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FROM ITALY La Nazionale Cuochi, campioni azzurri ai fornelli Food tricolore protagonista anche ad ExpoCorea Personaggi: Angelo Gaja, il re dei vini piemontesi Icif, la scuola dove gli stranieri imparano a cucinare italiano Ristoranti all’estero: il N.1 è il San Pietro di New York Grana, pasta e mozzarella, i nostri cibi più amati Viaggio nelle terme Le collezioni Guggenheim a Vercelli VDG MAGAZINE VIAGGI DEL GUSTO | ANNO 2 | N.14 | MENSILE | Poste Italiane S.p.A. – Spedizione in abbonamento postale – D.L. 353/2003 (conv. in L. 27/02/2004 n.46) art. 1, comma 1, Aut. C/RM/19/2011 | Belgio Euro 9,30 | Canton Ticino Ch.Fr. 11,50 | Costa Azzurra Euro 11.90 | Stati Uniti www.vdgstore.com WITH TASTE LA CUCINA ITALIANA CHE TRIONFA NEL MONDO www.vdgstore.com MAGGIO 2012 - EURO 4,90 DALL’ITALIA CON GUSTO 20014 9 772039 887006

VdG Magazine Viaggi del Gusto Maggio 2012

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FROM ITALY

La Nazionale Cuochi, campioni azzurri ai fornelli

Food tricolore protagonista anche ad ExpoCorea

Personaggi: Angelo Gaja, il re dei vini piemontesi

Icif, la scuola dove gli stranieri imparano a cucinare italiano

Ristoranti all’estero: il N.1 è il San Pietro di New York

Grana, pasta e mozzarella, i nostri cibi più amati

Viaggio nelle terme

Le collezioni Guggenheim a Vercelli

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www.vdgstore.comMAGGIO 2012 - EURO 4,90

DALL’ITALIA CON GUSTO

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ith taste | L’Italia del gusto va in Corea | Icif, la cucina che fa scuola | Nazionale italiana cuochi | Intervista ad A

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editoriale di Domenico [email protected] del gusto

Cari lettori, con questo numero si chiude la trilogia che – in un momento così difficile per il nostro Paese – abbiamo voluto orgogliosa-mente dedicare all’elogio del “Made in Italy” agroalimentare, alle straordinarie capacità degli attori di questo comparto ed alle potenzialità economiche e turistiche dei suoi asset. A marzo, vi abbiamo mostrato quelle che a nostro avviso riman-gono, malgrado tutto, le facce e gli aspetti vincenti del Bel Pa-ese: i personaggi, le aziende, i talenti ed i prodotti che rendono unica l’Italia del cibo, del vino, degli artigiani e della creatività. Ad aprile, abbiamo raccontato come l’enogastronomia sia di-ventata (e possa diventare ancora di più) il vero, grande volano del turismo nazionale.In questo numero di maggio, infine, abbiamo cercato di spiega-re il successo dell’italian food nel mondo, attraverso la storia di ristoratori, chef, eccellenze e produttori di altissima qualità che hanno saputo mietere consensi in ogni angolo del globo.

Quella di insistere sull’Italian style in cucina, è stata una scelta de-liberata e adottata anche a costo di apparire monotematici. Perché, a nostro avviso, in una fase storica di pesantissima con-giuntura per l’industria tradizionale italiana, l’enogastronomia – quella formata dalle piccole e medio imprese, nella fattispe-cie – è uno dei pochi fattori reali di crescita di questo Paese, as-sieme alla cultura ed al turismo. Il comparto agroalimentare, come tutti sanno, tuttora vale 250 miliardi di euro e rappresenta il 15% del Prodotto Interno Lor-do italiano. Numeri che possono crescere ancora, con un pro-gramma di investimenti mirati e una politica seria di sostegno da parte delle istituzioni. Finora, certo, non possiamo dire che ciò sia sempre avvenuto, anzi. Come vi raccontiamo attraverso l’indagine di questo me-se sul “falso Made in Italy alimentare”, spesso sono propri gli stessi enti di governo a remare contro le produzioni nazionali di qualità, piuttosto che sostenerle ad ogni costo, come succede invece nella vicina Francia. Lungi dal volerci autoincensare, ci sembra tuttavia doveroso sot-tolineare qui come il nostro giornale, la sua parte, nell’azione di supporto alle pmi dell’agroalimentare di qualità, la stia facendo “concretamente” già da un pezzo. E non soltanto attraverso i contenuti editoriali.

Che l’Italia sia un immenso e straordinario bacino di prodotti agroalimentari e luoghi ancora troppo poco conosciuti e mal distribuiti, l’abbiamo detto.Va da sé che l’ampia offerta di prodotto non riesce sempre ad incontrare l’altrettanto ampia domanda.Da qui è nata l’idea di fare incontrare queste due direttrici. Il nostro sistema è semplice: attraverso il giornale VdG fa sco-prire i prodotti (assieme ai luoghi) ai lettori, negli store di Mi-lano ne diffonde i sapori mediante degustazioni ed eventi te-matici, e con il portale www.vdgstore.com fa in modo che essi siano facilmente reperibili e acquistabili on-line in qualunque parte del pianeta.Questo sistema è ciò che un gruppo di persone appassionate è riuscito a costruire a sostegno di quella piccola medio im-presa dell’agroalimentare che è la vera spina dorsale del no-stro Paese.

In questo numero, tra le altre cose, parliamo dell’Expo che si terrà in Corea a partire dal 12 Maggio, e del gruppo di impren-ditori italiani guidato da Piero Sassone, che saranno chiamati a fungere da “ambasciatori del buon gusto italiano” nel corso di questo evento di portata mondiale. Il Ristorante Puccini-Ospitalità Italiana, infatti, farà da faro nel padiglione Italia dell’Expo a Yeosu, e i prodotti e i produttori che saranno presenti nell’offerta ristorativa tricolore in Corea, sono stati selezionati anche con l’aiuto del nostro giornale, cui è stato chiesto di fare da “segnalatore” delle eccellenze nostra-ne. Una piccola conferma – evidentemente – del buon lavoro svolto finora dal “sistema VdG”, di cui, consentitecelo, possia-mo andare fieri.Lo saremo ancora di più, tuttavia, quando chi ha responsa-bilità di governo mostrerà di aver recepito l’assunto che da tempo andiamo ripetendo come un mantra: solo il compar-to turistico-enogastronomico può far ripartire l’agonizzante economia di questo Paese.

Così il nostro giornale sostiene la diffusione del Made in Italy alimentare

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Colori compositi

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Colori compositi

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panorama38 Missione Corea

L’Italia “del gusto” sarà protagonista, con i suoi migliori prodotti anche all’Expo di Yeosu

42 La cucina italiana fa scuola ICIF, l’istituto del Monferrato che insegna

agli stranieri a cucinare italiano

44 Nazionale italiana cuochi Anche nelle competizioni ai fornelli,

i nostri campioni mietono allori e consensi 46 Il personaggio: Angelo Gaja Intervista esclusiva all’uomo che ha fatto

grandi i vini piemontesi nel mondo

50 Contraffazioni alimentariIndagine sui prodotti “italian sounding” e sull’agropirateria di casa nostra

54 ImpreseEAI: l’azienda che punta ad offrire al mercato il meglio del meglio dei prodotti nazionali

58 La storia in cucina, il prosciutto

cibo&territorio62 Il Grana Padano

Record su record per il formaggio Dop più consumato nel pianeta e unico nel suo genere

68 La pasta delle Marche Tour nel “granaio d’Italia” per scoprire storie e personaggi del nostro prodotto più amato

72 La mozzarella campana La bufala Dop continua la sua crescita e

diventa simbolo del made in Italy certificato

78 La scoperta, il Chiaretto di Cavaglià

82 Girogustando, il suino nero dei Nebrodi

84 Il buono a tavola, la Campania

86 Scienza e vita, agnello e porcetto

90 Almanacco

92 Orto, le fragole

94 Chef italiani nel mondo

sommariosommario maggio 2012

14 Dall’Italia e dal mondo

18 Occhio ai consumi

20 Fatti e contraffatti Il pomodoro, come non l’avete mai letto

24 Appuntamenti 46 la famiglia Gaja 72 mozzarella di bufala

38 Expo Corea 2012

32 Cover storyDal Lussemburgo all’Iran, dalla

Bielorussia a New York, a tavola trionfa sempre il buon gusto

tricolore. Perché al di là del valore degli ingredienti, è la

“cultura del bello” che il Bel Paese sa evocare, a conquistare

tutti. È questo il segreto del successo planetario dell’Italian

style enogastronomico

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98 Terme d’Italia

116 le mani raccontano

104 Vercelli

inviaggio98 Terme d’Italia Da Merano ad Ischia, da Bormio a Sirmione,

tutti gli indirizzi per tornare in forma con gusto

104 L’Italia in mostra: VercelliTour culturale e gastronomico nella città del risotto che ospita le collezioni Guggenheim

108 Città in 24 ore, Pisa

109 Città in 24 ore, Tunisi

110 L’arte dell’accoglienza

piaceri114 I piaceri di Bacco Il Brunello di Montalcino, vino rosso

conquistatore dei popoli

116 Le mani raccontano Nuccio Schepis, lo scultore e calcografo che “cura” i capolavori dell’arte

118 Benessere

120 Trendy

122 Shopping

124 Libri

125 Arte

sommariosommario maggio 2012

126 Le selezioni

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Via Maffucci, 52 20158 MilanoTel. 02 3761436

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AbruzzoMichele Caracino Gaetano Castaldi

CalabriaSalvatore ChiarellaLucia LipariAntonio RomeoRaffaele Romeo

CampaniaFerdinando Cappuccio Luisa Del SorboRosalia Imperato

Emilia-RomagnaLucrezia ArgentieroLuca Bomezzadri Marco Landucci Gianpietro NagliatiGiancarlo Roversi Luca Sardi Nerino Trentini Fruttuoso Zucchini Luca Campana

Friuli Venezia-GiuliaValentina Coluccia

LazioFrancesco Maria Bucarelli Domenico Bruno Paola Caselli

Alessandro Mei Giovanni Merone Francesca Oliverio

LiguriaAlessandro Baffigi Barbara Bacigalupo

LombardiaCesare Assolari Roberto Bonsi Massimiliano Bruni Michele CortiFranca Dell’Arciprete ScottiLorenzo FotiFrancesca Frediani Valentina GavariniEugenio MeloniUmberto Mortelliti Aldo Pagnussat Giampaolo Perna Barbara Pinnetti Saro Trovato

MarcheMichela PallonariFerruccio Squarcia

MoliseGiovanni Scapagnini

PiemonteFabio Alcini Silvana Delfuoco

Gian Nicolino NarducciMauro Rosta Sarah Scaparone

PugliaBruno Micai Jolanda De Nola Nunzio Pacella Mariella Piscopo Sergio Siciliano

SardegnaRoberto Dall’Acqua Annalisa BernardiniLino Erriu

SiciliaCesare Aldesino Marco Scapagnini

ToscanaElena ContiMarco Ghelfi Antonio Tartarelli

TrentinoFrancesca Negri

UmbriaM. Pia Fanciulli

VenetoBenedetta Frare

Direttore ResponsabileDomenico Marasco

Coordinamento editorialeFrancesco CondoluciTel. 02.89053250

EditingGilda Ciaruffoli

Grafica e impaginazioneDaniel AddaiCarlo Fontana

Foto EditorGiuseppe Magaretti

Foto: giglioLab Stampa: PuntoWeb Srl 00040 Ariccia (Roma)

Distribuzione ItaliaMessaggerie Periodici ME.PE. S.p.A. Via G. Carcano 3220141 Milano tel. 02895921fax 0289504932

Editore:Morgan Edizioni SrlVia Hoepli 320121 Milano

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Direttore commerciale: Ruggero Marasco

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abbonati e la possibilità di richiederne gratuitamente la rettifica o la cancellazione ai sensi dell’art. 7 del D. leg. 196/2003 scrivendo a:Morgan Edizioni SrlSede legale: via Solari 1220144 Milano Redazione: viale Zara 2820124 Milano tel. 0289053250 fax 0289053290Registrazione Tribunaledi Milano n. 92 del 10/02/2011

Cerchiamo agenti e venditori di spazi pubblicitariViaggi del Gusto Magazine, AirOne Magazine e Ursa Major Magazine cercano persone di professionalità affermata, o da formare, nel settore della vendita di spazi pubblicitari e nel ruolo di agenti di commercio. L'area di lavoro è individuata nelle seguenti regioni: Lombardia, Piemonte, Friuli Venezia Giulia, Emilia Romagna, Toscana, Puglia, Calabria, Campania, Liguria, Valle d’Aosta.I candidati interessati sono invitati a spedire il proprio curriculum a [email protected]

Verde Intenso

M O N O C U L T I V A R C A R O L E A

in vendita presso Vie del gusto StoreViale Zara,28 Milano - tel. 02/89053250

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Pullman Timi Ama SardegnaLocalità Notteri09049 Villasimius (CA) SARDEGNA – ITALIASTANDARD: +39 070 79791FAX RESA: + 39 070 797285E-mail: [email protected]

• 275 camere, di cui 4 suite e 11 Deluxe• 3 ristoranti – 4 bar• 4 sale meeting per una capacità fi no a 350 persone• Attività sportive e team building su misura• Istituto Thalasso & Spa

Ci sono viaggi che il vostro corpo non dimentichera..…non dimentichera..…non dimentichera..…non dimentichera..…

Un ambiente eccezionale tra terra e mare, nel cuore dell’Area Marina protetta di Capo Carbonara. Infinita spiaggia di sabbia bianca nella splendida baia del Timi Ama. Tutti i sapori del Mediterraneo e un concept di show-cooking nei 3 ristoranti dell’hotel.Il benessere più assoluto presso il moderno Istituto Thalassa sea & spa.

Pullman Timi Ama Sardegna*****

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ROSANNA ERCOLE MELLONE Con un DNA metà piemontese e metà toscano, non poteva non essere una buona forchetta, una discreta cuoca e un’appassionata di food. Per soddisfare la sua “fame”, oltre che cronista alimentare, è diventata docente di Comunicazione della Nutrizione e dell’Alimentazione all’Università S. Raffaele di Roma e “mamma” di Identità Immutate ®, movimento non profit per la tutela dei piccoli territori custodi di produzioni enogastronomiche della tradizione e di nicchia.

ISA GRASSANOLucana di nascita, bolognese d’adozione. Da piccola sognava di fare l’hostess o la giornalista. Quando s’è resa conto che non avrebbe superato l’1,60 di altezza, ha ripiegato sulla seconda opzione. Ma non ha rinunciato ai viaggi ed al turismo, di cui scrive con passione e competenza. Tra voli aerei e pagine da riempire, ha anche trovato il tempo per creare un divertente manuale sulle “101 cose da fare Gratis in Italia”.

RICCARDO LAGORIOÈ nato a Brescia 44 anni fa, vive con la valigia sempre pronta, il bloc-notes e la penna sempre in mano, ferri del mestiere di cronista vecchio stampo. Allievo prediletto di Luigi Veronelli, lo hanno definito “food scout”. Di scoperte del patrimonio gastronomico ne ha fatte davvero molte, migliaia. Tutte provate nei luoghi d’origine: la sua corporatura ne è testimone.

ROBERTO RABACHINOPiemontese, 54 anni, giornalista, scrittore, docente universitario e sommelier. Ha fatto del vino una ragione di vita e di lavoro: al punto che lo scorso anno a New York è stato eletto presidente dei degustatori di vino di 29 nazioni nel mondo. Presiede anche l’associazione italiana dei giornalisti dell’agroalimentare e, per non farsi mancare nulla, con il suo “Vocabolario del vino” ha vinto il Concorso Internazionale Libri da Gustare.

GIUSEPPE PULINASassarese dalla nascita 55 anni fa, insegna zootecnia speciale nell’università della sua città e, con i Sardi, condivide, oltre all’aria ed alla terra, soprattutto il mare. Che ama solcare in canoa, quando non é troppo occupato a studiare il perchè tutti ritengano le pecore poco intelligenti.

contributors maggio 2012

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Stock Spirits Group lascia l’Italia. Il gruppo, controllato dal fondo ame-ricano Oaktree specializzato in ristrutturazioni, ha annunciato la chiu-sura della storica fabbrica di Trieste aperta nel 1884 e il trasferimento della produzione, dal prossimo mese di giugno, nello stabilimento in Repubblica Ceca. Stock Spirits Group è un marchio storico del made in Italy, produttore tra gli altri di Limoncè e vodka Keglevich, il cui nome resta indissolubilmente legato al suo brand più conosciuto: il liquore Stock ’84 che per anni – con l’inconfondibile jingle “Se la tua squadra

del cuore ha vinto brinda con Stock ‘84, se la squadra del cuore ha perso consolati con Stock ‘84” – ha accompagnato le domeniche degli italiani durante la trasmissione sportiva radiofonica Tutto il calcio di Radio Rai. La decisione, annunciata ai primi di aprile, di chiudere lo stabilimento italiano lasciando senza lavoro decine di dipendenti, è sta-ta giustificata “da un contesto commerciale che risente della contra-zione dei consumi e dalla necessità di restare competitivi, consolidando la produzione per ridurre i costi e aumentare l’efficienza”.

Il commentoEra già finito in mani straniere nel ‘95, dopo oltre un secolo di storica produzione a Trieste. Un brandy, lo Stock ’84, così “italiano” da scegliere, non a caso, di legarsi allo sport preferito di casa nostra, il calcio, e alla trasmissione sportiva più seguita dai calciofili prima dell’avvento della pay-tv. Ma non solo: il gruppo Stocks Spirit Group è lo stesso che produce il Limoncè, il più famoso in commercio tra i limoncelli, altro liquore “molto italiano”. Tra un mese, in quest’azienda, quando la produzione si sposterà a Praga, di italiano rimarranno solo i ricordi. E questa dello Stock, è solo la punta dell’iceberg di un fenomeno che sta acquisendo dimensioni sempre più pre-occupanti. Il made in Italy ormai parla sempre più straniero. I giganti dell’industria globale da anni infatti fanno shopping nell’agroalimentare tricolore. I primi marchi italiani storici a finire in mano straniera, conglobati dal voracissimo colosso svizzero Nestlè, tra gli anni ’80 e i ’90, sono stati Buitoni, Perugina, San Pellegrino, Antica Gelateria del Corso e Locatelli. Poi è toccato alla Invernizzi, venduta all’americana Kraft e in seguito ai francesi di Lactalis, quindi alla Birra Peroni, acquisita dall’azienda sudafricana SABMiller, alle Fattorie Scaldasole finite nel gruppo francese Andros e ai Gelati Algida fagocitati dalla multinazionale anglo-olandese Unilever. Tra il 2005 e il 2008, mentre Lactalis metteva le mani anche su Galbani, gli spagnoli del gruppo SOS facevano man bassa nel settore oleicolo, comprando uno dopo l’altro, i marchi Sasso, Carapelli, Minerva e Bertolli. Tra lo scorso anno e l’inizio del 2012, in appena 12 mesi, il made in Italy è riuscito quindi a perdere, nell’ordine, la storica casa di vini e spumanti Gancia (ceduta ai russi della vodka Russki Standard), la Parmalat (per mano della solita Lactalis) e infine la Antonino Russo-Pelati AR, il primo produttore italiano di pomodori pelati finito a gennaio nell’orbita della giapponese Mitsubishi Corpora-tion. Un vero e proprio stillicidio di acquisizioni che, oltre ad aver reciso quei “legami con il territorio” che hanno fatto le fortune dei nostri brand enogastronomici, solo nel 2011 ha visto andare in fumo, per il Pil nazionale, un fatturato di 5 miliardi di euro. Il giornale britannico The Economist, di recente, con riferimento proprio alle ul-time cessioni, ha titolato “I capitali esteri salveranno l’industria italiana”, sostenendo che gli investimenti stranieri in Italia possono ridare respiro a un’economia asfittica. Sono molti infatti a derubricare i cambiamenti di bandiera di alcuni dei prodotti-simbolo dell’Italia e della dieta mediterranea, all’attuale debolezza economica del Bel Paese, alla paralisi del suo sistema creditizio, alla stagnazione politica e all’inges-samento del mondo del lavoro. Tesi condivisibile, ma fino a un certo punto. L’Italia agroalimentare, come abbiamo visto, è diventata terra di conquista da parte dei ricchi speculatori di mezzo mondo, da più di 20 anni. In tempi, cioè, in cui lo Stivale non si trovava nelle secche recessive dell’ultimo triennio. Forse, allora, è più verosi-mile pensare a una mancata tutela dei marchi nazionali da parte delle istituzioni. Per trovare un esempio illuminante di cosa si sarebbe potuto e dovuto fare, del resto, basta guardare nell’orto del vicino: quello dei francesi. Il cui proverbiale sciovinismo, ogni tanto magari andrebbe preso a modello. Invece di lasciare che si inizi con l’im-portare materie prime dall’estero e si finisca con la chiusura e la delocalizzazione degli stabilimenti italiani all’estero. Speriamo che Trieste insegni qualcosa.

Il made in Italy parla sempre più straniero

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dall’Italia e dal mondo di Francesco condoluci

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Usa: classificati i prodotti ad alto rischio contraffazioneOlio d’oliva, latte, miele, zaffera-no, succo d’arancia, caffè e succo di mela: sono questi gli alimenti più suscettibili di adulterazio-ne secondo una classificazione stilata dalla Us Pharmacopeial Convention (USP), un’organiz-zazione statunitense no profit tra le cui finalità c’è l’impegno a sviluppare metodi analitici standardizzati per assicurare il massimo di identità, qualità e purezza agli ingredienti e ai sup-plementi alimentari. A riportare la classifica, redatta da Jeffrey Moore, della Michigan State University, in base ai dati conte-nuti in oltre 1.300 segnalazioni di frodi (1.000 provenienti da esperti e 250 dai media e 50 da altre fonti), è stato il Journal of Food Science.

Africa: emergenza fame nel Sahel, 300mila i bambini a rischioQuasi 12 milioni di persone stanno affrontando, in Africa, una gravissima crisi alimentare, a seguito di piogge irregolari che hanno depauperato i raccolti e inasprito la siccità. Ancora una volta a essere colpita è la regione cosidetta del “Sahel”, ovvero la fascia di territorio desertico che si estende dall’Oceano Atlantico fino al Corno d’Africa, passando per gli stati dell’Africa Centro Settentrionale quali: Mauritania, Mali, Burkina Faso, Niger, Ciad, Senegal, Sudan ed Eritrea. Per gli abitanti del Sahel, rimasti a corto di acqua e di cibo, si tratta della quarta crisi alimentare dal 2005 ad oggi, e a nulla sono valsi finora gli appelli di Onu, Fao e dell’associa-zione internazionale Oxfam per scongiurare la catastrofe umanitaria ed evitare le paventate 300 mila morti infantili causate da fame e malnutrizione. L’Ue ad oggi ha stanziato 280 milioni di euro e altri 120 milioni di dollari sono in arrivo dagli Usa, ma per tamponare l’emergenza, secondo le stime delle Nazioni Unite, ci vorrebbero 724 milioni di dollari e, soprattutto, l’aiuto dei singoli paesi europei.

Più arancia nelle aranciate, presto una legge dello Stato Dopo aver rischiato di avallare il paradosso delle “aranciate senza arance” (lo scorso anno era stata quasi approvata la riduzione al minimo della presenza di succo d’arancia nelle confezioni di questa bevanda), la Camera dei Deputati ha invertito la rotta. La Commissione Agricoltura ha dato infatti il via libera a una proposta di legge che impone ai produttori di confezionare aranciate con almeno il 20% di succo. Al di sotto di tale soglia percentuale, in sostanza, le aranciate non potranno più essere definite tali. L’iniziativa è stata voluta dal deputato Nicodemo Oliverio secondo il quale, grazie a questo intervento che innalza la percentuale di succo di frutta presente nelle bevande analcoliche a base di frutta (diverse dai succhi di frutta), «si produrranno ricadute positive nella tutela della salute dei consu-matori, di innalzamento della qualità delle bibite prodotte e di vantaggi economici per i produttori di frutta». L’obiettivo è anche quello di assicurare ai consumatori un’informazione corretta nelle etichette. Ora, perché la proposta diventi norma, serve l’approvazione definitiva della Camera.

Crisi: nuovo aumento dei prezzi per pasta, riso e cereali da colazioneEnnesima stangata per le tasche degli italiani. A breve il caro-cibi si farà sentire ulteriormente, por-tando a un aumento dei prezzi dei generi alimentari di prima necessità. In particolare, a subire il rincaro saranno pasta, riso e cereali da colazione, i cui costi saliranno del 5%. Un nuovo salasso che andrà a ripercuotersi sui consumatori, già provati dal +4% registrato rispetto all’anno scorso. Dietro l’aumento dei prodotti tra i più richiesti sulle tavole, quello dei prezzi alla produzione. Con punte del 9% (pomo-doro) e dell’8% (carne, caffè e zucchero), e sostan-ziosi aumenti anche dei latticini (+4%) e delle uova (+5%). A pesare sul costo delle derrate alimentari è anche il deprezzamento dell’euro sul dollaro, oltre ai rincari delle materie prime energetiche e delle tariffe. Un quadro complesso, in cui i prezzi dei cibi seguono la stessa tendenza.

news

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Menù a base di astici & Prosecco Doc: in arrivo i ristoranti tematici Astici & prosecco: un accostamento suggestivo e di classe che presto sarà suggellato da una proposta gastronomica ad hoc. È quella dell’Obsteria, un progetto ristorativo che prevede l’apertura a Cesenatico, all’inizio dell’estate, di un particolarissimo locale, la cui linea di cucina è basata sugli astici, presentati in tutte le salse, da quella più “casual” e giovanile di un panino al sapore di mare alla cenetta più raffinata per coppiette e business men. Dopo questo primo esperimento è prevista una successiva diffusione del format tramite franchising. L’idea è nata dalla fantasia e dall’esperienza, maturata in tutto il mondo, dello chef Ignazio Mondin e dalla capacità organizzativa, specificatamente americana, della moglie Dina. La loro proposta si è quindi sposata al Prosecco Doc, che sarà presentato nel ristorante come abbinamento racco-mandato, con un’apposita Carta dei Prosecchi. Il gustoso connubio ristorativo tra gli astici e il prosecco è stato annunciato al Vinitaly 2012, con la benedizione dello stesso Consorzio del Prosecco Doc.

Ichnusa Cruda: una birra vera e intensa per festeggiare il centenario dell’azienda Simbolo di amicizia e socializzazione, Ichnusa condivide i festeg-giamenti per il suo centesimo compleanno con tutti i suoi appas-sionati consumatori regalando loro una nuova sorpresa. Jennas, la birra non pastorizzata dal sapore vero e intenso, si presenta al pubblico con una immagine completamente rivisitata e un nuovo naming di grande impatto: Ichnusa Cruda. Dalla qualità dei mastri birrai sardi nasce quindi una birra dal sapore intenso che conserva immutati tutti gli aromi della birra appena spillata grazie al pro-cesso di microfiltrazione. Ichnusa Cruda è infatti fresca e naturale come se fosse appena spillata, nonostante garantisca un periodo di consumo che raggiunge i 9 mesi. Il nuovo look enfatizza la qua-lità e l’origine del prodotto, sottolineando il legame con Ichnusa e dunque con la Sardegna, mentre la bottiglia, caratterizzata da una linea slanciata e un profilo distintivo, è proposta per la prima volta anche nel formato da 33 cl.

Pago passa al biologico e lancia sul mercato i nuovi succhi BioPago ha presentato la sua nuova linea Bio di succhi ottenuti esclusivamente da frutta proveniente da coltivazioni biologiche. L’ingresso di Pago nel biologico rappresenta la risposta al continuo apprezza-mento da parte dei consumatori, in Italia e nel resto d’Europa, dei prodotti da agricoltura biologica. Con il lancio dei nuovi succhi Bio, Pago intende offrire ai consumatori più attenti al naturale e sensibili alla provenienza del prodotto una perfetta combinazione di massima qualità e di gusto. A riprova di un approccio al biologico senza compromessi, sulle etichette dei succhi Bio Pago campeggia il mar-chio europeo di produzione biologica (il cosiddetto Euro-leaf), che viene concesso alle aziende che osservano alla lettera i più elevati standard di legge sulla produzione di cibi e bevande da agricoltura biologica. La nuova linea è presente nei negozi specializzati Bio e nei reparti food delle erboristerie con i gusti Pago Bio Mela Pressata 100% e Pago Bio Arancia 100%, due succhi “classici”, per i quali sono stati utilizzate 10 diverse varietà di mela coltivate con metodo biologico, per il primo, e arance della varietà Valencia provenienti da coltivazione biologica per il secondo.

Nuovi liquori al sapore di grappa, uva e liquirizia per Mazzetti d’AltavillaPer un piacere ghiacciato, adatto alla stagione estiva, Mazzetti d’Altavilla ha creato liquori a base di Grappa piemontese, adatti a un consumo responsabile e, allo stesso tempo, giovane e di tendenza. Dall’incontro fra la Grappa invecchiata e le radici di liquirizia nasce quindi Black Rizia, un liquore a bassa gradazione alcolica dal gusto persistente e irresistibile. I “distillatori dal 1846” hanno inoltre ideato Cafeina, liquore a base di Grappa invecchiata dal gusto intenso grazie all’uso di veri chicchi di caffè. In Essentia Vitae, altro prodotto estivo di Mazzetti d’Altavilla, le uve di Moscato, Malvasia e Ruchè hanno invece ispirato la declinazione di altrettanti spiriti dai profumi delicati ma persistenti; tre i prodotti legati alle rispettive fragranze di gelsomino, rosa canina e viola. Tutte le proposte dell’azienda si potranno degustare in cima alla collina di Altavilla Monferrato, presso la sede della grapperia, domenica 27 maggio (dalle 10 alle 18) nell’ambito di Cantine Aperte quando si terranno visite, assaggi e abbinamenti gastronomici con ingresso e consumazioni gratuiti.

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companies

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Dopo anni di studio e simulazioni, un gruppo di esperti agrari, economisti e tecnici ha messo a pun-to un piano che prevede il recupero delle zone ru-rali dismesse. Lo studio ha tenuto conto sia dell’at-tuale situazione economica generale sia della fattibilità sia delle conquiste tecnologiche. Il piano al contempo si prefigge di:• Creare nuovi posti di lavoro.• Recuperare zone rurali dismesse, creando nuove

abitazioni in classe energetica d’eccellenza e perfet-tamente inserite nel paesaggio.

• Produrre sul territorio cibi biologici che vengano im-messi in commercio e consumati a Km Zero.

• Produrre in loco tutta l’energia necessaria.• Trasformare gli eventuali immobili rurali obsoleti

esistenti in rete museale dell’arte contadina ita-liana, utilizzando gli eventuali crediti edilizi peri nuovi immobili.

Il piano parte dalla considerazione che interi compar-ti produttivi agricoli, soprattutto appenninici, sono at-tualmente abbandonati data la scarsa convenienza economica della coltivazione tradizionale. Di frequen-te anche gli immobili rurali risultano abbandonati, e cadono in rovina data la mancanza di manutenzione. Anche la possibilità di vendita dei poderi diventa un’operazione ardua. Al contempo, in Italia scarseg-gia il lavoro e di frequente i disoccupati perdono an-che la casa. Tutto ciò mentre si importano, con con-seguente inquinamento legato al trasporto, prodotti agricoli dai paesi stranieri. Il progetto, assai articolato, prevede nel punto principale la dismissione degli im-mobili obsoleti, antieconomici nella gestione, mante-nendoli quali testimonianza di epoche rurali passate o, in alternativa, adibendoli ad agriturismo. Al con-tempo, prevede di utilizzare i relativi crediti edilizi de-rivanti dalle dismissioni immobiliari per la costruzione di residenze e immobili di servizio, di bassissimo costo di realizzazione (circa un ottavo dell’usuale) grazie al-la totale predisposizione progettuale e costruttiva e all’utilizzo di tecnologie e materiali innovativi. Tutti gli immobili sono inoltre dotati di impianti fotovoltaici e geotermici per la loro indipendenza energetica. Serre fotovoltaiche completano le coltivazioni intensive. Si precisa che sono previste numerosissime e differenti soluzioni, legate alle varianti peculiari della specifica iniziativa, alle caratteristiche di territorio e alle produ-zioni intensive previste, tutte con relativo piano eco-nomico completo sia relativo alla fattibilità sia di eser-cizio. La messa a reddito, in particolare, può avvenire sia con intervento diretto sia attraverso l’uti-lizzo di gruppi di lavoro, quali cooperative agricole a proprietà divisa o consorzi, che consentono l’inseri-mento lavorativo di disoccupati cui viene assegnata l’abitazione e una specifica zona produttiva. Il coor-dinamento della cooperativa, mediante la vendita dei prodotti, garantisce lo stipendio ai cooperatori e la rendita alla proprietà. È inoltre prevista una parte del raccolto per l’autoconsumo, nonché possibili spacci aziendali. Tutte le fasi previste dalle procedu-re sopra elencate sono incentivate dalle attuali norme nonché finanziabili a tassi agevolati, tutte ben indivi-duate nelle procedure d’esecuzione e relative tempi-stiche. A breve il via alla prima iniziativa. Per tutti co-loro che desiderino maggiori informazioni rivolgersi alla casella [email protected].

Per un’abitare sostenibile

Recuperare, ripopolare e rivalutare le zone rurali dismesse per vivere meglio

Messo a punto un piano che prevede il recupero delle immobili obsoletie la creazione di nuovi abitati a impatto zero

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occhio ai consumidi Marco Bacchetta e Danila reposi

associazione civici consuMatoriwww.civiciconsuMatori.it

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Capo Coda Cavallo Club Hotel Baja Bianca

Nella costa nord/orientale della Sardegna, al centro dell’Area Marina Protetta Tavolara: la chiave d’accesso per un’isola magica in cui coesistono natura, mistero, bellezza e tradizione

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Alle porte di Baia Sardinia, una delle mete più ambite dell’Isola e località rinomata per la vicinaza al centro della vita mondana della Costa Smeralda, oltreché per le sue innumerevoli calette e spiagge.

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Risalendo a ritroso fino alle sue origini atzeche, approfondiamo la conoscenza dell’alimento partner per vocazione della pasta simbolo dell’italian food. Quel frutto rosso e tipicamente estivo, venuto da lontano, che utilizziamo in mille modi, ma della cui etichetta sappiamo forse troppo poco

Lo sapevate che il pomodoro appartiene alla stessa famiglia delle patate e delle melanzane, e che tutti questi prodotti sono stati introdotti in Europa con la scoperta dell’America? Il pomodoro è originario del Centro America dove, grazie alle temperature favorevoli, dà frutti tutto l’anno. In Europa però la sua funzione, alle origini, fu prettamente orna-mentale, i suoi frutti infatti erano ritenuti veleno-si a causa dell’alto contenuto di solanina (la stessa sostanza contenuta nelle parti verdi della patata). Per la forma a cuore, e per il colore rosso, venne poi usata nel ‘500 e nel ‘600 come componente importante dei filtri d’amore (gli inglesi lo chiama-vano love apple, i francesi pomme d’amour, i te-deschi libes apfel). Quando si è smesso di credere alle pozioni magiche, questi appellativi sono stati sostituiti da tomate che deriva dall’atzeco tomatl. È stato fatto però un errore: il tomatl è una pian-ta più piccola, con frutti giallo-verdi, utilizzata an-che oggi nella cucina del Centro-Sudamerica e che noi chiamiamo tomatillo; per gli atzechi, il nome del nostro pomodoro era xtolatl, cioè grande to-matl. In Italia invece, il nome di questo ortaggio, uno dei più conosciuti al mondo, è sempre sta-to “pomodoro”. La sua importanza simbolica era così riconosciuta che nel 1640 la nobiltà italiana ne regalò quattro piante al cardinale Rischelieu in segno di riconoscenza, e i nobili del tempo erano soliti regalare piantine di pomodoro alle dame del cuore. Insomma, piantine di pomodoro al posto di rose rosse!

Tipologie e zone di produzione Oggi è inimmaginabile la nostra tavola senza il po-modoro: i ciliegini con gli aperitivi, i San Marzano per sughi e brodetti, poi quelli per insalate, fino ai pomodori utilizzati come frutta. È chiaro che, es-sendo l’utilizzo così diffuso, altrettanto ampia de-ve essere la produzione. Con il tempo, nuove tipo-logie, dovute a un’accurata scelta genetica, sono apparse sul mercato per i diversi utilizzi. In Italia ne sono stati catalogati 300 tipi, 1700 in tutto il mondo: dai pomodori bianchi come il Whi-te Queen, a quelli gialli come il Douche de Picardie, a quelli rosa come il Thal Pink. E ancora: arancioni come il Moonglow, verdi anche a maturazione co-me il Green Zebra, violacei come il Nero di Crimea. I più conosciuti, in Italia, sono:

• Cuore di bue: 200-500 gr, pochi semi, buccia sottile polpa rosso-rosata, dolcissimo. A causa delle sue dimensioni e alla cura richiesta al mo-mento della raccolta, non si presta a grandi col-tivazioni ma a piccole produzioni di qualità.

• Verde insalataro: colore tra il verde e il rosso, frutti tondi leggermente costoluti, pochi semi, ottimo sapore, buono impanato e fritto.

Il pomodoro come non l’avete mai letto

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fatti e contraffatti di Marishel Fecchi

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• Perino: il nome deriva dalla forma allunga-ta. Rosso, con molta polpa, tipico da sugo. Fa parte di questo gruppo il famoso San Marzano (Dop).

• Camone Sardo: molto rustico e adattabile, rosso-arancio con la parte superiore verde scuro è presente solo nel periodo invernale.

• Pomodoro del Vesuvio o Piennolo (Dop): una delle qualità più antiche. Il nome deriva dalla pratica di conservazione che avviene legando alcuni grappoli fra loro per formar-ne un più grande che viene poi sospeso in locali ben areati assicurandone la conserva-zione per tutto l’inverno. La coltivazione nei pressi del mare, su un terreno vulcanico, con sole a profusione, fa di questo pomodoro un prodotto davvero particolare dal sapore ca-ratteristico e inconfondibile. Nota: mai visto nei supermercati!

• A grappolo liscio: tondo, adatto alle colti-vazioni in serra.

• Ciliegino: come quello a grappolo ma più piccolo.

• Datterino: cigliegino di forma allungata.

Ho lasciato queste tre tipologie per ultime, no-nostante abbiano un’importanza considerevole dal punto di vista commerciale, perché sono le specie che meglio si adattano alla coltivazio-ne in serra e a questo gruppo appartengono i pomodori di importazione. Coltivazione in ser-ra, specialmente per prodotti di importazione

dai Paesi Bassi, vuol dire piante non coltivate in terreno ma su supporti artificiali, alimentate con acque arricchite artificialmente in ambien-ti riscaldati ma mai baciati dal sole, raccolti non maturi perché matureranno durante il viaggio. Sono quelli a disposizione tutto l’anno: belle palline rosse inodori e insapori. Il pomodoro, a parte il Camone, è una pianta estiva. Prima che l’uomo avesse la presunzione di sostituirsi alla natura era disponibile solo per un paio di me-si all’anno e per questo si è imparato a conser-varlo, ma partendo da un prodotto coltivato in maniera naturale. Con un prodotto di serra non si riesce a fare un sugo, rimarrà sempre acido, manca la quantità zuccherina necessaria che si sviluppa nel frutto solo attraverso la fotosinte-si che avviene in proporzione all’intensità della luce. Non è questo però l’unico motivo per cui si dovrebbero evitare i prodotti che provengono da coltivazioni in serra: pensate allo spreco di acqua e alle emissioni di N2 dovute alla combu-stione di gas per il riscaldamento. Avete capito: il mio è un invito a mangiare prodotti di stagio-ne, per il bene di tutti oltre che per il piacere del palato! Anche il Lycopene lo sa (vedi box) e in-fatti si sviluppa solo a irradiazione solare diretta e a una temperatura tra i 12 e i 32°C, davvero difficili da raggiungere nel Nord Europa.

La conservazione: nata in tempi di guerraA parte i sistemi a uso famiglia, e possibili solo in determinate aree, come per il piennolo o per

Un po’ di storiaIl pomodoro si diffonde in Europa attraverso la Spagna a seguito dei Conquistadores, con il dominio spagnolo entra in Italia e la sua coltivazione si sviluppa subito nell’area tra Napoli e Salerno. La prima documentazione storica sulla commestibilità dei pomodori risale alla fine del XVII secolo e questo sia nel sud dell’Italia che in Francia ma con una sostanziale differenza: in Italia il pomodoro è presente sulla mensa di tutti, in Francia solo su quella dei re. Vien da dire “egalitè al pomodoro”. L’utilizzo del pomodoro come condimento è invece relativamente recente. Goethe nei suoi viaggi in Italia non lo nomina. Nel 1835, Alexandre Dumas (l’autore de I Tre Moschettieri) descrive vari tipi di pizza quasi tutte ancora in bianco, quella con il pomodoro è una variante minore. Allora si mangiava “bianco” (non “in bianco” nel senso odierno), simbolo di purezza. Si aggiungevano poi cannella, miele e altre spezie per dare sapore o per coprire i difetti. Il primo documento in cui si parla di pasta al pomodoro risale al 1839. Don Ippolito Cavalcanti, duca di Buonvicino, nella sua Cucina Tecnica Pratica, ci parla di quello che diventerà il simbolo del mangiare italiano, ovvero la “pasta col pomodoro”, codificando quanto molto probabilmente era già di uso comune…ma sulla mensa dei poveri, che sono analfabeti!

