrossilati e coniugati con l’acido

glucoronico, molti di essi vengono N-demetilati.

L’eliminazione degli oppioidi è attraverso le urine, mentre, la parte non

coniugata viene eliminata con: bile, saliva, lacrime ed il respiro.

CONTROINDICAZIONI

È sconsigliato l’uso degli oppioidi in animali che manifestano le seguenti

alterazioni: uremia \ tossiemia, convulsioni e shock traumatico.

VALUTAZIONE DELL’EFFICACIA DEGLI OPPIOIDI NEGLI

ANIMALI

Questi farmaci sono ampiamente utilizzati nella pratica clinica nella gestione del

dolore, ma sebbene sembrino efficaci, è molto difficoltoso determinare

scientificamente il dolore nelle specie animali. Non esistono “punteggi” del

dolore validati, e spesso la sua valutazione è basata sulla modificazione del

comportamento. Sono stati usati molti sistemi di punteggio (Robertson, 2005

a,b) ma a causa delle variabilità inter-osservatore e l’uso di differenti sistemi è

difficile paragonare gli studi.

In studi sperimentali, gli oppioidi sono stati valutati usando diversi stimoli

dannosi e misurando i cambiamenti nella soglia allo stimolo doloroso prima e

dopo la somministrazione del farmaco. Sebbene questa sia una misura

antinonocicettiva e questi stimoli non rappresentino il dolore clinico, queste

pratiche sono risultati utili per misurare l’intensità e la durata dell’effetto

prodotto dagli oppioidi e per studiare le differenze cinetiche/dinamiche nelle

diverse vie di somministrazione. I modelli includono stimolazioni termiche

(Dixon & coll, 2002), meccaniche (Dixon & coll, 2007), elettriche (Duke & coll,

51

1994a) e viscerali (Sawyer & Rech, 1987). Un’altra metodica è stata quella di

calcolare la concentrazione minima alveolare (MAC) di un agente anestetico

inalato. Questo è un metodo indiretto che si basa sul fatto che la tecnica

coinvolta nello stimolo doloroso indotto nell’animale anestetizzato provoca una

riduzione nella MAC dopo somministrazione dell’analgesico (Ilkiw & coll,

1997; Ilkiw & coll, 2002; Pypendop & coll, 2006a). La valutazione degli

oppioidi con quest’ultima metodica porta però a dati contrastanti tra cani e gatti

(Ilkiw & coll, 2002).

EFFETTI COLLATERALI

La “credenza” è quella che gli oppioidi causino la così detta “morfino-mania”

soprattutto nella specie felina. Questa paura di provocare eccitazione

nell’animale ha reso riluttanti alcuni medici all’utilizzo degli oppioidi. Alcuni

reports conferiscono, infatti, questo comportamento ma dopo somministrazioni

di dosi estremamente elevate (20 mg/kg) (Joel & Arndts, 1925; Fertziger & coll,

1974). Studi più recenti dimostrano che il comportamento con dosi appropriate

si traduce nel gatto a una lieve euforia con fusa, rotolamento e impastamento

con le zampe anteriori (Robertson & Taylor, 2004). Un’unica eccezione è

segnalata con il butorfanolo che porta a un comportamento disforico (Lascelles

& Robertson, 2004).

Gatto

In alcuni casi dopo somministrazioni di oppioidi, morfina (Clark & Cumby,

1978), meperidina (Booth & Rankin, 1954), alfentanile (Ilkiw & coll, 1997),

idromorfone (Posner & coll, 2007) può verificarsi ipertermia. Gli oppioidi

causano una marcata midriasi in questa specie che può portare i soggetti a

sbattere contro oggetti non visti. E’ consigliato manipolare l’animale con

lentezza ed evitare la luce intensa. Vomito nausea e salivazione sono comuni

con morfina e idrocodone ma rari dopo somministrazioni di butorfanolo,

buprenorfina, meperidina e metadone (Dixon & coll, 2002; Robertson & coll,

52

2003a; Robertson & coll, 2003b). L’incidenza di questi effetti è anche

imputabile alla via di somministrazione; la somministrazione sc di idromorfone,

per esempio, riporta una più alta incidenza che con la via im o iv (Robertson &

coll, 2003b).

Importanti sembrano anche essere gli effetti intestinali: la stasi intestinale

sembra essere dovuta sia al dolore che all’effetto additivo degli oppioidi.

Trattamenti sistemici sembrano essere responsabili di questo effetto e della

perdita dell’appetito (Sparkes & coll, 1996). Preparazioni in cerotti a lento

rilascio sembrerebbero invece non apportare questa sintomatologia.

Cane

A dosi cliniche è stata osservata sedazione, vomito e stasi intestinale. Tutti gli

effetti di sovradosaggi degli oppioidi sono facilmente risolti con il naloxone (la

buprenorfina richiede dosaggi più elevati del naloxone e agisce solo

parzialmente). La morfina può apportare rilascio d’istamina. Bradicardia e

depressione respiratoria potrebbero manifestarsi e per questo che è bene

monitorare i pazienti in cui viene indotta l’anestesia (Wagner, 2002; Perkowski

& Wetmore, 2006)

VIE DI SOMMINISTRAZIONE

ENDOVENOSA, INTRAMUSCOLARE E SOTTOCUTANEA

In ambito ospedaliero sono le tre vie più comunemente utilizzate. Alcuni studi

che paragonano la somministrazione di oppioidi somministrati tramite iniezioni

iv e im, mostrano che la via di somministrazione influenza le variabili

farmacocinetiche (Taylor & coll, 2001).

ORALE

Questa via di somministrazione non ha ricevuto molta attenzione nella pratica

clinica sia per la nota difficoltà di somministrare pillole (soprattutto in gatti),

53

vuoi per l’elevato effetto di primo passaggio che riduce drasticamente le

concentrazioni plasmatiche dei principi attivi.

SISTEMI DI TRASPORTO TRANSDERMALE

Questi sistemi permettono un approccio al dolore interessante grazie alla

minima manipolazione dell’animale e al costante trasporto di farmaco evitando i

picchi plasmatici dovuti a somministrazioni intermittenti in bolo. Nonostante il

loro vasto utilizzo e la promozione delle ditte farmaceutiche, le formulazioni

transdermali sono state supportate scientificamente nel cane negli ultimi anni,

mentre nel gatto esistono ancora pochi studi (Robertson & coll, 2005a).

ASSORBIMENTO TRANSMUCOSALE

A causa dell’uso limitato della via orale per i motivi prima descritti, è stata

studiata la via transmucosale. Alcuni studi indicano che questa via già

largamente utilizzata nell’uomo può essere efficace anche in specie animali

quali cane e gatto, con una biodisponibilità del 100% (buprenorfina) (Robertson

& coll, 2003a; Robertson & coll, 2005b.)

SOMMINISTRAZIONE EPIDURALE

Numerosi oppioidi, morfina, buprenorfina, fentanil, meperidina, tramadolo e

metadone, vengono somministrati attraverso questa via (Duke & coll, 1994a;

Pypendop & coll, 2006a; Tung & Yaksh, 1982; Golder & coll, 1998; Duke &

coll, 1994b; Jones, 2001; Troncy & coll, 2002; Wetmore & Glowaski, 2000). La

morfina è l’oppioide che ha mostrato in cani e gatti, maggiore intensità e durata

d’azione e riduzione di effetti collaterali (Troncy & coll, 2002).

54

FARMACI

BUTORFANOLO

Specialità medicinale veterinaria commercializzata in Italia approvata per il

cavallo (Dolorex®). Di norma è indicato nel trattamento del dolore associato a

torsione, compressione, colica spastica e timpanica e dolore post-parto.

Gatto

Quest’oppioide è un µ antagonista, che produce analgesia attraverso la sua

azione agonista sul recettore κ. Recentemente la sua efficacia analgesica è stata

rivalutata nei cani e nei gatti (Wagner, 1999). Viene di norma usato nei gatti in

Nord America alle dosi di 0,1-0,4 mg/kg (Dohoo & Dohoo, 1996). Questa

molecola esibisce un effetto massimale oltre il quale non produce più nessuna

analgesia (Lascelles & Robertson, 2004). Il butorfanolo è efficace nel dolore

viscerale ma non in quello somatico (Sawyer & Rech, 1987). Sia le esperienze

cliniche che gli studi sperimentali, indicano che il butorfanolo ha una breve

azione (<90 minuti) (Lascelles & Robertson, 2004; Wagner, 1999; Robertson &

coll, 2003a) e richiede numerose dosi per mantenere la sua efficacia. Dati

recenti stabiliscono che la somministrazione im è la più efficace nei gatti

(Johnson & coll, 2007). Quest’oppioide non viene quindi indicato nei

trattamenti di dolore somatico e viscerale, ma potrebbe essere una buona scelta

nel dolore acuto viscerale, ad esempio associato a cistiti od enteriti.

Cane

La via di somministrazione nel cane alla dose di 0,25 mg/kg non sembra

influenzare la farmacocinetica di quest’oppioide (Pfeffer & coll, 1980). Il tempo

di emivita sì e rilevato di 1,60 ore, la clearance di 3,45 l/kg/ora, ed il volume di

distribuzione di 7,96 l/kg. Quest’oppioide è stato approvato nel 1982 come

antitussivo nel cane dalla FDA. In uno studio sul dolore viscerale indotto è stato

55

dimostrato che l’efficacia analgesica di dosaggi da 0,025 a 0,4 mg/kg iv cresce

con la dose somministrata. Una leggera sedazione è stata osservata a tutte le dosi

esaminate mentre non è stato rilevato nessun effetto collaterale rilevante

(Houghton & coll, 1991). Un altro studio sul dolore viscerale ha evidenziato le

stesse caratteristiche viste in precedenza, ma ha inoltre rivelato che il tempo di

permanenza dell’analgesia varia da 23 a 53 minuti. L’unico effetto collaterale

registrato è un aumento nella frequenza cardiaca alla dose di 0,8 mg/kg iv

(Sawyer & coll, 1991).

BUPRENORFINA

Non esistono preparazioni medicinali veterinarie in Italia, mentre esistono

preparazioni europe (Vetanalgesic®).

Gatto

La buprenorfina è l’oppioide più utilizzato nella pratica clinica dei piccoli

animali nel Regno Unito (Lascelles & coll, 1999) dove è commercializzata una

preparazione approvata per il gatto, ma è anche estesamente utilizzato nel resto

dell’Europa, Australia e Sud Africa (Watson & coll, 1996; Joubert, 2001). Nei

gatti quest’oppioide è stato studiato dopo somministrazione im, iv e

transmucosale (Robertson & coll, 2003a; Johnson & coll, 2007; Robertson &

coll, 2005; Robertson & coll, 2003b). Dosi im di 0,01 mg/kg provocano una

lenta analgesia con una durata d’azione variabile tra 4 e 12 ore (Robertson &

coll, 2003a). Alla dose di 0,02 mg/kg dopo somministrazione im la soglia

termica è stata incrementata da 35 minuti a 5 ore (Johnson & coll, 2007).

L’assorbimento transmucosale è stato identificato come completo (100%)

(Robertson & coll, 2005b; Robertson & coll, 2003b). Il pH della bocca dei gatti

tra 8 e 9 potrebbe aumentare l’assorbimento e ciò potrebbe spiegare la

differenza di biodisponibilità mostrata dalle altre specie aventi pH orale neutro

(Robertson & coll, 2005b). Nessuna differenza evidenziata nel raggiungimento

(entro 30 minuti), tempo di picco (90 minuti) e durata dell’analgesia (6 ore)

56

quando 0,02 mg/kg di buprenorfina vengono somministrati per via

transmucosale od im in gatti (Robertson & coll, 2003b). In studi clinici la

buprenorfina ha mostrato produrre una migliore analgesia della morfina in gatti

sottoposti a procedure ortopediche (Stanway & coll, 2002), si è dimostrata

migliore all’ossimorfone in casi di sterilizzazione (Dobbins & coll, 2002) ed ha

assicurato efficacia analgesica più prolungata della meperidina (Slingsby &

Waterman-Pearson, 1998). Quest’oppioide ha raramente causato casi di vomito

o disforia, e non è mai stato associato a casi d’ipertermia (Niedfeldt &

Robertson, 2006). In medicina umana esiste un cerotto trasdermico per il rilascio

della buprenorfina; una volta testato nel gatto, le concentrazioni plasmatiche dei

soggetti si sono rilevate alquanto variabili e nessuna analgesia è stata dimostrata

dopo un trattamento di 4 giorni (Murrell & coll, 2007).

