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maggio 2012 IL BELPAESE La Val Fiscalina, paradiso di relax e natura Grado, per un’esperienza estrema in laguna Scoprendo la Val Maira misteriosa e silente Nell’incanto dei Monti Sibillini cari a Leopardi Avventure da brividi nel Sannio beneventano Tra i borghi fantasma dell’Appennino molisano L’altra faccia della Sicilia: tour tra i laghi dell’isola Ogliastra, cuore selvaggio di Sardegna VDG MAGAZINE VIAGGI DEL GUSTO | ANNO 2 | N.15 | MENSILE | Poste Italiane S.p.A. – Spedizione in abbonamento postale – D.L. 353/2003 (conv. in L. 27/02/2004 n.46) art. 1, comma 1, Aut. C/RM/19/2011 | Belgio Euro 9,30 | Canton Ticino Ch.Fr. 11,50 | Costa Azzurra Euro 11.90 | Stati Uniti NASCOSTO GUIDA ALLE VACANZE NELL’ITALIA SCONOSCIUTA www.vdgstore.com GIUGNO 2012 - EURO 4,90 20015 9 772039 887006

VdG Viaggi del Gusto Magazine Giugno 2012

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maggio 2012

IL BELPAESE

La Val Fiscalina, paradiso di relax e natura

Grado, per un’esperienza estrema in laguna

Scoprendo la Val Maira misteriosa e silente

Nell’incanto dei Monti Sibillini cari a Leopardi

Avventure da brividi nel Sannio beneventano

Tra i borghi fantasma dell’Appennino molisano

L’altra faccia della Sicilia: tour tra i laghi dell’isola

Ogliastra, cuore selvaggio di Sardegna

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editoriale di Domenico [email protected] del gusto

Non è solo un modo di dire: il nostro è veramente “il Belpaese”.Continua a stupirci – per la sua incommensurabile bellezza e pe-culiarità paesaggistica, artistica e culturale – nonostante siano anni che ve lo raccontiamo, prima con il mensile “Vie del gusto” e da quasi un anno con il nuovo “Viaggi del Gusto”.Il numero di giugno di VdG che avete tra le mani è una riprova (nel caso ce ne fosse ancora bisogno) di quanto ancora ci sia da scrivere sull’Italia: infatti abbiamo scelto in questo caso di pro-vare a illustrarvi alcuni degli scorci e degli angoli più “nascosti” della penisola, scelti tra quelli che, a dispetto della loro magnifi-cenza, non godono, ahiloro ed ahinoi, delle luci della ribalta. Abbiamo impostato questo breve viaggio tra i microterritori dello Stivale come uno speciale-vacanze, una piccola guida da conservare, finalizzata a offrirvi qualche consiglio e qualche “percorso alternativo”, nel caso non abbiate ancora scelto la meta delle vostre sospirate ferie estive.Leggendo, potrete scoprire che per vivere delle vacanze avven-turose non c’è alcun bisogno di optare per mete esotiche co-me il Borneo o l’Amazzonia: basta fare un salto tra le cascate e le gole del poco esplorato Sannio Beneventano, in Campania. Apprenderete che c’è anche una Sicilia dei laghi ancora tutta da scoprire e una Puglia che non è soltanto sole e mare. E an-cora: rimarrete stupiti dall’esperienza estrema che si può fare nella laguna di Grado, da quella tutta natura, montagna e be-nessere nel piccolo paradiso della Val Fiscalina in Alto Adige e dal poetico incanto del Parco dei Monti Sibillini cari a Giacomo Leopardi, nelle Marche.

Ma di questo “Belpaese nascosto” non vogliamo aggiungere altro, per non togliervi il piacere della lettura. Piuttosto cogliamo l’occasione per dedicare qualche riga a un altro pezzo “nascosto”, e altrettanto poco promozionato, del nostro Paese. E cioè quello fatto dalle centinaia di migliaia di uomini e donne che lavorano nel settore dell’agroalimentare e del turismo.Gente che, giorno dopo giorno, promuove con le proprie pro-duzioni di qualità, con semplici e faticosi gesti quotidiani, l’Ita-lia nel mondo.Le migliaia di produttori di vino o di formaggi, di olio o di pa-sta, di prosciutti o di frutta e ortaggi. E accanto a loro, le mi-

gliaia di operatori turistici che ospitano i flussi di visitatori che vengono da tutto il mondo e che mille volte al giorno dicono loro “grazie”.E ancora: le centinaia di riviste e siti web dedicate al turismo e all’enogastronomia, che con le loro copie e i loro contatti on-line convincono ogni giorno un’infinità di turisti e appassionati a venire a visitare i nostri splendidi luoghi e assaggiare le no-stre tipicità.Ecco, tutti questi potrebbero essere chiamati “Soggetti Invisibili dello Sviluppo”. Invisibili perché – esattamente come i territori che noi abbiamo voluto raccontare su questo numero – non godono della giusta attenzione e dei meritati riconoscimenti. Malgrado siano lori i veri promotori del sistema-Paese. Ed è a loro che andrebbero destinati gli aiuti e le risorse disponi-bili, piuttosto che ai Lavitola di turno (e ce ne sono tanti) o alle tante pseudo-testate d’informazione “politiche” o portavoci di pseudo-partiti personalistici e autoreferenziali, che pur senza aver mai diffuso e venduto una sola copia in tutta la loro sto-ria editoriale e senza aver mai prodotto alcuna informazione di pubblica utilità (ma solo di interesse privato), continuano a fruire dei soldi dei contribuenti. Dei nostri soldi. Dei vostri soldi.

È tempo che chi sta nella stanza dei bottoni lo capisca, e dia spazio alle forze veramente e seriamente produttive.Basta un solo posto di lavoro in più creato da una piccola im-presa familiare, da un albergatore, da un ristoratore, per gene-rare milioni di posti di lavoro di indotto.Non ci vuole un mago o un genio dell’economia per renderse-ne conto, solo un po’ di buon senso.I report sulla “spending review” parlano di oltre 25 miliardi di euro che ancora si sperperano per aiutare chissà quali impre-se. Bisogna chiudere questo rubinetto che tiene ancora in vita soggetti economici inesistenti.

Iniziamo da qui, dal cominciare a pensare alle persone perbe-ne, che sono la maggioranza e che producono “valori” per davvero.Buon viaggio a tutti

Il Belpaese (nascosto) e i soggetti (invisibili) dello sviluppo

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panorama34 L’Italia che merita: Villa Erba Dopo sei secoli di fascino e splendore, la

storica tenuta sul lago di Como oggi vuol rilanciarsi come location per grandi eventi

36 Ospitalità Italiana La storia, d’amore e di fornelli, del ristorante

italiano Di Bartolo in Costa Rica, uno dei 7 migliori al mondo premiati da Unioncamere

38 Il personaggio: Chiara Soldati Nel 2009 è stata nominata “Amazzone del

Lavoro”: la cugina del grande Mario oggi ci racconta le sue passioni per la terra e il vino

40 L’indagine: turismo e cultura Beni monumentali a pezzi e presenze

turistiche in calo. In Italia ovunque è emergenza-paesaggio: la denuncia del FAI

44 Lo studio: scelte di viaggio Nelle vacanze di coppia prevale il fascino

delle cantine: a Venezia e Parigi gli italiani infatti preferiscono la Valpolicella e il Barolo

specialevacanze

50 Val Fiscalina (Alto Adige)La piccola valle tutta relax, natura e benessere che ha conquistato anche la cancelliera Merkel

56 Grado (Friuli Venezia-Giulia)Nella laguna dell’Alto Adriatico per vacanze estreme, immersi nel passato e nella solitudine

60 Val Maira (Piemonte) A due passi dalla Provenza, una terra piena di

misteri e simbolismi, da gustare con lentezza

64 Valcamonica (Lombardia) Tra le rocce che raccontano la storia, nel primo

sito italiano dichiarato patrimonio Unesco

68 Monti Sibillini (Marche) L’incanto dei monti cari a Leopardi, tra antichi

borghi e stuzzicanti tentazioni per il palato

72 Valle del Turano (Lazio) Nell’alta Sabina, per un tour lungo la “via dei

tartufi”, i diamanti neri che qui sono di casa

76 Appenino Molisano In mezzo a oasi dimenticate e paesi-fantasma

dove si respira ancora un’aria fiabesca e irreale

sommariosommario giugno 2012

14 Dall’Italia e dal mondo

16 Fatti e contraffatti Pasta, consigli per gli acquisti

20 Scienza e vita, latte d’asina

24 Almanacco

26 Appuntamenti

40 l’indagine

50 Val Fiscalina38 il personaggio

49 Il Belpaese nascosto

Monti con nomi da romanzo, piccole valli incantate, cascate immerse

nel verde, coste selvagge e borghi dove il tempo s’è fermato.

Questo mese vi guidiamo alla scoperta dei microterritori dell’Italia

più sconosciuta: uno speciale vacanze, in cui non mancano i

consigli sui piaceri da gustare

In copertina - Castelluccio di Norcia (Parco Nazionale dei Monti Sibillini) - Foto di Giorgio Tassi

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90 Maratea

112 il buono a tavola

110 i piaceri di Bacco

80 Sannio (Campania) Avventure da brividi tra gole e torrenti, nelle

terre beneventane ancora tutte da esplorare

86 Valle d’Itria (Puglia) Un piccolo paradiso vestito di bianco e fatto

di trulli, vicoli e profumi di mandorla e biscotti 90 Maratea (Basilicata)

La perla lucana sul Tirreno dominata dalla statua del Cristo più alto d’Europa

94 Borghi grecanici di Calabria Viaggio tra i centri della provincia di Reggio

Calabria che sanno ancora di Magna Grecia

98 Laghi di Sicilia L’altra faccia “dell’isola del tesoro”, lontana

dalle spiagge ma non meno affascinante

102 Ogliastra (Sardegna) Nel cuore selvaggio della regione, un mondo

a parte che racchiude i veri caratteri isolani

piaceri110 I piaceri di Bacco Prié Blanc, il vitigno “eroico” che nasce ai piedi del Monte Bianco

112 Il buono a tavola, Valle d’Aosta

114 Benessere

116 Camera con vista, Kalidria Resort

118 Camera con vista, Tenuta le Selve

120 Trendy

122 Shopping

124 Libri

126 Arte

sommariosommario giugno 2012

127 Le selezioni

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AbruzzoMichele Caracino Gaetano Castaldi

CalabriaSalvatore ChiarellaAntonio RomeoRaffaele Romeo

CampaniaFerdinando Cappuccio Luisa Del SorboRosalia Imperato

Emilia-RomagnaLuca BomezzadriLuca Campana Marco Landucci Gianpietro NagliatiGianluigi PaganoLuca Sardi Nerino Trentini Fruttuoso Zucchini

Friuli Venezia-GiuliaValentina Coluccia

LazioFrancesco Maria Bucarelli Domenico Bruno Alessandro Mei Giovanni Merone

Francesca Oliverio Laura Ruggieri

LiguriaAlessandro Baffigi Barbara Bacigalupo

LombardiaCesare Assolari Roberto Bonsi Massimiliano Bruni Michele CortiFranca Dell’Arciprete ScottiLorenzo FotiValentina GavariniEugenio MeloniUmberto Mortelliti Aldo Pagnussat Giampaolo Perna Barbara Pinnetti

MarcheMichela PallonariFerruccio Squarcia

MoliseGiovanni Scapagnini

PiemonteFabio Alcini Gian Nicolino Narducci

Mauro Rosta Sarah Scaparone

PugliaBruno Micai Jolanda De Nola Nunzio Pacella Mariella Piscopo Sergio Siciliano

SardegnaRoberto Dall’Acqua Annalisa BernardiniLino Erriu

SiciliaCesare Aldesino Marco Scapagnini

ToscanaElena ContiMarco Ghelfi Antonio Tartarelli

TrentinoFrancesca Negri

UmbriaM. Pia Fanciulli

VenetoBenedetta Frare

Direttore ResponsabileDomenico Marasco

Coordinatore editorialeFrancesco CondoluciTel. 02.89053269

EditingGilda Ciaruffoli

Grafica e impaginazioneDaniel AddaiCarlo Fontana

Foto EditorGiuseppe Magaretti

Foto: giglioLab Stampa: PuntoWeb Srl 00040 Ariccia (Roma)

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Cerchiamo agenti e venditori di spazi pubblicitariViaggi del Gusto Magazine, AirOne Magazine e Ursa Major Magazine cercano persone di professionalità affermata, o da formare, nel settore della vendita di spazi pubblicitari e nel ruolo di agenti di commercio. L'area di lavoro è individuata nelle seguenti regioni: Lombardia, Piemonte, Friuli Venezia Giulia, Emilia Romagna, Toscana, Puglia, Calabria, Campania, Liguria, Valle d’Aosta. I candidati interessati sono invitati a spedire il proprio curriculum a [email protected]

si ringraziano per la concessione di immagini e documenti:Consorzio Alta Pusteria, Comunità Montana Valle Camonica, Dipartimento Turismo Regione Molise, ente Parco Nazionale Monti Sibillini

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contributors giugno 2012

ISA GRASSANOLucana di nascita, bolognese d’adozione. Da piccola sognava di fare l’hostess o la giornalista. Quando s’è resa conto che non avrebbe superato l’1,60 di altezza, ha ripiegato sulla seconda opzione. Ma non ha rinunciato ai viaggi ed al turismo, di cui scrive con passione e competenza. Tra voli aerei e pagine da riempire, ha anche trovato il tempo per creare un divertente manuale sulle “101 cose da fare Gratis in Italia”.pag. 72

RICCARDO LAGORIOÈ nato a Brescia 44 anni fa, vive con la valigia sempre pronta, il bloc-notes e la penna sempre in mano, ferri del mestiere di cronista vecchio stampo. Allievo prediletto di Luigi Veronelli, lo hanno definito “food scout”. Di scoperte del patrimonio gastronomico ne ha fatte davvero molte, migliaia. Tutte provate nei luoghi d’origine: la sua corporatura ne è testimone. pag. 64/76

ROBERTO RABACHINOPiemontese, 54 anni, giornalista, scrittore, docente universitario e sommelier. Ha fatto del vino una ragione di vita e di lavoro: al punto che lo scorso anno a New York è stato eletto presidente dei degustatori di vino di 29 nazioni nel mondo. Presiede anche l’associazione italiana dei giornalisti dell’agroalimentare e, per non farsi mancare nulla, con il suo “Vocabolario del vino” ha vinto il Concorso Internazionale Libri da Gustare. pag. 38/110

GIUSEPPE PULINASassarese dalla nascita 55 anni fa, insegna zootecnia speciale nell’università della sua città e, con i Sardi, condivide, oltre all’aria ed alla terra, soprattutto il mare. Che ama solcare in canoa, quando non é troppo occupato a studiare il perchè tutti ritengano le pecore poco intelligenti. pag. 20

LUCREZIA ARGENTIEROPugliese trapiantata a Bologna, è passata dalla tastiera di un pianoforte, che suonava in gioventù, a quella di un computer. Giornalista e filmaker, ama raccontare i territori attraverso le immagini. Sua la regia di numerosi documentari d’attualità e turistici molti dei quali premiati. Ha due passioni: la fotografia e la sua Titty, la gatta più fotografata del mondo. pag. 86

SILVANA DELFUOCOEmiliana di nascita e torinese d’adozione per i casi della vita, grazie alla sua esperienza di Assaggiatore di formaggi e di salumi e, soprattutto, di Giudice del Tartufo, dal 2003 è approdata al giornalismo enogastronomico. Il suo scheletro nell’armadio sono invece i troppi anni passati a tentare di insegnare il latino a generazioni di liceali recalcitranti. pag. 60

GIANCARLO ROVERSIGiornalista, scrittore, fondatore e direttore di riviste. Tiene il corso di giornalismo turistico alla Scuola Superiore di Giornalismo dell’Università di Bologna. È autore di un gran numero di libri e saggi di tema storico, artistico, di costume e in particolare di storia dell’alimentazione e anche relativi al turismo eno-gastronomico, alla comunicazione e alla storia della pubblicità. pag. 68

IDA SANTILLIMolisana trapiantata a Roma, ha mosso i primi passi però a Bologna come giornalista della night life in una frizzante guida alla città. Quindi s'è messa a raccontare l’Italia nascosta, i borghi, il folclore, la gastronomia. Da qualche mese viaggia su un territorio a forma di otto, il territorio del tango… d’altra parte, lei si definisce una donna d’altri tempi. pag. 80

MARCO SCATAGLINIFotografo, con la passione per la Sardegna. Quando gli han detto che fotografare significa scrivere con la luce, c’è rimasto male, lui preferiva le ombre! Da allora non ha mai smesso di cercare il lato nascosto delle piccole cose cui nessuno presta attenzione, per raccontarle nelle sue mostre, nei suoi libri, nei servizi fotografici. D’altra parte, per un creativo la bellezza è tutto, e la bellezza, si sa, sta nei particolari… pag. 102

hanno collaborato a questo numero:

Olga CarliniGilda CiaruffoliMonica CovielloMaria Pia FanciulliMarishel FecchiFrancesca FredianiLucia LipariGiorgio MartelliRosario RibbeneGiorgio Tassi

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La Grecia vuole uscire dall’Eurozona? Molti si sono chiesti se i greci vogliono uscire dall’euro dopo le elezioni politiche del 6 maggio che hanno punito severamente i partiti che hanno sostenuto gli sforzi fatti dal governo Papademos per restare nell’Unione monetaria, mentre il 70% dei voti è andato ai movimenti politici che rifiutano le condizioni imposte ad Atene in cambio degli aiuti Ue-Fmi. Stando a questi risultati, si potrebbe concludere che i greci, stanchi delle manovre di austerity, vogliono uscire dall’Eurozo-na. Tuttavia, i sondaggi mostrano che, se lo si chiede apertamente, il 78% dei greci desidera restare nel club. Forse, allora, quello che vogliono i greci è continuare a far parte dell’Unione monetaria, ma pagando un prezzo meno salato. Che poi è quello che dice lo stesso leader del partito-sorpresa, la formazione di sinistra radicale Syriza: Alexis Tsipras vuole rinegoziare le condizioni del piano di salvataggio, ma non ha mai sostenuto che Atene deve uscire dall’euro. E nei sondaggi, Syriza continua a crescere e guadagnare consensi: dal 16,8% del 6 maggio, a metà mese era già arrivata al 20. (fonte: Il Sole 24 Ore)

Il commentoLa “tragedia greca” – ammesso che ciò accada davvero – si appresta a vivere la sua scena-madre: dentro o fuori dall’Eurozona. Per farlo, per liberarsi cioè dalle strettoie della moneta unica, come gli orientamenti degli elettori sembra-no aver sancito, la Grecia dovrebbe ricusare il Trattato di adesione all’Unione Europea, dalla quale nessuno formalmente può uscire, varare una legge per la (re)istituzione della dracma e ristampare la nuova-vecchia moneta, non prima di aver rimodulato tutti i rapporti economici nazionali (stipendi pubblici, pensioni e contratti). Lo scenario che ne conseguirebbe a quel punto è difficile da pre-vedere: secondo gli analisti internazionali, la dracma vivrebbe il rischio di una svalutazione pesantissima, anche fino al 60-70% e in ogni caso, per uscire dalla recessione, dovrebbe varare un suo (nuovo) rigidissimo piano interno di au-sterity. Allo stato tuttavia, per rimanere nell’Eurozona, la Grecia ha già dovuto ridurre gli stipendi degli operai al 70% e i tagli imposti – soprattutto da Berlino – sembra porteranno all’aumento ulteriore della disoccupazione, oltrechè al-lontanare ancora gli investitori stranieri. Insomma, per rimanere nell’Eurozona, i greci dovrebbero accollarsi altri durissimi sacrifici. A questo punto, peggio di così, pensano in molti dalle parti di Atene, è meglio tutto. Anche un salto nel buio con il ritorno alla dracma.

Atene fuori dall’Euro:“tragedia greca” o scelta voluta dal Paese?

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dall’Italia e dal mondo di Francesco condoluci

[email protected]

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È lo stand dell’azienda Boschiil più originale visto al Cibus 2012Tra megastand multicolori ed esposizioni da sagra strapaesana, a Cibus 2012 – la grande rassegna dell’agroalimentare tenutasi a Parma – s’è visto di tutto. Viaggi del Gusto ha voluto premiare pertanto chi, in quel contesto fieri-stico, è riuscito a stupire con eleganza e sem-plicità. È l’azienda del cav. Umberto Boschi, salumificio di Felino (Parma). Per festeggiare il novantesimo compleanno, l’azienda ha pre-sentato a Parma uno stand (nella foto sotto) che ha voluto rappresentare la chiave del suo successo: ossia la natura, vera protagonista dello spazio espositivo al centro del quale è stata installata una pianta, vera, trasportata dalle terre parmigiane. Sullo sfondo, la gigan-tografia di un paesaggio collinare appena sopra il paese di Felino; per terra, erba vera, per accogliere i clienti in un ideale “pic-nic” all’interno dello stand. Arredi moderni e design con colore bianco dominante comple-tavano lo stand, all’interno del quale i prodotti dell’azienda, i salumi, erano collocati in nicchie poco vistose e costruite ad arte per non toglie-re spazio all’elemento-natura.

La Cina ha fame di beni di lusso, domanda in crescita del 20% Per i prossimi 5 anni, la Cina continuerà a rappresentare un mercato estremamente sensibile ai beni di lusso. Lo afferma una ricerca condotta dagli analisti di Alexis Karklins-Marchay (gruppo Ernst &YOung), secondo i quali l’ex Celeste Impero continuerà a produrre, almeno fino al 2017, nuove classi di ricchi in grado di alimentare costantemente la domanda di articoli e servizi prodotti e offerti dai luxury brands occidentali: borse firmate, gioielli, orologi, profumi, cosmetici, alta moda e vacanze. Già oggi, i consumer del Paese dagli occhi a mandorla si prendono una fetta del 17% del mercato globale del lusso e sono secondi solo agli Stati Uniti. Ma l’incremento del 20% sugli acquisti previsto nei prossimi anni, unitamen-te alla crescita del Pil e all’ingrossarsi delle fila della classe sociale medio-alta (130 milioni di nuovi bene-stanti), e di conseguenza della capacità di spesa media, presto proietterà la Cina in prima posizione.

Stati Uniti: le star di Hollywood pazze per la cucina italiana Mozzarella di bufala e parmigiano reggiano, altro che ostriche e champagne! Anche sulle tavole dei divi del cinema e del rock, il gusto che trionfa è sempre quel-lo italiano. Secondo uno studio basato sulle notizie apparse su testate e siti web internazionali, il mondo dello star-system, in particolare quello hollywoodia-no, impazzisce letteralmente per la cucina e i sapori made in Italy. Una passione che si è trasformata anche in business: lo sanno bene la rockstar inglese Sting, che s’è comprato un agriturismo in Toscana, o il regista Francis Ford Coppola e l’attore Robert De Niro che hanno messo su catene di ristoranti italiani, alla stregua dell’ex Rambo, Sylvester Stallone. Danny De Vito, l’indimenticato attore della Guerra dei Roses, s’è messo addirittura a produrre in prima persona un Limoncello Premium utilizzando i limoni di Sorrento, mentre la cantante di origine siciliana Lady Gaga ha appena inaugurato a New York la trattoria gestita dai suoi genitori. La tendenza che si è affermata negli ultimi anni tra i divi di Hollywood è infatti quella di acquistare tenute agricole nel Belpaese, dal Piemonte alla Sicilia, e rilevare gloriose aziende produttrici locali e catene di ristoranti dove si producono e si cucinano eccellenze made in Italy.

Londra “migliore meta al mondo 2012” secondo i viaggiatori di TripAdvisor È Londra “la migliore destinazione al mondo” secondo i milioni di viaggia-tori interpellati in tutti i continenti da TripAdvisor®, il più famoso sito web dedicato ai viaggi. È stato lo stesso portale internet, promotore del pre-mio Travellers’ Choice® Destinations Awards, che riconosce i principali e più popolari luoghi turistici del mondo, a comunicare i risultati che sintetizzano preferenze, recensioni e opinioni fornite dal vastissimo panel di viaggiatori di TripAdvisor. Londra è stata insignita di tre riconoscimenti: miglior destinazione del Regno Unito, miglior destinazione d’Europa e miglior destinazione del mondo. Dopo Londra, la graduato-ria internazionale vede New York e Roma, rispettivamente al secondo e terzo posto, mentre nella categoria europea Roma è al secondo, seguita da Parigi. L’elenco completo dei vinci-tori del premio 2012 Travellers’ Choice Destinations, è consultabile sul sito www.tripadvisor.co.uk/TravelersChoice-Destinations.

Scelto da Vdg

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Elemento quotidiano delle nostre tavole, è da tempi immemori che lasagne e spaghetti arricchiscono i piatti e riempiono i sensi degli italiani. Questo non significa però che tutti ne conoscano

la storia, ne distinguano le varie tipologie (grano duro o tenero, all’uovo, fresca o secca…) e sappiano scegliere la marca migliore

Pasta,consigli per gli acquisti

Nonostante il nome pasta derivi dal greco passeìn cioè impastare, la sua (per così dire) scoperta si può far risalire al neolitico, cioè circa 8000 anni a.C. quan-do l’uomo da nomade cacciatore costretto a segui-re i flussi migratori della selvaggina, è diventato stan-ziale, cioè agricoltore. Molire i cereali tra due pietre, mischiare il prodotto con acqua, farlo asciugare al fuoco o al sole, sono stati i primi brevi passi. Testimo-nianze archeologiche a proposito di attrezzi per la produzione di pasta si trovano in tutta l’area euro-asiatica, ma quella più antica di prodotto finito arri-va dalla Cina e risale a 4000 anni fa. Si tratta di spa-ghetti al miglio, e sottolineo che in quel periodo il grano era sconosciuto in Cina. Numerose sono le citazioni tra gli autori greci e latini, da Aristofane a Orazio, che utilizzano il termine laganon e laganum riferendosi a un impasto steso e tagliato a strisce, le nostre lasagne, e che quindi ci fanno supporre che queste fossero di comune utilizzo. Sappiamo poi dal-la storia che, dopo le guerre puniche, Roma si è im-padronita della Sicilia non solo per avere una posi-zione strategica nel Mediterraneo, ma anche perché era il granaio più importante per sfamare la capitale che già allora contava più di un milione di abitanti. È del 1154 invece la testimonianza del cartografo di Ruggero II di Sicilia in cui si parla di Trabia, una pae-se nelle vicinanze di Palermo, dove erano presenti tanti mulini e veniva fabbricata una pasta a fili, sec-ca, che veniva spedita per nave in terre cristiane e mussulmane: ecco gli spaghetti! E prima del viaggio di Marco Polo in Cina! Ma quindi, la storia di Marco Polo e degli spaghetti cinesi? Una delle più riuscite trovate di marketing dei soliti americani. Nasce da una notizia apparsa sul Macaroni Journal, rivista pubblicata da un’associazione di industriali per in-crementare il consumo di pasta, e non per fare un piacere a noi, bensì per favorire la coltivazione del grano duro. Insomma, i cinesi con la nostra pasta non c’entrano affatto. Continuando con le testimo-nianze storiche, fondamentale è poi quella del Boc-caccio: “Una contrada che si chiama Bengodi nella quale si legano le vigne con le salsicce e avevasi un oca denaio e un papero a giusta, ed eravi una mon-tagna di formaggio parmigiano grattuggiato sopra la quale stavan genti che niuna altra cosa facevan che maccheroni e ravioli e cuocergli in brodi di cap-poni…” (Decamerone VIII,3). Abbiamo tutto: la pa-sta secca, quella ripiena, formaggio, salsicce e anche il brodo. Sembra già un pranzo di Natale! Spulcian-do tra i libri storici di cucina, scopriamo che già nel ‘300 si faceva la differenza tra croseti (pasta corta) e alessandrina (pasta lunga), e viene consigliato di uti-lizzare per mangiarla un punctorio di legno. La no-stra forchetta, appunto. Ricordo che in quasi tutta l’Europa ancora nel ‘700 si mangiava con le mani, e che la forchetta, invenzione tutta italiana, è entrata in Francia quando Caterina de’ Medici ne è diventa-ta regina, ma si è propagata molto lentamente nel

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fatti e contraffatti di Marishel Fecchi

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Più della penna… poté la pastaLa pasta è da sempre un alimento legato al popolo semplice.

Si definisce maccheronico un linguaggio intriso di errori, e ancora oggi, in alcune zone d’Italia, nel linguaggio famigliare

gli errori dei bambini nei primi anni di scuola vengono detti maccheroni. Nacque addirittura un filone poetico, detto poesia

maccheronica, di cui vi do un breve saggio da Maccheronata, di Gennaro Quaranta. L’autore risponde niente meno che a Giacomo

Leopardi il quale nel suo Nuovi Credenti si era espresso in maniera poco carina nei confronti dei napoletani descrivendoli divisi tra spiritualità e maccheroni:

“E tu fosti infelice e malaticcio o sublime cantor di Recanatiche bestemmiando la natura e i fati frugavi dentro te con raccapriccioOh mai non rise quel tuo labbro arsiccio né gli occhi tuoi lucenti ed infocatiperchè... non adoravi i maltagliati, le frittatine d’uovo ed il pasticcioma se tu avessi amato i maccheroni più delli libri che fanno l’umor negronon avresti patito aspri malanni... e vivendo tra i pingui buongustaigiunto saresti, rubicondo e allegro forse fino ai 90 o ad i cent’anni”.

Con un salto nel tempo arriviamo agli anni del fascismo, periodo durante il quale la pasta si identificava ancora con Napoli. Marinetti nel suo Manifesto della cucina futurista accusa la pasta di uccidere l’animo nobile dei napoletani e ne auspica l’abolizione, consigliandolo a Mussolini. Questa abolizione avrebbe anche ridotto l’importazione di grano e favorito un prodotto tutto italiano come il riso. Purtroppo per Marinetti però si fece scoprire da Biffi a Milano davanti a un piatto di spaghetti. Di conseguenza i napoletani, con il senso dell’umorismo che li contraddistingue, coniarono la rima:

“Marinetti dice basta, messa al bando sia la pastapoi si scopre Marinetti che divora gli spaghetti”.

resto d’Europa. E mentre il popolino era costretto a saziarsi di pasta, per i ricchi questa era un contorno; si serviva scotta perché serviva ad accompagnare carne e verdure e ad assorbirne il sugo, come succe-de ancora oggi in molti paesi. Già nel ‘600 però ci sono cuochi che consigliano i maccheroni più intiriz-zati e sodi, cioè al dente. Intanto la fabbricazione della pasta si stava sviluppando in tutta Italia, spe-cializzandosi: paste di grano duro al sud, di grano tenero, all’uovo e sopratutto ripiene al nord. A Gra-gnano agli inizi dell’800 erano funzionanti ben 30 mulini e qui, con un microclima particolare, con le brezze marine, la pasta essiccata all’aria riusciva a raggiungere un’ottima qualità. Pensate che subito dopo l’unità d’Italia, re Umberto I e la regina Mar-gherita (quella della pizza) hanno inaugurato la fer-rovia Gragnano-Napoli per far sì che la pasta po-tesse raggiungere il porto ed essere esportata in tutto il mondo. Ancora og-gi Gragnano è considerato sinonimo di paste di qualità. Per le paste all’uovo e ripiene bisognerà aspettare ancora parecchio pri-ma di poter avere un prodotto idoneo al trasporto. Sia l’uovo che i ripieni sono infatti estre-mamente sensibili alla salmo-nella e, se non trattati, hanno una durata molto breve.