Preferite sempre pomodori coltivati secondo tempi e modi naturali. Con i prodotti di serra infatti il sugo rimarrà sempre acido, perché manca la quantità zuccherina necessaria che si sviluppa nel frutto solo attraverso la fotosintesi che avviene in proporzione all’intensità della luce

Per la forma a cuore, e per il colore rosso, il pomodoro venne usato nel ’500 e nel ’600 come componente dei filtri d’amore

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i pomodori seccati al sole, in Italia si è sviluppata una vera industria per la conservazione di questo prodotto. Il tutto è iniziato sotto Napoleone che, facendo guerre a grandi distanze da casa, aveva bisogno di sistemi per evitare il deterioramento del cibo per i suoi soldati. Il cuoco Nicolas Appert (1749-1841) ha vinto il premio messo in palio per aver messo a punto il sistema di sterilizzazione in vaso (quello che utilizziamo ancora noi per le pas-sate e per le marmellate). Quasi contemporanea-mente, sempre per la stessa necessità di conser-vazione di alimenti, sono stati messi a punto in Inghilterra i recipienti a banda stagnata (le nostre scatolette). In Italia, verso la metà dell’800, sia nella provincia di Parma che in quella di Piacenza si pro-ducevano pani di polpa essiccata al sole, l’odierno concentrato. Nel 1867 il torinese Francesco Cirio viene premiato all’Expo di Parigi per aver messo a punto “una delle più utili invenzioni moderne”. Lo stesso signor Cirio che creerà nel 1875 a Napoli la prima industria conserviera del pomodoro. In Italia si svilupperanno quindi due poli industriali: quello del concentrato al Nord, quello dei pelati e delle passate al Sud.

Consigli su come leggere l’etichetta e orientarsi nell’acquistoDi seguito, l’elenco degli ingredienti che devono essere citati in ordine decrescente sulle etichette. Prima di tutto non deve essere citata l’acqua: se viene menzionata, vuol dire che la sua presenza supera il 5% e può voler dire che il secco è ricavato da concentrato con aggiunta di acqua. Se è presente la dicitura generica “aromi” vuol dire che sono aromi di sintesi, altrimenti sarebbe scritto “aromi naturali”. Con E da 100 a 199 vengono indicati i coloranti: in prodotti derivati dal pomodoro, se il prodotto di base è raccolto al giusto punto di maturazione, non sono necessari. Nel 2010, i prodotti a base di pomodoro prove-nienti dalla Cina arrivati in Italia sono aumentati del 130%, parliamo di 153.358 tonnellate per un valore di 189,5 milioni di euro. Oltre a ciò, ci sono ancora 108.509 tonnellate pari a 66 milioni di eu-ro in TPA (traffico di perfezionamento attivo) cioè prodotto in via di lavorazione. Sono quantitativi importanti che danno da pensare, ma, purtroppo, solo con analisi di laboratorio si riesce a scoprire se ci sono contraffazioni, e queste ci sono a prescin-dere dal luogo di produzione.Infine, per voi, qualche regola d’oro che vi guide-rà negli acquisti. Scegliete se possibile un prodot-to Dop. Controllate che ci siano meno ingredienti possibili (pomodoro e succo). Controllate, infine, peso e peso sgocciolato (su una scatola da 400 gr, il peso dello sgocciolato è circa 250-260 gr).

Lycopene: cos’è e a cosa serveIl lycopene è un carotinoide. I carotinoidi sono coloranti naturali presenti in molti vegetali, mai negli animali, con funzione antiossidante, di cui si conoscono molte centinaia di varianti. Il lycopene è presente nelle carote, nelle angurie, nella papaia, negli asparagi, nel pompelmo rosa, e non è presente nelle ciliege, nelle fragole, nelle arance rosse, dove sono presenti altri carotinoidi, ma non questo. Il pomodoro presenta il maggior contenuto di lycopene tra la frutta e la verdura presenti da noi. Anni di studi hanno messo in evidenza una correlazione tra il consumo di pomodori e la comparsa di tumori. Il mondo scientifico è d’accordo sulla funzione preventiva di questa sostanza, in modo particolare per la prevenzione del tumore alla prostata, delle malattie cardio-vascolari, dell’osteoporosi, del diabete, dell’infertilità maschile e di molte altre forme patologiche. Il lycopene non è idrosolubile, si scioglie solo alla presenza di solventi organici e olio. È il motivo per cui se si mette del sugo con olio e pomodoro in un contenitore di plastica (cosa caldamente sconsigliata), questo si colora, mentre nel vetro non succede: quindi, perché venga assimilato va necessariamente unito all’olio. Mentre alcune vitamine, come per esempio la vitamina C, sono termosensibili, cioè sono distrutte dal calore, il lycopene non solo è insensibile, ma cuocendo il pomodoro l’acqua evapora e questo si concentra. Il lycopene è davvero formidabile, è 100 volte più potente della vitamina E e ha una funzione fondamentale contro l’invecchiamento della pelle dovuta agli ultravioletti (che, guarda caso, sono massimi da noi in estate quando maturano i pomodori, mentre nel centro America, poiché vicini all’equatore, gli ultravioletti sono costanti e i pomodori portano il frutto tutto l’anno). Grazie natura!

Qualche definizione

• Pelati: pomodori allungati privi di buccia con succo.

• Passata: succo parzialmente concentrato con un residuo secco compreso tra il 7% e il 12%.

• Polpa:pomodori pelati e cubettati in diretta in quanto lavorati appena raccolti.

• Triturati: polpa priva di buccia e semi triturati con succo ristretto.

• Succo: polpa e succo al naturale o con aromi per bevande.

• Concentrato: succo concentrato con residuo secco al netto di sale aggiunto. Ne abbiamo diversi tipi a seconda della concentrazione, e cioè 12% semi-concentrato, 18% concentrato, 28% doppio concentrato, 36% triplo concentrato.

• Disidratato: succo disidratato ridotto in polvere o in fiocchi utilizzato dall’industria (sughi pronti, aggiunte a minestroni,

a formaggi etc.).• Ketchup: concentrato con

aggiunta di aceto e zucchero.

In alto, gli ottimi pomodorini secchi, tipici di buona parte del sud Italia

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fatti e contraffatti

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di Gilda Ciaruffoli

Toscana NoN il soliTo briNdisi Oltre 80 cantine, dalle Alpi Apuane all’Argentario, si ritrovano per l’XI

edizione di Anteprima Vini della Costa Toscana, evento che celebra

“l’altra Toscana” del vino con una due giorni di degustazioni, incontri, show-cooking, banchi d’assaggio, campioni in anteprima ed eventi speciali. Fra le

novità, una mostra-mercato con tipicità gastronomiche del territorio, un punto vendita e il gemellaggio internazionale

con i vini delle Bulgaria. Foto: Matilde Pardini.

5-6 maggio, Lucca Info: www.anteprimavini.com

lazio

Nuovo spazio alla birraTutto è pronto per la quarta edizione dell’Italia Beer Festival, manifestazione itinerante dedicata alla promozione della birra artigianale. L’edizione 2012 è la prima a essere accolta presso gli avveniristici locali dell’Atlantico, la moderna struttura polivalente basata sul mix di estetica, funzionalità e design che ospiterà il Festival per i prossimi cinque anni. Protagonisti come sempre i migliori microbirrifici che, grazie ai tanti banchi d’assaggio, possono presentare il loro prodotto e iniziare i meno esperti ai segreti della lavorazione artigianale. 4-6 maggio, RomaInfo: www.degustatoribirra.it

Emilia-Romagna Più tiPico di così…!Il comune di Brisighella può vantare numerosi pro-dotti tipici, come il piccolo Carciofo Moretto che potrebbe essere definito più “autoctono dell’autoc-tono”. Infatti quello vero si trova solamente nel co-mune di Brisighella e, ancor più con precisione, so-prattutto nei tipici calanchi gessosi con una buona esposizione al sole. Per celebrare questo prodotto, prende vita la Sagra del Carciofo Moretto durante la quale gustare le molte e gustose ricette che con questa eccellenza del territorio si possono realizzare Foto: Fabio Liverani.6 e 13 maggio, BrisighellaInfo: www.brisighella.org

sardegna Buon comPlEanno costa smERaldaLa Costa Smeralda brinda ai suoi primi 50 anni con le stelle del vi-no italiano protagoniste del Porto Cervo Wine Festival. Occasione di incontro tra 60 produttori, in rap-presentanza dei principali territo-ri enologici italiani, la kermesse è il

primo dei tanti appuntamenti che gli hotel Cala di Volpe, Cervo, Pitrizza e Romazzino pro-pongono per celebrare l’anniversario della destinazione fondata dal Principe Karim Aga Khan nel 1962. A fare da cornice alle degustazioni, che saranno ospitate dalle ore 15 alle 19 all’interno del Cervo Conference Center, diversi momenti di incontro e proposte golose.4-6 maggio, Costa Smeralda (Ss) - Info: www.portocervowinefestival.com

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piemonte E il gusTo fioriscE Torna Riso e Rose in Monferrato, tre fine settimana ricchi di appuntamenti dove il riso la fa da padrone e le rose incoronano i borghi collinari, dalla piana del Po fino alla Lomellina. Percorsi naturalistici, arte, artigianato, cultura, intrattenimento alla scoperta di giardini, ville, castelli ricchi di storia e profumi. Si riconferma la formula ormai collaudata negli anni con successo: un unico contenitore per circa una trentina di eventi che seguendo il segno del riso e delle rose conducono i turisti di borgo in borgo alla scoperta di castelli e colline in fiore, dove durante le soste non mancano mai i mercatini di sapori legati al riso, alle rose e al vino di qualità.12-27 maggio, località varie – Piemonte Info: www.risoerose.blogspot.it

lombardia la musica aRRiva in cittàSi preannuncia come uno degli ap-puntamenti culturali più attesi di que-sta primavera la straordinaria tre gior-ni/evento Piano City Milano con i suoi oltre 100 concerti di pianoforte diffu-si in tutta la città. Ad alternarsi sulla scena house concerts ospitati in abi-tazioni private (aperte al pubblico), esibizioni in piazze, teatri e giardini della città ed eventi spe-ciali con grandi nomi della musica, concertisti professionisti, studenti, semplici amatori e alcuni fra i più noti pianisti italiani e internazionali, per una manifestazione capace di offrire nell’arco di un intero weekend, un modo non convenzionale di vivere e ascoltare la musica, di riscoprire la città e di condividere la cultura. Foto: Laura Weber.11-13 maggio, Milano - Info: www.pianocitymilano.it

campania un wEEk End filantE Il tradizionale appuntamento annuale che Paestum dedica alla valorizzazione delle eccellenze enogastro-nomiche, Le Strade della Mozzarella,quest’anno si apre a tutti gli ingredienti della Dieta Mediterranea, invitando gli ospiti a scoprirne i prodotti di qualità per le strade dell’Area Archeologica di Paestum e del centro storico di Agropoli. Al ricco programma di de-gustazioni e laboratori dedicati al formaggio a pasta filata più famoso al mondo, si affianca un ventaglio di itinerari e visite guidate a cantine vitivinicole, a caseifici e allevamenti bufalini. Foto: Morena Fortino.7 al 9 maggio, Paestum e Agropoli (Sa)Info: www.lestradedellamozzarella.com

Emilia-romagna riTorNo al posTo dEllE fragolELa Sagra della fragola, evento ormai consolidato nel panorama nazionale, si svolge nella cittadina di Lagostanto che si trasforma per l’occasione nella capitale italiana della produzione del dolce frutto rosso. La gustosa kermesse gastronomica offre al pubblico degustazioni, percorsi gastronomici tematici, il mercato di prodotti tipici e diverse proposte di ristorazione con piatti, ovviamente, a base di fragola. Da non perdere l’evento Fragola nel piatto, disfida ai fornelli tra giovani cuochi durante la quale vengono preparati piatti a base di fragola in seguito giudicati da cittadini e addetti ai lavori.12-13 e 19-20 maggio, Lagosanto (Fe)Info: www.prolocolagosanto.fe.it

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Toscana assaggi paradisiaci Divino Tuscany è una manifestazione riservata ai nomi più blasonati della grande enologia toscana e ai loro vini icone riuniti in un contesto di straordinario appeal, all’interno di spazi di nobile eleganza e antico splendore. Nel corso di quattro giorni, seminari, degustazioni guidate, grand tasting, galà e cene più intime vedono protagonisti le bottiglie più prestigiose di oltre 50 aziende vitivinicole al top. Quartier generale della kermesse quest’anno la splendida location del Grand Hotel Villa Cora sulle colline proprio sopra il Giardino di Boboli. 17-20 maggio, FirenzeInfo: www.divinotuscany.com

veneto bolliciNE, sushi E cavialEVino in Villa, Festival Internazionale del Prosecco Superiore, fa sposare le bollicine più amate d’Italia con tradizioni, culture e sapori diversi. Durante le giornate di festa, i visitatori possono infatti degustare la cucina giapponese rappresentata da sushi e sashimi e quella russa, con salmone affumicato, caviale rosso di salmone e pirozhki di carne: sapori insoliti che il pubblico ha qui l’occasione unica di abbinare a oltre 300 etichette di Conegliano Valdobbiadene Prosecco Superiore. 19-21 maggio, Castello San Salvatore Susegana (TV)Info: www.prosecco.it

lombardia mEtti un gioRno in cascinaTorna l’ormai tradizionale giornata di festa dell’agricoltura lombarda, per conoscere i prodotti, i luoghi, la cultura e i protagonisti delle campagne della regione. Per Corti e Cascine è una mani-festazione che propone una giornata di animazione, nelle campagne di tutta la regione, coinvol-gendo più di 100 aziende agricole e agrituristiche. Durante la giornata, gli agricoltori offrono al

pubblico la possibilità di visitare gli allevamenti e le coltivazioni, di conoscere da vicino i proces-si di trasformazione e di capire come si faccia agricoltura oggi, sapiente mix di modernità e tradizione. I visitatori possono partecipare alle degustazioni e acquistare i prodotti freschi o trasformati, tradizionali e biologici. 20 maggio, località varieInfo: www.turismoverdelombardia.it

Torna con la sua IV edizione PorchetTiamo, il festival delle porchette d’Italia. Questo straor-dinario cibo di strada, vero e proprio cult della tradizione gastronomica italiana, è protagoni-sta per tre giorni attraverso degustazioni, ab-binamenti, esposizioni e visite al territorio. Obiettivo di PorchetTiamo è quello di far cono-scere soprattutto le porchette del Centro Italia

(l’evento, infatti, coinvolge le principali regio-ni produttrici: Abruzzo, Lazio, Toscana, Marche e Umbria) e di valorizzare e far vivere il centro storico del piccolo borgo

umbro e l’intero territorio.18-20 maggio, San Terenziano Gualdo Cattaneo (Pg) Info: www.porchettiamo.com

umbria stREEt food all’italiana

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appuntamentimaggio

Toscana il gusTo dEll’EsTaTE Il Firenze Gelato Festival è un evento unico a livello nazionale capace di richiamare il grande pubblico amante della qualità del dolce ghiacciato e dedicato al made in Italy d’eccellenza, specchio della più alta cultura gastronomica capace di mettere insieme qualità degli ingredienti, ricercatezza e innovazione per realizzare il migliore gelato italiano di qualità. L’evento promette di stupire con nuovi gusti, inediti gelato-cocktail, e percorsi gastronomici che abbinano il gelato e a piatti preparati dagli chef più quotati. Ai visitatori il compito di eleggere il miglior gusto, proclamare il gelatiere dell’estate 2012 e vincere bellissimi premi.23-27 maggio, Firenze - Info: www.firenzegelatofestival.it

trentino-alto adige PastEggiando lungo il fiumEIn occasione della Passeggiata dei Sapori, sul lungo-fiume del Passirio, per cinque giorni vengono allestite oltre trenta casette che offrono tutti i sapori non so-lo dei prodotti locali ma anche del resto d’Italia. Tut-ti i prodotti offerti sono selezionati da un gruppo di esperti per garantire, oltre al gusto genuino, anche il rispetto dell’ambiente e l’equità della loro distribu-zione e commercializzazione. Le aziende produttrici presenti, infatti, sono realtà di piccole dimensioni e operano secondo sistemi non industriali. 24-28 maggio, Merano (Bz)Info: www.meranerland.com

sicilia pEr lEggErE la ciTTàA Ragusa la ricchezza storica, architettonica e culturale si sposa con quella del panorama editoriale italiano in occasione di A Tutto Volume: quattro giorni di incontri e di confronti per un festival che si propone di mettere insieme le voci che, nel corso dell’anno, si stanno distinguendo nella scena letteraria italiana. Gli eventi si svolgono tra Ragusa Superiore, il cuore moderno della città, e Ibla, il suo incredibile angolo Barocco. Il festival, inoltre, è un’occasione per scoprire la variegata offerta enogastronomica ragusana, che spazia dalle melanzane al tonno, dagli arancini alla cioccolata, passando per cannella e carruba. Foto: M. Riccardi. 24-27 maggio, RagusaInfo: www.atuttovolume.org

lazio antichi saPoRi RitRovatiLa Tiella e l’Oliva di Gaeta è la manifestazione che rende possibile degustare le diverse tipologie di tielle e conoscere il segreto della preparazione di questa antica pietanza direttamente dalle massaie locali. La storia della tiella di Gaeta, sorta di pizza ripiena di ver-dure o pesce, si lega infatti indissolubilmente alla sto-ria della città: basti pensare che il primo documento ufficiale nel quale è riportato il suo nome è contenu-to nel Codex Diplomaticus Caietanus del 997! Inoltre per l’occasione è possibile assaporare la famosa oliva di Gaeta, conosciuta già dai tempi di Enea. 25-26 maggio, GaetaInfo: www.gaetavola.org

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appuntamenti in breve

1 Le VirtùL’antico piatto propiziatorio con 50 in-gredienti di stagione si assaggia soltan-to a Teramo e solo il primo del mese di maggio. Alla preparazione partecipano le famiglie e i ristoranti, in una celebra-zione che coinvolge tutta la città. Info: www.comune.teramo.it1 maggio, Teramo – Abruzzo

2 Kaminezit e Majit Una festa tipica della cultura Arbëresh che fa ballare e cantare tutta la comuni-tà, con dei grandi falò che illuminano le strade del centro storico.Info: 0981730121-3 maggio, Civita (Cs) – Calabria

3 Carrese Gara di carri riccamente addobbati e traina-ti da buoi, guidati per le strade del paese.Info: www.ururi.com3 maggio, Ururi (Cb) – Molise

4 Sagra del carciofo bianco La sagra non è solo un percorso culinario: attraverso questo evento infatti viene promosso anche il territorio con le sue bellissime grotte.Info: www.sagradelcarciofobiancodi-pertosa.it4-6 maggio, Pertosa (Sa) – Campania

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5 Innalzamento della Maja Rito ancestrale accompagnato da mu-siche popolari e degustazione della porchetta con patate e polenta.Info: www.coccau.it5 maggio, Tarvisio (Ud) Friuli-Venezia Giulia

6 Sagra agroalimentare Ottima occasione per degustare la moz-zarella di bufala e l’olio extravergine del-le colline pontine.Info: www.comune.priverno.latina.it6 maggio, Priverno (Lt) – Lazio

7 Il Palio di TarantoI dieci gozzi del Palio, rappresentanti i rioni storici della città, sono i protago-nisti della regata che si svolge nelle ac-que di Mar Grande e Mar Piccolo. Info: www.palioditaranto.it8 maggio, Taranto – Puglia

8 Modena Terra di Motori Più di un mese ricco di appuntamenti: una grande mostra dedicata a Gilles Villeneuve a 30 anni dalla scomparsa, ma anche il passaggio della Mille Miglia e la rievoca-

zione dell’antico circuito cittadino. Info: www.modenaterradimotori.com8 maggio-10 giugno, Modena Emilia-Romagna

9 Umbria Water FestivalPrimo festival internazionale dedicato all’ac-qua come risorsa del pianeta da conoscere e salvaguardare. Un evento diffuso sull’in-tero territorio del Cuore Verde d’Italia.Info: www.umbriawaterfestival.it17-20 maggio, località varie – Umbria

10 Festa alle CascineTradizionale manifestazione che apre la stagione delle sagre enogastronomiche della regione. Serate danzanti, fiere e grandi grigliate.

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12 Franciacorta in fiore Mostra mercato di fiori e piante, rare e classiche. Il Campo dei Sapori offre ai visitatori una vasta scelta di erbe aroma-tiche e alimenti di alta qualità.Info: www.franciacortainfiore.it18-20 maggio, Cazzago San Martino (Bs) – Lombardia

13 Sagra del Calcione e del Raviolo Tipicità del maceratese in festa.Info: www.comune.treia.mc.it18-20 maggio, Treia (Mc) – Marche

14 Cavalcata Sarda Sono più di 300 i paesi sardi che sfilano nei costumi tradizionali, tra danze e canti.Info: www.comune.sassari.it18-20 maggio, Sassari – Sardegna

15 Sagra dei BisiDurante la manifestazione si possono degu-stare piatti tipici, lasagne coi bisi e risi e bisi e vini Soave – Valpolicella delle colline locali.Info: www.comunecolognola.it18-22 maggio, Colognola ai Colli (Vr) Veneto

16 Nebbiolo Prima Open Anteprima dei tre grandi vini piemonte-si, Barolo, Barbaresco e Roero, da degu-stare in compagnia dei produttori.Info: www.hotelcalissano.com19 maggio, Alba (Cn) – Piemonte

17 Mostra della ricotta e dei formaggi della Valle del Belice Durante la manifestazione gli allevatori-ca-sari danno dimostrazione pratica del ciclo di produzione del formaggio.Info: www.poggioreale.tp-net.it19 maggio, Poggioreale (Tp) – Sicilia

18 Candelo in FioreAiuole artistiche segnano un suggestivo percorso sensoriale tra le mura e le torri del borgo medievale del Ricetto.

Info: www.candeloeventi.it19-27 maggio, Candelo (Bi) – Piemonte

19 Zola Jazz&WineSei serate in compagnia di complessi jazz, seguite dalla degustazione dei rinomati vi-ni dei Colli Bolognesi Doc.Info: www.zolajazzwine.it25 maggio-26 giugno, Zola Predosa (Bo) Emilia-Romagna

20 Dialoghi sull’uomoNel centro storico della città incontri, spettacoli, dialoghi e reading. Info: www.dialoghisulluomo.com25-27 maggio, Pistoia – Toscana

21 Festa della focaccia di ReccoCelebrazione del gusto tipico ligure.Info: focacciadirecco.it27 maggio, Recco (Ge) – Liguria

22 Sagra del MaggioTra le rappresentazioni dei “culti arbo-rei” sopravvissute, questa manifestazio-ne è la più fedele all’antica tradizione.Info: www.ilmaggiodiaccettura.it27 maggio, Accettura (Mt) – Basilicata

23 Cantine AperteCompie 20 anni il principale appunta-mento in Italia per scoprire il mondo e la cultura del vino direttamente nei suoi territori di produzione. Info: www.movimentoturismovino.it27 maggio, località varie

Info: www.regione.vda.it17-20 maggio, Pont-Saint-Martin (Ao) – Valle d’Aosta

11 Mostra Vini e Giornate del Pinot NeroLa città in festa ad accogliere operatori e ap-passionati per degustazioni e wine party du-rante le due storiche manifestazioni che si svolgono tra Bolzano, Egna e Montagna. www.mostravini.it - www.blauburgunder.it18-20, Bolzano; 19-21 maggio, Egna e Montagna (Bz) – Trentino-Alto Adige

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38 Missione Corea L’Italia “del gusto” sarà protagonista, con i suoi migliori prodotti anche all’Expo di Yeosu

42 La cucina italiana fa scuolaICIF, l’istituto del Monferrato che insegna agli stranieri a cucinare italiano

44 Nazionale italiana cuochiAnche nelle competizioni ai fornelli, i nostri campioni mietono allori e consensi 46Il personaggio: Angelo GajaIntervista esclusiva all’uomo che ha fatto grandi i vini piemontesi nel mondo

50 Contraffazioni alimentariIndagine sui prodotti “italian sounding” e sull’agropirateriadi casa nostra

54 ImpreseEAI: l’azienda che punta ad offrire al mercato il meglio del meglio dei prodotti nazionali

da pag. 58Rubriche• La storia in cucina

Panorama

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di Riccardo Lagorio

Tutto il mondo ai piedi della cucina italiana

Se c’è una cosa che tutto il mondo continua a invidiare all’Ita-lia – anche in questa fase in cui il credito del Bel Paese, presso la comunità internazionale, tra spread e scandali vari, sem-bra essere ai minimi storici – quella è la cucina. Lo dicono gli esperti e lo confermano le ricerche: non ultima quella con-dotta, appena pochi mesi fa, da Futurebrand, una multina-zionale che si occupa di strategie commerciali e che ha cer-tificato questo assunto dopo aver intervistato, in ogni angolo del globo, un vasto campione di utenti. Il nostro turismo dun-que, può sempre puntare su questo straordinario elemento di richiamo: meno invece sulle attrazioni culturali (rispetto alle quali, l’Italia è seconda, dopo la Francia) e sullo shopping, dav-vero poco sulla qualità degli hotel, l’economicità e la qualità della vita, la cui percezione da parte del turista internazionale ci vede abbastanza lontano dalle prime posizioni.

Dal Lussemburgo all’Iran, dalla Bielorussia a ogni altro angolo del globo, il leit-motiv è sempre quello: a tavola, trionfa sempre il buon gusto tricolore. Perché al di là dell’indubbio valore degli ingredienti, è la “cultura del bello” che il nome del nostro Paese sa evocare, a conquistare tutti. È questo il segreto del successo planetario dell’Italian style gastronomico

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In alto, la fornita cantina del Ristorante Dal Notaro (Lussemburgo) di Mario Notaroberto

Vongole mon amour Nella cucina italiana convergono tutti quei sa-peri che rendono la penisola unica, con il suo stile irripetibile: nel bene e nel male. Va da sé: l’italiano che lavora nella ristorazione all’este-ro funge da biglietto da visita per l’intero paese. Ma c’è di più: non si può escludere che l’otti-ma considerazione che si ha della nostra cuci-na nel mondo sia dovuta proprio alla capacità dei connazionali che, nei decenni, sono riusciti a imporsi lontani dalle mura domestiche grazie ai loro tour de main e forse grazie a un patrimo-nio di materie prime nei confronti delle quali i concorrenti internazionali non reggono la sfi-da. Lo dice bene Mario Notaroberto, del Risto-rante Notaro a Lussemburgo. «Il piatto più ap-prezzato dai nostri clienti sono gli spaghetti alle vongole, che riceviamo dalla laguna di Venezia solo il mercoledì. Fanno a gara per aggiudicar-si una delle 25 porzioni: finite quelle, bisogna aspettare il mercoledì successivo». Nel limite del possibile i prodotti sono tutti italiani e vengono consegnati settimanalmente: mozzarella di bu-fala campana, radicchio di Treviso, paccheri di Gragnano. Ottimi riscontri riscuotono anche i piatti del giorno, quelli elaborati con ciò che si è reperito sul mercato nei quali si addensa l’estro italiano, ottenendo grandi piatti da ingredien-ti semplici. Scorrendo, ad esempio, la carta del Notaro si incontrano gli scialatelli con il pomo-dorino di Corbara, un risotto al radicchio di Tre-viso o le orecchiette fresche con cime di rapa: un mix di carboidrati, fibre e vitamine, geniale oltre che gustoso, e soprattutto “very Italian sty-le”. Come del resto tutto Italian style è il Notaro: dalle materie prime al personale, che da 20 an-ni è italiano. «Abbiamo selezionato il personale direttamente in Italia: così ci capiamo meglio» scherza sornione il titolare Notaroberto. In tutto il Lussemburgo, anche il vino italiano si è fatto strada e ora surclassa in quantità vendute quel-lo francese anche grazie all’imponente carta di quasi 1400 etichette italiane disponibili. Siamo un po’ ambasciatori in territori lontani. «Nel so-lo Lussemburgo – ci spiega ancora Mario – ci

sono due ristoranti italiani stellati. A noi ricono-scono l’indubbio valore degli ingredienti, ma an-che la “cultura del bello” che il nome del nostro Paese sa evocare».

Le vere ambasciate del Made in ItalyUn concetto, quest’ultimo, condiviso, a migliaia di chilometri di distanza dal Lussemburgo, anche da Reza Mirza Amin, ex studente iraniano alla Facoltà di architettura di Padova che in Italia si è

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innamorato (pure) della cucina. Tanto da avere aperto il Ristorante Murano in una zona resi-denziale di Teheran, lontano dal traffico caotico della megalopoli persiana. «La cucina italiana è come un’opera di Botticelli, straordinariamen-te elegante nella sua semplicità – dice Reza – i clienti sono consapevoli della capacità italiana di preparare piatti gustosi e genuini. In Iran sono presenti numerosi ristoranti etnici, ma al nostro è riconosciuto quel qualcosa in più che l’Ita-lia suscita: arte, buon gusto, moda. Da questo punto di vista non abbiamo concorrenti cinesi o turchi, ma neanche francesi». Il Ristorante Mu-rano è forse l’unico locale iraniano dove si può consumare una pizza molto simile a quella che si trova nelle pizzerie italiane. Ma anche la pa-sta non è niente male. «Purtroppo non sempre riusciamo a garantire prodotti italiani nel risto-rante perché esistono limitazioni alle importa-zioni e pochi prodotti italiani sono presenti sul mercato – chiosa il titolare – così li acquistiamo a Padova durante i nostri viaggi e quando sono finiti ci dobbiamo accontentare di quelli tur-chi, come l’olio o l’aceto balsamico». Segno che l’immagine, anche un po’ sbiadita se vogliamo, della nostra tavola, riscuote pur sempre grande interesse. Qui bisognerebbe aprire un capito-lo sui prodotti che scimmiottano quelli italiani, ma ce ne occupiamo in un altro servizio. Per chi è fondamentale l’utilizzo di materie pri-me italiane è invece Giuseppe Zanotti, da due anni a gestire la cucina del Ristorante Falcone di Minsk, in Bielorussia. «Penso che sia fondamen-tale usare materie prime italiane, se si vuole fare una cucina italiana autentica e originale – sostie-ne Giuseppe – anche perché la cucina italiana si contraddistingue dalle altre soprattutto per i differenti ingredienti regionali e le diversità tra zona e zona del paese». Con una intelligente precisazione, orgoglioso di essere emiliano (è di Salsomaggiore Terme) Zanotti si lascia andare a un affondo: «l’offerta gastronomica italiana va gustata e assaporata più che appresa da repor-tage e commenti. La cucina della mia terra ha dato vita ad alcuni piatti classici dell’italianità

In alto, l’ingresso del Ristorante Murano di Teheran. Sotto Giuseppe Zanotti del Ristorante Falcone di Minsk

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nel mondo, proprio grazie ai prodotti locali che questa terra ha saputo generare». E cita alcune di quelle perle: dal prosciutto crudo all’aceto balsamico tradizionale, dalle tigelle allo gnocco fritto. È insomma uno stile riconoscibile nella sua perfezione che rende appetibile la cucina italiana: «La raffinata clientela che abbiamo, ita-liana o straniera che sia, da Joe Cocker a Sarah Conner, va matta ad esempio per gli gnocchi di zucca e amaretti ripieni di mascarpone su cre-ma di pistacchi di Bronte e per i tagliolini al nero di seppia con broccoli ed asparagi bianchi. Ad-dirittura la ricca clientela bielorussa sta lascian-do la vodka per passare al vino italiano».

La semplicità: garanzia di bellezzaProprio perché la cucina italiana parte dal bas-so è appetibile a tutto il genere umano, o quasi. Pizza e spaghetti al pomodoro insegnano. An-che in Bielorussia non esiste una vera e propria concorrenza alla cucina italiana, semmai il ri-schio è che si aprano ristoranti che hanno solo l’insegna tricolore senza che chi segue la cu-cina, e men che meno le materie prime, siano italiane. Possibilità molto concreta che si appa-lesa viaggiando da un continente all’altro. Chi conosce l’autentica cucina italiana sa invece che non è frutto di chissà quali strategie o al-chimie, ma è orchestrata dalla (seppur eccelsa) disponibilità di prodotti genuini e con gusto, un patrimonio che semplicemente va valoriz-zato e incrementato grazie alla genialità gene-rata dalle campagne. E da questi ambasciato-ri che sono i ristoratori. Se sono circa 70mila i ristoranti con insegna italiana nel mondo è proprio perché l’attrazione di quell’indizio tricolore sa essere da traino per un numero crescente di consumatori, dall’Australia al Ca-nada, dalla Bielorussia all’Iran. Anche questo deve essere di buon auspicio per il decollo del turismo in Italia, malgrado infrastrutture e ca-pacità ricettiva, come dicevamo all’inizio, non facciano molto onore a quei nostri connazio-nali che fanno di tutto per tenere alto il nome dell’Italia all’estero.

Ristorante Dal NotaroTour Jacob 149ClausenLussemburgoTel. (00352)423070

Ristorante Murano137, Pasdaran St.TeheranIranTel. (0098)021 22761950

Ristorante FalconeUl. Korolya, 9MinskBielorussiaTelefono (00375)172002999

Scelti per voi

Reza Amin, titolare iraniano di un ristorante italiano a Teheran, dichiara:

«La cucina italiana è come un’opera di Botticelli,

straordinariamente elegante nella sua semplicità. E i clienti

sono consapevoli della capacità italiana di preparare piatti gustosi

e genuini»

Dall’alto: le tigelle, tra le perle offerte dal Ristorante Falcone; Adriano Galliani in compagnia di Giuseppe Zanotti; e, in basso, le vongole, utilizzate Dal Notaro per realizzare il piatto che va per la maggiore: gli spaghetti con le vongole (che arrivano in Lussemburgo ogni mercoledì dalla laguna di Venezia)

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Benvenuti al San Pietro,

riconosciuto come “il migliore ristorante italiano fuori d’Italia”

nell’ambito del Premio Ospitalità Italiana –

Ristoranti Italiani nel Mondo.

La sua storia è anche quella dei fratelli Bruno,

i primi a mettere in un menù newyorkese

fave e cicoria, branzino al sale

e colatura di alici

di Gilda Ciaruffoli

Quando Antonio e Gerardo Bruno atter-rarono su suolo americano, il piatto più noto della cucina italiana negli USA era il vitello alla parmigiana. Pura invenzione. Come lo era l’usanza comune di servire la carne con un piatto di pasta di accom-pagnamento. L’anno era il 1976 e i fratelli Bruno, nati e cresciuti a Salerno – diplo-mati presso l’Istituto Alberghiero di Po-tenza il primo (lo chef), e in amministra-zione alberghiera il secondo – ci misero davvero poco a rendersi conto di come a Manhattan mancasse una rappresen-tazione reale della cucina del sud Italia. Quale sfida poteva rivelarsi più invitante per due giovani, ma preparatissimi e intra-prendenti, esperti della materia come lo-ro? Fu così che nel 1984 decisero di aprir-

Uno spicchio d’Italia nella Grande Mela

ne uno loro di ristorante, sull’81ª strada: e quello del Sistina fu un successo imme-diato. Tra i ricordi più cari del periodo per Antonio e Gerardo, l’amicizia con Mar-cello Mastroianni. «Ogni qual volta Mar-cello passava a Manhattan veniva dritto al Sistina, dove in cucina, con nostro grande piacere, amava improvvisare i suoi piatti casalinghi», ricordano i due fratelli. L’en-tusiasmo suscitato dalla loro genuina cuci-na meridionale fu tale che, nel 1992, ven-ne inaugurato un locale più grande, l’oggi pluripremiato San Pietro, sull’elegante 54ª strada. In menù proposte basate sull’anti-co precetto di una dieta sana e bilanciata, secondo la tradizione della Scuola Medi-ca Salernitana dei secoli X e XII. Pioniere in America, Antonio ha infatti riscoperto

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alcune antiche ricette della tradizione campana dando loro una nuova e più fresca vitalità: come il branzino al sale, che reintroduce il metodo di cottura – già noto ai tempi dell’Impero Roma-no – di cucinare il pesce in crosta di sale; o la colatura d’alici, un altro piatto di tradizione mil-lenaria che consiste nel fermentare le acciughe all’interno di un vaso di argilla e ricavarne un succo con cui condire la pasta. Per rimanere fe-dele alle proprie radici culinarie, ogni settimana Antonio fa arrivare direttamente da Campania, Puglia, Calabria, Sicilia e Sardegna l’85% de-gli ingredienti che utilizza, dalla verdura fresca, ai formaggi, alla pasta. Inoltre lo chef seleziona personalmente le migliori carni provenienti da Nuova Zelanda, Stato di New York e Canada, così come il migliore pescato tra cui acciughe, pesce San Pietro, moscardini e frutti di mare di

Costiera Amalfitana, Israele e altre aree no-te per la qualità del loro pescato. Utilizzando solo erbe e sapori freschi, Antonio prepara anche il pane nel forno in mattoni, così co-me originali formati di pasta. Non meno fon-damentale il contributo di Gerardo Bruno, che del ristorante San Pietro è Presidente, e si è fatto riconoscere negli anni come amba-sciatore “ufficioso” della cucina italiana negli Stati Uniti. Rimasto fedele alla sua missione di promuovere l’autentica e storica cucina del sud Italia con i suoi ingredienti sempli-ci, la combinazione classica dei cibi, la pre-sentazione naturale, Gerardo sottolinea: «la clientele business del San Pietro può confer-mare con quanta risolutezza un’impresa deb-ba agire per sopravvivere nell’ambiente più challenging al mondo, quello di Manhattan». Quella stessa clientela è testimone dell’ap-porto che Gerardo dà al ristorante in termini di sensibilità e valori europei: una celebrazio-ne dei puri e semplici tesori della natura nel rispetto dei più alti standard possibili, acco-gliendo i clienti come in famiglia.

Come la Scuola Salernitana insegna«Nutriente per il corpo e l’anima. Questo è il nostro motto, che esprime la sag-gezza dei nostri antenati originari di Salerno», spiega lo Chef Antonio Bruno, che prosegue: «manteniamo viva questa filosofia nella nostra cultura così come nella nostra cucina». I gestori del San Pietro, infatti, sono rimasti fedeli a un’an-tica tradizione che affonda le sue radici nella grande Scuola Medica Salernitana attiva tra il X e il XII secolo. Non solo prima scuola medica occidentale, questa celeberrima istituzione fu anche la prima a dare accesso alle donne e a quasi ogni credo religioso. «La Scuola di Salerno promuoveva una dieta sana e bilan-ciata, regolare esercizio fisico e uno stile di vita a basso indice di stress. Una pre-scrizione notevole, oggi ancora attuale», ci spiegano i fratelli Bruno. «Fedeli a questa tradizione, mettiamo le verdure fresche alla base di ogni piatto del no-stro menù. Ogni settimana proponiamo, direttamente dal Mar Mediterraneo, una varietà di pescato davvero unica, che include il pesce San Pietro e le preli-bate acciughe della costa ischitana. Per una cucina sana e a basso contenuto di colesterolo, usiamo solamente il miglior olio extra vergine di oliva, con acidità dello 0% proveniente dalle nostre tenute di famiglia a Salerno. Le nostre canti-ne sono rifornite con le più prestigiose etichette di vino al mondo e siamo fieri di poter offrire ai nostri clienti la più completa selezione di vini del sud Italia, che comprende vitigni antichi come l’Aglianico». Per nutrire l’anima, il San Pietro promuove anche la storia e la cultura italiane, sia preparando feste in stile anti-ca Roma, sia promuovendo un nuovo libro sull’impero di Cesare.

Eccellenza premiata Oltre al recente Premio Ospitalità Italiana – Ristoranti Italiani nel Mondo, negli anni il San Pietro ha ricevuto numerose onorificenze e riconoscimenti in Italia e negli Stati Uniti. Tra i principali, ricordiamo quello come miglior ristorante italiano negli Stati Uniti dalla città di Giffoni; il premio per la più autentica cucina italiana e la migliore carta dei vini ricevuto dal governo italiano, e il premio miglior ristorante italiano all’estero dall’Istituto Ambasciate Ambasciatori della Cucina Italiana. Negli Stati Uniti, il ristorante ha ricevuto il premio d’eccellenza dal Wine Spectator dal 2001 al 2009, il premio cinque stelle diamante dell’American Academy of Hospitality Sciences, il Premio distinzione della guida Zagat e il premio Chefs 2000.

In apertura, Gerardo Bruno, il presidente del ristorante San Pietro, e suo fratello Antonio, lo chef, la cui formazione si è svolta

presso celebri ristoranti nel nostro paese (come il Rizzi di Roma, l’Hotel Amalfi di Venezia e il ristorante La Rina di Genova, dove ha lavorato con lo chef Carlo Bissolotti, dal quale ha

appreso la raffinata arte della preparazione del pesce) e i migliori locali italiani di New York. Qui sopra, la sala

principale del San Pietro, sull’elegante 54ª strada di Manhattan

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Un tempo Corea, nell’immaginario collettivo italiano, era solo sinonimo di “vergogna cal-cistica nazionale”. Come scordare il fino ad allo-ra sconosciuto dentista nordcoreano Pak Doo Ik che ai mondiali del ’66 fece piangere l’Italia intera, buttando fuori a sorpresa, con un suo gol, la nazio-nale azzurra dei celebratissimi Rivera, Mazzola e Bulgarelli? Da allora, però, di acqua sotto i ponti ne è passata parecchia. La Corea è sempre divisa in due dal 38° parallelo voluto dagli alleati dopo la Seconda Guerra Mondiale e tra i due stati (il Nord comunista e filocinese e la democrazia capitalisti-ca filoamericana della Corea del Sud) continua a

Samsung, Hyundai, Lg: i brand coreani sono entrati massicciamente nelle nostre

vite. E adesso anche l’Italia guarda al 38° parallelo con la giusta attenzione

verso un’economia crescente che offre grandi opportunità di business. L’Expo di Yeosu

è quindi la vetrina ideale per mettere in mostra le nostre eccellenze. Quali?