Cane

Quest’oppioide è uno dei pochi oppioidi registrati per l’uso veterinario (cane) in

UK. Esso è un parziale agonista µ e per questo il suo uso è meno controllato

dalla legislazione inglese rispetto agli agonisti puri come la petidina. Questa

molecola è una delle più utilizzate nella pratica clinica analgesica nel Regno

Unito (Capner & coll, 1999). Questo farmaco viene impiegato per

premeditazioni anestetiche o sedazioni in associazione a farmaci sedativi come

l’acepromazina: potenzia l’effetto sedativo (Taylor & Herrtage, 1986) ed

aumenta quello anestetico (Heard & coll, 1986; Webb & O’Brien 1988). Il suo

uso è anche apprezzato nel dolore postoperatorio o per provocare analgesia

efficace dalle 6 alle 12 ore (Brodbelt & coll, 1997; Smith & Kwang-An Yu,

2001). Dato che è un agonista parziale ed ha un effetto “tetto”, non è indicato

nel dolore severo: infatti, in cani dopo toracotomia, la bupivacaina

somministrata per via intrapleurica (1,5 mg/kg) ha fornito una migliore

analgesia della buprenorfina (10 µg/kg) (Conzemius & coll, 1994). Si è inoltre

dimostrato un farmaco di prima scelta nel dolore post operatorio, grazie alla sua

57

lunga durata d’azione e ai suoi scarsi effetti collaterali (Garrett & Chandran,

1990).

FENTANILE

Non esistono preparazioni medicinali veterinarie in Italia.

Gatto

Il fentanile un potente agonista puro µ ad azione breve, è somministrato

clinicamente a velocità d’infusione costante (Lamont, 2002), sebbene non

esistano dati sul suo profilo farmacocinetico dopo questa via di dosaggio nel

gatto. In uno studio specifico sui gatti, dopo somministrazione iv di 10 mg/kg

l’analgesia è comparsa velocemente (< 5 minuti) ed è scomparsa dopo 110

minuti senza presentare fenomeni di salivazione, eccitamento e vomito

(Robertson & coll, 2005b). In questo studio è stata dimostrata la stretta

correlazione tra le concentrazioni plasmatiche del farmaco e l’effetto analgesico,

concludendo che concentrazioni > di 1,07 ng/ml provocano un’analgesia

efficace. Questi dati sono molto simili a quelli riportati per il cane (Robinson &

coll, 1999) e per l’uomo (Gourlay & coll, 1988). Questa concentrazione

potrebbe essere il punto di partenza per formulare una più razionale infusione a

velocità costante e raggiungere validati protocolli d’infusione nel gatto.

Cerotti transdermici al fentanile sono stati usati nel dolore postoperatorio nei

gatti (Gellasch & coll, 2002; Franks & coll, 2000; Glerum & coll, 2001). La

concentrazione plasmatica di fentanile si è dimostrata variabile tra i soggetti

(Gellasch & coll, 2002; Franks & coll, 2000) e in uno studio su 6 gatti la

concentrazione non ha mai raggiunto 1 ng/ml (Lee & coll, 2000). I fattori che

possono influenzare le concentrazioni plasmatiche sono la taglia del cerotto

comparato al peso del gatto, la permeabilità della pelle e la temperatura

corporea. In pazienti critici, l’ipotermia, l’ipovolemia e la diminuita perfusione

capillare possono diminuire l’assorbimento. In gatti normotermici si sono

rilevati livelli plasmatici maggiori (1,83 ng/ml) paragonati a gatti ipotermici

58

(0,59 ng/ml) (Pettifer & Hosgood, 2003). L’uso di farmaci in formulazioni

trasdermiche è divenuto molto popolare in medicina veterinaria, sebbene

manchino studi scientifici mirati (Marks & Taboada, 2003). Il fentanile in

formulazione di organogel non è stato assorbito attraverso la pelle rasata del

collo dei gatti alla dose di 30 mg/kg, quindi queste formulazioni non possono

essere raccomandate (Robertson & coll, 2005a).

Cane

Nel cane il fentanile presenta una rapida eliminazione e per mantenere

concentrazioni plasmatiche efficaci è di norma richiesta un’infusione lenta: 0,3-

0,7 µg/kg/minuto sembrano le dosi efficaci, ma uno studio recente mostra che

anche dosi più basse (0,15 µg/kg/minuto dopo un bolo di 10 µg/kg) possono

apportare concentrazioni plasmatiche risultate efficaci in altre specie (Sano &

coll, 2006). Negli ultimi anni hanno preso piede i cerotti transdermici che hanno

dimostrato una buona efficacia (Kyles & coll, 1996), sebbene si sia rilevata una

durata dell’effetto analgesico più breve che non nell’uomo. In cani sottoposti a

ovarioisterectomia (Kyles & coll, 1998) l’efficacia analgesica apportata da

cerotti di fentanile è stata la stessa di quella prodotta dall’ossimorfone, ma

apportando una minore sedazione. In altri casi in cui venivano reclutati cani

sottoposti ad interventi chirurgici maggiori (Robinson & coll, 1999) i cerotti di

fentanile si sono mostrati efficaci come la morfina somministrata per via

epidurale.

IDROMORFONE

Non esistono preparazioni medicinali veterinarie in Italia.

Gatto

L’idromorfone è divenuto molto popolare in medicina veterinaria grazie alla sua

economicità e viene indicato in questa specie in dosi di utilizzo tra 0,05-0,2

mg/kg (Pettifer & Dyson, 2000). La relazione tra dose e risposta analgesica è

59

stata studiata nei gatti dopo dosaggio iv: a dosi tra 0,025 e 0,05 mg/kg c’è una

leggera analgesia di breve durata (Wegner & Robertson, 2007), a dosi di 0,1

mg/kg c’è un significativo incremento nell’analgesia fino a 7 ore (Wegner &

Robertson, 2007; Wegner & coll, 2004). La via di somministrazione ha un

considerevole effetto sulla qualità e durata dell’analgesia e degli effetti

indesiderati. La via iv sembra quella che a parità di dose produce analgesia di

maggiore intensità e durata e minori effetti avversi (Robertson & coll, 2003b).

L’incidenza di ipertermia nei gatti (Niedfeldt & Robertson, 2006; Posner & coll,

2007) ha limitato l’uso di questo farmaco in medicina veterinaria.

Cane

Anche nel cane questo farmaco è risultato una buona alternativa

all’ossimorfone, apportando una valida analgesia durante e dopo l’intervento

chirurgico (Pettifer & Dyson, 2000), una buona sedazione (Smith & coll, 2001)

e grazie alla sua economicità ed efficacia. La durata d’azione dell’idromorfone

somministrato iv alla dose di 0,1 mg/kg e stata ipotizzata superiore alle 5 ore

(Machado & coll, 2006). In un recente studio dosi terapeutiche di idromorfone

(0,1 e 0,2 mg/kg) sono state somministrate a cani sani consci e paragonate con

quelle di morfina (0,5 e 1,0 mg/kg): tutti i cani trattati hanno manifestato profusa

salivazione, 4 su 5 neuroeccitazione, e nessuno vomito o defecazione.

L’idromorfone ha rivelato rispetto alla morfina minimi rilasci di istamina

responsabile della vasodilatazione ed ipotensione (Guedes & coll, 2007). Il suo

utilizzo può essere combinato con quello dell’acepromazina (0,02-0,05 mg/kg)

per l’uso in giovani soggetti. Questa combinazione apporta un’eccellente

sedazione e controllo chimico (Pettifer & Dyson, 2000). In pazienti critici che

non tollerano depressione cardiovascolare si può utilizzare l’associazione

idromorfone (0,05-0,2 mg/kg iv somministrato lentamente) e diazepam (0,02

mg/kg iv) è importante fare attenzione a non miscelare i due farmaci nella stessa

siringa perché può avvenirne la precipitazione. Un recente studio ha dimostrato

come l’incapsulazione di idromorfone in liposomi riesce a prolungare, dopo

60

somministrazione sc, le concentrazioni plasmatiche efficaci (> 4,0 ng/ml, basata

su dati umani) fino a 96 ore, suggerendo un utilizzo di questa nuova

formulazione nelle analgesie di lunga durata nel cane (Kukanich & coll, 2007).

MEPERIDINA

Non esistono preparazioni medicinali veterinarie in Italia.

Gatto

La meperidina viene somministrata soltanto attraverso la via im o sc per

fenomeni eccitativi riscontrati dopo somministrazione iv. In studi clinici (3,3-10

mg/kg im) il farmaco sembra essere efficace, con una rapida comparsa

dell’analgesia, ma una breve durata d’azione (Balmer & coll, 1998, Lascelles &

coll, 1995). Altri studi suggeriscono che alla dose di 5 mg/kg la sua durata

d’azione sia inferiore ad 1 ora (Dixon & coll, 2002).

Cane

Questo oppioide viene utilizzato nel cane per via im per la medicazione

preanestetica a dosi variabili tra 2,5 e 6,5 mg/kg (Soma, 1971). La dose

preanalgesica raccomandata per il cane è 5-10 mg/kg per via im. L’analgesia

dura circa 45 minuti. La via sottocutanea è sconsigliata perché dolorosa e quella

iv deve essere praticata lentamente per evitare il collasso cardiovascolare. La

meperidina viene assorbita velocemente dopo somministrazione orale, ma viene

velocemente inattivata dall’effetto di primo passaggio epatico: piccole quantità

si possono ritrovare immodificate nelle urine, mentre a dosi più elevate subisce

demetilazione. Il metabolita che si forma è caratterizzato da un’azione

analgesica minore ma un’attività convulsivante maggiore (Ritschel & coll,

1987.)

METADONE

Non esistono preparazioni medicinali veterinarie in Italia.

61

Gatto

Il metadone è un agonista oppioide sintetico ma ha anche una considerevole

attività come antagonista deI recettori glutammato N-Metil-D-Aspartato

(NMDA). Viene estensivamente utilizzato con buon successo nell’uomo nella

cura da dolore derivante da tumori, e sindromi dolorose difficili come il dolore

neuropatico (Bruera & Sweeney, 2002; Colvin & coll, 2006). Questo farmaco è

ideale per la terapia “a casa” dato che riporta una buona biodisponibilità orale e

un lungo tempo di emivita. Nel gatto la farmacocinetica di questo oppioide non

è stata ancora valutata. Il metadone è stato studiato in gatti come racemato

(Steagall & coll, 2006) e comparato con il levometadone in casi clinici di dolore

postoperatorio (Rohrer Bley & coll, 2004; Mollenhoff & coll, 2005). Il racemato

se somministrato alla dose di 0,2 mg/kg sc incrementa la soglia termica a 1-3 ore

e la soglia meccanica a 45-60 minuti dopo la somministrazione (Steagall & coll,

2006). Altri dosaggi e vie di somministrazione non sono stati studiati usando

questo modello. Il metadone racemato (0,6 mg/kg im) ed il levometadone (0,3

mg/kg im) somministrati prima di interventi chirurgici apportarono un’efficace

analgesia valutata sulla base del comportamento e sulla palpazione del taglio

chirurgico in gatti dopo ovarioisterectomia senza mostrare effetti collaterali

respiratori o cardiovascolari (Rohrer Bley & coll, 2004).

Cane

Nei cani il profilo farmacocinetico del metadone è molto diverso da quello

dell’uomo riportando una scarsa biodisponibilità orale, una rapida clearance ed

un breve tempo di emivita (Colvin & coll, 2006). In medicina veterinaria il

metadone è consigliato per la medicazione preanestetica, specialmente quando

sono usati i barbiturici (Cronheim & Ehrlich, 1950). La combinazione

dell’azione analgesica dell’oppioide (1,1 mg/kg sc) con l’effetto ipnotico del

barbiturico consente una soddisfacente anestesia chirurgica con una minima

tossicità. Per indurre analgesia il metadone può essere somministrato per via sc

o im in un intervallo compreso tra 1,1 e 5,5 mg/kg. Le dosi letali 50 nel cane

62

sono state riportate 75 mg/kg os, 50 mg/kg sc e 26 mg/kg iv (Wolven & Archer,

1976).