Come si produce la pastaL’Italia è sia il più grande paese produttore che il più grande consu-matore di pasta. Ne mangiamo 28 Kg/anno/a testa, seguiti dal Venezuela che però ne consuma la metà. Il maggior impiego è al sud, con il 40%, segue il nord con il 37% e il centro, il meno vorace, con 23%. La legge italiana non si occupa delle diverse forme di pasta, ma ne divide le tipologie in pasta di semola, con grano du-ro e acqua; pasta all’uovo, con almeno 4 uova fre-sche e intere di gallina ogni Kg di semola; e pasta fresca. E qui dobbiamo fare attenzione, perché la legge in questo caso lascia molto spazio all’imbro-glio. Si parla infatti di un minimo (e non di un mas-simo) del 24% di umidità. Quindi occhio: l’acqua pesa e non costa! Per quello che riguarda la produ-zione, prima si deve macinare il grano (vedi pagina sseguente); semola o semolato vengono poi impasta-ti con acqua in modo che l’amido e il glutine si amal-gamino. Il contenuto di glutine è fondamentale per-ché determina la tenuta dell’impasto e quella della cottura. Durante la cottura le due proteine presenti, cioè la gliedina (la proteina a cui sono intolleranti i ce-liaci) e la gluteina, si legano all’acqua formando una specie di rete. Il prodotto derivato dal grano duro for-ma una rete a maglie più fitte di quello proveniente dal grano tenero, e l’amido vi resta imprigionato ren-

L’albero degli spaghetti

Nel 1957, la BBC trasmise un documentario molto serio dal titolo

Raccolta primaverile degli spaghetti in cui si diceva che in alcune zone partico-larmente favorevoli di Italia e Svizzera in primavera gli spaghetti crescevano sugli alberi. Naturalmente al filmato seguì

un notevole flusso turistico di cu-riosi alla ricerca dell’albero

“spaghettifero”!

Per la pasta all’uovo, le uova devono essere fresche (preferite quelle che indicano in confezione il tipo di allevamento biologico o a terra) e l’igiene sul posto di lavoro molto accurata

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dendo la pasta più o meno resistente. Ecco il motivo per cui le paste a grano tenero di importazione tendono a scuocere. L’impasto viene fatto poi passare attraverso la trafila che ci dà la forma desiderata. Se la trafila è di bron-zo, la superficie resta leggermente ruvida facilitando l’adesione del condimento. Seguono l’essicazione e il confezionamento.

Che pasta scegliere?La pasta di semola, se il grano o le farine sono state conservate in maniera corretta – se cioè non si sono formate muffe – è un alimento sano, e vi assicuro che in Italia abbiamo prodotti eccelsi che, quando cotti, emanano davvero odore di grano! Fate qualche espe-rimento con paste di ditte meno conosciute, farete scoperte meravigliose.Per la pasta all’uovo (più ingredienti, più rischi) le uova devono essere fresche e l’igiene sul posto di lavoro molto accurata. Comprate quei prodotti che vi raccon-tano delle uova utilizzate e degli allevamenti da cui provengono: se quindi le ovaiole vivono libere, a terra o in gabbia. È vero infatti che il prodotto viene pasto-rizzato e che in ogni caso mangiarlo non fa morire, ma se penso agli scandali degli ultimi anni relativi agli al-levamenti in batteria e alle foto che si vedono in giro… è meglio rifletterci un po’ su. Le paste speciali, infine, sono paste a cui sono stati ag-giunti altri ingredienti (tartufi, peperoncino, cacao etc). Diciamo che sono alimenti fantasiosi, molto decorativi.

Le farine: come si ottengonoIl grano viene prima bagnato in modo che al mulino sia più facile separare le pellicine di rivestimento da cui si ricava la crusca. Questa prima operazione di separazione si chiama abburattamento. Il prodotto che ne risulta si chiama sfarinato, che a sua volta si definisce semola quando prodotto da grano duro e farina quando ricavato dal grano tenero. Queste ultime si differenziano per gradi che vanno dallo 00, la più pura, fino a 2, quella con più crusca, fino a quella integrale in cui il grano è utilizzato in toto. Mentre la farina di grano tenero è binchissima, quella di grano duro è giallo-ambra e presenta una granulosità più marcata. La qualità di una farina, sia essa da grano duro o da grano tenero, è determinata dalla sua forza dovuta alla quantità e alla qualità del glutine in essa contenuto che conferisce resistenza ed elasticità alla pasta. Questa qualità viene contrassegnata con la W. Ho controllato le farine in diversi supermercati, non ho trovato questo simbolo su nessun imballo esposto. Più alto è il coefficiente W migliore è la farina. Fra quelle in commercio la migliore è la Manitoba, con un W pari a 430 (si parte da 150), che è ottima sia per le paste, perché imprigiona l’amido, sia per impasti lievitati, perché imprigiona i gas prodotti dalla fermentazione rendendo la pasta soffice. Altre farine da noi facilmente reperibili sono ricavate da: mais, segale, orzo, riso e miglio. I più usati da noi sono sicuramente il mais e l’orzo, mentre la segale viene ancora usata parecchio nel nord dell’Europa, il riso ovviamente in Asia e il miglio in Africa.

Farine da non cereali: grano saraceno (per pizzoccheri e polenta taragna), amaranto.

Farine da leguminose: ceci (per farinata, testaccio, falafel, panelle), piselli, fagioli, fave, lenticchie (usati particolarmente nella cucina indiana), soia.

Fecole: patate, castagne (è stato per secoli l’alimento base della popolazione del nostro Appennino), manioca (o tapioca, denominazione diversa a seconda delle zone).

“Chi mai fosse tra i ghiottonil’inventor dei maccheroni

vi son dispute infinitené decisa è ancor la lite”

(Gennaro Columbro, Le muse familiari)

Nei secoli, la fabbricazione della pasta si è sviluppata in tutta Italia, specializzandosi: paste di grano duro al sud, di grano tenero, all’uovo e sopratutto ripiene al nord

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fatti e contraffatti

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Quando si parla di equini, è quasi scontato immaginare ci si riferisca ai cavalli (soprattutto nei paesi anglosassoni), dimenticando che al gene-re Equus appartengono altre specie, equine a tutti gli effetti. È il caso dell’asino (Equus asinus, Ordine Perissodactyla, Famiglia Equidae), che è stato addomesticato prima del cavallo, probabilmente in Numidia, al-meno 5mila anni fa: da allora questa specie ha umilmente accompa-gnato l’uomo nella sua lunga evoluzione economica e sociale. Il com-plesso processo di addomesticamento dell’asino, definito non lineare, é di notevole interesse. La principale utilizzazione dell’asino per il traspor-to di beni e persone favorì gli interscambi tra le popolazioni africane, asiatiche ed europee, tanto che gli zooarcheologi definiscono l’asino l’Internet del mondo antico. Ma questa docile specie rappresenta an-cora oggi un’importante risorsa nelle economie rurali di numerosi paesi

in via di sviluppo, in grado di migliorare la qualità della vita con il suo lavoro e la sua grande adattabilità ad ambienti anche assai difficili. Nel mondo si contano circa 44 milioni di asini, di cui 40 milioni (96,35%) nei paesi in via di sviluppo. In Etiopia sono presenti circa 5.200mila asi-ni, che rappresentano il 50% della forza lavoro animale per il trasporto, il lavoro nei campi e per la produzione della carne e del latte. Per quan-to in Italia rappresenti un alimento di estrema nicchia, il latte di asina sta pian piano conquistando la ribalta per moltissime indubbie caratte-ristiche positive. La professoressa Elisabetta Salimei, docente di Nutri-zione e Alimentazione Animale presso l’Università del Molise e autrice del capitolo sul latte d’asina nella Encyclopedia of Dairy Sciences (Se-cond Edition, vol. 1, pp. 365–373. San Diego: Academic Press), ci intro-durrà nel mondo di questo alimenti così antico e così attuale.

Latte d’asina,segreto di bellezza

Da sempre ottima base per i prodotti cosmetici, può essere utilizzato in diete ipocaloriche ed è ottimo per consumatori

di fascia sensibile (bambini, anziani o soggetti allergici). In crescita il suo impiego, con conseguenze positive

sulle microeconomie locali e interessanti risvolti in termini di salvaguardia dell’ambiente

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scienza e vita di Giuseppe pulina

professore di Zootecnia speciale all’università di sassari

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Un simpatico ritratto della professoressa Elisabetta Salimei, docente di Nutrizione e Alimentazione Animale presso l’Università del Molise

L’asino è un grande lavoratore, ma è anche una fonte preziosa di proteine nobili. Le qua-lità del suo latte sono conosciutissime fin dall’antichità. Ce le puoi riassumere? Certo. Oltre al lavoro, questa specie ha molto altro da offrire, essendo nota fin dai tempi antichi per la sua produzione di proteine di elevato valore nu-trizionale. In particolare, il latte di asina ha destato negli ultimi anni un notevole interesse scientifico in quanto è risultato ben tollerato da bambini affet-ti da allergia alle proteine del latte vaccino e il suo uso è indicato per la prevenzione dell’aterosclerosi. Il latte di asina ha una composizione centesimale molto diversa da quella di bovina o altri ruminanti: per il suo elevato contenuto in lattosio (68-74 g/L latte), questo alimento è ben accetto dai bambini, anche se il suo basso tenore in grassi (3-10 g/L lat-te) lo rende meno energetico di quello umano, per cui in soggetti di età inferiore a 6 mesi è richiesta un’adeguata integrazione nutrizionale. La compo-nente proteica del latte di asina (15-18 g/L latte) è prossima a quanto riportato per il latte umano ed è caratterizzata da elevato tenore in sieropro-teine (35-50%) e da una peculiare componente caseinica, che rende questo latte poco adatto alla caseificazione. A questo riguardo, studi di proteo-mica applicata alle scienze del latte evidenziano le profonde differenze nella micella caseinica di latte equino (asina e cavalla), umano e bovino.

Un buon valore nutritivo, dunque, ma alcune differenze rispetto al latte umano e dei rumi-nanti. Quali sono le caratteristiche allergologi-che e funzionali di questo prodotto?Da un punto di vista allergologico, ß-lattoglobulina e caseine del tipo αs-, considerate i maggiori aller-geni nel latte vaccino per bambini e adulti, sono presenti anche nel latte di asina. In particolare, la ß-lattoglobulina è presente in quantità leggermen-te superiore a quanto si ritrova nel latte bovino, ma presenta con quest’ultima una cross-reattività so-lo del 56%, per cui il potenziale allergizzante del latte di asina risulta molto più basso. Ciò spiega la buona tollerabilità (>82%) di questo latte fino a ora evidenziata da parte di bambini con allergie alimentari e con problemi di dermatite. Oltre a po-tenziali antigeni, la componente proteica del latte di asina presenta anche proteine di grande impor-tanza funzionale, come lisozima (presente 1 g/L) e lattoferrina, nonché fattori di crescita cellulare e ormoni umanosimili, come leptina, grelina, IGF-1, triiodotironina. Tra i peptidi bioattivi del latte di asi-na, sono anche oggetto di studio le numerose bio-molecole rilasciate durante il processo di digestione delle proteine o di fermentazione lattica, in quanto dotate di numerose attività (antimicrobica, antiiper-tensiva, immunomodulante, rilassante, ecc.).

Come ci ha detto, il latte d’asina è a basso con-tenuto di lipidi. Cosa dire della composizione di questi ultimi? La componente (ipo)lipidica del latte di asina pre-senta una bassa concentrazione in colesterolo (50-88 mg/L latte), un contenuto mediamente basso in trigliceridi (80%) e un contenuto elevato in aci-di grassi liberi (10%). Il profilo acidico del grasso é caratterizzato dalla presenza di monoinsaturi totali con una concentrazione prossima al latte umano, da un elevato contenuto in PUFA (acidi grassi polin-saturi) delle serie n3 (9,5%) e da un rapporto PUFA n6:n3 inferiore a 1.4: un profilo che candida que-sto alimento fra quelli di particolare interesse nella prevenzione delle patologie dell’anziano e di quelle cardio-vascolari di natura infiammatoria.

Quanto latte è possibile ottenere da un’asina e quali sono gli accorgimenti per salvaguardarne le caratteristiche nutrizionali? La produzione di latte di asina varia in media da 300 a 700 mL per mungitura, manuale e meccanica rispet-tivamente. Oltre alla tecnica di mungitura adottata (e alla perizia del personale), la quantità di latte prodotto è influenzata dallo stadio di lattazione del-le fattrici, dalla gestione delle lattifere e dei puledri (che vengono separati dalle madri 3 ore prima di ogni mungitura), dalle strategie alimentari e dalla con-dizione corporea delle fattrici. In fun-zione della domanda di latte (piut-tosto discontinua), le asine possono

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L’asino è ancora oggi un’importante risorsa nelle economie rurali di molti paesi in via

di sviluppo, in grado di migliorarne la

qualità della vita con il suo lavoro e la sua adattabilità anche ad ambienti difficili

essere munte più volte al giorno (fino a un massimo di 8) ma questo richiede l’adozione di strutture e rou-tine per la mungitura, messe a punto ad hoc. È do-veroso a questo punto ricordare il grande contributo di Andrea Simoni, geniale Collega dell’Ateneo moli-sano, che ci ha lasciato la prima struttura per mun-gitura, refrigerazione e imbottigliamento del latte di asina. La gestione del latte appena munto e i tratta-menti termici per il risanamento o per la conserva-zione potrebbero tuttavia danneggiare alcune delle componenti nutraceutiche, a tutto svantaggio delle potenzialità salutistiche del latte di asina.

Trattamenti di risanamento, diciamo così, “ro-busti” sono necessari però per una garanzia di igienicità del prodotto… In linea generale sì. Ma dobbiamo tenere conto che nel caso del latte di asina, sotto il profilo igienico, le informazioni disponibili evidenziano una contamina-zione microbica generalmente bassa (<10.000 carica

totale/mL) la quale, oltre all’osservanza delle norme igieniche, è riconducibile alle caratteristiche anato-miche della mammella della specie e all’azione igie-nizzante derivante dalla suzione diretta da parte del puledro, il quale vive con la madre fino allo svezza-mento (in genere a 7-9 mesi). È interessante rilevare che non sono stati isolati nel latte di asina patogeni quali Listeria monocytogenes e Salmonella spp., e che, più in generale, in Italia e in Europa il rischio as-sociato al consumo di latte di asina è indicato come ragionevolmente contenuto. È tuttavia importante considerare che in aree in cui l’allevamento asinino è maggiormente diffuso, e più frequente è la diffusio-ne di patogeni (Brucella spp., Rhodococcus equi, etc.) tale rischio risulta più elevato.

Come può essere utilizzato il latte d’asina? In campo alimentare, il latte di asina può essere utilizzato in diete ipocaloriche e nella preparazione di bevande fermentate probiotiche (latte fermen-tato, koumiss, ecc), come pure essere trasformato in gelati, budini, prodotti da forno, etc. È il caso di ricordare che, come noto fin dai tempi dell’antica Roma, il latte di asina è un ingrediente pregiato an-che nella cosmesi, per le sue proprietà detergenti e idratanti. A conclusione di questa panoramica su alcuni aspetti del latte di asina e della sua produ-zione, la diffusione in aree marginalizzate (e a ri-schio abbandono) dell’allevamento asinino per la produzione di latte da destinare a consumatori di fascia sensibile (lattanti, anziani o soggetti allergici) può contribuire alla rivitalizzazione delle microeco-nomie locali, con positivi risvolti in termini di salva-guardia del’ambiente. Infine, il rinnovato interesse nei confronti dell’allevamento dell’asino, equino nobile e antico, può contribuire in modo significa-tivo alla salvaguardia della biodiversità.

Fin dai tempi dell’antica Roma, il latte di asina è un ingrediente

pregiato della cosmesi, per le sue proprietà detergenti e idratanti

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scienza e vita

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Iniziativa fi nanziata dal Programma di Sviluppo Rurale per il Veneto 2007-2013Organismo responsabile dell’informazione: Grana Padano e gli altri formaggi veneti di qualitàAutorità di gestione designata per l’esecuzione: Regione Veneto - Direzione Piani e Programmi Settore Primario

FEASR REGIONE DEL VENETO

Fondo europeo agricolo per lo sviluppo rurale: l’Europa investe nelle zone rurali

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Da ricordareDomenica 10 giugno Corpus DominiCorpus Domini vuol dire Corpo del Signore. La celebrazione chiude il ciclo delle feste del dopo Pasqua e ricorda il mistero dell’Eucarestia. A istituirlo fu una suora che nel 1246 volle dedicare all’Eucarestia una festa slegata dal clima di mestizia e lutto della Settimana Santa. Il suo vescovo approvò l’idea e il Corpus Domini divenne una ricorrenza prima a Liegi, dove si trovava il convento della suora, e poi per la cristianità intera. In tutt’Italia si celebra con le infioriate; tra le più famose quelle di Spello e Genzano.

Giovedì 21 giugno Solstizio d’estateDi solstizio d’estate se ne parla sempre in abbondanza. Sappiamo bene che da quel momento in poi, dal 21 giugno, le giornate cominciano ad accorciarsi. In senso astronomico è il giorno in cui il sole raggiunge il punto più alto sull’orizzonte e si hanno il giorno più lungo e la notte più breve dell’anno. Il momento è magico, bellissimo, con la natura nel suo pieno fiorire e tante notti stellate da rimirare.

Domenica 24 giugno San Giovanni BattistaIl giorno di San Giovanni apre le porte alla bella stagione. Appena trascorso il solstizio d’estate, la natura vive una fase stagionale a dir poco magica. Anche la tradizione lega a questo momento i suoi riti benauguranti. Si dice ad esempio che tutto quanto venga toccato dalla “rugiada” di San Giovanni sarà baciato dalla fortuna. Per questo si mettono alla finestra, in questa notte di portenti, gli oggetti più cari. Se poi siamo innamorati, passiamo la notte all’aperto assieme alla nostra persona del cuore: la rugiada del Santo favorirà anche l’amore.

Tra fiori e infiorate, la natura si dona in tutta la sua bellezza ed è anche

il momento di raccogliere i frutti di quanto seminato. Le giornate,

sempre più lunghe, sono un invito all’incontro. Fino al solstizio, quando

comincia l’inversione di rotta

Il Sole Il 1° sorge alle 05.27 e tramonta alle 20.29 L’11 sorge alle 05.24 e tramonta alle 20.36 Il 21 sorge alle 05.25 e tramonta alle 20.39

Il 1° giugno si hanno 15 ore e 2 minuti di luce solare – mentre il 21, giorno del solstizio d’estate, si hanno 15 ore e 15 minuti: si guadagnano 13 minuti di luce solare. Ma dal 22 le giornate cominciano ad accorciarsi. Il 30 giugno si avranno 15 ore e 12 minuti di luce solare. Si perdono 3 minuti.

La Luna Il 1° tramonta alle 02.54 e sorge alle 17.08L’11sorge alle 00.42 e tramonta alle 13.02Il 21 sorge alle 07.08 e tramonta alle 21.50

La Luna è al Perigeo domenica 3 alle ore 15. È all’Apogeo sabato 16 alle ore 03.

Luna in viaggioIn questo mese i giorni favoriti dalla Luna per gli spostamenti sono: 5, 8, 9, 12, 13, 14, 17, 18.

Sole e luna

Giugno di luce e di colori

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almanacco di barbanera di M. Pia Fanciulli

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Saggezza popolare

Orti e dintorni Fiori e ortaggi possono vivere insieme recando

benefici gli uni agli altri. Si parla in questo caso di consociazione, utile a limitare il ricorso a trattamenti

chimici dannosi per le piante e la nostra salute. Esistono infatti fiori incantevoli, capaci di proteggere

altre piante dall’attacco dei parassiti. La tagete, ad esempio, deve al suo profumo la capacità di tenere lontano “il tonchio delle fave”. Non solo, utilizzata

come bordura, sarà un’ottima pianta esca per le lumache e le limacce che vi si fermeranno sopra

senza danneggiare le coltivazioni. Il nasturzio è un altro esempio. Splendido fiore, ottimo anche da

mangiare in insalata, è un valido repellente per gli afidi. Si potrà quindi coltivare alla base degli alberi

da frutto quali meli e ciliegi. E ancora, le comuni salvia e menta, disgustano con il loro profumo la cavolaia, che così si terrà alla larga, appunto, da

cavoli e cavolfiori. Quanto alle operazioni da fare in questo mese nell’orto e nel giardino, è il momento,

con la Luna crescente (dal 1° al 3 e dal 20 al 30 giugno), di seminare i fagiolini tardivi e pure, in

cassone aperto, cavolfiori e verze. Poi c’è da trapiantare il sedano. In giardino, estrarre dal terreno

i bulbi dei fiori che mostrano le foglie in fase di essiccazione e conservarli al buio e in luogo asciutto

per il futuro reimpianto. Arrivata la Luna calante (dal 5 al 18) proseguire invece con la scacchiatura dei

pomodori e anche con la semina in cassone all’aperto di finocchi, oltreché con il trapianto dei cardi.

Importante, dovendo annaffiare gli ortaggi, non bagnare le parti aeree: li preserverà da molte

malattie. Nel giardino eliminare le rose sfiorite, cimare i crisantemi e legare le piantine ai tutori. Fare talee di ficus da porre a radicare su sabbia e torba in

parti uguali e sotto copertura: il ficus si riproduce bene anche per margotta. Annaffiare regolarmente

le specie in vaso e concimare con concimi idrosolubili.

È stato dimostrato scientificamente che l’attività fisica all’aria aperta, ad esempio una camminata a passo spedito, libera nel sangue le cosiddette “endorfine del buonumore”. Può bastare una passeggiata di tre quarti d’ora al giorno per ave-re un effetto positivo sulla psiche. Senza dimenticare come anche il sole abbia un effetto salutare consentendo la sintesi della vitamina D. Un’ulteriore amplificazione dei benefici si avrà camminando negli ambienti naturali, oppure ascoltan-do, mentre si passeggia, musica rilassante.L’estate è sicuramente una stagione ottima per dedicare qualche attenzione in più al nostro corpo e alla pelle che in questo periodo può diventare più grassa. Il rimedio potrà venire da una maschera di pomodori freschi schiacciati, ap-plicata sul viso e tenuta in posa per alcuni minuti. Il volto va poi sciacquato e vaporizzato con una tisana tiepida al fieno greco o alla menta, con aggiunta di qualche goccia di limo-ne. I risultati saranno sorprendenti, proprio per una pelle a prova d’estate.Tra le grandi protagoniste dei mesi estivi, la frutta è da sem-pre al centro di un ricorrente interrogativo: buccia sì o buccia no? A parte il suggerimento generale di consumare prodot-ti biologici perché più sani, sempre più nutrizionisti afferma-no che non è necessario mangiare la frutta con la buccia. Le vitamine e i sali minerali si trovano infatti quasi tutti nella pol-pa. Inoltre sulla buccia si depositano i pesticidi utilizzati per impedire che la frutta venga rovinata dagli insetti.

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Belli e sani

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luna piena luna nuova

ultimo quartoprimo quarto

· In giugno abbi cura della vigna e della mietitura.

· Chi fa uso di verdura, vive sano e a lungo dura.

· Per San Vittorino, ciliegie a quattrino.

· Giugno freddino, povero contadino.

· A Sant’Antonio (13 giugno) candido giglio, ogni madre affidi suo figlio.

· Bel lucciolaio, buon granaio.

· Giugno apre le porte alle giornate corte.

· Se l’orto è nell’arsura poco o niente procura.

· Il ravanello fa il viso bello.

· Se canta il gallo dopo cena, se c’è nuvolo rasserena.

Saggezza popolare

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di Gilda Ciaruffoli

Puglia La città che non immaginiLa 18ª edizione di Lecce Cortili Aperti si prospetta particolarmente vivace. L’originale appuntamento, che si inserisce nell’ambito delle Giornate Nazionali dell’Adsi, offre infatti quest’anno ai visitatori tour guidati, concerti, mostre, letture, corsi. Ad aprirsi come scrigni nel cuore del capoluogo barocco 28 tra dimore storiche e chiese del Sei e Settecento; e ancora, atri e giardini abitualmente chiusi al pubblico. Un viaggio storico e culturale inedito per chi ha scelto di trascorrere questo fine settimana di primavera nel capoluogo salentino.9-10 giugno, Lecce - Info: www.adsi.it

Piemonte assaggi di cuLturaLibri da Gustare, il Salone del Libro Enogastronomico e di Territorio, giunge quest’anno alla sua 16ª edizione. Il programma prevede incontri letterari, appuntamenti enogastronomici, momenti di conoscenza del territorio, eventi legati al mondo della musica e delle arti pur mantenendo ben saldo il proprio cuore pulsante: la grande libreria che per l’intero weekend propone una sempre più vasta selezione di titoli dedicati alla cucina, al cibo, al vino, al territorio. Novità 2012 le iniziative legate al mondo della fotografia. Durante i tre giorni dell’evento, inoltre, i ristoranti del paese propongono speciali menù letterari. 8-10 giugno, La Morra (Cn)Info: www.libridagustare.it

Umbria Più gUsto Per tUttiAl via la prima edizione di Gluten Free Fest l’evento dedicato al senza glutine, ideato con lo scopo di sensibilizzare a una conoscenza più approfondita di quelle che sono le problema-tiche che i celiaci e le loro famiglie affrontano ogni giorno. Il tutto attraverso attività diverse che vanno dai laboratori ludico-didattici per bambini alle mostre, agli incontri letterari. Non mancano, naturalmente, degustazioni guidate e corsi di cucina in collaborazione con l’Universi-tà dei Sapori, così come la possibilità di mangia-re piatti gluten free negli appositi spazi ristoro.7-10 giugno, PerugiaInfo: www.glutenfreefest.it

Veneto sPUmanti di tUtta italia, UniteVi!Torna Bollicine a Marostica, la rassegna dei vini spu-manti ospitata presso il Castello Inferiore della citta-dina, che ospita un banco d’assaggio in cui i produt-tori propongono direttamente al pubblico i loro vini. Almeno 150 le etichette provenienti da tutte le aree di produzione vocate alle bollicine: da Conegliano e Valdobbiadene alla Franciacorta; dall’Oltrepò Pave-se al Trentino. Presenti anche i produttori locali con Durello, Vespaiolo Spumante e Recioto di Gambel-lara. Due i momenti speciali dedicati alle degustazio-ni guidate delle etichette più prestigiose; per tutto il giorno inoltre gli assaggi sono accompagnati dai prodotti tipici del territorio. 3 giugno, Marostica (Vi)Info: www.aisveneto.it

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Liguria iL giro deL mondo in una cittàSi svolge nella Piazza delle Feste del Porto Antico di Genova la 14ª edizione del Suq, Festival delle Culture (patrocinio dell’Unesco), manifestazione dalla formula originale che mescola la rassegna di spettacoli internazionali, i laboratori per bambini, le lezioni di gastronomia e di danza etnica, gli incontri letterari e i dibattiti, alla possibilità di assaggiare 12 cucine diverse e di visitare una quarantina di botteghe con artigianato da tutto il mondo. 13-24 giugno, GenovaInfo: www.suqgenova.it

emilia-romagna l’arte di festeggiar bene Padre indiscusso della gastronomia italiana, Pellegri-no Artusi è l’ispiratore di nove giorni di degustazio-ni, spettacoli, concerti, incontri, mostre, nella sua cit-tadina natale. È la Festa Artusiana, appuntamento che rende onore all’autore de La Scienza in cucina e l’Arte di mangiar bene, durante il quale si alternano oltre 150 laboratori e degustazioni, e una ventina di incontri imperniati sulla cultura del cibo: un grande palcoscenico ai piedi della rocca trecentesca che si trasforma in un luogo d’assaggio grazie agli oltre 30 ristoranti allestiti per l’occasione.16-24 giugno, Forlimpopoli (Fc)Info: www.festartusiana.it

trentino-alto adigesaltimbanchi on the roadGiocolieri, clown, burattinai, acrobati, ballerini, trampolieri, mangiafuoco, te-atranti, musicisti e poeti trasformano magicamente con le loro performance il centro di Merano che, per l’occasione, diventa un immenso palcoscenico a cielo aperto. L’occasione è quella di Asfaltart festival che nasce dal desiderio di rappre-sentare e contenere tutte le arti di strada, offrendo un livello qualitativo degli spet-tacoli molto alto e dando la possibilità di esibirsi a dei veri professionisti dello spet-tacolo on the road.15-17 giugno, Merano (Bz)Info: www.asfaltart.it

Venetotradizioni ViVeTorna la consueta partita di Dama Vivente tra i due quartieri della città, arricchita dall’esibizione del gruppo paladino Tamburi e Sbandieratori, da spettacoli, scene figurate, un corteo storico e oltre 500 figuranti in abiti rinascimentali. Quest’anno la Dama Vivente tocca il tema dell’amor cortese, incentrandosi su un grande notaio, letterato e autore teatrale coneglianese, Pulzio Sbarra (1520-1626). Un tema gioioso, e sentimentale per portare un sorriso sulle labbra degli ospiti. 15-16 giugno, Conegliano (Tv)Info: www.damacastellana.it