Ovviamente quelle del food&wine

di Francesco Condoluci

Missione Coreaper l’Italia “del gusto”

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storiedall’Italia che merita

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non correre buon sangue, ma oggi, a forza di high-tech, automobili ed elet-

trodomestici, i coreani – quelli del Sud, al-meno – si sono ritagliati tutto un altro ruolo (e

tutto un altro peso) nella nostra società. Tanto che oggi, almeno 4 italiani su 10 possiedono un telefo-nino di marca Samsung, guidano una Hyundai o una Kia e hanno in casa un frigorifero Lg. Il made in Korea, insomma, è entrato in forma massiccia nella vita di ognuno di noi, e la stessa comunità in-ternazionale da tempo deve fare i conti con un paese il cui comparto produttivo continua a cre-scere a doppia cifra e a dettare legge sui mercati,

In apertura, un’immagine del polo espositivo di Yeosu dove, dal 12 maggio si svolgerà l’Esposizione UniversaleSotto uno degli oli d’oliva selezionati per il ristorante Puccini

Il Ristorante Puccini-Ospitalità Italiana sarà gestito da un’associazione tem-poranea di imprese, formata dal grup-po Icif (Italian Culinary Institute for Fo-reigners), dal Marachella Gruppo e dal ristorante Le Quattro Stagioni d’Italia di Saluzzo. A coordinare il tutto sarà invece l’imprenditore Piero Sassone (in foto), l’uomo che ha condotto tale gruppo di aziende all’aggiudicazione di questa prestigiosa commessa per mezzo della quale il made in Italy agroalimentare sarà ancora una volta protagonista di primo piano in Asia. A dominare la scena, in quest’occasione, saranno i menù tipici regionali del Bel-paese, ottenuti attraverso l’utilizzo di alimenti Igp e Dop, abbinati all’ampia gamma di vini Igp, Doc e Docg: un in-sieme di pochi e selezionati brand di assoluto valore, assurti oramai a sim-bolo della cucina e dell’enologia italia-na nel mondo. Le aziende scelte po-tranno fregiarsi della qualifica di Fornitore ufficiale del Ristorante Puc-cini - Expo 2012, vedere i propri pro-dotti segnalati e valorizzati sui menù del ristorante Italia-no a Yeosu e nei ricetta-ri che saranno distri-buiti per tutta la durata della mani-festazione, parteci-pare al work shop interattivo con la Hyundai Green Fo-od, la più importan-te catena di catering coreana (40 mila pasti al giorno, oltre 10 mi-lioni all’anno), fortemen-te interessata a inserire ma-terie prime italiane nei propri menù. Ma non solo: attraverso la par-tecipazione al Padiglione Italia all’Ex-po di Yeosu, le imprese dell’italian fo-od avranno l’occasione di avviare trattative dirette per sbocchi commer-ciali in Corea. Uno Hyundai Green Fo-od Day sarà poi organizzato anche in Italia presso la sede dell’Icif entro la fi-ne dell’anno; nel corso della giornata, i prodotti dei fornitori ufficiali del Ri-storante Puccini saranno presentati dalle stesse aziende e interpretati dai migliori cuochi della scuola di cucina.

A Yeosu il meglio

dell’enogastronomia regionale del Bel Paese sui tavoli del Ristorante

Puccini

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anche in tempi di recessione mondiale. A Seoul, insom-ma, di tutto si parla tranne che di “crisi”. Al massimo, ci si preoccupa di qualche leggera, impercettibile flessio-ne che tuttavia non intacca di una virgola il pazzesco trend ascendente sudcoreano. Merito dei chaebol, le conglomerate industriali sudcoreane finanziate dal go-verno e diventate colossi capaci di produrre brand glo-bali come appunto Samsung (che nella categoria pla-netaria dei “consumer product” di recente è balzata al primo posto precedendo Nestlè, Panasonic, Procter & Gamble, Sony e Apple) ma anche di una comunità operosa e orgogliosa che non s’è fatta strozzare dai bel-licosi cugini del Nord né dagli ingombranti vicini cine-

si e giapponesi ed è riuscita, negli ultimi 20 anni, a man-tenere standard di sviluppo tali da farla uscire dal novero dei paesi “developing” per farla entrare, di dirit-to, in quello degli industrializzati “maturi” con un Pil di 1.600 miliardi di dollari, il dodicesimo del pianeta. Un’economia che cresce dunque a ritmi esponenziali, e alla quale anche l’Italia adesso guarda con sempre più attenzione come a una nuova potenziale frontiera del business. Il premier Mario Monti, non a caso, è stato di recente in visita in Sud Corea e le cronache del nostro Paese registrano quotidianamente il moltiplicarsi di meeting e contatti tra business-men coreani e soggetti pubblici e privati del Belpaese.

Nel box, dall’alto, il “museovivente” del Korean Folk Village e la Fortezza di Hwaseong (“fortezza brillante”) che si trova a Suwon, a 30 km da Seul

Alla scoperta del paese che “vive all’aria aperta”

L’Expo di Yeosu – con il Ristorante Puccini installato lì per tre mesi – rappresenterà per l’Italia una grande occasione per aprire nuo-vi canali commerciali con la Corea del Sud (che, guarda caso, importa dal nostro Paese soprattutto vini e prodotti agroalimentari), ma pensare a una mera occasione di business sarebbe riduttivo. In primo piano resta infatti l’interesse per l’oggetto centrale dell’Esposi-zione Universale, e cioè la salvaguardia degli habitat marini nel mondo, ma anche la pos-sibilità di scoprire un paese di straordinaria bellezza. Se i coreani conoscono bene lo Sti-vale – fino alla crisi economica, i dati dicono che dalla Corea del Sud verso l’Italia si spo-stavano circa 350mila visitatori all’anno, la cui flessione, dopo il 2007, è stata peraltro meno drammatica di quella verso altri paesi – certo non si può dire lo stesso degli italiani rispetto a questa piccola penisola stretta tra il Mar Giallo e il mare del Giappone. Una lingua di terra che in poco più di mille km concentra circa 3 mila isole (in gran parte disabitate) e innumerevoli montagne: un patrimonio naturale di primissi-mo ordine. Alcuni definiscono questo pezzo di Asia dal passato travagliato e dal presente luminoso – malgrado l’instabilità politica do-vuta alle intemperanze di Pyongyang – il “Pa-ese che vive all’aria aperta”. Per conoscere il Sud Corea bisogna partire necessariamente dalla popolosa capitale, Seul, che con i suoi 10milioni di abitanti è il centro economico, po-litico e culturale del paese, perennemente ani-mato da vivaci fermenti che rendono variopin-te le strade del centro e le vie dello shopping ribollenti di mercatini, caffè, ristoranti e locali notturni. Dentro la città moderna, resiste an-cora tuttavia una Seul antica fatta di palazzi confuciani di epoca feudale, fortezze, tem-pli reali e originali edifici in legno a un piano.

Proprio nel mese di maggio, peraltro, a Seul è possibile assistere alla Parata per il Com-pleanno del Buddha, la più imponente sfilata pubblica dell’anno. Dall’esperienza di un tour frenetico nella megalopoli, si può (si deve) passare quindi alla tranquillità di una visita nel-le province: a cominciare da quella circostan-te di Gyeonggi-do, che conserva siti di gran-de interesse paesaggistico e culturale come la Fortezza di Suwon (Patrimonio Unesco) ma anche il Korean Folk Village, e Icheon, locali-tà termale famosa per le sue ceramiche. Per chi ama le escursioni, è d’obbligo una gita alle isole del Mare Occidentale, al Namhansanse-ong Provincial Park e al Bukhansan National Park. Per trovare conferma però dell’epiteto di “Paese che vive all’aria aperta”, occorre-rà spostarsi nella semisconosciute provincia nord-orientale di Gangwon-do, un’area mon-tagnosa rimasta isolata per secoli. Tra monti, vallate, spiagge di sabbia bianca e torrenti, le attività all’aria aperta qui non mancano di si-curo. Da non perdere la spiaggia di Hwajin-po, le stupefacenti formazioni calcaree nella grotta di Hwanseondonggul, il lago di Chun-cheon e i meravigliosi templi di Woljeongsa e Sangwonsa, tra le più splendenti perle di arte buddhista del paese. Per toccare con mano le straordinarie vestigia della cultura buddista e confuciana, bisognerà raggiungere invece la provincia di Gyeongsangbuk-do ricca di anti-che testimonianze e luoghi suggestivi quali il tempio Haeinsa e le accademie confuciane di Oksan Seowon e Dosan Seowon. Se amate lusso e comodità, vi toccherà soggiornare nei resort di Jungmun oppure fare un salto a Jeju-do, un’isola subtropicale di origine vulcanica al largo dell’estremità meridionale della peni-sola coreana, dove si trovano le grotte di lava e la montagna più alta del paese: l’Hallasan.

storiedall’Italia che merita

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Presso il Ristorante Puccini-Ospitalità italiana a Yeosu, a dominare la scena saranno i menù tipici regionali del Belpaese, ottenuti attraverso l’utilizzo di alimenti Igp e Dop, abbinati all’ampia gamma di vini Igp, Doc e Docg

Ristorante Puccini: il gotha dei sapori made in ItalyTanto più che quest’anno la Corea del Sud vivrà un ulteriore momento di fulgore internazionale, grazie all’Esposizione Universale che, a partire dal 12 maggio, avrà luogo a Yeosu, per concludersi in agosto. Una vetrina mondiale che contribuirà ad attirare ancora di più i riflettori di tutto il mondo sul Paese della Tigre. The Living Ocean and Coast – Costa e Oceani che vivono: questo il tema della kermesse che per tre mesi punterà l’attenzione su temi come lo sfruttamento del mare, la distruzione dell’ecosistema marino e la necessità di instaurare nuovi equilibri tra scienza e natura. Nell’area espo-sitiva di Expo Corea 2012, che vedrà installati i padiglioni dei Paesi partecipanti nel water-front di Yeosu affacciato sull’isola di Odong-do, ci sarà, na-turalmente, anche un pezzo d’Italia. Ovvero il Pa-diglione Italia, una sorta di show-room dell’eccel-lenza italiana, incentrato in particolare sull’enogastronomia. Parte integrante del padiglio-ne sarà infatti l’area dedicata alla ristorazione con il Ristorante Puccini–Ospitalità Italiana che avrà il compito di sviluppare e promuovere le tradizioni dei prodotti agroalimentari nazionali, valorizzare la cultura enogastronomica tricolore e consolidare l’immagine della nostra ristorazione all’estero ga-rantendo il rispetto degli standard di qualità dell’ospitalità italiana, appunto.

Per assicurarsi un grande ritorno di immagine

e di mercato anche dopo l’Expo, il Ristorante Puccini ha scelto, come fornitori

delle derrate alimentari, aziende che possano garantire

e confermare la qualità, il fascino e la professionalità

che il mondo riconosce e si aspetta dall’Italia

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Si chiama Icif (Italian Culinary Institute for Fo-reigners), l’Istituto di Cucina, Cultura ed Eno-logia Italiana che da 15 anni ha sede nel castello di Costigliole d’Asti. All’inizio, nel 1991, il pro-getto era partito da Torino: grazie a un finanzia-mento del Ministero dell’Agricoltura fu infatti organizzato il primo Master di Cucina Italiana, frequentato da 30 cuochi statunitensi. Un’idea che è piaciuta subito e che ha attirato l’atten-zione degli esperti del settore agroalimentare di tutto il mondo. Da allora, l’Istituto ha continua-to a proporre master, corsi brevi e corsi di aggior-namento, per quei professionisti stranieri, chef, sommelier e ristoratori, che vogliano davvero una “specializzazione italiana”. Nel 2004 la sede ita-liana non bastava più e l’Icif ha aperto anche due sedi all’estero, nel sud del Brasile e in Cina. Una nella Regione di Rio Grande do Sul, a Flores da Cunha, nata in collaborazione con l’Università di Caxias do Sul. La seconda a Shanghai, nel cam-pus universitario Shanghai Lingang Science and Technology School. E non solo: un paio d’anni dopo, l’Italian Culinary Institute for Foreigners ha aperto una piccola scuola anche a Seoul, nella Corea del Sud. Nel giugno prossimo sarà inaugu-rata inoltre una nuova sede, a San Paolo del Brasi-le, ufficialmente operativa a settembre: sarà una Scuola di Ospitalità, per formare professionisti della ristorazione e dell’alberghiero. Studenti di tutte le lingue Intanto, però, anche il progetto costigliolese con-tinua a perfezionarsi: accanto alle aule attrezzate con i più sofisticati impianti per una moderna attività didattica, sono state allestite un’enoteca e un’elaioteca, dove alcuni fra i migliori produt-tori italiani espongono i propri prodotti. A fianco c’è una modernissima sala degustazione. Questo perché l’Icif sa che per insegnare la cucina italia-na non si può fare a meno di usare prodotti ori-ginali e autentici: fin dall’inizio promuove e lavo-ra per valorizzare le produzioni nazionali di livello, tra cui il vino e l’olio occupano un posto di primo piano. Ma da dove vengono gli studen-ti che si formano nell’Istituto? In questi anni la scuola ha diplomato allievi da tutto il mondo, da

Sulle colline del Monferrato c’è un prestigioso istituto culinario dove ingredienti e ricette sono rigorosamente italiani, ma dove studiano anche, anzi soprattutto, gli stranieri. È l’Icif: qui si impara a preparare a regola d’arte i piatti tricolore e si insegna agli estimatori della nostra enogastronomia a riconoscere, anche a migliaia di km dall’Italia, i suoi autentici e inimitabili sapori

La cucina italiana che fa scuola di Monica Coviello

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storie dall’Italia che merita

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Australia, Bermuda, Brasile, Canada, Cina, Cipro, Corea, Filippine, Germania, Giappone, Hong Kong, India, Israele, Libano, Messico, Perù, Russia, Stati Uniti, Singapore, Svezia, Thailandia, Tai-wan, Venezuela e, ovviamente, dall’Italia. C’è poi una rete di uffici di rappresentanza dell’Istituto, che si estende in 38 paesi fra Europa, Asia e Ame-rica. È così che gli studenti vengono a conoscen-za di questa opportunità. E, mentre frequentano la scuola, si occupano di cucina, di panificazione, di pasticceria, di gelateria, ma anche di lingua ita-liana e di approfondimenti sul vino.

Il gusto italiano incontra il mondo Corsi, master o workshop brevi, corsi tematici, corsi di abilitazione alla professione di somme-lier in collaborazione con l’Associazione Italiana Sommeliers, corsi amatoriali e anche tour turi-stico/gastronomici per gli appassionati del set-tore: ognuno può scegliere come strutturare la propria formazione. Nell’istituto ci sono labo-ratori con attrezzature all’avanguardia, e il cor-po docente è formato da professionisti qualifi-cati, insegnanti di istituti alberghieri, giornalisti, tecnici ed esperti, chef (quelli che aderiscono all’associazione Giovani Ristoratori d’Europa e all’associazione Stelle del Piemonte)e somme-lier di fama internazionale. Che tengono le loro lezioni in italiano, affiancati da un interprete che traduce nella lingua degli studenti stranieri.

Saranno famosi…• Alcunidegliexallievidell’Icifsono

diventativeriepropri“nomi”del-lacucinainternazionale.Qualcheesempiovirtuoso.

• Chen Shiqin,cinese,dopolascuo-lahalavoratonelfamosoristoran-te Antica corona reale di Cerve-re(Cn),duestelleMichelin,conlochefGianPieroVivalda.OggiChenShiqinèlochefdelristoranteLaRei,stellatoMichelin,all’internodelBo-scaretoResort(ViaRoddino21,Ser-ralungad’Alba-Cn).Ilsuostilesibasasullaqualitàdellemateriepri-medelterritorio,laprofessionalità,ilrispettoperlatradizioneeunpiz-zicod’innovazione.Ilsuoteamècompostoda15giovanicuochi.

• Pier Paolo Picchi,brasiliano,haapertolaTrattoriaPicchiaSanPa-olodelBrasile,estaristrutturan-dounnuovolocalechesichiame-ràRistorantePicchi.Lasuatrattoriaèconsideratadaicriticigourmanduntempiodellacucinaitalianaau-tentica,eusasoloingredientima-deinItaly.

• Fabio Sicilia di Belem do Pa-rà(Amazzonia)èilproprietariodelristoranteDomGiuseppe,premiatoperilquartoannoconsecutivoco-meilMigliorRistoranteItalianodel-lacittà,conlamigliorelistadivini(BestWineList).

L’ENOTECA E L’ELAIOTECA NAZIONALEL’Icif vanta due tra le strutture più avanzate in Italia per l’approfondimento della conoscenza dei vini e degli oli italiani, e per l’analisi, la degustazione e la conservazione. La sala di degustazione ha 20 stazioni polifunzionali che vengono usate, oltre che per vini e oli, anche per l’analisi sensoriale di altri prodotti, come gli aceti o il caffè. La sala, oltre alle lezioni, ospita spesso la presentazione di nuovi prodotti, banchi d’assaggio guidati e degustazioni tematiche, per approfondire aspetti particolari delle produzioni regionali italiane.

I corsi IcifCorso Master in cucina ed enologia delle regioni d’Italia. Dura180giorniespiegaisegretidellacucinaregiona-le,lebasitecniche,ledecorazioni,l’artedellapresentazione,iprodotti.

Corso breve in cucina ed enologia delle regioni d’Italia.In90giorni,unaformazionepiùvelocesull’evoluzionedellacucinatradizionaleecreativa.

Corso di abilitazione professionale per la figura di sommelier. Dura3settimane.Altermineglistudentirice-vonoildiplomadiabilitazioneprofes-sionaleAIS.

Corsi tematici B1 e B2 sulla cucina italiana. Duranounasettimanaesonodedicatiasingoletematichedellacuci-naregionale.

Educational tour.Pensatipernonpro-fessionistiitalianiestranieri.Maancheperiprofessionistiinteressatiascoprireunaparticolarezonaenogastronomi-ca.Duranodatreaseigiorni.

Corsi amatoriali di cucina.Perperfe-zionarelepropriecapacitàculinarie.

Appena sopra una lezione pratica di degustazione dell’olio d’oliva

Foto

di L

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i Ber

tello

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Campioni azzurri ai fornelliDue dozzine di paladini dell’enogastronomia italiana, soprattutto al di là dei nostri confini: sono i 24 chef della NIC-Nazionale Italiana Cuo-chi (emanazione della FIC-Federazione Italiana Cuochi), che ci rappresentano all’estero e sfidano il resto del mondo in cucina, nelle gare dedicate, sa-lendo sul podio in patria e in ogni angolo della Ter-ra. Questi benemeriti del made in Italy sbaragliano spesso i concorrenti di altri paesi perché si presen-tano alle postazioni dei fornelli ben addestrati con tecniche e strumenti all’avanguardia – come i me-todi di cottura soft e i tegami al silicone – e secondo programmi esclusivamente italiani basati sulle ri-cette della tradizione e i prodotti tipici. «Ognuno dei componenti della NIC, che provengono da tut-te le regioni, porta con sé all’estero ingredienti poco

conosciuti del proprio territorio, come i lampascio-ni del barese, le alici di Sicilia, il pecorino sardo, la carne piemontese e gli asparagi di Bassano», raccon-ta Fabio Tacchella, team manager della Nazionale. «Attraverso i nostri piatti, completati da brochure informative sui prodotti, facciamo scoprire queste eccellenze ai colleghi di tutto il mondo che impa-rano ad apprezzarle e a impiegarle. Del resto la cu-cina italiana piace ovunque: infatti, nell’ambito del-le gare, tra i menù per 100 persone preparati ogni giorno da cinque nazioni e venduti al pubblico, i primi ad andare esauriti sono i nostri. In particolare, gli stranieri preferiscono la pasta ripiena che alcuni chef non italiani cercano di riprodurre, ma con scar-so successo». Grazie alle performance dei nostri campioni, il palmarés della NIC degli ultimi 10 an-

La Nazionale Italiana Cuochi rappresenta la cucina e i prodotti

made in Italy nelle competizioni culinarie sul nostro

territorio e in campo internazionale, mietendo allori

e consensi

di Rosanna Ercole Mellone

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storie dall’Italia che merita

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Barriere superabili?Per raggiungere traguardi internazionali, i fuoriclasse della nostra cucina a volte devono superare oltralpe ostacoli impensabili in tempi di globalizzazione. Precisa Fabio Tacchella: «a causa dello sbarramento della frontiera, in alcuni paesi, tra cui Svizzera e America, non riusciamo a far entrare prodotti essenziali, come certe carni. A Mosca, abbiamo dovuto stravolgere il menù per mancanza di ingredienti. Forse i nostri risultati potrebbero essere migliori se avessimo, come i colleghi stranieri, il sostegno delle Istituzioni. A sancire il nostro incarico di difensori e divulgatori del made in Italy, basterebbe un messaggio di incoraggiamento da parte di un’autorità pubblica, che invece non ci è mai pervenuto».

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In apertura l’affiatato gruppo della Nazionale Italiana Cuochi. Qui a sinistra, due dei creativi piatti proposti dalla NIC, realizzati utilizzando i prodotti della tradizione nazionale

ni risulta nutrito e variegato: tra i riconoscimenti più importanti, spiccano, nel 2004, le otto medaglie d’oro, i tre premi speciali e il titolo di miglior squadra rice-vuti a Intergastra a Stoccarda e, nel 2006, la Coppa del Mondo di Pasticceria vinta in Lussemburgo, e i due ori, i nove argenti e un bronzo conquistati alla Coppa del Cremlino a Mosca. Nell’anno in corso, la nostra brigata di berrette bianche ha già messo a se-gno due centri: nel Galles, alla Battaglia del Dragone, ha meritato la medaglia d’argento del Titolo Europeo di Alta Gastronomia, mentre a Lubiana si è aggiudi-cata la finale della Selezione Europa del Sud per il Global Chef Challenge & Hans Bueschkens Junior Chefs Challenge che, sotto l’egida della WACS-So-cietà Mondiale dei Cuochi, si svolgerà a Daejeon, in South Korea, dall’1 al 5 maggio. In vista dell’impegna-tivo match in Asia e delle Olimpiadi della Cucina, in calendario a Erfurt in Germania a ottobre, gli atleti della disciplina culinaria si stanno allenando con i co-ach al seguito, come riferisce il team manager: «per i sei membri della squadra Junior e i 10 di quella Se-nior, sono a disposizione quattro istruttori che sovrin-tendono alle esercitazioni calde e fredde, effettuate, una al mese, nella mia cucina di Decorfood a Verona. Le forze in gioco della NIC sono poi completate dal-le quattro persone del direttivo». La protagonista in-

discussa delle prove di valore delle berrette “azzurre” è la cucina italiana, interpretata con i nostri migliori prodotti in piatti ricercati che vengono presentati se-condo i canoni estetici caratteristici del Bel Paese. I menù della NIC sono sempre un’armonia di sapori e colori, come quello che ha trionfato nel Galles: tran-cio di merluzzo con cozze e pomodoro e salsa d’ac-ciughe, raviolo di gamberi rossi su purea di sedano rapa e lenticchie; lombo di agnello in mantello di pan-cetta con pavé di zucca, crocchetta di carne e giardi-netto di ortaggi e funghi; mousse al cioccolato e cara-mello con pere alla cannella, finanziere alle nocciole, semifreddo all’arancia e salsa di lamponi. Ma non tut-ti gli chef possono entrare a far parte dell’équipe che ha anche lo scopo di sostenere la figura del cuoco, sensibilizzando chi non ne conosce ruolo e funzioni. «Gli ammessi nella NIC vengono selezionati, una vol-ta all’anno, tra gli iscritti alla Federcuochi che ne fan-no richiesta o vengono segnalati», spiega il dirigente. «Tutti devono conoscere la lingua inglese e avere no-zioni di informatica; inoltre non possono essere digiu-ni di gare e devono dimostrarsi motivati, preparati e avere spirito di gruppo, senza individualismi. I nostri chef, sempre impegnati nel lavoro quotidiano, verifi-cano sui loro clienti i piatti di ogni competizione, in modo da avere un indice di gradimento».

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Cinque generazioni si sono alternate nella produzione di vino da quando Giovanni Ga-ja, nel 1859, fondò la cantina Gaja a Barbare-sco, nelle Langhe.Oggi Angelo Gaja continua a operare come pro-prietario-trasformatore, vinificando esclusiva-mente uve provenienti da 100 ettari di vigneti di proprietà ubicati nell’area del Barbaresco e del Barolo. Angelo è nato ad Alba dove ha conseguito il diploma di Enologo. Successivamente all’Uni-versità di Torino si è laureato alla facoltà di Eco-nomia e Commercio. Entrato in azienda a 21 an-ni, ha imparato il mestiere dal padre Giovanni.Nelle attività di famiglia, lo affianca la moglie Lu-cia, unitamente alle due figlie maggiori, Gaia e Rossana che rappresentano la quinta generazio-ne. Vive a Barbaresco con la moglie e i figli Gaia, Rossana e Giovanni. Nel 1994 la famiglia Gaja ha acquisito la prima proprietà in Toscana, Pieve S. Restituta a Montal-cino, ventisette ettari di vigneti dove si producono due Brunello di Montalcino, Rennina e Sugarille e, dall’annata 2005, anche un terzo vino, un Brunello di Montalcino senza indicazione di vigneto. Nel 1996 ha acquistato una seconda proprietà in Toscana, Ca’ Marcanda a Castagneto Carducci. La cantina Ca’ Marcanda ha una superficie vita-ta di circa 100 ettari, impiantati principalmente a Merlot e Cabernet Sauvignon e in minor mi-sura a Cabernet Franc, Syrah e Sangiovese. I vini prodotti a Ca’Marcanda, la cui prima annata è il 2000, sono Promis, Magari e Camarcanda.

Angelo Gaja, lei usa dire di sentirsi un artigiano in una terra d’eccellenza. Ci spieghi il senso di questa sua affermazione?Il mestiere di artigiano l’ho imparato da mio padre, non era scritto nei libri di scuola. Nel mondo del vi-no l’artigiano è complementare alle altre funzioni: cooperative, affinatori, imbottigliatori. I bravi arti-giani hanno dei progetti, vogliono fare di testa loro, apprezzano la professionalità e il lavoro bene ese-guito, sono individualisti, orgogliosi e animati da passione. La più grande ricchezza dell’Europa del vino: di possedere il più elevato numero al mondo di artigiani produttori di uve e di vino.

Angelo Gaja Il ministro degli esteri

del vino italianoViene considerato unanimemente l'uomo che ha fatto grandi i vini piemontesi nel mondo. Lui però

ama definirsi "un artigiano" che ha imparato il mestiere, in mezzo ai filari, dal padre. Oggi vinifica

esclusivamente uve provenienti da 100 ettari di vigneti di proprietà ubicati nell’area

del Barbaresco e del Barolo e ha un sogno: unire l'enologia italiana sotto un unico marchio distintivo

di Roberto Rabachino

ilpersonaggiodelmese

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È artigiano chi non acquista né uve né vino e produce esclusivamente dai propri vigneti; chi in Piemonte ha un montante annuale non infe-riore a 1.200 ore lavorative per ettaro di vigne-to; chi rifiuta di produrre vini che occupino tut-te le fasce di prezzo, a partire da quelle più basse su su fin dove si riesce ad arrivare; chi rifiuta di fare crescere l’azienda oltre la dimensione che gli è congeniale per realizzare vini di qualità ele-vata; chi affida alla famiglia, al numero più am-pio di suoi componenti, il compito di operare a tempo pieno a esclusivo beneficio della cantina, a fianco di collaboratori e dipendenti.

Parliamo del “Vento dell’Europa. Di che cosa si tratta?Sono gli effetti della riforma voluta ed imposta da Bruxelles nell’agosto 2009 a fare vola-re l’export. Contro la sua applicazio-ne si erano fortemente schierati in Italia, trincerandosi dietro cor-porazioni e associazioni di ca-tegoria, i succhiatori perenni di contributi e i loro compli-ci privilegiati che ne traevano vantaggio. Non mancano ana-logie con quanto avviene ora con il governo Monti accusato di introdurre misure che “ci vengono imposte dall’Europa”. La riforma volu-ta da Bruxelles si ispirò al comune buon senso, merce rara, mettendo la parola fine all’enorme spreco perpetuato per oltre trent’anni di denaro pubblico destinato alla distruzione delle ecce-denze e introducendo misure atte a riequilibra-re il mercato del vino. I contributi comunitari prima largamente sperperati vengono ora desti-nati a co-finanziare l’azione di promozione dei produttori di vino sui mercati extra-comunita-ri e fanno volare l’export nonostante i tempi di crisi. Il numero degli esportatori è cresciuto in breve tempo del 30%, sdoganando anche un buon numero di produttori artigiani di vino, de-gli oltre venticinquemila che il nostro paese ha la fortuna di avere, incoraggiandoli a fare rete, ad andare sui mercati esteri a narrare, a raccontare

storie e passioni legate a tradizioni o innovazioni, rendendoli compar-

tecipi della costruzione di una immagi-ne più autorevole del vino italiano. L’accresciu-to interesse verso i mercati esteri non indurrà i produttori di vino a trascurare il mercato inter-no. I due mercati sono complementari. Quello nazionale è più difficile ma anche molto utile per la preziosa funzione che ha di formare e costruire gli imprenditori. Le cantine i cui vi-ni godono di un adeguato posizionamento sul mercato interno sono spesso le stesse che rac-colgono buoni risultati sui mercati esteri.

Un suo progetto vincente per il futuro del vino? Nella situazione di mercato attuale i più fragili sono i produttori artigiani che costituiscono la stragrande maggioranza delle micro e picco-le imprese italiane. Occorrono progetti atti a

«Il vino è la bevanda culturale per

eccellenza. Per millenni ha allietato l’animo di

umili e potenti. Il vino è il canto della terra che

si leva verso il cielo».

In alto i vitigni Spress, ovvero “nostalgia” in piemontese, acquistati in ricordo del padre da Angelo Gaja a Serralunga. Sotto il castello di Barbaresco, località dove risiede la famiglia Gaja

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proteggere e valorizzare il lavoro degli artigia-ni. Da un anno la discussione s’è accesa attorno al marchio made in Italy che vuol dire una cosa mentre il contenuto ne svela spesso un’altra. È una contraddizione impossibile da elimina-re avendo, le aziende che hanno delocalizzato, meritoriamente contribuito all’affermazione del made in Italy sui mercati internazionali. Per gli artigiani potrebbe servire di più met-tere in cantiere un nuovo progetto: ottenere che il prodotto totalmente realizzato in Ita-lia abbia la facoltà (non l’obbligo) di essere contraddistinto da un logo, da un simbolo fat-

to realizzare dal più bravo dei designer italiani, da affiancare oppure no al made in Italy. Che comporti l’assunzione da parte del produttore dell’impegno (autocertificazione) di svolgere le fasi di lavorazione interamente in Italia, con totalità di materia prima di provenienza italia-na soltanto per l’agro-alimentare. Il progetto andrà sostenuto da una campagna di informa-zione atta ad istruire il consumatore sul signi-ficato del simbolo. Nel progetto vanno coinvolti non soltanto gli artigiani, ma anche le associazio-ni sindacali e quelle degli esercizi commerciali: l’interesse di proteggere il lavoro eseguito in Ita-lia coinvolge tutti.

Quanto è importante di avere attorno a sè la sua famiglia? Assume particolare valore la continuità, attra-verso il susseguirsi delle generazioni, dell’azio-ne svolta dalla famiglia nel tempo. La capacità di trasferire conoscenze, esperienze, esempi e pas-sione alla generazione successiva. Il vantaggio di avere i membri della famiglia uniti, a lavorare per guidare e sostenere la filosofia aziendale di produzione e di vendita.

Concludendo: che cos’ è il vino per Angelo Gaja?Il vino è la bevanda culturale per eccellenza. Per millenni ha allietato l’animo di umili e potenti. Il vino è il canto della terra che si leva verso il cielo.

L'interno della Tenuta Ca' Marcanda in Toscana. La cantina ha una superficie vitata di circa 100 ettari, impiantati principalmente a Merlot e Cabernet Sauvignon

I bravi artigiani hanno dei progetti, vogliono fare di testa

loro, apprezzano la professionalità e il lavoro bene eseguito, sono orgogliosi e appassionati. La più grande

ricchezza dell’Europa del vino? Possedere il più elevato numero al mondo di artigiani

produttori di uve e di vino

ilpersonaggiodelmese

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Italian tradition since 1681

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Concentrato di pomodoro importato dalla Cina ed etichettato come “ma-de in Italy”. Clementine di provenien-za spagnola e spacciate per calabre-si. Prosciutti crudi in arrivo da Belgio, Olanda e Germania e commercializzati come prodotti nostrani. Oli extravergini d’oliva frutto in realtà di adulterazioni e deodorazioni. Funghi porcini acquistati in Asia e messi sul mercato in confezioni ri-portanti l’Italia come luogo di origine. So-no solo alcuni degli esempi di lampante contraffazione alimentare riportati dalle cronache giudiziarie. I trasgressori? Im-prenditori campani, importatori emilia-ni, commercianti veneti e pugliesi. Tutta gente di casa nostra, insomma. Giusto per sfatare il mito che i falsi prodotti italiani si facciano soprattutto all’estero.

Italian sounding, piaga internazionale Per carità, l’italian sounding, il fenome-no cioè dei prodotti che nel nome o nelle confezioni “suonano come italiani” – ma che di italiano, in realtà, non hanno un bel niente – è una piaga globale che ogni giorno, stando ai dati della Confederazio-

All’estero ci imitano con i prodotti “italian sounding”. Ma il nostro è un Paese che sa anche farsi male da solo:

con le sofisticazioni, “fatte in casa”, delle eccellenze

enogastronomiche nazionali. Un fenomeno, quello del falso

made in Italy, difficile da contrastare. Specie se a dare

il cattivo esempio sono le nostre stesse istituzioni

di Francesco Condoluci

Contraffazioni alimentari: c’è un’Italia che fa concorrenza a se stessa

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l'indagine

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ne Italiana Agricoltura, scippa 165 milioni di euro al made in Italy nel mondo, per un business illegale di ben 60 miliardi di euro all’anno: una cifra superiore di quasi due volte e mezzo il valore complessivo medio dell’export agroalimentare italiano. Casi come quello del Parmesan, il formaggio fatto con latte delle mucche del Wiscon-sin che imita palesemente il Parmigiano Reggiano (alla stregua del Regianito ar-gentino), o dell’improbabile Spicy Thai smerciato dagli americani come pesto genovese, sono ormai notori. Negli ulti-mi 20 anni, del resto, a partire dagli States per finire al continente asiatico passando per Australia e Nuova Zelanda, c’è stato un vero e proprio boom di “taroccamen-ti” del meglio dell’Italian Style enogastro-nomico, tanto che l’Italia, dal punto di vi-sta alimentare, è oggi il paese più imitato del mondo. E di aberrazioni, in giro per il pianeta, se ne vedono di tutti i colori. Ma l’italian sounding, in realtà, è soltanto una faccia della medaglia della contraffa-zione alimentare che da anni ormai tor-menta le produzioni tricolori. Quella più appariscente, certo. Perché di dimensione

internazionale e con contorni che, in qual-che caso, rasentano il ridicolo, se pensia-mo alla mortadela brasiliana o al Prisecco tedesco (!).

Quando l’agropirateria è di casa nostraMa il “falso made in Italy” è un fenomeno su cui, come detto, anche gli stessi italiani marciano alla grande e che, dal punto di vista economico, vale 7 miliardi di euro l’anno, di cui due terzi appunto in capo al solo settore agroalimentare. Se all’estero, insomma, si scimmiottano i nostri prodotti facendo leva sull’italianità come elemento attrattivo nei confronti dei consumatori, l’agropirateria in salsa tutta italiana basa invece il suo business illegale sulle sofisti-cazioni e le falsificazioni delle eccellenze nostrane, di quel patrimonio enogastro-nomico emblema della Dieta Mediterra-nea e modello nutrizionale universalmen-te apprezzato nel mondo, perché fondato su un’alimentazione basata su prodotti lo-cali, stagionali e freschi. L’Italia, si sa, è il paese che vanta oltre il 22% dei prodot-ti certificati registrati complessivamente

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a livello europeo. A questi vanno aggiun-ti gli oltre 400 vini Doc, Docg e Igt e gli oltre 4 mila prodotti tradizionali censiti dalle Regioni e inseriti nell’Albo naziona-le. Una lunghissima lista di prodotti che ogni giorno – a parte la mi-naccia dei fakes esteri – deve fare i conti con il rischio taroc-camenti e adulterazioni, nel nostro stesso paese. Solo nel 2010, in Italia, ad esempio, sono state sequestrate circa 12 mila tonnellate di prodotti falsamente indicati come Dop. Ma per sfuggire ai controlli, le cosiddette agromafie naziona-li sanno anche andare al passo coi tempi, avvalendosi sem-pre più di Internet attraver-so le vendite on line che continuano a colpire pro-dotti di alta qualità come l’Amarone, la mozzarel-la di bufala campana, il gorgonzola e l’olio l’extravergine d’oliva, i panettoni e le co-lombe falsamente artigianali. Ancora più difficile risul-ta inoltre seguire le rotte dei bancali di agrumi che par-tono dalla Spagna o dal Maghreb e, attraverso queste triangolazioni il-legali, approdano magicamente sui nostri mercati con etichette italia-ne. L’unico mez-zo a disposizione dei consumatori per difendersi dal-

Autolesionismo all’italiana: il caso Simest Ci credereste? C’è persino un’Italia “istituzionale” che è riuscita a fare concorrenza a se stessa. Una società mista pubblico-privata, partecipata (e finanziata) dal nostro governo ha incredibilmente incentivato, per via indiretta, la produzione di “falsi prodotti made in Italy”. Sembra una barzelletta, e invece è tutto vero.

Soldi pubblici italiani per produrre il pecorino rumeno! Stiamo parlando della Simest Spa, società italiana istituita con un’apposita legge dello Stato nel 1990 nell’obiettivo di offrire assistenza alle imprese in merito all’internazionalizzazione della loro attività. Il capitale sociale di Simest al 76% è detenuto dal governo centrale, la restanti quote invece appartengono a soggetti privati come le banche San Paolo e Unicredit. Qualche anno fa, è venuto fuori che la Simest aveva acquisito – utilizzando, chiaramente, anche i soldi dei contribuenti italiani – il 29,5% delle quote di minoranza della Roinvest Srl, società che a sua volta controlla Lactitalia Srl, un’azienda che in Romania produce di caciotte e formaggi ottenuti con latte ungherese e rumeno e commercializzati con nomi molto italian sounding, ovvero Dolce Vita, Pecorino e Toscanella. E non solo: tra le pieghe del caso-Simest, finito all’attenzione della Commissione Parlamentare d’Inchiesta sulla contraffazione e la pirateria nell’agroalimentare a seguito di una battaglia di Coldiretti, è venuto fuori che la stessa società – oltre a investire 11 milioni di euro all’estero in un’azienda italiana come la Parmacotto, che però in Uruguay

è arrivata a produrre addirittura una “bresaola locale” – finanziava

la vendita negli Stati Uniti di “salame

calabrese” prodotto in realtà negli stessi Usa. «La produzione di Pecorino e caciotta in Romania, come la vendita all’estero di salame calabrese fatto negli Stati Uniti – è scritto nella prima relazione sulla contraffazione e la pirateria agroalimentare stilata dal nostro Parlamento – sono state finanziate con le tasse degli italiani senza alcun beneficio per il paese, ma facendo anzi concorrenza sleale a tutte le produzioni tipiche espressione vere del territorio». Un lampante esempio, insomma, di autolesionismo tipicamente italiano che solo di recente si è riusciti a frenare. Merito, come detto, della mobilitazione innescata da Coldiretti che ha coinvolto associazioni dei consumatori, comuni, regioni, province, Camere di Commercio e altri enti come Unioncamere, Comunità Montane e Consorzi di Tutela.

La vittoriosa crociata di Coldiretti Il caso si è chiuso da poco, infatti, con l’annuncio, da parte del Ministero dello Sviluppo economico, della cessione delle quote di partecipazione Simest in Lactitalia. «Simest – è scritto nel comunicato ministeriale che segna l’epilogo di questa paradossale vicenda – ha recepito la direttiva in materia agroalimentare emanata dal Ministero dello Sviluppo Economico, che prevede la revoca di partecipazioni deliberate, qualora le imprese pongano in essere pratiche commerciali in grado di indurre in errore i consumatori, anche nei mercati esteri, circa l’origine italiana dei prodotti commercializzati, sia attraverso elementi specifici dei prodotti stessi che del relativo packaging». Ma per il presidente di Coldiretti, Sergio Marini, il caso-Simest potrebbe essere solo la punta dell’iceberg: «Ci chiediamo – queste le sue parole – in quali altre occasioni ci sia stata una cattiva utilizzazione delle risorse pubbliche come questa, senza che nessuno se ne occupasse o intervenisse. L’impegno del Governo e del Parlamento deve essere rivolto a vietare per legge il finanziamento pubblico di prodotti realizzati all’estero che imitano il vero made in Italy. Occorre avere la forza di distinguere la vera internazionalizzazione da quelle forme di delocalizzazione aggravate dall’uso improprio del “marchio Italia” che danneggiano il paese facendo perdere occupazione e svilendo il valore del made in Italy, costruito con sacrifici da generazioni di imprenditori».