MORFINA

Non esistono preparazioni medicinali veterinarie in Italia.

Gatto

La morfina è stata largamente utilizzata nei gatti ed i dosaggi di 0,1-0,2 mg/kg

sono ormai riconosciuti efficaci e non causare effetti collaterali (Lascelles &

Waterman, 1997). Sia in studi clinici (Lascelles & Waterman, 1997) che

sperimentali (Robertson & coll, 2003) il raggiungimento dell’azione è lento. La

morfina sembra essere meno attiva nel gatto rispetto al cane: questo sembra

legato alla limitata produzione del suo metabolita principale la morfina 6-

glucuronide (Taylor & coll, 2001) che contribuisce all’azione analgesica della

molecola parentale nell’uomo (Murthy & coll, 2002). Questo metabolita è stato

trovato solo in 3 di 6 gatti trattati per via endovenosa e non è stato rilevato dopo

dosaggio im (Taylor & coll, 2001). Ciò potrebbe giustificare il fatto che nel

gatto sono richieste dosi più alte di morfina visto lo scarso supporto

nell’analgesia del metabolita.

Cane

La morfina è importante per le pratiche chirurgiche nel cane in quanto allevia il

dolore, facilita la manipolazione del soggetto durante l’anestesia locale e

consente di ridurre la dose di anestetico necessaria a produrre l’anestesia

chirurgica. L’effetto massimale si ha dopo 30-45 minuti dall’iniezione sc,

mentre l’effetto analgesico può perdurare per più di 2 ore. Le dosi sc

raccomandate per la medicazione preanestetica variano da 0,1 a 2 mg/kg. Nel

cane, a scopo di induzione dell’anestesia si raccomanda una dose di 0,25 mg/kg

sc (Garrett & Gürkan, 1978; Hug & coll, 1981). Contemporaneamente alla

morfina si somministra anche atropina per controllare gli effetti parasimpatici

(scialorrea e ipersecrezioni bronchiali). Da utilizzare con cautela per

63

l’esecuzione del parto cesareo nel cane poiché provoca depressione della

funzione respiratoria nel feto (Priano & Vatner, 1981). Ultimamente è stata

anche proposta una formulazione in granuli a rilascio modificato che ha

mostrato un’ottima biodisponibilità e la possibilità di ottenere un’efficacia e

duratura analgesia se somministrata una volta al giorno (Nakamura & coll,

2007).

NALBUFINA

Non esistono preparazioni medicinali veterinarie in Italia.

Gatto

Questo oppioide è considerato come un agonista-antagonista e sebbene sia stato

largamente utilizzato in passato, oggi non è quasi più applicato nella pratica

clinica felina. Usando stimoli elettrici per provocare lo stimolo doloroso, dosi da

0,75 a 1,5 mg/kg iv non si sono dimostrate efficaci nel gatto (Sawyer& Rech,

1987); nel dolore viscerale, invece, dosi di 3,0 mg/kg iv si sono dimostrate

efficaci con una durata di circa 3 ore, più corta di quella provocata dal

butorfanolo un altro agonista antagonista (Sawyer & Rech, 1987).

Cane

Clinicamente la nalbufina sembra produrre analgesia in cani alle dosi di 10

mg/kg, ma non così profonda come con gli oppioidi agonisti puri. Clinicamente

non produce un’evidente sedazione e se somministrata per via endovenosa non

produce eccitazione degli animali (Lester & coll, 2003). E’ estremamente utile

ed economica se somministrata come antagonista per gli agonisti oppioidi alla

dose di 0,1-0,2 mg/kg iv o im (Mills & coll, 1990). Nel cane presenta un lungo

tempo di emivita di 7-8 ore. Se somministrata per via orale viene velocemente

metabolizzata tramite effetto di primo passaggio, ma anche la somministrazione

rettale ha una scarsa biodisponibilità (Aungst & coll, 1985).

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OSSIMORFONE

Non esistono preparazioni medicinali veterinarie in Italia.

Gatto

Oppioide largamente utilizzato per molti anni negli USA (Dobbins & coll, 2002;

Teppema & coll, 2003). Uno studio riporta che nel dolore viscerale indotto, la

combinazione ossimorfone-butorfanolo produce un’analgesia maggiore che

quella prodotta dai singoli farmaci, e viene ulteriormente aumentata

dall’aggiunta di acepromazina (Briggs & coll, 1998). Clinicamente

l’ossimorfone non sembra essere associato ad effetti avversi quali ipertermia,

vomito, nausea od effetti comportamentali.

Cane

Quando usato da solo l’ossimorfone è poco efficace come preanestetico data la

lentezza con cui compaiono i suoi effetti depressati (Palminteri, 1963). Molto

efficace invece nell’uso combinato con barbiturici. Bisogna usare cautela a non

miscelare i due farmaci nella stessa siringa per prevenirne la precipitazione.

Le dosi iv, im o sc di ossimorfone approvate dalla FDA per il cane vanno da

0,75 a 4,0 mg in range di peso corporeo compreso tra 1 e 50 kg (Heidrich &

Kent, 1985). Per alleviare i dolori postoperatori le dosi consigliate nel cane sono

di 0,1 mg/kg ogni 24 ore.

TRAMADOLO

Specialità veterinaria commercializzata in Italia per cani (Altadol®). Utilizzato

in terapia sintomatica degli stati dolorosi acuti e cronici di diverso tipo (ad es.

stati dolorosi indotti da interventi diagnostici e chirurgici).

Gatto

Sebbene non sia classificato come un vero oppioide esercita un debole effetto

sul recettore µ, ma interagisce anche con le vie monoaminergiche spinali di

65

inibizione del dolore. Quando usato nei gatti il tramadolo può mostrare effetti

quali euforia, pupille dilatate, e sedazione. L’azione oppioide del tramadolo nel

gatto può essere più pronunciata che in altre specie: in gatti anestetizzati il

naloxone ha risolto immediatamente l’inibizione respiratoria e prevenuta più del

50% delle depressioni respiratorie a seguito di somministrazioni di 4 mg/kg iv di

tramadolo (Teppema & coll, 2003). Non esistono dati farmacocinetici nel gatto e

sono richiesti studi specie specifici visto che il metabolismo e la cinetica

plasmatica nei cani è estremamente differente da quella nell’uomo (KuKanich &

Papich, 2004). In uno studio pilota su gatti somministrati con 1 mg/kg sc di

farmaco, il tramadolo non ha prodotto nessun effetto antinocicettivo (Steagall,

2005). Una dose di 1-2-mg/kg è stata suggerita per l’uso clinico nei gatti ma non

esistono ne studi sperimentali né reports clinici (Cagnardi & coll, 2010). Un

recente studio (Pypendop & Ilkiw, 2008), sottolinea come la farmacocinetica del

tramadolo nei felini rispecchi più quella accertata nell’uomo che non nel cane.

Questa mostra un’alta biodisponibilità della formulazione orale (93%)

un’emivita di 3,4 ore e un buon volume di distribuzione, suggerendo un’alta

affinità tissutale. Inoltre la formazione del metabolita principale O-

desmetiltramadolo (M1) responsabile dell’azione analgesica sembra essere

cospicua.

Cane

Il suo metabolismo è stato studiato in differenti specie animali fra cui ratti, topi,

criceti, cavie, conigli e cani; i metaboliti prodotti risultano essere sempre i

medesimi ma con variazioni del livello quantitativo (Lintz & coll, 1981) di cui i

principali sono: O-desmetiltramadolo (M1), N-desmetiltramadolo (M2); N, N-

didesmetiltramadolo (M3); N, N, O-tridesmetiltramadolo (M4); N, O-

didesmetiltramadolo (M5). La loro formazione è dovuta ad isoforme di

citocromo P450, tra cui il CYP2D6 che risulta coinvolto nel processo di O-

demetilazione, e il CYP2B6 e CYP3A4 che sono responsabili nel processo di

demetilazione a livello del gruppo amminico (Subrahmanyam & coll, 2001).

66

Alcuni di questi metaboliti risultano avere attività analgesica anche se con

differente potenza, per cui la risposta farmacologica del T dipende strettamente

dal suo metabolismo. Infatti, fra questi, quello che ha mostrato avere un’elevata

attività farmacologia, risulta essere l’M1 che è 200-300 volte più attivo del

tramadolo sul recettore µ (Raffa & coll, 1992). Anche M5, sebbene in maniera

minore, presenta attività sul recettore µ, ma essendo polare non riesce ad

attraversare la barriera emato-encefalica (Kogel & coll, 1999). Studi di

farmacocinetica nel cane mostrano che dopo somministrazione di compresse a

rilascio immediato la formazione del metabolita M1 e scarse e ciò potrebbe

comportare una perdita nell’efficacia analgesica (Kukanich & Papich, 2004).

Inoltre dato che per mantenere le concentrazioni plasmatiche a livelli terapeutici,

sono necessarie dalla 4 alle 6 somministrazioni al giorno, sono state testate

compresse a rilascio modificato (Giorgi & coll, 2009 a). Queste hanno rilevato

la presenza di M1 solamente in 1 cane su 6, mentre alte concentrazioni di M5 ed

M2. Anche le concentrazioni di tramadolo sono risultate estremamente basse.

Sebbene alcuni casi di convulsioni siano stati segnalati dopo somministrazione

endovenosa di tramadolo, un recente studio ha dimostrato che nel cane,

l’alterazione elettrolitica prodotta dal farmaco a carico del sodio e del fosforo

non sembra poter essere la ragione primaria delle convulsioni e che i casi

evidenziati sono da associarsi a cause di altra natura (Mohit Mafi & Rafigh,

2007). Somministrazione rettale (Giorgi & coll, 2009 b) e orale di compresse

(Giorgi & coll, 2009 c ) danno minime concentrazioni di M1 e basse

biodisponibilità di farmaco parentale. Una associazione tra succo di pompelmo

(bloccante del CYP 3A) e tramadolo orale è stata recentemente testata (Giorgi &

coll, 2010). Il lieve aumento della biodisponibilità non ha portato però ad un

effettivo beneficio clinico.

67

ALFA 2 AGONISTI

Gli alfa-2 agonisti, sono ampiamente utilizzati nel cane e nel gatto (ed in altre

specie animali) per i loro effetti sedativi, analgesici e di risparmio degli

anestetici (Tranquilli & Benson, 1992). Gli agenti di questa classe, tuttavia, sono

dotati anche di molti altri effetti fisiologici. In origine si riteneva che i recettori

alfa-2 fossero distribuiti soltanto a livello presinaptico, agendo come

meccanismo di feedback negativo per la regolazione del rilascio di

noradrenalina da parte dei neuroni noradrenergici. Oggi è noto che esistono dei

recettori alfa-2 post-sinaptici in vari tessuti, dove esercitano molti degli effetti

degli alfa-2 agonisti. Gli alfa-2 agonisti comunemente utilizzati nel cane e nel

gatto sono rappresentati da (dex)medetomidina, xilazina e romifidina

(Paddleford & Harvey, 1999). Differiscono fra loro per quanto riguarda la

selettività per i recettori alfa-2 (dexmedetomidina > medetomidina >>>

romifidina xilazina), la farmacocinetica e, naturalmente, la struttura chimica. La

medetomidina e la romifidina sono imidazoline, mentre la xilazina no. Alcuni

degli effetti della medetomidina e della romifidina sono probabilmente mediati

dall’imidazolina piuttosto che dai recettori alfa-2 (Vainio, 1989).