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calabria imPegno ciViLe in festa Dopo un anno di pausa, torna il Festival delle migrazioni e delle culture locali di Riace, manifestazione nata sull’onda della politica di accoglienza e reinsediamento dei rifugiati e richiedenti asilo politico che l’amministrazione comunale del paese dei Bronzi sta attuando da alcuni anni. Il RiaceInFestival vuole essere un’iniziativa concreta che, attraverso l’universale linguaggio dell’arte, promuova lo scambio e la conoscenza reciproca affinché si contrastino forme di chiusura e razzismo. In scena letteratura, cinema, musica e impegno civile.21-23 giugno, Riace (Rc) - Info: www.riaceinfestival.it

emilia-romagna BaLsamiche tradizioni Un inizio estate all’insegna dell’Aceto Balsamico Tradizionale di Modena e delle tipicità locali. Sono questi gli ingredienti del fine settimana proposto dalla Consorteria del Balsamico Tradizionale che culmina con il 46° Palio di San Giovanni, competizione riservata agli aceti balsamici tradizionali ed extravecchi Dop che si ripete ormai da mezzo secolo. L’’occasione è buona anche per visitare il Museo del Balsamico Tradizionale di Spilamberto. Foto: Rocco Bizzarri.20-24 giugno, Spilamberto (Mo) Info: www.comune.spilamberto.mo.it

toscana eqUilibri natUrali Nel fatidico anno del cambiamento sboc-cia, nel cuore della Val d’Orcia, Aurora Fe-stival, evento interdisciplinare dedicato a natura e spirito. Grandi nomi provenien-ti da tutto il mondo si riuniscono per tre giorni di seminari, workshop, conferenze e pratiche con maestri, antropologi e ri-cercatori internazionali di varie tradizioni per promuovere un approccio sostenibi-le e armonico con l’ambiente, oltre che un mutamento consapevole della nostra quotidianità. Foto: Melina Mulas. 22-24 giugno, Pienza e Monticchiello (Si)Info: www.aurorafestival.org

Piemonte l’arte dello stUzzichinoManifestazione dedicata al mondo dell’aperitivo e dintorni, Aperitò si svolge a Torino, e non per ca-so. Proprio qui, infatti, l’aperitivo nasce e diventa appuntamento di tendenza, più di 200 anni fa, quando Antonio Benedetto Carpano comincia a produrre un vino bianco aromatizzato, oggi noto come il Vermouth di Torino. Da allora, cocktail e drink leggeri sono sempre più di moda. Il centro della città, con i suoi caffè storici e i nuovi lounge bar sono dunque pronti ad accogliere turisti e cu-riosi per bere un bicchiere e assaggiare sfiziose ti-picità piemontesi, o magari percorrere un ideale viaggio lungo lo Stivale, attraverso gli usi e i costu-mi dell’ora dell’aperitivo in tutta Italia. 21-24 giugno, Torino - Info: www.aperito.it

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Valle d’aostaBuona Per tutte Le stagioni Una volta la polenta veniva mangiata quotidianamente da queste parti. Oggi le occasioni per gustarla sono forse un po’ più rare… La Sagra che le viene dedicata offre dunque l’opportunità di riscoprire questo piatto della tradizione montana, che qui viene cucinato in svariati modi e accompagnato da altri prelibati prodotti gastronomici locali. L’occasione è quella giusta anche per visitare il piccolo e antico borgo di Doues.29 giugno - 1 luglio, Doues (Ao) - Info: www.regione.vda.it

campania il gUsto della solidarietàLa Sagra degli Antichi Sapori non è solo un appunta-mento con lo svago e il gusto. Certo, l’aspetto eno-gastronomico – con la possibilità di gustare piatti della tradizione come pettole e fagioli, stufato e bistecche di annutolo e zeppoline cresciute – è centrale, ma a es-serlo ancora di più è lo scopo umanitario della manife-stazione. Come tutti gli anni infatti i proventi vengono destinati alla cooperazione internazionale (l’edizione di quest’anno finanzierà il progetto “Istruzione e lavoro a Cochabamba”, in Bolivia). Da non perdere l’arriffa, asta popolare in occasione della quale ci si può davvero aggiudicare di tutto.28 giugno-1 luglio, Pignataro Maggiore (Ce)Info: www.unipopoli.org

siciliaLa tradizione Più antica Ad Alcara li Fusi si svolge la festa popolare più antica d’Italia, il Muzzuni, un rito propiziatorio alla fertilità della terra, un inno al rigoglio della natura, all’amore e alla giovinezza. Il termine muzzuni fa riferimento, probabilmente, alla brocca priva di collo (mozzata), o al grano che viene falciato e raccolto in fascioni (mazzuna) e, dal punto di vista religioso, a San Giovanni decollato (“con la testa mozzata”). La festa inizia all’imbrunire e prosegue per tutta la notte: ogni quartiere che ospita il Muzzuni viene animato con musiche e canti popolari. 24 giugno, Alcara li Fusi (Me)Info: www.comune.alcaralifusi.me.it

toscanaaltro che haPPy hoUr!Termina il 30 giugno a Firenze l’Enotour “Il Buono del Friuli” voluto da Attems e Levoni per restituire al rito dell’aperitivo il giusto ruolo. Nel piatto e nel bicchiere tipicità del Friuli caratterizzate da filiera corta, bontà, sicurezza e tracciabilità. Venti aperi-tivi all’italiana in venti tappe in giro per la penisola, documentati attraverso facebook, twitter e il blog dedicato (dove essere aggiornati sulle diverse date itineranti della manifestazione lungo tutto il mese e la penisola). In regalo il DiVin Norcino, un utile libricino che racconta “storie di vite e di arte nor-cina” e suggerisce il giusto abbinamento tra i vini di Attems e i salumi di Levoni.30 giugno, FirenzeInfo: http://ilbuonodelfriuli.attems.it

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appuntamenti in breve

1 Borgo in festa Festival artistico e culturale che propone il confronto e lo scambio con comunità provenienti da tutto il mondo. 1-3 giugno, Borgagne (Le) – PugliaInfo: www.borgoinfesta.it

2 Vini nel mondoLa kermesse mette in contatto il grande pubblico con le migliori cantine e con-sorzi di prodotti Dop e Igp. Il tutto in uno scenario incantevole: le stradine della città del Festival dei Due Mondi. 1-3 giugno, Spoleto (Pg) – UmbriaInfo: http://vininelmondo.org

3 Sagra del pescato di paranzaRassegna enogastronomica dove gustare ottime fritture di pesce azzurro fresco, pasta e fagioli con cozze, frittelle di alghe, dolci ti-pici accompagnati da buon vino locale. 1-3 giugno, Castellabate (Sa) – CampaniaInfo: www.comune.castellabate.sa.it

4 Italia in rosaEvento dedicato ai vini rosati giunto alla quinta edizione, allestito nella splendida cornice dei giardini a lago di Villa Bertanzi.1-3 giugno, Moniga del Garda (Bs) – Lombardia Info: www.italiainrosa.it

5 Regata storica delle Repubbliche MarinareIn gara quattro galeoni in rappresentanza di Venezia, Pisa, Genova e Amalfi, rico-struiti su modelli del XII secolo; a prece-derla un variopinto corteo in costume. 3 giugno, Amalfi (Sa) – Campania Info: www.comune.amalfi.sa.it/regata

6 Sagra del tartufo di Sardegna Presso il Parco di Aymerich, degustazione e vendita del prodotto diffuso nella zona di Laconi. 3 giugno, Laconi (Or) – Sardegna Info: www.comune.laconi.or.it

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7 Sagra dell’abete Festa che più di ogni altra rispetta i riti e i gesti di una tradizione atavica che rimanda ai mitici riti celtici.8-13 giugno, Rotonda (Pz) – BasilicataInfo: www.alparcolucano.it

8 Borgo in festa Lo spirito del Medioevo rivive tra flora e fauna nel parco, mentre attorno al maniero è tempo d’estate tra festa, danze e degustazioni.9-10 giugno, Gazzola (Pc)Emilia-RomagnaInfo: www.castellodirivalta.it

9 Merano Vitae Festival della Salute. In programma ap-puntamenti dedicati al benessere psi-cofisico. 9-24 giugno, Merano (Bz) Trentino-Alto AdigeInfo: www.meranodintorni.com

10 Mostra mercato di animali, arti e mestieri Ritorna il mercatino tipico che aveva luogo due secoli fa. A Piazzale Trento i prodotti artigianali si uniscono ai giochi e al diverti-mento. Viene anche data una dimostra-

zione di lavorazione del latte e di produ-zione di formaggio fresco e ricotta.10 giugno, Aviano (Pn) Friuli-Venezia GiuliaInfo: www.comune.aviano.pn.it

11 Sagra dei Misteri Durante il Giorno del Corpus Domini, sfila-no le macchine dei Misteri, attraverso un percorso rituale che ha inizio nel centro sto-rico della città. Prodotti tipici in vendita. 10 giugno, Campobasso – MoliseInfo: http://turismo.provincia.campo-basso.it

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14 Sagra delle fettuccineLa fettuccina, pasta fatta a mano tipica del territorio laziale, realizzata con fari-na, uova e sale, è la protagonista degli stand gastronomici della festa.15-17 giugno, Grotte Santo Stefano (Vt) Lazio Info: www.prolocosantostefano.org

15 Festa del fioreIl Parco delle Crociere si trasforma in un giardino fiorito dove trascorrere un we-ekend da sogno per gli appassionati di piante e fiori. 16-17 giugno, Orbetello (Gr) – Toscana Info: www.comune.orbetello.gr.it

16 Fiascolata Al mattino esposizioni di bancarelle con prodotti tipici; alle 15 partenza della camminata enogastronomica sui sentie-ri locali. Prenotazione obbligatoria. 17 giugno, Dego (SV) – LiguriaInfo: www.comune.dego.sv.it

17 CinemadivinoRassegna di cinema in cantina che quest’anno, dall’Emilia Romagna, si estende a nuove regioni (dal Piemonte alla Sicilia). Tra i filari proiezioni in 35mm e degustazioni di buon vino.21 giugno-settembre, località varie Emilia RomagnaInfo: www.cinemadivino.net

18 InyconRassegna dedicata al vino siciliano.22-24 giugno, Menfi (Ag) – Sicilia Info: www.inyconmenfi.it

19 Giornata della lavandaPresso il Giardino delle Erbe sono in pro-gramma visite guidate ai “lavandeti” e atti-vità ludiche varie.23 giugno, Casola Valsenio (Ra) Emilia-RomagnaInfo: www.comune.casolavalsenio.ra.it

20 La Notte Magica La notte di San Giovanni e i suoi riti sono protagonisti presso il Museo delle Terre Marchigiane. 23 giugno, San Lorenzo in Campo (Pu) MarcheInfo: www.comune.sanlorenzoincampo.pu.it

21 Festa delle fate Evento in stile Fantasy: un magico mo-mento per riappropriarsi delle proprie ra-dici e per scoprire le tradizioni locali. 23-24 giugno, Garda (Vr) – Veneto Info: www.lafestadellefate.it

22 Sagra del riso Tanta musica, mercatino dei prodotti ti-pici e risotti per tutti i gusti. 23-24 giugno, Valle Lomellina (Pv) LombardiaInfo: www.sagradelriso-vallelomellina.it

23 B.A.CHA. Mostra dei birrifici artigianali italiani. Dal 30 giugno, Châtillon (Ao) – Valle d’Aosta Info: www.regione.vda.it

24 Sagra degli gnocchetti e fagioliSi degusta un menù a base di fagioli e sal-sicce, con il sottofondo di musica e balli. 30 giugno, Civita di Oricola (Aq) – AbruzzoInfo: www.oricola.terremarsicane.it

12 Concorso di cottura barbecue Si svolge presso il Peraga Garden Center il primo concorso nazionale di cottura barbecue, realizzato in collaborazione con BBQ4All, il blog di riferimento per gli amanti del grill.10 giugno, Mercenasco (To) – PiemonteInfo: www.peraga.it

13 Il PizzichendòPiramide umana ch percorre un itinera-rio prestabilito girando su se stessa, in onore di S. Antonio da Padova.12-13 giugno, Castellino sul Biferno (Cb) Molise Info: http://turismo.provincia.campobasso.it

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34 L’Italia che merita: Villa ErbaDopo sei secoli di fascino e splendore, la storica tenuta sul lago di Como oggi vuol rilanciarsi come location per grandi eventi

36 Ospitalità ItalianaLa storia, d’amore e di fornelli, del ristorante italiano Di Bartolo in Costa Rica, uno dei 7 migliori al mondo premiati da Unioncamere

38 Il personaggio: Chiara SoldatiNel 2009 è stata nominata “Amazzone del Lavoro”: la cugina del grande Mario oggi ci racconta le sue passioni per la terra e il vino

40 L’indagine: turismo e culturaBeni monumentali a pezzi e presenze turistiche in calo. In Italia ovunque è emergenza-paesaggio: la denuncia del FAI

44 Lo studio: scelte di viaggio Nelle vacanze di coppia prevale il fascino delle cantine: a Venezia e Parigi gli italiani infatti preferiscono la Valpolicella e il Barolo

Panorama

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storie dall’Italia che merita

Atmosfere da Belle époque e panorami moz-zafiato. A pochi passi da Como, affacciata sulle sponde del Lario e immersa nella location ele-gante e briosa di Cernobbio, Villa Erba – una delle più importanti ville di lago italiane – con-serva intatto il fascino di una dimora aristocratica d’altri tempi, una magnifica tenuta di foggia ot-tocentesca, impreziosita da un meraviglioso par-co pianeggiante di 100mila metri quadri (con at-tracco sul lago) che sembra un inno alla natura. La villa padronale, fulcro di tutto il complesso, al suo interno racconta di arte, cultura e mondani-tà. Dalle sue stanze, per volere della facoltosa fa-miglia Erba dell’omonimo gruppo farmaceutico (che all’inizio del secolo scorso la acquisì per far-ne il simbolo della propria agiatezza) sono passati infatti musicisti, architetti e intellettuali di fama, ed è tra queste mura che negli anni 70, il mae-stro Luchino Visconti, figlio di Carla Erba, portò a termine il montaggio del suo capolavoro cine-matografico Ludwig. La torretta panoramica, le finestre con vista sul lago che sembrano piccoli dipinti, i soffitti con gli antichi e preziosi affre-schi, i fregi, le opere d’arte, lo stile architettoni-co arieggiato e sfarzoso: tutto qui ricorda, in ogni istante, una storia che affonda le sue radici nel XV secolo, da quel monastero di Santa Maria Assunta di Cernobbio che sorgeva laddove oggi si staglia, solenne, il compendio di Villa Erba. Un passato sontuoso e un futuro che vuole aggiungere altre pagine di fasti e magnificenze a una vicenda di bellezza, gusto e bel vivere lunga sei secoli. Do-po essere stata trasformata in un polo espositivo e congressuale, Villa Erba è infatti oggi una sor-ta di lussuosa scenografia a cielo aperto, vocata a ospitare grandi eventi.

Ospitalità su misuraUna mission all’altezza del suo lignaggio, per il cui rilancio è stato chiamato un personaggio di altret-tanto blasone professionale: ovvero Jean-Marc Droulers, figura di spicco del management turi-stico internazionale e artefice, tra le altre cose, del successo della più nota Villa d’Este. Classe, stile, charme di sapore antico, esperienza e professio-nalità: Droulers sembra avere tutte le caratteristi-

Villa Erba: lo scrigno sul lago,

caro a ViscontiDa qui sono passati industriali, musicisti e intellettuali. Oggi, la splendida tenuta di Cernobbio, sulle sponde

del Lario, è una lussuosa location per grandi eventi, la cui gestione è stata affidata a Jean-Marc Droulers,

l'uomo che ha fatto grande Villa d'Estedi Domenico Marasco

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che per affrontare e vincere questa nuova scom-messa. «Ho accolto la sfida fin dall’inizio con entusiasmo – dice – in quanto parliamo di un po-sto unico al mondo. La villa non permette l’ospi-talità di persone ma solo di convegni e congressi. E noi rendiamo unici questo tipo di incontri. Ab-biamo una vista che è tra le più belle del lago di Como, un atrio alto e impressionante con deco-razioni del periodo rinascimentale in stile Umber-tiano. Affacciandosi da ogni finestra si rimane a bocca aperta, in quanto si apre alla vista un pae-saggio unico. È in questa cornice d’eccellenza che ospitiamo fino a 1500 persone a cena, facendole sentire come a casa propria per quanto riguarda la riservatezza». Per garantire il pernottamento ai suoi ospiti, Villa Erba si appoggia a una rete di al-berghi di lusso convenzionati e dislocati nei din-torni del centro congressuale. «Si tratta di strut-ture pluristellate, alcune distanti appena 10 minuti a piedi da Villa Erba, altri raggiungi-bili in battello con una piccola e roman-tica gita sul lago», spiega ancora Drou-lers. «Per quanto concerne invece i menù, abbiamo deciso di essere molto flessibili e andare incontro alle esigenze del cliente, utilizzan-do ad hoc le aziende che soddisfa-no la richiesta. Ci piace operare, in sostanza, come un sarto. Assecon-dando il cliente, piuttosto che dargli so-lo ciò di cui disponiamo. Siamo comunque in grado di offrire agli ospiti sia la scenografia che gli impianti audio. Per le convention, quando il cliente arriva da noi è servito da cima a fondo. Chi ci sceglie lo fa per la cornice unica che offriamo, non lontana da Milano oltretutto, e quindi servita molto bene da aeroporti e autostrade, per l’am-bientazione del lago pre e post convegni che ga-rantisce shopping e ristorazione di qualità, e poi, per il panorama! Da noi si vede il lago stretto e la montagna in totale riservatezza e fino alle 5 del mattino si può ballare in libertà».

Rilanciare il turismo in Italia? Si puòMonsieur Droulers, per finire, alla luce della sua esperienza ma anche delle sue origini francesi, le

chiediamo se, a suo parere, l’Italia è in grado di vincere la sfida della ricetti-

vità turistica con la Francia e, se sì, come? «La sfida l’Italia la può vincere perché possiede tante professionalità. Dovrebbe però uniforma-re l’offerta qualitativa con più catene alberghie-re con criteri rigidi. Le cucine devono essere tenute pulite e nella categoria deve esserci più rigore. Infine deve nascere un sistema di sorve-glianza veramente puntuale».

Quale suggerimento darebbe invece al nostro ministro del Turismo?«Bisognerebbe rivalorizzare l’Enit e le Apt, era un sistema che funzionava benissimo. Ma biso-gna farlo risorgere senza le grinfie della politica e premiando i più bravi che, mi creda, ci sono».

Gli eleganti esterni e i sontuosi interni della Villa. Qui Luchino Visconti completò il suo capolavoro, Ludwig. A sinistra: Jean-Marc Droulers

«Villa Erba è un posto unico al mondo. Affacciandosi da ogni finestra si rimane a bocca aperta, quando si apre alla vista quel paesaggio unico sul Lago di Como»

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di Gilda Ciaruffoli

Proprietario del Di Bartolo Ristorante & Enoteca Italiana di Escazù, località nel cuo-re del Costa Rica, in poco più di 10 anni Car-lo Di Bartolo ha realizzato i suoi sogni più grandi. «Sono uno chef italiano con 35 anni di esperienza. Sin dall’inizio della mia carriera ho pensato che forse un giorno, in chissà qua-

Protagonisti dell’avventura sentimental-gastronomica di Carlo Di Bartolo in Costa Rica sono la passione per

la cucina italiana e quella per Catalina. E in entrambi i casi, la perseveranza dello chef è stata premiata

Storia d’amore (e di fornelli) le parte del mondo, avrei avuto un mio risto-rante, magari famoso...». E in effetti le cose per Di Bartolo sono andate proprio così. Recente-mente insignito del Premio Ospitalità Italiana – Ristoranti Italiani nel Mondo, fra “i Magnifi-ci 7” ristoranti italiani all’estero più votati da esperti e avventori per l’eccellenza dell’offerta complessiva, il Di Bartolo Ristorante & Eno-teca Italiana è però solo l’ultima tappa di un cammino fatto di speranze, duro lavoro e ri-sultati via via sempre più entusiasmanti. Ap-prodato in Costa Rica nel 1993 dopo anni di esperienza in Italia e negli Stati Uniti, Di Bar-tolo si innamora di questa terra e inizia a cre-dere che forse, proprio qui, riuscirà ad aprire il suo ristorante. Dopo 5 anni da executive chef arriva la decisione di aprire la propria attività

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a Escazù, complice l’incontro con Catalina, ot-tima pasticcera che di lì a poco diverrà anche sua moglie. «Decidemmo insieme, nel 1998, di aprire un piccolo caffè-gourmet con prodotti esclusivamente importati dall’Italia», ci raccon-ta Di Bartolo. «Nel 2000, dopo 2 anni di succes-si, pensammo di realizzare un vero ristorante offrendo ai nostri clienti un menù di soli piatti tipici della tradizione italiana. Successivamen-te, non ancora soddisfatto, ho deciso prima di ingrandire il locale e di proporre nel menù an-che una varietà di pizze e focacce, e successiva-mente di creare uno spazio privato per la clien-tela più esigente. Nel 2005, per distinguermi ancor di più dall’offerta di altri ristoranti che cominciavano a proporre cucina italiana, decisi di realizzare una grande ed esclusiva cava di vi-ni italiani». Un’ascesa continua quindi, che ha il suo apice nel 2006, «l’anno della svolta». Ci spiega infatti Di Bartolo: «mi venne offerta la possibilità di acquistare una proprietà di 1.100 mq accanto al ristorante. Pensai fosse un segno del destino: era arrivato il momento di portare a compimento il mio sogno. Iniziai da subito a disegnare e progettare personalmente il nuovo – e attuale – ristorante. Dopo 18 mesi di lavo-ri su questa proprietà venne creato un locale di 750 mq con 3 saloni, una nuova cava esclusi-vamente di vini italiani (oltre 100 etichette) e 3 distinte aree: formale, informale ed enoteca/pizzeria». La realizzazione di un sogno! «Tut-to questo – conclude lo chef – è stato possibile grazie al costante lavoro, alla mia famiglia, alla fiducia dei miei clienti e non ultimo ai prodotti enogastronomici italiani che fin dall’inizio ho promosso. Tutto ciò mi ha permesso di trasfor-mare un piccolo caffè-gourmet in uno dei più grandi ristoranti del Centro America offrendo una struttura importante e una combinazione straordinaria di elevato livello gastronomico con una carta dei vini unica nel suo genere in questo contesto geografico».

In queste pagine, interni ed esterni del Di Bartolo Ristorante & Enoteca Italiana e,

a destra, lo chef Carlo Di Bartolo in azione

“Ricevere il premio Ospitalità Italiana è stato un onore non solo come chef, ma soprattutto come italiano. Essere riconosciuto dal mio paese è una grande emozione, e sentirsi ambasciatore della sua gastronomia è un motivo di orgoglio”

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Parente del grande Mario Soldati, ha tradotto il ver-bo del sommo cugino realizzando insieme alla sua famiglia un’azienda di vino dove tutto ruota intorno alla qualità e all’innovazione nel rispetto della tradi-zione. La sua tenuta, La Scolca, ha 95 anni e il passa-to e il futuro vi convivono coniugando al meglio la naturalezza di chi vive in questo mondo da sempre con la rapidità di coloro che guardano avanti con la lungimiranza di capitani coraggiosi. Mai come nel caso della famiglia Soldati i nomi hanno un signifi-cato simbolico: quello dell’appezzamento derivava dall’antico toponimo Sfurca ovvero “guardare lon-tano” e la cascina che vi sorgeva era stata in passato appunto una postazione di vedetta; il cognome poi rispecchia in pieno il carattere fiero della famiglia, per la quale la ricerca della perfezione e del “bel pa-ese nascosto” è stata sempre una peculiarità. Chiara Soldati ha ricevuto nel 2009 l’importante premio Donna dell’Anno – Amazzoni nel lavoro, e per molti anni ha ricoperto l’incarico di Presi-dente del Movimento Turismo del Vino del Pie-monte. Chiara rappresenta la quinta generazione nell’azienda di famiglia.

Chiara Soldati, ci racconta la storia della sua fami-glia e cosa rappresenta per lei il Gavi?Per spiegare cosa rappresenta per me il Gavi non posso prescindere dal mio vissuto personale in quanto l’infatuazione verso questo fazzoletto di terra a ridosso della Liguria si tramanda ormai da cinque generazioni e in ogni passaggio di testimo-ne, inevitabilmente, la fusione con questa magica realtà è totale e, forse, sta proprio in questo invisi-bile legame il segreto di tanta caparbia passione. La nostra tenuta è stata acquistata tra il 1917 e il 1919 dal bisnonno di mio padre, Giorgio Soldati. Al mo-mento dell’acquisto, la proprietà era in parte co-perta da boschi, in parte coltivata a grano. Fu un’in-tuizione ben studiata piantare nel 1900 vigneti di Cortese in un territorio esclusivamente vocato alla coltivazione dei vigneti a bacca rossa.

Cosa significa essere una produttrice vinicola?Nulla ha più senso della passione. Per vivere piena-mente la propria vita e il proprio lavoro non si può prescindere dall’avere come motore e ispirazione

Soldati e Gavi, un binomio che da quasi un secolo è sinonimo di ricerca della perfezione. Chiara,

già “amazzone” del lavoro e a lungo presidente dell’MTV Piemonte – nonché cugina dello scrittore

e regista Mario Soldati –, ci racconta la storia della tenuta La Scolca attraverso ricordi d’infanzia,

tradizioni familiari e citazioni letterarie

di Roberto Rabachino

ilpersonaggiodelmese

Una donna in lotta per “la poesia della terra”

Chiara Soldati

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una grande emozione. Il vino per me è una gran-de passione che si ripete ogni anno nel momento della vendemmia. Un ciclo che si rinnova portan-do con sé una affascinante gioia nel veder nascere il frutto di tanti mesi di lavoro. La stessa passione che si prova nel proporre e descrivere un mondo speciale nascosto dietro a ogni assaggio. Dopo una rigida e puntigliosa formazione professionale, e ri-percorrendo le mie “prime” 18 vendemmie, posso oggi constatare quanto questo cammino sia stato intenso e abbia donato buoni frutti. E come dice-va il cugino Mario Soldati “il vino è la poesia della terra”. Questo pensiero accompagna le mie gior-nate di lavoro ed è uno stimolo a ricercare sem-pre la sorpresa e lo stupore anche nelle azioni più scontate del nostro lavoro di produttori.

Il ruolo del vino nella sua vita?Mi piace molto un verso di Garcia Lorca in Ode al Vino: “Amo sulla tavola, quando si conversa, la luce di una bottiglia di intelligente vino”. Questo per me è il ruolo del vino: accompagnare la nostra vita.

Secondo lei cosa deve trasmette-re un vino?Il mio preferito è quello che riesce a scaturire emozioni attraverso l’as-saggio. L’apprezzamento del vino è in parte una dote naturale. Il vino deve offrir-ci spunti di riflessione. Napoleone diceva: “nella vittoria lo meriti, nella sconfitta ne hai bisogno”.

Qual è il regalo più grande che suo padre le ha fatto in questa lungo cammino professionale?Il rispetto di tradizioni e consuetudini, che mi ha trasmesso mio padre Giorgio con la sua gui-da e la sua esperienza, è un patrimonio inaliena-bile nonché intoccabile per me, ma l’influenza di questo passaggio generazionale al femminile ha comunque lasciato, già in questi diciotto an-ni del mio lavoro, dei segni tangibili che auguro possano essere l’inizio di un cammino lungo, di soddisfazione e di rinascita per il Gavi, in una nuova luce di successi. Guardandomi alle spal-

le e pensando alla lungimiranza del fondatore e di quanti ci han-

no seguito sulla via del Gavi, sen-to una naturale responsabilità a prose-

guire una scommessa che ha radici profonde quanto quelle delle nostre vigne.

Come trascorre il tempo lontano dai vigneti?Oltre a viaggi di lavoro che mi portano a scopri-re sempre nuovi mercati, nuove mete e soprat-tutto incontrare nuove culture, il tempo libero è dedicato a mio figlio e a molto sport condiviso con lui: vela, canoa, golf, sci e tiro con l’arco.

Il suo vino preferito? Prediligo i vini bianchi come il Gavi, lo Cha-blis e il Sauvignon, oltre ad alcuni vini rossi di grande fascino dotati di una complessa strut-tura tra cui il Barolo o i Bordeaux.

Nulla ha più senso

della passione. E il vino per me

è una grande passione che si ripete ogni anno

al momento della vendemmia

Un sorridente ritratto di Chiara Soldati, suo padre Giorgio e la moglie Luisa

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C’era una volta l’Italia del Grand Tour, quella sognata e anelata dai

rampolli aristocratici di mezza Europa, quella vissuta, amata e raccontata dai più il-

lustri uomini di lettere del tempo. Giovani dan-dy, aspiranti scrittori e virgulti di famiglie facoltose,

nell’arco dei tre secoli che vanno dal Seicento all’Ot-tocento, fecero a gara per approdare – dall’Inghilterra, dal-

la Spagna, dalla Francia, persino da Oltreoceano – sulle itali-che sponde, meta ideale di quel viaggio “iniziatico” – laico, dotto,

sentimentale – che, a suggello degli studi universitari, doveva spa-lancare loro le porte alla vita, affinandone i modi e aprendone la mente.