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l'indagine

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le frodi, è, avvisa Coldiretti, «diffidare di offerte esagerate come quelle per l’olio di oliva venduto, sugli scaffali dei supermer-cati, a prezzi così stracciati da non coprire neanche i costi di raccolta delle olive». Ep-pure nel 2010, da parte dei Nas, del Cor-po Forestale dello Stato e di altri organi-smi preposti, sono state eseguite circa un milione di verifiche e ispezioni in aziende, supermercati, negozi, ristoranti, mercati rionali, pescherie, stabilimenti balneari, campeggi, villaggi turistici e agriturismo: ma per tutelare il made in Italy alimen-tare, all’attività di controllo nei confronti dell’illegalità, sempre secondo Coldiretti, «va accompagnata una stretta della le-gislazione che tuttora permette di spacciare come made in Italy qua-si la metà della spesa fatta dagli italiani, dal momento che non è ancora operativo l’obbligo di in-dicare in etichetta la provenien-za della materia prima in tutti i prodotti alimentari in vendita».

"I piatti forti" dell’italian sounding e del falso made in ItalyImitazioni estere…

• PomodoriSanMarzano(USA)• Parmasalami(Messico)• Parmesao(Brasile)• Bresaolauruguayana• OlioRomulo(Spagna)• ChiantidellaCalifornia• Mortadelasiciliana(Brasile)• MortadellaMilanesa(Cile)• Culatellodi“salumeriabiellese”(USA)• Salamicalabrese(Canada)• Barberabianco(Romania)• NapoliTomato(USA)• Tinboonzola(Australia)• Cambozola(Germania,AustriaeBelgio)• MozzarelladelTexas(USA)• RobioladelCanada• AsiagodelWisconsin(USA)• Provoloneamericano• ToiToiProsecco(NuovaZelanda)• Prosec(Paesidell’exJugoslavia)• Prisecco(Germania)• Parmeson(Cina)• ToscanaOlivePlantation(Australia)• PompeianOliveOil(USA)• AgedBalsamicVinegardellaCalifornia• PizzaPepperoni(USA)• SmoothricottaPerfectitaliano

(Australia).

… e sofisticazioni di casa nostra

• Vinoaddizionatoalmetanolo• BrunellofattoconunnonSangiovese• PomodoroimportatodallaCinae

utilizzato per produrre passate• Prodotti“ringiovaniti”conla

sostituzione delle etichette scadute • Mozzarelleottenuteconpolveredi

latte rigenerato, olio di soia o di semi chediventaextravergined’olivaconl’aggiunta di clorofilla

• Acetobalsamicotradizionale“taroccato”.

Coldiretti: “Occorre diffidare di offerte

esagerate come quelle per l’olio di oliva venduto, sugli scaffali, a prezzi così stracciati da non coprire

neanche i costi di raccolta delle olive”

Toi Toi, il prosecco neozelandese, Parmesan e Pamesello sono solo alcuni esempo di “falso made in Italy”, fenomeno su cui anche gli italiani marciano alla grande e che, dal punto di vista economico, vale 7 miliardi di euro l’anno, di cui due terzi in capo al solo settore agroalimentare

Secondo

un’indagine sei italiani su dieci

considerano le frodi a tavola più gravi di quelle

fiscali e degli scandali finanziari, poiché

“possono avere effetti sulla salute”

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Nove secoli di storia alle spalle e un’ori-gine che affonda nel lontano Medio Evo. Loro, i titolari, rivendicano orgogliosa-mente le radici antiche di questa tenuta quasi millenaria che oggi è stata trasfor-mata in un’azienda agricola moderna e all’avanguardia. Una conversione che, tut-tavia, non è stata facile: Giannantonio Paiaro e la moglie Maria Fracanzani hanno dovuto profondere tempo, risorse ed energie per tra-durre in pratica la loro idea-progetto. Solo la dedizione e uno spiccato spirito imprendito-riale hanno permesso che la società La Valle potesse affrontare le sfide della modernità. «Il segreto è stato intraprendere la strada dell’in-novazione, riuscendo a coniugare abilmente tradizione e modernità» ribadisce Paiaro.

Sapori antichi, metodi moderni Oggi l’azienda La Valle produce cereali pre-giati e ha avuto il merito di reintrodurre col-ture autoctone dimenticate, come alcune ricercatissime varietà risicole. Ma prima di mettere a frutto la sue attività agricole, ha do-

Da un’esperienza agricola che sa di antico a una scommessa commerciale che punta al futuro: “dare

valore a ciò che è unico”. Nasce così, per idea dei coniugi Paiaro-Fracanzani, "Eccellenze Alimentari Italiane",

un progetto ambizioso che seleziona le migliori materie prime e le prepara secondo ricette esclusive e metodi artigianali. Per proporle a chi sa riconoscere il meglio

di Giorgio Pescaresi

Parola d’ordine: eccellenza

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panoramaimprese

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vuto affrontare e risolvere diverse problema-tiche. La più difficile è stata appunto rende-re moderna ma “sostenibile” la tenuta. Ossia rendere i terreni massimamente produttivi nel pieno rispetto dei cicli naturali. Per far-lo, per realizzare quest’obiettivo, si è puntato molto sulla tecnologia e l’automazione, forti di un’estensione territoriale e di una dimen-sione aziendale che ha agevolato tali scelte. Una tecnologia che ha peraltro ottimizzato il processo produttivo, riducendo significati-vamente tempi e sprechi – soprattutto di ac-qua e concime – e che ha offerto al contempo il vantaggio di un più accurato (e puntuale) controllo di filiera. La sfida più delicata è sta-ta invece la ristrutturazione del processo di raccolta, pulizia e conservazione, oggi messo a punto grazie all’installazione di appositi silos di stoccaggio, con una capacità complessiva di 30 mila quintali, ed essiccatoi dedicati, a bas-so impatto, alimentati dal calore proveniente dagli impianti a biogas. Un’altra scommessa alquanto impegnativa si è rivelata la gestione delle risorse idriche, cioè portare l’acqua nei

terreni quando manca, ed eliminarla quando è troppa. Questione tutt’altro che semplice, soprattutto negli ultimi anni, quando le pre-cipitazioni meteorologiche hanno reso i ter-reni eccessivamente carichi d’acqua. Qui si è innestato anche il problema dell’irrigazio-ne, superato felicemente grazie all’utilizzo di grandi macchine semoventi, che assicura-no un apporto d’acqua sempre ottimale, im-pedendo qualsiasi ristagno. In questa visione d’insieme, non sono stati fatti sconti: un terre-no idricamente problematico o non produt-tivo, perché mal lavorato o sabbioso, è stato oggetto di attento miglioramento fondiario, eliminando il problema.

La nuova sfida: valorizzare le “unicità”Ma in azienda c’è anche un nuovo motivo d’orgoglio, ed è l’ultimo frutto dell’impren-ditoria ambiziosa e lungimirante dei coniugi Paiaro e Fracanzani. Si chiama Eccellenze Ali-mentari Italiane ed è una nuova firma gastro-nomica di alto livello, nata dall’idea di «dare valore a ciò che è unico». Attraverso Eccellen-

Cereali pregiati e ricercatissime varietà di riso: sull’intuizione di portare questi prodotti di altissima qualità direttamente sulla tavola, la società La Valle ha costruito una rete commerciale allargata che adesso punta a offrire le eccellenze alimentari al mercato mondiale

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ze Alimentari Italiane, l’azienda oggi è in gra-do di proporre, a chiunque ne possa ricono-scere il valore, prodotti rari e di nicchia, grazie alla selezione delle migliori materie prime, e preparati secondo ricette esclusive e metodi di preparazione artigianali. La mission di Ec-cellenze Alimentari Italiane è infatti quella di proporre un prodotto prezioso, per lo più de-stinato all’intenditore esigente o al gourmet che può apprezzarne la reale esclusività. È lo stesso Giannantonio Paiaro a spiegarci la ra-tio di questa nuova scommessa. «Un giorno, ci siamo detti: “Perché non porta-re il nostro prodotto direttamente in tavola?” – racconta lo stesso imprenditore – e la que-stione ha avuto un’evoluzione abbastanza na-turale: avendo un controllo totale sulla pro-duzione, a un certo punto quella strada era diventata inevitabile, essenziale, altrimenti si lavorava per nulla. Da lì in poi, il percorso è stato relativamente breve: trasformazione e poi commercializzazione. La storia del pro-getto EAI è molto curiosa, come tutte quel-le che nascono un pò per caso. Avevamo fat-to tutti quegli investimenti sulla produzione, avevamo tutta questa qualità e quindi ci siamo chiesti: “Che ne facciamo?” La risposta è sta-ta spontanea: “Dobbiamo venderla!”. Abbia-mo fatto quindi una disamina del mercato, del posizionamento, del marchio. Poi siamo entra-ti in contatto, quali candidati fornitori, con Ec-cellenze Alimentari Italiane, un marchio che

esisteva già e abbiamo aperto un dialogo con l’amministratore delegato. Ma ci siamo su-bito resi conto che la cosa migliore sarebbe stata rilevare l’azienda piuttosto che crearne una ex-novo. A quel punto avremmo dovu-to impegnarci per valorizzare ulteriormente quell’intuizione di esclusività che corrispon-deva esattamente alla nostra idea e ai nostri obiettivi. Quello che ci aspettiamo è una cre-scita solida e costante, con l’idea di fare il gran-de salto nel mercato mondiale. Il nostro non è stato un investimento sulla struttura ma sulle capacità: abbiamo le risorse umane per portare avanti questo progetto; abbiamo fiducia nelle persone con le quali lavoriamo e le abbiamo messe nella condizione di operare al meglio». Ma la rete commerciale EAI include anche altre aziende? «Precisiamo – sottolinea Paia-ro –, io di uliveti non ne ho, come non pos-siedo vigneti, anche se non escludo di poter-ne avere in futuro. È evidente, dunque, che per certi prodotti mi devo appoggiare ad al-tre aziende. Dev’essere, però, assolutamente chiara una cosa: EAI rappresenta l’eccellenza, per cui ci sono due aspetti su cui non transi-go, il controllo totale sulle materie prime e la garanzia di una solida esperienza produtti-va. L’eccellenza è eccellenza, sempre, a tutto tondo. Non si entra nel paniere di EAI se non si eccelle, e se si entra e poi non si è in grado di mantenere questa eccellenza, l’uscita è la strada obbligata».

Oggi l’azienda La Valle produce cereali pregiati e ha avuto il merito

di reintrodurre colture autoctone dimenticate, come alcune

ricercatissime varietà risicole. Sotto, Giannantonio Paiaro

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panoramaimprese

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A Roma, nel cuore di quel Rione de’ Monti che domina i Fori imperiali, c’è via Panisperna. A molti questo luogo dirà ben poco: a qualcuno verrà for-se in mente Enrico Fermi, il Regio Istituto di Fisica dell’Università di Roma e i suoi collaboratori – i ra-gazzi di via Panisperna, appunto – dove alla metà degli anni ‘30 furono compiuti gli esperimenti sulla radioattività che porteranno, nel giro di pochi anni, al primo reattore nucleare e alla bomba atomica. In pochi, tuttavia, collegheranno questa strada a uno dei cibi più antichi e “democratici” del mon-do, l’archetipo dello street-food per antonomasia, ossia il panino, quel pane e prosciutto a cui via Pa-nisperna sembra essere dedicata. Panis et perna, appunto, pane e prosciutto, come quello che la tradizione vuole che i frati della chiesa di San Lo-renzo – costruita nel luogo esatto in cui il martire cristiano venne messo sulla “graticola” – distribu-issero nel giorno della festa del santo, riprenden-do, per altro una tradizione ancora più antica. Po-co importa se per altri l’origine del nome della via è da ricercarsi, invece, nella corruzione dei termini palis (spranghe) e sterno (distendo), con un chiaro riferimento, dunque, al supplizio inflitto al martire Lorenzo: la storia d’amore tra l’uomo e il prosciut-to – o, meglio, fra l’uomo e il maiale, da cui si trae il re dei salumi – è antica quanto quella della civiltà e segna una di quelle distinzioni che prima ancora di essere culturali e storiche, sono antropologiche e, quindi, religiose. Il mondo antico, che per quan-to ci riguarda si identifica con il bacino del Medi-terraneo, è diviso in due: da una parte, in quella

settentrionale, c’è l’orbe greco e romano, stan-ziale, dedito all’agricoltura e all’allevamento, che mangia il maiale. Dall’altra, in quella meridionale, ci sono le culture semitiche, quella ebraica prima e quella araba poi, nomadi che, invece, bandiscono il maiale – per ragioni sanitarie – dalle proprie cu-cine, traducendo in precise norme religiose que-sto divieto di consumo. Per fortuna, absit iniuria verbis, siamo nati dalla parte “giusta”, quella del Mare Nostrum, e il maiale e le sue carni, alle no-stre latitudini, non sono un tabù. Maiale, dicevamo dunque. I nostri antichi – per dirla con Heidegger – sono stati grandi mangiatori della sua carne. Ma se per i ceti meno abbienti aggiungere una fet-ta di lardo salato alla zuppa di cereali è stata per secoli l’unica maniera di “ingrassare” la razione giornaliera di calorie, per quelli che potevano per-metterselo, mangiare carni arrostite di maiale – in tutto simili alle nostre porchette – è stata, invece, una precisa scelta di gusto. Si può dire che nell’an-tichità, in Grecia come a Roma, non ci sia stato banchetto che non abbia proposto come piatto centrale un bel porco arrosto: come per altro testi-moniano le fonti letterarie, da quelle omeriche al-la celeberrima Cena Trimalchionis del Satyricon di Petronio Arbitro. Ma i Romani, favoriti in questo da un clima più mite rispetto alla Grecia, furono anche grandi stagionatori di salumi – lardo e pancette – e in particolare di prosciutti. Il prosciutto, com’è noto, è la coscia del maiale, salata e fatta essiccare all’aria e a Roma si distingueva col termine perna quello fatto con la coscia, la zampa posteriore, e con pe-taso quello fatto con la spalla, la zampa anteriore. Il prosciutto rappresentava, allora, un’ottima riser-va di grassi e di proteine e per quest’ultima quali-tà divenne un alimento particolarmente indicato a chi conduceva un’intensa attività fisica all’aperto, come ad esempio i soldati. Si narra, infatti, che le legioni di Cesare, durante la campagna di Gallia, fossero solite svernare nel cuore della pianura Pa-dana, una terra che amavano particolarmente e dove avevano per questo costruito una vera e pro-pria “autostrada” militare, la via Emilia. E proprio nel cuore di quella pianura, per una delle bizzarrie della storia, gli eserciti di Cesare trovarono anche l’alimento che cercavano, di cui divennero grandi consumatori, inaugurando una tradizione che du-ra fino a oggi. Sì, perché proprio lì, dove i boschi di quercia erano talmente rigogliosi e così vicini al fiume – da cui arrivava il sale marino –, le genti del posto cominciarono a dedicarsi all’allevamento dei maiali, alla loro macellazione e alla conseguente produzione di salumi. Il prosciutto di Parma, ante litteram. Una tradizione arrivata fino ai giorni no-stri e che nel corso dei secoli, favorita dal microcli-ma particolare, ha saputo regalare alla tradizione culinaria italiana altri capolavori di gusto come il Culatello di Zibello, il Fiocchetto, la Spalla cruda di Palasone, lo Strolghino, il Salame di Felino. Ma queste sono altre storie.

Una lunga storia d’amore quella fra l’uomo e il re dei salumi, il prosciutto,

che inizia nell’antica Roma – tra le legioni impegnate in Gallia o nei banchetti “alla

Trimalcione” – e arriva fino ai giorni nostri

Pane, perna e fantasia

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la storia in cucina di Luca campana

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62 Il Grana PadanoRecord su record per il formaggio Dop più consumato nel pianeta e unico nel suo genere

68 La pasta delle MarcheTour nel “granaio d’Italia”per scoprire storie e personaggi del nostro prodotto più amato

72 La mozzarella campanaLa bufala Dop continua la sua crescita e diventa simbolo del made in Italy certificato

da pag. 78Rubriche• La scoperta• Girogustando• Il buono a tavola• Scienza e vita• Almanacco• Orto• Chef italiani nel mondo

Cibo&Territorio

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cibo&territorio

Unico nel suo genere, è l’icona del buon gusto italiano a livello internazionale nonchè la Dop più consumata sulle tavole del pianeta. Soggetto a tentativi di imitazione in tutti i continenti, si distingue da prodotti stranieri fac-simile per la qualità del latte trasformato e la sua millenaria lavorazione che conferiscono alla pasta una fragranza inconfondibile

di Rosanna Ercole Mellone

Grana Padano,formaggio da record

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Si fa presto a dire “grana”… ma l’unico for-maggio sulla Terra a potersi fregiare dell’ap-pellativo è quello Dop che proviene dai ter-ritori padani più ricchi di pascoli e bestiame, dal Piemonte al Veneto, fino a Trento a nord e Pia-cenza e Bologna a sud. Il Grana Padano, d’origini antichissime, gode fama internazionale e un vasto consenso, tanto da essere la Dop più consumata sulle tavole del pianeta e da venir riconosciuto co-me uno dei simboli principali del made in Italy. Il suo successo spiega perché all’estero si tenti spes-so di copiarlo, ma invano. Anche la Corte di Giu-stizia Europea ha riconosciuto agli occhi del mon-do questa verità inconfutabile per cui, essendo la denominazione inscindibile e protetta, a “Grana” va esclusivamente associato “Padano”, con riferi-mento alla zona d’origine.

Alla scoperta della qualitàDal 1954, il Formaggio Grana Padano viene tu-telato da un apposito Consorzio che dal 1996 vi-gila sulla Dop. I produttori aderenti al marchio comunitario devono seguire il Disciplinare di Produzione, che detta le indicazioni sul processo lavorativo e sulle doti del formaggio. «Del Con-sorzio fanno parte 204 aziende, delle quali 147 sono caseifici», racconta il presidente Nicola Ce-sare Baldrighi. «La nostra posizione, a Desenzano del Garda, è nel cuore della zona di lavorazione che oggi è concentrata in 13 province. Nel 2011, le forme realizzate sono state 4.658.957, pari a 1.764.999 quintali di formaggio e 24.842.491 quintali di latte». Nell’ultimo anno, 1.334.300 forme del prodotto Dop più richiesto a livello mondiale, il 28% dell’intera produzione, hanno preso la via dell’estero, contrastando sosia, come il Grana Padona del Sud-America o i Pardano, Gra-dano e Padana sparsi tra Usa, Australia, Canada e Giappone. «Se non sono rispettate le procedu-re del nostro disciplinare, non parliamo di Grana Padano, ma di imitazioni», dichiara il presiden-te. «Inoltre, se una forma, pur prodotta in modo ineccepibile, non è giudicata perfetta dagli esper-ti, non riceve il marchio a losanga». A garanzia, il prodotto autentico riporta il contrassegno Dop, il Bollo CE, le piccole losanghe sullo scalzo con dici-

Un’età venerabileIl Grana Padano Dop festeggia più di 10 secoli di vita, dal momento che la sua data di nascita si aggira intorno all’anno Mille. A quei tempi, nella Pianura Padana, opere di bonifica delle terre e di canalizzazione delle acque fecero fiorire l’agricoltura e sviluppare di conseguenza l’allevamento dei bovini. L’esubero del latte derivato aguzzò l’ingegno degli agricoltori che, per non sprecarlo, affinarono le metodiche casearie. L’attuale Grana si deve ai monaci dell’abbazia di Chiaravalle che scoprirono nel 1135 la ricetta del formaggio a pasta dura, capace di conservarsi a lungo inalterato. Molti altri monasteri copiarono poi la formula del caseus vetus, o formaggio vecchio, che la gente padana ribattezzò formaggio di grana o semplicemente grana, in riferimento alla sua granulosità. Nei secoli, la produzione del particolare cacio si è diffusa e la popolarità del formaggio estesa oltre i suoi confini, grazie alla sua peculiarità di poter essere trasportato e venduto a grandi distanze.

Osservatorio vincenteNel 2006, il Nutri Award a Shan-gai, assegnato dalla FAO (Food and Agriculture Organization) e dalla Fe-derazione mondiale dei produttori caseari; nel 2007, il Nutrigold a Mi-lano, conferito dai dietologi riuniti a Congresso: l’Osservatorio del Grana Padano miete successi nel campo della comunicazione nutrizionale.Nato nel 2004, per l’impegno del Consorzio, in collaborazione con la FIMP-Federazione Italiana Medi-ci Pediatrici e la SIMG-Società Ita-liana di Medicina Generale, l’OGP sta fotografando gli stili alimentari degli italiani, attraverso questiona-ri elettronici, per identificare i prin-cipali errori nella dieta e diffondere la cultura della sana e corretta ali-mentazione.

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ture alternate “grana” e “padano”, il mese e l’anno di produzione, il logo con il codice del luogo di na-scita e il “quadrifoglio” con la sigla della provincia e il numero di matricola del caseificio.

Bontà che si tramandaNella produzione del Grana Padano Dop, nei secoli, quasi nulla è cambiato a parte l’avven-to di nuove e migliori tecnologie. «Nella nostra area, per alimentare le mucche, sane e seleziona-te, utilizziamo i fieni prodotti nel nostro territo-rio», spiega il presidente della Latteria Sociale di Mantova, il dottor Fausto Turcato. «Mais e altre granaglie vengono tritate, pressate e riposte in “trincee”, per usarle quando occorre completare l’alimentazione degli animali con buone proteine vegetali». Il “codice” millenario del Dop prevede che il latte crudo della mungitura serale, parzial-mente scremato per affioramento, sia mescolato con quello intero della mattina. Nella caldaia di

rame, a campana rovesciata, in cui c’è posto solo per due forme di formaggio, il mix

è sottoposto a cagliatura tramite in-nesto di caglio di vitello. La massa

caseosa viene rotta con lo “spino” due volte, per ridurre i grumi in chicchi piccoli e uniformi, poi cotta brevemente e infine solle-vata dai casari con una pala e un

telo, chiamato “schiavino”. Divi-sa in due forme gemelle e avvolta

in canapa o iuta, la pasta è collocata nelle fascere in cui viene pressata e ri-

voltata per tre giorni. Salata, con un bagno in salamoia, e asciugata, la forma matura in loca-li freschi e umidi per un periodo da nove mesi a oltre due anni, durante il quale viene frequente-mente rigirata, spazzolata e raschiata.

Gusto globalPer riconoscere il vero Grana Padano servono i cinque sensi, come propone Daniele Bassi, con-sigliere nazionale dell’Onaf-Organizzazione Na-zionale Assaggiatori Formaggi: «il prodotto si de-gusta al meglio prelevandolo, con un coltello a goccia, da una forma piuttosto grande, in modo

La Dop si fa in tre• Conlastagionatura,ilGranaPadanosubisceunaserieditrasforma-

zionichemiglioranolesuequalità.Trediverseetàdelprodottosonose-gnalatesullacrostaosullaconfezionedaindicazioniutiliperlascelta.

• Finoa16mesi,ilformaggiohapastagranulosaebiancaconscarsatendenzaafrantumarsi;ilsuogustoèdelicato,conprofumidilatteepanna,edègradevoledapasto.

• Oltre16mesi,adattoperlagrattugia,ilformaggiorisultaleggermentepaglierino,granulosoefriabileascaglie;isuoiaromirichiamanoan-chelafruttaseccaeilfieno.Inbocca,lanotadolcecedeaunadiscretasalinità.

• Riservaoltre20mesi,ilprodottomarchiatoafuocoGranaPadanoRiservahacoloreomogeneo,strutturaradialeascagliaegustosapi-do,maiaggressivo,conaromievolutidiburroefienoetoniflorealidimais.Ottimopercondireprimipiattieconmarmellate.

Il Grana Padano rappresenta

l’icona del buon gusto italiano, supportato anche da

grandi chef che lo ritengono un alleato per valorizzare la creatività in cucina e per comunicare la genuinità

del made in Italy.

Il Grana Padano è una fonte di proteine ad alto valore biologico, vitamine B e sali minerali, soprattutto calcio e fosforo per le ossa

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da poter rompere a scaglie la pasta granulo-sa. La scaglia, portata alle narici, sviluppa un odore intenso e persistente di foraggio essic-cato, di frutta esotica e di animale. In bocca, dopo una breve masticazione, la pasta risulta granulosa ma molto solubile, con sapore dol-ce, sapido e mai piccante, e rivela gli aromi del lattico cotto, del tostato e del brodo di carne, tipici di un formaggio di lunga stagio-natura. Con il prodotto grattugiato, ottimo per gratinare, mescolato al pane grattato, si ottengono originali cialde, riscaldandolo su piastra. Il Grana Padano si abbina bene con la mostarda di zucca o con il miele di casta-gno, si accompagna a un pane ricco di mol-lica o viceversa biscottato e pretende vini rossi di corpo, anche se con lo spumante di-venta un protagonista dell’aperitivo». L’ap-peal della “gloria” padana continua nell’or-ganismo grazie alle virtù nutrizionali, come pronta assimilazione e alta digeribilità, do-vute alla stagionatura. Il Grana è una fonte di proteine ad alto valore biologico, vitami-ne B e sali minerali, soprattutto calcio e fo-sforo per le ossa.

A lezione di DopPer informare il pubblico sui plus del Dop, il Consorzio intraprende campagne di educa-zione alimentare e iniziative, come A scuola di cucina con Grana Padano, per gli Istituti Alberghieri, oppure Gusta la Qualità in col-laborazione con Regione e Unioncamere della Lombardia. «In tutto il mondo – rife-risce Baldrighi – Grana Padano rappresenta l’icona del buon gusto italiano, supportato anche da grandi chef che lo ritengono un alleato per valorizzare la creatività in cuci-na e per comunicare la genuinità del made in Italy. Con il progetto Grana Padano Ta-glio Sartoriale ogni ristoratore aderente può scegliere la stagionatura del formaggio, dai 9 agli oltre 24 mesi, più adatta a esaltare i suoi piatti». Promuovere la nostra cultu-ra enogastronomica in Italia e all’estero è un riconoscimento per chi opera con pas-

Assaggi-saggi di Grana Padano Dop

Consorzio per la tutela del Formaggio Grana PadanoVia 24 Giugno, 8 Fr. San Martino della Battaglia, Desenzano del Garda (Bs) Tel. 0309109811www.granapadano.com

Onaf-Organizzazione Nazionale Assaggiatori FormaggiVia Castello, 5 Grinzane Cavour (Cn)Tel. 0173231108 www.onaf.it

Latteria Sociale di MantovaVia Fratelli Kennedy, 48Loc. Sant’Antonio, Porto Mantovano (Mn) Tel. 0376390808 www.elleesseonline.it

Il prodotto autentico riporta il contrassegno Dop, il Bollo CE, le diciture alternate “grana” e “padano”, il mese e l’anno di produzione, il logo con il codice del luogo di nascita e il “quadrifoglio” con la sigla della provincia e il numero di matricola del caseificio

sione e un valido contributo per informare i consumatori sui numerosi taroccamenti dei prodotti italiani di qualità. «Poiché bisogna fare bene e farlo sapere, abbiamo scelto per il 2012 un piano d’investimenti in comuni-cazione e promozione di 25 milioni di euro, con una quota destinata all’estero di ben 10 milioni», aggiunge il presidente, «Perciò par-tecipiamo a numerose manifestazioni di ri-lievo in Italia e all’estero, come la NYC Ma-rathon, il Fancy Food di Miami, Alimentaria di Barcellona e molti altri, fino al Giappone e alla Cina. Con la presenza costante, tutelia-mo il mercato dall’attacco dei similari, senza provenienza in etichetta e ingannevoli per i consumatori, a causa dei nomi italiani con a fianco il termine “Gran”».

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cibo&territoriocibo&territorio

Lo Stato Pontificio trasformò la Marca

sporca (il Maceratese, fin quasi ad Ancona

e giù verso Ascoli) nel granaio del centro

Italia. Oggi, nella patria di Nazzareno

Strampelli, che al cereale legò

l’ingegno, ci sono templi della

lavorazione artigianale noti nel mondo.

E tante storie di passione

Se scendendo giù da Colfiorito, lasciando sul-la destra l’incanto del Parco dei Sibillini, vi fate trasportare lungo la valle del Chienti o del Potenza e alzate lo sguardo alle colline, vedrete che hanno un verde cupissimo sugli apici e i fianchi sembrano sbiaditi. Ci crede-reste? È colpa del grano che fu. Erano queste le terre dei Varano, signori di spada, di fede e di commercio. Se vi avanza del tempo, andate a Camerino ad ammirare i lasciti architetto-nici e di sapienza di questa dinastia così poco celebrata e in realtà paragonabile ai Medici (ovviamente in sedicesimo) per acume poli-tico, solidità finanziaria e mecenatismo. Che c’entra – direte – tutto questo con il grano? C’entra, perché caduti i Varano, lo Stato pon-tificio spinse le loro coltivazioni di cereali fin quasi in vetta ai monti, disboscando per far posto alle sementi, e trasformò così la Marca sporca (il Maceratese, fin quasi ad Ancona e giù verso Ascoli) nel granaio del centro Italia di Olga Carlini

come già avevano fatto i Medici con la Val d’Orcia e con il Senese. Giunti quasi a Tolen-tino, vedrete la Rancia, il granaio fortificato dell’abbazia cistercense di Fiastra, che resta a ricordarci il mare di spighe che tra i Sibillini e l’Adriatico ondeggiava ai venti di Levante. Tanto che, da queste parti, perfino un paese ha a che fare con le spighe nel nome, Monte-granaro, oggi fiorente di industrie di scarpe, ieri terra di mezzadri e di agrari. E un altro, Campofilone, è diventato la capitale mondia-le dei maccheroni.

Ibridi d’autoreMa se per parlar di pasta e di grano in que-sta parte magnifica e ascosa d’Italia bisogna mettere in fila i Varano, il Papa e le Fortezze, una ragione c’è. Si chiama Nazzareno Stram-pelli, nato a Crispiero, un minuscolo borgo a mezz’ora di cavallo da Camerino, che studiò in quell’Università e fece le prime vere ibri-

Marche, dal suo granola pasta più amata Marche

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dazioni di grano. Avrebbe meritato il No-bel, ma preferì la gratitudine dei contadini andando con le cattedre itineranti di agri-coltura in giro per l’Italia di Mezzo fino ad approdare a Rieti. Lui ha lasciato a queste terre l’amore per il grano. Vi basta affacciar-vi, proprio lì a Camerino, alla porta del Pasti-ficio che reca il nome della città per scoprire donne che ancora in modo semiartigiana-le modellano – perché il gesto di far la pa-sta ha un archetipo d’arte – con i grani di Strimpelli, tagliatelle e gobbetti, macche-roni e chitarrine. Confezione spartana, nes-suna pubblicità: qualità da vendere in una pasta all’uovo che sembra la cifra dei pasti-fici maceratesi. Forse influenzati dalle due ricette più popolari e peculiari di queste ter-re: i tagliulì pelusi e i mitici vincisgrassi, che a chiamarli lasagne, a queste latitudini, c’è da farsi scomunicare.

Gioielli di bontà e di eticaPerché c’è un’altra storia che è un grano d’amore e sentimento di ostinazione da nar-rare. È quella di Luigi Donnari, con la testa in continua centrifuga di progetti, che ha terra e grano e per campare continua a fare il ragioniere, anche se dal 2001 ha messo le mani in pasta. E che pasta! È la Pasta di Al-do: la consuma la corte Windsor, ne vanno pazzi gli americani, ed è quasi introvabile perché la signora Maria, la moglie di Aldo, nel piccolo laboratorio di Monte San Giusto riesce a tirarne al massimo 50 chili al giorno. Ma Luigi non smette di sperimentare e ora s’è provato anche con il grano saraceno, con la semola tostata e con il farro. Già il farro. Se il grano è l’oro di Strampelli, il farro è il simbolo dell’identità picena. Era il cereale della fertilità, tanto che i romani, copiando dai piceni, dettero alla conffarratio – lo scam-bio rituale tra gli sposi di due ciotole di farro – il significato del contratto matrimoniale. C’è tutto in questa pasta delle Marche. C’è

Strampelli, il profeta del grano

Hanno fatto anche un film su di lui, ma è rimasto nelle cineteche.

Nazzareno Strampelli è un monumento della scienza in

Italia, ma è misconosciuto. Ha vissuto inseguendo un progetto

visionario: inventare un grano che sfamasse i contadini, che

producesse tanto da migliorare la vita della gente dei suoi campi.

Era nato a Crispiero, nel 1866, e conosceva il sapore della fame di quella gente che viveva separata

da un fiume e aggrappata alla montagna a ridosso di

Castelraimondo nella parte più nascosta del Maceratese. Da lì

era partito per studiare agraria a Pisa, era tornato a Camerino per studiare l’ibridazione dei cereali.

Aveva fondato a Crispiero la prima società operaia e contadina di mutuo soccorso ma fu accanto

a Mussolini nella Battaglia del grano. I gerarchi lo vollero

senatore, ma lui scrisse al Duce: «La vita del parlamentare non fa

per me». E se ne tornò a Rieti a ibridare piante, a inventare oltre

20 tipi di grano che sono finiti dal Messico alla Cina. Fece in

contemporanea a Mendel, senza conoscere gli studi dell’austriaco, esperimenti sull’ibridazione, ma

quando li conobbe dedicò a lui e non a se stesso il grano migliore

che abbia mai creato. Avrebbe potuto vincere il Nobel, e infatti

Norman Borlaug l’ottenne ispirandosi agli studi di Strampelli,

ma preferì continuare a lavorare per i suoi contadini a Rieti. Con i suoi grani non fece “il grano”; è morto nel ‘42 in piena Seconda Guerra mondiale sperando che

il grano producesse il pane della pace, ma oggi se a Macerata

chiedete chi era Nazzareno Strampelli forse non sanno

rispondervi. A Crispiero sì, ma sono rimasti in 500. Anche se ogni

giorno qualcuno nel mondo si sfama con un grano di Strampelli.

anche l’idea impareggiabile dei Mancini di trasformare il loro grano, stavolta duro, in un inno alla campagna. Stanno a Monte San Pietrangeli, altro minuscolo paese che si di-vide tra le scarpe e i campi, e hanno scelto per slogan un’affermazione che è paradig-matica: dal nostro grano la vostra pasta. Sì perché questo è un esempio di filiera cortis-sima. Ha cominciato il papà Giuseppe Man-cini ad allargare l’azienda: da 20 a 70 ettari. Poi Massimo – che all’università ha studiato i testi di Strampelli –si è messo a seleziona-re i grani duri e anche lui ha avuto l’idea di trasformare il suo grano in spaghetti. Nasce così un gioiello gastronomico. Pochissima produzione, packaging di design, prodotto di straordinaria fragranza. Solo otto tipi di pasta – tre lunghi e cinque corti – ottenuti da grani San Carlo, Ariosto e Levante, trafile in bronzo per realizzarla, fi-no a 60 ore di essiccazione per restituire una

Qui sotto, il borgo di Campofilone, in provincia di Fermo, patria dei celebri maccheroncini

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volta cotta il gusto degli amidi, il profumo dei campi. E poi qual-

cuno osa dire che la storia non con-ta e che la gastronomia può non collegarsi

alla terra. Ma è anche impegno sociale. Lo ha dimostrato Enzo Rossi, il titolare de La Cam-pofilone che scioccato dall’inflazione, dall’ero-sione dei salari, qualche anno fa ha provato a vivere con lo stipendio di uno dei suoi operai. «Al 20 del mese avevo finito i soldi. Sono tor-nato in fabbrica e ho dato a tutti un aumento netto di 200 euro in busta paga – racconta – le donne che impastano i miei maccheroncini hanno diritto a una vita dignitosa». Un mes-saggio che si riflette anche nel modo in cui La Campofilone, la maggiore azienda del paese – incantevole in provincia di Fermo, diventato la capitale dei maccheroni – fa la pasta.

Nel 2011 l’industria italiana

della pasta ha raggiunto i 3.247 milioni di tonnellate

prodotte, di cui oltre la metà destinate ai mercati

esteri

Il discorso pasta è legato a doppio filo a quello del recupero delle biodiversità: i dati ci dicono infatti che i consumi di pasta e riso biologici nei primi quattro mesi del 2011 sono cresciuti a un ritmo vertiginoso, superiore al 30%

Successo planetarioA citare i maccheroncini di Campofilone in giro per il mondo si fa sempre un figurone. Questo

particolare formato, infatti, è uno dei simboli principali, oltre i confini nazionali, dell’eccellenza

nazionale in tema pasta. Che per altro è, lo sappiamo bene, un prodotto amato ai quattro

angoli del globo. A dimostrarlo in modo inequivocabile l’organizzazione annuale, ogni 25 ottobre, del World Pasta Day, Giornata Mondiale

della Pasta itinerante che, lo scorso anno, si è svolta proprio a Roma. E per renderci conto di

quanto il tema sia all’ordine del giorno, proprio in occasione del meeting, si è svolto il congresso

“Pasta, sfida globale. Nuovi mercati e nuovi consumatori per l’alimento che sta conquistando le tavole del mondo”. Incoraggianti i dati emersi:

studi AIDEPI hanno infatti dimostrato come, anche nel 2011, l’industria italiana della pastificazione

ha conquistato il podio con 3.247 milioni di tonnellate prodotte, di cui oltre la metà

destinate ai mercati esteri (per capirci: un piatto di pasta su 4 tra quelli

mangiati nel mondo è prodotto in Italia!). Sempre in occasione

della manifestazione, Coldiretti ha evidenziato come, negli ultimi dieci anni, in Cina la

pasta italiana hanno vissuto un vero e proprio boom,

con le esportazioni che sono aumentate di 5 volte, alle quali si è aggiunto, nei primi sei mesi del 2011, un aumento record del 30%

rispetto al primo semestre dell’anno precedente. Buone notizie arrivano

inoltre in ambito biodiversità: ISMEA infatti ha certificato che i consumi di pasta e riso biologici

nei primi quattro mesi del 2011 sono cresciuti a un ritmo vertiginoso, superiore al 30%. A questo

proposito, Andrea Ferrante di AIAB, ha approfittato per sfatare un mito legato al mondo bio, ovvero

“il pregiudizio che vorrebbe i prodotti biologici come cari e per pochi. I prezzi della confezione da

mezzo chilo della pasta bio (grano duro) variano, a seconda dei canali di vendita, tra un minimo di 1,05

euro a uno massimo di 1,49 euro. Non un costo esagerato, quindi, tanto più se confrontato con il

prezzo di listino di alcune marche leader della pasta tradizionale, vendute a 1,29 euro”. Insomma, quello della pasta italiana di qualità è un mercato vincente

nel mondo, e non solo per i grandi produttori ma anche, e soprattutto, per tutte quelle piccole realtà che si distinguono per le produzioni bio e

l’attenzione a una materia prima genuina e dalle radici ben piantate nella storia locale.

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Fidatevi: è una bufala, ma è Dop

La mozzarella campana continua la sua crescita e conquista i mercati stranieri diventando simbolo del made in Italy “certificato”. Un prodotto senza eguali in tutto il globo. Come la Reggia di Caserta e i templi del Cilento, le altre meraviglie della sua terra di origine

Mozzarella campana ‘n’coppa al mondo. Germania, Francia, Regno Unito, Spagna, Svizzera, Paesi Bassi, Scandinavia, Russia, e ancora Stati Uniti, Canada, Giappone: quella della bufala Dop sui mercati este-ri è una crescita inarrestabile. A superare i confini nazionali, conquistando e seducendo i palati di tutto il mondo, sono stati ben 10 milioni di kg di pasta filata, pari a 80 milio-ni di mozzarelle. Ormai si esporta ovunque. «La mozzarella di bufala campana Dop – di-chiara Antonio Lucisano, general manager del Consorzio di Tutela del prodotto – non ha sul mercato veri e propri competitor. È un prodotto unico che fuori dai confini della sua terra di origine diventa altro: una me-ra imitazione che nulla ha a che vedere con la bontà della mozzarella di bufala campa-na certificata». «Questo formaggio fresco – continua Lucisano – seduce per le sue qua-lità organolettiche, per la sua consistenza, per il suo profumo. Il latte di bufala è dolce, ma con una componente acida leggera da-ta dalla presenza degli enzimi, leggermen-te più ricco di proteine e di grassi del latte vaccino e quindi più strutturato. Tutte que-ste caratteristiche rendono il prodotto fina-le delicato, soave, ma al tempo stesso molto complesso. Un prodotto dalle diverse sfu-mature, che ben si presta a matrimoni gusta-tivi difficilissimi per altri formaggi».

di Rosalia Imperato

Campania

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Storia, produzione e peculiarità Il termine mozzarella, che deriva da mozzare, operazione praticata ancora oggi in molti casei-fici, che consiste nel taglio manuale della pasta fi-lata, effettuato con indice e pollice (mozzatura), appare per la prima volta nel XVI secolo (1570) in un testo di cucina di Bartolomeo Scappi, cuo-co della corte papale. Ma risalirebbero al XII se-colo le prime tracce della presenza del prodotto sul territorio: da un documento ritrovato nell’Ar-chivio Episcopale di Capua si evince che i mona-ci del monastero di S. Lorenzo in Capua erano soliti offrire una mozza o provatura con un pezzo di pane ai pellegrini che si recavano in processio-ne in quella chiesa. Questo delizioso formaggio fresco, che dal XVIII secolo si produce su vasta scala, si ottiene addizionando al latte intero di bufala il siero innesto del giorno prima e il caglio di vitello. Coagulato il latte in 20-30 minuti, si rompe grossolanamente la cagliata in grumi della grandezza di una noce e la si lascia poi matura-re sotto siero caldo per 4-5 ore. Al termine del-la maturazione la cagliata viene ridotta a strisce, posta in appositi recipienti dove, con l’aggiun-ta di acqua a 95°, viene sottoposta alla filatura, operazione effettuata tirando continuamente la pasta con un bastone. Si passa quindi alla moz-zatura o formatura, tagliando la pasta in pezzi di peso diverso secondo le esigenze di produzione. Viene quindi prima posta in acqua fredda per pochi minuti e poi in salamoia per la fase di sa-latura. La bufala campana Dop è un formaggio fresco a pasta filata con sfoglie sottili, leggermen-te elastico nelle prime 8-10 ore, poi sempre più fondente. La forma è tondeggiante, ma può an-che presentarsi in altre forme, quali bocconcini, nodini, trecce, e il peso è variabile da 10 a 800 gr. La superficie è liscia e di colore bianco porcella-nato. Al taglio, per leggera compressione, rilascia un liquido sieroso di colore biancastro. Il sapore è tipico di latticino fresco, tendente all’acidulo. L’odore è fragrante e dolce, con una nota di latte lievemente acidulo e sfumature che dipendono dal tipo di foraggio con cui sono state nutrite le bufale: muschio, erba selvatica, ma anche gine-

In alto, il momento della filatura manuale della mozzarella di bufala. In cucina è perfetta nella preparazione della pizza napoletana; ottimo l’abbinamento con vini giovani e dal sapore asciutto che ne esaltano le qualità organolettiche

Numeri che parlanoSecondo l’ultimo rapporto Qualivita, la carta d’identità Ismea delle eccellenze a denominazione di origine, il made in Italy “certificato” vale 10 miliardi di euro. «Anche il 2011 - spiega Arturo Semerari, presidente Ismea - conferma l’andamento positivo per i prodotti agricoli e alimentari di qualità, sia con il riferimento ai consumi interni che alle esportazioni». E la mozzarella di bufala campana Dop è tra i prodotti che crescono di più. I dati relativi al 2011 registrano una crescita della produzione pari al 4%, passata dai 36 milioni di kg del 2010 ai 37 milioni 500 mila del 2011. Dati positivi anche nel fatturato alla produzione (+4,5%) passato da 306 milioni a circa 320 milioni di euro e nel fatturato al consumo che ammonta a circa 500 milioni. Nel 2011, infatti, l’export si attesta al 25% sul totale della produzione con un balzo in avanti del 5% sul 2010, in linea con tutto il comparto lattiero caseario, che registra un + 5,79% (dati Ismea).