SISTEMA NERVOSO CENTRALE

Nell’encefalo, gli alfa-2 agonisti inibiscono il rilascio di noradrenalina. Il locus

ceruleus è particolarmente ricco di alfa-2 recettori ed è coinvolto nella

regolazione del sonno e della veglia. Si ritiene che l’effetto sedativo/ipnotico

degli alfa-2 agonisti sia mediato a questo livello. Questi agenti inoltre

diminuiscono l’ansia, sebbene, a dosi elevate, la xilazina possa anche causarla,

grazie ad un effetto sui recettori alfa-1. Gli alfa-2 agonisti riducono il

fabbisogno di farmaci anestetici, anche fino all’80% nel cane ed al 100% nel

ratto (Taylor, 1999). Nel gatto, nell’unico studio disponibile, è riferita che una

riduzione del 27% della concentrazione alveolare minima dell’alotano sia

68

mediata dalla riduzione del rilascio di noradrenalina, principalmente da parte del

locus ceruleus. Tuttavia, poiché la MAC è ridotta nella misura massima del 40%

quando la trasmissione noradrenergica viene totalmente abolita, è probabile che

siano coinvolti altri meccanismi. Gli alfa-2 agonisti causano analgesia. Questo

effetto è mediato dai recettori del corno dorsale del midollo spinale e del tronco

encefalico. Inoltre, possono potenziare l’analgesia indotta dagli oppiacei e dalla

ketamina (Taylor, 1999). Quando vengono somministrati per via subaracnoidea,

gli alfa-2 agonisti ed il midazolam, come la neostigmina, la lidocaina o gli

antagonisti del NMDA producono una antinocicezione sinergica. La xilazina

può avere degli effetti analgesici aggiuntivi, dovuti alla sua interazione con i

recettori alfa-1. Tuttavia, clinicamente, l’analgesia mediata dalla medetomidina

è più profonda e dura di più di quella indotta dalla xilazina. Gli alfa-2 agonisti

inducono ipotermia, per inibizione dei meccanismi noradrenergici centrali

responsabili del controllo della temperatura corporea e per diminuzione

dell’attività muscolare.

SISTEMA CARDIOVASCOLARE

Gli alfa-2 agonisti, quando vengono somministrati per via endovenosa, inducono

una risposta cardiovascolare bifasica. Inizialmente, la pressione sanguigna

aumenta, a causa di un incremento della resistenza vascolare sistemica. Poi

diminuisce, per effetto di un calo della frequenza e della gittata cardiaca. La

resistenza vascolare sistemica rimane elevata o ritorna progressivamente alla

normalità, a seconda del farmaco e della dose impiegati. Quindi, la pressione

sanguigna viene mantenuta entro limiti normali o portata al di sotto della norma.

Possono essere presenti delle bradiaritmie (Golden & coll, 1998). Gli effetti

cardiovascolari degli alfa-2 agonisti sembrano essere dose-dipendenti, benché

possa esistere un effetto tetto. L’aumento della resistenza vascolare sistemica è

dovuto alla vasocostrizione in risposta alla stimolazione dei recettori alfa-2 sulla

muscolatura liscia dei vasi. Il calo della gittata cardiaca è correlato all’effetto

bradicardico. La bradicardia è inizialmente dovuta ad un riflesso dei barocettori

69

e poi alla simpatolisi centrale. Poiché la riduzione della gittata cardiaca sembra

essere principalmente correlata alla bradicardia, è stata suggerita la

combinazione con anticolinergici. Tuttavia, l’impiego concomitante di questi

ultimi e degli alfa-2 agonisti provoca ipertensione, ed effetti indesiderati sulla

funzione cardiaca (Golden & coll, 1998). Di conseguenza, non viene consigliata.

Gli alfa-2 agonisti inducono una re-distribuzione del flusso ematico. Quello

diretto agli organi più vitali (ad es. cuore, encefalo, rene) possono essere

parzialmente o totalmente preservati a spese della scarsa perfusione degli organi

meno vitali (cute, muscolo, intestino, ecc…). Storicamente, gli alfa-2 agonisti

sono stati segnalati come causa di aritmie. Tuttavia, è stato dimostrato che la

dexmedetomidina aumenta la soglia delle aritmie indotte dall’adrenalina

attraverso un effetto sui recettori dell’imidazolina (Willigers & coll, 2006).

SISTEMA RESPIRATORIO

Nel cane e nel gatto, gli effetti degli alfa-2 agonisti sul sistema respiratorio sono

considerati minimi (Shebuski & coll, 1986). La frequenza respiratoria può

diminuire, ma la ventilazione minuto viene mantenuta. Gli alfa-2 agonisti

possono potenziare la depressione respiratoria dovuta ad altri agenti come gli

oppiacei, gli anestetici inalatori, ecc…

SISTEMA ENDOCRINO

Gli alfa-2 agonisti inibiscono l’efflusso simpatico e modulano la risposta da

stress all’anestesia ed alla chirurgia. Inoltre, provocano un’inibizione diretta del

rilascio di insulina e, a seconda della dose somministrata, possono causare

iperglicemia. Gli alfa-2 agonisti incrementano il rilascio dell’ormone della

crescita, che può contribuire all’effetto iperglicemico. Inibiscono la secrezione

di ACTH e cortisolo (Bugajski, 1984). Inibiscono anche il rilascio di ADH ed

eventualmente di aldosterone.

70

SISTEMA URINARIO

Gli alfa-2 agonisti promuovono la diuresi e la natriuresi. Inibiscono il rilascio di

ADH dall’ipofisi, nonché la sua azione sui tubuli renali. Inibiscono il rilascio di

renina ed aumentano la secrezione di peptide natriuretico atriale. Possono

aumentare la velocità di filtrazione glomerulare (Strandhoy, 1985).

SISTEMA GASTROENTERICO

Gli alfa-2 agonisti inducono un calo della salivazione, della pressione dello

sfintere gastroesofageo, della motilità dell’esofago, dello stomaco e del piccolo

intestino e della secrezione gastrica. Possono promuovere la formazione di

ulcere. Inducono il vomito nell’8-20% dei cani e fino al 90-100% dei gatti. La

xilazina è stata utilizzata per questo scopo nel gatto (Nakamura & coll, 1997).

SANGUE

Gli alfa-2 agonisti e l’adrenalina stimolano l’aggregazione piastrinica. L’effetto

netto dipende dall’equilibrio fra attivazione diretta da parte degli alfa-2 agonisti

e ridotta aggregazione dovuta al calo della concentrazione plasmatica di

adrenalina (Villeneuve & coll, 1985).

UTERO

Gli alfa-2 agonisti aumentano l’intensità delle contrazioni uterine. La perfusione

dell’organo e l’apporto di ossigeno vengono diminuiti, così come i valori di PO2

e pH arterioso nella madre e nel feto. Gli alfa-2 agonisti attraversano la placenta,

ma i farmaci con un’elevata liposolubilità possono rimanervi parzialmente

intrappolati, riducendo la quantità di principio attivo che arriva alla circolazione

fetale. Ciò nonostante, nelle cagne trattate con alfa-2 agonisti la frequenza

cardiaca del feto diminuisce significativamente (Jedruch & coll, 1989).

71

OCCHIO

Gli alfa-2 agonisti causano midriasi nel gatto e miosi nel cane. Quelli

imidazolinici diminuiscono la pressione intraoculare, ma è stato segnalato che in

alcuni cani alte dosi di medetomidina la aumentano (Verbruggen & coll, 2000).

VARIE

Gli alfa-2 agonisti inibiscono la lipolisi. È stato segnalato che aumentano la

mortalità nello shock endotossico. Sono potenti inibitori dei brividi.

ALFA-2 ANTAGONISTI

Gli effetti degli alfa-2 agonisti possono essere fatti regredire con gli alfa-2

antagonisti. Nel cane e nel gatto sono stati ampiamente utilizzati la yoimbina e

l’atipamezolo. La prima, quando viene somministrata per via endovenosa, può

causare tachicardia, grave ipotensione e morte. L’atipamezolo (Antisedan®) è

un alfa-2 antagonista altamente selettivo. È più efficace della yoimbina. Benché

sia stato affermato che è particolarmente adatto per far regredire gli effetti della

medetomidina, è stato impiegato con successo anche per antagonizzare altri alfa-

2 agonisti. Nei cani trattati con medetomidina, la somministrazione

dell’atipamezolo è seguita da un’ipotensione transitoria. La somministrazione

endovenosa di questo agente può essere seguita da un risveglio rude. Benché sia

stato segnalato che l’atipamezolo ha una durata d’azione più prolungata di

quella della medetomidina, talvolta in animali sottoposti ad un’antagonizzazione

con il primo si osserva comunque una ricomparsa degli effetti della seconda.

FARMACI

MEDETOMIDINA

Specialità veterinaria commercializzata in Italia per cani e gatti (Domitor®).

Questo farmaco è il più potente agonista selettivo alfa 2 recettoriale disponibile

72

in medicina veterinaria. Trova impiego in queste specie animali come

sedativo/analgesico e come preanestetico per esami clinici e diagnostici, nella

piccola chirurgia e medicazioni. L’associazione di questa molecola con la

ketamina ha permesso di indurre anestesia di breve durata in cani e getti ed in

molte specie di animali da laboratorio ed esotiche (Vaha-Vahe, 1989; Jalanka,

1989; Nevalainen & coll, 1989). Se somministrata associazione a sostanze

oppiacee può produrre un potenziamento della sedazione e dell’analgesia dei

due singoli farmaci (England & Clarke, 1989).

Gatto

Questa molecola sebbene fornisca un contributo analgesico non trascurabile,

viene spesso utilizzata nell’anestesia e nella sedazione, ma di norma mai da sola

per il suo effetto antidolorifico; questo a causa della profonda sedazione e della

depressione cardiovascolare che può accompagnare il suo uso. Proprio per

queste caratteristiche l’uso delle medetomidina è riservata a pazienti sani. Ci

sono comunque differenti maniere in cui la proprietà antidolorifica della

medetomidina può essere sfruttata anche in condizioni in cui non è richiesta

anestesia e sedazione. Uno studio ha evidenziato che in gatti 2 ore dopo

l’ovarioisterectomia, la somministrazione di medetomidina 15 µg/kg a fine

intervento, ha prodotto un’analgesia migliore del placebo (Ansah & coll, 2002).

Un altro studio ha riportato, in gatti ovarioisterectomizzati, un’analgesia

migliore dopo analgesia indotta da somministrazione di medetomidina/ketamina,

piuttosto che acepromaziana/tiopentone/alotano (Slingsby & coll, 1998). Altre

vie di somministrazione possono essere quella orale, con elevato assorbimento

transmucosale, utile in gatti fratturati (Ansah & coll, 1998; Grove & Ramsay,

2000). Anche la via epidurale è stata investigata: Duke e coll, (1994) riportano

un incremento nella soglia del dolore dopo 4 ore dalla somministrazione di

medetomidina (10 µg/kg) se comparato con fentanile (4 µg/kg) sempre per via

epidurale. La medetomidina produce effetti sistemici di breve durata e non

profondi. In contrasto con altre specie incluso il cavallo dove la

73

somministrazione epidurale di alfa 2 agonisti può essere utilizzata per

l’attenuazione del dolore cronico (Sysel & coll, 1997), non esistono studi

dell’utilizzo di questa tecnica nella specie felina. La dose suggerita come

sedativo nel gatto è dai 10 ai 40 µg/kg pc iv e da i 40 agli 80 µg/kg pc im

(Sinclair, 2003).

Cane

Kuusela e coll, (2000) hanno paragonato l’analgesia dopo somministrazione di

medetomidina, dexmedetomidina e levomedetomidina segnalando che

l’analgesia indotta da dexmedetomidina (20 µg/kg) potrebbe essere leggermente

più lunga di quella della medetomidina racema (40 µg/kg). L’effetto analgesico

della medetomidina nei cani si verifica quando vengono raggiunte

concentrazioni plasmatiche di 1-5 µg/ml (Salonen, 1992). Un altro studio mostra

invece come non si sia verificata analgesia a concentrazioni plasmatiche di 9,5

µg/ml, misurata dopo 60 minuti dopo somministrazione iv di 40 µg/kg (Kuusela

& coll, 2000); questo studio valuta però il dolore attraverso la retrazione

dell’arto dovuta a puntura di un dito, una tecnica non molto affidabile.

L’analgesia da dexmedetomidina (20µg/kg) valutata con tecniche

analgesiometriche dura per un ora dopo la somministrazione. Questo dato

sembra essere importante quando la dex o la medetomidina sono usate nelle

medicazioni preanestetiche rendendo necessario il secondo dosaggio dopo un

ora (Murrell & Hellebrekers2005).