Di quel Paese, meta ideale fino all’800 per aristocratici e scrittori, è rimasto ben poco. Oggi, come denuncia il FAI, è emergenza paesaggio ovunque. E la Francia ci ha superati in presenze turistiche, “facendo rete”. Quello che non abbiamo saputo fare noi

Beni culturali: l’Italia cade a pezzie il turismo arranca di Francesco Condoluci

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l’indagine

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Pompei ed Ercolano, Roma, Firenze, Venezia e la Sicilia erano solo alcune delle tappe obbligate di quel “tour d’istruzione e formazione” nel Paese che era unanimemente considerato summa di ar-te, cultura, storia, antichità e letteratura, e che fin dal XVI secolo era stato fonte irresistibile di richia-mo e attrazione per artisti, studiosi, intellettuali, pellegrini, mercanti, gentiluomini e avventurieri provenienti da ogni dove. Era, quella, l’Italia delle cento città e dei mille territori ancora tutti da sco-prire, l’Italia del sole, del mare e del bel vivere, l’Ita-lia dell’amore sacro e dell’amor profano, il paese del Rinascimento, la culla delle civiltà che hanno fatto la storia, capace di far innamorare i cuori e le penne di poeti e viveur come John Keats, George Byron, William Wordsworth e Percy Shelley, di scrittori come Dickens, Goethe, Stendhal ed Hen-ry James, di viaggiatori come Lear e Gissing, di in-tellettuali come Madame de Stael. Tutta gente che di quei viaggi (in qualche caso fatti anche a piedi) ha lasciato testimonianze scritte, diari, guide ed epistolari che, negli anni a seguire, hanno fatto da vero e proprio strumento di marketing ante litte-ram per la promozione turistica dello Stivale. Dai tempi degli ultimi Grand Tour (la definizione è di Richard Lassels nel suo An Italian Voyage del 1698) ai giorni nostri è passato più di un secolo, e, certo, dello spirito che informava quel turismo in-

ternazionale d’antan, oggi in Italia è rimasto ben poco. Difficile riconoscere, in effetti, l’attuale fo-tografia del nostro patrimonio storico, ambientale e monumentale nell’immagine romantica lascia-taci dai grandtourists nei loro scritti. Malgrado l’ultimo secolo ci abbia regalato svilup-po, benessere e industrializzazione, i nostri beni culturali oggi cadono a pezzi, il paesaggio è stato in larga parte brutalizzato, l’ambiente deturpato o, peggio, sacrificato sull’altare di interessi econo-mici. Il paese tanto decantato da Goethe e Byron, insomma, va sempre più scomparendo. I crolli di Pompei, che nel novembre 2010 ci hanno messo alla berlina in tutto il mondo, non sono che la pun-ta dell’iceberg di una gestione del patrimonio cul-turale nazionale a dir poco disastrosa e che inevi-tabilmente, alla lunga, si è tradotta anche sul piano turistico in una crisi che i numeri riescono solo parzialmente a raccontare – nel 2010, in termini di viaggiatori stranieri, la Francia ci ha quasi dop-piato: 80 milioni di presenze contro i nostri 45 –, ma che forse è ancora più evidente nei fotogram-mi della Napoli sommersa dai rifiuti e dei lavori eterni sulla Salerno-Reggio Calabria, nell’obsole-scenza dei nostri sistemi museali, o nei continui richiami al governo italiano da parte dell’Unesco perché i 44 patrimoni dell’Umanità presenti nel Paese abbiano maggiore tutela.

Il patrimonio culturale nazionale:

•46.025 beni architettonici

•5.600 siti archeologici

•4.340 musei

•110 archivi di stato

•12.300 biblioteche

•8.500 borghi storici

In apertura a sinistra, gli interni diroccati della Reale Tenuta del Carditello in Campania. Sopra, da sinistra, l’area archeologica di Sirmione e l’ingresso della Rocca della Verruca nel Pisano

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La parola a Ilaria Borletti BuitoniAbbiamo provato ad analizzare lo status quo del patrimonio artistico e la crisi del turismo culturale con la presidente del Fondo Ambiente Italia (FAI), Ilaria Borletti Buitoni, autrice, tra l’altro, di un recente e interessante pamphlet, “Per un’Italia possibile, la cultura salverà il nostro Paese?” edito da Mondadori che, attraverso un viaggio nel territorio, cerca di individuare errori e responsabilità e delineare le possibili vie d’uscita.

«Negli ultimi 20 anni, la gestione dei beni cul-turali in Italia non c’è proprio stata – attacca la presidente del FAI – non s’é fatto pressoché nulla per incentivare, ad esempio, la collabora-zione coi privati al fine di mantenere e preser-vare il nostro patrimonio artistico. Al contrario, si fa di tutto per scempiarlo: penso ad esempio alla nuova discarica di Roma che si vorrebbe costruire a 1,5 km da un sito di grande valore archeologico. Altri esempi di disastri, oltre al notissimo caso-Pompei, sono anche quelli del Parco del Vesuvio o della Valle dei Templi, do-ve qualcuno vorrebbe mettere all’asta il mar-chio: un’assurdità inaudita».

Dove si annidano le colpe di questa gestione, anzi di questa non-gestione disastrosa?«Sarebbe facile prendersela solo con chi ha, o ha avuto, responsabilità di governo. In realtà, questa crisi in cui si dibatte la nostra cultura ha radici più profonde e, per questo, è più difficile riuscire a invertire la tendenza. Il problema di fondo è che

in Italia la cultura non è al centro dello sviluppo. Le responsabilità politiche ci sono, ma nella mi-sura in cui la politica rappresenta il comune sen-tire del Paese e dei cittadini. Voglio dire: chi go-verna o ha governato ha le sue responsabilità, ma è indubbio che nemmeno gli italiani ritengano prioritaria la conservazione del patrimonio cul-turale nazionale. C’è una “distrazione” di fondo da parte dei cittadini, rispetto alla cultura. Colpa anche delle scuole che non educano più al rispet-to del patrimonio artistico».

Perché la Francia è davanti a noi nell’utilizzo del suo patrimonio culturale come driver economico? «Perché investe in cultura il doppio del Pil che in-veste l’Italia, e soprattutto, sa fare “rete”. Prendiamo il caso dei castelli della Loira: un patrimonio mo-numentale valorizzato anche attraverso la gastro-nomia, creando un modello virtuoso e attrattivo. Le ville palladiane del Veneto non sono meno bel-le e con meno potenzialità rispetto ai castelli della Loira, eppure su di esse non si è mai investito in maniera altrettanto intelligente. In Italia, inoltre, c’è un problema di infrastrutture: non si può investire in turismo se prima non si rende il Paese fruibile. In Francia gli investimenti organici tra ferrovie, stra-de e aeroporti sono stati pianificati anche in fun-zione del turismo. Da noi, arrivare in Basilicata è praticamente impossibile, così come in Calabria: come si può fare turismo con quelle strade? C’è da dire infine che i francesi sono tutti indistintamente fierissimi dei loro beni culturali: dall’ultimo dei cit-tadini fino al presidente della Repubblica».

Gli Sos emergenza paesaggio del FAI

Villa del Mirabellino – Realizzata nel 1776 e sita nel Parco Reale

di Monza, attualmente è vuota e in forte degrado

Villaggio Crespi d’Adda (Bg) – costruito dalla famiglia industriale

Crespi, è un bene Unesco ma risulta in parte abbandonato

Abbazia di S. Pietro al Monte a Civate (Lc) – Tra i siti romanici più

importanti del Nord Italia, vi incombe l’apertura di una cava

Area Archeologica di Sirmione (Bs) – I resti della villa romana nota

come “Grotte di Catullo “, sono inaccessibili al pubblico

Complesso dell’Osservanza di Imola (Bo) – Gioiello del ‘500,

il muro di cinta del convento è lesionato e rischia il crollo

Rocca della Verruca di Vicopisano (Pi) – Faceva parte

del sistema di difesa di Pisa Repubblica Marinara, vi lavorò

anche Leonardo, oggi versa in cattivo stato

Reale Tenuta del Carditello a San Tammaro (Ce) –

Abbandonata e invasa dai rifiuti della discarica adiacente e con

le decorazioni del ‘700 minacciate dall’umidità

Abbazia di San Lupo (Bn) – Risalente al IX secolo, e nota anche

come “Cimitero dei Morticelli”, attualmente è abbandonata

Villa Liberty di Bagnara Calabra (Rc) – Progettata nel 1912, fu la

prima abitazione antisismica in Calabria: oggi è disabitata

e in totale stato di abbandono

Grotte naturali dell’Addaura (Pa) – Custodiscono esempi di arte

rupestre sul Monte Pellegrino, chiuse al pubblico per instabilità

e pericolo di frane

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l’indagine

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Per un’Italia possibile Il FAI, Fondo Ambiente Italiano, è una fondazione

nazionale senza scopo di lucro che dal 1975, anno della sua nascita, ha salvato, restaurato e

aperto al pubblico importanti testimonianze del patrimonio artistico e naturalistico italiano. La

sua mission è infatti “promuovere una cultura di rispetto della natura, dell’arte, della storia e delle

tradizioni d’Italia”. Ma non solo: il FAI è impegnato concretamente nella difesa del paesaggio e dei beni

culturali attraverso un’azione di monitoraggio e di denuncia. Dal 2009, alla sua presidenza c’è Ilaria

Borletti Buitoni – erede di una delle grandi famiglie industriali milanesi – la quale ha raccolto il testimone

dalla stessa fondatrice del FAI ,Giulia Maria Crespi.

costruzioni. L’esempio della Lombardia è em-blematico: è stata permessa una cementifica-zione dissennata e priva anche di ogni elemen-tare regola di decoro e di buon senso. Purtroppo il paesaggio, in Italia, resta una percezione non collettiva e troppo legata a visioni individualiste e interessi particolari».

Qual è la ricetta per uscire da questa impasse? «Il primo passaggio da fare è quello di creare una rete “vera” del turismo in Italia. Non ci si può continuare a muovere in maniera del tut-to approssimativa e improvvisata, come succe-de oggi. La gestione turistica è troppo spezzet-tata. Avrebbe dovuto occuparsene l’Enit, ma non l’ha fatto. E così si verificano episodi come quello dell’amministrazione locale che ha in-vestito migliaia di euro per installare un cartel-lo pubblicitario “visit Metaponto” a Shangai, senza spiegare però dove si trova Metaponto. Al di là di queste assurdità, tutto ciò avviene perchè manca un coordinamento tra i sogget-ti preposti allo sviluppo turistico e tra questi e i vari livelli istituzionali. Bisognerebbe, ad esem-pio, collegare i musei statali con le altre realtà artistiche e la rete infrastrutturale. Rimodulare la gestione del territorio, impedendo agli enti locali di derogare alla normativa nazionale. E consentire invece ai privati di poter entrare nel-la gestione dei beni. Quello che è stato fatto nel Distretto Culturale della Valcamonica, con una gestione locale che pensa globale, può es-sere il modello giusto da seguire».

Gli italiani invece? Che approccio abbiamo con la nostra storia e la nostra cultura?«Questo Paese ha perso il senso dell’identità, l’avidità ignorante e vorace ha contagiato tutti. Al resto ci ha pensato la televisione che negli ultimi 20 anni ha letteralmente “imbastardito” gli italiani, inculcando modelli sbagliati e favo-rendo una deriva culturale deprimente. Le fa-miglie, la domenica, vanno a passeggiare nei centri commerciali invece che andare nei bo-schi o a visitare musei. Tutto questo non è ca-suale, ma frutto di strategie mirate di comuni-cazione che puntano a incentivare i consumi piuttosto che ad accrescere il bagaglio culturale delle persone. Sulla salvaguardia del paesaggio e del nostro patrimonio artistico urge una rifles-sione immediata e non più procrastinabile».

Lei, nel suo libro si scaglia anche contro le am-ministrazioni locali... «Il problema è che negli enti locali si confonde la cultura con l’evento. I fondi vengono dissipa-ti per finanziare sagre, invece di investirli nella crescita culturale. Per quanto concerne invece il degrado paesaggistico, l’altra grossa responsa-bilità degli amministratori locali è quella relati-va all’edificazione “selvaggia”. Ma anche qui c’è un problema di fondo: i comuni guadagnano sugli oneri di urbanizzazione e questo non fa altro che incentivare alla cementificazione. E nei comuni, le decisioni sono in capo ai geome-tri, i quali, con tutto il rispetto, non sempre han-no le competenze per mettere i paletti nelle

Il presidente FAI Borletti Buitoni. In alto: a sinistra rifiuti davanti alla Reggia di Carditello a San Tammaro (Ce) , a destra la Villa

abbandonata a Bagnara Calabra. Sotto: il villaggio Crespi d’Adda

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lo studio

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Valpolicella e Barolo battono Venezia e Parigi

Basta gondole veneziane, fontane romane e vie en rose parigine. Per un viaggio all’insegna della seduzione, 7 italiani su 10 preferiscono i centri dove si produce il buon vino alle classiche capi-tali europee. Il sole di giugno invita alle gite fuo-ri porta, e le coppie che si mettono in viaggio preferiscono il verde della Valpolicella (56%) e le colline del Chianti (51%) alla magia di città co-me Venezia (43%), Parigi (37%) e Roma (28%).

Nella scelta di un viaggio all’insegna della seduzione e del romanticismo, la nuova tendenza per le coppie italiane è quella di scegliere il fascino di cantine e aziende vitivinicole

dove gustare un buon bicchiere e ritrovare l’intimità

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Quanto è importante la seduzione in viaggio?Molto 37%

Abbastanza 25%

Dipende 17%

Poco 13%

Per nulla 8%

Quanto dovrebbe durare il suo viaggio ideale?Tre giorni 41%

Una settimana 21%

Più di una settimana 13%

Due giorni 12%

Un giorno 8%

Altro 5%

Cosa pretende lui durante il viaggio?Gusto a tavola 66%

Sensualità 51%

Relax 43%

Divertimento 37%

Altro 12%

Cosa chiede lei durante il viaggio?Tenerezze 53%

Galanteria 48%

Essere ricoperta d’attenzioni 37%

Complicità, rimanere sola con lui 25%

Altro 8%

Cosa non sopporta lui in viaggio?Ricevere troppe domande o richieste 44%

Eccesso di sdolcinatezza 31%

Alzarsi presto la mattina per uscire 27%

Andare in giro per negozi 21%

Visitare musei 17%

Altro 8%

Secondo la maggioranza (37%) la sedu-zione in vacanza è un fattore molto impor-tante. Il viaggio ideale per 4 italiani su 10 (41%) dovrebbe durare tre giorni, ma c’è anche chi preferisce passare una settimana (21%) o più di sette giorni (13%) lontano dalla routine quotidiana. Ogni innamora-to avanza le sue pretese: lui in particolare richiede gusto a tavola (66%), sensualità (51%), relax (43%) e divertimento (37%), mentre lei predilige tenerezze (53%), ga-lanteria (48%), essere ricoperta d’attenzio-ni (37%), e complicità (25%). Cosa evitare in vacanza? Lui non sopporta di ricevere troppe richieste (44%), l’eccessiva sdolci-natezza (31%), alzarsi presto la mattina (27%) e passare troppo tempo in giro per negozi (21%), mentre lei non gradisce la superficialità del suo uomo (51%), detesta se lui guarda troppa tv o passa tanto tem-po su internet (45%), così come visitare posti prettamente maschili (36%) e le chia-mate al telefono di amici e colleghi (24%). A mettere tutti d’accordo è la strategia adottata per conquistare il proprio part-ner: 7 italiani su 10 (69%) per stregare il partner ritengono che la scelta migliore sia quella di offrire un buon bicchiere di vino, perché davanti al giusto calice ci si scioglie (39%), si ricrea un’atmosfera più romanti-ca (28%) e si accompagnano le pietanze della cena romantica con gusto (18%). Le mete più gettonate? Valpolicella (56%) e Chianti (51%) vengono preferite a Venezia (43%), Parigi (37%) e Capri (31%).

È quanto emerge da uno studio promos-so dalla rivista VdG Magazine, condotto tramite interviste web a oltre 1.100 uten-ti donne di blog, forum e community loro dedicate, alle quali è stato chiesto quali so-no i segreti della seduzione in viaggio.

Sette italiani su dieci ritengono che la strategia migliore per stregare il partner sia quella di offrire un buon bicchiere di vino

Cosa non sopporta lei in viaggio?La superficialità del partner 51%

Lui che guarda più la tv o internet invece di stare con lei

45%

Visitare posti prettamente maschili (stadi, negozi sportivi)

36%

Le chiamate al telefono di amici o colleghi di lavoro

24%

Altro 6%

Qual è un modo per riconquistare il partner in vacanza?Offrire un buon bicchiere di vino, magari direttamente dove lo si realizza

69%

Riempirlo di complimenti e attenzioni 53%

Organizzargli una cena da favola 41%

Fargli un regalo speciale, che non dimenticherà mai

37%

Altro 14%

Perché il vino rappresenta la scelta giusta per conquistare il partner?Perché davanti al gusto di un buon bicchiere di vino ci si scioglie

39%

Il vino crea l’atmosfera più romantica 28%

È il miglior modo per accompagnare con gusto le pietanze

18%

Mette di buon umore 17%

Altro 6%

Qual è la sua meta preferita?Valpolicella 56%

Chianti 51%

Venezia 43%

Barolo 39%

Parigi 37%

Capri 31%

Viareggio 29%

Roma 28%

Piombino 23%

Taormina 19%

Qui in alto, il borgo di Barolo, tra le mete preferite dalle coppie più romantiche

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50 Val Fiscalina (Alto Adige)

56 Grado (Friuli Venezia-Giulia)

60 Val Maira (Piemonte) 64 Val Camonica (Lombardia) 68 Monti Sibillini (Marche)

72Valle del Turano (Lazio)

76 Appenino Molisano

80 Sannio (Campania)

86Valle d’Itria (Puglia) 90 Maratea (Basilicata)

94Borghi grecanici di Calabria 98 Laghi di Sicilia 102 Ogliastra (Sardegna)

Speciale Vacanze

il belpaesenascosto

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Valle Fiscalina,rifugio dei sensiAl riparo dal chiasso e dalla mondanità, questa piccola valle amata dai cervi e da Angela Merkel, con le sue cime, i rifugi, l’aria pura, i boschi, le acque termali e le sue delicatessen, sembra un’oasi di relax e meditazione fatta apposta per ritemprare il corpo e lo spirito. Un piccolo paradiso di montagna dove la natura si prende la sua rivincita sulla modernità

di Francesco Condoluci

il Belpaese nascostocover story

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È l’ultimo pezzo d’Italia a nordest dell’Alto Adige, il baluardo più avanzato sul confine austriaco del massiccio dolomitico dichiara-to patrimonio Unesco nel 2009. Per arrivare fin quassù, dovete risalire il Trentino, deviare a destra dopo Bressanone e attraversare tutta la candida Val Pusteria, passando per posti cari agli appassionati di sci come Brunico, Dobbiaco, San Candido. È lì, dopo aver percorso strade solitarie e piani montani sovrastati da spettaco-lari distese di alberi, che sotto i vostri occhi – a preludiare le guglie svettanti del Parco Naturale delle Dolomiti di Sesto – si aprirà la Val Fiscali-na, una delle valli più piccole, più belle, e meno conosciute del Sud Tirolo. Sulle sue cime imper-vie, che portano nomi da romanzo come Croda

Rossa, Croda dei Toni, Punta Tre Scarperi e Monte Paterno, durante la Grande Guerra si sfidarono in battaglie durissime i nostri alpini e i soldati austro-ungarici, i Kaiserjager, che di-fendevano i valichi impedendo ai nostri di sfon-dare in tutto il Tirolo. Una drammatica guerra ad alta quota (inedita, fino ad allora, in tutta la storia bellica) che non a caso è stata ribattezza-ta bellum aquilarum, la guerra delle aquile, a sottolineare l’audacia di quei militi costretti per mesi e mesi a vivere dentro le cenge (le cavità nella roccia, usate come punto di riposo) di que-sti monti fino ad allora inviolati, e combattere non solo contro i nemici, ma anche contro fame, slavine e il freddo impietoso dell’inverno dolo-mitico. Storie d’altri tempi, il cui ricordo, da que-

Trentino Alto Adige

Val Fiscalina

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Cibo&territorio In Val Fiscalina potete andare sul

sicuro, la cucina è semplice, sana, ricca e gustosa, adatta per ogni palato e soprattutto capace di

rinvigorire chiunque dopo le fatiche di camminate in alta quota e altre

attività sportive. Ovviamente, è impensabile non fare una tappa

gourmand nei rifugi dove l’odore del legno si unisce al profumo delle

frittelle ai mirtilli, al gusto intenso della selvaggina, della carne di cervo

e di grappe distillate in casa. Se avete molta fame, scegliete le patate saltate con uova fritte e pancetta ma

non scordate di assaggiare anche specialità come il graukáse, un

formaggio di latte acido prodotto con latte di vacca tirolese, i classici

canederli o i piatti al sapore di rafano che qui mettono praticamente

ovunque, lasciandovi infine uno spazio per i dolci tipici: gli strauben,

le frittelle tipiche tirolesi fatte con farina, uova, latte e zucchero. Ultima esperienza da consigliare: una cena,

magari a base di fonduta di carne, dentro una stube, le caratteristiche

stanze rivestite in legno delle abitazioni tirolesi.

Per una sosta piacevole a base di specialità locali consigliamo

il Rifugio Fondovalle (Tel. 0474710606, menù medio da 25 euro bevande escluse), il Rifugio

Gallo Cedrone, che vanta una splendida vista sulla meridiana di

Sesto (Tel. 3402334546) e il Rifugio Pollaio, vicino alla stazione a valle della cabinovia a 8 posti Signaue/

Croda Rossa.

ste parti, permane tuttavia ancora vivissimo e non solo nei reperti museali gelosamente custoditi dall’associazione Bellum Aquilarum nel Museo della Grande Guerra a Sesto: questa terra non di-mentica mai infatti di essere stata martoriata linea di confine nella prima guerra mondiale e poi an-nessa d’imperio all’Italia. Qui la lingua e la cultura, anche a distanza di quasi un secolo, sono rimaste (quasi) in tutto e per tutto tirolesi. Come i nomi dei suoi luoghi e dei suoi abitanti, che sono italiani solo per l’anagrafe e la geografia.

Vacanze regali: da Sissi a frau MerkelI conflitti però, grazie a Dio, sono finiti da un pezzo, e oggi, la Val Fiscalina (Fischleintal in tedesco) con i suoi monti, i suoi rifugi, i panorami mozzafiato, i

prati incantati, l’aria pura, i boschi da fiaba, le acque termali e i villaggi rimasti uguali a cent’anni fa, è una sorta di piccolo paradiso, un cantuccio di montagna pressoché incontaminato dove stress, telefonini, au-tomobili e cemento sono banditi, e dove la natura si prende la sua rivincita. Al riparo dalla mondanità chiassosa di Cortina, lontana da qui appena 30 km e nascosta alla vista dal profilo maestoso delle Tre Cime di Lavaredo che delimita il versante sud del-le Dolomiti di Sesto, questa piccola valle lunga ap-pena un paio di km, bagnata da freschi ruscelli e animata dai cervi che vi scorrazzano in branco, sem-bra un’oasi fatta apposta per il silenzio, il relax, l’oblio dei sensi, la meditazione. Boschi di larici, abe-ti, pini mughi e pini cembri ricoprono – anche oltre i 2mila metri – i suoi declivi, colorando l’orizzonte

il Belpaese nascostocover story

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di bianco in inverno e di verde in estate. File ordi-nate di candidi masi (le tipiche costruzioni locali), casette rigorosamente in legno e alberghetti di foggia tirolese intramezzano pendii verdeggianti così perfetti da sembrare tappetini da biliardo. Questa terra ha lo stesso effetto di un getto d’ac-qua fresca in una giornata di solleone: ti rigenera soltanto con l’armonia visiva e l’equilibrio estetico dei suoi panorami puliti e minimali. Regnanti e aristocratici d’ogni epoca e d’ogni bla-sone l’hanno eletta infatti, nei secoli, come buen retiro ideale per ritemprare il corpo e lo spirito. Ie-ri i cortigiani dell’imperatrice Sissi, che si facevano ospitare nei suoi ritempranti bagni di tradizione alpina, omaggiandone le terme salutari e i sentie-ri suggestivi e quieti che invogliano a lunghe pas-seggiate mattutine e postprandiali verso il Rifugio Comici o la Cima del Popera. Oggi, oltre ai reali di Svezia, ama rifugiarvisi – ammirata forse dalla sua elegante austerità molto poco italiana – la don-na più potente e temuta d’Europa, Angela Mer-kel, la cancelliera di Germania, spesso avvistata qui nei periodi di ferie estive.

Cavalli, carrozze e biciclette Di sicuro, frau Merkel, non si sarà fatta sfuggire l’occasione di sgambettare giuliva nel cuore del-la riserva naturale, lungo i viottoli che dal centro

FolcloreIn tutto l’Alto Adige, il legame degli abitanti con il territorio è fortissimo. Per identificare il senso della tradizione e l’amore verso le proprie radici e i propri antichi costumi, i residenti richiamano lo spirito dell’Heugabel, laddove il fieno (Heu) rappresenta i prodotti della terra e il forcone (Gabel) invece lo stile di vita dei contadini. A metà settembre, a San Candido, al “forcone da fieno” viene dedicata anche una festa che mette in mostra tradizioni gastronomiche e artigianali di qualità, come quelle delle pantofole tipiche sudtirolesi di pura lana vergine. Altro simbolo del territorio, in questo caso specifico della Val Fiscalina, sono i cervi che qui vivono in libertà. Cortesia, discrezione e gentilezza di chiaro stampo mitteleuropeo, infine, da queste parti sono la regola, ma se non volete correre il rischio di finire ricoperti d’improperi in tedesco, ricordatevi di non chiamare genericamente “Trentino” questo territorio. Siete in Alto Adige – Sud Tirolo. Non dimenticatevelo.

In queste pagine, alcuni scatti della Val Fiscalina. In particolare, in apertura e qui a sinistra, il borgo di Sesto. Nella pagina precedente, in basso, il profilo delle Tre Cime di Lavaredo che delimitano il versante sud delle Dolomiti di Sesto

di Sesto (Sexten) e dal Piano Fiscalino salgono fino alle porte del parco naturale delle Tre Cime per go-dersi infine, a oltre 1.500 m di altitudine, una vista delle Dolomiti di incomparabile bellezza. Facendo magari anche una sosta nei tanti rifugi disseminati tra questi monti, per lasciarsi accarezzare il palato dalle gustose delicatessen del luogo. Meta favorita, in inverno, dagli amanti dello sci di fondo e delle pas-seggiate sulla neve, nella bella stagione la Val Fisca-lina cambia pelle e diversifica la sua offerta turistica allargando la platea di visitatori anche agli aficiona-

dos della bici, che qui hanno la possi-bilità di provare la pista ciclabile che da Villabassa arriva fino in Austria, a Leinz (53 km complessivi, ma in lie-ve discesa e con possibilità di rientro

in treno) o quella più corta tra San Candido a Brunico, e agli appassionati di cavalli, per i quali vi è solo l’imba-razzo della scelta tra le ga-loppate nei boschi com-prese nei pacchetti messi a disposizione da hotel e rifugi. La vera chicca pe-rò resta la romantica passeggiata su una slitta di legno trainata da ca-

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PiaceriSport, passeggiate ed escursioni

ad alta quota, ma non solo. Il plus della Val Fiscalina sta

soprattutto nella sua capacità di abbinare alle attività fisiche, anche i trattamenti benessere

per la cura del corpo (e della mente). «Qui non curiamo i

malati, piuttosto aiutiamo le persone sane a rimanere sane» ama ripetere Erwin Lanzinger, il vulcanico proprietario dello

Sport & Kurhotel Bad Moos (via Val Fiscalina 27, Sesto Moso – Tel.

0474713100, www.badmoos.it), una delle magnifiche strutture ricettive, con annessa spa, della

Val Fiscalina. Il Bad Moos, situato ai piedi della Croda Rossa ed

edificato sulle ceneri degli antichi Bagni di Moso, è l’unico

hotel-centro benessere della zona a vantare anche una delle due sorgenti di acqua sulfurea presenti in tutto l’Alto Adige:

ricca di sali minerali, fluoro, magnesio e calcio, è alla base di numerosi trattamenti nella

Spa. Dove si può sperimentare un larghissimo spettro di cure wellness: dai massaggi classici

alla terapia kneipp basata sull’uso dell’acqua come fonte di

stimoli per risvegliare il sistema nervoso, dalla “magia delle

erbe” (trattamenti a base di erbe officinali altoatesine) ai fanghi,

dai massaggi all’essenza di larici e di cirmolo alle saune, ai bagni di

fieno. Camere in mezza pensione a partire da 136 euro a persona.

Al Kurpark, il parco giochi di Villabassa, da quest’anno è invece

possibile usufruire del primo inalatorio all’aperto in Italia che,

attraverso uno speciale sistema con salina, diffonde una piacevole

“ventata di mare” molto simile all’aria che si respira nelle

località marine e si presta quindi come lenitivo particolarmente efficace per allergie da pollini, asma, sinusite e bronchite. La

sistemazione prevede per 5 pernottamenti in hotel 3 stelle

e trattamento mezza pensione, un pacchetto parte da 399 euro a persona, in appartamento da 427 euro per due persone. Per

informazioni: Consorzio Turistico Alta Pusteria, Via Dolomiti 29 –

Dobbiaco, Tel. 0474913156.

valli, in pieno stile Impero. Se invece volete sa-lire su una vera carrozza degli anni Trenta, re-staurata all’uopo, dovete rivolgervi a Erwin Lanzinger, un rubizzo signore settantenne che ne dimostra, senza esagerare, venti in meno. Lui, oggi proprietario del Bad Moos, uno dei più ri-nomati hotel della valle, salta giù dalla slitta per arrampicarsi a piedi fino al rifugio di montagna, manco fosse un ragazzino in gita. Negli anni Ot-tanta, era il famoso patron dello Sport Club, la discoteca più “in” della zona: sulla sua pista da ballo è passato il meglio del jet-set internazio-nale che arrivava qui da Cortina d’Ampezzo. Il locale è chiuso ormai da anni, ma lì nel semin-terrato del rinnovato Bad Moos, Lanzinger ha lasciato tutto com’era, compresi i kitchissimi arredi e gli strob ormai fuori moda, facendone una specie di moderno sacrario che apre a po-chi, pochissimi eletti. Moos (Moso), peraltro, è anche il nome dell’ultimo paese della Fiscalina. La strada di accesso alla valle si interrompe po-co dopo, a quota 1.454 metri. Da qui in avanti ci sono solo cime da scalare e vedute da godere. E un sole che s’illumina d’im-menso dietro la Cima Uno che ancora porta su di sé i segni di quella frana che nel 2007 seminò panico e sassi, a valle, per fortuna senza conse-guenze. Ma non è tempo per pensare a cose tri-sti. Non qui, non ora almeno.