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stra, mandorla, miele, crema. La mozzarella è venduta sfusa o confezionata in vaschette o sac-chetti di plastica. Si conserva a temperatura am-biente, per 24-28 ore, immersa nel liquido di go-verno. La si può gustare da sola o in abbinamento con dei deliziosi pomodori maturi. In cucina è perfetta per la realizzazione di primi e secondi piatti mediterranei o nella preparazione della piz-za napoletana. Ottimo l’abbinamento con vini giovani e dal sapore asciutto che ne esaltano le qualità organolettiche.

Dalle Valli del Volturno al Cilento: le terre della mozzarellaIl nostro viaggio alla scoperta delle terre della mozzarella di bufala campana Dop comincia nelle Valli del Volturno. Partiamo dallo splen-dido litorale domiziano: Baia Domizia, Monda-grone, Capo Miseno, Castel Volturno, Marina di Varcaturo, suggestive località turistiche dove è possibile lasciarsi incantare da fortezze, castelli e ville antiche. A pochi chilometri dalla costa, la città di Caserta. In questo luogo sorge la Reggia di Caserta o Palazzo Reale di Caserta, dimora del XVIII secolo, proclamata dal 1997 Patrimo-nio dell’umanità dall’Unesco. Il Palazzo Reale, voluto da Carlo di Borbone, figlio del re Filippo V di Spagna e di Elisabetta Farnese, per celebra-re l’importanza europea raggiunta dal Regno di Napoli, fu realizzato da Luigi Vanvitelli che si ispirò per il progetto alla Reggia di Versailles. La Reggia di Caserta, definita l’ultima grande opera del Barocco italiano, fu terminata nel 1845, ri-sultando un grandioso complesso che si estende su una superficie di 47.000 mq e possiede 1.200 stanze. Meravigliosa e suggestiva la Sala del Tro-no, il luogo dove il Re amministrava la giustizia, riceveva ambasciatori e delegazioni ufficiali e te-neva i fastosi balli di corte. Di straordinaria bel-lezza il Museo dell’Opera, con disegni e modelli del palazzo realizzati da Vanvitelli, e il piccolo e raffinato Teatro di Corte, palcoscenico delle ope-re liriche di Giovanni Paisiello (1740-1816) e di Domenico Cimarosa (1749-1801). All’esterno del Palazzo Reale l’immenso e sorprendente par-

In queste immagini il Palazzo Reale di Caserta, con i suoi interni fastosi ma, soprattutto, il suo immenso parco, animato da fontane e giochi d’acqua. A destra uno scorcio di Paestum

La Reggia di Caserta, ultima grande opera del Barocco italiano, fu terminata

nel 1845. Con la sua suggestiva Sala del Trono e il Museo dell’Opera, di straordinaria bellezza, è solo

una delle meraviglie sparse sul territorio della mozzarella di bufala Dop

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dove mangiareLe ColonneSenza dubbio uno degli indirizzi più interessanti della zona e il merito di questo successo è soprattutto di Rosanna Marziale che è riuscita a creare e offrire una cucina innovativa che pone al centro le eccellenze del territorio casertano, i prodotti bufalini in particolare, e soprattutto la mozzarella Dop, per la quale è stata nominata dal Consorzio di Tutela Ambasciatrice nel mondo. Prezzo medio: 65 euroV.le Douhet, 7 - CasertaTel. 0823467494

Da Nonna SceppaUn locale piacevole e accogliente dove la famiglia Chiumeno propone una buona cucina realizzata con i prodotti locali di mare e di terra d’indiscutibile freschezza e qualità. Non mancano mai il pescato del giorno e neppure la mozzarella di bufala. Prezzo: medio 45 euroloc. LauraVia Laura, 45 - Capaccio-Paestum (Sa)Tel. 0828851064

Da CarmeloUn piccolo e piacevole locale dove Carmelo e Maria ti accolgono con i sapori e i profumi della cucina marinara. Si può cominciare con un carpaccio di pesce o con alici marinate e imbottite. Proseguire con gli spaghetti con trito di gamberi e peperoncino. Continuare con il pescato alla griglia o al forno o con una frittura mista e concludere con i dolci della casa. Prezzo medio: 35 euroloc. IscaSS 562 - Palinuro (Sa)Tel. 0974931138

dove dormireHoliday Inn Resort Naples Castel VolturnoNel verde di una magnifica pineta sorge l’hotel Holiday Inn Resort Naples Castel Volturno. A disposizione degli ospiti camere arredate con gusto e sobrietà e dotate di tutti i comfort più moderni. Camera doppia da 225 euroloc. Pineta MareVia Domitiana km 35,300 - Castel Volturno (Ce)Tel. 0815095150

Paistos petit hotel de charmeUn piccolo albergo di charme per godere della pace e della tranquillità che sa suscitare il mare. A disposizione degli ospiti camere ampie e luminose, arredate in stile mediterraneo e fornite di tutte le necessarie comodità. Il ristorante propone piatti a base di prodotti locali ed etichette della zona. In estate la cena viene servita all’aperto nella bella terrazza. Camera doppia 110 euroVia Laura Mare, 39 - Capaccio-Paestum (Sa)Tel. 0828851683

La TorreA pochi passi dal porticciolo e all’ombra di un’antica torre saracena sorge l’hotel La Torre. La struttura dispone di camere allestite con eleganza e sobrietà e dotate di tutti i comfort. A disposizione degli ospiti spiaggia privata e ristorante con cucina tipica. Camera doppia da 250 euroVia Porto, 5 - Palinuro (Sa)Tel. 0974931264

dove comprareCooperativa agricola Salicella Accanto alla produzione di ottime mozzarelle, disponibili nelle diverse pezzature, è possibile acquistare anche ricotta fresca, caciotte e scamorze affumicate, tutto prodotto con latte di bufala.Via Sant’Andrea, 1 Carinola (Ce)Tel. 0823700963

MatraIl posto ideale dove acquistare i prodotti tipici del Cilento contraddistinti dai marchi Igp, Dop e i prodotti dei presidi Slow Food del territorio. Via Magna Grecia, 212 - Capaccio-Paestum (Sa)

Ilario Il SalumiereIn questa deliziosa gastronomia si trovano in vendita le specialità tipiche della zona: mozzarella di bufala, cacioricotta cilentana, prosciutto di Casaletto, soppressa di Gioi, soppressata di Ricigliano, salame di Stio, guanciale di Cicerale, miele del Parco del Cilento, olio delle colline salernitane, conserve, confetture e le grandi etichette del territorio.loc. Capaccio ScaloVia della Repubblica, 5 Capaccio-Paestum (Sa)

Scelti per voi

co, animato da fontane e giochi d’acqua. Prima di lasciare questa zona, un altro luogo di incre-dibile fascino merita una piccola sosta. È l’antica Caserta, Casertavecchia, un borgo medioevale dove è possibile scoprire siti unici come il Duo-mo di San Michele Arcangelo del XI secolo e la contigua chiesa dell’Annunziata. Spostandoci poi nella zona meridionale della Campania, nel meraviglioso Parco Naturale del Cilento e Vallo di Diano (dal 1997 dichiarato dall’Unesco Pa-trimonio dell’Umanità), giungiamo a Paestum. Il paese è noto soprattutto per i grandi templi: il Tempio di Hera, il Tempio di Nettuno e il Tem-pio di Athena. Il Tempio di Hera o Basilica di Herathos (540 a.C.), è il tempio più antico e re-ca i segni della sua arcaicità in alcune peculiarità strutturali, ad esempio nella peristasi enneasti-la sui lati brevi, con una colonna in asse, esclusa dalle forme canoniche successive. Il Tempio di Nettuno (530 a.C.) è il più grande e mostra le forme mature del tempio di Zeus di Olimpia. Il Tempio di Athena (500 a.C.), un tempo Tem-pio di Cerere, è il più piccolo e presenta colon-ne doriche nel peristilio e ioniche all’interno del pronao. Spostandoci da Paestum nel vicino co-mune di Ascea è possibile visitare l’antica città di Velia. Uno degli elementi di maggior richia-mo di questi scavi è la famosa Porta Rosa, uni-co esempio di arco greco del IV secolo, un vero gioiello dell’architettura dell’epoca.

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Alicos – azienda di Salemi celebre per la sua produzione di tipicità trapanesi realizzate seguendo i dettami della tradizione, con un occhio aperto sulle attuali esigenze dei consumatori – propone una sfiziosa carrellata di gustose novità. Su tutte la Salsa pronta di pomodoro ciliegino e peperoni

Dopo il grande successo della Salsa pronta di pomo-doro ciliegino e datterino, l’azienda Alicos ha voluto ancora un volta deliziare il palato dei suoi affezio-nati clienti allargando la gamma dei sughi pronti, introducendo la Salsa pronta di pomodoro ciliegino e peperoni. Così come la “sorella”, questa nuova delizia del palato, è un condimento pronto da uti-lizzare sulla pasta o come base per la preparazio-ne di sughi per carni, ma con un sapore più deciso. Gli ingredienti sono semplici: pomodoro ciliegino, peperoni tagliati a pezzettini, olio extra vergine di oliva, basilico e sale. La produzione della salsa av-viene in modo semplice e secondo i canoni della tradizione: il pomodoro viene cotto in pentoloni e poi si fa sgocciolare, si passa e la salsa ottenuta si fa cucinare aggiungendo olio e basilico e solo alla fine si aggiungono i peperoni, cucinati e preparati a par-te, al composto. Dopo di che le bottiglie si steriliz-zano a bagnomaria. Niente a che vedere insomma con gli odierni processi industriali meccanizzati. La bottiglietta usata per la salsa è quella classica, che si è sempre utilizzata in ambito familiare e che usa-

Nuovo gusto alla vita

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Un legame a doppio filo quello di Alicos con le tradizioni

di Salemi.A sancire il successo

dell’azienda infatti la ricerca continua di nuove ricette

non scritte, ma tramandate

nei secoli di madre in figlio,

per riscoprire i gusti della tradizione, nonché la selezione accurata di materie prime prodotte

sul territorio AlicosVia M. Cremona, 21 - Salemi (Tp) Tel. 0924983348 - www.alicos.it

I segreti del successo

Sughi pronti e preparati per bruschetta sono tutti realizzati con l’utilizzo di olio extravergine di oliva Halycos, ottenuto principalmente da piante di Cerasuola impiantate nel 1929, che porta ai prodotti quel loro sapore caratteristico e quel profumo da cui è impossibile non rimanere incantati. Peculiarità dell’azienda è, inoltre, la trasformazione dei prodotti orticoli nella loro stagionalità, per cui vengono lavorati tutti dal fresco per preservarne in maniera ottimale la fragranza e il gusto, e vengono conditi solo con olio extravergine di oliva, senza l’aggiunta di conservanti.

Appuntamenti con il gustoAlicos è presente ogni anno agli appuntamenti più importanti del settore: Sapore a Rimini, Sol di Verona e, a Maggio, Cibus a Parma. I prodotti si possono degustare e acquistare nelle migliori gastronomie, ristoranti, wine bar e nei negozi di prodotti tipici, in tutta Italia.

va la nonna quando preparava la salsa per l’inver-no; nella cucina povera infatti si cercava sempre di riciclare quello che era disponibile e che non si do-veva comprare, e queste bottiglie erano, ad esem-pio, quelle usate per la birra. Quindi si è cercato di mantenere la tradizione, però vestendola con un tocco di modernità.

Non solo peperoniMa la Salsa di pomodoro ciliegino e peperoni è solo una delle nuove meraviglie della famiglia dei sughi pronti Alicos. Accanto a questa si annoverano in-fatti anche il Sugo pronto all’ortolana, gustosissi-mo e ottenuta da pomodoro ciliegino a cui si vanno ad aggiungere croccanti verdure soffritte tagliate a dadini (melanzane, peperoni e poi cipolla, sedano e carote), il deciso pesto siciliano, realizzato con in-gredienti semplici, come vuole l’usanza sicula, e in-fine il delicato pesto trapanese, tipico condimento che viene abbinato alla caratteristica busiata trapa-nese. Questi condimenti, ottimi nella realizzazione di primi piatti, sono ideali per chi vuole preparare un piatto unico, veloce, ma senza rinunciare al gu-sto. Altra new entry nella gamma dei prodotti Ali-cos, sono i condimenti pronti per bruschette, tutti a base di pomodoro fresco tagliato a dadini e conditi con olio extravergine di oliva, aglio e basilico con quattro varianti: bruschetta con pomodoro e po-modoro secco, bruschetta con pomodoro e basili-co, bruschetta con pomodoro e melanzane e infine bruschetta con pomodoro e peperoni, ottimi per la realizzazione delle classiche bruschette, secondo le regole della tradizione siciliana campestre.

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Il Chiaretto di Cavaglià

Assai celebre e apprezzato durante la prima me-tà dell’Ottocento, il Chiaretto di Cavaglià è og-gi un vino riservato ad appassionati, rinvenibile esclusivamente nel circondario, ma soprattutto fuori dai circuiti commerciali. Bisogna battere casolare dopo casolare per trovare infine qual-che contadino disponibile a stappare una botti-glia di vino – ma il termine vino è assai riduttivo – pigiato magari decenni prima e conservato in un angolo della cantina, spesso irrituale, senz’al-tro molto fuori dalle moderne idee di cantina. Facciamo un po’ di storia, in sintesi. Nel 1834 Goffredo Casalis inserisce nel suo Dizionario ge-ografico, storico ed economico il Chiaretto di Cavaglià tra i più apprezzati della zona e utile a procurare lucro; nel 1838 Attilio Zuccagni Orlan-dini nella Corografia d’Italia riprende i concetti e racconta di vigneti sparsi per il territorio e colti-vati con industriosa attività, ragione del consi-derevole lucro che gli agricoltori e i possidenti ne traggono; nel 1931 la Guida Gastronomica d’Italia edita dal Touring Club lo definisce vino rosso chiaro che si produce nei vigneti circostan-ti a questo paese. Utili riferimenti che però non dicono nulla sulla natura del prodotto. Bisogne-rà attendere il mantico Vino al vino di Mario Soldati, nel 1977, per averne almeno una va-ga rappresentazione nella leggenda dei Tre Ve-scovi. Al centro della catena delle Alpi Biellesi si trova, infatti, la vetta dei Tre Vescovi, detta così perché alla confluenza di tre vescovadi limitrofi: Ivrea, Aosta e Biella. Si narra che, un giorno, i tre prelati si fossero dati appuntamento sulla vetta e ciascuno di loro avesse portato le migliori vi-

Un vino – ma il termine è assai riduttivo – per pochi. Riservato, per diffusione e conoscenza, solo ai cultori e agli appassionati. La storia ci racconta che ha accompagnato le meditazioni in montagna di prelati buongustai. Colore giallo ambrato e profumo di prugna secca, il suo sapore è così intimo che l’unico abbinamento possibile è con se stesso

vande dei luoghi amministrati. E con le vivande, i vini. Nella gerla del vescovo d’Ivrea, Erbaluce bianco e secco, Passito di Caluso e Chiaretto di Cavaglià, serbati per il dessert. Qui si inizia a configurare appunto il Chiaretto di Cavaglià co-me vino da dessert. Nulla però si dice sulle mo-dalità di produzione. Sul luogo si ottengono in-formazioni esaustive. Oggi 30 ettari vitati; 300 negli anni Settanta. Vigne perlopiù di Erbaluce e Uva Rara, altrove detta Bonarda ovvero Bonarda di Cavaglià. La raccolta dell’uva per il Chiaretto di Cavaglià avviene a giusto punto di maturazio-ne mentre i grappoli migliori subiscono un ap-passimento in cassetta sino a febbraio, talvolta a marzo. La quantità di uva utilizzata è del 50% per ciascuna varietà Erbaluce e Uva Rara, a pe-so appassito. La resa in vino non è superiore al 18%. La filtrazione avviene per naturale deposi-to delle impurità, dopo che il mosto è lasciato in damigiane o in contenitori di acciaio per almeno cinque anni. Aprile 2012: aperta presso l’Azien-da Agricola di Luigi Pozzo una bottiglia prove-niente da uve pigiate nel 1982. La trasformazio-ne del mosto in vino è avvenuta in damigiana, dove il liquido ha riposato sino al 2010, anno in cui si è imbottigliato. L’apri e si presenta di co-lore giallo ambrato tendente al marrone chiaro, delizioso profumo di prugna secca, tamarindo e ginestra, fermo e saldo al primo sorso, am-pio, lungo e consistente di seguito. Stoffa che si riproduce in declinazioni eterogenee a ogni at-timo, convergendo occhio, naso e bocca verso l’infinito. Tanto intimo che l’unico abbinamento possibile è con se stesso.

Piemonte

Cavaglià

Il bel borgo piemontese di Cavaglia e la sua Chiesa di Michele Arcangelo

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di RiccaRdo LagoRiola scoperta

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La cooperativa d’acquisto Gestor ha costruito in Trentino un sistema che offre a hotel e ristoranti vantaggi economici e, soprattutto, la sicurezza delle giuste forniture. Non a caso, dal 1998 è un punto di riferimento per il settore turistico-ricettivo del territorio. Abbiamo incontrato il suo direttore, Nives Tisi

Far incontrare le diverse di-mensioni dell’ospitalità – al-berghi e ristoranti – e offrire loro un punto di riferimento concreto, sicuro, affidabile, negli acquisti, nella selezione dei fornitori, e in generale nel-lo sviluppo commerciale del-le strutture turistico-ricettive. È la mission che dal 1998 ve-de impegnata Gestor, una co-operativa d’acquisto con sede a Trento, che in 14 anni di at-tività è riuscita ad aggregare, in tutto il Trentino, 340 soci tra albergatori, ristoratori e gesto-ri di pubblici esercizi, offrendo loro un servizio fondamentale: la sicurezza delle giuste forni-ture. Si tratta di un’esperienza pressoché unica nel panorama del settore turistico-ricettivo nazionale. Lo slogan della co-operativa d’acquisto trentina è, non a caso, “fatta dai soci per i soci”. A illustrarci la filo-sofia di fondo di Gestor è lo stesso direttore del consorzio, Nives Tisi: «Oggi più che mai, la relazione tra alberghi e risto-ranti presuppo ne uno sguardo dinamico su un settore in evo-luzione, spe cie per quanto ri-guarda la dotazione di servizi e la gestione delle relative spese e procedure di acquisto – spie-ga – ma l’hospitality e l’hore-ca, oltre che business signifi-

Un esempio da imitare

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Qualità assoluta al servizio del turismo

Il sistema Gestor si basa su un controllo rigoroso ed efficace dello sviluppo finanziario delle atti­vità dei singoli soci ed è garantito da servizi come la fatturazione unica degli acquisti mensili (con una lettura mensile di essi), la valutazione del fornitore e la stipula degli accordi commerciali, il controllo costante dei prezzi e delle condizioni concordate, fino all’invio ai soci delle condizioni d’acquisto (continuamente aggiornate). Gestor dedica inoltre ampio spazio alla comu nicazione attraverso un house organ aziendale quadrimestrale inviato agli oltre 2.300 operatori dell’ospitalità trentina e con il sito web www.ge stor.it affiancato da una newsletter mensile e da un servizio informativo via sms. Attraverso l’assistenza costante all’operatore turi­stico, quindi, la cooperativa d’acquisto riesce a offrire un servizio di qualità assoluta e un’esperienza pluriennale che fornisce un significato sempre nuovo all’ospitalità.

«Il lavo ro del ristoratore e dell’albergatore viene sempli ficato e insieme valorizzato – afferma Nives Tisi – perché il turismo è il ramo del business nel quale assume maggiore impor­tanza il confronto tra mondi diversi».

Per informazioni:Gestor società cooperativa Via maccani 181/a - TrentoTel. 0461826506Fax [email protected]

cativi, sono anche momenti di esperienza condivisa e di co-struzione di significato, oltre che di incontro tra persone. Un’organizzazione come Ge-stor fa incontrare questi diver-si mondi». E l’efficacia dell’azione dispie-gata nel suo primo quindicen-nio di attività, aggiungiamo noi, è dimostrata dal numero dei soci che vi hanno aderito e ai quali Gestor ha sempre ga-rantito, e continua a garanti-re, le migliori collaborazioni commerciali. «Attraverso l’azione di Ge-stor – sottolinea ancora il di-rettore del consorzio – lo svi-luppo commerciale valorizza sia l’attività individua le che la dimensione collettiva del compar to, garantendo una co municazione continua tra gli operatori. Attraverso la no-stra media zione, i soci sono in grado di ac quistare prodotti e servizi alle condizioni più van-taggiose. Gestor è in grado in-fatti di far sviluppare collabo-razioni commerciali con oltre 150 fornitori, selezionati sulla base della qualità e del servizio offerto, e tie ne in particolare considerazione criteri come la completezza dell’assortimen-to e la vantaggiosità dell’of-ferta commerciale».

Far incontrare le diverse dimensioni dell’ospitalità e offrire loro un punto

di riferimento nello sviluppo commerciale delle strutture turistico-ricettive. Questa

dal 1988 la mission di Gestor

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Il Suino Nero, già nel periodo greco e cartaginese, era presente in Sicilia come accertato dal ritrovamento di resti fossili nella zona dei monti Nebrodi, e non solo. Tale territorio, caratterizzato da una vegetazione lus-sureggiante, e ricco di una molteplice varietà di pian-te – tra cui querce, castagni, noccioli, faggi e arbusti –, come di ampie vallate, fiumare e zone umide, da sempre rappresenta l’habitat naturale e unico per l’allevamento, allo stato brado/semibrado, di questa particolare qualità di suini. Tale ecosistema, rimasto immutato nel tempo, consente ancora oggi ai suini di nutrirsi pienamente di ghiande, castagne e pinoli che costituiscono per gli animali una dieta ricca di es-senze naturali e di principi nutritivi e conferiscono alle carni pregiate caratteristiche organolettiche. Il Suino Nero dei Nebrodi si caratterizza per il colore bruno della cute con la presenza di robuste setole, che sul collo assumono la forma di una criniera. La testa è allungata con profilo diritto. Il muso ampio e lungo con il grugno stretto e inclinato; le orecchie piccole, con le punte portate in avanti. Gli arti lunghi e robusti con unghielli neri e resistenti. I suini vengono allevati allo stato brado o semibrado, quest’ultimo viene pra-ticato su estese superfici recintate dove si svolgono

le varie fasi dell’allevamento. All’interno di questo territorio si trovano disseminate le tradizionali e sto-riche zimme, costruzioni in pietra a forma di cono il cui apice è coperto da felci e ginestre, misto a zolle di terra, dove gli animali trovano riparo autonomamen-te. L’alimentazione di questi animali, oltre ai prodot-ti naturali che trovano pascolando nei boschi, viene integrata, quando necessario, con granaglie, legumi e crusche, in concomitanza con i parti e lo svezza-mento. La natura, l’alimentazione, i lunghi tempi di accrescimento, il territorio e, non meno importante, l’abilità dell’uomo, fanno di queste carni qualcosa di veramente distinto nel contesto gastronomico. Solo attraverso l’assaggio di questi salumi se ne compren-de il segreto, frutto della sensibilità, del rispetto della natura e della passione dell’uomo. Le sue carni, de-licate, squisite, contengono oltretutto altissimi livelli di acidi grassi insaturi, svolgendo così un’importante azione protettiva dell’organismo. Al Suino Nero dei Nebrodi dal 2001 è stata ricono-sciuta la caratteristica di “razza autoctona siciliana“: indicazione oggi molto richiesta e sottolineata dai salumieri e dai macellai, nelle gastronomie, e anche dai consumatori più preparati.

Recentemente assurto a nuovi splendori per la produzione

di salami e prosciutti, il Suino Nero

dei Nebrodi vive principalmente

allo stato brado e si ciba di prodotti

naturali che trova pascolando

nei boschi. Questa sua peculiarità si esprime

nell’eccellente color rosso rubino delle sue

carni e nel loro intenso sapore aromatico

Il lato “scuro”del maiale

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di Cesare aldesinogirogustando

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In apertura, Suini Neri allevati allo stato brado all’interno del rigoglioso parco dei Nebrodi (qui, in alto, una panoramica). Nelle altre immagini, le delicate fasi della lavorazione delle sue pregiate carni

La lavorazione: maneggiare con curaParticolare cura viene adoperata nella trasforma-zione delle carni di Suono Nero per la realizzazione dei salumi. I diversi passaggi devono rispettare un alto livello qualitativo, monitorato con attenzione. Nella realizzazione dei prodotti vengono impiegate le spezie tradizionali tipiche di ogni insaccato, utiliz-zate con parsimonia, per non coprire il gusto delle carni. Il cosciotto viene salato una prima volta per alcuni giorni, asciugato e messo successivamente in una madia di legno, sotto sale e aromi vari per venti-quaranta giorni. Durante questo periodo vie-ne girato spesso. Le carni vengono infine coperte con pepe nero macinato fine, pepe rosso, origano, aglio, e messe ad asciugare. Per i salami, la carne viene tagliata a grana grossa in punta di coltello, conciata con sale, pepe e talvolta peperoncino. Quest’ultimo ingrediente caratterizza il salame di S. Marco, differenziandolo da quello più rinomato di S. Angelo di Brolo “sua maestà il re dei Nebrodi”. L’impasto è insaccato in un budello gen-tile suino che mantiene morbido il salame. Merite-vole di citazione è anche il capocollo, ricavato dal taglio dei muscoli della parte dorsale del collo.

Dopo essere stata disossata, sgrassata e rifilata, la carne viene fatta insaporire per circa dieci giorni in una concia di sale, pepe e vari aromi naturali. Es-siccata nel budello di maiale, viene poi legata e po-sta in ambiente aerato dove resterà per un paio di mesi. Sarà la stagionatura in ambienti sotterranei naturali e nelle cantine a terminare l’opera, a creare nell’amalgama del tempo dell’attesa la mescolanza di odori e colori che diverranno caratteristiche pe-culiari di questi rinomati prodotti nati nei paesi che si trovano all’interno del Parco dei Nebrodi, laddove un tempo le famiglie contadine allevavano il maiale per poi macellarlo e farne salume insieme a parenti e amici. Un faticoso lavoro, vissuto ancora oggi co-me occasione di aggregazione festosa. La materia prima radicata negli stessi luoghi di pro-duzione si è tradotta in una cucina locale che esalta le pietanze a base di carni suine e salumi, provenien-ti dagli animali allevati. E per celebrarne la qualità e la tipicità, ogni anno, nel primo fine settimana del mese di novembre, viene organizzata in alcuni co-muni dei Nebrodi la Sagra del Suino Nero, dove è possibile gustarlo nelle sue massime espressioni di gusto e aroma. Provare per credere!

Ogni anno, nel primo fine

settimana del mesedi novembre, viene organizzata in alcuni comuni dei Nebrodi la Sagra del Suino

Nero

Sicilia

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Ci accomunano le stesse conoscenze culturali, dagli avventurosi viaggi di Ulisse ai canti di Dante al pensiero dei filosofi, ai saperi che abbiamo ereditato dai grandi della storia. Quella comune di noi italiani. Che passa dalla cucina e dai suoi profumi. Profumi che, ovunque siamo, sono un’esten-sione della casa natale, una parte privata di noi che evoca emozioni. Ed è per questo che la cucina partenopea ha esportato nel mondo, insieme ai piatti regionali, l’anima di un popolo. Una cucina che ha radici secolari e si è formata mescolando elementi greci, romani, bizantini, arabi, francesi e austriaci. Dove la ricchezza culturale, unita all’abbondanza dei prodotti agricoli e alle risorse del mare, ha dato vita attraverso i secoli a piatti d’eccellenza. Nel regno di Napoli si sono sviluppate una gastronomia aristocratica e una della plebe, con un modo di cucinare fatto di mille invenzio-ni, mille colori, con una contaminazione di sapori il cui simbolo universalmente conosciuto è la pizza. Un cibo gustoso, informale che crea subito un clima conviviale e allegro. Può essere consu-mata in tantissimi modi: è un inno all’estrosità e alla creatività. Insieme alla pizza, a rappresentare la gastronomia partenopea nel mondo c’è la pasta, che ha trovato in Campania (Gragnano) l’ec-cellenza, non solo nella qualità del grano duro ma nell’elaborazione fantasiosa dei formati. Della cucina aristocratica è rimasto il sartù di riso, un timballo particolarmente ricco, farcito come lo scri-gno del tesoro con piselli, carne, salsa di pomodoro, polpettine, salame. Il piatto della festa. I pro-dotti di base di questa cucina provengono da un’orticultura di eccellenza: come i pomodori San Marzano, i broccoli, le melanzane, i carciofi, le patate con cui si prepara il famoso gattò. Storpia-tura dialettale del francese gateau, è una preparazione salata a base di patate, mozzarella e salu-mi. Un altro piatto della tradizione che ben armonizza i sapori dell’orto con la carne è la minestra

Cucina campana: un inno alla creatività

Dal ragù tanto amato da De Filippo alla pizza, senza tralasciare sartù e gattò, per concludere con pastiera e babà: quella partenopea è una cucina da esportazione che, oltre al gusto, ha portato in giro per il mondo l’anima del nostro paese

Minestra maritata di broccoli di rapaLa ricetta povera originaria è la minestra maritata. Questa versione ne rappresenta l’eccellenza con l’utilizzo esclusivo dei broccoli di rapa, considerati preziosi, con le carni del piccione e del coniglio.

Ingredienti:1 coniglio da fossa 6 fasci di broccoli di rapa2 piccioni 2 dl di olio extravergine d’oliva3 puntine di maiale 400 gr di pomodorini del piennolo4 coste di sedano vino liquoroso 1 cipolla media, steccata 1 scalognochiodi di garofano 200 gr di scaglie di caciocavallo2 carote medie 4 bacche di ginepromezza stecca di cannella, sale

Preparazione:Cuocere per un’ora circa sedano, carota, cipolla, pomodorini del piennolo, cannella, bacche di ginepro, coniglio da fossa, piccione, puntine di maiale e acqua necessaria, e filtrare il brodo. Mondare i broccoli di rapa; con alcuni mestoli di brodo portarli a cottura. Sfilettare le puntine di maiale, il coniglio e i piccioni, tagliarli a striscioline e saltarli brevemente con lo scalogno. Bagnare con il vino liquoroso, far evaporare e tenere da parte. Servire nel piatto fondo sistemando la verdura estratta dal brodo, i filetti di carne, le scaglie di caciocavallo, e coprire con un mestolo di brodo e un filo d’olio

Paccheri alla genoveseIl piatto appartiene alla grande famiglia degli stracotti classici. L’aggiunta della carne fa parte di un’evoluzione moderna della preparazione. Il nome deriva dai portuali di origine genovese dov’è nato il piatto, ma a Genova è sconosciuto.

Ingredienti:4 punte di maiale 1 ciuffo di basilico1/2 muscolo di maiale 2 foglie di alloro1/2 muscolo di manzo 1 bicchiere vino bianco1 piccola cotenna 200 gr di formaggio grattugiato5 kg di cipolle bianche 2 cucchiai di conserva di pomodoro 1/2 kg di paccheri di Gragnano1 dl olio extravergine d’oliva150 gr di battuto di lardo, sale

Preparazione:Rosolare le carni con il battuto di lardo e bagnarle con un bicchiere di vino bianco, far evaporare e passarle in 2 cucchiai di conserva di pomodoro per 5 minuti. Aggiungervi le cipolle tagliate a fettine con due foglie di alloro, salare leggermente. Coprire la pentola con il coperchio, lasciando cuocere per le ore necessarie all’appassimento delle cipolle; successivamente aprire la pentola, togliere le carni e far restringere il sugo ottenuto. In un’altra pentola far bollire l’acqua e, dopo averla salata, cuocere al dente la pasta. Condire con parte della salsa genovese. Far insaporire per alcuni minuti, aggiungere il formaggio e servire.

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Il buono a tavoladi Antonio Romeo - [email protected]

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Baccalà alla napoletanaDerivazione del baccalà alla siciliana a cui si uniscono gli ortaggi del territorio.

Ingredienti:1 kg di baccalà ammollato4 cipolle medie4 peperoni gialli e rossi10 pomodori San Marzano a filetti1 ciuffo abbondante di prezzemolo2 dl di olio extravergine d’oliva300 gr di farinasale

Preparazione:Dopo aver tagliato il baccalà in tranci, infarinarlo e friggere in olio d’oliva. In una padellina, appassire la cipolla tagliata a julienne con una parte di olio di frittura. Arrostire i peperoni, pelarli, privarli dei semi e tagliare a listarelle. In una padella capiente mettere la cipolla ammorbidita, i filetti di pomodoro e i tranci di baccalà, far stufare per qualche minuto e infine aggiungere le listarelle di peperone e il prezzemolo tritato. Regolare di sale e passare al forno a 180°C per 15 minuti.

Sartù di risoSartù significa “sopra a tutto”, ossia “riso che sovrasta il contenuto”.

Ingredienti:200 gr di riso carnaroli o arborio 2 fasci di cipolline verdi150 gr di sugna 70 gr di battuto di lardo1 l di acqua1 bicchiere di vino bianco3 uova 3 scatole di pelati San Marzano da 250 gr200 gr di carne trita 150 gr di burro50 gr di pane raffermo 1 kg di piselli150 gr di Parmigiano Reggiano 1 ciuffo abbondante di basilico200 gr di caciocavallo 4 cucchiai di pan grattato300 gr di mozzarelle “fior di latte” 150 gr di fegatini di pollo concentrato di pomodorosale

Preparazione:Fare delle polpettine con la carne macinata; friggerle. Rosolare i fegatini e cuocere i piselli. In un tegame ammorbidire la cipollina con la sugna e il lardo, aggiungere il vino e fare evaporare. Aggiungere del concentrato di pomodoro, i piselli, i fegatini e le polpettine, lasciare insaporire per 5 minuti e verificare di sale. In una pentola alta, mettere acqua fredda, sale, pepe un cucchiaio di sugna e, al primo bollore, aggiungere il riso. Coprire e far cuocere per 15 minuti senza mai scoprire. Far intiepidire. Una volta tiepido aggiungere le uova, il Parmigiano e il sale. In uno stampo ricoperto di burro e pan grattato porre parte del riso e al centro mettere la farcia di piselli, fegatini e polpette con il fior di latte e il caciocavallo tagliato a dadini, ricoprire con dell’altro riso e infornare per 15-20 minuti a 180°C. Accompagnare il sartù con una salsa di pomodoro San Marzano.

Panzetta di agnello con carciofi fritti

Ingredienti:2 carrè di agnello 1 dl di olio extravergine d’oliva4 carote 10 gr di pepe verde in grani4 zucchine medie 1/2 kg di mollica di pane4 spicchi d’aglio 150 gr di pecorino Moliterno2 uova intere 1 l di latte1 bicchiere di vino bianco 1 ciuffo abbondante di prezzemolo e basilico1/2 bicchiere di vino rosso 4 carciofi1 fegato di agnello, sale

Preparazione:Rosolare il fegato di agnello con olio e aglio e bagnarlo con mezzo bicchiere vino rosso. Tritare il fegato e aggiungerlo alla mollica di pane raffermo ammollato nel latte con formaggio pecorino, uova, pepe verde in grani, basilico, prezzemolo e sale. Aprire a libro il carré d’agnello, salare e pepare. Farcire il carré con il composto preparato, legare e porre in una teglia con le carote, le zucchine e l’aglio, ungere con l’olio d’oliva e bagnare con vino bianco. Salare, pepare e far cuocere nel forno a 200°C per 30 minuti circa. Estrarre dal forno e spolverare con pecorino Moliterno, reintrodurre nel forno per altre 10 minuti. Far riposare per 5 minuti. Tagliare il carré a costolette. Tagliare a julienne sottile i carciofi, scottarli nell’olio bollente e contornarvi le costolette.

Melanzane alla parmigiana

Ingredienti:1,8 kg di melanzane2 kg di pomodori1 cipolla tritata300 gr di fior di latte80 gr di formaggio grattugiatoabbondante basilicoolio per friggeresale e pepe

Preparazione:Tagliare per lungo le melanzane. In un tegame ammorbidire la cipolla e cuocere i pomodori dopo averli passati. Far sobbollire con basilico e restringere la salsa. Friggere le melanzane.Tagliare le foglie di basilico e ridurre a cubetti il fior di latte. Disporre nella teglia un primo strato di melanzane; farcire con la salsa, il parmigiano e il fior di latte; procedere a strati sino a esaurimento delle melanzane. Infornare a 180°C per 30-45 minuti. Lasciare raffreddare. Servire a temperatura ambiente.

In apertura, una succulenta fetta di pastiera e gli ingredienti necessari a prepararla. Qui in alto i babà, dolci spugnosi intrisi di liquore, ottimi da servire con una crema tiepida

maritata, un matrimonio ben riuscito. Minore rilievo ga-stronomico hanno i prodotti dell’allevamento da carne, anche se vi sono ovini e caprini pregiati. I formaggi sono invece diffusi in tutto il mondo a cominciare da quelli di latte di bufala, dalla mozzarella al provolone alla scamor-za. Qui i latticini rivestono infatti un ruolo di grande im-portanza: crudi, come ripieno o come condimento, sono fondamentali nella preparazione della pizza, nei calzoni e nella mozzarella in carrozza che tradizionalmente si prepara con pane raffermo e mozzarella di bufala. In questa cucina poi, più che il pesce classico, hanno rilievo molluschi, vongole, cozze, polpi e cicinielle, ma anche la cucina di mare non sfugge a una sorta di contaminazio-ne gastronomica, con i fagioli con le cozze, i frutti di ma-re abbinati ai formaggi freschi e alla mozzarella. Nelle occasioni festive le case si impregnano dall’odore del ra-gù alla napoletana. La salsa tanto celebrata da Eduardo De Filippo non è un semplice sugo ma l’elogio della pa-zienza, dell’unione famigliare. Una danza delle papille gustative. Il ragù che serve per condire i maccheroni, si prepara con la carne di maiale e lo caratterizza una lun-ghissima cottura: deve pippiare per almeno due ore, fin-ché la salsa non diventa scurissima, untuosa e densa. La pasticceria è il tempio del piacere dei sensi. Troviamo spe-cialità come la pastiera, dolce antico a base di grano, ri-cotta e scorzette di limone, il babà, le zeppole di San Giu-seppe, fritte e farcite di crema e amarene sciroppate, le sfogliatelle ricce e i taralli dolci. L’enologia infine ha una tradizione che risale ai Romani. I vini più conosciuti Docg sono Greco di Tufo, Fiano di Avellino, Falanghina e Tau-rasi, la Doc Vesuvio famosa per la sottodenominazione Lacryma Cristi. Una menzione va anche al limone Igp di Sorrento e di Amalfi che largo impiego trova nella cucina: nei condimenti, nei dolci, nelle confetture, nei liquori, nella preparazione di sorbetti e granite.

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Il consumo di carni di animali lattanti è una anti-ca tradizione mediterranea che risponde a precise esigenze del mondo rurale volte a ottimizzare le risorse foraggere, da un lato, e il profilo alimenta-re delle popolazioni, dall’altro. Sacrificare anima-li che poppano ancora il latte può sembrare per certi versi un controsenso se si considera che l’al-levatore rinuncia alla loro potenzialità in termini di crescita, ma se si pensa alle difficilissime condi-

Agnello e porcetto, prelibatezze mediterranee

Morbide e delicate, le carni di animali lattanti hanno anche eccezionali caratteristiche organolettiche, notevolmente superiori

a quelle degli adulti. Approfondiamo con due esperti del settore, gli aspetti nutrizionali e storici che le hanno portate sulle nostre tavole

zioni del pastoralismo nel clima mediterraneo, si comprende come mai sin dai tempi remoti i pa-stori abbiano deciso di destinare all’alimentazione agnelli e suinetti da latte. Per gli agnelli l’allon-tanamento precoce dalle madri era necessario per poter destinare il latte alla caseificazione e il loro sacrificio era giustificato dal fatto che l’er-ba del pascolo dedicata alle pecore ha un valo-re di trasformazione in proteine del latte di gran lunga più conveniente rispetto a quello per la produzione della carne; per i suinetti, invece, il sacrificio riguardava i più deboli che difficilmen-te sarebbero sopravvissuti alle dure condizioni dell’allevamento brado. Oggi agnelli e porcet-ti (termine sardo che indica il suinetto da latte) imbandiscono le tavole dei gourmet coniugando l’alta qualità delle carni con la prelibatezza e la delicatezza dei loro sapori. Sulla qualità di questi due prodotti sentiamo il parere di Anna Nudda e Gianni Battacone, ricercatori presso il diparti-mento di Agraria dell’Università di Sassari e stu-diosi della qualità dei due prodotti.