Le dosi di medetomidina come sedativo-analgesico sono di 750 µg/m2 iv o 1000

µg/m2 im che equivalgono approssimativamente a 20 µg/kg pc iv e 40 µg/kg pc

im (Sinclair, 2003); la tipica dose sedativa da foglietto illustrativo riporta da 10 a

20 µg/kg pc iv e da 20 a 40 µg/kg pc im. Alcune evidenze cliniche indicano

comunque che micro dosi di 1-3 µg/kg pc iv e 5-10 µg/kg pc im vengono di

norma impiegate in associazione con altri deprimenti del SCN diminuendo

74

notevolmente gli effetti avversi della medetomidina (Paddleford & Harvey,

1999).

XILAZINA

Specialità veterinaria commercializzata in Italia per equini, bovini, animali da

zoo e selvatici, cani e gatti (Megaxilor 20%®; Sedaxylan2%®; Xilor soluzione

iniettabile 2%®; Rompun®; Rompun sostanza secca®; Virbaxyl 2%®). Utilizzato

per produrre sedazione e miorilassamento.

Gatto

Nella maggior parte dei gatti 3-5 minuti dopo la somministrazione può

manifestarsi il vomito (Moye & coll, 1973). La dose di 1 mg/kg è considerata

ottimale per ottenere l’emesi sebbene non sia sufficiente per l’effetto analgesicio

(Amend & Klavano, 1973). In questa specie la xilazina viene utilizzata per

eliminare l’ipertono della muscolatura scheletrica che compare nell’anestesia

con ketamina (Amend & coll, 1972; Amend & Klavano, 1973). La pratica di

somministrare xilazina im (0,55-1,1 kg/kg) come preanestetico, seguita dopo 20

minuti da ketamina im (15-22 mg/kg) determina analgesia e rilasciamento in 30

minuti. La xilazina rende i gatti refrattari al dolore ed è spesso accompagna

l’iniezione di ketamina. L’effetto anestetico della ketamina risulta

significativamente potenziato dalla xilazina (Waterman, 1983) prolungando

anche l’emivita plasmatica della ketamina ritardandone la metabolizzazione.

Uno studio dimostra come l’anestesia indotta da xilazina/ketamina abbia

prodotto un’analgesia post operatoria in gatti onichectomizzati migliore di

quella prodotta da una anestesia indotta con acepromazina-butorfanolo-

tiopentone (Robertson & coll, 1995).

Cane

Il suo utilizzo si presta oltre che per l’effetto analgesico anche per ridurre a circa

la metà la dose di anestetico (barbiturico o anestetici inalatori). Nel

contenimento dei cani che necessitano di visita alle vie urinarie, la xilazina alla

75

dose di 2,2 mg/kg sc è il farmaco d’elezione visto che non interferisce con il

riflesso della minzione (Oliver & Young, 1973). Se somministrata da sola la sua

analgesia è tale da permettere l’intubazione degli animali prima della

somministrazione dell’anestetico, sebbene dopo somministrazione di xilazina

l’anestetico inalatorio possa essere somministrato prima con una maschera

facciale per poi procedere all’intubazione (Moye & coll, 1973). La

somministrazione iv di xilazina (1 mg/kg) seguita dopo 5 minuti da ketamina

(10 mg/kg) iv è spesso praticata nel cane per indurre anestesia (Haskins & coll,

1986). Si può verificare vomito a dosi elevate, ma l’effetto emetico può risultare

clinicamente utile per ottenere lo svuotamento gastrico al fine di evitare possibili

reflussi tracheali. La xilazina può essere utilizzata per consentire il parto cesareo

in anestesia locale poiché il farmaco non produce effetti depressati sui neonati

(Yates, 1973); spesso per questo intervento viene utilizzata l’associazione

xilazina-ketamina.

ROMIFIDINA

Specialità veterinaria commercializzata in Italia per equini, cani e gatti

(Romidis®; Sedivet®). E’ l’agonista alfa 2 più recente ad azione sedativa ed

analgesica. La xilazina e la medetomidina provocano un’atassia più intensa ed

una sedazione di minore durata se paragonate alla romifidina (England & coll,

1992). Il suo utilizzo è indicato per la sedazione (facilitazione di esami clinici,

piccoli interventi e manipolazione), come agente di premeditazione e come

analgesico soprattutto nella specie canina.

Gatto

A differenza che nella specie canina, la romifidina non è stata largamente

studiata nel gatto. L’analgesia prodotta da questo farmaco è risultata dose

dipendente. In soggetti somministrati con 400 µg/kg di romifidina l’analgesia

prodotta e stata significativamente più elevata che dopo somministrazione di 200

µg/kg della stessa sostanza (Selmi & coll, 2004). La dose di 200 µg/kg di

76

romifidina sembra produrre la stessa sedazione di 1 mg/kg di xilazina, ma

minore analgesia (Selmi & coll, 2004). Nel gatto è stato dimostrato che questo

farmaco produce effetti cardiovascolari simili agli altri alfa 2 agonisti; sarebbe

bene quindi utilizzarlo con cautela in pazienti con il sistema cardiovascolare

compromesso (Muir & Gadawski, 2002). Altri risultati suggeriscono che la

somministrazione di romifidina da sola o in associazione con butorfanolo causa

un significativo decremento nella velocità cardiaca, e che la preventiva

somministrazione di atropina può prevenire la bradicardia per almeno 50 minuti

(Selmi & coll, 2002). Alcuni gatti sottoposti a protocolli anestesiologici in cui

compare la romifidina hanno mostrato fenomeni di emesi (Cruz & coll, 2000).

Cane

L’effetto di diminuzione del dosaggio di sedativo ed anestetico dovuto alla

somministrazione di romifidina è stato studiato estensivamente nel cane, come

anche i suoi effetti cardiovascolari dopo somministrazione iv ed im. In questa

specie la romifidina (40 µg/kg) im è stata rilevata indurre una sedazione

equivalente a quella ottenuta dopo somministrazione di xilazina (1 mg/kg) o

medetomidina (20 µg/kg) (Redondo & coll, 1999). Se somministrata in dosaggi

tra 10 e 40 µg/kg im ha causato un decremento dose dipendente nella velocità

cardiaca, respiratoria e nella temperatura rettale. Dosaggi tra 5 e 10 µg/kg iv

inducono comunque un importante effetto sedativo (Lemke, 1999) con minimi

effetti sulla pressione sanguigna (Pypendop & Verstegen, 2001). Lo stesso

studio ha poi rilevato che dosaggi iv compresi tra 25 e 100 µg/kg causano

bradicardia ed ipotensione iniziale (Pypendop & Verstegen, 2001) come

risultato di un incremento della resistenza vascolare sistemica (Sinclair & coll,

2002) seguito da una significativa diminuzione nella pressione arteriosa. In

generale sembra quindi che la somministrazione im produca rispetto alla

somministrazione iv, minori alterazioni nella pressione arteriosa e nella

resistenza vascolare sistemica, ma non nella velocità e forza di contrazione

cardiaca (Vainio & Palmu 1989; Lemke 2001; Sinclair & coll, 2002).

77

78

ANTAGONISTI DELI RECETTORI NMDA

KETAMINA

La ketamina cloridrato (2-[o-clorofenil]-2- [metilamino] cicloexanone

idroclorito) è un anestetico generale dissociativo derivato dalla cicloesamina

fenciclidina. É stata introdotta negli anni ′60 nella chirurgia sperimentale dei

primati subumani e negli anni ′70 in clinica sia umana che veterinaria (Domino

& coll, 1965; Glass & Reves, 1990). Il termine anestetico dissociativo deriva

dalla forte sensazione di disgiunzione dall’ambiente che la ketamina induce

nell’uomo (Winters & coll, 1972). La ketamina, a differenza di altri anestetici

definiti ipnotici, induce uno stato catalettico per la presenza di rigidità cerea,

riflesso laringeo e palpebrale conservati, respirazione apneustica, nonché

palpebre aperte con esposizione corneale, associate ad ammiccamento, nistagmo

ed ipertensione arteriosa. Viene pertanto considerato un "anestetico incompleto’’

(Meyers & coll, 1980). Nonostante la sua introduzione in clinica risalga a molti

anni addietro, continua ad essere largamente utilizzata in medicina umana e

veterinaria, per anestesie in medicina d’urgenza, in corso di induzione

dell’anestesia gassosa, per anestesie totalmente iniettive e nel trattamento del

dolore cronico. La sua attività è dose-correlata in tutti i mammiferi; a basse dosi

si può osservare l’effetto analgesico senza effetti sul comportamento e

sull’attenzione, mentre a dosi superiori è possibile ottenere anestesia generale. È

considerato il farmaco anestetico che deprime meno le funzioni

cardiorespiratorie (Fine, 2003) anche se, in alcune specie, associa a tale effetto

positivo caratteristiche disforiche ed epilettogene, quando utilizzata da sola.

CHIMICA

La ketamina è costituita da una mistura racemica di S- (+)-ketamina e di R- (-)-

ketamina. Nell’uomo non vi sono differenze significative nei parametri di

farmacocinetica dei due isomeri (White & coll, 1985). Nel cane l’enantiomero

79

S- (+)-ketamina ha una clearance di eliminazione del 35% superiore rispetto alla

forma R- (-)-ketamina anche se non vi è un’apparente differenza nella

distribuzione nei tessuti periferici (Henthorn & coll, 1999). Dei due enantiomeri,

la R- (-)-ketamina ha un maggiore effetto miorilassante sulla contrazione

bronchiale del cane acetilcolina-indotta. Questo effetto sembra mediato dai

recettori che controllano i canali del calcio (Pabelick & coll, 1997). Le

preparazioni commerciali, nonostante risultino modicamente istolesive a causa

di un pH tra 3,5-5,5, hanno il vantaggio, rispetto ad altri anestetici, di poter

essere inoculate per via intramuscolare.

FARMACOCINETICA

La ketamina può essere somministrata per differenti vie, con tempi di

assorbimento e distribuzione abbastanza rapidi. La via im è frequentemente

utilizzata in particolare nel gatto e nei selvatici, meno nel cane ed ignorata in

altre specie. Può creare qualche problema di assorbimento con ritardi

nell’induzione e crisi eccitative, se il farmaco è inoculato in aree particolarmente

ricche di grasso. Queste captano il farmaco e ne rallentano in modo significativo

l’assorbimento e la distribuzione. La via endovenosa è la più utilizzata;

solitamente si raccomanda di inoculare il farmaco in un intervallo non inferiore

ai 60’’, poiché una somministrazione rapida può provocare depressione

respiratoria o apnea e una più pronunciata risposta pressoria. Sono state

sperimentate nell’uomo e negli animali vie alternative come l’intra-articolare, la

sottocutanea per infusione continua (Huang & coll, 2000), l’intrarettale,

l’intranasale, l’intratecale, l’epidurale (Thurmon & coll, 1997; Iida & coll, 1997)

e la via orale (Wetzel & Ramsay, 1998; Grove & Ramsay, 2000). Dopo

inoculazione iv la distribuzione nei tessuti è sempre rapida con il

raggiungimento, in circa 60’’, di concentrazioni equivalenti tra plasma e

corteccia. L’effetto clinico s'instaura in tempi più lunghi rispetto ai tiobarbiturici

(Cohen & coll, 1973). Nel cavallo circa il 60% è metabolizzato dal fegato; il

restante farmaco immodificato è eliminato dal rene (Thurmon & coll, 1997).

80

MECCANISMO D’AZIONE

Il meccanismo d’azione non è completamente conosciuto. A differenza di altri

anestetici iniettivi, la ketamina non agisce deprimendo il sistema di attivazione

reticolare del midollo allungato. Produce piuttosto un’azione dissociativa tra

stimolo e percezione dello stesso, senza deprimere le aree del SNC interessate

(Reich & Silvay, 1989).Tale differenza si spiega con un’attività stimolante il

sistema simpatico ed un antagonismo recettoriale non competitivo nei confronti

dei recettori NMDA (N-metil-D-aspartato), rispetto alla classica attivazione dei

recettori GABA (Headley & coll, 1987). I recettori NMDA sono stimolati dal

glutammato ed hanno azione eccitativa sulle vie del dolore e sullo stato di

reattività del soggetto, nonché nello sviluppo del cervello nei mammiferi in età

immatura (Freese & coll, 2002). L’attività analgesica, prevalentemente somatica

e vegetativa, è ottima anche a basse dosi e senza depressione cardiorespiratoria,

tanto da essere sfruttata nei reparti di medicina d’urgenza in medicina umana e

veterinaria (Hirlinger & Dick, 1998; Muir, 2002; Haskins & Patz, 1990). La

ketamina, a dosi subanestetiche, si è dimostrata una valida alternativa agli

oppiacei nell’analgesia postoperatoria e nel trattamento del dolore nel paziente

terminale. Tale applicazione in algologia è stata introdotta dopo l’identificazione

dei recettori NMDA come responsabili dell’innesco dell’allodinia o percezione

algica di stimolo non algico e dell’iperalgesia, tipiche manifestazioni di queste

situazioni cliniche (Eide, 2000).