In questa pagina, dall’alto, un rilassante bagno di fieno, tra le proposte benessere offerte dallo Sport & Kurhotel Bad Moos, nella foto sotto. In fine un tipico maso, antica abitazione delle famiglie sudtirolesi

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Esperienza estrema in laguna

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Una donna dall’acconciatura e dall’abito antichi, circondata da un gruppo di bambini intenti a traf-ficare con reti da pesca e attrezzi da lavoro. Alle loro spalle una struttura di fango, canne palustri e quel poco di legno arrivato dal mare; ai loro piedi un lem-bo di terra strettissimo, fangoso, e tutto attorno l’acqua. La foto è in un bianco e nero ingiallito dal tempo. Lo scatto immortala un momento di vita quotidiana di una famiglia di pescatori gradese dei primi del ’900. La “struttura” è casa loro, o meglio, il loro casone. Iso-lato da tutto, in mezzo alla laguna. La foto è appesa alle pareti della sede di rappresentanza dell’Associa-zione Culturale Graisani de Palù di Grado, attiva nel preservare territorio e tradizioni lagunari. La sede si trova in un casone, per l’appunto, che dell’originale (dove passava le sue vacanze Pasolini) evoca però so-lo la forma, perché ricostruito con materiali “solidi” un tempo non accessibili ai pescatori. All’inizio del seco-lo scorso erano circa 1300 le persone che vivevano nelle oltre 200 isole della laguna, e che la curavano come fosse “l’orto di casa”. Sì, perché ogni lembo di terra doveva (e deve) essere continuamente arginato e protetto, altrimenti avrebbe rischiato l’erosione, e ogni casone andava continuamente “ristrutturato” perché composto di materiali altamente deteriorabi-li. «La vita era dura? Noi non ce ne accorgevamo, per-ché non ne conoscevamo altra», racconta un anziano membro dell’Associazione, che in un casone ha vis-suto fino ai 19 anni. «A 12 ero alto e robusto come sono adesso, molto più dei bambini che vivevano in paese; del resto remavo per chilometri, ogni giorno, per portare a vendere il pescato. Una volta trasferito sulla terra ferma, erano gli anni 50, pedalavo per ore, ogni giorno: era troppa l’abitudine, non riuscivo a sta-re fermo!». È proprio tra gli anni 50 e 60 infatti che,

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Qui sopra, il centro storico di Grado con i resti d’epoca romana che affiorano da Piazza Biagio Marin, da apprezzare passeggiando tra le calli della città vecchia

Recentemente inaugurato, il progetto di albergo diffuso

che vede protagonista l’isola di Grado offre al viaggiatore

l’opportunità di entrare davvero nella storia locale, assaporarne a pieno il territorio, sperimentarne

la meraviglia e la durezza. Abitando nei casoni, come

i pescatori del tempo che fu

di Gilda Ciaruffoli

dopo secoli (i primi a trasferirsi qui cercavano ri-paro dalle orde dei barbari invasori), la laguna si spopola e i casoni vengono dismessi, in attesa di essere ristrutturati e, infine, riportati a nuova vita proprio in questa estate 2012.

Metafisiche solitudiniNota con il nome di Isola d’Oro per la sua sabbia fine baciata dal sole, Grado, sorge in mezzo alla più settentrionale delle lagune dell’Adriatico che comprende circa 30 isole e copre una superficie di circa 90 chilometri quadri. Nelle piazzette e nelle calli del centro della cittadina – diviso in ri-oni, tra i quali il più caratteristico è Gravo vecio –, si respira la storia di quella che molti conoscono Grado

Friuli Venezia-Giulia

In apertura, la laguna e, qui, un tipico casone. Per vedere da vicino la ricca fauna lagunare, raggiungete in bici o a cavallo la Riserva della Valle Cavanata, dichiarata zona umida di valore internazionale per le 260 specie di volatili migratori che vi nidificano, passeggiata ideale per gli appassionati di birdwatching

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Cibo&territorioQuella gradese è una cucina

povera, quasi totalmente basata sui prodotti offerti dalla pesca

lagunare. A celebrarla il boreto a la graisana, piatto creato

dai pescatori della laguna e tramandato per generazioni,

originariamente realizzato con il pesce che non poteva essere

venduto al mercato. Tra ottobre e novembre una speciale rassegna

dedicata alla pietanza vede i ristoranti del castrum cimentarsi in

varie reinterpretazioni del piatto. A farsi notare in zona anche

l’asparago bianco di Fossalon Igp, che predilige i suoli sabbiosi, o

meglio misti (ottimi quindi quelli lagunari recuperati dalla bonifica) e viene raccolto tra aprile e maggio, quando si svolge la Mostra degli

asparagi di Fossalon. Impossibile poi non chiudere un pranzo

sostanzioso con un bicchierino di Santonego, impegnativo

digestivo alla cui base c’è una speciale qualità di assenzio marino,

pianticella perenne aromatica e con proprietà digestive. Lo si trova anche in vendita, ma per

berne uno di qualità aspettate che Mauro Tognon, patron de I Ciodi,

vi offra il suo, portando a tavola un bottiglione dalle dimensioni

spropositate. Il ristorante si trova sull’isola di Anfora, quella delle vecchie scuole, e lo si può

raggiungere solo via mare. Il menù è quello della tradizione, boreto in

testa. In alta stagione può essere affollatissimo: meglio prenotare.

Prezzo medio: 35 euro (www.portobusoaiciodi.it). Tutt’altro

tenore l’Antica Trattoria Alla Fortuna, in Via Marina 12. In

cucina lo chef Gunter Piccolruaz e Paolo Toso in sala, vi coccoleranno

con piatti che rivisitano la tradizione o con sfiziose ricette

originali, proposti con una gentilezza fuori dal comune

in ambiente raffinato. Da non perdere l’antipastino di affumicati con mostarda, miele e fiori eduli. Menù degustazione (5 portate):

50 euro (www.allafortuna.it)

come la madre di Venezia, nata in epoca romana come porto di Aquileia. Rinomata località di va-canza fin dal 1892, quando lo Stato Austro-Un-garico vi istituì l’azienda di soggiorno per pro-muovere la stazione balneare delle élites dell’impero, Grado vanta quindi 120 anni di tra-dizione turistica, che proprio quest’anno va ad ampliare l’offerta grazie alla recente inaugurazio-ne del progetto dell’Albergo Diffuso in laguna. Il primo nel suo genere in tutta Europa. Anche se, a dire il vero, il termine “albergo” inganna. Non si tratta di un comodo soggiorno all inclusive in un contesto pittoresco. Soggiornare in un casone si-gnifica davvero celebrare questo territorio, viver-lo nel modo meno artefatto possibile, immerger-si nella sua quotidianità, così come nello splendore e nella durezza della sua storia. A esse-re coinvolti al momento 5 casoni per 50 posti let-to, «che diventeranno un’ottantina, su 7 isole», come spiega Enzo Tirelli, Presidente della Coo-perativa Grado Albergo Diffuso Laguna d’Oro. «Questo tipo di vacanza è l’ideale per gli appas-sionati di laguna, già muniti di barca propria. È possibile comunque affittarne una anche in loco, visto che queste acque sono facilmente navigabi-li», prosegue Tirelli. «In ogni caso, alla base dell’of-ferta dell’Albergo Diffuso c’è il casone: ad essere

In alto, la laguna di Grado, in provincia di Gorizia (anche se qui si sentono veneziani); l’isola maggiore (dove si trova Grado), l’isola della Schiusa e l’isola di Barbana (nella pagina accanto), sono le più gradi e popolose. Sotto, il boreto

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PiaceriSono molteplici gli appuntamenti che scandiscono l’estate

gradese, dalle degustazioni “sotto le stelle” al Festival Laguna Movies, ai concerti in Basilica. Ricordiamo in

particolare, dal 18 al 24 giugno la Settimana Napoleonica, con la rievocazione della Battaglia di Grado del 1812; e, tra il 7 e l’8 luglio, il Sabo Grando e il Perdòn di Barbana, con il primo (il sabato grande) che segna l’inizio delle celebrazioni

del pellegrinaggio di imbarcazioni che da Grado va verso l’isola di Babana per sciogliere un antico voto.

Per pernottare, è già possibile prenotare attraverso il sito www.lagunadoro.it il soggiorno in un casone (con prezzi che vanno da 1500 a 3000 euro a settimana; oppure, per

una notte nelle vecchie scuole, i prezzi partono da 70 euro a persona). Per villeggianti più tradizionali, un ottimo indirizzo è quello delle Ville Bianchi (Viale Dante Alighieri,

50), primo insediamento del turismo austroungarico che si compone di una serie di caseggiati dall’eleganza d’inizio

secolo, dove in bassa stagione si dorme in doppia a partire da 120 euro. www.villebianchi.it

FolcloreRistrettissima, molto unita e ricca delle sole antiche tradizioni. Era così la popolazione di Grado fino a non molto tempo fa. Tanto unita e ristretta che i cognomi erano in fine sempre gli stessi e, per non creare confusione, le persone si conoscevano con i soli soprannomi; tanto legata alle tradizioni che quando a un pescatore analfabeta arrivò un pacco dall’America contenente un barattolo con una polverina nera, lui, senza porsi il problema, ne utilizzò il contenuto per preparare il boreto, convinto si trattasse del pepe necessario alla preparazione del caratteristico piatto. Erano invece le ceneri del nipote emigrato, ma lui lo scoprì facendosi leggere la lettera che accompagnava il pocco, solo dopo aver mangiato tutto il boreto! Innumerevoli poi le storie che si raccontano tra le antiche vie del paese, aneddoti tramandati di padre in figlio. Come quello triste e inquietante di Maria Josepha Auchentaller, figlia del pittore Josef Maria Auchentaller, amico di Gustav Klimt, trasferitosi da Vienna a Grado nei primi del ’900, e della moglie Emma. Di quest’ultima, donna intraprendente e passionale, si ricordano le tante relazioni più o meno segrete, più o meno conturbanti. Tra tutte quella con il promesso sposo della figlia, che per la disperazione di averla scoperta si suicidò, nella villa di famiglia presso l’Isola di Morgo, dove ancora riposa.

affittata – almeno per una settimana – è l’intera isolet-ta». Soli, nella più totale e straniante calma lagunare, è possibile rilassarsi, in un contesto davvero fuori da ogni immaginazione. Tutto attorno solo acqua, uccelli mari-ni, canne e qualche gatto che, ci assicura Tirelli, «riesce ad attraversare a nuoto la laguna per raggiungere l’iso-letta vicina!». Per periodi più brevi è possibile soggior-nare presso l’isola delle vecchie scuole. Oggi casette di-stinte, una accanto all’altra (6 camere per 12 posti letto), un tempo erano il ritrovo dei bambini della laguna, che i pescatori accompagnavano qui a lezione da maestre che sull’isola vivevano. Sembra un’altra epoca, ma tutto questo succedeva fino a poco più di 50 anni fa. E co-munque, anche oggi optare per una vacanza in laguna non è una scelta “semplice”. Va meditata bene, perché il contesto è di una bellezza radicale, quasi metafisica, affatto semplice. E bisogna fare i conti con la solitudine,

il silenzio pressoché assoluto, e la necessità pratica di tornare a riva per fare qualsiasi acquisto. Una pace da santi per alcuni, uno shock culturale per altri. Ma qual è il momento migliore per visitare, e volendo, soggior-nare in laguna? Ci spiega Enzo Tirelli: «a mio parere l’autunno, quando ricchezza di colori e fauna non han-no paragoni. Anche l’inverno riserva giornate splendide, ma quella sì che è una vacanza per uomini veri!». E l’estate? Per gli amanti dei tuffi non è necessario appro-dare sulle organizzatissime spiagge gradesi. Per quanto l’acqua della laguna non sia balneabile – perché sì puli-ta ma bassa e torbida – per riuscire tuffarsi è infatti suf-ficiente raggiungere (esclusivamente in barca) il cordo-ne litoraneo che divide la laguna dal mare. A parte le più affollate domeniche, perlopiù questa è un’oasi di acque limpide e di pace, con il vicino di barca ormeg-giato solitamente a non meno di 200 metri.

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Nel silenzio senza tempo della Val MairaSiamo in provincia di Cuneo, immersi

nel verde di una valle prealpina che non

dovrebbe mancare tra le mete degli amanti

degli sport all’aria aperta. Ma non solo.

In questa zona, di recente set del bellissimo

“Il vento fa il suo giro”, sono infatti evidenti

le tracce di un passato misterioso, che

si ritrova nelle chiese, nelle storie sussurrate, e in una cucina che ha

tra le sue tipicità… le acciughe

Val Maira

Piemonte

di Silvana Delfuoco

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Nel silenzio senza tempo della Val Maira

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Il cuore della valle Maira, con l’asprezza e la verticalità della Rocca Provenzale e del-la Rocca Castello, esprime appieno il ca-rattere di una terra da sempre vissuta ai margini della grande storia, e tuttavia ca-pace, quasi soltanto con le sue forze, di dar vita a una cultura alpina che ancora oggi risulta in grado di sedurre e ammaliare. La forma sinuosa e profonda dell’alveo in cui scorre il fiume da cui il territorio prende no-me; il fascino della natura, salvaguardata qui molto più che in altre aree alpine più facil-mente accessibili; i colori a un tempo cupi e luminosi degli affreschi che ne abbelliscono chiese ed edifici sacri; e infine, soprattutto, il silenzio, il silenzio atavico che qui ancora è possibile respirare. Tutti questi aspetti nel lo-ro insieme fanno sì che soggiornare in questa valle, anche solo per qualche giorno, lasci nel visitatore un’impronta indelebile, ben presto destinata a trasformarsi in voglia di tornare.

Il fascino di simboli arcaiciDel fatto che la montagna, e la catena alpina in particolare, nei secoli passati abbia contribuito a unire piuttosto che a dividere popoli e culture, la Val Maira è un indubbio testimone. Non soltan-to la lingua, quell’occitano qui ancora parlato sen-za ostentazioni seppur con forte senso di appar-tenenza, ma soprattutto l’arte e l’architettura del territorio provano infatti il legame con la vicina Provenza e con le comuni tradizioni celtiche. Ne è esempio curioso il fenomeno delle têtes coupées, rappresentazioni stilizzate di teste umane che si ritrovano spesso sulle facciate di case, chiese e fontane. Un lontano ricordo della cruenta abitu-dine dei guerrieri Celti di appendere sulla soglia le teste dei nemici uccisi in battaglia? Un antico culto che richiama il martirio per decapitazione? Non dimentichiamo che questa è anche terra di numerosi santi, tra cui i mitici guerrieri della Le-gione Tebea. A uno di loro è infatti dedicata la

In apertura: la Chiesa di Santa Maria di Morinesio a Stroppo (foto: Manuela Garino). In questa pagina, dall’alto: la Casa della Meridiana, Museo di Pels a Elva (foto: Roberto Garnero) e, sotto, Albaretto, baita Palent di Macra (foto: Espaci Occitan)

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Cibo&territorio Erbe officinali, ortaggi e foraggi

d’alpeggio: la produzione agricola tipica di tutte le valli

alpine. Negli ultimi anni, però, qui si sta prestando una grande

attenzione all’agricoltura biologica, in funzione di un

maggior rispetto del territorio e dell’ambiente. Ecco allora il

pane cotto nel forno a legna, i formaggi d’alpeggio, gli infusi

alcolici a base di erbe alpine. Ma anche, del tutto inaspettate, ecco le acciughe! Importate per secoli

in valle dalla vicina Liguria per farne commercio, oggi rivivono

un momento di riscoperta e valorizzazione nei piatti tipici.

Nel cuore della Val Maira, a Marmora (Borgata Finello, 2 - Tel. 0171998188, www.loupitavin.it )

la Locanda Occitana Lou Pitavin, caratterizzata da una gestione giovane, propone la cucina del territorio, a partire dalle acciughe con bagnetto

verde per finire con il ricco carrello dei formaggi. Ci sono

anche 4 camere dove è possibile pernottare. Prezzo medio, vini

esclusi: 27 euro. Il ristorante Lou Sarvanot è invece un piccolo-

grande locale dall’ottimo rapporto qualità/prezzo. Qui si trovano

sempre le ravioles, i caratteristici gnocchi di farina e toma e, a fine

pasto, l’originale genepy della casa.Prezzo medio, vini esclusi: 30 euro.Il locale si trova in fraz.Bassura –

Stroppo, Via Nazionale, 64 (Tel. 0171999159

www.lousarvanot.it).

chiesa più importante della provincia: San Co-stanzo al Monte, millenaria Abazia Benedettina di Villar San Costanzo. Autentico gioiello in stile romanico lombardo, prima di una lunga serie di edifici di culto che popolano il territorio, a prova della forte religiosità che qui ha attraversato i se-coli, la Chiesa di San Costanzo al Monte sorge proprio all’imbocco della valle. Poco distante, si trova la Chiesa Parrocchiale di San Pietro in Vin-coli, dove l’ingresso nella Cappella di San Giorgio costituisce un emozionante tuffo nel passato. Gli affreschi di Pietro da Saluzzo raffigurano infatti scene della vita del Santo come un percorso che narra tradizioni e personaggi della religiosità po-polare caricandoli di pathos e di espressività. Ri-salendo il corso del torrente Maira, da cui la valle prende il nome, fino a Macra, si incontra la Cap-pella di San Pietro, un tempo riparo di pellegrini e loro controllo in caso di pestilenza. Qui ancora si conserva un’antichissima testimonianza pitto-rica medioevale di danza macabra, tema del gi-rotondo tra vivi e morti di gusto tipicamente fran-cese. Sempre a Macra si trova la Cappella di San Sebastiano, il più antico edificio religioso della valle; più avanti, a Stroppo, isolata dall’abitato e posta a 1233 metri di altitudine a strapiombo sul precipizio, c’è la chiesa di San Peyre, dalla incon-sueta architettura asimmetrica. Ma bisogna rag-giungere Elva con i suoi 1600 metri di altezza a cavallo tra due vallate, la Val Maira e la Val Grana, per godere dell’emozione più forte: una Croci-

PiaceriMeta di un turismo di nicchia pensato per chi ama dedicarsi agli sport all’aria aperta, la Val Maira è il luogo ideale per una full immersion in un incantevole paesaggio naturale. Per escursionisti di tutte le età, ci sono i Percorsi Occitani, la dorsale sentieristica di valle lunga oltre 120 km, organizzati in 18 tappe dalla pianura di Villar San Costanzo agli alpeggi di Elva; rifugi, posti tappa e locande opportunamente collocati permettono la scoperta dei luoghi più suggestivi della cultura occitana. Invece per gli amanti di sport più impegnativi, la Valle Maira, oltre a vari itinerari per lo sci alpinismo e le racchette da neve, offre una delle piste da sci di fondo più lunghe e suggestive dell’intera provincia, nella zona tra Prazzo e Acceglio, nonché tre palestre di roccia e una Via Ferrata con ponte su cavi a Camogliers, nel comune di Macra, in un ambiente ancora selvaggio ricco di fauna e di flora incontaminata. Prezzo medio della mezza pensione in un posto tappa: 39 euro.

In alto: la Riserva Naturale Ciciu del Villar con i suoi funghi rocciosi (foto: Espaci Occitan); sotto gli interni del Museo di Pels a Elva (foto: Manuela Garino). Nella pagina accanto il ponte vecchio di Dronero (foto: Espaci Occitan)

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fissione dalla potente drammaticità opera di Hans Clemer, il pittore fiammingo meglio cono-sciuto proprio come “Il Maestro di Elva”. Dalla nativa Cambrai, si era spostato in Provenza, dove avvenne l’incontro con Lodovico II, marchese di Saluzzo, e l’invito a seguirlo nella sua corte. Fu così che Giovanni Clemer, “Hans l’alemande”, vissuto a cavallo tra XV e XVI secolo, mescolò l’eredità fiamminga della sua terra d’origine con la tradizione tardogotica provenzale e le novità che arrivavano dal rinascimento lombardo. A giu-stificare la sua presenza in questa chiesetta smar-rita tra due valli alpine non basta forse l’interven-to di una committenza illustre, ma piuttosto l’orgoglio di una comunità, quella di Elva, desi-derosa di affermare la propria identità. E la storia continua…Origini medioevali anche per Dronero, con il suo bel centro storico e l’arditissimo Ponte del diavolo del XV secolo, costruito da mani ignote giudicate troppo abili per essere umane sul pun-to più stretto del Maira. Ma il suo momento di gloria la città lo ebbe qualche secolo più tardi, quando divenne collegio elettorale di Giovanni Giolitti, politico di spicco del primo novecento, che si adoperò notevolmente per promuoverne lo sviluppo. Nel 1998 qui è nato il Centro Eu-ropeo per lo studio dello Stato a lui intitolato, che conserva il Fondo Giolitti e organizza ogni anno una Scuola Estiva di Alta Formazione. E in tempi ancora più recenti, anche il cinema ha su-bito le suggestioni della Val Maira. È infatti del 2005 il film E l’aura fai son vir (Il vento fa il suo giro), scritto da Fredo Valla e diretto da Giorgio Diritti. Premiato in numerosi festival italiani ed europei, racconta la storia di una impossibile in-tegrazione tra forestieri e montanari. Interpre-tato per buona parte dagli stessi valligiani, l’ope-ra ha contribuito a rendere giustizia di una visione troppo oleografica della vita di monta-gna. Per saperne di più sulla Val Maira: www.valligranaemaira.it; www.espaci-occitan.org, oppure il volume Val Maira. Ambiente,cultura e tradizioni di un’affascinante valle occitana, AA.VV. Più Eventi editore 2011 – 19,50 euro

FolcloreLa strada dei Capelli. Così si chiamava il percorso che ogni inverno da Elva i claviè, cioè i raccoglitori di capelli (pelassiers in occitano), percorrevano verso la Francia, carichi di fluenti chiome femminili. Oggi la loro storia rivive nelle testimonianze raccolte presso il Museo di Pels, nella bella Casa della Meridiana di Elva. Si trattava dei lunghi capelli delle donne della valle, tagliati a malincuore e poi ordinati per lunghezza e colore: i più apprezzati sui mercati esteri dai fabbricanti di parrucche. Un sacrificio, certo, ma anche un mezzo ingegnoso per raggranellare qualche soldo in più per il magro bilancio familiare. Un mestiere intraprendente era anche quello degli anciuè (anchoiers in occitano), che da tutta la Val Maira alla fine dell’estate e dei lavori dei campi scendevano verso le pianure piemontesi e lombarde per vendere le acciughe salate, acquistate in precedenza in Liguria. Un lavoro faticoso e spesso poco remunerativo, ma che in qualche caso segnò l’inizio di una fortunata attività commerciale. Per ricordarli, si tiene a

Dronero all’inizio di giugno la Fiera degli Acciugai, che richiama un sempre crescente numero di visitatori. Veniamo infine alla misteriosa storia dei Ciciu. “O empi incorreggibili, o tristi dal cuore di pietra! In nome del Dio vero vi maledico. Siate pietre anche voi”. E fu così che, al suono del terribile anatema, i legionari romani che nei boschi intorno al Villar stavano inseguendo Costanzo, anche lui soldato della Legione Tebea ma divenuto cristiano, si trasformarono all’istante in massi di pietra, i Ciciu appunto, ancora lì immobili da secoli. Questo tuttavia non bastò a salvare il futuro Santo dal martirio. Raggiunto da altri legionari, venne decapitato nel luogo dove poi sarebbe sorto il santuario a lui dedicato. Fin qui la leggenda. In realtà i Ciciu sono un curioso fenomeno geologico: una sorta di funghi rocciosi dal gambo di terra e pietrisco sormontati da un cappello di gneiss di origine magmatica. Simili a questi “pupazzi” – questo il significato del loro nome in dialetto piemontese – sono anche le Piramidi di terra dell’Alto Adige e i famosi Cammini delle fate della Cappadocia.

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di Riccardo Lagorio

Tra parchi archeologici, musei a cielo aperto e antichi luoghi di culto,

la Valcamonica conduce il viaggiatore lungo una strada che lo porta fino

alle origini della civiltà. Ad accompagnarlo per il cammino, duecentomila figure

scolpite e i racconti del mitico Badalisch

È la valle più lunga d’Italia dopo quella del Po, pressoché sconosciuta al turismo di massa. Prati e pascoli alpini che si rincorro-no tra castagneti, vigneti e boschi fittissimi. In alto le vette impassibili del massiccio dell’Adamello. Imbiancate sino a primavera inoltrata, si sciolgono in acqua che fa nascere il lago d’Iseo. Punto di partenza ideale per co-noscere la Valcamonica è Darfo Boario Terme, stazione termale già nota nell’Ottocento per le sue acque curative e diuretiche. Si entri nel-la Chiesa dell’Oratorio, uno straordinario esempio di arte popolare con affreschi di in-dubitabile valore, e ci si immerge subito in uno dei fili conduttori di questa passeggiata, la preistoria. Poco fuori Darfo Boario Terme esi-

ste un interessante parco tematico, l’Archeo-park, ideato e diretto dall’archeologo Ausilio Priuli. Al suo interno ricostruzioni fedeli di un villaggio palafitticolo e delle attività che in es-so si generavano: l’arte di intrecciare le corde, di plasmare il vasellame, di rendere vestibili le pelli dopo la caccia e la concia. Qui tra l’altro è possibile intraprendere un viaggio iniziatico per l’interpretazione dei graffiti, ovvero le ol-tre 200mila figure scolpite sulla roccia dal Pa-leolitico all’età romana e che contraddistin-guono questa parte di valle fino a Sellero.

Lungo la valle dei segniPrima di salire alla virtuale capitale della Val-camonica, Breno, tappa obbligatoria è il Mu-

Dove le rocce raccontano

la storia

Valcamonica

Lombardia

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seo nazionale archeologico della Valcamoni-ca di Cividate Camuno dove vengono esposti apprezzabili reperti recuperati durante gli scavi: mosaici, statue, busti, monete, vasella-me dall’epoca romana al Seicento. Da lì, un breve percorso lungo il fiume Oglio condu-ce al parco archeologico, tra cui spiccano il teatro e l’anfiteatro d’epoca romana, da po-co ristrutturati. Poco distante, a Bienno, no-ta da sempre per essere il capoluogo camuno del ferro, due musei catturano la curiosità: del-le fucine (visite nei giorni feriali dalle ore 10 alle ore 12 e dalle 14 alle 16, oppure telefo-nando alla Pro Loco 0364300307) e della ma-cinatura dei cereali. Nel mulino, che ha sede in un edificio del Quattrocento, lavora tutto-

ra una serie di ingranaggi che permettono di utilizzare la for-za idraulica. Anche la Chiesa di Santa Maria Annunciata merita una sosta. Così povera di luce, come tutte le pievi quattrocentesche, ma così ricca di prege-voli affreschi della scuola di Giovanni Pietro da Cemmo e del Romanino. Gli affreschi del Da Cemmo hanno colori suggestivi, densi e forti di chiaroscuri, nettamente scanditi, quelli del Romanino, che si trovano nel presbiterio, da-tati dal 1539 al 1540, sono molto rovinati ma rivelano la sua grande maestria. Giunti a Bre-no da Bienno, il primo incontro ci riconduce sulle tracce del Romanino, nella Parrocchia di San Salvatore, poi alla Chiesa dedicata a San

Cibo&territorioSe Breno è la capitale della salsiccia di castrato – salsiccia elaborata partendo da carne magrissima di castrato e trita finissima –, succulenta (è proprio il caso di dirlo, visto che nell’impasto si procede a inserire il brodo dello stesso animale) pietanza da consumare previa bollitura e servita con patate lesse o polenta, Andrista (in Comune di Cevo) è sinonimo di fatulì, formaggio di capra di razza bionda dell’Adamello, affumicato dolcemente con bacche e rami verdi di ginepro. Arturo Maffeis (Tel. 0364634659) lo produce con un centinaio di esemplari di razza pura, dal pelo fulvo e lungo, allo stato brado per nove mesi all’anno. Tante comunque le prelibatezze montane da gustare in Valcamonica. Dove? Presso laTrattoria Cà Bianca in Località Cà Bianca a Breno, ad esempio, dove la sapiente mano di Grazia Ducoli (figlia di Giacomo, che per primo istituzionalizzò la cucina camuna)

prepara prevalentemente piatti locali: minestra

scandela (con orzo, patate e fagioli),

formagel parat (formaggio fuso con cipolle), le celeberrime lumache alla Ducoli (condite di formaggio locale e spinaci selvatici, perüc)

e gli enormi caicc (ravioloni dal

ripieno segreto e serviti con tanto, tanto

burro fuso e polenta). Prezzo medio: 35 euro,

Tel. 0364320059.Oppure presso la Trattoria La Cantina di Esine, in Via IV novembre, 7 (Tel. 0364466411).Quasi nascosta in un viottolo del centro storico, qui l’incontro con la cucina camuna si fa entusiasmante grazie alla cura di Oriana nella scelta della materia prima da produttori esclusivamente locali e alla cortesia del marito Giacomo in sala. Senza indugi chiedi di condurti nella cantina di formaggio e salumi: uno scrigno di saperi cucinari. Prezzo medio 28 euro.

In apertura: il Castello di Breno, originario del XIV secolo

Il Parco Nazionale delle

Incisioni Rupestri è stato dichiarato

Patrimonio dell’Umanità dall’Unesco

nel 1979

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Valentino, il protettore della cittadina. Ma il monumento di cui tutti i brenesi sono fieri è il castello, originario del XIV secolo, su un’altu-ra a dominare l’intera vallata, di cui oggi resta buona parte della zona perimetrale, che accen-tua le forme naturali della cima. Il complicato tessuto di costruzioni edificate dall’8000 avan-ti Cristo all’epoca della Repubblica di Venezia rappresenta un esempio unico nel suo gene-re di trasformazioni urbanistiche adottate per scopi diversi. Riprendendo la Strada statale 42 si prosegue per Cerveno, piccolo borgo dove vale la pena di fermarsi per ammirare il Santuario della Via Crucis, con quattordici cappelle ornate da cir-ca duecento statue settecentesche a grandez-za naturale in legno e gesso, che narrano con grande verismo le tappe della passione di Cri-sto. Sono qui dal 1731, anno in cui Cerveno ot-tenne di poter acquistare indulgenze pratican-do la Via Crucis, opera di Beniamino Simoni, e ogni dieci anni la gente del borgo dà vita alla rappresentazione vivente della Passione di Cri-sto. Poco oltre, in località Naquane di Capo di Ponte, ha sede il Parco Nazionale delle Incisio-ni Rupestri, dichiarato Patrimonio dell’Uma-nità dall’Unesco già dal 1979. Si tratta di uno spettacolare museo all’aria aperta dove riem-pirsi gli occhi con migliaia di incisioni realiz-zate dai Camuni dal neolitico fino all’età del ferro e a quella romana. Le rocce istoriate te-stimoniano la vita degli antichi Camuni: il pe-riodo più antico è caratterizzato da figure di animali, in particolare cervi, incise in manie-ra molto semplice con strumenti rudimenta-

FolcloreTante le suggestive storie che si raccontano attorno alle impervie cime e alle vallate di questa terra segnata dalla storia. Come in Val Paghera, dove flora e fauna sono tra le più interessanti del Parco dell’Adamello (del resto il nome stesso deriva da paghèr, che in dialetto indica l’abete rosso che la domina incontrastato): qui la valle si incunea in uno splendido anfiteatro composto dal Pizzo Badile, montagna sacra per i Camuni che la consideravano la dimora degli dei. O ancora ad Andrista (in Comune di Cevo), conosciuta per il suo curioso e antichissimo Badalisch, un mostro della tradizione con un enorme testone peloso, che muove la bocca per raccontare storie sia fantastiche o legate alla realtà e ai pettegolezzi del paese. Il Badalisch è nascosto in una grotta, ma quando i giovani del paese lo chiamano, la sera del 5 gennaio, ricompare circondato da maschere particolari e comincia a narrare le sue magie e le sue verità.