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scienza e vita di Giuseppe pulina

professore di Zootecnia speciale all’università di sassari

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Anna, qual è il principale pregio della carne di agnello?La quantità e qualità del suo grasso. La carne di agnello da latte, in modo particolare quello prove-niente da animali allevati al pascolo, ha un conte-nuto in grasso intramuscolare limitato (1,0-3,0%), tanto che un taglio della coscia, ripulito del grasso visibile, può essere classificato come una “carne extra-magra” secondo le linee definite dalla Fo-od and Drug Administration (FDA) americana che indica che un prodotto può essere etichettato co-me extra-magro quando in una porzione di 100 gr contiene meno di 5 gr di grasso totale, 2 gr di acidi grassi saturi e meno di 95 mgr di colesterolo. Per quanto riguarda la qualità, dobbiamo rimarca-re che questa carne è un’importante fonte di acidi grassi polinsaturi della serie omega-3 e di acido li-noleico coniugato (CLA). Infatti, l’agnello da latte prodotto in Italia ha il suo segreto nell’alimentazio-ne al pascolo delle madri: il modo tradizionale di alimentazione delle pecore aumenta notevolmen-te nella carne i contenuti di alcune sostanze fonda-

mentali per lo sviluppo cerebrale e del sistema visi-vo degli infanti e per il corretto funzionamento del sistema nervoso centrale quali l’acido grasso ara-chidonico e quelli polinsaturi della serie omega-3 (ALA, EPA, DPA e DHA).

La carne di agnello da latte allora è fra gli ali-menti raccomandati per la prima infanzia? Certamente. La carne di agnello, in forma di liofi-lizzato e di omogeneizzato, è la prima carne ge-neralmente consigliata dai pediatri per iniziare lo svezzamento, probabilmente perché meno aller-genica. Infatti, studi pubblicati nel 1998 dalla Cli-nica Pediatrica dell’Università La Sapienza di Roma riportano che la dieta pediatrica denominata Rez-za-Cardi, che prevede l’uso della carne di agnello allo svezzamento, ha mostrato effetti positivi nel trattamento di patologie gastro-intestinali e un si-gnificativo miglioramento clinico nella gravità delle lesioni eczematose di bambini con dermatite ato-pica e ipersensibilità alimentari multiple. Inoltre, da più parti é stata sottolineata l’importanza dell’as-sunzione di acidi grassi nella dieta dei ne-onati. Esperti in nutrizione infantile raccomandano, sul totale degli acidi grassi della dieta, il 10% di acido linoleico, l’1,5% di aci-do alfa linolenico, lo 0,5% di acido arachidonico, lo 0,35% di DHA, e cosi via. Sulla base dei nostri da-ti, ad esempio, 100 gr di carne di agnello da lat-te possono soddisfare il 20% dei fabbisogni mini-mi raccomandati di DHA nei neonati.

Ora parliamo di suinetti con Gianni. Il porcetto è un piatto tradizionale solo della Sardegna?No di certo. L’impiego della carne di lattonzo-lo (suinetto alimentato con il solo latte della scrofa) fa parte delle tradizioni culinarie di diverse regioni nei continenti euroasiatico e americano. In partico-lare, la preparazione del suinetto da latte arrosto, modalità più diffusa per preparare queste carni da servire in pasti importanti, quando non per cerimo-nie o altre celebrazioni, è fortemente associata alla cucina tradizionale di alcune regioni mediterranee, specialmente a quella della Sardegna (porcetto arro-sto) in Italia e a quella Castigliana (cochinillo asado) in Spagna. Ricordiamo che la carne del suinetto “da latte” è prodotta da animali di età compresa fra 3 e 5 settimane il cui peso è di circa 6-8 kg, per cui si ottengono prodotti del peso di 4,5 -6 kg.

Particolarmente delicate e ricche

di grassi “buoni”, le carni di agnello e suino da latte imbandiscono le tavole

dei gourmet coniugando l’alta qualità a livello organolettico

con la prelibatezza dei loro sapori

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Sacrificare agnelli e suinetti da latte può sembrare

un controsenso. Per capire le ragioni storiche di questa

scelta però, è necessario valutare

le reali, e difficilissime, condizioni

del pastoralismo nel clima

mediterraneoQuali sono le principali caratteristiche di que-sta carne? Il colore chiaro, la tenerezza e il sapore estrema-mente delicato. La carne del suinetto da latte è nettamente più ricca di acqua e meno grassa ri-spetto alla comune carne di suino da macelleria. Il valore nutrizionale della carne di suinetto da latte arrosto è in larga misura dovuto al contenuto in proteine (18-20% delle parti commestibili) di alto valore biologico in quanto costituite da una com-binazione di aminoacidi essenziali molto simile a quella richiesta dal nostro organismo. La presenza di grassi nelle porzioni di carne di suinetto da lat-te è piuttosto bassa (2-3% delle parti commestibi-li) ed è pressoché limitata alla leggera deposizione lipidica sottocutanea e gli acidi grassi insaturi pre-valgono su quelli saturi. L’apporto calorico di 100 gr di carne di suinetto da latte preparato arrosto è pari a circa 90-100 kcalorie.

Il porcetto è ottimo arrosto. Quali sono i segreti per una buona riuscita? Per la valorizzazione di queste caratteristiche di delicatezza sono in genere impiegate modalità di arrostimento che preservano dal rischio di eccessi-va perdita di liquido delle carni. Infatti, la prepa-razione arrosto prevede la cottura (in forno o allo spiedo) del suinetto intero o sezionato in mezze-ne, raramente in quarti, con la relativa cotenna di

copertura (di solito cosparsa di sale). Un elemen-to qualitativo fondamentale del suinetto arrosto è quello di ottenere il giusto grado di abbrustoli-mento della cotenna che la rende croccante e sa-porita al contempo. Proprio la croccantezza della cotenna rappresenta uno degli indicatori più affi-dabili della corretta esecuzione della cottura e del tempo che ne è intercorso. Infatti, la cotenna, an-che quando ben croccante, perde questa preziosa caratteristica man mano che si raffredda e si rei-drata. Peraltro anche il riscaldamento della carne non consente il riacquisto della croccantezza origi-nale. Pur con le particolarità dovute alla loro gio-vane età, le carni di agnello da latte e di porcet-to presentano le caratteristiche qualitative comuni alle altre carni. La carne contiene, infatti, preziose sostanze nutritive tra cui proteine di alto valore biologico , ferro, zinco e vitamine del gruppo B, e il suo consumo veicola tutti questi straordinari nu-trienti nel nostro organismo. La carne fornisce fer-ro eme altamente biodisponibile, ovvero un tipo di ferro che è più facilmente assorbito e utilizzato dal nostro organismo. La carne fornisce inoltre zinco, che aiuta nel corretto funzionamento del sistema immunitario e, tra le vitamine del gruppo B, è mol-to ricca di vitamina B12, praticamente assente nei prodotti vegetali. La carenza di questa vitamina nel primo anno di vita può comportare sintomi neuro-logici, anemia e ritardi di crescita.

La classica preparazione arrosto (in forno o allo spiedo) del suinetto ne preserva la carne dal rischio di una eccessiva perdita di liquido

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scienza e vita

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Il Sole Il 1° sorge alle 05.56 e tramonta alle 19.59 L’11 sorge alle 05.44 e tramonta alle 20.10 Il 21 sorge alle 05.34 e tramonta alle 20.20

Il 1° aprile si hanno 14 ore e 03 minuti di luce solare mentre il 30 se ne hanno 15 ore e 02 minuti. Si guadagnano 59 minuti di luce solare.

La Luna Il 1° tramonta alle 02.49 e sorge alle 14.38L’11 sorge alle 00.38 e tramonta alle 10.58Il 21 sorge alle 05.44 e tramonta alle 20.56

La Luna è al Perigeo domenica 6 alle ore 06. È all’Apogeo sabato 19 alle ore 18.

Luna in viaggioIn questo mese i giorni favoriti dalla Luna per gli spostamenti sono: 7, 8, 11, 12, 13, 16, 17, 18.

Da ricordareMartedì 1° MaggioFesta del LavoroForse, quest’anno, sarà una festa del 1° Maggio dall’atmosfera particolare. La crisi economica si sta facendo sentire colpendo con forza il lavoro, e il giorno dedicato a questo diritto fondamentale dell’uomo, anima e pilastro della nostra Costituzione, giunge con un significato più profondo che in passato. Nello stesso giorno si celebra anche San Giuseppe artigiano, ma fra le due ricorrenze la prima a nascere fu quella del Lavoro, ufficializzata a Bruxelles nell’agosto del 1891 dal Congresso dell’Associazione Internazionale dei lavoratori. Quella religiosa venne infatti dopo, nel 1955, istituita da Pio XII.

Mercoledì 9 maggio Giorno della memoria delle vittime del terrorismoIl giorno scelto per queste “memorie” è quello che vide, nel 1978, il triste epilogo del sequestro di Aldo Moro. Approvata con legge del Governo italiano nel maggio 2007, la data è oggi entrata nelle commemorazioni ufficiali a cui vengono dedicate iniziative che coinvolgono i cittadini e il Presidente della Repubblica.

Domenica 13 maggio Festa della mammaNella sua versione moderna, l’amata festa della mamma ci è giunta dagli Stati Uniti dove è nata il 10 maggio del 1908 per essere poi ufficialmente istituita nel 1914. Ma è un fatto che una celebrazione della “Grande Madre” esisteva già nella preistoria. Nell’antichità furono poi i greci a dedicare alle loro genitrici un giorno, quello della festa di Rea, madre di tutti gli dei. Lo stesso fecero i romani festeggiando Cibele a maggio per un’intera settimana. Fu poi il cristianesimo a dedicare l’intero mese alla Madonna.

Tra tutti i mesi, maggio è forse quello che più di ogni altro mantiene le promesse. Il bel tempo è ormai una certezza, nell’orto le raccolte si fanno abbondanti e anche i fiori inondano giardini e balconi di profumi e colori. Si vive di più all’aria aperta, tra la scampagnata del 1° Maggio e la dolce festa della mamma

Sole e luna

Se son rose...

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almanacco di barbanera di M. Pia Fanciulli

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Saggezza popolare

Con la bella stagione alle porte un’attenzione particolare bisognerà dedicarla al prato. Gli

appuntamenti con il tosaerba si faranno infatti sempre più frequenti poiché è tempo di tagliare regolarmente il

prato per evitare che ingiallisca e si abbia un invecchiamento precoce. Bene anche concimare

periodicamente, ma con parsimonia, così da risparmiare acqua, energie ed evitare di inquinare le falde

acquifere. Si dovrà anche rimuovere il terreno alla base dei cespugli impiantati nel prato per impedire che radici troppo superficiali entrino in competizione per l’acqua e gli elementi nutritivi. Pure nell’orto l’attività si intensifica

ed è tempo di seminare i cavolfiori in semenzaio con la Luna crescente (dal 1° al 5 e dal 22 al 31) e di

trapiantare angurie, basilico, melanzane, meloni, peperoni, pomodori, zucche e zucchini. Seminare in

piena terra cardi, fagioli, fagiolini, rucola, senape. Raccogliere le prime fragole. Nel giardino, mettere a

dimora gerani, dalie, tuberose e piantine di borragine e maggiorana. In calante (dal 7 al 20), ancora nell’orto,

seminare in semenzaio cavoli verza e all’aperto carote tardive, cicoria, sedano, lattuga, radicchio, ravanelli,

spinaci. Rincalzare fagioli, fagiolini, fave, piselli, melanzane e pomodori. Predisporre i sostegni per le

piante sarmentose (dette anche rampicanti). Raccogliere l’aglio. Passando ai fiori, concimare le rose e tenere

sotto controllo gli attacchi degli afidi con metodi biologici, come la coccinella, o con nebulizzazioni di

macerati di ortica. Potare le erbacee perenni e gli arbusti che hanno fiorito, per conferire loro un

rinnovato vigore. Concimare il prato.

Nei passaggi di stagione spesso la qualità del sonno peggiora a causa del cambiamento dei ritmi naturali del corpo e in partico-lare delle maggiori ore di luce. Una corretta alimentazione, anche in questo caso, potrà esserci d’aiuto. Ad esempio una dieta com-prendente alimenti come pane di segale, banane, frutta secca, carne, latticini e uova ci aiuterà ad aumentare e stimolare la pro-duzione di melatonina, un ormone prodotto dall’organismo, in grado di regolare il ciclo sonno-veglia. Non preoccupiamoci poi troppo per i piccoli malesseri che ancora ogni tanto si affacciano. Oltre alla dieta, un passaggio di stagione più facile si può vivere migliorando la capacità di termoregolazione corporea, ovvero aiutando il corpo ad adattarsi meglio alle temperature più calde. Per questo è utile trascorrere tempo all’aria aperta. Consigliato anche praticare sport, che stimola la muscolatura, spesso ingrigi-ta dalla sedentarietà dell’inverno, e aiuta il sistema ormonale. Eccole, subito pronte che fanno la loro comparsa al primo sole! Se è vero che le lentiggini donano un’aria simpatica e scanzona-ta quando si è molto giovani, con il passare degli anni possono divenire un vero e proprio inestetismo. Oltre a limitare l’esposizio-ne al sole, per attenuarle molto utile sarà applicare per circa 10-15 minuti una maschera preparata tritando alcune mandorle amare e mescolandole con succo di limone e due cucchiai di mie-le d’acacia. L’effetto schiarente è garantito!

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Belli e sani

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Orti e dintorni

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ultimo quartoprimo quarto

• Pasqua, alta o bassa, uova sode e cucina grassa.

• Se aprile mette il muso, fuoco acceso e uscio chiuso.

• Asparagi, funghi e granchi: assai spendi e poco mangi.

• Per San Giorgio (23 aprile) semina l’orzo.

• Se l’olivo fiorisce in aprile, ogni pianta un barile.

• Aprile, apriletto, ogni giorno un goccetto.

• Luna bianca tempo bello, Luna rossa venticello.

• I quattro aprilanti, quaranta dì duranti.

• Per Santa Caterina (29 aprile), gli animali fuori dalla cascina.

• Al principio e alla fine, aprile non è mai gentile.

Saggezza popolare

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Belle da vedere, gustosissime da mangiare, le fragole giungono con l’estate a rallegrare orti e balconi. Ma fanno la loro splendida figura anche in giardino, dove occhieggiando tra foglie verde intenso, sono una tentazione pure per le ghiotte formiche

Fragole delle delizie

Tra i frutti che si adorano da bambini – ma non di rado la passione per-dura anche da grandi – ci sono le polpose e dolci fragole, allegre e sen-suali messaggere dell’arrivo dell’estate. Non è d’altra parte un caso se il nome, dal latino fragrare, significa “avere un buon profumo”. Non solo, sono anche facilmente coltivabili. Alle fragole va infatti bene qual-siasi luogo purché in pieno sole, o mezz’ombra luminosa. Per di più, oltre che in piena terra, nell’orto e nel giardino, si possono ottenere ottimi risultati pure trapiantandole in piccoli contenitori sul terrazzo: la fragola cresce bene ovunque. Quanto alle numerose varietà esistenti, tutte appartenenti alla famiglia delle Rosacee, derivano dalla delicata fragola di bosco, ufficialmente Fragaria vesca, di dimensioni più picco-

le rispetto a quella coltivata, ma di gran lunga più succosa e saporita. Fu poi nel 1714 che il francese François Amédée Frézier incrociò due varietà di fragole selvatiche ottenendo enormi fragole molto carnose. Comunque, quelle che oggi impreziosiscono la nostra tavola giungono dall’Europa o dall’America settentrionale e meridionale, a loro volta ibri-di selezionati a partire dalla specie Fragaria virginiana e da altre specie a frutto grosso. Infine sorprenderà scoprire che quello che crediamo deli-zioso frutto, è in realtà un ingrossamento del ricettacolo del fiore, men-tre i veri frutti sono quelli che appaiono come tanti semini sulla superficie. Amatissima già al tempo dei Romani per la sua delicata fragranza, non mancava mai dalle tavole dei patrizi. Per poi arrivare in Francia, qualche

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orto dei semplici di M. Pia Fanciulli

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Coltiviamola cosìPerfette per la coltivazione in vaso, oltre a do-narci i loro rossi e gustosi frutti, le fragole ri-sulteranno anche molto piacevoli all’occhio! Di poche pretese, prediligono un’esposizione soleggiata, ma al riparo dal sole diretto. Unica precauzione: fare in modo di non renderle raggiungibili dalle ghiotte formiche.

La cassetta e il terriccioPer ottenere un bel fragoleto l’ideale sono le cassette lunghe e strette, vanno bene quelle di 1 metro di lunghezza per 40 cm d’altezza. Ma data la loro adattabilità, qualsiasi contenitore alla fine andrà bene. L’importante poi è il ter-riccio che deve essere piuttosto acido, comun-que ricco di sostanze organiche. Meglio quindi sarebbe, nel preparare l’impianto, mettere sul fondo del vaso del concime naturale.

La semina Più che con la semina, piuttosto difficoltosa, si procede con l’interramento nel mese di lu-glio, in Luna crescente, di piccole piantine da acquistare in serra, che si metteranno a una distanza di 10 centimetri l’una dall’altra, fa-cendo attenzione a mettere sotto la terra solo le radici. Dopo l’impianto si dovranno annaffiare evitando ristagni d’acqua respon-sabili della comparsa di muffe. In estate si vedranno le fragole emettere rametti picco-li e striscianti che radicheranno per formare nuove piantine.

Punti deboliÈ utile coltivare le fragole in zone parzialmen-te ombreggiate, ad esempio ai piedi di alberi da frutto, come meli, peschi o susini. La colti-vazione insieme alle liliacee quali aglio, cipol-la, porri stimola la loro crescita. Per tenere in-vece lontane le formiche, basterà sistemarvi accanto lavanda, maggiorana o valeriana.

Raccolta e conservazioneLe varietà precoci sono le prime a essere rac-colte a partire da maggio. Molte altre sono rifiorenti e continuano a fiorire fino al ter-mine dell’estate e anche oltre, e sono le più adatte per essere coltivate negli orti. Le va-rietà di fragole di bosco sono in genere più tardive. Si consumano allo stato fresco ma è anche possibile procedere a surgelazione. In frigorifero si mantengono 2-3 giorni, e per farle conservare più a lungo non lavarle, non togliere il picciolo e non ammassarle.

secolo dopo, anche come pianta ornamentale lega-ta al nome del celebre giardiniere di Luigi XV, La Quintinie. E tale fu l’apprezzamento, per la bontà certo, ma anche per le salutari virtù – è ricchissima di vitamine, soprattutto C –, che si ritenne riuscisse a prolungare la vita.

Non solo buonaCinque fragole contengono tanta vitamina C quan-ta un’arancia. E poi potassio, acido folico e magne-sio. Alle fragole si attribuiscono proprietà toniche, depurative, diuretiche, remineralizzanti e astringen-ti. Svolgono inoltre una benefica azione depurativa del sangue. Sono quindi alimento di indiscusso va-lore per adulti e bambini, anche se possono esser causa, in individui predisposti, di fenomeni allergici, la classica orticaria da fragole. Eppure la sua essen-za è assai diffusa anche nelle cure di bellezza, dove ha un efficace effetto antirughe, attenua le macchie rosse e tonifica la pelle. Senza dimenticare come l’amato frutto possa pure assicurarci un bel sorriso, capace com’è di sbiancare e proteggere i denti gra-zie allo xilitolo, una sostanza dolce che previene la formazione della placca dentale e uccide i germi responsabili dell’alitosi.

Sorprendente peperoncino!Mai lodato a sufficienza, anche al comunissimo peperoncino va un posto d’onore fra le piantine da coltivare in giardino o sul terrazzo. Facile da far crescere pure nei nostri climi, prezioso per la tavola, può mostrarsi davvero straordinario anche come elemento decorativo. Originario dell’America meridionale, assieme al pomodoro, alla patata, alla melanzana e ad altri ortaggi, il peperoncino fu introdotto in Europa dai Conquistadores. Per il suo sapore piccante, ma più delicato del pepe nero, in Italia e in cucina fu subito un successo. Per coltivarlo, sistemare le piantine in un vaso con terriccio ben concimato, tra maggio e giugno e in Luna crescente. Alla raccolta, da effettuarsi in Luna calante, tagliare loro un pezzo del picciolo: si eviterà così di rompere i rametti e si potranno conservare appesi a testa in giù. Non collocare peperoni e peperoncini dove sono stati coltivati pomodori e patate. Appartenendo infatti alla stessa famiglia, potrebbero andar soggetti a identiche malattie.

Coltiviamoli così

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Marco MagriNato a Bologna nel 1968, dopo una breve esperienza sulle navi da crociera ha lavorato a oska.

ritornato in italia è stato assunto in un ristorante giapponese di

Milano e successivamente al convivium Banqueting. Ha fatto

parte dello staff di Donatella Versace, ma l’esperienza che lo

ha più formato è stata quella di chef dimostratore presso

l’azienda distributrice di prodotti alimentari di alta cucina Selecta.

Dal 2010 è Executive chef e Food & Beverage Manager al ramada

Plaza di Milano.

Spaghetti ai porri cacio e pepe

Ingredienti (per 4 persone):240 gr di spaghetti

3 porri di media grandezza 120 gr di caciocavallo della Sila

50 gr di burro1/2 pollo 1 carota

2 gambi di sedano verde1 cipolla bianca

olio, sale, pepe nero q.b

Preparazione:Per il brodo: spellare il pollo e ta-gliarlo in tre pezzi a misura, pela-re la carota e il sedano, pulire la cipolla. Far bollire il tutto per tre ore a fuoco medio, avendo cura di sgrassarlo e schiumarlo.

carMiNE ESPoSito Nato a trieste, figlio di ristoratori napoletani, è cresciuto tra fornelli

e forni per la pizza per poi intraprendere la

sua carriera culinaria in asia (Pechino, Shanghai, Singapore, Hong Kong)

dove ha affinato la sua arte gastronomica,

ricoprendo ruoli di grande prestigio.

Preparazione:Ridurre il vin santo a 1/3, lenta-mente. Aggiungere la panna e portare a ebollizione. Unire a vin santo e panna il fegato d’oca e ag-giustare di sale e spezie; una volta raffreddato il tutto, unirvi le uo-va e sbattere energicamente fino a montare il composto. Versarlo negli stampini da forno e cuoce-re a bagnomaria a 150°C per 40 minuti. Dopo la cottura lasciare raffreddare 10 minuti a tempera-tura ambiente e porre gli stampini nel congelatore per 3 ore. Ancora congelato, tirare fuori con delica-tezza il composto dagli stampini e metterlo in frigo per un’ora pri-ma di servire. Per finire, prendere la brûlée di fegato, mettervi sopra lo zucchero e fiammeggiarla con la torcia a gas da pasticceria.

Brûlée di fegato d’ocaIngredienti

(per 8 persone):3-1/2 tazze di vin santo

1-1/2 tazze di panna 500 gr di fegato d’oca

3 cucchiaini da té di sale un pizzico di pepe nero

una tazza di brodo ristretto di pollo

2 uova 4 rossi d’uovo

80 ml di olio di oliva 20 ml di Aceto Balsamico 20 ml di Aceto Balsamico

bianco 8 uova di quaglia

80 gr di mostarda di mele 80 gr di marmellata di

cipolla rossa 40 gr ravanelli

20 gr mirtilli20 gr lamponi

Per i porri: incidere i porri, la-varli con cura e tagliarli fine-mente a julienne, poi cuocerli con il burro molto dolcemen-te, irrorandoli di tanto in tanto con il brodo. La cottura sarà ul-timata quando il composto sa-rà ben amalgamato. Cuocere gli spaghetti al dente. Grattare a parte il caciocavallo con una grattugia molto fine. Mantecare gli spaghetti con il condimento e, prima di servire, irrorare con il cacio. Con un me-stolo e con una pinza aver cu-ra d’impiattare un nido di spa-ghetti, ponendo al centro un fiore edule.

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di GianluiGi PaGanochef italiani nel mondo

Page 95: VdG Magazine Viaggi del Gusto Maggio 2012

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Preparazione:Lavare e asciugare i petti d’ana-tra. Con un coltello incidere la superficie della pelle. Salare e pe-pare. Porre in un padellone an-tiaderente l’olio e metà del bur-ro. Lasciare scaldare a fuoco alto e deporre l’anatra con la pelle ri-volta verso il basso. Lasciare do-rare bene questo lato quindi gi-rare e, sempre a fuoco vivace, finire di rosolare la carne. Irrorare con il brandy e coperchiare. Ab-bassare leggermente la fiamma. Nel frattempo pelare un’aran-cia e con un coltello ricavarne gli spicchi togliendo tutto il bianco. Spremere l’altra arancia e conser-varne il succo. Lasciare in cottura i petti d’anatra per circa 10/12

Petto d’anatra spadellato

SalVatorE SilVEStriNo Nato in provincia di Napoli nel 1968, ha espresso la sua passione da chef in vari ristoranti di fama presso alberghi a 5 stelle in asia, australia e Medio oriente. Ha vinto numerose medaglie sia da partecipante sia da coach per la squadra degli Emirati arabi.

Ingredienti:1 petto d’anatra (con la pelle) di circa 220 gr 3 cucchiai d’olio d’oliva extra vergine1 cucchiaio di burro 2 arance1 bicchierino di brandy30 gr di rughetta fine selvaggia10 gr di erbette e Dragoncello15 ml di Aceto Balsamico biancofior di salepepe

minuti rigirandoli qualche volta, quindi bagnare con il succo. La-sciare restringere a fuoco vivace. Cottura totale: circa 16/18 mi-nuti. Aggiungere l’altra meta del burro e farlo sciogliere adagio. Il petto d’anatra, al taglio, dovrà es-sere leggermente rosa all’interno. Spegnere e lasciare coperchiato qualche istante. Nel frattempo preparare le erbette, il dragoncel-lo, l’arancia a spicchi e la rughet-ta selvaggia. Il tutto condito con un po’ d’olio d’oliva e Balsamico bianco. Tagliare il petto in 3, dia-gonalmente, oppure farne una tagliata a fettine sempre diago-nali e servirlo irrorato dal suo su-ghetto, con le erbette miste, for-mando una torretta.

gaEtaNo troVato Siciliano, dopo aver girato

tutto il mondo accumulando esperienze, è tornato in italia

dove, assieme al fratello giovanni, Direttore di Sala, ha

dato vita all’arnolfo ristorante relais & chateaux, a colle

di Val d’Elsa, guadagnando in breve tempo due stelle

Michelin, tre stelle sulla guida Veronelli, tre forchette

del gambero rosso, 16 e 1/2 ventesimi sulla guida

dell’Espresso, e altre recensioni di merito nelle guide nazionali.

Piccione al fegato d’oca, nocciole e caffè

Ingredienti (per 4 persone):4 piccioni da 500 gr

4 scaloppe di fegato d’oca da 50 gr cadauna

50 cl di brodo vegetale 4 cosce di piccione

50 gr di nocciole tritate 20 gr di farina

4 fegatini di piccionemezzo bicchiere di Vin Santo

1 caffè, un cucchiaio di glucosio, un po’ di polvere e 8

chicchi di caffè150 gr di purée di sedano

rapauna noce di burro

pepe sale q.b.

Preparazione:Per la salsa al caffè: sciogliere la pasta di nocciole con il caf-fè e il glucosio. Unire un pizzi-co di polvere di caffè e i chic-chi interi. Per i piccioni: disossare le cosce, saltare i fegatini in una padella sfumate con Vin Santo, tritarli e incorporarvi le cosce di piccione. Chiudere con un foglio di allu-minio formando dei piccoli ci-lindri. Mettere in forno a 160°C per 15 minuti. Lasciareli poi raffreddare e pas-sarli nella farina e nell’albume. Infine arrotolarli nelle nocciole e friggerli in olio a 150°C. Dorare quindi i piccioni in una padel-la a fuco dolce con olio extra vergine e passare in forno a 200°C per 4 minuti. Lasciare riposare e mantenere in caldo; disossare i petti e fare un pas-saggio veloce in salamandra prima di servire. In una padella ben calda do-rare le 4 scaloppe del fegato d’oca un minuto per lato.Al momento di impiattare, fare una pennellata con la salsa del caffè, adagiare sopra la scalop-pa, le cosce, i petti di piccione (uno intero e l’altro tagliato in due per lungo), guarnire con i chicchi di caffè e accompagna-re con il purée di sedano rapa.

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Seduzioni gastronomiche®

Nicoterawww.casacomerci.it

Buonasera Rita,

Mi scuso del ritardo

Visto l’esito, vorrei limitare la pagina alla sola foto superiore

(compresa la frase : “per un vino schietto”); in calce oltre al

logo, e centrato, la seguente scritta:

Casa Comerci srel

seduzioni gastronomiche ®

Nicotera

www.casacomerci.it

e cioè, in carattere script corsivo

Casa Comerci sarl

Seduzioni gastronomiche

Nicotera

E in carattere diverso il nome del sito.

Il marchio “ casa Comerci seduzioni gastronomiche è regi-

strato.

Grazie infinite.

Cordialmente.

Casa Comerci s.a.r.l

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98 Terme d’ItaliaDa Merano ad Ischia, da Bormio a Sirmione, tutti gli indirizzi per tornare in forma con gusto

104 L’Italia in mostra: VercelliTour culturale e gastronomico nella città del risotto che ospita le collezioni Guggenheim

da pag. 108Rubriche• Città in 24 ore, Pisa• Città in 24 ore, Tunisi• L’arte dell’accoglienza

in Viaggio108

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Un tuffo nel relaxDalle Terme di Merano

a quelle di Ischia, seguendo la rotta

della “salus per aquam”: gli indirizzi imperdibili per tornare in forma

con gustodi Isa Grassano

e Lucrezia Argentiero

I primi a scoprire i benefici delle sorgenti d’acqua furono i greci. Gli antichi Romani esaltarono questi luoghi di cura, attraverso la realizzazione delle mo-numentali Thermae pubbliche (nella sola città di Roma più di 800 erano gli stabilimenti termali pub-blici e privati) e, abitualmente, si riunivano nei bagni termali non solo per rilassarsi ma anche per discu-tere importanti questioni economiche e politiche. Oggi sono sempre di più le persone che scelgono gli stabilimenti termali per una completa remise en

forme, tra massaggi, terapie di bellezza e trattamen-ti per la cura e il benessere del corpo. Secondo i da-ti del Rapporto Federterme 2011 – l’Associazione di categoria delle industrie termali e delle acque mi-nerali – le imprese italiane classificate come aziende termali sono 378, di cui quasi il 50% localizzato nel Nord Italia. Così cresce sempre di più il turismo le-gato al relax. Un’occasione per staccare con la quo-tidianità, ritemprarsi e godere delle bellezze del ter-ritorio, assaporando anche la cucina tipica.

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inviaggioinviaggio

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Le più famoseUn panorama che spazia tra l’azzurro del cielo e il turchese del lago di Garda. Qui, sulla spon-da meridionale, si “affaccia” Sirmione. Intorno al I secolo a.C. la cittadina è frequentata da ric-che famiglie di Verona come quella dei Valeri, a cui apparteneva Catullo (87-54 a.C.) che qui possedeva una casa. E quale posto più bello per due giorni di coccole? Aquaria è il centro be-nessere termale circondato da un grande parco (www.termedisirmione.com). Tra piscine, idro-massaggi, lettini effervescenti, docce aromacro-matiche e percorsi vascolari, il tempo sembra fermarsi. L’acqua termale è ricca di proprietà naturali e favorisce un relax immediato. La fama delle acque di Bormio (www.bormio3.it) si diffuse invece con Alessandro Manzoni che vi soggiornò e ne fece gli elogi. Tra le cure si può fare il bagno in acqua termale naturale cal-da (38°C). Tra i massaggi, da provare il Tuina, ispirato alla medicina tradizionale cinese che permette di ripristinare l’equilibrio energetico.Merano, adagiata sulle sponde del torrente Pas-sirio, raccoglie in sé tutta la ricchezza di contra-sti che caratterizza l’Alto Adige. Nelle nuove Terme (www.termemerano.it), un imponente cubo di vetro immerso fra alti alberi, palme e roseti, si può provare il bagno altoatesino nella lana di pecora, fibra tessile naturale calda al tat-to che agisce direttamente sulla pelle nuda sen-za aggiunta d’acqua, stimola la microcircolazio-ne e attenua i dolori cronici.

A Salsomaggiore (www.salsomaggioreterme.com) si vive un’atmosfera da fin de siecle parigi-na, rifugio segreto di tanti attori e personaggi di spicco che qui si regalano una pausa per ricari-care le pile. Da non perdere la passeggiata nel centro, tra giardini ben curati, negozi e bouti-que, caffé e bar eleganti. All’interno delle Terme Berzieri, che meritano già per la loro architet-tura, si possono vivere piacevoli ore di relax to-tale. Fra le proposte del nuovo Mari d’Oriente, ci sono le sedute relax nelle varie piscine tema-tiche: il mare dell’armonia, il mare della musica, la vasca aromaterapica con diffusione sonora subacquea, il mare dell’energia. Dall’Emilia alla Toscana il passo è breve e con Saturnia ci si immerge nella Maremma più ve-ra e selvaggia. Le Terme di Saturnia Spa e Golf Resort (www.termedisaturnia.it) sorgono pro-prio sopra una sorgente di acqua sulfurea, già nota agli Etruschi (a oltre 200 metri di profon-dità a una temperatura di 37). Si può usufruire del bagno romano, con sauna e bagno turco, e degli impianti termali: piscine di acqua calda, idromassaggi, cascate e percorsi acquatici. Poco distante dall’albergo è possibile vivere un’espe-rienza diversa, ma altrettanto piacevole, immer-gendosi nelle “pozze” di acqua calda e nei ru-scelli che scorrono dalla sorgente termale. Sono free tutto l’anno, anche se durante le ore not-turne non sono illuminate. Vale la pena provar-le in una serata di luna piena e al chiarore delle stelle. Una vera magia.

dove mangiareRistorante L’Orangerie – Grand Hotel Terme SirmionePiatti tradizionali, reinterpretati dal patron della cucina, Stefano Pace. Prezzo medio: da 40 euroViale Marconi, 7 – Sirmione (Bs)Tel. 030916261

Al FilòUn ristorante ricavato da un vecchio fienile. Specialità valtellinesi. Prezzo medio: 35 euroVia Dante Alighieri 6 – Bormio (So)www.ristorantealfilo.it

Bistro delle Terme MeranoI tavolini danno sulla bella Piazza Terme. Cucina a base di prodotti locali altoatesini.Prezzo medio: da 25 euroPiazza Terme – Merano Tel. 0473252000

La Taverna del PoggioCucina del territorio rivisitata.Prezzo medio: 30 euro V.le Marconi, 30 Loc. Poggio – Salsomaggiore (Pr)www.tavernadelpoggio.it

I Due CippiNella piazza del paese, sale a volta, soffitti in legno. Menù tipicamente toscano.Prezzo medio: 40 euroPiazza Vittorio Veneto 26 – Saturnia (Gr)www.iduecippi.com

dove dormireGrand Hotel Terme SirmioneCamere eleganti e terrazza sul lago. Prezzi: da 200 euroViale Marconi, 7 – Sirmione (Bs)www.termedisirmione.com

Palace HotelA pochi passi dal centro storico. Suite arredate con legno naturale.Prezzi: doppia da 105 euroVia Milano, 54 – Bormio (So)Tel. 0342 903131www.palacebormio.it

Hotel Terme MeranoAmbiente moderno e di design. Prezzi: da 110 euro a persona con mezza pensionewww.hoteltermemerano.it

Hotel EliteNel cuore del centro storico e vicino al centro termale. Prezzi: da 60 euro a doppiaViale Cavour, 5 – Salsomaggiore (Pr)www.hotelelitesalsomaggiore.it

Spa & Golf Resort SaturniaRicavato da un’antica costruzione in travertino, struttura elegante.Prezzi: 230 euro per persona in doppiawww.termedisaturnia.it/it/main/hotel

Scelti per voi

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Le più “marine”Bibione Thermae (www.bibioneterme.it) è il fiore all’occhiello della località di mare, in pro-vincia di Venezia, a pochi passi dal centro città, tra l’ampia spiaggia e l’antica pineta, circonda-ta dalla quiete e dal profumo di resina. Di re-cente è aperta la nuova area wellness (per la struttura e l’impiantistica si è fatto ricorso alla domotica, sia nella gestione degli impianti e delle luci a risparmio energetico, sia nella rea-lizzazione di un microclima particolareggiato per ogni ambiente), con cabine caldo-umide agli aromi delle erbe marine, bagno ipersalino. Ampio il ventaglio di massaggi, da quelli rilas-santi a quello olistico, fino alle tecniche antiche come l’ayurveda e il thai, per dare energia e ri-trovare armonia ed equilibrio. Attenzione an-che per i bambini con la Spa Junior, dove i ri-tuali di soffici saponature in Hammam

uniscono i benefici delle selezionate materie prime idratanti e lenitive (olio di argan, burro di karitè e olio di mandorle) alle fragranze ama-te dai più piccoli, come la caramella, la coca-cola, il miele, i frutti tropicali. Grado (www.gradoit.it), piccolo borgo di pe-scatori, sin dal periodo asburgico è stata una meta molto frequentata. Ancora oggi è una de-stinazione perfetta per un fine settimana, tra la magica laguna, i ristoranti con un’antica tradi-zione culinaria e il benessere delle terme ma-rine. La cittadina è bagnata da acque con una salinità particolare dovuta all’effetto delle cor-renti e della laguna. L’acqua e la sabbia vengo-no estratte con una cura meticolosa al fine di non alterarne le proprietà e mantenere intatte le caratteristiche vitalizzanti, detergenti, anti-batteriche e rassodanti. Il top? Il massaggio se-ta marina, morbido come una carezza.

dove mangiare Ai Casoni Affacciato sulla grande laguna, ci si può sedere ai tavoli sospesi sull’acqua. Prezzo medio: da 40 eurovia della Laguna, 14 – Bibione (Ve)www.ristoranteaicasoni.it

Antica Trattoria Alla Fortuna Piatti raffinati con attenzione alla materia prima.Prezzo medio: menù degustazione 50 euro, vini esclusi Via Marina, 12 – Grado (Go) www.allafortuna.it

dove dormireHotel ItalyCamere spaziose e luminose, molte con vista mare. Prezzi: 69 euro a persona in pensione completaVia delle Meteore, 2 – Bibione (Ve)www.hotel-italy.it

Hotel Abbazia Situato nel cuore di Grado, in zona pedonale. Camere confortevoli. Prezzi: da 136 euro in camera doppia Via Cristoforo Colombo, 12 – Grado (Go) www.hotel-abbazia.com

Scelti per voi

Fu degli antichi Romani l’idea di istituire Thermae pubbliche. Vi si riunivano non solo per rilassarsi ma anche per discutere di politica

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Scelti per voi

Le più romanticheBagno di Romagna è la patria delle Ter-me fra le più antiche in Italia (le prime strutture risalgono ai Romani e il paese è anche centrale geotermica per lo sfruttamento di acqua termale come combustibile per il riscaldamento). Qui si può godere dei benefici dell’acqua calda (sgorga a 45 gradi) e del fango ter-male in uno dei tre stabilimenti che vantano un’elevata tecnologia. Tra que-sti Euroterme (www.euroterme.com), un concentrato unico di design ed ener-gia, circondato dal verde. Da provare i vari trattamenti, come quelli per la ria-bilitazione respiratoria e per la cura dell’osteoporosi. La sera ci si rilassa con un bagno all’aperto, tra i vapori, le stel-le e il gorgheggiare del fiume. San Casciano dei Bagni è un altro pic-colo gioiello, situato alle pendici del Monte Cetona. Qui il quadro è perfet-to: tranquillità, privacy, natura inconta-minata e il prestigio delle terme (con 42 sorgenti si collocano per portata d’ac-qua, 5.400mila litri al giorno, al primo posto in Italia) che nel Rinascimento ebbero la loro maggiore notorietà. Le acque dello stabilimento Fonteverde (www.fonteverdespa.com) sono solfa-te, calciche, fluorate, magnesiache e sgorgano in superficie a una tempera-tura di 42° C. Ci si può immergere nel-le numerose piscine (ce n’è persino una piccola per i cani, per quanti non vo-gliono separarsi dai propri animali do-mestici durante il soggiorno) o nell’esclusivo percorso Bioacquam e la-sciarsi coccolare dai getti tonificanti de-gli idromassaggi, avendo di fronte il bel-lissimo panorama sulla vallata.

dove mangiare Trattoria GiovannaIn pieno centro e a gestione familiare. Cucina casereccia. Prezzo medio: 15 euro compreso un quarto di vino e caffèVia Manin, 35 – Bagno di Romagna (FC)Tel. 0543911057

Daniela Da assaggiare il cinghiale con castagne, uvetta e prugne. Prezzo medio: 30 euro Piazza di San Casciano dei Bagni (Si)Tel. 057858041

dove dormireHotel Tosco Romagnolo Ambiente familiare e ottima accoglienza. Fiore all’occhiello è il ristorante Paolo Teverini. Prezzi: doppia da 118 euroPiazza Dante, 2 – Bagno di Romagna (FC)www.paoloteverini.it

Sette Querce Si dorme tra pareti colorate e tappezzerie vivaci. Prezzi: da 145 a 210 euro per la camera doppiaV.le Manciati, 2 – San Casciano (Si)www.settequerce.it

Nelle prime due pagine le terme di Merano e Sirmione. Nella pagina precedente: Bibione e Grado. Qui, in alto, due scatti di Bagno di Romagna, e sotto San Casciano: una carrellata di design e benessere, per scegliere la struttura e i trattamenti più adatti alle nostre esigenze

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dove mangiare Ristorante La Parata Cucina tipica e sale con travi a vista.Prezzo medio: 25 euroPiazza del Moretto 40 – Bagno Vignoni (Si)Tel. 0577887508

Trattoria Porta RomanaMenù della tradizione locale. Imperdibile la zuppa alle erbe selvatiche e i porcini al forno con patate. Prezzo medio: 25 euro Via della Bontà 12 – Viterbo www.trattoriaportaromanaviterbo.com

Al ConventoNei locali che ospitarono per secoli il Convento dei Padri Agostiniani. Piatti a base di pesce. Prezzo medio: 50 euro.Via Lungomare Aragonese, 20 Ischia Ponte (Na)Tel. 081991345

dove dormireAdler Thermae Camere bio-climatizzate con balcone o terrazza con vista sulla Val d’Orcia.Prezzi: da 247 euro a persona.Bagno Vignoni (Si)www.adler-thermae.com

TusciaHotel completamente ristrutturato, nei pressi del quartiere medievale.Prezzi: doppia da 80 euroVia Cairoli, 41 – Viterbowww.tusciahotel.com

Casa del SolePiccola struttura a conduzione familiare in un ambiente mediterraneo.Prezzi: doppia 100 euroVia G. Mazzella, 192 – Ischia (Na)ww.hotelcasadelsole.it

Scelti per voi Le più intimeA Bagno Vignoni, uno dei borghi medioevali meglio conservati della Toscana, tutto ruota at-torno alle terme. Le locande, le abitazioni e la chiesa di San Giovanni Battista sono sviluppa-te attorno alla vasca in cui sgorgano dal suolo vulcanico le acque della sorgente termale ori-ginale. Acque che hanno attirato personaggi storici di particolare fama, tra cui Caterina da Siena, il Papa Pio II Piccolomini e Lorenzo il Magnifico. Oggi moderne strutture convoglia-no le acque alimentate dalla sorgente nelle ter-me di Vignoni (www.termebagnovignoni.it), dove fare anche bagni di fango, irrigazioni e ina-lazioni. I papi sceglievano le terme di Viterbo (www.letermedeipapi.it) che utilizzano la sto-rica sorgente Bullicame, già citata da Dante Ali-ghieri. Dal laghetto del Bagnaccio, vengono estratti due tipi di fango, già pronti per l’uso: quello lavico grigio, utilizzato per la fangotera-pia, e quello sorgivo bianchissimo, per i tratta-menti estetici. Non manca poi una grande pi-scina termale che consente di trascorrere piacevoli giornate dedicate alla cura e alla bel-lezza del proprio corpo. Per chi, infine, ha voglia di prendere il sole su sabbie dorate e, allo stesso tempo, vivere il fascino di un’isola, Ischia è la meta ideale. Sorgenti, fumarole, fanghi che si trovano pressoché su tutto il territorio, oltre a numerosi stabilimenti termali, tra cui le Terme di Ischia (www.marinaischia.it), a pochi passi dal porto. Le acque sono alcaline, contengono zolfo, iodio, cloro, ferro, elementi potassici e mi-croelementi di sostanze attive. A seconda della loro composizione, sono un rimedio per reu-matismi, artrosi, nevralgie, strappi muscolari.