EFFETTI CLINICI SUI VARI APPARATI

SNC

La ketamina induce un effetto anestetico dose-correlato, associato ad uno stato

catalettico ed allucinatorio. Dosi basse tendono ad indurre analgesia, assenza di

allucinazioni ed un effetto anticonvulsivante specie-correlato. Nell’uomo affetto

da epilessia, infatti, il farmaco presenta un effetto anticonvulsivante a 2-6 mg/kg

81

iv, anche se, con la dose maggiore, si registrano onde simil epilettiche all’EEG

corticale (Kayama, 1982). Nel cane il comportamento è inverso con crisi

convulsive in fase d’induzione anestetica (Thurmon & coll, 1997). Nel gatto le

convulsioni da ketamina sono meno frequenti. Nel 2% di cani sani anestetizzati

con l’associazione ketamina-acepromazina-xilazina, si osservano brevi crisi

convulsive in fase di induzione (Cuomo, 1994). Nel gatto, con la stessa miscela

anestetica ed in corso di mielografia, non si osserva tale effetto (Cuomo, 1997).

Eccitazione o movimenti ondulatori ripetuti della testa sono riportati in fase di

risveglio soprattutto nel gatto rispetto al cane; benzodiazepine, alfa 2 agonisti,

oppioidi, fenotiazine da soli o in associazione, riducono o annullano queste

complicazioni. In ogni caso, è buona norma utilizzare la ketamina sempre in

associazione ed evitarne l’uso in animali affetti da epilessia o in preda a

convulsioni. Studi effettuati sull’analgesia indotta dalla ketamina nell’uomo

hanno portato a guardare al farmaco in modo leggermente differente, rispetto al

passato, anche in Medicina Veterinaria. L’osservazione clinica della parziale

reattività dell’animale agli stimoli ambientali fa ritenere che la ketamina, come

anestetico generale, associ analgesia solo all’instaurarsi dell’effetto anestetico e

che l’analgesia viscerale sia del tutto trascurabile anche in anestesia.

Nell’animale in cui utilizziamo dosi subanestetiche, è possibile ottenere

vocalizzazioni e risposte di difesa alla sola manipolazione; lo stesso animale

però rimane tranquillo se pratichiamo manovre dolorose. Evidentemente

l’effetto analgesico, analogamente a quanto avviene nell’uomo, si stabilisce a

dosi inferiori a quelle anestetiche (Wagner & coll, 2002). Rispetto a quello che

avviene con altri anestetici generali, la depressione del SNC appare differente

anche per la persistenza dei riflessi laringeo, palpebrale e del tono muscolare. La

presenza del riflesso laringeo crea problemi in corso di intubazione

endotracheale e costringe l’anestesista a utilizzare un’anestesia locale per

nebulizzazione del laringe. Se utilizziamo associazioni farmacologiche, e non la

sola ketamina, l’intubazione è possibile (Cuomo, 1994). Talvolta la presenza del

riflesso laringeo è un vantaggio in quelle procedure di breve durata, come in

82

corso di detartrasi, dove è utile avere il cavo orale libero da tubi, evitando

comunque la possibilità di ab-ingestis. In corso di anestesia totale intravenosa

(total intravenous anesthesia, TIVA) con associazioni a base di ketamina, la

presenza del riflesso palpebrale ci può aiutare nella valutazione del piano

anestetico indicandoci, con la sua scomparsa, un eccessivo approfondimento

dello stesso. La presenza di tono muscolare inibisce l’uso della sola ketamina

per procedure ortopediche; tale problema è superato dall’associazione con

farmaci miorilassanti.

CUORE E APPARATO CARDIOCIRCOLATORIO

Gli effetti cardiovascolari della ketamina sono mediati dall’attivazione del

sistema vegetativo simpatico. In gatti anestetizzati con pentobarbital, se la

ketamina viene somministrata localmente a livello miocardico determina un

rilascio di noradrenalina nello spazio interstiziale (Kitagawa & coll, 2001;

2003); mentre dopo inoculazione iv i livelli plasmatici di adrenalina e

noradrenalina aumentano a 2’, per ritornare ai valori basali dopo 15’. L’effetto

interessante nel cane e nel gatto è che la frequenza cardiaca, la pressione

arteriosa e l’output cardiaco aumentano, senza che si registri un aumento

significativo delle resistenze periferiche (Thurmon & coll, 1997). Nel gatto,

inoltre, la ketamina mostra una significativa attività vasodilatatoria nel letto

vascolare polmonare, migliorando l’ematosi (Kaye & coll, 2000). In vitro, alcuni

Autori riportano un significativo effetto inotropo negativo dose dipendente

(Diaz & coll, 1976) che, in vivo, è probabilmente mascherato dall’aumento del

tono simpatico (Schwartz & Horwitz, 1975; Horwitz, 1977; Hornchen &

Tauberger, 1980) e, pertanto, di scarso significato clinico (Chamberlain & coll,

1981).

OCCHIO

Nell’uomo la ketamina è stata associata ad un aumento della pressione

intraoculare (IOP) (Goodman & Gilman, 1996). Nei nostri animali domestici, i

83

dati in letteratura danno risultati discordanti a seconda della specie e del tipo di

protocollo. Nei soggetti premedicati con farmaci miorilassanti non si dovrebbe

osservare alcun aumento di IOP, per la diminuzione del tono dei muscoli

extraoculari responsabili dell’effetto (Thurmon & coll, 1997).

APPARATO RESPIRATORIO

A differenza di altri anestetici generali, le risposte all’ipossia sono conservate

insieme alla reattività del sistema simpatico. Rispetto a un’anestesia alotanica, la

broncodilatazione, la diminuzione degli shunt artero-venosi intrapolmonari e la

normotensione mantengono alti i valori della PaO2 anche durante ventilazione

monopolmonare (Lumb, 1979). Sulla muscolatura liscia bronchiale, la ketamina

ha un effetto broncodilatatorio con diminuzione delle resistenze (Bovill & coll,

1971; Cheng & coll, 1996) tanto da essere raccomandata come gold standard in

umana per l’anestesia di soggetti in crisi asmatica (Corssen & coll, 1972). Nel

cane una dose di 10 mg/kg annulla la broncocostrizione da istamina e potenzia il

rilassamento bronchiale da adrenalina (Hirota & coll, 1998). L’ematosi rimane

generalmente adeguata anche in soggetti in trattamento d’urgenza, nonostante la

ketamina possa indurre, transitoriamente, respiro apneustico e diminuzione del

volume corrente minuto (Muir, 2002; Haskins & Patz, 1990).

INDICAZIONI CLINICHE E PROTOCOLLI

In letteratura è possibile trovare associazioni farmacologiche a base di ketamina

piuttosto simili ma con dosi leggermente differenti dei singoli farmaci.

Riportiamo le associazioni maggiormente utilizzate, alcune ormai datate ma con

una loro validità, e quelle dove i farmaci sono presenti sul mercato italiano sotto

forma di specialità veterinarie. Nonostante l’uso di atropina non sia sempre

riportato, e da qualcuno sia omesso o criticato, se ne consiglia l’uso soprattutto

quando nel protocollo sono presenti farmaci alfa 2 agonisti o si manifestano

segni di attivazione parasimpatica. Si consiglia, inoltre, di non utilizzare

antagonisti degli alfa 2 agonisti o delle benzodiazepine, se non in corso di

84

complicazioni anestetiche. L’antagonismo potrebbe smascherare gli effetti della

ketamina con il manifestarsi di crisi eccitative.

SOVRADOSAGGIO E TOSSICITÀ

Nel gatto, l’uso di dosi elevate di ketamina (50 - 100 mg/kg im) non causa la

comparsa di segni clinici di tossicità acuta (Arnbjerg, 1979) mentre nel cane,

dosi di 40 mg/kg/die per 6 settimane, inducono solo un innalzamento transitorio

degli enzimi epatici (Corssen & coll, 1968). Per somministrazioni croniche è

sospettata l’induzione enzimatica del citocromo P450, analogamente a quanto

avviene per i barbiturici (Thurmon & coll, 1997). L’osservazione che il pre

trattamento con fenobarbitale riduce la durata dell’anestesia da xilazina-

ketamina nel cane (Nossaman & coll, 1990), sembrerebbe confermare tale

ipotesi. In uno studio retrospettivo di Dyson & coll, (1998) sulle cause di

mortalità da farmaci in anestesia, è riferito come il rapporto di probabilità di

complicazioni in corso di anestesia nel cane è dello 0,21 per l’uso di ketamina

contro il 91,5 della xilazina, 0,35 del butorfanolo, 0,24 dell’acepromazina e il

2,4 per l’uso di isoflurano. Nel gatto, il rapporto di probabilità è dello 0,17 per la

ketamina, contro il 4.1 del diazepam e lo 0,45 del butorfanolo (Dyson & coll,

1998). Nonostante tali dati rassicuranti, la ketamina è stata indicata quale

responsabile di lesioni degenerative neuronali a carico del cervello immaturo.

Nel topo neonato sottoposto a ripetute anestesie, Olney ha messo in evidenza

apoptosi e vacuolizzazioni neuronali. Sulla scorta di tali dati, la FDA non ne ha

licenziato l’uso in pediatria (Ikonomidou & coll, 1999; Olney & coll, 1989).

Nonostante questo la ketamina è utilizzata di routine nei reparti di pediatria e

ginecologia, senza che alcuno studio clinico sia riuscito a mettere in evidenza

effetti lesivi sulle funzioni cerebrali dei pazienti. Discorso a parte andrebbe

fatto, invece, per le assunzioni croniche della sostanza che, nell’uomo, sembrano

indurre dipendenza, riduzione delle capacità cognitive e sintomi psichiatrici

(Frese & coll, 2002).

85

SOGGETTI PORTATORI DI DISFUNZIONI EPATICHE O RENALI

Nonostante in pazienti con funzione epatica normale (cane, cavallo ed uomo)

siano state somministrate dosi ben al di sopra di quelle anestetiche per tempi

prolungati e senza effetti nocivi, nei portatori di epatopatie è prevedibile un

rallentamento della metabolizzazione del farmaco, con necessità di riduzione

delle dosi. Analogo discorso va fatto per animali con insufficienza renale ed in

particolare nel gatto.

SOGGETTI PORTATORI DI AFFEZIONI CARDIACHE

Il problema resta controverso. Vi è aumento del consumo di O2 da parte del

miocardio in vitro, mentre in cani e gatti anestetizzati con ketamina, l’aumento

del consumo di O2 si associa a vasodilatazione del circolo coronarico, tanto da

compensare l’aumento del lavoro miocardico, senza vasocostrizione periferica

(Thurmon & coll, 1997). Soggetti in shock anestetizzati con ketamina mostrano

una percentuale di sopravvivenza maggiore rispetto a soggetti in anestesia

alotanica. Nello shock emorragico indotto nel suino l’associazione

medetomidina-ketamina sembra essere un ottimo protocollo TIVA in corso di

rianimazione.

CHIRURGIA OFTALMICA ED ENDOCRANICA

I dati presenti in letteratura sono contrastanti riguarda l’aumento della IOP e

pressione intracranica (ICP) ketamino-indotte. In medicina umana, l’aumento di

IOP dovuta al farmaco viene messo in dubbio da più parti. Nel cane e nel

cavallo, l’associazione xilazina-ketamina ne determina l’aumento nella prima

specie ed una diminuzione nella seconda (Thurmon & coll, 1997). Anche in

corso di chirurgia endocranica i dati sono controversi, tanto che Ohata afferma

“la ketamina è appropriata per l’uso integrativo nell’anestesia neurochirurgica’’,

sulla base dell’osservazione che, topicamente o iv, attenua la vasodilatazione

ipercapnica in cani sotto anestesia con pentobarbitale o isofluorano (Ohata &

coll, 2001). Nella capra in anestesia ketaminica, la ICP ed il flusso cerebrale si

86

innalzano solo al mancato controllo della PaCO2; tale rilievo non farebbe

attribuire l’effetto all’azione della ketamina ma alla vasodilatazione ipercapnica

(Thurmon & coll, 1997). Pertanto, in attesa di dati definitivi ed in presenza di

valide alternative, se ne sconsiglia l’uso.