Vi sognoè bello sognare ciò che piace

per questo vi sogno (versi registrati nel 2007 dall’allora novantenne

pastore-poeta Silvio Ravelli di Temù)

Qui, in alto, Ponte di Legno. Sotto, un bell’esempio di incisioni rupestri

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li di roccia silicea. Due chiese romaniche ca-ratterizzano il territorio: San Siro, spettacolare a picco sulla valle dell’Oglio e San Salvatore, un poco discosta ma affascinante come po-che altre in Italia. Non distante si trova an-che la Riserva naturale delle incisioni rupestri di Ceto, Cimbergo e Paspardo, istituita dalla Regione Lombardia nel 1983 con lo scopo di proteggere una vasta area in cui sono presenti innumerevoli rocce con incisioni che raccon-tano la vita degli uomini che per primi si in-sediarono in questo territorio e lo modifica-rono per soddisfare i propri bisogni, da quelli

più primordiali legati al cibo a quelli più spirituali della preghiera e della co-

municazione. È perlopiù coperta da boschi di betulle e castagni, in cui sono immersi i tre Co-muni, che conservano nuclei storici ancora intatti, capofila del progetto. Ripresa la Strada statale si ar-

riva a Sellero, centro pure no-to per le incisioni rupestri. Qui

ci si possono concedere belle pas-seggiate nei boschi di castagni, fioriti

tra giugno e luglio, e farsi indicare le loca-lità Carpene, Pla d’Ort o Pradel dove s’incon-trano numerose raffigurazioni risalenti all’età del ferro di guerrieri e della rosa camuna, elet-ta a simbolo stesso della Regione Lombardia.In Berzo Demo la parrocchiale di Sant’Euse-bio è un’altra meraviglia, commissionata da una piccola comunità nel Settecento. Soasa, tabernacolo e custodie formano un ricco insie-me dorato, della classica finezza caratteristica del settecentesco barocco lombardo. L’archi-tettura, la scultura e i colori conferiscono all’opera dignità e autonomia. E compaiono come in un gioco ingenuo due angioletti che tengono sollevate, sulle rispettive reverendis-sime teste, la berretta e la mitria di San Marti-no e San Carlo, con spontaneità di gesti pari a quelli di altri angioletti suonatori. Da Berzo Demo con facilità si raggiunge infine Ponte di Legno, località famosa per i campi da sci.

PiaceriLa tradizione camuna della lavorazione del legno ha dato vita, nel corso di secoli di storia, a un importante patrimonio culturale e artistico tale da essere uno dei più notevoli d’Italia. La tecnica dell’intaglio era spesso praticata tra i pastori e i contadini che, nei lunghi inverni o nelle giornate solitarie trascorse nei prati, intagliavano ciocchi di legno come passatempo, passione e necessità. Per acquistare mobili, statue, complementi d’arredo artistici, tutto scolpito a mano da sapienti artigiani: Artigianato Camuno del Legno, Via Ponte Palobbia, Braone (Tel. 0364434530). Ma la località è anche terra di scalpellini, che sino agli anni Settanta erano ricercati nelle migliori e più agiate famiglie del nord Italia per rifinire stipiti o creare statue di granito. Recatevi in Via degli Alpini, 20 a Piancamuno, invece, se desiderate acquistare abbigliamento autenticamente camuno. Ad aprirvi le sue porte è l’Associazione Pastori Lombardi (Tel. 3335225220) che si propone di tutelare i pastori transumanti. Si possono ordinare mantelli tradizionali e giacche prodotti con lana locale. Una volta vestiti di tutto punto, vi consigliamo due interessanti strutture dove godervi un po’ di relax montano.Una validissima sistemazione è quella del Bed & Breakfast Camuni(Via San Rocco, 7 - Località Pescarzo, Capo di Ponte, Tel. 036442367). I locali sono stati sapientemente ristrutturati e l’accoglienza dei proprietari è calda e professionale.Alla partenza ti consegnano i semi dei loro campi perché non ti possa dimenticare tanto facilmente del fascino del borgo e della sua gente. Prezzo da 25 euro a persona al giorno. Altro indirizzo utile è quello dell’Albergo Venturelli (Via Roma, 9 – Borno, Tel. 0364312067). Una sintesi di ferro battuto, colori pastello e arredi in noce per una calda accoglienza in una Casa elegante e dalla storia millenaria. Buono anche il ristorante. Prezzo per una camera doppia da 90 euro.

Le rocce istoriate

testimoniano la vita degli antichi Camuni: il periodo più antico

è caratterizzato da figure di animali, in

particolare cervi

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Tra gli azzurri monti della Sibilla

di Giancarlo Roversi

MarcheMonti Sibillini

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Li definiva così Giacomo Leopardi, quando da Recanati li ammirava all’orizzonte. Sono i Monti Sibillini, custodi di leggende e miti le cui origini risalgono alla notte dei tempi, ma anche di una natura incredibile e di borghi dal fascino antico. Il mare a pochi chilometri e la cucina sapida e schietta della zona, li rendono una meta ideale per ogni stagione

È sufficiente evocarne il nome per immergersi in un luogo enigmatico, stregato, ammaliante: quella dei Monti Sibillini è una terra d’incanti e di incantesimi antichi, ma anche uno dei lembi più belli delle Mar-che e d’Italia dove la natura incontaminata si sposa feli-cemente alla storia, che qui ha radici profonde, e a straor-dinarie testimonianze d’arte, di cultura, di sapienza artigiana. Con in più mille stuzzicanti tentazioni per il palato, filtrate attraverso una lunga e variegata tradizione agroalimentare e gastronomica propiziata dalla socievo-lezza, dalle gioie semplici del vivere e dal piacere di stare assieme che caratterizzano la sua gente. È questo il miti-co regno della Sibilla che aveva la sua dimora in una grot-ta nelle viscere della montagna, a oltre 2000 m d’altezza; luogo di ritrovo nel corso dei millenni di streghe, negro-manti, santoni, cavalieri erranti, viaggiatori curiosi e uo-mini di scienza alla ricerca di un sortilegio o di un contat-to esoterico. E, soprattutto, desiderosi di scoprire i segreti più arcani dei Monti Azzurri, come li chiamò Giacomo Leopardi quando dalla non lontana Recanati ne ammi-rava estasiato l’incomparabile scenario che non ha nulla da invidiare alle Blue Mountains della Giamaica o a quel-le degli Usa o del Canada. Ma non sono solo questi gli “incanti” dei Monti Azzurri e del territorio che sta ai loro piedi, l’Alto Piceno, disteso nell’entroterra di Fermo fra la dorsale appenninica e uno dei tratti più deliziosi del lito-rale adriatico, quello che va da Porto Sant’Elpidio a San Benedetto del Tronto attraverso centri balneari famosi come Porto S.anGiorgio, Pedaso e Grottammare. Un ter-ritorio in gran parte ancora da scoprire, che in una fascia di pochi chilometri stringe assieme spiagge dorate, rigo-gliose colline e montagne lussureggianti in un connubio armonioso che ha pochi riscontri, ideale per chi vuole go-dere una vacanza ricca di vibrazioni sottili e di pregnanti

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Piaceri Questa terra d’incanti si lascia godere dai visitatori tutto l’anno. In inverno con gli sci ai piedi sulle sue bellissime piste; nelle altre stagioni con le scarpe da trekking per corroboranti escursioni nei boschi e sui costoni rocciosi, dove il silenzio si fa quasi materico; ma anche a cavallo, in mountain-bike o in fuori-strada. L’ospitalità di questi luoghi è proverbiale, ravvivata da sagre e feste tradizionali (www.sibilliniturismo.it; www.sibillini.net; www.sibilliniweb.it), e assicurata da numerose strutture alberghiere.Ricordiamo, ad esempio Il Rifugio di Cupi di Visso (Tel. 0737971041), a 1000 metri s.l.m. e a pochi chilometri dal lago di Fiastra. La struttura mette a disposizione tutta una serie di attività sportive all’aria aperta. A persona il prezzo per una notte, in doppia o in camerata è tra i 40 e i 50 euro con mezza pensione.

In queste pagine, il verde della Foce di Montemonaco e l’azzurro dei tanti corsi d’acqua e delle cascate naturali che caratterizzano la zona dei Sibillini

Foto

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esperienze. Signori incontrastati del territorio pe-rò sono chiaramente loro, i Monti Azzurri, che fanno da baluardo al Parco Nazionale dei Sibillini creato per tutelare e valorizzare un ambiente fan-tastico, giunto fino a noi miracolosamente intatto e in cui la presenza dei centri abitati e dell’uomo non provoca squilibra ma ne impreziosisce armo-niosamente il fascino. Fra i suoi dirupi scoscesi, nel folto delle sue boscaglie, lungo le vallate sinuose

dei suoi torrenti convivono – per usare un’imma-gine di sapore biblico – il lupo e l’agnello, ma an-che l’aquila reale, il falco pellegrino, il cervo, il ca-priolo, l’istrice, il gatto selvatico, la martora, la volpe… Uno straordinario ecosistema cui fanno da diadema inestimabile vetusti borghi murati e superbi castelli arroccati sugli speroni rocciosi, ag-grappati ai crinali delle montagne o adagiati nelle vallate, testimoni vivi e palpitanti delle memorie

In questa pagina, dall’alto, tre specialità della zona: dal morbido ciauscolo, al dolce frustingo, per concludere

con un piatto di saporiti frascarelli. Sotto, il borgo di Montefortino

Cibo&territorio Di rigore una sosta a tavola per gustare le sapide specialità agro-alimentari e culinarie dei Monti Azzurri che hanno come ingredienti basilari i tesori di un sottobosco – come gli squisiti tartufi bianchi e neri, di cui si fa buona raccolta, o i funghi – e prodotti tipici, come le carni, i formaggi, gli ortaggi e i vini. Da gustare, fra i formaggi, gli stuzzicanti pecorini fatti con caglio naturale, la caciotta di Comunanza; e ancora, i tanti squisiti salumi artigianali: il cremoso ciauscolo, i salami di morbide carni magre di maiali allevati a ghiande, le lonze, le salsicce di fegato, le gustose carni di agnello e castrato (talvolta allevato nel cesto per renderlo più tenero), o di castrato cotto allo spiedo o alla brace, frutti di bosco, cereali e legumi coltivati come una volta, trote e gamberi di fiume e miele di montagna. Tra i primi piatti, una citazione d’obbligo per i frascarelli, una minestra povera

ottenuta spruzzando dell’acqua sulla farina distesa sul tagliere e, appena raggrumata, versata in una pentola al fuoco. Senza dimenticare i tacconi ricavati da un impasto di acqua e farina e conditi con ricotta o sugo oppure cotti assieme ai legumi; e ancora la minestra di ceci coi quadrucci, i ravioli farciti con carni lesse di gallina e diverse spezie, o le lumache di Montefortino, raccolte a oltre 1000 metri di quota e cucinate con abbondante finocchietto. Questa è anche la terra di celebri paste alimentari ottenute con grani duri in piccole aziende artigianali, come pure dell’olio delicato e ricco di sfumature di sapore e, soprattutto, delle famose e olive ascolane, di pasta morbida e soave, che vengono cucinate farcite, impanate e fritte secondo una ricettata tradizionale che prevede di snocciolare l’oliva formando con la polpa una spirale in modo da distribuire armoniosamente il ripieno (ben diversamente da quanto avviene per quelle industriali che vengono semplicemente

imbottite di carne nello spazio lasciato libero dal nocciolo). E per finire i dolci, tutti di tradizione sanamente contadina e fragranti, come la celebre cicerchiata, impreziosita dal miele, o i cacioni farciti di pecorino zucchero e uova, o i caciunitti ripieni di una purea di ceci. E ancora il frustingo, o pistrinco, una specialità fatta con mele, uva passita, fichi secchi, farina di granturco e frumento, scorza di limone e noci, cui si accompagna l’acquavite all’anice, la famosa Anisetta, un tempo preparata anche nelle case con l’aggiunta di pezzi di mela, bucce d’arancio e altri ingredienti così da ottenere il mistrà. Per gustare le specialità locali consigliamo La locanda del gusto, al 2 di Viale Dante nel bel paesino di Comunanza (www.locandadelgusto.it). La spesa a persona si aggira sui 30 euro e nel ricco menù si lasciano notare i primi e i secondi piatti a base di mela rosa dei Monti Sibillini e una selezione di carni certificate: su tutte, immancabile l’ottima Scottona Marchigiana.

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del passato e degli umori civili di questa ter-ra. Senza dimenticare gli antichi eremi, le chiese e i santuari custodi della pietà popo-lare e di insigni opere d’arte.

Un parco vivoA fare da sfondo a queste emozioni create dall’uomo, in perfetta simbiosi con il paesag-gio, ci sono quelle che riserva la natura con i suoi balconi panoramici a perdita d’occhio, gli scorci vertiginosi sulle gole più selvagge e sui dirupi impervi, in un alternarsi di cam-biamenti di scena mano a mano che dal ma-re si procede verso le prime colline ornate di vigne, olivi e frutteti, e poi verso la montagna con i suoi prati verdeggianti e fioriti – dove pascolano mandrie di pecore e di bovini dal-le carni e dal latte non ancora intossicati – e con le sue faggete, le querce secolari e, d’in-verno, le sue nevi immacolate. Dà poi una sensazione di indescrivibile piacere ritrovare corsi d’acque limpide, come mille anni fa, nelle cascate naturali e nei fiumi che scen-dono a vale: il Tenna, l’Aso, l’Ambro, il Fia-strone, il Nera. Con una superficie di 70 mi-la ettari comprendenti il territorio di 18 comuni, di cui 12 con capoluogo al suo in-terno, quello dei Sibillini è un parco vivo do-ve anche lo sviluppo economico e del turi-smo sono avvenuti nel rispetto delle tradizioni e dell’ambiente. Per rendersene conto basta soffermarsi negli antichi centri storici: ad Amandola, con le sue artistiche chiese, i suoi palazzi e le sue botteghe arti-giane dove gli ebanisti modellano ancora il legno con le tecniche tradizionali; a Force, famosa per la lavorazione del rame e del fer-ro battuto, come pure Comunanza. Ma bi-sogna anche ricordare Montefiorino, alla confluenza del Tenno e dell’Ambro, che conserva singolari case-torri medievali; Montemonaco, dove si ammira un castello con mura possenti, e tanti altri piccoli centri impreziositi da interessanti edifici civili e re-ligiosi ove sono ospitati pregevoli dipinti e altre testimonianze d’arte.

Folclore Molte leggende fin dai tempi più remoti sono fiorite attorno ai Monti Sibillini e alla loro enigmatica profetessa, raffigurata a volte come una fata benefica e, altre, come una maga malvagia che i cavalieri medievali arrivavano fin qui per sfidare e combattere, o per chiederle dei vaticini. Così come fece Guerrino, protagonista de Il Guerrin Meschino (opera di Andrea da Barberino scritta intorno al 1410) che probabilmente, se oggi ritornasse nella grotta della Sibilla – da cui, come narra l’antico romanzo cavalleresco, scappò avventurosamente per non essere vittima degli incantesimi dell’ammaliante profetessa – c’è da giurarci che non si muoverebbe più, ponendo così fine alla tormentata ricerca dei suoi ascendenti per godersi la suggestione di un ambiente seducente, arricchito dall’uomo attraverso i secoli! Ma non è tutto. Tra gli antichi miti tramandati qui di padre in figlio, da ricordare anche quello ambientato presso il vicino Lago di Pilato, un’altra delle tante misteriose e seducenti attrattive di questa terra. Nelle sue gelide acque di origine glaciale si celerebbero infatti le spoglie di Ponzio Pilato qui precipitate assieme ai bufali che le trasportavano sopra un carro senza auriga, allontanatosi da Roma dopo la condanna a morte del celebre procuratore romano.

Qui sopra, la Sibilla. Profetessa fatata per alcuni e strega terrificante per altri, si dice vivesse nel fondo di una grotta il cui accesso, un tempo delimitato da una porta, oggi sarebbe chiuso per sempre

Foto: Giorgio Tassi

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Il sole deve ancora sorgere, quando Billy, un tenero labrador bianco, viene sguinzagliato per i boschi. Inizia così la sua ricerca… An-nusa di qua e di là, per i sentieri nascosti, tra piante di roverella, quercia e cerro, per con-durre il suo padrone proprio lì dove cresce il tartufo scorzone, chiamato anche tartufo esti-vo (tuber aestivum; si caratterizza per la scorza ruvida e verrucosa, di colore bruno). Così tut-ti i giorni, per tutta l’estate (fino ai primi di ottobre) nella zona attorno alle placide acque del lago del Turano, che virano nelle diverse tonalità di verde-azzurro come la pietre sme-raldo e giada. Un rito quasi ripetitivo, con la lentezza che caratterizza quest’angolo di Ita-lia, a poca distanza dalla capitale (ci si arriva attraverso la via Salaria o l’autostrada Roma-

L’Aquila, uscita Carsoli), dove l’insolenza dei rumori, dello stress, dell’ansia s’inibisce d’in-canto. Ma qui ci si viene non solo per assapo-rare i tartufi, bontà dal gusto intenso e delica-to allo stesso tempo, ma per godere della valle, con un clima sempre mite, e ripercorrere un viaggio nel tempo attraverso i paesi dalla storia millenaria che hanno saputo conservare la lo-ro anima più intima e silenziosa.

Sponde dal fascino antico Siamo in alta Sabina, fra montagne che hanno un profilo addolcito da colline, e dove negli anni ’30 fu creato un lago artificiale (perfetta-mente integrato nell’ambiente), per sostenere la produzione delle acciaierie Terni. Una valle inondata in nome dell’autarchia, una genera-

Attorno al lago del Turano, in alta Sabina, a pochi chilometri da Roma, alla scoperta di borghi ricchi di storia e buona cucina. Protagonisti della tavola i preziosi diamanti neri, profumati frutti della terra che qui trovano da sempre terreno fertile

Emozioni lungo la via dei tartufi

Lazio

Valle del Turano

di Isa Grassano

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zione intera rimasta senza lavoro, alcune coltu-re, come quella del lino, della canapa, del gran-turco, completamente distrutte. Oggi però il lago attrae numerose persone, per la quiete, l’aria buona e quello star bene che fa dimenti-care lo stress quotidiano. E sono in molti, anche stranieri, che, catturati dall’architettura delle case, dalla bellezza del paesaggio, dall’eleganza fiera di chi vi abita, scelgono la zona per trascor-rervi lunghi periodi. «Passerò qui tutte le mie vacanze», ci dice James, originario della Scozia. «Me ne sono innamorato da subito e ho svilup-pato un senso di appartenenza a questa terra, anche se non è la mia. Mi piace il profumo dei boschi, il colore del lago che non è mai uguale a quello del giorno precedente, il fascino antico che si vive tra queste mura così ben conservate,

Cibo&territorio La storia dei tartufi sembra risalire a tremila anni prima di Cristo, ai tempi dei Re Babilonesi che li ricercavano. I greci li chiamavano hydnon, i romani tuber, gli arabi ramech alchamech tufus. Oggi sono stati soprannominati diamanti e pepite (per via dei costi elevati) e con la loro irresistibile miscela di sapori e odori contribuiscono a far scatenare la passione dei sensi. Nella Valle del Turano, si ritrovano tutte le specie più rinomate della famiglia Melanosporum, ovvero il bianco e il nero pregiato, ma anche lo scorzone e l’uncinato che si nascondono in abbondanza sotto le sue terre. Oltre a crescere in maniera spontanea, questo fungo ipogeo, viene anche coltivato nelle tartufaie mediante piantumazione d’essenze boschive specifiche e semina delle spore tra le radici delle piante. Il territorio è quindi una vera mecca del piacere e i menù sono piccole opere d’arte che accontentano il gusto di tutti gli appassionati gourmet. Piatti fantasiosi con ingredienti naturali, dove l’equilibrio dei sapori e del gusto primeggiano su tutto. Come nei filetti di trota al tartufo nero, un’abbinata di pesce e prodotti della terra che esalta i palati dei buongustai; tra le altre specialità imperdibili, ci sono anche l’uovo all’occhio di bue con verdure all’olio e tartufo nero, e non mancano i classici, come le fettuccine al tartufo. Per gustare tali e tante prelibatezze, recatevi in Via Lago del Turano a Il Tartufo (località Stipes, Ascrea - Tel. 0765711085). Sin dal nome si capisce qual è il punto di forza del ristorante! Le bruschette, i crostini, le carni e i funghi porcini sono arrostiti sul fuoco a legna. Prezzo medio: 30 euro.Per gustare una cucina che punta sui sapori locali e sulla freschezza dei prodotti, tutti a Km 0, provate il Lontero (Via Turanense, 2 Paganico Sabino - Tel. 0765723029). Le paste sono rigorosamente fatte a mano. Le verdure provengono dall’orto di famiglia. Le specialità degli chef? Il tartufo, la carne alla brace e il pesce fresco del lago. Prezzo medio: 25 euro.

In apertura: il Colle di Tora bagnato dal lago del Turano. Sotto: un piatto di tagliatelle al tartufo, re del territorio

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mi dà la sensazione di protezione e raccogli-mento». James ha scelto il borgo medievale di Castel di Tora, così particolare per lo skyline e la rocca (un antico mastio a forma di torre pen-tagonale) a picco sul lago, da essere inserito tra i borghi più belli d’Italia e rappresentare qua-si il simbolo dell’intera valle. Ma ciò che lo ren-de ancora più meritevole dell’appellativo di “bel borgo” è l’atmosfera che non è cambiata nel tempo. Si gira a piedi, tra le strade pulite e ordinate, dimenticando rumori e motori, am-mirando qua e là la grazia di archi e cortiletti. Di fronte al paese, su una piccola penisola col-

legata da un istmo, si erge un’altura roc-ciosa di forma conica, con i ruderi

del Castello del Drago, ai piedi del quale sono visibili i resti dell’antico Antuni (del XV e XVI secolo), che può essere visitato solo a piedi. Ma ovun-que si può seguire, anche se

per le poche ore di una gita fuori porta, o un fine settimana,

un percorso di totale naturalità, da scoprire chilometro dopo chilome-

tro. Dall’altra parte della riva del lago, qua-si a fronteggiarsi, c’è Colle di Tora che colpisce per la sua pittoresca posizione sulla penisolet-ta che dà inizio alla parte più frastagliata e spet-tacolare del bacino. Il paese ha anche un’anima godereccia che s’incarna nel gusto del suo fa-giolo a pisello, un unicum della zona. Tra gli al-tri paesi merita una sosta Collalto Sabino, anch’esso tra i Borghi più belli d’Italia (con il centro storico chiuso al traffico). Con una fi-sionomia che riporta all’immaginario fiabesco dei fratelli Grimm, il castello segna il punto più elevato del centro storico (situato a quasi 1.000 metri) con le merlature e la sagoma slan-ciata delle torri. Entro le mura si trova un bel parco, mentre il punto panoramico per eccel-lenza è il mastio dal quale la vista, nelle gior-nate limpide, corre sulle vette del Lazio (il Ter-minillo) e dell’Abruzzo (il Gran Sasso e la Maiella). E il tutto si fa ancora più bello al tra-

A suggello delle ricchezze gastronomiche locali c’è la Strada del tartufo e della castagna della Valle del Turano (www.tartufoecastagna.it), un itinerario goloso che mette insieme le eccellenze gastronomiche della zona (inclusi i funghi o i fagioli-pisello). Si può fare una sosta qua e là lungo il percorso per raggiungere e visitare le aziende agricole che effettuano la vendita diretta dei propri prodotti freschi o trasformati. La “strada” è lunga 40 chilometri ed è stata promossa dalla Comunità Montana del Turano. Comprende diversi comuni e, grazie al turismo e alla rivalutazione delle produzioni di territorio, punta a una nuova prospettiva di sviluppo. Quasi tutti i paesi, lungo la Strada del tartufo e della castagna della Valle del Turano, annoverano poi un ricco calendario di feste popolari e sagre gastronomiche che ruotano attorno ai prodotti della terra. Soprattutto in estate. A Stipes, per esempio, ogni anno, a metà agosto, si festeggia con la Festa del Tartufo il celebre tartufo estivo (Tuber Aestivum Vitt), detto anche scorzone. Un appuntamento imperdibile per gli appassionati gourmand e una kermesse tra

le più seguite per il centro d’Italia. Nel piccolo borgo, l’intera giornata è dedicata a questo “prezioso fungo ipogeo” (cioè che cresce e si sviluppa nel sottosuolo). Dibattiti, incontri a tema, gare tra cani da tartufo, mostra mercato e poi il via alle degustazioni (dietro pagamento di una piccola quota) per oltre cento chili di tartufo che diventano ingrediente irresistibile di ogni piatto. Ne bastano, infatti, pochi grammi per cambiare la marcia a ogni proposta culinaria. E dopo aver tanto assaggiato, qualche idea per una sosta di relax.Ai piedi dell’antico maniero di Collalto Sabino, da provare il Relais Dimora Latini (Piazza San Gregorio, 1 - Tel. 3398803763, www.dimoralatinicollalto.it). Gli ambienti sono arredati con mobili di famiglia e conservano il fascino del passato. Doppia: 130 euro.Se cercate un piccolo e accogliente hotel che affacci sul lago, l’indirizzo che fa per voi è quello di Via Turanense, 50 a Castel di Tora. qui infatti sorge l’Hotel Turano, con doppiae da 70 euro (Tel. 0765716300, www.hotelturano.it).

“Mi piace il profumo dei boschi, il colore del lago, il

fascino antico che si vive tra queste mura e che mi

dà una sensazione di protezione”Piaceri

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monto, quando si intravedono le luci dei 34 paesini, tutti intorno e le ombre fanno da cor-nice ideale alle sue mura illuminate. È arroc-cato su uno scosceso sperone roccioso, anche Paganico Sabino, abitato già in epoca romana e davvero un concentrato di persone, appena duecento. Più a monte, sul versante destro del lago del Turano, su un lato di un selvaggio val-lone, si trova un altro piccolo paese aggrappa-to alle pendici rocciose: Ascrea. Piccolo e rac-colto, con poco più di 300 abitanti, è la meta ideale per chi vuole rilassarsi in riva al lago o dedicarsi alla pesca d’acqua dolce (si pesca il luccio, il coregone, il persico reale). Aggiran-dosi tra le strette viuzze ci s’imbatte nella Chiesa di San Nicola di Bari del 1252, al cui interno sono custoditi una tela della Madonna del Rosario e una raffigurante San Nicola. Il paese dista in linea d’aria poche centinaia di metri da Paganico Sabino, ma ne è separato dall’impervia gola dell’Obito: dato però che un sentiero riesce a discendere e risalire il var-co, da un abitato all’altro si può arrivare a pie-di, in circa un quarto d’ora, passando un pon-ticello sul torrente, invece che per i 5 o 6 chilometri della rotabile. La stessa scorciatoia potrà servire da approccio a un’escursione di circa un’ora lungo il canyon, immersi in una natura selvaggia. Da qui vi è anche la possibi-lità di raggiungere il Monte Navegna, a 1.508 metri, per chi ama andare alla ricerca di fun-ghi, o fare trekking o birdwatching. Poco di-stante si trova Stipes, una frazione che sorge all’altra estremità nord del lago. Sopra la som-mità dell’abitato è possibile vedere i resti del castello (fondato tra il XII e XIII secolo dai De Romania, una delle più importanti famiglie della nobiltà rurale sabina) e della cinta mura-ria risalenti al XV secolo. Ma questa è anche la zona che vanta il primato per la produzione di tartufi di tutta l’area (in dicembre e genna-io anche il prezioso tartufo bianco) ed è anno-verata tra le più ricche d’Italia per “scovare” questi preziosi prodotti della terra, che da se-coli continuano a suscitare interesse.

FolcloreCome già sottolineato, il territorio che circonda la frazione di Stipes vanta il primato per la produzione di tartufi di tutta l’area, e non solo. Un piccolo lembo di terra quindi dove però soffermarsi per godere a pieno dei benefici di questo saporoso frutto della terra… se infatti generalmente gli antichi romani credevano che i tartufi avessero un’origine divina e che fossero stati generati dai fulmini scagliati da Giove, Apicio, nel I secolo d. C., attribuì loro qualità afrodisiache scrivendo che “rendono gli uomini più amabili e le donne più affettuose”. La teoria è confermata da alcuni studiosi dell’Università di Monaco: pare infatti agiscano a livello ormonale, soprattutto per gli uomini. E, detto tra noi, certo non costano meno del Viagra, ma le tagliatelle alla “pillola blu” non sono altrettanto buone! E ancora al mondo antico fa capo una tradizione legata all’altra estremità del lago, ovvero alla zona di Paganico Sabino e Ascrea, anche se di tutt’altro tenore. Come detto infatti le due località sono separate dall’impervia gola dell’Obito. Bene, secondo la tradizione, l’Obito prenderebbe il nome dal latino obitus, morte, a seguito di una strage di saraceni giunti fin quassù a depredare questo remoto angolo di Appennino: una leggenda questa che ben si sposa all’altra credenza secondo la quale Paganico si chiamerebbe così perché vi sorse un insediamento di pagani, ovvero di saraceni.