Cosa vedereUn week end alle terme permette di godere anche delle bellezze del territorio. A Sirmione, da non perdere l’area delle Grotte di Catullo, con i ruderi di un’imponente villa romana di età imperiale e vista sul lago. A Merano merita una visita il Duomo, nel centro storico della città, costruito nel 1310 con un campanile di 80 metri. L’interno è spettacolare: un grande spazio fa da culla a bei dipinti e sculture. Si fa una passeggiata nel verde a Salsomaggiore, nel parco Mazzini, un’oasi naturalistica che ospita magnifici alberi, tra cui cedri, aceri ginko biloba e sequoie. Anche Bibione ha la sua zona verde: Vallevecchio, situata tra Caorle e Bibione. Viterbo racchiude le bellezze del quartiere di San Pellegrino tra imponenti palazzi, torri ed edifici a profferli, le antiche scale esterne nella tipica pietra peperino (un tufo vulcanico caratteristico del viterbese). Dopo il relax, a Ischia si può visitare il museo archeologico di Pithecusae a Lacco Ameno, dove sono custoditi preziosi tesori, come la Coppa di Nestore, la maggiore testimonianza di scrittura negli anni di Omero.

Fuori dai classici itinerariPer chi ami rilassarsi tra getti d’acqua rivitalizzanti e trattamenti benessere per corpo e spirito, da segnalare la prestigiosa struttura del Capovaticano Resort Thalasso & Spa, membro della prestigiosa collezione internazionale MGallery. Hotel dal design contemporaneo e minimalista, è un’oasi incastonata in uno dei tratti più suggestivi della costa calabrese, con vista mozzafiato sul vulcano Stromboli e le isole Eolie. Direttamente integrato all’hotel, l’Istituto Thalassa Sea & Spa, con il suo approccio innovativo al benessere che trae ispirazione dal patrimonio naturale dei dintorni di Tropea con i suoi agrumi e profumi mediterranei. Località Tono Fraz. San Nicolò – Ricadi (Vv) Tel. 0963665760 - www.mgallery.com

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inviaggio

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Immerso nel verde direttamente sul lago l’Hotel Caesius Thermae & SPA Resort riserva ai suoi ospiti i bene�ci di un’atmosfera rilassante. Il complesso alberghiero o�re una miriade di opportunità per garantire all’ospite tutti gli ingredienti di una vacanza indimenticabile. Un attrezzatissimo centro wellness, con saune e bagno turco, piscine interne ed esterne con idromassaggio, �tness e body style, palestra con personal trainer, un beauty center, uno stabilimento termale dalle acque oligomine-rali, un centro Ayurvedico tra i più completi d’Italia, un’area congressuale perfettamente equipaggiata, un’ampia terrazza con vista sul lago, camere e suite di elevato comfort fanno dell’Hotel Caesius Thermae & SPA Resort una struttura vasta e completa in grado di sod-disfare in ogni periodo dell’anno le esigenze più complete.

L’Hotel Caesius Thermae & SPA Resort, accarezzato dal clima mite e incorniciato dal-la lussureggiante vegetazione del Garda, è lambito dalle onde di uno dei più bei laghi del mondo, una azzurra gemma incastonata fra monti e colline di rara bellezza, e circon-dato da antiche e meravigliose città d’arte. I panorami dolci e suggestivi, il sole, l’aria pura, il clima mite, la vegetazione rigogliosa, l’acqua sorgiva incontaminata, le cure termali, il cibo sano e nutriente, le piante medicinale, il mas-saggio, le mete turistiche o escursionistiche in antiche città d’arte o in ambiente di incompa-rabile splendore sono quanto di meglio si possa utilizzare per recuperare l’equilibrio del corpo e dello spirito.

Per maggiori informazioni visitate il sito web:

www.hotelcaesiusterme.com

37011 Bardolino (VR) - Via Peschiera, 3Tel. 045 7219 100 - Fax 045 7219 [email protected]

LA SETTIMANA AYURVEDICA INTENSIVA

AYURVEDA E L’ALIMENTAZIONE

Yoga e Ayurveda: il paradiso sulla terra.

Benessere del corpo, dell’anima e della mente...

O�erta valida dal 6 aprile al 7 luglio 2012Prezzo pacchetto in camera doppia a partire da € 2.091.00

- Pensione completa per 7 giorni - Colloquio medico iniziale con diagnosi del polso (30 min.) - Prescrizione personalizzata dei trattamenti e del programma alimentare - 5 trattamenti ayurvedici al giorno - Ogni giorno una lezione di yoga e pranahyama

(60 min.)- Assistenza medica durante il soggiorno- Passeggiate o gite in bicicletta lungo il lago- Una volta alla settimana conferenza con il medico sul tema dell’ayurveda- Bibite di tisane ayurvediche- Colloquio �nale con il medico

Si consiglia arrivo in Hotel: martedì, giovedì, venerdì, o domenica per la presenza del personale medico ayurvedico.

L’Hotel Caesius Thermae & SPA Resort è il primo complesso alberghiero in Italia a disporre di un Centro Ayurvedico di salute e benessere perfettamente attrezzato, seguito da medici e tecnici di grande esperienza, dove l’ospite può giovarsi di un ciclo personalizzato di trattamenti decisi dopo un approfondito colloquio diagnostico iniziale. L’anamnesi iniziale con diagnosi del polso focalizza i di�erenti dosha (energie vitali e fon-damentali) e consente di mettere a punto una cura personalizzata che si esplica in diversi trattamenti: abhyanga (massaggio corpo con oli), shirodara (oleazione della fronte), shiro-abhyanga (massaggio alla fronte), mukabhyanga (massaggio al viso), e molti altri ancora. Le applicazioni personalizzate, tendono al miglioramento dello stile di vita e al riequilibrio psico-�sico. Il consulto di �ne soggiorno, inoltre, suggerisce gli accorgimenti necessari ad un progressivo e stabile benessere.

Per completare l’o�erta il centro di medicina ayurvedica dedica all’ospite una cucina specializzata. Cuochi di talento, quali�cati e capaci vi daranno l’esempio di una dieta corretta e ad un tempo pia-cevole ed allettante. Chi saprà appro�ttare di questa opportunità trasformerà la propria vacanza in un’esperienza davvero rigenerante.

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Città che affonda le sue radici in un prestigioso passato – di lei parla anche il padre Dante, di passaggio da queste parti durante il suo inquie-to girovagare per l’Italia – Vercelli oggi è famo-sa soprattutto per il suo mercato risiero, il più grande d’Europa. Eppure c’è stato un tempo, tra il IX e l’XII secolo, in cui nell’attuale “capi-tale europea del riso” si respirava un’aria davve-ro internazionale. Tutto merito del cardinale Guala Bicchieri, vercellese illustre e personag-gio di primo piano della storia inglese nei diffi-cili anni della successione di Giovanni Senza Terra. Fu lui a volere la costruzione della mae-stosa Basilica di Sant’Andrea, simbolo della cit-tà e primo esempio di gotico italiano ispirato a modelli cistercensi, che saluta il visitatore appe-

Piemonte

Vercelli

di Silvana Delfuoco

A Vercelli, giganti tra le risaie

na uscito dalla stazione ferroviaria. E, forse, sem-pre a lui si deve la presenza, fra i Tesori del Duo-mo, accanto allo straordinario crocifisso romanico in lamina d’argento risalente all’anno 1000, di un codice su pergamena del X secolo: è il Codex Vercellensis ovvero il mitico Vercelli book, uno dei quattro manoscritti base della lin-gua anglosassone antica, strumento indispensa-bile per lo studio della formazione dell’inglese moderno. La cultura dell’accoglienzaA pochi metri da Sant’Andrea, sull’altro lato della strada, c’è il Dugentesco, l’antico ospitale del 1223 nato per accogliere i pellegrini e dive-nuto poi Ospedale Maggiore nel XV secolo. Sul

Oggi città del risotto, un tempo crocevia di culture, la cittadina piemontese è custode di tesori raffinati e, fino al 10 giugno, ospita la mostra dedicata ai grandi dell’avanguardia

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l’italiainmostra

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Miró, Mondrian, Calder e le collezioni GuggenheimQuinto appuntamento nell’Arca vercellese per il fortunato ciclo della rassegna che propone opere della Collezione Guggenheim iniziata nel 2007, anche questa come le precedenti brillantemente allestita da Luca Massimo Barbero. Si tratta di trentasei capolavori che arrivano da New York, Venezia, Spoleto e l’Aja, alcuni dei quali esposti per la prima volta in Italia, scelti con attenzione cronologica per ricostruire la carriera di Miró, Mondrian e Calder, i tre “giganti dell’avanguardia” protagonisti della storia dell’arte del XX secolo. Se Piet Mondrian è tra i creatori indiscussi del moderno linguaggio astratto, con le sue inconfondibili Composizioni neoplastiche ortogonali, già dalle prime opere di Joan Miró si riconoscono i germi di quel Surrealismo onirico di cui diventerà il massimo esponente, mentre la ricerca sul movimento di Alexander Calder, l’artista forse più vicino a Peggy, è qui ben esemplificata dai famosi Orecchini mobili, che lei sembrava prediligere.

fino al 10 giugno - Arca, Chiesa di San Marco, Vercelli - www.guggenheimvercelli.it

Un vercellese alla corte d’InghilterraL’uomo che diede a Vercelli fama e lustro internazionale, il suo figlio, almeno finora, più celebre fu senza dubbio il cardinale Guala Bicchieri, grande diplomatico al servizio della Santa Sede nel XIII secolo. Su incarico di papa Innocenzo III svolse importanti e delicate missioni all’estero. Toccò a lui, tra l’altro, provare a dipanare l’ingarbugliata matassa della contesa tra Francia e Inghilterra per la successione al trono anglosassone, sia prima che dopo la morte di Giovanni Senza Terra, il fratello di Riccardo Cuor di Leone. Si legge infatti il suo nome nel Consiglio di reggenza dell’erede di Giovanni, il futuro Enrico III ancora bambino, e compare il suo sigillo persino sul testo della Magna Charta del 1215, a garanzia del nome e del titolo regale. Diventato grazie ai suoi viaggi anche un raffinato collezionista d’arte, al suo rientro in Italia, dopo il 1224, si dedicò alla risistemazione edilizia della sua città natale. Il suo nome è legato soprattutto alla costruzione della cattedrale di Sant’Andrea, nominata nel testamento erede universale dei suoi beni.

Alcuni capolavori dei “giganti dell’avanguardia”. Dall’alto Alexander Calder, Senza titolo. Sotto e a destra, Joan Mirò: Prades Il paese e Personaggio cane uccello. In fine, Piet Mondrian - Natura morta con vaso II

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Risi, risotti e… Un paesaggio variegato quello del

vercellese, che dalle risaie sale verso le colline ricche di vigneti da Moncrivello a Gattinara, per aprirsi alle montagne della Valsesia dove troneggia il Monte Rosa. Piatti di terra, ma anche di caccia

e di pesca, dove trionfano la panissa, il più tipico dei piatti di riso nelle

innumerevoli varianti locali, e le rane, alle quali Vercelli dedica una Sagra tutti

gli anni nel mese di settembre. Basta poi salire di quota per trovare, accanto

alla polenta concia, ai capunet e alle mocette delle zone alpine, l’uberlekke

di Alagna, un caratteristico bollito misto fatto con diversi tipi di carni

salate. Si ritorna a valle per gustare i dolci tipici. Specialità di Vercelli

sono i bicciolani, friabili biscotti di pastafrolla aromatizzati con cannella,

cacao e chiodi di garofano. Cercateli alla pasticceria Taverna&Tarnuzzer di piazza Cavour, dove li fanno ancora

secondo la ricetta del nonno.

Tra “grange” e risaieFurono i cistercensi nel XV secolo

a introdurre il riso nelle pianure del Vercellese, ridisegnando così il territorio

con una delle più grandi pianificazioni irrigue del mondo. Il reticolato delle

risaie, che diventano “terre d’acqua” a partire da metà aprile, si apre alla vista

percorrendo la provinciale che da Vercelli porta a Crescentino. Lo interrompono a tratti le sagome di imponenti cascine dalle antiche origini e la presenza delle

grange, le tenute agricole nate dalla bonifica dei monaci. Imperdibile è la

visita a Cascina Veneria di Lignano, dove aleggia il ricordo di Silvana Mangano protagonista di Riso amaro. Ci si può

fermare ad acquistare qualche varietà di ottimo riso tradizionale per poi spostarsi a Desana, dove gustare un buon risotto

nel ristorante di Tenuta Castello. Qualche chilometro più avanti ecco il centro

storico delle grange, l’antico Principato di Lucedio con al centro la cistercense

Abbazia di Santa Maria, in corso di restauro. Da esso dipendeva anche la

tenuta di Leri, divenuta qualche secolo più tardi proprietà del conte di Cavour

che proprio da qui iniziò la sua attività di riformatore agrario.

lungo percorso che dalla Francia conduceva a Roma, la via Francigena appunto, Vercelli era infatti una tappa molto frequentata per la sua posizione centrale strategica. Di questo impor-tante passato, oggi restano molte testimonianze, a partire dal rilevante numero di chiese ancora presenti ricche di importanti opere d’arte, per finire al celebre ciclo di affreschi di Gaudenzio Ferrari nella centralissima San Cristoforo. Pro-prio in una di queste chiese ha trovato la sua collocazione l’Arca, lo spazio espositivo dal 2007 nuova sede per le arti visive della città, pensato per accogliere e ospitare in tutta sicu-rezza tesori in arrivo ogni anno da tutto il mon-do. Già chiesa di San Marco, poi diventata negli ultimi due secoli area del vino e mercato coper-to di formaggi e verdure, oggi l’Arca, nella sua nuova vita, regala ai visitatori sorprese inaspet-tate. Ultima in ordine di tempo, con il restauro ancora in corso, è la rinascimentale Cappella del-la Natività di Maria, dove compare una lunetta raffigurante l’Albero di Jesse, un unicum nel pa-norama figurativo piemontese dell’epoca.

dove mangiareIl PaioloStorico ristorante della tradizione vercellese: imperdibile la panissa.Viale Garibaldi, 72 – Vercelli Tel. 0161250577www.ristoranteilpaiolovercelli.com

Il BivioUn luogo emozionante, tra i migliori del Piemonte, dove regnano cortesia e disponibilità.Via Bivio, 2 – Quinto Vercellese (Vc)Tel. 0161274131

OryzaAll’interno di un Castello del seicento, una trattoria per gli amanti del riso, dall’antipasto al dolce.Piazza Castello, 8 – Desana (Vc)Tel. 0161138565www.tenutacastello.com

dove dormireCinzia-Da Christian e ManuelAppena fuori dal centro storico, un elegante tre stelle con annesso ristorante dove gustare risotti (ma non solo) in tutte le possibili varianti. Corso Magenta, 71 – VercelliTel. 0161253585www.hotel-cinzia.com

Il GiardinettoUna palazzina dell’ottocento in una zona tranquilla ospita questo discreto tre stelle con giardino interno.Via Sereno, 3 – VercelliTel 0161257230www.hrgiardinetto.com

Borgo Ramezzana Country HousePiscina esterna riscaldata, centro benessere, ristorante interno per questo cinque stelle diviso tra casa padronale e casa del fattore, con vista sulle colline o sul Monte Rosa. Borgo Ramezzana, 3 – Trino (Vc)Tel.0161829412www.borgoramezzana.it

Scelti per voi

Le risaie: oggi Vercelli è famosa soprattutto per il suo mercato risiero, il più grande d’Europa

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l’italiainmostra

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CHARMING BOUTIQUE HOTEL WELLNESS CENTER & RESTAURANT

VIA SCALO, 15 - 98050 MALFA | SALINA | ISOLE EOLIE (ME) | ITALY

TEL. +39 090 9844222 - TEL. +39 090 9844375 | FAX +39 090 9844102 - [email protected] | WWW.HOTELSIGNUM.IT

Il Signum, Charming Boutique Hotel sull’Isola di Salina, è stato ricavato da una sapiente ristrutturazione di un antico borgo contadino immerso nel verde a pochi passi dal mare. Ariose e luminose, arredate con mo-bili d’epoca e tessuti raffinati, dotate di terrazzi o balconcini, le trenta camera hanno ognuna uno stile individuale e costituiscono un perfet-to ambiente per il relax. Le sagome di Stromboli e Panarea tracciate sull’orizzonte sono la spettacolare cornice delle terrazze panoramiche dove si possono trascorrere piacevoli momenti, sorseggiare un calice di vino, rinfrescarsi con un drink al cocktail-bar o gustare i sapori genuini dei piatti proposti dal rinomato Ristorante Signum. I profumi degli agru-mi, viti e gelsomini accompagnano l’ospite lungo il percorso del Centro Benessere Signum SPA Salus per Aquam. L’ispirazione alle tradizioni dell’arcipelago vive negli ambienti e nei trattamenti a base dei prodotti della generosa terra vulcanica. Una fonte naturale d’acqua geotermale alimenta il percorso benessere all’aperto.

Hotel Signum is a Charming Boutique Hotel situated on the island of Salina. Just a stone’s throw from the seashore and surrounded by gardens, the hotel is the result of careful restoration of a former rural ‘borgo’ and its cluster of houses. The thirty rooms are airy and sunny with period furniture and fine tex-tiles and have either a balcony or terrace. Every room boasts its own unique style, creating the perfect ambiance for rest and relaxation. The silhouettes of Stromboli and Panarea on the horizon form a wonderful backdrop to the scenic terraces which offer the perfect setting for unalloyed pleasure. An ex-perience heightened when sipping a glass of wine, cooling down with a drink at the cocktail bar or enjoying the authentic flavours of the cuisine offered in Ri-storante Signum. The scents of citrus fruits, grapevines and jasmine surround guests throughout their time at the hotel spa, Salus per Aquam. The traditions of this archipelago have been the inspiration for both the health complex and for the treatments, using products provided by the generous volcanic earth. A natural geothermic spring supplies water to the outside treatments.

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Si pensa a Pisa e subito salta alla mente la Torre

Pendente. Ma la cittadina toscana, a misura d’uomo,

custodisce altre bellezze da vivere con lentezza. E

alla sera è d’obbligo mescolarsi con i tanti

giovani che si riversano sulle “spallette” dell’Arno

a bere qualcosa

dove dormireRoyal Victoria HotelDal 1837 gestito dalla famiglia Piegaja. Stanze arredate con pezzi d’epoca.Prezzi: da 80 euro la doppiaLungarno Pacinotti, 12 Tel. 050940111www.royalvictoria.it

B&B Le TorriA soli 10 minuti dal centro; 7 camere a conduzione familiare. Prezzi: da 58 euro la doppiaVia delle Torri, 2Tel. 0509711697www.ristoranteletorri.info

dove mangiareOsteria dei CavalieriPresso Piazza dei Miracoli, la cucina toscana reinterpretata con creatività.Prezzi: da 35 euroVia San Frediano, 16Tel. 050580858www.ostriadeicavalieri.isa.it

Trattoria Alla GiornataUn ambiente accogliente. In menù piatti di carne e pesce freschissimo. Una delle specialità? Gli spaghetti alla bottarga.Prezzi: da 25 euroVia S. Bibbiana, 11Tel. 050542504www.trattoriaallagioranta.com

dove comprareCioccolateria De BondtSperimentare e creare gioielli di cioccolato. Questa la missione di Paul e Cecilia, cioccolatieri per passione.Lungarno Pacinotti, 5Tel. 0503160073wwwdebondt.it

Max il cuoiaioProdotti artigianali realizzati in cuoio secondo vecchie tradizioni.Via Domenico Cavalca, 57Tel. 050574299www.maxilcuoiaio.it

L’idea in piùI quattro quartieri del centro storico della città rivivono le loro tradizioni nel “Gioco del Ponte”, una delle principali manifestazioni storiche che si svolge l’ultimo sabato del mese di giugno, in occasione delle festività legate al patrono San Ranieri.

Voli consigliati su Pisa: Air OnePer info: www.flyairone.com Call center 892 444 (soggetto a tariffazione specifica)

1. Farsi abbagliare dal candore di Piazza dei MiracoliLa Piazza del Duomo di Pisa, Patrimonio Une-sco dal 1987, nota come la Piazza dei Miraco-li, è sicuramente una delle icone turistiche più sfruttate al mondo. Qui non si rimane affascina-ti solo dal candore della Torre pendente: fanno infatti bella mostra di sé anche il Battistero, con i suoi sorprendenti simboli, il camposanto mo-numentale con gli affreschi restaurati e la catte-drale marmorea dedicata a Santa Maria Assun-ta. E per godersi questo immenso patrimonio ci si può anche sedere sul grande prato verde che circonda ogni capolavoro.

2. Col naso all’insù per scovare le altre torri “storte”Ebbene sì. A Pisa non pende solo la celebre Torre che fu costruita a partire dal 1173. Ci sono altri due campanili che hanno il baricentro incerto. Uno è quello della Chiesa di San Nicola. Ha la forma ottagonale e risale, molto probabilmente, alla seconda metà del XIII secolo. L’altro campa-nile, ancor più pendente della celeberrima Torre, è quello della Chiesa Medievale di San Michele degli Scalzi.

3. Il paese in città nella Piazza delle VettovaglieAttraversando Piazza delle Vettovaglie si entra in una dimensione nuova. Uno spettacolo inaspet-tato che riserva sorprese. Bancarelle di frutta e verdura insieme a antichi negozi ci riportano in-dietro nel tempo. E la sensazione è quella di ri-trovarsi in un piccolo paese di campagna, dove tutti si conoscono e si chiamano per nome.

4. Stupirsi di fronte ai 180 metri del murales Tuttotondo Gli amanti della pop art e non solo, non posso-no farsi mancare un passaggio alla prima e unica opera permanente dell’artista, precursore della street art, Keith Haring. Realizzata nel 1989 (an-no prima della sua morte) è visibile sulla parete del Convento di Sant’Antonio Abate. Trenta fi-gure inconfondibili, legate e incastonate tra loro come in un magico caleidoscopio.

5. Ammirare i Lungarni al tramontoPasseggiare durante il crepuscolo, accanto all’an-tica via d’acqua (l’Arno) è un’esperienza di stra-ordinaria bellezza. Al tramonto, i lampioni posti sulle “spallette del fiume”, si specchiano nell’ac-qua insieme alla Chiesa di San Sepolcro e ai pa-lazzi Lanfranchi, Gambacorti, Agostini, dei Me-dici e Palazzo Reale, rendendo ancor più magica l’atmosfera. Da non perdere la magica atmosfe-ra della Luminara, il 16 giugno, quando i Lun-garni spengono le proprie luci e si illuminano con le candele.

Pisa in 5 tappe

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: Pro

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di P

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: Pro

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una città in 24 ore di Lucrezia argentiero

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La capitale della Tunisia seduce con il suo fascino mediterraneo e con i suoi

contrasti tra la parte storica, la Medina, e quella moderna, fatta di quartieri

residenziali e palazzi dal gusto contemporaneo. Visitare la città

significa fare un tuffo nelle atmosfere del souq ma anche nella cucina tipica,

degustando tajine malsouqa (carne ripiena d’uova) o il ragù d’agnello

zuccherato alla frutta secca

dove dormireDar el Medina Una residenza autentica e di pregio nel cuore di TunisiPrezzi: doppia a partire da 148 eurowww.darlemedina.com

Hotel Maison Blanche Lusso e confort in un hotel di charme.Prezzi: junior suite a partire da 137 eurowww.hotel-lamaisonblanche.com

dove mangiareDar el Jeld Nel cuore della Medina. In menu piatti della tradizione tunisina rivisitati. Ai fornelli solo donne, mentre gli uomini lavano i piatti.Prezzi: da 30 eurowww.dareljeld.tourism.com

Dar Hamouda Pacha Grande locale nel patio, con musica tradizionale e cucina tipica.Prezzi: da 18 euroRue Sidi Ben Arous, 56

shoppingLe Diwan Il posto giusto, all’interno della Medina, quasi di fronte al ristorante Dar el Jeld, per trovare sciarpe di seta, profumi, tessuti per la casa, artigianato. Rue Dar El Jeld

info: www.tunisiaturismo.it

L’idea in piùScoprire una vera casa

Per chi vuole scoprire un’autentica casa tunisina può recarsi a Dar El Béhi, un bel palazzo del XIII secolo, con ceramiche del ’600, luogo di ritrovo e sala da tè, dove sorseggiare una bevanda con pasticcini (per 5 dinari, meno di 3 euro). La padrona di casa accompagna i visitatori in ogni stanza, dalla cucina ai salotti e mostra la sua collezione di abiti tradizionali.

Voli consigliati su Tunisi: Air OnePer info: www.flyairone.com Call center 892 444 (soggetto a tariffazione specifica)

1. La Medina, una città nella cittàÈ il cuore storico della città e patrimonio Une-sco (dal 1979). La Medina, più di ogni altro luo-go, rappresenta l’identità tunisina: tredici secoli di storia immutati, in un intrico di gallerie e vicoli tortuosi, costellato di palazzi nobiliari, scuole co-raniche, moschee, hammam e souq pieni di vita. Si tratta della Medina più grande (270 ettari), più viva (100 mila abitanti) e la meglio conservata di tutto il Nord Africa.

2. La Moschea dell’UlivoAll’interno della Medina, la Moschea di Al-Zaytu-na o moschea dell’Ulivo è il più antico e il più grande luogo di culto della città, un tempo po-stazione difensiva per le sue due torri rivolte verso il mare. Ha 9 entrate e ben 184 colonne antiche, per la maggior parte provenienti dal sito archeo-logico di Cartagine, per una superficie di 5 mi-la metri quadri. Perché dell’ulivo? Si dice che nel luogo dove ora sorge il tempio, prima ci fosse un antico sito di preghiera e una pianta di ulivo.

3. Il Museo delle Arti e Tradizioni PopolariSi trova sulla collina di Byrsa, presso la quale, di recente, sono state portate alla luce le rovine della antica Acropoli della città. È all’interno del Palaz-zo Dar Ben Adballah e custodisce reperti punici e romani che quasi sembrano perdere di interesse di fronte alla magnifica cornice del palazzo che li ospita. Da ammirare la serie di sarcofagi di mar-mo, le ceramiche funerarie e una collezione di ar-ticoli di uso comune.

4. Ammirare le miriadi di colori a Palazzo del BardoSosta importante è quella al Museo del Bardo, situato all’interno dell’ex seicentesco Palazzo del Bardo, residenza ufficiale dei bey husseiniti, con-siderato uno dei più importanti musei archeolo-gici africani e testimonianza del gusto architetto-nico tunisino. Si gira tra rivestimenti in ceramica colorata, pietra scolpita, intarsi di marmo e gesso finemente cesellato. Diverse le sezioni che vanno dall’epoca cartaginese, alla romana, passando per quella paleocristiana e arabo-islamica. La sezione romana contiene una delle più incantevoli raccol-te di statue e mosaici policromi del mondo.

5. Fare piccoli affari al soukNon lontano da Avenue Bourguiba, tutti i sensi vengono catturati dal souq, il mercato caratte-ristico della Medina. Qui è impossibile non rima-nere colpiti dai colori sgargianti delle stoffe, dagli odori di incensi e spezie che pervadono tutte le innumerevoli stradine del centro. Ci si può anche soffermare ad assaggiare i piatti tipici della tradi-zione araba come il cous cous, le polpettine di pesce o il kebab.

Tunisi in 5 tappe

una città in 24 ore di Isa Grassano

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l’arte dell’accoglienza di Raffaele Romeo

DocenteI.P. S.S.a.R.

c. PoRta mIlano

Non chiamatela “pensione completa”Quella alberghiera è la più antica e tradizionale forma di ristorazione e, nel nostro paese, rappresenta un terzo dell’offerta ristorativa totale. Ma non tutte le strutture hanno ancora capito l’importanza di rivedere e rinnovare il proprio servizio

Il Premio Chef d’hotelL’istituzione del Premio Chef d’hotel ha voluto portare all’attenzione del pubblico e delle istituzioni il livello di qualità raggiunto dal sistema della ristorazione alberghiera italiana. Nella percezione comune, infatti, la ristorazione alberghiera si ritrova spesso ancorata alla “pensione completa” degli anni ’60 che ha segnato lo sviluppo del turismo di massa, ma che non trova certo più spazio in un mercato come quello attuale caratterizzato da una clientela esigente, alla ricerca di esperienze ed emozioni anche nel campo enogastronomico. Il Premio Chef d’hotel ogni anno porta alla ribalta uno chef emergente e seleziona uno chef affermato, nella prima edizione è stato assegnato il premio ad Heinz Beck che, raggiungendo risultati di eccellenza con il ristorante La Pergola, ha contribuito a consolidare il successo dell’Hotel cavalieri Hilton di Roma.

E la cena va in scena C’è una simpatica teoria di Aurelio Bonini a questo proposito. Molti alberghi, specialmente quelli di vacanza, considerano la struttura come un teatro nel quale a 100 letti devono corrispondere 100 posti a ristorante. Il teatro prevede la compresenza degli ospiti (spettatori) e del personale (attori). La cucina è messa in linea con largo anticipo per l’ora protocollare del pasto, quando saranno presenti tutti i clienti affamati, tutti i cuochi accaldati e tutti i camerieri allineati. Risultato: completare il servizio spettacolo. La formula è la pensione completa: 100 letti – 100 posti ristorante = 100 coperti in un’ora. Non ci siamo accorti che gli spettatori sono cambiati e non vogliono essere degli anonimi coperti! Questa formula va sostituita con un modello funzionale tipico della ristorazione commerciale, ovvero: albergo = ospitalità + piaceri + soddisfazione.

Secondo una recente indagine di Federalber-ghi, due persone su tre dichiarano di preferire gli alberghi con il ristorante. Questi dati danno un messaggio chiarissimo sull’attenzione che il settore deve mostrare al reparto ristorativo, ap-portando innovazioni nel servizio e mutando gli stili organizzativi della ristorazione tradizio-nale. Oggi l’accoglienza a tavola deve essere dunque considerata come elemento integrante dell’ospitalità e valorizzare tutti gli aspetti rela-tivi alla ristorazione, sia dal punto di vista del-la qualità che del servizio. Bisogna sfatare quel luogo comune “che nei ristoranti d’albergo si mangia male”! Negli ultimi anni diverse strut-ture alberghiere hanno effettivamente sapu-to cogliere i segnali del mercato e, malgrado i tanti vincoli di un sistema burocratico – ancora legato alla logica anacronistica delle licenze per i clienti non alloggiati – hanno saputo investire nella ristorazione di qualità. È giunta però l’ora che tutti gli albergatori modi-fichino il modo di gestire e proporre la vecchia e tradizionale ristorazione ormai ampiamente su-perata. Ma cosa bisogna cambiare?La pretensiosità e i formalismi del servizio al-berghiero, per esempio, del tutto fuori moda.Il classico menù d’albergo, non più gradito da

chi fuori casa ha acquistato una serata, un eva-sione, una vacanza. Le cucine degli alberghi, infine, progettate secondo i sistemi e abitudini dei vecchi chef senza avvalersi di tecnologie che permettono di superare tutte le difficoltà di pre-parazione e di costo. È necessario riposizionare la ristorazione alber-ghiera togliendo o modificando il grigiore della pensione completa proponendone una ad hoc, tenendo conto che gli ospiti negli anni han-no modificato sensibilmente la sfera delle loro pretese. Inoltre il ristorante d’albergo non de-ve vivere di soli ospiti in pensione completa ma deve necessariamente sfruttare le potenzialità della struttura nel territorio, andando a creare ricavi da segmenti diversi quali banqueting e attività congressuali, che consentono di con-solidare il fatturato quando non costituiscono, per alcune realtà imprenditoriali, la fonte prin-cipale di redditività. In concreto, il ristorante, se organizzato bene e con un’offerta adeguata e contestualizzata, spesso funge da vetrina per potenziali clienti. Per concludere, ritengo che in albergo si possa fare una buona ristorazione garantendo innovazione e imponendosi per la qualità della tavola, per la convenienza del suo servizio e per i sorrisi del suo personale.

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I pazienti ai qualiè possibile inserireimpianti a caricoimmediato sonoi portatori di protesitotale completae i soggetti affettida piorrea con i denti compromessi e mobili. L’implantologia, nella sua forma più evoluta ed efficace, prevede l’inse-rimento degli impianti dentali con un’attesa variabile nel tempo dai tre ai quattro mesi, prima di procedere all’applicazione del carico mastica-torio definitivo e duraturo. Ti tratta dei tempi biologici necessari per ottenere l’osteointegrazione degli impianti (viti) in titanio, cioè la loro perfetta saldatura biologica all’osso. Con il carico immediato si soddisfa

senza attese il principale obiettivo del paziente: avere i denti subito, che siano funzionali e che presen-tino un bell’aspetto naturale. Tutto questo si ottiene grazie alle nuove tecniche chirurgiche, all’esperienza di chi opera e ai materiali utilizzati che devono essere di alta qualità e biocompatibili. Non va poi dimen-ticato il risparmio di tempo grazie al ridotto numero di sedute. Studi recenti hanno dimostrato che anche con la protesizzazione immediata si ottiene l’osteointegrazione che è il fenomeno biologico chiave per conseguire un’implantologia orale di successo. La condizione necessaria per la predicibilità della tecnica è la stabilità primaria degli impianti al momento dell’inserimento.I candidati al carico immediato sono i portatori di protesi totale comple-ta, che viene sostituita da una pro-tesi fissa nell’arco di una giornata. I vantaggi son tanti anche sotto il profilo psicologico del paziente. Al-tri candidati sono i soggetti affetti da piorrea con i denti gravemente compromessi e mobili. In questi casi si esegue l’estrazione degli elementi

dentali e il contestuale inserimento degli impianti. Nello stesso giorno si consegna la protesi fissa con un dop-pio risparmio di tempo e con disagi relazionali ridotti ad un solo giorno. I pazienti candidati a ricevere gli im-pianti a carico immediato vengono selezionati con adeguate procedure diagnostiche, sia strumentali sia cli-niche, al fine di ottimizzare la per-centuale di successo. Questa fase diagnostica consente al clinico di operare con la massima sicurezza nel rispetto delle strutture anatomi-che sensibili, come il nervo alveolare nella mandibola e il seno mascellare nell’arcata superiore.Costituisce controindicazione la presenza di malattie sistemiche non compensate rilevate da un’accurata anamnesi. Per l’intervento il pazien-te viene preparato con sedativi per vincere l’ansia e con un adeguato dosaggio di anestetico che permette di controllare il dolore intraoperato-rio, mentre gli antidolorifici comu-ni lo aiutano a sopportare il dolore postchirurgico. Dopo qualche mese, quando il processo di osteointegra-zione e di guarigione si è realizzato,

si procede alla finalizzazione con protesi definitiva, che è in ceramica, con forma, volume e colore dei den-ti esteticamente eccellenti. Tutti i denti sono avvitati in modo da poter revisionare la protesi ed eseguire re-interventi protesici, quando fossero necessari, senza dover compromet-tere tutto il manufatto. La terapia di mantenimento sia domiciliare, con l’attento controllo della placca con mezzi e modi adeguati, sia pro-fessionale con sedute periodiche di igiene orale effettuate nello Studio, garantisce la durata nel tempo della ricostruzione.

Con l’impianto a carico immediato masticazione senza indugiI recenti progressi dell’implantologia garantiscono tempi ridotti e risultati estetici oltre che funzionali

RX panoramica con impianti osteointegrati

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114 I piaceri di BaccoIl Brunello di Montalcino, vino rosso conquistatore dei popoli

116 Le mani raccontanoNuccio Schepis, lo scultore e calcografo che “cura” i capolavori dell’arte

da pag. 118Rubriche• Benessere• Trendy• Shopping• Libri• Arte

Piaceri

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di Roberto RabachinoGiornalista e Presidente IWTO

International Wine Tasters Organization

Brunello di Montalcino, rosso conquistatore di popoli

Montalcino si trova in Toscana, nell’Italia cen-trale, a circa 40 km a Sud della città di Siena, in una zona collinare dal paesaggio incontamina-to. Un paesaggio agricolo di grande storia e di grande bellezza che dal 2004 è iscritto dall’Une-sco nel Patrimonio dell’Umanità.Il Brunello di Montalcino ha una storia antica, ricca di episodi e di grandi figure. Nel 1550 il frate bolognese Leandro Albert segnalava nei suoi scritti Montalcino quale zona vocata per buoni vini. È tuttavia negli anni dell’Unità d’Italia che i tentativi di vinificare l’uva di Bru-nello in purezza e maturare il vino in botte si intensificano e giungono a ottimi risultati.Il padre precursore del Brunello di Montalcino fu certamente Clemente Santi. Nel 1869 un suo Vino Scelto (Brunello), della vendemmia 1865, fu premiato con la medaglia d’argento dal Comizio Agrario di Montepul-ciano. Negli anni successivi, lo stesso vino ot-tiene altri importanti riconoscimenti interna-zionali battendo i rossi francesi persino a Parigi e a Bordeaux. Nasceva così il mito del Brunel-lo. Il suo nome deriva dal vitigno con cui è pro-dotto, il Sangiovese che in quella zona è defi-nito, appunto, Brunello per il suo colore bruno, scuro. Già nel 1932, Montalcino ha un prima-to “legislativo”: si può chiamare infatti Brunel-lo solo il vino prodotto e imbottigliato nel co-

Da una terra di grande storia e di grande bellezza, diventata Patrimonio Unesco, non poteva che nascere il vino simbolo dell’enologia nazionale. Il primo, in Italia, a ottenere, nel 1980, la Docg

ipiaceridiBacco

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mune di Montalcino. È stato il primo vino italiano, dal 1° luglio 1980, a ottenere la De-nominazione di Origine Controllata e Garan-tita. Il Brunello di Montalcino è un vino di media gradazione alcolica e si serve a una tem-peratura tra i 18° e i 20° C di temperatura in bicchieri ampi e panciuti. Si presenta di un bel colore rosso rubino tendente al granato, bril-lante, con un profumo che richiama ampie note di sottobosco, piccoli frutti rossi, confet-tura e vaniglia. In bocca, il vino è di una ele-ganza unica con una forte persistenza aroma-tica. La grande eleganza del Brunello di Montalcino fa sì che il vino possa essere abbi-nato con piatti molto strutturati e compositi, a base di carne rossa o selvaggina da pelo o piuma, anche accompagnate da funghi e tar-tufi. Eccezionale anche l’abbinamento con i formaggi a lunga stagionatura. Oggi, indiscu-tibilmente, il Brunello di Montacino concorre a fare dell’Italia una delle eccellenze del com-parto enologico mondiale.