SOGGETTI AFFETTI DA EPILESSIA

Nonostante nell’uomo, nel cane e nel gatto sia riportato un effetto

anticonvulsivante, è sconsigliato l’uso in soggetti epilettici od in preda a

convulsioni.

INTERAZIONI FARMACOLOGICHE

Tutti i farmaci depressanti il SNC mostrano avere un effetto sinergico nei

confronti della ketamina, potenziandone l’effetto anestetico o allungandone i

tempi d’azione e riducendone ampiamente gli effetti collaterali. Questo tipo di

interazione è ampiamente sfruttato in anestesia. Al di fuori del campo

anestesiologico, poche sono le segnalazioni di interferenza da parte di altre

classi di farmaci. Il cloramfenicolo aumenta i tempi di eliminazione della

ketamina nel gatto (Thurmon & coll, 1997) mentre furosemide, mannitolo e

aminofillina, non alterano significativamente l’eliminazio del farmaco dal

circolo ematico nel gatto, sebbene abbiano la tendenza a prolungarla.

Gatto

Nel gatto le differenze nel catabolismo sono sostanziali e la maggior parte del

farmaco viene escreto intatto per via renale. Le caratteristiche di

metabolizzazione ed escrezione ne consigliano il sottodosaggio negli animali

con problemi renali o epatici. In questa specie, l’emivita di una dose di 25 mg/kg

è di 66,9 ± 24,1 minuti, indipendentemente dalla via di somministrazione im o

iv. L’assorbimento dal sito di inoculazione è rapido, con picco plasmatico a 10

minuti e circa il 92 % della dose biodisponibile (Baggot & Blake, 1976). L’uso

utilizzo come analgesico non è stato molto perpetuato (Robertson & Taylor,

2004) mentre viene largamente utilizzato per l’induzione dell’anestesia.

87

Cane

Nel cane vi è una stretta correlazione tra concentrazioni plasmatiche della

ketamina ed effetto anestetico (Schwieger & coll, 1991). La ridistribuzione del

farmaco agli altri tessuti induce l’abbassamento delle concentrazioni

plasmatiche e la superficializzazione dell’anestesia. Solo successivamente sarà

sottoposta ad attività catabolica ed eliminazione (Thurmon & coll, 1997). Tale

comportamento testimonia la sua grande facilità di passaggio dal comparto

vascolare ai tessuti e viceversa, con aggiustamenti rapidi nelle concentrazioni

plasmatiche. Nel cane e nei primati è documentato il passaggio anche attraverso

la barriera placentare. Questo potrebbe avere un significato clinico nel suo uso

in ostetricia anche se, rispetto ad altri farmaci anestetici, l’effetto depressivo sul

neonato e la mortalità fetale risultano inferiori (Thurmon & coll, 1997). Studi

nel cane hanno mostrato come il farmaco viene metabolizzato principalmente

(62%) dal fegato a N-demetilketamina, metabolita attivo, ed escreto con le urine

(Kaka & Hayton, 1980). Negli ultimi anni l’azione analgesica di questa

molecola è risultata promettente, infatti, cani somministrati con ketamina nel

periodo post operatorio dopo amputazione degli arti anteriori hanno mostrato

una riduzione del dolore rispetto al controllo (Wagner & coll, 2002). La

somministrazione della ketamina prima del danno tissutale ha ridotto la

sensibilità al dolore e se somministrata per via epidurale ha ridotto il dolore in

cani fratturati se comparata con la soluzione fisiologica (Amarpal & coll, 1999).

Uno studio ha inoltre dimostrato l’effetto analgesico della ketamina in cani con

sinoviti indotte (Hamilton & coll, 2005).

88

ANESTETICI LOCALI

Il primo anestetico locale impiegato clinicamente è stata la cocaina. All’inizio

del 1900 fu identificata la sua struttura e sulla base di questa vennero sintetizzate

nuove molecole che apportavano una tossicità minore e nessun tipo di

dipendenza. Tutte le nuove molecole prodotte sono costituite da una porzione

idrofila ed una lipofila, connesse da una catena carboniosa che può essere

rappresentata da un’ammina o da un’estere.

MECCANISMO D’AZIONE

Gli anestetici locali bloccano (in modo transitorio e reversibile) la conduzione

nervosa modificando la propagazione del potenziale d'azione a livello

dell’assone. La membrana della fibra nervosa, da una condizione di riposo

mantenuta dall'attività di una pompa Na-K ATPasi-dipendente, in seguito alla

corrente del potenziale d'azione, consente l'ingresso massivo di ioni sodio al suo

interno, modificando il potenziale di membrana da negativo a positivo. La

corrente di depolarizzazione nel momento in cui tutta la superficie della

membrana è depolarizzata, innesca modificazioni strutturali del canale sodico

responsabile di un ostacolo a un ulteriore ingresso di Na con conseguente

inattivazione dell'eccitabilità di membrana. All’interruzione della corrente

sodica segue la fuoriuscita dalla cellula di ioni K in numero uguale a quello di

ioni Na penetrati nella fase di depolarizzazione. Il canale rapido del sodio è il

recettore specifico su cui agiscono gli anestetici locali. Le molecole d'anestetico,

una volta attraversata la membrana cellulare della fibra nervosa, si legherebbero

ad un recettore presente sulla faccia interna della membrana, di fatto impedendo

l'ingresso massivo di ioni Na e quindi la fase di depolarizzazione. Gli anestetici

locali nella loro forma attiva, quella ionizzata, interferiscono con le diverse fasi

del potenziale d'azione, diminuendone l'ampiezza, la velocità di

depolarizzazione e la durata del periodo refrattario. La concentrazione di

89

anestetici locali necessaria per determinare il blocco della conduzione nervosa

differisce per ogni sostanza, pertanto la potenza di ciascun anestetico locale

viene indicata dalla concentrazione minima inibente (CMI), ovvero dalla

concentrazione di farmaco al di sotto della quale la fibra ritorna ad essere

eccitabile.

POTENZA

La liposolubilità o l’idrofilicità della molecola sembra essere la principale

proprietà dalla quale dipende la potenza intrinseca dell’anestetico. Quanto più

piccola e più liopofila appare la molecola tanto più rapida è la comparsa della

sua azione. Anche l’idrofilia è importante perché è necessaria per il processo di

diffusione nel sito d’azione dell’anestetico locale.

TEMPO DI INSORGENZA DELL’AZIONE E DURATA ANESTETICA

Entrambi i fattori sono legati alle caratteristiche chimico-fisiche del farmaco e

sono dose dipendenti. Da notare che sperimentazioni in vitro possono dare

risultati contrastanti con studi in vivo, dato che in questo ultimo caso viene

determinata anche l’azione dell’anestetico sulla vascolarizzazione locale.

SENSIBILITÀ AGLI ANESTETICI LOCALI

Non tutti sono d’accordo sulla reale esistenza di una differente sensibilità delle

fibre nervose agli anestetici locali. Sotto il profilo clinico, la sensibilità agli

anestetici locali può essere influenzata da diversi fattori come la dimensione

della fibra, il tipo strutturale della fibra, la localizzazione del nervo, l’area del

nervo esposta all’anestetico, il tempo per il conseguimento dell’equilibrio

dell’anestetico locale con il tessuto, etc...

90

FARMACI

PROCAINA

Non esistono preparazioni medicinali veterinarie in Italia.

E’ un composto che si presenta sottoforma di polvere bianca cristallina solubile

in acqua. Le soluzioni acquose sono facilmente decomposte dai batteri

specialmente se esposte all’aria. Sono resistenti al calore e sterilizzabili in

autoclave. E’ l’anestetico locale di riferimento per quanto riguarda la tossicità e

la potenza, in quanto ad esso è stato attribuito arbitrariamente il valore di 1. La

notevole differenza di tossicità fra procaina ed il potente analgesico locale

cocaina è imputabile alla loro diversa velocità di metabolizzazione. La procaina

viene demolita molto velocemente. Ha un assorbimento molto rapido dal sito di

iniezione e viene idrolizzata da un’esterasi plasmatica a formare acido para-

amino-benzoico. La procaina interferisce con la determinazione chimica dei

sulfamidici nei liquidi biologici. Ha inoltre la caratteristica di formare sali o

coniugati scarsamente solubili con altre sostanze, prolungandone la durata

d’azione. Questa proprietà è stata sfruttata per l’associazione con la penicillina

(procaina-penicillina G).

Gatto

Usata nell’anestesia per infiltrazione e in quella da blocco di conduzione nel

gatto è preferita ad una concentrazione dell’1%. Viene scarsamente utilizzata

nell’anestesia di superficie poiché non risulta molto efficace con questa via di

somministrazione. Le DL50 in questa specie sono 0,45 g/kg sc e 0,045 g/kg iv

(Ford & Raj, 1987).

Cane

Nei cani di media-grande taglia è preferito l’utilizzo di procaina al 2%. Le DL50

sc in questa specie è 0,25 g/kg.

91

TETRACAINA

Non esistono preparazioni medicinali veterinarie in Italia.

E’ un derivato sintetico dell’acido para-amino-benzoico. Le soluzioni vanno

incontro a idrolisi e si possono formare dei cristalli insolubili di acido p-butil-

amino-benzoico. Né i cristalli né le soluzioni sono sterilizzabili più di una volta.

Ha una tossicità sistemica 20 volte maggiore di quella della procaina. E’ ed è

stata usata principalmente per l’anestesia topica o per l’anestesia subaracnoidea.

E’ l’anestetico locale contenuto nel Tanax®. Grazie alla sua elevata tossicità è

ormai passata in disuso.

PRILOCAINA

Non esistono preparazioni medicinali veterinarie in Italia.

E’ un’ammide derivata dall’anilide. Ha proprietà farmacologiche simili a quelle

della lidocaina ma rispetto a questa è più potente e meno tossica. Ha inoltre un

maggior tempo di latenza e una maggiore durata d’azione. La velocità di

metabolizzazione è più rapida di quella della lidocaina. Dopo somministrazione

di dosi elevate (>600 mg) può determinare cianosi per metaemoglobinemia. Il

trattamento consiste nella somministrazione endovenosa di blu di metilene (1

mg/kg).

Gatto

In gatti aritmici l’uso sistemico di prilocaina si è rilevato efficace, ma

contrariamente alla lidocaina che provoca diminuzione della pressione sanguina,

ne è stato evidenziato un aumento (Quevedo & coll, 1978). Un suo utilizzo

come analgesico locale è dato dall’associazione con lidocaina (EMLA), crema

topica per prevenire il dolore al momento dell’iniezione e migliorare la

manipolazione dell’animale (Flecknell & coll, 1990). In un recente studio questa

formulazione non si è dimostrata sicura ed efficace in gatti malati per le

concentrazioni plasmatiche riportate: inoltre non sono state riportate differenze

92

significative sulla facilità di introduzione del catetere in gatti trattati e non

(Wagner & coll, 2006).

Cane

Non esistono molti studi in questa specie visto che questo farmaco a livello

sistemico si è dimostrato un induttore enzimatico (Heinonen & Ahtee, 1968).

Viene però largamente utilizzato in associazione con la lidocaina (EMLA) per

prevenire il dolore dovuto all’introduzione di cateteri (Flecknell & coll, 1990).

LIDOCAINA

Commercializzata per bovini, equini, suini, ovini, cane e gatto (Lisacaina®,

Lidocaina 2%®, Lidocaina 2% ATI®, Lidocaina 2% Fort Dodge®).