A sinistra il favoloso castello di Collalto Sabino. In questa pagina, il borgo medievale di Castel di Tora e sotto la forra di Stipes

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Piccoli borghi, spesso disabitati, tempestano l’Appennino Sannita e rendono

quella molisana una terra dalle tante inattese attrattive. Dove passeggiare

immersi in rigogliose oasi naturali e riscoprire antichi mestieri altrove dimenticati

di Riccardo Lagorio

È un fascino misterioso che unisce i territori poco conosciuti a portarci in Molise, la ven-tesima regione d’Italia. Centri storici spesso spopolati, dove si respira un’aria fiabesca e irrea-le come se il tempo si fosse fermato ai primi del ’900. Tra questi Baranello, a pochi chilometri da Campobasso, addossato a colline a semicerchio, formato di angusti vicoli e case sovrapposte, ma dove si visita l’interessante Museo Civico, una col-lezione privata dell’architetto Giuseppe Barone

Sulle strade del Molise dimenticato

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In apertura Baranello, paesino addossato a colline a semicerchio. In questa paginale sale del suo Museo Civico

donata nel 1897 all’amministrazione comunale. Possiede oggetti d’arte antica tra cui vasi etruschi e italo-greci, canopi egizi, lucerne e bronzi prove-nienti dagli ultimi scavi di Cuma del 1892. Bara-nello ha, aveva, un castello appartenente alla fa-miglia Ruffo. Ne rimangono, tristi, i resti. Il Monte Vairano, a 950 metri sul livello del mare e in posizione strategica, si anima durante l’estate per la fresca brezza che vi si può godere e per l’in-sediamento d’epoca sannita, da cui sono stati sca-

vati vasi e attrezzature militari visibili presso il Museo Sannitico di Campobasso, ma soprattutto è d’obbligo per chi ama copiose raccolte di fun-ghi. Tappa che vale l’intero viaggio è poi quella di Sepino. Saipins era una città sannita espugnata e distrutta dalle legioni di Lucio Papirio Cursore nel 293 avanti Cristo. I superstiti si stabilirono in pia-nura, sul tracciato del tratturo Pescasseroli-Can-dela, dando vita alla città romana di Saepinum. Di Seapinum rimangono intatte le mura, a forma

Si respira un’aria fiabesca e irreale tra i borghi incastonati sulle alture molisane. Piccoli centri fantasma per i quali il tempo si è fermato

Molise

Appennino Sannita

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il Belpaese nascostocover story

Cibo&territorio Tra le valli molisane si trova “il

paese dell’origano”. È Campo Chiaro e la definizione è quella

riportata nel cartello stradale posto all’ingresso del borgo. La réch(e)na (uno dei nomi

con cui è conosciuto l’origano) migliore è quella che cresce

proprio in montagna, raccolta quando ancora il fiore non è

sbocciato. Un tempo le recanare lo raccoglievano legandolo a fasci e portandolo sulla testa,

poi si raggruppava in mazzetti più piccoli che si mettevano a

essiccare in un locale ben aerato e con poca luce.

Per scoprire i genuini sapori molisani, recatevi certamente Da Adriano in Via Napoli, 14a Carovilli (Tel. 0865838688).

Non sarà forse invitante all’esterno, ma una volta

entrati si è travolti dalla esuberante presenza del patron

Adriano Scarpitti. Il suo feudo gastronomico è imperniato

unicamente su prodotti reperiti in loco secondo il ritmo

delle stagioni. Poca scelta al commensale, ma vale la pena

soffrire. Un’esperienza che vi condurrà alla conoscenza di alcune tra le più genuine

proposte del centro-sud Italia. I 40 euro del pasto sono

molto ben spesi.In collina, si trova invece La Molisana (contrada Colle

Abate, 2 - Miranda, Tel. 0865497382), ristorante dal

taglio rustico immerso nel verde adatto per scoprire le gustosità locali. Si mangia con 25 euro.

Dall’alto, un ricco paniere di formaggi molisani. Sotto,

il decumano di Sepino

quadrata con quattro porte situate all’estremità del decumano, coincidente con il tratturo, e del cardo. Del teatro si è conservata tutta l’orchestra, l’ima cavea e parte della media cavea; mentre sul decu-mano, perfettamente lastricato, sono visibili taber-nae, abitazioni, il mercato, la basilica, il foro ed edi-fici destinati ad attività pubbliche. In località Terravecchia si possono scorgere i ruderi dell’anti-ca città di Saipins, fortificata da mura ciclopiche. Per conoscere l’aspetto naturalistico più intatto dell’intero Molise si deve invece raggiungere l’oa-si naturale del WWF di Guardiaregia-Campochia-ro (Tel. 0874785011), sul Monte Mutria. Ospita numerose specie endemiche: genziana, primule e anemoni appenniniche. A pochi chilometri San Massimo, il Comune che ha sul proprio territorio il più famoso centro sciistico dell’Italia centro-me-

ridionale, Campitello Matese. In questo luogo – un anfiteatro naturale dove vivono lupi, rapaci e ra-rissimi rettili – la neve sfida il sole sulla vetta del Monte Miletto, a 2050 metri, raggiungibile in seg-giovia o tramite lunghe passeggiate. Un luogo all’avanguardia per il turismo bianco e ben attrez-zato per il turismo verde con boschi fitti e sentie-ri adatti a riposanti passeggiate.

L’amore sacro e l’amor profano A Santa Maria del Molise vivono poco più di 600 abitanti, ridottisi del 65% nel corso degli utlimi 60 anni. Nella sua frazione di Sant’Angelo in Grotte, dall’impianto medievale, spicca la cripta della chiesa dedicata a San Pietro in Vincoli, finemente affrescata da autori di scuola senese alla fine del Trecento. Sorprendenti per garbo e sensibilità i ri-

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In alto, la neve che sfida il sole sul Monte Miletto a Campitello Matese. Sotto, il Santuario della SS.Adolorata di Castelpetroso e i fucilieri di San Giuliano durante la Parata di giugno

PiaceriCaratteristica del territorio la lavorazione dei tessuti. L’altra Penelope, in contrada Barrea, 33 a Cercemaggiore (Tel. 0874799501), produce tessuti, spesso in lana e cotone, su antichi telai mossi da rapidi gesti manuali. Perfetti da utilizzare sui tavoli o come quadri da appendere alle pareti. Forbici, tagliacarte e set da manicure d’acciaio traforato e cesellato a mano: sono ancora due invece le botteghe che mettono a disposizione dei clienti questi capolavori nel capoluogo. Aldo Perrella (Tel. 087467779) è un maestro talmente bravo e famoso che le sue opere sono solitamente offerte in dono alle autorità in visita nella regione; Antonio Muccino (Tel. 087467422), l’altro maestro, è l’autore dello stemma del Vaticano donato a papa Giovanni Paolo II in visita in Molise. Dopo aver tanto vagato nell’entroterra a caccia di natura, antichi capolavori e souvenir, per riposare e godere dell’ospitalità locale recatevi presso il Pleiadi’s Hotel (Via Molise 40 - Bojano, Tel. 0874773088), una moderna struttura alberghiera raggiungibile facilmente dalla frequentata Statale 17. Camere accoglienti ed eleganti provviste di ogni comfort. Dalla struttura si raggiunge in meno di mezz’ora Campitello Matese, stazione sciistica. Doppia da 85 euro.La Fonte dell’Astore di Castelpetroso (Via Santuario, Tel. 0865936085) è invece una confortevole struttura dalle camere ben accessoriate. Un qualificato centro benessere e la felice posizione rendono questa risorsa appetibile per una breve sosta o anche come punto fisso per la conoscenza della regione. La doppia è disponibile da 90 euro.

FolcloreTra le manifestazioni locali è interessante ricordare quella che si svolge a San Giuliano del Sannio l’8 e 9 maggio: la Parata dei Fucilieri. La sera dell’8, infatti, in onore di San Nicola di Bari, due bandiere d’Italia escono dalla canonica e vengono messe all’asta; durante l’asta i fucilieri, bardati di fazzoletto rosso e giberna di cuoio, sparano a salve con fucili d’epoca ad avancarica in ricordo dell’arrivo dei garibaldini proprio l’8 maggio 1860. Il giorno successivo la statua di San Nicola è portata in processione, accompagnata dalla banda e dai fucilieri e si alternano armonicamente le note della prima e gli spari dei secondi.

quadri rappresentanti le sette opere di miseri-cordia corporale che terminano con una veduta di Betlemme e una testa fiammante del Reden-tore. Senz’altro tra le località più suggestive del-la regione. Un altro luogo di culto, di costruzio-ne molto più recente, è il Santuario di Castelpetroso, iniziato nel settembre 1890 sul luogo dove si ebbe l’apparizione della Vergine Addolorata con Cristo morto depositato su un telo di candido lino. Panorama singolare dominato da una montagna rocciosa dalla cima piatta e a picco su di una va-sta area pianeggiante che si estende ai suoi piedi, Pesche s’inerpica sul fianco del Monte San Mar-co dove, tra gradinate di case sovrapposte, si aprono piccoli belvedere. Ha perso invece metà dei suoi 2000 abitanti negli ultimi cento anni, Miranda: paese agricolo dai pascoli immensi, of-fre panorami di rara suggestione. Ancora 12 chi-lometri ed ecco Carovilli, luogo noto per copio-se raccolte di tartufo. Nella piazzetta del paese, di fronte alla chiesa, non si erge il consueto mo-numento ai caduti, o la statua a Garibaldi o a un santo protettore, bensì un bronzo di Bacco, sen-suale e allegorico, che invita a ogni eccesso. Ma in primis invita a conoscere la ventesima regio-ne d’Italia, troppo spesso dimenticata.

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Avventure da brivido nel verde del Sannio

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Avventure da brivido nel verde del Sannio

Chi ha avuto finora la possibilità di spingersi fino a qui, nel versante campano del Parco Regionale del Matese, sa bene che troverà grande soddisfazione nelle passeg-giate lungo sentieri, torrenti e grotte di un territorio an-cora tutto da esplorare. Basta armarsi di scarpe comode e di tanta curiosità: da soli o in compagnia, in silenzio o dialogando con i propri compagni, lentamente si assapora con lo sguardo la cresta della montagna, i borghi arroccati, le rocce formatesi oltre sessanta milioni di anni fa che creano un canyon di im-pareggiabile bellezza. D’altra parte “Camminare è uno scarto rispetto alla modernità, viaggiare a piedi è un gesto trasgressi-vo, una potente affermazione di libertà”, come dice David Le Breton ne Il mondo a piedi, elogio della marcia.

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Alla portata di viaggiatori armati di grande spirito di scoperta e di osservazione, il Sannio beneventano, ancora tutto

da esplorare, è una piacevole meta d’inizio estate. Ad attendervi: gole

da capogiro, torrenti da attraversare e… un cucciolo di dinosauro

di Ida Santilli

Alla ricerca di CiroIl nostro itinerario parte da Cusano Mutri, che fu lasciato singo-larmente indenne dal sisma che distrusse Cerreto Sannita e con-serva perciò intatto il suo aspetto medioevale. Il paese, con le sue stradine dal pavimento acciottolato, è senz’altro meritevole di sosta: da vedere la chiesa dei SS. Pietro e Paolo in stile romanico, la chiesa di San Giovanni Battista che presenta un bel portale in pietra locale e un reliquario di argento cesellato del XIV secolo, la chiesa patronale di San Nicola con un’interessante fontana in pietra nella sacrestia, i resti della chiesa di San Felice. Per entrare in contatto con lo spirito del luogo il modo migliore è chiacchie-rare con la sua gente: gli abitanti sono eccellenti guide per visita-re questi borghi, persone semplici ma generose, quasi rassegnate

In apertura, La cipresseta naturale che si estende al di sopra di Fontegreca.Qui, un’istantanea di un’escursione alle Gole di Caccaviola

Campania

Sannio Beneventano

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Cibo&territorioFunghi porcini, insaccati tartufi e formaggi. Di queste meraviglie il Parco Regionale del Matese è ricco e per acquistarne di qualità, il consiglio è di recarsi in questo delizioso negozio di prodotti tipici che ha appena aperto i battenti. Il nome? I sapori dell’arte (Piazza Orticelli – Cusano Mutri, Tel. 3343052525). E la formula arte e gusto si rivela effettivamente vincente: è infatti questo il luogo ideale anche per fare incetta di lavabi in ceramica come quelli della nonna, vassoi, brocche e le tipiche cucchiarelle di legno, strumenti immancabili nelle cucine campane. L’attivissima proprietaria è una fucina di idee: organizza su richiesta passeggiate alla scoperta dei funghi e dei prodotti del bosco. Presso la Frazione

Civitella Licinio di Cusano Mutri si trova invece Il guardiano del Matese (Via Ariella, www.ilguardianodelmatese.it). Un casolare immerso tra i castagni dove stuzzicare il palato con i piatti della migliore tradizione di montagna rielaborati con estro dal giovane chef Domenico: salumi, pappardelle al cinghiale, paccheri con speck, porcini e provola, scialatielli al tartufo, tagliatelle alle castagne, tagliata di manzo servita su pietra lavica, scamorza sciolta ai funghi porcini. La carta dei vini propone le migliori etichette del Sannio: la Falanghina del Taburno, l’Aglianico, il Greco di Tufo. Costo medio: 28 euro vini esclusi. Sempre a Cusano Mutri (in Via San Giuseppe, Tel. 3804745660) si trova invece La taverna dei briganti, ristorante da poco inaugurato che ha il pregio di avere prezzi accessibili e una cucina di

qualità. Ancora in via di definizione il menù ma la scelta cade sui prodotti del territorio: funghi, tartufi, carni rosse, abbuot, involtini ripieni di interiora di agnello, e pasta fatta in casa. Costo medio: 12-13 euro vini esclusi. A Ponte, infine, in Contrada Piana, si trova il piccolo birrificio Maltovivo di Luigi Serpe, mastro birraio che, con grande passione, ricerca materie prime di qualità per deliziare i palati più esigenti. Pur ispirandosi alla migliore tradizione tedesca, negli anni ha dato un’impronta inconfondibile alla sua produzione: la Noscia, prima classificata al concorso Birra dell’anno 2006 di Unionbirrai e sempre valutata con 5 stelle (unico nel Sud) nelle edizioni della guida alle birre d’Italia di Slow Food, riporta alla mente sapori di liquirizia e caramello con note di genziana e rabarbaro (www.maltovivo.it).

a quell’immobilità culturale che purtroppo non ha favorito lo sviluppo di un’economia turistica mirata anche a una migliore qualità della vita so-ciale. Provate a chiedere di Ciro: non vi guarde-ranno con aria interrogativa ma vi risponderanno che potrete trovarlo nel museo di Pietraroja. Pro-prio su questo territorio, infatti, nel 1980 è stato rinvenuto un cucciolo di dinosauro, che i paleon-tologi hanno simpaticamente ribattezzato Ciro (il nome scientifico è Scipionyx Samniticus). Ha la particolarità di avere ancora ben visibili (cosa che lo rende un caso senza precedenti) parti di tessu-ti muscolari alla base della coda, tracce della tra-chea, l’intestino perfettamente conservato e per-

sino l’impronta del fegato. Oggi è gelosamente custodito al Paleo-Lab, una moderna struttura in cui è possibile compiere un viaggio virtuale nella storia geologica della zona. Il borgo, a soli otto chi-lometri e mezzo da Cusano, deve il suo nome (pietra roja, pietra rossa) proprio alle impregna-zioni di ossidi di ferro nei suoi calcari. Oltre 100 milioni di anni fa non sorgeva tra i monti ma, al contrario, nel bel mezzo di una laguna, immerso in un ecosistema tropicale popolato da pesci, ret-tili e anfibi nel quale si depositavano resti della flora che nel corso degli anni si trasformarono in fossili. Il museo è visitabile con un biglietto di 4 euro tutti i giorni feriali su prenotazione o nei

“Camminare è uno scarto

rispetto alla modernità,

viaggiare a piedi è un gesto

trasgressivo, una potente affermazione

di libertà”David Le Breton

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PiaceriPer dormire da queste parti, consigliamo il bed&breakfast Piana la gatta (Contrada San Felice – Tel. 3925105232/0824862337, www.pianalagatta.it). Dal balcone dell’antico fienile finemente ristrutturato la vista spazia sulle colline su cui si distendono i filari delle viti. Il b&b, adagiato ai piedi del Monte Mutri, offre ai suoi ospiti relax e sapori genuini: qui ha sede l’azienda agricola che coltiva vigneti e oliveti, alleva suini lasciati allo stato semi brado, e produce salumi (essenzialmente prosciutti, salsicce e sopressate) avvalendosi ancora dei metodi di lavorazione artigianale. Da 60 a 70 euro la camera doppia a notte. Per lo shopping, spostatevi di pochi chilometri, a Cerreto Sannita. La località infatti è famosa per la qualità delle ceramiche e la tradizione dei maestri ceramisti, le cui botteghe sono ancora oggi presenti tra gli splendidi vicoli del borgo, dove è possibile assistere dal vivo ai processi di lavorazione artigianale. Il Museo della Ceramica, nel “cantinone” del chiostro di Palazzo S. Antonio vanta collezioni di maioliche antiche, risalenti all’epoca romana e barocca sino al XIX secolo, e contemporanee (Tel. 0824815211, www.comune.cerretosannita.bn.it).

giorni prefestivi e festivi dalle 10 alle 18 (Tel. 0824868253, www.artsanniocampania.it). Il Matese offre inoltre innumerevoli occasioni di turismo sportivo: dalle passeggiate a piedi, in bici o a cavallo, alle arrampicate, al torrentismo in un crescendo di scenari naturali incantevoli, tra cascate d’acqua che rompono il silenzio, e piscine naturali. Le guide Italo (Tel. 3396126383) e Mario (Tel. 3487503116) garantiscono assi-stenza su tutti gli itinerari dell’area che sta di-ventando una meta appetibile per gli amanti della natura: per un pieno di adrenalina consi-gliamo un’escursione alle Gole di Caccaviola (nei paesi del parco si dice che il nome cacca-viola è stato scelto perché tra le rocce del mas-siccio crescono spontanei numerosissimi fiori viola). La forra alta del Titerno, scavata nella roc-cia calcarea dall’erosione dell’acqua tra la Civi-ta di Pietraroja e il Monte Mutria, è diventata un percorso avventura praticabile da fine mag-gio a ottobre, e solo in condizioni climatiche buone. Il cammino, che si svolge in gruppi di massimo dieci persone e impegna e affascina per almeno sei ore, si può fare solo in compagnia di guide esperte che forniscono l’apposita im-bracatura e il casco di protezione. Niente paura, il sentiero, attrezzato e realizzato nel rispetto degli standard di sicurezza richiesti, non è affat-to pericoloso anzi, risulterà divertente soprat-tutto nel punto in cui il torrente verrà attraver-sato con le carrucole lungo teleferiche di corde d’acciaio. Vale la pena quindi spostarsi a Cerre-to Sannita, che dista soli nove chilometri, ma al tramonto, quando il sole calante dipinge di un caldo rosato la pietra calcarea delle facciate tar-do barocche dei palazzi. Dal piazzale con mo-numento ai Caduti, una volta parcheggiata l’au-to, si prosegue il giro a piedi o in bici. Prima tappa, la cattedrale settecentesca della Santissi-ma Trinità, con tre navate e un luminoso interno a croce latina. A poca distanza, nell’alberata Piazza Vittorio Emanuele, la parrocchiale di San Martino del 1702, preceduta da una bella sca-linata curvilinea.

Nella pagina accanto: Ciro, il cuccio di dinosauro mascotte della zona, e i tipici formaggi locali. Qui, dall’alto: l’Infiorata del Corpus Domini; la Chiesa di San Nicola di Cusano Mutri e, sotto, le Gole di Caccaviola, meta di escursioni mozzafiato

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In questa pagina, il centro di Benevento

con il campanile di Via Garibaldi

e l’Arco di Traiano

Ultima fermata: BeneventoVale la pena percorrere una quarantina di chi-lometri lungo la SS79 e poi la Strada Statale Telesina fino a Benevento, città fondata dai Sanniti con il nome di Maleventum e succes-sivamente romanizzata con il nome di Bene-vento a seguito della battaglia del 275 a.C. vinta su Pirro che marciava verso l’Urbe. All’epoca risale il bel teatro tuttora in uso. Collegata alla romanità è anche la storia del campanile isolato di Via Garibaldi che duran-te il fascismo divenne un arengario e fu deco-rato con lapidi geografiche. A causa di un ter-remoto, alcune parti si abbatterono sulla chiesa danneggiandola e così si ritenne con-veniente spostarlo a distanza di sicurezza. Nel periodo fascista quindi, il podestà lo destinò a pulpito per le adunanze. Qui si visiteranno il Duomo, con le restaurate porte di bronzo, gravemente danneggiate dai bombardamenti della seconda guerra mondiale, la chiesa di Santa Sofia, un gioiello architettonico costru-ito per volontà del principe Arechi II, e il Mu-seo del Sannio, al suo interno, che vanta uno splendido chiostro del XII secolo, nel quale i tanti archetti di ispirazione araba poggiano su capitelli sempre differenti dovuti alla fantasia di tre diversi maestri. Prima di andar via non dimenticate di passare davanti all’Arco di Tra-

FolcloreOgni anno si svolge a

Cusano Mutri l’infiorata del Corpus Domini, e il

paese si tinge del giallo della ginestra o delle rose,

del verde dell’erica e del bianco delle margherite. A capo chino, squadre di

giovani del paese separano i petali in base al colore e tritano finemente le erbe

che serviranno a comporre il contorno del disegno. La domenica di Corpus

Domini (quest’anno il 10 giugno) gli infioratori si

mettono all’opera già dalle prime ore del mattino

per regalare a cittadini e ospiti un colpo d’occhio di

grande impatto lungo il tragitto della Processione.

Il giorno prima, dalle 17 in poi, elaborano i disegni

a terra, quelli che da un’apposita commissione

sono stati giudicati migliori. Le immagini riprodotte

sono principalmente icone sacre ma non mancano riferimenti all’amicizia

tra i popoli, alla pace nel mondo. Tutti i bozzetti verranno raccolti in un

catalogo a colori che sarà distribuito gratuitamente

ai visitatori. A rompere l’effimero incanto dei fiori sul selciato saranno i passi

dei fedeli nel corteo che dalle 19 si snoda lungo la

strada principale di Cusano.

iano con la decorazione a bassorilievo che ri-prende i tratti caratteristici del volto dell’im-peratore che lo fece costruire per celebrare la realizzazione della via Appia Traiana, in grado di portare mercanti e truppe il più veloce-mente possibile fino ai porti pugliesi.

Per saperne di più sul territorio si può consultare la guida appena pubblicata da Marcelli Editore Viandando,

che racconta l’itinerario dell’Appia antica da Roma a

Benevento (pp. 415, 25 euro)

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di Lucrezia Argentiero

Soffia una brezza gentile anche in estate tra

le campagne assolate e i trulli bianchi

di questo angolo di Puglia, dove perdersi

tra gli stretti vicoli e le scalette, inebriati

dal profumo dei biscotti di mandorla in una terra

votata all’arte e alla gastronomia

Avevo sei anni quando ho dormito per la prima volta in un trullo a Ceglie Messapica, piccolo centro della provincia di Brindisi (deve il suo nome e la sua fondazione al po-polo dei Messapi che la proclamarono pro-pria capitale militare in epoca pre-romana). Queste curiose abitazioni, con il tetto a for-ma conica che nel mio immaginario sembra-va il cappello di un folletto, mi avevano sem-pre affascinato, anche per il loro candore. C’era qualcosa di magico in loro. Eppure vi sono cresciuta insieme, perché mia nonna ci trascorreva i mesi estivi e io spesso andavo a trovarla. Stavo ore ad ammirarli. Ancora ri-cordo gli occhi della nonna, neri e profondi mentre preparava i miei dolci preferiti: li bi-

scuett, i biscotti cegliesi appunto. La prepara-zione era lunga, ma il risultato era davvero sorprendente. Sceglieva con cura gli ingre-dienti. E mi diceva, mentre mescolava il tut-to su una grande tavola di legno, che era fon-damentale la mandorla. «A da ies di Cegghj», deve essere della varietà cegliese, «du riviézz» cioè del pettirosso (detta così perché tanto tenera e succosa da essere fortemente gradi-ta ai piccoli pennuti). E così anche la mar-mellata: «di cirase di cegghj», di ciliegie autoc-tone e assolutamente di una qualità ben definita come la capa di serpa o la mascialora. Mescolati con uova, zucchero e limone grat-tugiato. Ne è passato di tempo da quando la nonna infornava i biscotti nel piccolo forno

Itria, la valle vestita di bianco

Valle d’ItriaPuglia

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a legna del trullo e io, insieme a lei, ne aspet-tavo impaziente la cottura, mentre il profu-mo inebriava l’aria tutto intorno. E in questi anni, grazie alla dedizione di molti che, come mia nonna, hanno sempre creduto nelle tra-dizioni e le hanno tramandate di generazione in generazione, il mio paese d’origine, Ceglie Messapica, si è guadagnato l’appellativo di “città d’arte e terra di gastronomia” così come recita il cartello stradale all’ingresso. La citta-dina è, infatti, la capitale indiscussa della buo-na tavola della Valle d’Itria, con numerosi ri-conoscimenti per gli chef, oltre a essere uno dei siti più antichi, ricco di insediamenti ru-pestri e reperti che vanno dalla Preistoria all’Età Ellenistica.

Un paradiso che fa tendenza Il paese si raccoglie sul cocuzzolo del suo col-le ed è bello lasciarsi guidare dall’improvvisa-zione e seguire uno dei tanti viottoli che s’iner-picano e conducono in cima, alla piazza. Fra le stradine del borgo medievale, fatte di chianche (lastrichi in pietra), rese lucide dal calpestio, e avvolte dalle case in calce bianca con caratte-ristici archi di sostegno laterali e dai palazzi signorili con portali, stemmi e logge, ci si im-batte nella cinquecentesca Chiesa Collegiata dell’Assunta e nella Pinacoteca, che racchiude ed espone gelosamente i quadri del pittore fu-turista Emilio Notte (1891-1982), che è nato proprio qui. Lentamente e con il naso all’insù a scrutare ogni dettaglio, si arriva nel punto più alto del colle, dove domina la possente mole del Castello Ducale (in parte proprietà del Co-mune, presto ospiterà la Fondazione dell’Arte e della Gastronomia Messapica), con la svet-tante Torre Quadrata, che risale all’anno mille. Poco distante la Chiesa barocca di San Dome-nico della scuola del Bernini, mentre si apre, svelandosi di colpo, la piazza quadrangolare con la torre del campanile, che segna con i suoi rintocchi l’incedere del tempo, in un paese do-ve a tratti il tempo sembra essersi fermato. È questo il luogo dell’incontro. Qui si viene per

Folclore Ceglie è famosa sì per l’alta cucina. Ma è soprattutto nell’ambito della gelateria, della pasticceria e dei prodotti da forno che ha conseguito svariati riconoscimenti e una certa fama. Il re dei prodotti? Il tipico biscotto, di forma quadrangolare irregolare, che ha ottenuto il riconoscimento di Presidio da parte di Slow Food. Al centro è screziato di confettura di amarene e un mix di mandorle tostate, ovviamente il tutto passato in forno. Si racconta che fu una suora, di nome Antonina, a trovare all’interno di un vaso questa ricetta. Come dire, proprio una bontà divina! Il segreto che riguarda il giusto dosaggio e i tempi di cottura è gelosamente custodito dalle anziane signore e forse non sarà mai svelato, ma gli ingredienti di base sono ormai noti. Prodotti semplici come uova, zucchero e soprattutto mandorle e marmellata di ciliegia o di amarena. Ne esistono diverse varianti, con un diverso ripieno di marmellata, con o senza la glassa a base di zucchero e cacao e ancora con le nuovissime varianti ricoperte con cioccolato nero o bianco. Dove trovare i biscotti cegliesi? Presso il Panificio La Fornara (Via Archimede, 17 – Tel. 0831377387) e il Forno a legna di Grazia Gigliola (Via Ricasoli, 47 – Tel. 0831388380).

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scambiare due chiacchiere con gli amici e per respirare l’aria salubre e frizzante. È imman-cabile, infatti, con la bella stagione, un lieve venticello che rende le ore più calde della gior-nata meno afose. Vale la pena scoprire la Valle d’Itria in questo periodo, tra i trulli bianchi dal-la tipica costruzione a cono, le campagne asso-late e affollate di contadini che raccolgono le mandorle per farle essiccare e preparare così la materia prima per i dolci. Un viaggio di luo-ghi e sapori, non solo a Ceglie, ma anche nei dintorni a Cisternino, Ostuni, Fasano, Locoro-tondo, gli altri paesi della Valle che quasi ab-bagliano per la luce che emanano. Candidi borghi antichi dove perdersi e ritrovarsi, tra gli stretti vicoli e il saliscendi di scale e scalette. Una sorta di Paradiso che fa tendenza: questa zona è il “buen retiro” di stranieri (soprattutto inglesi e americani) e di numerosi personaggi dello spettacolo. I vip non si accontentano di trascorrerci le ferie, c’è chi addirittura compra casa, come l’ex ct della nazionale, Roberto Do-nadoni, che a Fasano ha trovato la masseria dei suoi sogni, o l’attore Raz Degan che ha scelto

un trullo a Cisternino. Katherine Price Mon-dadori, insieme ai figli Martina, Francesco e Filippo, fanno base a Ostuni, mentre Kean Etro, il creativo rampollo della famiglia Etro, trova ispirazione per le sue collezioni moda, passeggiando nel bosco, intorno alla sua abita-zione su una collina di Ceglie Messapica. Poco distante da Ceglie c’è Cisternino che, appolla-iato su uno dei più alti colli della Murgia me-ridionale, appare come disegnato nello spazio, con un’architettura fantastica di casette lattee e chiostri interni. È un rincorrersi di archi, pic-cole logge, fregi in pietra e scalette, in una se-quenza di particolari che fanno posare lo sguar-do ora sullo spigolo smussato di un edificio, ora su un’edicola votiva, ora su un fornello, macel-lerie con annesso forno rigorosamente a legna e saletta per degustare, comodamente seduti, la carne precedentemente scelta e acquistata. Più famoso il paese di Ostuni, il cui centro sto-rico, nel conservare intatta la struttura medio-evale e la cinta muraria, colpisce per un detta-glio barocco, una porta dipinta, un sottarco fiorito di rossi gerani. E ci si aggira tra le vie,

PiaceriLa Valle sale sul palcoscenico: dal 14 luglio al 2 agosto, diciannove

serate dedicate alla musica, al teatro, al cinema, al talento, per la 38ª edizione del Festival della Valle d’Itria. “Uno spettacolo al

giorno” in cornici scenografiche: lo storico cortile del Palazzo

Ducale, il prezioso Chiostro di San Domenico, il piccolo Teatro Verdi

di Martina, oltre all’auditorium Paolo Grassi di Cisternino. Il filo

conduttore è il tema del confine con l’Altro, quello dell’incontro/

scontro tra culture, religioni e mondi diversi. Una questione

quanto mai attuale e scottante che coinvolge e mette in

campo temi quali l’accoglienza e la conoscenza dell’altro, la necessità di trovare varchi di

reciproco specchiamento. Ricco il cartellone. Prendendo spunto

dalla Gerusalemme liberata di Torquato Tasso, si ascolteranno splendide composizioni di stili

ed epoche diversissimi: madrigali di Gesualdo da Venosa, scene

della secentesca Gerusalemme liberata di Carlo Pallavicino, fino ad arrivare alle vertigini causate dall’estro di Claudio Monteverdi

per il suo celebre Combattimento di Tancredi e Clorinda (www.

festivaldellavalleditria.it). Dopo aver assistito a uno spettacolo, vi

consigliamo di fermarvi a riposare presso Borgo Egnazia (Savelletri di

Fasano, Tel. 080 2255000 – www.borgoegnazia.it), una nuova

elegante struttura, del Gruppo San Domenico Hotels, nel cuore

della Valle d’Itria, tra gli ulivi secolari e vista mare. Da provare

i trattamenti della Vair Spa, i cui nomi derivano dal dialetto

locale. Prezzi: doppia da 330 euro; o presso il B&B Il Melograno,

sulla via per Francavilla Fontana (C.da Madonna della Grotta,

cell. 3294304299 – www.trulloilmelograno.it), ambienti

semplici ma dotati di ogni comfort. Bici a disposizione.