Zona di produzioneIl Brunello di Montalcino, autentica eccel-lenza della produzione vinicola Toscana, se non italiana, si produce esclusivamente nel territorio del comune di Montalcino in pro-vincia di Siena.

Le uve utilizzatePer la produzione del Brunello di Montal-cino Docg si usano esclusivamente uve Sangiovese Grosso, chiamato localmente Brunello, coltivate secondo metodi tradi-zionali e con basse rese: quella per ettaro, infatti, non può essere superiore al 70%, mentre la resa in vino finito non deve su-perare il 68% delle uve utilizzate.

La vinificazione e l’invecchiamentoDopo la vinificazione, ottenuta secondo metodi tradizionali e senza alcuna forza-tura, il Brunello di Montalcino deve essere posto a invecchiare in botti di rovere per almeno due anni, seguiti da non meno di tre anni di affinamento, dei quali almeno 4 mesi in bottiglia: il disciplinare infatti pre-vede che il vino possa essere commercia-lizzato soltanto dopo almeno cinque anni dalla vendemmia. Per la tipologia riserva, il periodo di invecchiamento si allunga di un anno, e quello minimo di affinamento in bottiglia raggiunge i 6 mesi, portando, quindi, il tempo totale di invecchiamento e affinamento a un totale di 6 anni.

Le migliori annate Il Brunello di Montalcino è un vino che, per le sue caratteristiche, sopporta bene lun-ghi periodi di invecchiamento, che per le buone annate può raggiungere anche i 30 anni. Anche se sconsigliamo l’invecchia-mento fai da te, ricordiamo che chi volesse invecchiare in casa del vino deve rispettare alcune fondamentali regole: le bottiglie devono conservarsi sdraiate, a temperatu-ra costante, in un ambiente fresco, buio, senza rumori od odori, facendo particola-re attenzione che il tappo si mantenga sempre umido. Le annate di Brunello di Montalcino da me degustate e da me per-sonalmente considerate eccezionali sono quelle del 1958, 1964, 1970, 1975, 1978, 1985, 1988, 1990, 1995, 1997, 1999, 2004, 2005, 2006 e 2007.

In apertura, bottiglie e botti per Brunello. Il suo nome deriva dal vitigno con cui è prodotto, il Sangiovese che in quella zona è definito, appunto, Brunello per il suo colore bruno, scuro

Toscana

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Fuori dal laboratorio-vetrina, en plein air, di Palazzo Campanella, sede del Consiglio Regio-nale della Calabria, e sotto gli occhi di migliaia di turisti, Nuccio Schepis ogni tanto interrompe il suo lavoro sui titanici Bronzi, si spoglia del camice per concedersi una sigaretta e, assaporando il gusto di mescolarsi tra la gente, cattura l’attenzione dei visitatori attraverso i segreti dei suoi monili. «Ave-vo una gran voglia di viaggiare quando iniziai – rac-conta – Cortina, Milano, Roma, Novara, l’America. Vedevo i grattacieli come dei grandi totem. Tuttora con la mente sono sempre in viaggio. È fantastico, perché proprio la scultura e la pittura sono i miei sogni». Schepis è un artista a tutto tondo – scultore, pittore, calcografo – la cui tensione artistica coniuga l’estro della materia con l’emozione stilizzata del

Scultore, pittore, calcografo: Nuccio Schepis può dire di essere uno che ogni giorno mette le mani sulla Storia. Le sue dita hanno sfiorato le opere dei più

grandi maestri: è lui che ha ingaggiato, vincendola, la sfida di riprodurre i calchi della Vittoria Alata del Canova e restaurare le matrici di Raimondi

e Morandi. Ed è alla sua cura che oggi sono stati affidati i Bronzi di Riace, i giganti venuti dal mare

Pronto Soccorso capolavori

di Lucia Lipari

’900 e del suo legame con la classicità. È fondatore, assieme ad Attinà, Bolignano, Filosa, Giulietti, Mar-tino, Minnella de I Mediterranei, un gruppo di espressionisti, il cui manifesto programmatico – fu-turistico per gli anni ’80 – metteva alla berlina i cri-tici spocchiosi, i galleristi improvvisati, i pittori im-balsamati e il loro fumo artistico, mentre esaltava, invece, le luci, le forme, i colori, la libertà d’essere ciò che si desiderava. La coscienza di uno “spazio Mediterraneo” dove si giocavano i destini della con-taminazione tra generi: è da quest’idea d’avanguar-dia che muovevano i sette artisti. Aperte le porte di cristallo del suo studio, Schepis ci parla di quan-do gli venne affidato il primo incarico: «Ero alla Pi-nacoteca di Brera, si trattava di una cornice di Raf-faello Sanzio. Lavoravo anche di notte, mi sentivo un privilegiato. Quando, nel silenzio assoluto, sen-tivo scricchiolare i dipinti, entravo in un rapporto diretto con l’opera. Una notte al museo, per me, era come una visione. Ho avuto tra le mani le opere dei più grandi maestri. Ho ingaggiato, vincendola, la sfida di riprodurre i calchi della Vittoria Alata del Canova, le matrici da restaurare di Raimondi , Mo-randi e molti altri. Per me dipingere o scolpire è estrarre dai cilindri dell’istinto e dell’informe i segni e le strutture, rivelare la bellezza del mondo del creato, giocare con lo spazio, fissare l’attimo nell’im-

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lemaniraccontano

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magine eterna, scavalcare il visibile per in-seguire l’enigma. Come è stato per i Bronzi, un’esperienza unica». Nuccio Schepis è in-fatti, insieme a Paola Donati, il restauratore dei celebri giganti del mare: i Bronzi di Ria-ce, rinvenuti in Calabria nel ’72 dal sub ro-mano Stefano Mariottini, al largo del mar Ionio, sulla costa impreziosita dai gelsomini che fu culla della Magna Grecia. Gli chiedia-mo qualche dettaglio sulle tecniche di restau-ro operate in questi anni: «si tratta di due ma-gnifiche statue di fattura ellenica, ritrovate incastrate in tenoni, risalenti al V sec. a.C. e realizzate con una tecnica diretta, cosidetta “a cera persa”. Una pratica scultorea – continua il maestro – che consiste nel creare un mo-dello di cera e utilizzarlo per farne uno stam-po di argilla. Praticando due fori, uno in alto e uno in basso, si fa uscire la cera, scaldando-la, e si versa del bronzo fuso al suo posto. Se ne ricava, così, un modello identico a quel-lo di cera. Oggi, questi adoni bronzei sono provvisoriamente ricoverati presso il mio laboratorio. Deposti supini, all’interno di un ambiente climatizzato, vengono con-servati a temperatura e umidità costanti, per evitare che la lega binaria di rame e

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stagno che compone le statue sia soggetta a pro-cessi di elettrolisi passibili di cagionare scompen-si al metallo, creando delle corrosioni per pitting, volgarmente conosciute come “cancri del bron-zo”. La metodologia di restauro ha previsto sol-

venti e strumenti che si usano in laparoscopia, aste telescopiche e videoendoscopi, per elimi-nare i sali dalle terre di fusione all’interno del Bronzo A e del Bronzo B e sondare sotto la luce ultravioletta ogni loro centimetro qua-drato. Un particolare a me caro è stato rinve-nire in uno scrigno del Museo le ciglia di Bronzo B e apporle nuovamente alla statua». Questi illustri pazienti sono stati visitati an-che da un team di scienziati nipponici, senza che però si sia riuscito a cavare nulla dal bu-co sibillino delle loro origini. Solo recente-mente, il Cipe ha deliberato lo stanziamen-to di 6 milioni di euro, che vanno ad aggiungersi ai 5 già investiti dalla Regione Calabria, affinché possa ripartire il cantiere di Palazzo Piacentini, nel Museo Nazionale di Reggio Calabria, così da trasferire i virili signori di bronzo alla loro precedente dimo-ra. Al termine dell’incontro con Nuccio Schepis, il restauratore dei Bronzi ci mostra le sue mani, accuratamente levigate, quasi di velluto e, sorridente, ci dice: «io ci metto pas-sione». La stessa passione con cui questo poe-ta dell’arte, insieme a I Mediterranei, ha dato vita a un vernissage di opere di pittura e scul-tura che rimarranno in mostra fino a metà giu-gno, presso Villa Zerbi, lungo il chilometro più bello d’Italia – così Gabriele D’annunzio ebbe a definire il lungomare di Reggio Calabria – pri-ma di volare alla conquista delle patinate vie di Chicago e della sua Rosenthal Gallery.

«Al mio primoincarico

ho avuto tra le mani

una cornice di Raffaello.

Lavoravo anche di notte, mi sentivo

un privilegiato»In apertura Nuccio Schepis al lavoro sui Bronzi nello studio-laboratorio di Palazzo Campanella a Reggio Calabria. Qui, da sinistra, in senso orario, alcune delle sue opere: Nel mio studio, La ballerinae La testa del filosofo. In basso, The red dress

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Italiano con passaporto francese Acqua di Parma è un brand italiano fortemente voluto dai francesi. Ricco di antiche tradizioni, nasce nel 1916 nel cuore antico di Parma (da cui prende il nome). Acquistato e valorizzato in seguito da un gruppo di tre imprenditori amici (Luca Cordero di Montezemolo, Diego Della Valle e Paolo Borgomanero) fu conquistato nel 2003 da LVMH, holding parigina leader a livello mondiale nella produzione e nella distribuzione di beni di lusso, diventando un’icona a livello internazionale, ma rimanendo fedele ai suoi valori: tradizione, qualità ed eccellenza italiane. Tutte le linee di prodotto esprimono un originale concetto di lusso contemporaneo e sono destinate a diventare classici. L’ultimo successo annunciato è Blu Mediterraneo, una linea di fragranze ispirate alla natura e al fascino del Mediterraneo. Cinque le varianti proposte: Arancia di Capri, Mirto di Panarea, Bergamotto di Calabria, Fico di Amalfi e Mandorlo di Sicilia. In vendita nelle profumerie selezionate e boutique Acqua di Parma. www.acquadiparma.it

Versace: of course! Un marchio italiano che ha fatto innamorare gli americani è Versace, tanto che tutti i prodotti che nascono da uno dei più noti brand di casa nostra diventano sinonimo di cult, creatività ed eleganza made in Italy in tutto il mondo. Numerosi i riconoscimenti ricevuti dalla maison, nella moda così come nei profumi. L’ultimo successo profumato si chiama Versace Yellow Diamond che ha ricevuto il prestigioso premio assegnato da Accademia del Profumo (l’associazione italiana delle imprese cosmetiche nata con l’intento di valorizzare l’eccellenza dell’industria profumiera) come “Miglior Profumo Femminile Made in Italy”. Un profumo fresco dai vivaci accenti fioriti, per una femminilità vera e consapevole del proprio fascino. www.euroitalia.it

La Spa millenaria amata nel mondo: SaturniaNote in tutto il mondo e apprezzate nel corso dei millenni, le Terme di Saturnia si trovano nel cuo-re dell’Italia, a Grosseto (Toscana). La leggenda vuole che Saturnia sia stata la più antica città itali-ca; quello che si sa per certo invece è che già esisteva ai tempi degli Etruschi con il nome di Aurinia, poi ribattezzata Saturnia dai Romani. E furono proprio i Romani a coniare l’acronimo Spa (Salus Per Aquam) e a trasformare le terme in luoghi di salute, ma anche di piacere e di incontri, di vita sociale, amorosa e politica. Le Terme di Saturnia in ogni caso hanno attraversato i secoli accrescen-do la loro fama nel mondo e confermando il loro fascino grazie alla preziosa fonte termale, ricca di sostanze uniche e benefiche, che ha continuato indisturbata a sgorgare dal cuore della terra per oltre 3mila anni. Terme di Sa-turnia Spa e Golf Resort è uno dei più prestigiosi e noti wellness resort al mondo che comprende centro benessere e piscine ter-mali, nonché The Ultimate (la nuova area Luxury Relax) e un campo da golf da 18 buche. La struttura fa parte dei Leading Hotel of the World, Leading Spa of the World nonché Leading Golf, ed è aperto tutto l’anno con pacchetti mirati per ogni esi-genza. www.termedisaturnia.it

Miss? No, SignorinaUna ragazza che vive istanti di gioia e di attesa, mentre si prepara per un incontro speciale. È fresca, romantica, bellissima e leggermente maliziosa, come il suo profumo: Signorina di Salvatore Ferragamo. Si fa trasportare dai freschi e delicati sentori della fragranza e l’attesa diventa ancora più emozionante. Lei è la bellissima top-model italiana Bianca Balti, protagonista del nuovo spot della maison italiana famosa in tutto il mondo. In vendita l’Eau de Parfum da 30, 50 e 100 ml proposta nelle profumerie selezionate insieme all’estensione di linea. Edp da 50 ml a 68 euro. www.ferragamo.com

La bellezza italiana che piace agli stranieri

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benessere di Francesca Frediani

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KALIDRIATHALASSO SPA RESORT

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Ogni tanto si parla con amici e parenti e molte volte vengono ricordati i momenti della vita che ci hanno regalato delle forte emozioni.Tra questi, ci sono sicuramente certi viaggi che ci hanno segnato e fissato dei ricordi indelebili.Chi non è stato in Kenya, mi sento di dire, dovrebbe organizzarsi e programmare un viaggio al più presto.Cielo e stelle sono indimenticabili.Mare e luce incredibili.Atmosfere e colori unici.Ma sicuramente la cosa più emozionante è il safari.Si è improvvisamente buttati in un altro mondo. Un’altra dimensione. Un’altra era. Un universo completamente unico.Colori, natura, rumori, odori, luci, pace, animali, sensazioni, visioni.Tutto sembra improvvisamente irreale.E l’emozione ti arriva forte quando realizzi che non stai sognando.Anzi ti auguri di sognare spesso quei luoghi.E anche se non dovessi sognarli te li porti dentro per sempre.Non una foto. Non un video. Non una cartolina.Ma il ricordo: quello è tuo ed è per sempre.Vedere degli animali nel loro habitat, nel loro mondo, è eccezionale.E sapere che non verranno cacciati, è ancora meglio.E che dire della moda.Molti creatori hanno presentato delle collezioni ispirate ai safari o all’Africa.Qui potrete trovarne degli esempi.In ogni caso non così emozionanti come la realtà.Buon safari con: Burberry, Ermanno Scervino, Etro, Woolrich, Marni, Hogan, Giorgio Armani e Fendi.

Per chi non l’ha ancora fatto, è il momento di partire per un viaggio in Kenya. L’esperienza del safari è indimenticabile. Ancora di più con il look giusto

di Giemme

1. Marni - Africa2. Etro3. Woolrich Woolen Mills4. Burberry5. Ermanno Scervino6. Hogan7. Giorgio Armani8. Fendi

tren

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Oltre la giungla metropolitana 1. 2.

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trendy

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shopping

La passione per la ceramica e l’amore per il gioiello si incontrano nelle creazioni di Olivia Monti Arduini. La pregiata porcellana di Limoges viene da lei colorata e lavorata a mano per poi essere cotta ad alta temperatura così da renderla più resistente e satinata al tatto. L’esperienza artigiana e la predilezione per le linee semplici e pulite si sposano in forme che conciliano tradizione e modernità. Sono creazioni uniche sempre nuove, sempre originali. Prezzo: 140 euro

Viaggiare in tutta leggerezzaRealizzata in Policarbonato al 100%, la gamma Helium di Delsey è particolarmente leggera: basti pensare che il trolley a 4 ruote da 65 cm pesa solo 2,9 kg! E, per facilitare ulteriormente il trasporto, è dotata di ruote giapponesi, particolarmente comode e silenziose. Ampia la scelta dei colori (blu, grigio argento, verde acido, peonia, oltre al classico nero). Prezzi: da 199 a 289 euro

Insolita raffinatezza

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Carezzata dal ventoEleganza bon ton firmata Ermanno Scevrino per la borsa Faubourgin canvas usuratocon macramè e doppi manici in metallo intrecciati a pelle. Prezzo: 1.800 euro

shopping di Olga Carlini

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shopping

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Scintillante maestria artigianale Creati dalla designer Oriana Bassetti in équipe con i suoi preziosissimi collaboratori – maestri artigiani che dal 1989 tengono alta la bandiera del made in Italy – i gioielli della collezione Plexylandia sono unici, perché realizzati interamente a mano. Come il medaglione a sfera in plexiglass trasparente impreziosito con Swarovski Elements, con catena in argento rodiato (non irritante, per garantire un gioiello anallergico e sicuro per tutte). Prezzo: 158 euro

Abbracci di coloreMust have assoluto del brand, gli scialli Lafré sono incredibilmente versatili. Si gettano con naturalezza sulle spalle, sopra l’abito leggero per addolcire la brezza della sera. Si drappeggiano con sensualità sui fianchi e diventano pareos che ondeggiano con il movimento, catturando l’attenzione. Evocano così un glamour fresco e raffinato insieme, disinvolto, libero e coloratissimo. Prezzo: 650 euro

Una Ferrari nel taschinoVertu annuncia il lancio di Constellation Quest Ferrari che unisce un design d’avanguardia, alla moderna tecnologia Vertu, a contenuti specificamente curati e all’esperienza unica di Ferrari. Esempio perfetto dell’unione tra il mondo dell’auto e quello del lusso, il telefono è rivestito in DLC (carbonio simil-diamante), usato per le parti principali dei motori Ferrari GT e sulle auto di Formula 1; anche il cuoio italiano impiegato è lo stesso che la Ferrari utilizza per gli interni delle sue auto GT. Immancabile il Cavallino Rampante in acciaio inossidabile lucido, inciso sulla cover in titanio. Prezzo: 9.500 euro

Trame odorose Bottega Veneta eau de parfum evoca la morbidezza e la sensualità dei rinomati prodotti in pelle della maison. La fragranza, un chypre fiorito effetto cuoio, creata dal maestro profumiere Michel Almairac, è una combinazione di bergamotto d’Italia, gelsomino Sambac dall’India, pepe rosa in grani dal Brasile e patchouli dall’Indonesia. Prezzo: 30 ml – 60 euro; 50 ml – 80 euro; 75 ml – 100 euro

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Un formaggio che sadi rivoluzione L’autrice, coltivatrice diretta ed esperta di paesaggio, ci spiega il va-lore aggiunto di un prodotto realizzato in casa.

Perché fare il formaggio in casa? Ho iniziato perché avevo a disposizione il latte delle capre che allevavo. In realtà, fare il formaggio mi ha veramente preso la mano, e per due motivi. Il primo era naturalmente la bontà: la lavorazione del latte appena munto, da animali che pascolavano liberi, garantiva un prodotto unico. Il secondo motivo è forse il più importante. Imparare a fare il formaggio è stato per me un processo di riappropriazione di competenze che credevo perdu-te, delegate alle produzioni del mercato. Il formaggio fatto in ca-sa aveva per me, oltre all’inconfondibile “profumo”, anche un vago sentore di rivoluzione.

Dieci mosse in 30 pagine: fare il formaggio è davvero così semplice?Il libretto è scherzoso, ma non nasconde certo che fare il for-maggio è un’arte complessa. Ci sono voluti molti tentativi e fal-limenti prima di arrivare a un prodotto commestibile prima, e molta pratica per raggiungere in seguito l’eccellenza. E ci sono voluti anche tre corsi: uno di allevamento ovicaprino, due di ca-seificazione, oltre a molte letture per capire, a livello scientifico, i procedimenti chimici che governano la trasformazione del latte. Tuttavia la scuola migliore è stata quella della pratica, della speri-mentazione, con molta attenzione alle pratiche tradizionali.

Qual è il segreto per un buon formaggio fatto in casa? Senza dubbio la freschezza del latte: lavorare il latte che arriva in cu-cina ancora caldo dalla stalla è una pratica che spesso non è pos-sibile nemmeno nei caseifici artigianali. Questo senza nulla togliere alle produzioni artigianali, che in Italia raggiungono veramente l’ec-cellenza. E poi ci vogliono tempo, pazienza e attenzione. E il tempo – sappiamo bene – è uno dei beni più scarsi sul pianeta.

di Roberta FerrarisTerre di mezzo Editore4 euro

La cucina del benessere “Così come l’uomo è parte integrante di un sistema naturale più ampio, ogni principio di cura della persona deve estendersi a una valutazione totale della qualità della vita: da ciò che accade in noi a ciò che accade attorno a noi, tutto influisce sul nostro essere”. Questa è la filosofia di Dominique Chenot, “Chef del benessere” responsabile del dipartimento dietetico dell’Espace Henri Chenot di Merano che, con questo volume, ci svela i segreti della sua cucina maturati in oltre trent’anni di lavoro, ricerca e passione all’insegna della vitalità e dell’armonia. Tante ricette per alimentarsi in modo corretto e gustoso, utilizzando ingredienti sani e metodi di cottura adeguati. Completano il volume consigli sulla combinazione degli alimenti e la loro corretta distribuzione durante la giornata: perché l’importante è mangiare di tutto, in quantità ragionevoli e senza paura di rinunciare al piacere del cibo.

di Dominique ChenotMondadori19 euro

di Felice La Rocca e Luigi DamasoLibreria EditriceFiorentina4 euro

Perché la cicerchia era uscita dall’uso comune?In effetti è sempre stata una coltura di secondo piano. Ma ultimamente, si è avuta una certa ripre-sa delle vecchie “produzioni di nicchia”, fra le qua-li anche la cicerchia che, purché consumata con moderatezza e con i dovuti accorgimenti (ammollo e cottura dei semi), grazie alle sue molte peculiarità (amminoacidi, vitamine, polifenoli) è sicuramente uno dei migliori legumi disponibili.

In quali zone d’Italia è tipica?La cicerchia è compresa nell’Elenco dei prodot-ti agroalimentari tradizionali come tipica di Lazio, Marche, Molise, Umbria e Puglia. I piatti preparati con la cicerchia sono protagonisti apprezzati di va-rie sagre che hanno luogo nelle zone di tradizionali di produzione, come la Festa della Cicerchia di Ser-ra de’ Conti (Ancona) a novembre, e la Sagra della Cicerchia di Frigento (Avellino) a fine luglio.

Qual è la preparazione più sfiziosa?Certamente la minestra di cicerchie sul pane, da pre-parare con aglio, rosmarino, olio, sedano, pomodori a dadini e patate. Quando la minestra è cotta, servirla su fette di pane abbrustolite, con un filo d’olio fresco di frantoio e una spolverata di pepe.

Chicchi di storia

Felice La Rocca, esperto in “qualità delle

produzioni vegetali” e docente universitario risponde alle nostre domande su questo

“sconosciuto” prodotto della tradizione

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libri letti per voi di Gilda Ciaruffoli

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Arte torna ArteTrentasei opere di 32 artisti contemporanei esposte presso la Galleria dell’Accademia, coinvolgendo non solo gli ambienti specificamente dedicati alle mostre temporanee, ma anche le sale della collezione permanente, laddove il felice inserimento di opere contemporanee evidenzia chiaramente il rapporto tra presente e passato.

8 maggio – 4 novembre

Galleria dell’Accademia Via Ricasoli, 58-60 – Firenzewww.gallerieaccademia.org

Kyresophia

Un viaggio nella vita, nelle emozioni e negli incubi dell’artista indonesiano Oky Rey Montha, Kyre per gli amici. In esposizione circa una ventina di opere inedite tra dipinti, sculture e installazioni, immagini espressive e amaramente ironiche attraverso cui l’artista cattura la follia della vita quotidiana.

4 maggio –1 giugno

Primo Marella GalleryViale Stelvio, 66 – Milanoprimomarellagallery.com

Il castello di Gradara, celebre teatro del tragico amore di Paolo e Francesca, apre le porte all’arte e, soprattutto, a chi ai luoghi dell’arte fa più fatica ad accedere

In provincia di Pesaro Urbino, a due passi dalla Riviera Adriatica, il bel castello di Gradara si sta trasformando da spazio della storia a spazio del contemporaneo, e dell’arte in particolar modo. GradArt è infatti un progetto grazie al quale si stanno portando avanti iniziative dalla duplice finalità: promuovere l’integrazione sociale tramite l’utilizzo dei linguaggi artistici contemporanei e favorire l’accessibiltà al patrimonio storico-artistico di Gradara. Per questo primo anno di attività, l’artico-lato programma si sviluppa intorno alla mostra Vietato Non Toccare, aperta fino al 10 giugno presso Palazzo Rubini Vesin, edificio settecen-tesco nel cuore del centro storico. Accessibile e multisensoriale, si trat-ta di un evento espositivo innovativo: in mostra le opere di Christian Riminucci e Giorgio Guidi, artisti, entrambi nati nel pesarese, molto di-versi fra loro per stile e formazione, che offrono una visione opposta e complementare al rapporto fra creazione e fruizione artistica. Tratto comune all’opera di entrambi è quello di essere stata concepita per es-sere vissuta più che ammirata: chi visita la mostra non rimane in passiva contemplazione ma si integra con le opere d’arte, le tocca, le sente e si fa partecipe della loro realizzazione. Il percorso di visita, unico e per-sonale, si definisce utilizzando le percezioni sensoriali e le proprie abi-lità, qualunque esse siano; la visita è particolarmente adatta a bambini e ragazzi ed è fruibile anche da persone con disabilità.

fino al 10 giugno

Palazzo Rubini Vesin - Gradara (PU) - www.gradarainnova.it

Vietato non toccare

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di Claudia Cassinariarte di Gilda Ciaruffoli

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Da noi il Gavi è di famiglia Dal 1970 di proprietà di Giancarlo Ariano, che oggi lo gestisce con i figli,

Podere Saulino vanta una superficie di 12 ettari in un corpo unico, con annessa cantina di vinificazione e imbottigliamento; 9 ettari di vigneto

sono coltivati esclusivamente a vitigno Cortese

Azienda di tipo familiare destinata a durare nel tempo grazie alla gran-de passione di tutte le generazioni coinvolte (i più giovani discendenti della famiglia Ariano sono venten-ni e già attivamente all’opera!), il Podere Saulino produce esclusiva-mente Gavi Docg. Nella vinificazio-ne, fermentazione, lavorazione, sta-bilizzazione e imbottigliamento dei vini l’azienda si avvale di macchina-ri all’avanguardia sia per tecnologia che per economicità. Nel prossimo futuro l’azienda si propone di copri-re l’intera superficie aziendale con vigneti, e punta anche alla realizza-zione di grappe ricavate della vinac-ce di produzione (monovitigno). Da notare le peculiarità del Gavi Podere Saulino che si distingue per una serie di fattori che ne contraddistinguo-no la qualità e la tenuta nel tempo; per iniziare nel vigneto non vengo-no utilizzati diserbanti e la vite vie-ne curata seguendo il regolamento 2078 che vieta l’uso indiscriminato degli antiparassitari. Inoltre, il vigne-to è esposto a Sud-Ovest e prende il sole dall’alba al tramonto, sfrut-tando in tal modo al massimo le ore di luce. Il sistema di allevamento e di potatura non consentono produ-zioni elevate e le concimazioni sono finalizzate solo alla alta concentra-zione zuccherina e non alla quanti-tà. Di particolare interesse, la notizia che la cantina del Podere Saulino è una delle poche il cui titolare è an-che l’enologo, a differenza di quello che avviene nella gran parte di quelli della zona che vengono seguite da un gruppo di enologi che danno a tutte la propria consulenza.

Podere SaulinoVia Gavi, 85Novi Ligure (Al) Tel. 0143743174 www.poderesaulino.it

Un po’ di storia Nel 1529 Novi Ligure è stata annessa alla repubblica di Genova e i Marchesi Sauli di Genova diventarono proprietari di terreni e fabbricati in Novi Ligure tra i quali il Podere Saulino, La Saula, il Palazzo Sauli e un vicolo tutto di proprietà chiamato Sauli. I Sauli diedero a Genova

29 senatori e 3 Dogi. Verso la fine dell’800 le proprietà dei Sauli vennero a far parte della grande tenuta del Conte Edilio Raggio. La viticoltura da sempre praticata in questa zona, fu

indirizzata dall’amministrazione Raggio verso la coltivazione specializzata del vitigno Cortese da cui proviene il vino Gavi, ora Docg.

selezioni

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Erano gli anni ’70 quando Domenico Benincasa ebbe la felice intuizione di creare il primo vigneto mono-vitigno di Sagrantino di Montefalco, partendo da pochi esemplari di antiche coltivazioni. E oggi questa Docg pregiata è ancora il fiore all’occhiello di una produzione di grande eccellenza

La sede storica dell’azienda Benincasa, fondata nel 1964, si trova in località Capro, nel comune di Bevagna. È infatti qui che il fonda-tore Domenico Benincasa iniziò l’opera pionieristica della moderna coltivazione del vitigno Sagrantino. Attorno alla cantina si trovano i sei ettari di vigneto per la produzione del Montefalco Rosso Doc e del Sagrantino di Montefalco Docg. Dal 2009 fa parte dell’azienda Benincasa anche la Tenuta Vincastro, nel comune di Passignano sul Trasimeno, che si estende complessivamente per 50 ettari lun-go le colline che dolcemente degradano dal caratteristico borgo di Castel Rigone verso il lago Trasimeno. Dai 10 ettari di vigneto presenti nella tenuta Vincasto si ricava l’omonimo vino nelle ver-sioni Bianco, Rosso e Rosato. Nell’azienda attualmente gestita dai nipoti del fondatore, Marco e Roberto Alimenti, si producono an-che cereali, legumi e olio extravergine d’oliva.

Cantine BenincasaLoc. Capro, 23 - Bevagna (Pg)Tel. 0742361307 - www.aziendabenincasa.com

Dolci frutti di terra umbra

Un fiore all’occhiello rosso rubinoIl Sagrantino di Montefalco Docg dell’azienda Benincasa è ottenuto esclusivamente da uve di Sagrantino, pianta molto tomentosa dai graspi piccoli e numerosi e dal chicco perfettamente sferico, piccolo e con la buccia spessa. Il periodo di maturazione è intorno alla metà di ottobre. Le uve raccolte in cassette sono portate in cantina dove sono deraspate e pigiate lievemente. Il periodo di macerazione dell’uva è di circa 20 giorni e dopo la pressatura il vino va in barriques, dove riposa per almeno 18 mesi. Estremamente longevo grazie alla massiccia presenza di tannini e dall’ottima struttura, il vino si presenta di colore rosso rubino con riflessi granati, profumo di more di rovo e tabacco. Al palato si rivela deciso e pieno, lasciando in fine una sensazione di pulizia, asciugando la bocca grazie alla carica tannica che lo contraddistingue.

selezioni

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Era il 1870 quando i fratelli Zerbi iniziarono a lavo-rare nel comune di Pieve Albignola circa 670 ettari di terra di proprietà dei conti Paleari. L’attaccamen-to al mondo agricolo si tramandò di padre in figlio e gli Zerbi, da conduttori di terreni altrui, si trasfor-marono in proprietari. Oggi, Antonio e Cristina Zer-bi conducono l’azienda agricola su un’estensione di circa 140 ettari, coltivati prevalentemente a riso, nelle sue varietà japonica e indica. Nell’accogliente spaccio aziendale, Cristina ne propone diverse varie-tà tra le più pregiate presenti nel mercato interno ita-liano, alla base della nostra tradizione gastronomica: Carnaroli bianco o integrale, Vialone Nano, Arborio e Baldo, oltre a Riso Venere nero e Basmati aromati-co (la vendita di riso e mais ora è anche on-line). Da notare la confezione del prodotto: affinché il “buo-no” trovi posto nel “bello”, Cristina propone il riso nei tradizionali sacchetti di cotone, che gli garan-tiscono traspirazione e freschezza. Per preservarne genuinità e gusto, al riso non viene aggiunto alcun additivo chimico per agevolarne la conservazione; un periodo di conservazione più lungo viene garantito dal confezionamento in pacchetti sottovuoto. Dietro a tanta cura c’è una passione mai sopita. Per gli Zerbi infatti l’agricoltura è vita da quattro generazioni, e la famiglia si sente erede di una cultura rurale che, pur-troppo, sta scomparendo. È per questo che da anni si impegna a conservarne il patrimonio edilizio, gli og-getti di lavoro, ma anche le tradizioni (ancora oggi nel giorno di S. Antonio, protettore degli animali, si recita il S. Rosario nella stalla, proprio come decenni fa), e soprattutto i valori morali più autentici di dedizione a questo lavoro, di sacrificio, di tenacia e di solidarietà, senza mai dimenticare il rispetto per la terra.

L’Azienda Agricola Zerbi Antonio & C. vanta una conoscenza centenaria dei metodi produttivi e dei segreti dell’agricoltura, coltivando riso da ormai quattro generazioni. Se vi trovate dalle parti di Pieve Albignola (Pv), non fatevi mancare una visita al ricco spaccio aziendale

L’orgoglio di un’eredità preziosa

BOX

I consigli degli esperti Dall’Azienda Agricola Zerbi, per voi, il segreto del risotto perfetto (solamente per risi di tipo japonica). Importante la scelta del recipiente: una casseruola cilindrica, con fondo spesso, e un’altezza pari a circa la metà del diametro. Gli ingredienti principali sono: il riso, la cipolla o lo scalogno, il brodo e la fantasia. Per prima cosa bisogna fa rosolare in olio o burro la cipolla tritata a fuoco dolcissimo, affinché ceda tutti i suoi umori, poi versare il riso, che dovrà subire una tostatura veloce per impedire che i chicchi si impregnino troppo di brodo. Al termine della tostatura, uno spruzzo di vino sgrasserà il fondo e lo arricchirà di aroma. A questo punto inizia l’aggiunta del brodo: di carne, di pesce o di verdura a seconda del tipo di ricetta prescelta, ma sempre bollente e di buona qualità. Il liquido va aggiunto poco alla volta, rimestando il riso delicatamente con un cucchiaio di legno e sempre nello stesso senso. Alla fine della cottura, che varia da 16 a 20 minuti, a seconda della qualità del riso e dei gusti individuali, il risotto si presenterà asciutto ma morbido (all’onda). Gli ingredienti necessari (funghi, pesce, verdure, salsiccia, frutta, etc.) ad arricchire e caratterizzare il vostro risotto verranno aggiunti solo in ultimo. Quando il tempo di cottura è scaduto, spegnete il fuoco e aggiungete una noce di burro di ottima qualità, mescolate poi vigorosamente con un cucchiaio di legno. Il vostro risotto è pronto!

Azienda Agricola Zerbi Antonio & C.Via Roma, 67 - Pieve Albignola (PV)(sulla Strada Provinciale 193 bis Pavia-Alessandria,a 18 km da Pavia, a 20 km da Voghera)Tel. 0382999382Cell. 3358069520 /3397499440www.risozerbi.it

selezioni

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Sono tredici le comode ed eleganti sistemazio-ni di nuovissima strutturazione che soddisfano le più diverse esigenze – dalla classica matrimoniale all’appartamento per famiglie numerose – messe a disposizione di chi sceglie di ritagliarsi una sosta relax nel verde o vuole prendere le Torri come ide-ale punto di appoggio in un viaggio alla scoperta delle terre toscane, trovandosi la struttura nel cuo-re della regione, tra Firenze e Siena. A circondare l’azienda agricola splendide colline, borghi medie-vali e un paesaggio affascinante composto di vi-gneti e oliveti che convivono in perfetta armonia e che difficilmente si possono dimenticare. Arredati in stile rinascimentale toscano, gli appartamenti dai nomi di pittori, hanno pavimenti in cotto e soffit-to con travi a vista; sono inoltre forniti dei migliori servizi, tra i quali aria condizionata e connessione internet wireless. Ogni appartamento, come il no-me dei pittori che porta, ha un proprio stile e un arredamento unico ed elegante, che potrete cono-scere visitando il sito web de Le Torri. L’agriturismo offre una vacanza unica, il cui principio è semplice: una pausa di relax con tutto quello che un’azienda agricola può offrire, con le proprie risorse o quelle del territorio che la circonda. L’azienda, con i suoi prodotti alimentari, le attività, le tradizioni, le sta-gioni, i luoghi, il paesaggio, i contadini e le persone che ci lavorano, ne sono gli elementi essenziali. È proprio per questo che nel ristorante de Le Torri, de-dicato ai soli ospiti, è possibile apprezzare prodot-

ti tipicamente toscani, locali e di stagione. L’olio di oliva e il vino (bianchi e rossi di annata e invecchiati in barriques) sono prodotti all’interno dell’azienda agricola che offre anche la possibilità di visite gui-date alla scoperta dell’intero processo produttivo. I salumi, i formaggi e i prodotti quali marmellate, ge-latine e miele sono tutti a chilometro zero.

Azienda Agricola Le Torri Via S. Lorenzo a Vigliano, 31 Barberino V.Elsa (Fi) Tel. 055 8076161 www.letorri.net

L’azienda agricola e agriturismo Le Torri è il luogo ideale per coloro che amano ritagliarsi un momento di relax, a stretto contatto con la natura, degustando vini e olio di grande qualità, nella rigogliosa campagna tra le bellissime città di Firenze e Siena

Il gusto di una vacanza in Toscana

Riapre ad aprile il ristorante de Le Torri, dove gli ospiti avranno la possibilità di

degustare piatti tipici della tradizione

toscana

selezioni

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Il racconto di un viaggiatore catturato dalle meraviglie della splendida tenuta di Licata e dai suoi inebrianti vini

Non so se vi sia mai capitato, passeggiando a Palermo per via Ruggero Settimo, di fermarvi dinanzi alla maestosa e splendida costruzione del teatro Massimo e leggere quanto era stato scritto dai nostri padri sul timpano del grande tempio della musica. “L’Arte rinnova i popoli e ne rivela la vita”. Leggendola, la parola Arte mi porta sempre via, sulle ali del ricordo. E mi ritrovo a Licata, nella Tenuta del Barone Ni-colò La Lumia; ne rivivo la bellezza dei luoghi, lo splendore di una luce abbagliante, il verde di varie tonalità, il tutto immerso in un’aria odoro-sa di terra di piante e di mare. Tutto questo era nel mio sentire armonia tra l’Arte del Creatore e quella dell’uomo. E inizio a ricordare. Il viale che mi guidò al portone di ingresso del casale era adornato di ulivi, da splendide e lus-sureggianti palme “albero della vita” e da un giardino ricco di piante mediterranee. Lo stu-pore fu maggiore quando, entrato nel baglio del Paradiso, i miei sensi furono conquistati dal quieto scorrere dell’acqua nei quattro ca-nali della fontana arabeggiante che idealmen-te rappresentavano i quattro fiumi dell’antico Eden. Anche quest’acqua simboleggiava la vita e la sua rinascita. Vi erano ancora alberi con frut-ta colorata e dolce, fiori dai colori vivaci e pro-fumati. In questa cornice di bellezza e serenità mi accolsero i proprietari, Barone e Baronessa La Lumia, che vollero raccontarmi del casale, della sua arte e della sua storia. Attraverso un grande arco in pietra entrammo in un secondo baglio più piccolo, dove spiccava la fontanel-

la “dell’amore fecondo” in cui l’acqua caduta dal cielo si sposa nel grembo della terra. Capii in quel momento quanto di storia e di mito-logia vi era in questa antica realtà siciliana. Da questo baglio una vetrata faceva intravedere le carrozze dell’antico casato e altri oggetti di vita ottocentesca. Si intravedeva anche una jeep ri-salente al 1943, anno in cui avvenne lo sbarco americano. Mi raccontò il barone che quella je-ep fu data in regalo dal generale Patton a suo nonno che aveva messo a loro disposizione il palazzo di Licata. La visita continuò all’interno del casale, nella cantina, luogo sacrale nell’arte di fare il vino. Fra le attrezzature moderne erano conservati, e in parte ancora utilizzati, i vecchi macchinari di un tempo, dove potei degustare direttamente dagli stessi recipienti i vini prodotti da questo splendido terroir siciliano. Erano vini dal sapore antico, classico, di quella classicità che è sempre attuale. Da questa cantina pas-sammo all’antico palmento oggi adibita a sala per degustazioni. Lì si faceva il vino pigiando l’uva con i piedi e intonando canti propiziato-ri in siciliano. Si era fatto già tardi e graziosamente fui invitato a colazione nel salone da pranzo dove nei tem-pi passati la famiglia intera usava riunirsi per il desco. Accanto vi era la buffetteria dove pran-zavano il soprastante, i campieri e gli altri impie-gati della tenuta. I cibi erano quelli dell’antica tradizione siciliana che i monsù avevano sinte-tizzato dalle varie civiltà che si erano succedute e specialmente quella araba. Mi fu offerto un

passito di Nero d’Avola Nikao che la tradizione attribuiva ai Greci del VI sec. a.C. I rodio cre-tesi. La visita si concluse con una preghiera di ringraziamento nella chiesetta annessa al ca-sale dedicato alla madonna Maria ausiliatrice. Al termine di questa giornata me ne andai ri-pensando a quanta storia, bellezza e lavoro di generazioni erano racchiuse in questo piccolo lembo di terra siciliana.

Tenuta Barone Nicolò La Lumiac/da Pozzillo - Licata (Ag)Tel./ Fax: 0922891709www.baronelalumia.it

Emozioni alla Tenuta La Lumia

selezioni

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