E’ un composto solubile in acqua e molto stabile. Può essere sottoposto a

sterilizzazione in autoclave per 6 ore o a trattamenti multipli senza perdere di

potenza. Ha un’elevata affinità per i tessuti grassi. La maggior parte di questo

farmaco viene metabolizzata nel fegato per trasformazione in fenolo libero e

coniugato, mentre la struttura ad anello viene idrossilata. La porzione fenolica si

può ritrovare nelle urine. L’escrezione della lidocaina in forma immodificata è

minore al 5%. E' un anestetico locale che si diffonde facilmente per la sua

struttura molecolare e per il suo pKa, vicino al pH fisiologico. Ha proprietà

vasodilatatrici e per questo motivo è l'anestetico locale che meglio si presta ad

essere somministrato assieme all'adrenalina che limita le concentrazioni

plasmatiche, prolunga la durata d'azione e ne aumenta la potenza. L'adrenalina

può essere aggiunta estemporaneamente immediatamente prima della

somministrazione o può essere già presente nelle confezioni in commercio. Ha

un tempo di latenza breve e una durata d'azione intermedia (70-90 min).

Utilizzata in tutti i tipi di anestesia locale, ma anche per via iv come agente

antiaritmico e coadiuvante nell’analgesia generale. Indicata per anestesie di

superficie, di infiltrazione, tronculari ed epidurali.

93

Gatto

Dopo somministrazione iv la lidocaina ha mostrato indurre analgesia sia in

condizione di dolore indotto che naturale (Pypendop & Ilkiw, 2005; Dohi &

coll, 1979), ma in un recente studio dosi di 2 mg/kg iv hanno prodotto

concentrazioni plasmatiche basse da non influenzare la soglia al dolore termico

(Pypendop & coll, 2006). L’uso di questo anestetico locale (1 mg/kg) in

combinazione a anestetici generali, ha prodotto un’anestesia bilanciata

nell’ovarioisterectomia in felini, riducendo il bisogno di anestetico generale

(Zilberstein & coll, 2008). L’andamento cinetico della lidocaina si è dimostrato

differente in gatti anestetizzati o svegli: il volume di distribuzione è risultato

significativamente più basso, con più alte concentrazioni plasmatiche in gatti

anestetizzati. Anche il tempo di emivita è risultato ridotto (Thomasy & coll,

2005).

Cane

La lidocaina viene metabolizzata a livello epatico a velocità simile alla procaina.

Nel cane i metaboliti principali identificati sono 2 di cui uno riporta sempre una

buona attività analgesica (Wilcke & coll, 1983a). Dopo singola

somministrazione iv ed im i valori medi della Kel e della clearance risultano di

0,786 ore e 2,4 l/kg/ora. Dopo somministrazione im la Kass risulta di 7,74 ore e

la biodisponibilità del 91% (Wilcke & coll, 1983a). Dosaggi elevati di lidocaina

possono produrre morte per fibrillazione ventricolare o arresto cardiaco (Wilcke

& coll, 1983b). Negli ultimi anni sono stati prodotti cerotti transdemici a base di

lidocaina che nel cane sembrano avere un’elevata efficacia analgesica e bassi

effetti collaterali (Weiland & coll, 2006).

ETIDOCAINA

Non esistono preparazioni medicinali veterinarie in Italia.

E’ un derivato della lidocaina, caratterizzata da un’elevata liposolubilità che gli

conferiscono una maggiore durata d’azione, con un blocco motorio e sensitivo

94

particolarmente prolungati. E’ di potenza quasi pari alla bupivacaina e ad

eccezione dell’anestesia spinale e di quella per via endovenosa viene impiegata

nelle stesse circostanze.

Gatto

Non esistono studi specifici nel gatto.

Cane

Pochi studi condotti su questa molecola esistono nel cane. La sua elevata

liposolubilità oltre a conferirgli una prolungata azione, ne esalta anche gli effetti

a livello del SNC (Liu & coll, 1983).

MEPIVACAINA

Specialità veterinaria commercializzata in Italia per equini (Mepivacaina

cloridrato 2% Galenica Senese®). Impiegata per anestesie infiltrative,

intrarticolari, tronculari ed epidurali.

Si presenta come una polvere bianca, cristallina e senza odore. Possiede un

atomo di carbonio asimmetrico che la rende otticamente attiva. In forma di sale

cloridrato è solubile in acqua. La sua trasformazione metabolica avviene,

nell’adulto, nel fegato per N-demetilazione e coniugazione ed escrezione come

glicorunide e idrossilazione dell’anello aromatico. Il 5-10% viene escreto,

immodificato, nelle urine. E’ molto simile alla lidocaina (pur essendo più

potente e meno tossica di questa) e viene utilizzata a dosi e concentrazioni

simili. E’ l'unico anestetico locale che non ha proprietà di vasodilatazione, per

cui non necessita dell'aggiunta del vasocostrittore. Ha un tempo di latenza

relativamente breve e una durata d’azione simile a quella della lidocaina.

95

Gatto

Nessun dato specifico esiste sulla mepivacaina nel gatto sebbene il suo utilizzo

sia ormai perpetuato in questa specie grazie alle sue caratteristiche

farmacologiche.

Cane

Anestetico locale di durata intermedia può essere combinato con la morfina per

l’epidurale ed associata con il meloxicam per ottenere analgesia postoperatoria

di durate di 24 ore (Fowler & coll, 2003). Se associato alla dexmedetomidina

viene prolungata la durata di vasodilatazione indotta dal blocco del simpatico

(Tezuka & coll, 2004). La durata dell’effetto di blocco del nervo radiale nel cane

è stata incrementata dall’associazione mepivacaina medetomidina (Lamont &

Lemke, 2008). Il carprofene combinato con anestesia epidurale di mepivacaina

incrementa l’analgesia postoperatoria in interventi chirurgici ortopedici

(Bergmann & coll, 2007).

BUPIVACAINA

Non esistono preparazioni medicinali veterinarie in Italia.

E’ solubile in acqua in forma di sale cloridrato e stabile alla sterilizzazione in

autoclave. Si lega alle proteine plasmatiche per il 79-90%. La forma non legata

viene metabolizzata nel fegato per N-dealchilazione. Il 10% è escreto,

immodificato, nelle urine. Questo anestetico locale è caratterizzato da un lungo

periodo di latenza e da una lunga durata d'azione. La sua potenza è quattro volte

superiori a quella della lidocaina, ma anche la sua tossicità è maggiore. In

particolare, in gravidanza sembrerebbe aumentata la sua cardiotossicità.

Gatto

In gatti anestetizzati con alotano la bupivacaina, differentemente dalla lidocaina,

ha mostrato di non sopprimere l’attività simpatica cardiaca, sebbene abbia

mostrato un effetto deprimente sulla conduzione cardiaca maggiore della

96

lidocaina (Nishikawa & coll, 1997). Pazienti felini sottoposti a onichectomia, ai

quali, sono state irrigate le ferite con mepivacaina, hanno mostrato un dolore

post anestetico minore rispetto a quelli ai quali è stata somministrata soluzione

fisiologica (Winkler & coll, 1997). Un’altra associazione con la bupivacaina è

stata fatta con la morfina, entrambe somministrate prima dell’intervento

chirurgico. Questo trattamento si è rilevato più efficace nell’indurre un’analgesia

prolungata nei gatti (ma anche nei cani) dell’associazione ossimorfone

ketoprofene (Troncy & coll, 2002). Il dolore post operatorio e le complicazioni

derivanti da intervento di onichectomia degli arti inferiori nei gatti sono state

diminuite dall’associazione tra bupivacaina e buprenorfina, rispetto alla

buprenorfina somministrata da sola (Curcio & coll, 2006). In un recente studio

condotto su gatti sottoposti ad ovarioisterectomia, paragonante l’analgesia

indotta da butorfanolo, carprofene, ketoprofene o bupivacaina, quest’ultima ha

rilevato la necessità di una dose addizionale di analgesici subito dopo (nelle

prime 4 ore) l’intervento chirurgico (Tobias & coll, 2006).

Cane

L’iniezione della bupivacaina nello spazio intrapleurico si è dimostrato efficace

e sicuro nel cane (Vadeboncouer & coll, 1990; Thompson & Johnson, 1991;

Stobie & coll, 1995; Conzemius & coll, 1994). Alcune complicazioni però

possono verificarsi dall’errato posizionamento del catetere, dalla tossicità della

bupivacaina e dal blocco neurale (Stromskag & coll, 1990). La tossicità della

bupivacaina iv in cani può risultare in convulsioni, ipotensione, fibrillazione

ventricolare, bradicardia fino all’arresto cardiaco (Groban & coll, 2001; Bruelle

& coll, 1996; Groban & coll, 2002; Weinberg & coll, 2003; Groban & coll,

2000; Liu & coll, 1983). Sebbene siano stati riportati numerosi casi di tossicità

cardiaca se iniettata nello spazio pericardico la bupivacaina non ha mostrato

fenomeni aritmici (Bernard & coll, 2006). In cani sottoposti all’ablazione

dell’orecchio la somministrazione locale di bupivacaina non ha aumentato

l’analgesia indotta dall’infusione continua di morfina (Radlinsky & coll, 2005).

97

In questa specie la levobupivacaina, isomero della bupivacaina, se

somministrata alle stesse dosi, sembra avere meno effetto sul blocco simpatico

della molecola racema (Iwasaki & coll, 2007) in quanto la forma levo ha

manifestato minori effetti collaterali a livello cardiaco (Jung & coll, 2007). Un

recente studio dimostra infine come gli effetti tossici della bupivacaina siano

dose dipendenti nei cani, e sottolinea che nella singola somministrazione

intrarticolare i rischi di raggiungere concentrazioni plasmatiche tossiche siano

bassi mentre ben più alti sono quelli associati a somministrazioni multimodali

(Bubenik & coll, 2007).

ROPIVACAINA

Non esistono preparazioni medicinali veterinarie in Italia.

La ropivacaina cloridrato è un nuovo anestetico locale di tipo ammidico a lunga

durata di azione, preparato come isomero anziché come mistura racemica come

la bupivacaina. La sua liposolubilità è intermedia tra quella della lidocaina e

della bupivacaina, mentre il legame proteico è simile a quello della bupivacaina.

Si caratterizza da tutti gli altri anestetici locali per essere un S-enantiomero in

soluzione al 99% sfruttando quindi solo le specifiche proprietà

farmacodinamiche e farmacocinetiche di questa forma chimica. La sua solubilità

nella forma commerciale è intorno a valori di pH 6. La sua clearance plasmatica

totale è di 440 ml/min, la renale di 1ml/min, il suo volume di distribuzione è di

47 l che determinano un’emivita di 1,8 ore. Il farmaco iniettato per via

peridurale mostra un assorbimento bifasico con un’emivita delle due fasi

rispettivamente di 14 minuti e 4 ore. Viene metabolizzata in maniera

predominante con idrolisi aromatica ed escreta nell’86% con le urine. Il suo

profilo farmacocinetico è: clearance plasmatica 440 ml/min; volume di

distribuzione 47 l; emivita 1,8 ore; frazione libera 0,06%; metabolita principale

3-idrossi-ropivacaina. Gli effetti collaterali sono gli stessi degli altri amidi a

lunga durata, ma in particolare si è rilevata una ridotta tossicità cardiaca rispetto

alla bupivacaina (Loftus & coll, 1995). Comunque il primo segno di

98

sovradosaggio rimane comunque a carico del SNC. Rispetto agli effetti

collaterali minori quali nausea e vomito nelle pazienti gravide, questi sembrano

essere di minore rilevanza clinica, sempre in comparazione alla bupivacaina.

Gatto

Nessun dato specifico sulla ropivacaina esiste nel gatto sebbene venga

largamente utilizzato nella pratica clinica.

Cane

In questa specie la ropivacaina, se comparata con la bupivacaina a equivalenti

concentrazioni plasmatiche, produce una durata sensoriale ed un blocco motorio

più breve (Feldman & coll, 1996). Se somministrata ad alte dosi può causare in

maniera diretta una pesante vasocostrizione a livello centrale (Ishiyama & coll,

1997). Studi sulla tossicità indicano che concentrazioni plasmatiche elevate di

ropivacaina sono meglio tollerate di quelle di bupivacaina e levobupivacaina

suggerendo un più largo range d’utilizzo di terapeutico rispetto ad altri anestetici

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RINGRAZIAMENTI

Vorrei sentitamente ringraziare il professore Giulio Soldani per avermi seguito

nella stesura di questa tesi.

Uno speciale ringraziamento al professore Mario Giorgi per la pazienza, l’aiuto

e la disponibilità.

Grazie anche ai miei familiari e agli amici che mi hanno accompagnato in questi

anni di studio.