Prezzi: doppia da 50 euro.

Nelle pagine precedenti: il centro storico e i trulli di Ceglie. In questa pagina, un panorama di Ostuni e dei suoi uliveti

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con le case, abbracciate l’una all’altra, che sem-brano spolverate di borotalco, incontro a chie-se (la Cattedrale, capolavoro dell’architettura gotico-romanica) e a palazzi ora severi, ora sontuosi (il Palazzo Municipale, del Seminario e quello Vescovile, Palazzo Zevallos). L’argen-teo paese di Fasano, invece, colpisce soprattut-to per il paesaggio circostante, in cui il verde degli alberi contrasta con il bianco delle Mas-serie (la maggior parte trasformate in elegan-ti agriturismi e relais di charme), sparse qua e là come se volessero librarsi nell’aria, a testi-monianza di un’antica civiltà rurale. Non si possono non visitare gli scavi archeologici di Egnazia, che trasportano magicamente nel pieno della storia romana. Infine, Locoroton-do, il più bel balcone da cui ammirare la Mur-gia dei Trulli e la Valle d’Itria, inserito tra i bor-ghi più belli d’Italia. La curiosità? Le case che, solo qui, terminano con degli inconsueti tetti aguzzi, detti cummerse, fatti di pietra calcarea, che un tempo servivano per la raccolta delle acque piovane. Dal belvedere si ammira un mosaico di vigneti che sembrano protetti dai muretti a secco, macchie di bosco mediterra-neo, verdi ulivi e tantissimi trulli. E chi avreb-be mai immaginato che la mia terra, dove ci sono ancora fatine e folletti nascosti tra i trul-li, quella terra dove la nonna mi rimboccava la leggera coperta fatta all’uncinetto in mille colori (nel trullo anche in estate la tempera-tura è sempre fresca) che faceva da contrasto con il bianco della simpatica costruzione, sa-rebbe divenuta una delle zone più gettonate e glamour d’Italia? La mia terra segreta, un paesaggio di pietra e lucentezza, dove ancora adesso, ogni volta che vi ritorno, amo perder-mi fra le stradine del piccolo borgo. Ed è dav-vero un’emozione unica, lasciarsi condurre dalla propria guida personale fatta di ricordi, con la certezza di imbattersi, sbucando da una scalinata o da una stretta via, o da una campa-gna, di fronte a qualche meraviglia. E ritrova-re, ogni volta, puntuale, la stessa magia di quando ero bambina.

Cibo&territorioCeglie è tra le cittadine italiane con la più alta percentuale di ristoranti stellati nel rapporto tra popolazione e numero di ristoranti. Sulle tavole dei suoi chef, così come nelle cucine a conduzione familiare, i piatti sono semplici ma caratterizzati dal gusto intenso dei prodotti genuini del territorio, frutto del giusto equilibrio tra i sapori marinari e quelli contadini. Tra le eccellenze, la pasta fresca fatta a mano condita con l’immancabile cacioricotta, gli involtini al sugo e il coniglio alla cacciatora. Dove assaggiarli? Un locale caratteristico in pietra viva dove si possono gustare i prodotti tipici cegliesi è l’Osteria Pugliese a Ceglie Messapica. Piatti di qualità fatti interamente in “casa” dalle mani sapienti di mamma Lina. Tra i tavoli il figlio Cataldo. Prezzo medio: 15-18 euro. (Vico 1 Orto Nannavecchia 10 – Tel. 0831377115). Volendo gustare piatti della tradizione reinterpretati con originalità, l’indirizzo è quello di Via Orto del Capitolo, 10 sempre a Ceglie Messapica, dove si trova l’Osteria del Capitolo (Tel. 3331351241, www.osteriadelcapitolo.com). Solo prodotti del territorio. Prezzo medio: 18-20 euro.

“La Valle d’Itria è la mia terra segreta, un

paesaggio di pietra e lucentezza, dove

ancora adesso, ogni volta che torno, amo

perdermi fra le stradine dei piccoli borghi”

In alto, le candide facciate di Cisterino e, sotto, una passeggiata nel cuore di Ostuni

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La perla lucana che s’affaccia sul TirrenoÈ l’unico paese della Basilicata con uno sbocco a mare nel Mediterraneo occidentale. Maratea: un lembo di terra lucana stretto tra la Campania e la Calabria, che fa da crocevia per tre culture. Fondali incontaminati, spiagge suggestive, grotte da leggenda e chiesette ricche di arte, in un magico tutt’uno sovrastato dallo sguardo solenne della statua del Cristo più alto d’Europa di Monica Coviello

Basilicata

Maratea

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La perla lucana che s’affaccia sul Tirreno

Con l’auto e con i treni si arriva ovunque. O quasi. Perché ci sono spiagge che si pos-sono raggiungere solo via mare: piccole, selvagge, fatte di ciottoli e delimitate dagli scogli. Sono quelle che, ad esempio, caratte-rizzano la riva tirrenica della Basilicata, pun-to di partenza ideale per un viaggio alla sco-perta del territorio, della vicina Maratea, la “perla del Tirreno”, e delle ricchezze paesag-gistiche dei dintorni.

Spiagge protette e sabbia neraC’è una storia per ognuna di queste spiagget-te. Ad esempio, a nord di Cersuta, uno dei tratti più caratteristici della costa, c’è il pic-colo arenile di Rena d’a Carruba: sopra questa spiaggia si trova la grotta di Cersuta, in cui sgorga una sorgente di acqua dolce. Gli anzia-ni raccontano che fu scoperta per caso da un pastore, mentre lanciava sassi sulla costa: co-sì fece la felicità dei suoi compaesani, che non dovettero più fare chilometri per andare a prendere l’acqua potabile. O la spiaggia di Cala Jannita, chiamata anche la “spiaggia ne-ra” per il colore della sua sabbia, o ancora quella di Funnicu Reggiu. Ma il litorale di Ma-ratea, tra il Canale di Mezzanotte e la foce del fiume Noce, si allunga per una trentina di chi-lometri, e alle piccole spiagge-gioiello, protet-te dal mare e da pareti alte e rocciose, affian-ca stabilimenti balneari moderni e ricchi di confort, adatti anche per i bambini. Come la spiaggia Anginarra, una fra le preferite dai tu-risti e fra le più grandi del litorale. O quella d’a Gnola, distesa ampia di sabbia con spazi di spiaggia libera, stabilimenti balneari e co-modità. I fondali marini, incontaminati, sono molto apprezzati dai sub, perché ospitano una ricca varietà faunistica e custodiscono re-perti dell’antichità, anfore e vasi, di cui solo una parte è stata riportata alla luce.

Fra stalattiti e stalagmiti Ma non c’è solo mare. A Marina di Maratea, lungo la strada statale, si trova un vero e proprio tesoro naturale, la “grotta delle meraviglie”,

PiaceriAd agosto, dal 2 al 5, si svolge la quarta edizione del Maratea Film Festival, che avrà come tema principale l’ambiente e le energie rinnovabili. Solo da quest’anno, la kermesse è accreditata, e quindi riconosciuta per la prima volta a livello internazionale, dal Festival Internazionale del Cinema di Berlino, uno dei più antichi a livello internazionale. Le prime tre edizioni sono state inaugurate dal saluto di Francis Ford Coppola, il famoso regista di origine lucana, e tra gli ospiti vantavano Paola Cortellesi, Laura Morante, Alessandro Gassman, Michele Placido, Lino e Rosanna Banfi, i registi Lina Wertmuller e Riccardo Milani. Per informazioni: /www.marateafestival.it.Restando in temna arte, in Strada Sospiro, una delle più antiche e famose di Maratea, c’è uno spazio di circa 60 mq, che fa da punto d’incontro fra artisti e pubblico. Qui vengono ospitate esposizioni, personali pittoriche, eventi performativi e musicali, reading, dibattiti e presentazioni di iniziative culturali e editoriali. Ma anche eventi ludici, degustazioni di tipicità, mostre fotografiche e proiezioni audiovisive, esposizioni di collezionismo e di opere artigianali.Per dormire, consigliamo a quanti vogliano addormentarsi con il rumore dle mare, l’Hotel Gabbiano in Via Luppa, 24 ad Acquafredda Maratea (Tel. 0973878011).Il prezzo per una doppia va da 60 a 135 euro.Nel centro storico di Maratea, invece, deliziosa La locanda delle donne monache (Via Carlo Mazzei, 4 - Tel. 0973876139), dove per una doppia si spendono dai 260 ai 335 euro.

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Cibo&territorioÈ la salsiccia la specialità gastronomica della zona

di Maratea. Ne parlava già lo storico romano Varrone,

che scriveva: «Chiamano “lucanica” una carne

tritata, insaccata in un budello, perché i nostri

soldati hanno appreso il modo di prepararlo dai

Lucani». Anche il momento della macellazione del

maiale era un momento di socialità, a cui

partecipavano amici e parenti. E ancora oggi

le salsicce di Maratea si producono perlopiù per la

famiglia, e sono di altissima qualità. Per i vegetariani

(e non solo), da non perdere la mozzarella di

Massa e i caciocavalli. Tra i primi piatti, la ciaudedda, preparata con le verdure,

la zuppa di pesce e i bucatini alla maratiota. Tra

i secondi, da assaggiare: la ciambotta, la salsiccia in

cartoccio, la parmigiana e le alici a scapici. E, per

finire il pasto, i buccunotti, i mostaccioli, le zeppole e

le zeppole crisciute.Al 13 di Via Rovita si trova il

ristorante Taverna Rovita(Tel. 0973876588) che

segue e rivisita con rigore e creatività le ricette

della tradizione lucana, presentandole in una

versione che esalta sapori del territorio e profumi del

mare. Prezzo medio di un menù degustazione carne

35 euro, pesce 45 euro. Si affaccia invece sul

porticciolo del borgo il ristorante Za’ Mariuccia (Via Grotte 2, - Tel. 0973 876163). Il locale ha un

ampio terrazzo, ed è rustico ma elegante. Il prezzo

medio è di 55 euro.

l’unica grotta turistica di tutta la Basilicata. La scoprirono negli anni Venti gli operai che stava-no costruendo la strada e che, per recuperare un martello caduto in una fenditura delle rocce, si trovarono di fronte a cascate di stalattiti e sta-lagmiti. Fino ad allora la grotta è stata inacces-sibile, conservandosi integra e incontaminata.

Redentore da recordDalla strada costiera si può salire fino a Ma-ratea. Ma prima ancora di arrivarci, lungo la via, basta alzare gli occhi per accorgersi che tutto il paesaggio è dominato da una statua immensa, 21 metri di marmo di Carrara, che raffigura Cristo Redentore: è la più alta d’Eu-ropa e al terzo posto, per dimensioni, nel mondo, dopo quella brasiliana di Rio de Ja-neiro e quella di Cochabamba in Bolivia. Fu costruita in due anni dal conte Stefano Rivet-ti di Var Cervo, negli anni Sessanta. Per rag-

In apertura, la costa di Maratea. Qui a fianco, una veduta panoramica

della cittadina e, a destra, la statua del Cristo Redentore

giungere la statua, bisogna salire una scalina-ta in pietra. Ma ne vale la pena, perché da lassù il panorama è davvero mozzafiato.

La città delle 44 chieseEntrare nel centro storico di Maratea è come fare un salto nel Medioevo: le case antiche, ornate con le logge e i portalini, sono addos-sate una all’altra, o separate da vicoli stretti. Lungo le stradine del borgo si può andare al-la scoperta di edifici e monumenti di grande valore storico e architettonico. Maratea è fa-mosa anche come “la città delle 44 chiese”, ognuna ricca di testimonianze artistiche: quella di San Vito è la più antica del paese, ma meritano sicuramente una visita anche quella di Santa Maria Maggiore, nella piazza omonima, e quella dell’Annunziata, che con-serva un busto reliquiario di San Biagio. Il punto d’incontro serale dei turisti che visita-

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FolcloreSi dice che nei boschi di Marina viva un folletto, il Mommachicchiu, dispettoso e cattivo. Avrebbe l’aspetto di un bambino di circa 6 anni, sporco di terra, con un berretto rosso in testa. E si divertirebbe a svuotare le cantine o a fare rumori molesti, durante la notte, per non lasciar dormire la gente. Le mahàre sarebbero invece creature di aria calda, che minaccerebbero la salute dei bambini. Ma tutta la Basilicata, in generale, è una terra magica, ricca di leggenda: c’è addirittura una località, Colobraro, il cui nome è associato alla superstizione e non dovrebbe, secondo l’usanza, nemmeno essere pronunciato. Lo si indica come “quel paese”. Per saperne di più, può essere utile leggere l’opera di Ernesto De Martino, Sud e magia.

no la cittadina è la centrale piazzetta Buraglia, con le sue botteghe di prodotti artigianali ed enogastronomici della zona. A due passi dal mareMaratea, unico lembo lucano affacciato sul Tir-reno, è stretta fra la Campania e la Calabria, in posizione strategica: raggiungere le località più interessanti dei dintorni, anche se si trovano nel-le altre regioni, è piuttosto semplice. Sapri, in provincia di Salerno, all’estremità del Cilento, è collegata a Maratea attraverso una scenografica strada a picco sulle scogliere. Più verso l’interno, c’è Rivello, piccolo gioiello di architettura urba-na, che sfocia nel mare a Castrocucco. A sud, lungo la costa, si incontrano Aieta, Praia a Mare, San Nicola Arcella e Scalea: un breve tratto di strada e si arriva anche nei luoghi del turismo di mare dell’alto Tirreno calabrese.

Il Cristo Redentore che veglia sulla strada costiera è

interamente realizzato in marmo di Carrara: con i suoi

21 metri di altezza è la più alta statua del genere d’Europa

e la terza al mondo per dimensioni

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La Calabria che parla la lingua di Omero

Lungo l’arco del crinale che separa il Tir-reno dallo Ionio, da Reggio Calabria oltre Capo d’Armi, lo scenario è di una bellezza aspra e selvaggia: dalle colline brulle, stria-te dal biancore delle fiumare asciutte, alle ampie spiagge di arenaria, incorniciate dalla riviera dei gelsomini, protagonisti di ricerca-te fragranze francesi. Qui è possibile ammi-rare una vegetazione ricca e baciata dal sole, tanto che il particolare microclima permette ai mandorli di fiorire persino in gennaio.

Cinque dita protese verso il cieloDopo Saline Joniche, deviando il percorso da Annà, frazione di Melito Porto Salvo, ver-so l’interno s’impone sul panorama un mas-siccio quanto mai misterioso, una mano pro-

Un viaggio alla scoperta di alcuni

dei borghi di origine magnogreca più belli del

Mezzogiorno. Dalla rupe medievale

di Pentedattilo, all’acropoli

di Gallicianò, fino a Bova, capitale

dell’antica Bovesìa, fondata in epoca remota

da una regina armena

tesa verso il cielo, imperante di giorno, incantevole al tramonto. È la rupe medievale di Pentedattilo che, come indica il nome di origine greca (penta daktylos, cinque dita), ricorda la forma caratteristica di una ciclopi-ca mano sinistra, una sorta di piccolo Ayers Rock nostrano. Questo sperone di nuda pie-tra fu meta di un turismo di nicchia, che vide passare da qui personaggi dello spessore del-lo scrittore inglese Norman Douglas o dell’in-cisore olandese Maurits Cornelis Escher. Edward Lear ne scrisse: “La visione è così ma-gica che compensa di ogni fatica fatta per raggiungerla: selvagge e aride guglie di pietra lanciate nell’aria…”. E altrettanto magiche sono le storie che serpeggiano nel cuore roc-cioso del borgo eremitico di Pentedattilo, che di Lucia Lipari

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Calabria

Cibo&territorioTutti i paesi dell’area grecanica, hanno una tradizione culinaria basata su maccheroni caserecci conditi col sugo di carne di capra e spolverati di ricotta, il caratonfolo, una specie di tartufo viola, i fichi d’india infornati (ascadia), la polenta con il latte (curcudia), le ciambelle con cimino bollite e poi infornate (anevamena), le pitte con la ricotta e un’ottima varietà di formaggi con il miele, senza dimenticare il pane di casa con le uova fritte alla fiamma di spolasse. Caratteristici i dolci di Natale (protali) e quelli di Pasqua (nguti), fichi secchi, noci e mandorle. Per assaporare i gusti locali, un ottimo indirizzo è quello dell’agriturismo Mille Sapori (Via Cippi Imperiali, Pentedattilo –Tel. 0965787429) che offre prelibatezze quali i maccheroncini col sugo di carne di capra, le pitte con ricotta, e tutti i prodotti realizzati all’insegna della tradizione. Costo medio di un pranzo, o di una cena, a partire da 15 euro. L’azienda mette anche a disposizione alloggi climatizzati e dispone di camere da affittare.La Società Cooperativa I-Chora, dal greco “terra”, valorizza il territorio, offrendo a singoli o gruppi pacchetti di turismo responsabile nei luoghi simbolo della memoria calabrese e il meglio della cucina grecanica, come la famosa Lestopitta, pane di grano fritto col sale (Via Duca d’Aosta, 114 - Condofuri, Tel. 3270007954).

La Calabria che parla la lingua di Omero

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un balcone di roccia che domina la fiumara, Gallicianò, sin dall’antichità, si distinse perché dedita alla pastorizia e all’agricoltura, e infatti indicibile è la bontà della ricotta prodotta. Chi percorre le sue vie, resterà colpito dall’ospitali-tà dei suoi abitanti che spesso intrattengono i viandanti con canti tipici a suon di ciaramelle (oboi) e tamburelli. Di pregevole importanza è la Chiesa di San Giovanni Battista, risalente al ’700. Interessanti anche l’ex Palazzo Municipa-le, le maschere apotropaiche, il rudere del mo-nastero greco e un marmo raffigurante Pitagora con la famosissima incisione gnoti se autòn (co-nosci te stesso), dono proveniente da Salonicco. In cima al paese sorge, infine, la chiesetta dedi-cata alla Madonna della Grecia, affidata ai mo-naci del monte Athos.

In mezzo ai pastori di Bova Da Gallicianò, ripercorrendo il tragitto all’in-verso, si ritorna al bivio di Condofuri Marina e, imboccando nuovamente la famigerata statale

Italo Calvino commentò così: “il suo passato è scritto nelle linee della sua mano, nelle vie, in ogni segmento, rigato a sua volta da graffi, seghettature ed intagli”. Da visitare: le chiese dei Santissimi Pietro e Paolo e della Cande-lora, i ruderi del castello medievale, e l’eremo di Sant’Elia, figura religiosa attorno alla qua-le si tramandano tante affascinanti storie.

Sembra Grecia, ma è Gallicianò Proseguendo lungo il versante della statale 106 jonica – precisamente nella vallata della fiuma-ra dell’Amendolea, dal bivio di Condofuri Ma-rina, verso l’interno – si raggiunge Gallicianò, acropoli della Magna Grecia in Calabria. Cir-condato da mandorli, ginestra e fichi d’india, è l’unico borgo tuttora interamente ellenofono. Tanto che è gemellato con il comune di Alimos, vicino Atene, per espresso volere della Chiesa Ortodossa e in particolare dei monaci del mon-te Athos, al fine di poter praticare il rito cristia-no ortodosso nel paese calabrese. Affacciato su

FolcloreIl borgo di Pentedattilo fu teatro,

nella seconda metà del XVII secolo, di un crudele misfatto

avvenuto per mano dei baroni Abenavoli: la Strage degli Alberti.

Divenuta romanzo dalla penna di Andrea Cantadori, la tragedia ebbe luogo dall’amore conteso

di una donna, Antonietta Alberti, che finì i suoi giorni da suora

di clausura, nel dolore di essere stata l’inconsapevole motivo

dell’eccidio della sua famiglia. Questa storia insanguinata

ha dato origine a numerose leggende. Si narra, per esempio, che la sera d’inverno, quando il

vento è violento, tra le gole della montagna, si riescano ancora a sentire le urla del marchese

Lorenzo Alberti. Altra interessante storia è quella

di Bova (Vùa in greco), capitale culturale della Bovesìa e del

patrimonio greco di Calabria, tanto che la nomenclatura delle

vie mantiene la doppia lingua greca e italiana. La cittadina

ha infatti origini antichissime legate, secondo la leggenda, a

una regina armena che, sbarcata lungo la costa, avrebbe guidato il suo popolo sul monte Vùa, nel cui nome appare chiaro il riferimento a una terra favorevole al pascolo

dei buoi, trovando ella stessa ristoro entro le rocche del

castello. Dal nome latinizzato Bova, derivò poi lo stemma della cittadina, rappresentante il bue,

al quale in epoca cristiana fu aggiunta la figura della Madonna

col Bambino in braccio.

In apertura una panoramica sul borgo di Bova. In questa pagina, da sinistra: le casette di Gallicianò, il massiccio di Pentedattilo, e, in basso, la locomotiva simbolo delle ferrovie bovesi

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106, si giunge a Bova Marina e si sale verso Bova. Il borgo annovera nel suo patrimonio numerose per-le architettoniche quali il Palazzo Nesci di Sant’Aga-ta del XVIII secolo e il Palazzo Mesiani del XII, la Torre Normanna (o Parcopia) e il Museo di Pale-ontologia, dove sono conservati oltre 1500 reperti. Caratteristica è la locomotiva a vapore, posta in una piazzetta centrale all’entrata di Bova, simbolo del-le ferrovie e dei ferrovieri bovesi: per condurla fino al borgo si è dovuto addirittura allargare la carreg-giata della strada che porta al paese. Di pregevolis-sima manifattura è l’artigianato grecanico di Bova noto come “l’arte dei pastori”: la nobile arte della tessitura della seta, vista la preziosità del materiale impiegato, e la tessitura popolare, di età neolitica, realizzata con lane, lino, cotone e fiori di ginestra. I motivi ispiratori dei lavori di stampo bizantino era-no frutto della tradizione orale degli avi. Il telaio a mano, tipico strumento di lavoro tessile, era un og-getto classico portato in dote dalle spose e realiz-zato dallo sposo con legni pregiati, insieme a roc-che, conocchie e fusi.

Pentadattilo, ogni estate, è tappa di un festival etno-musicale, il Paleariza (Antica Radice), importante kermesse della cultura grecanica, e indicato nel 2011 dal Ministero del Turismo quale Patrimonio d’Italia. Il Festival mette in scena le tradizioni tipiche dell’area ellenofona, come il ballo du cammeddu (ballo del cammello), che evoca le epoche remote dei pirati saraceni, dove il fantoccio di un cammello, seguito da un danzatore e dalla fanfara, finendo il suo ultimo ballo viene arso tra giochi di fuoco e colori. Ma ci sono anche concerti di suonatori popolari e attività collaterali, che vanno dal trekking ai sabati letterari alle rassegne di poesia greca. Icona turistica, il borgo è stato anche oggetto di un fumetto ed è sede, ogni anno, del Pentedattilo FilmFestival, concorso internazionale di cortometraggi e strumento per ricostruire il tessuto identitario delle comunità locali. Ottime per lo shopping le botteghe dei maestri artigiani. A Gallicianò, in particolare, sopravvive ancora oggi l’artigianato dell’intaglio in legno e quello tessile; infatti, secondo i più antichi rituali, le donne lavorano per i propri corredi la ginestra dal giallo vivace e la lana, ornandoli con dei rombi e delle croci,

contornati da rettangoli e quadrati. Per immergersi nella natura, la Società Cooperativa Naturaliter (Via Amendolea, Condofuri – Tel. 3473046799) organizza soggiorni escursionistici per singoli o gruppi e offre una rete di strutture ricettive rurali utilizzando una forma di ospitalità ispirata al modello B&B. Naturaliter propone un trekking particolare e affascinante: “Il sentiero dell’inglese” con asini al seguito per il solo trasporto dei bagagli, sull’itinerario percorso nell’estate del 1847 dal paesaggista viaggiatore inglese Edward Lear. Il costo giornaliero del pacchetto comprensivo di pranzo, cena, pernottamento, transfer ed escursione è di 70/90 euro. Fa parte del circuito, ad esempio, l’agriturismo Il Bergamotto (Contrada Amendolea – Tel. 0965727213) che esalta le bio-eccellenze locali. Sovrastato dai ruderi del castello normanno di Amendolea,offre camere a partire da 25/30 euro. Consigliamo inoltre l’Hotel Tito Serranò di Melito Porto Salvo (Via Nazionale, 96 – Tel. 0965781333). Qui, non fatevi mancare una sosta al noto Caffè Serranò. A partire da 65 euro si potrà avere una camera singola o doppia, colazione inclusa.

“Personalmente ho tratto grandissima ispirazione da due paesini della provincia di Reggio Calabria: Pentedattilo e Bova. Quando li ho visti ho pensato

fossero set da milioni di dollari preparati per noi da Peter Jackson!”

(Robert Englund, sul set del film Vij, 2007)

Piaceri

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Sicilia dei laghi:l’altra faccia dell’isola

C’è un mondo siciliano che pochi conoscono, lontano dalle spiagge assolate di Cefalù e San Vito Lo Capo, ma non per questo meno affascinante, fatto di specchi d’acqua naturali e artificiali, sentieri, boschi. Veri e propri scrigni di biodiversità che la costellano e ne tratteggiano inaspettati lineamenti

di Rosario Ribbene

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Sicilia dei laghi:l’altra faccia dell’isola

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È la terra del sole, e tutti ne cantano le meravi-glie architettoniche, le sterminate distese di agrumi, gli sbuffi minacciosi dell’Etna e lo scin-tillio delle acque limpide del suo mare. C’è però un’altra Sicilia, della quale si parla meno. Quella dei laghi, che dell’isola rappresentano in effetti un aspet-to semisconosciuto. Se ne contano più di 35, grandi e piccoli, dislocati in tutte le province. La suggestione che può scaturire da questi luoghi mitici è legata a molteplici fattori, dalla storia alle prelibatezze dell’enogastronomia locale, dalle bellezze paesaggi-stiche alla fauna che in essi dimora, fino ai riti religio-si e ai costumi tipici che ne colorano le sponde.

Le acque rosse del lago di PergusaPartiamo dunque dal cuore della Sicilia, alla scoperta del lago di Pergusa, l’unico esempio di lago naturale della Sicilia centrale. Distante 10 Km da Enna, e a 667 m s.l.m., da sempre rappresenta un’area nevral-gica nella corrente migratoria di molte specie oltre che l’habitat ideale per lo svernamento e la nidifica-zione. L’invaso lacustre è anche noto per le acque sal-mastre e per il fenomeno del Red Water (l’arrossa-mento delle acque) che si manifesta in determinate condizioni per la presenza di solfobatteri fotosinteti-ci anaerobi con la conseguente colorazione roseo-violacea delle acque, di grande effetto scenico. All’interno della riserva del lago vive il pollo sultano, una specie ammirata fin dai tempi dei Greci e dei Romani tanto che lo si ritrova rappresentato tra le opere d’arte della Villa del Casale di Piazza Armerina (inizio IV secolo d.C.), nel famoso mosaico denomi-nato Il piccolo circo, dove viene ritratto un fanciullo su una biga trainata da due polli sultani. A Pergusa, il pollo sultano è una delle specie più rappresentative con una popolazione che vanta ben 16 coppie, che il visitatore potrà ammirare da diversi punti di osserva-zione posti all’interno della riserva. Tra le attrattive di questa località anche un’interes-sante area archeologica. Ovidio, Claudiano, Diodoro Siculo e Cicerone ci testimoniano infatti una fase, a loro contemporanea, in cui Enna era la sede più im-portante del culto delle due dee che i latini chiame-ranno Cerere e Proserpina. Oggi, attraverso una serie

Sicilia

Lago di Pergusa

Parco dei Nebrodi

Folclore Il mito sottende la realtà e il significato profondo della storia della Sicilia, e lo si può capire soltanto attraverso la conoscenza delle sue antiche leggende. Ciclopi, Giganti e Titani, secondo la mitologia del mondo classico, sono stati i primi abitatori di questa terra e quindi i progenitori dei siciliani. E i laghi dell’isola hanno fatto da quinta scenica a molti episodi leggendari, come quello che riguarda il lago di Naftia o dei Palici. L’antico bacino, ora prosciugato, era infatti caratterizzato da imponenti sbuffi di gas che davano origine a meravigliosi fenomeni naturali. Secondo la leggenda, chi voleva dimostrare di aver detto la verità doveva recarsi sulle sponde del lago, raccoglierne l’acqua ribollente con le mani e portarla agli occhi. La storia è talmente radicata nella cultura locale che ancora oggi è viva l’usanza di dire: “che io possa perdere la vista se non dico la verità!”. Un altro episodio mitologico è quello che contraddistingue il lago di Pergusa, ovvero il Ratto di Proserpina. La leggenda narra di Proserpina, figlia di Cerere che, mentre raccoglieva fiori nei pressi del lago, fu rapita dal dio degli Inferi, Plutone, e fatta sua sposa. Cerere la cercò in lungo e largo per nove giorni, ritrovandola successivamente solo grazie al provvidenziale intervento di Giove che le rivelò il luogo dove l’amata figlia era stata violentemente trascinata.

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Cibo&territorio Qualsiasi itinerario alla scoperta

della Sicilia dei laghi non può non contemplare delle soste per il ristoro

dove il visitatore potrà assaporare le delizie enogastronomiche di quei

luoghi. Pergusa, ad esempio, è famosa per i panuzzi m’paparinati (piccoli pani

con semi di papavero sopra) e il pani di spagna abbattutu (pan di spagna), preparati in occasione della festa de U Signuruzzu du Lacu; e ancora, il maccu di fave (una minestra diffusa

nella zona) e le guastedde, ditalini con favuzze e ricotta. All’interno della

Riserva di Pergusa, a pochi metri dalla scintillante superficie del lago, il Ristorante Riviera (Tel. 0935541267)

offre la possibilità di un menù completo al prezzo medio di 30 euro (si può

anche soggiornare in camera singola da 65 euro; tripla da 105 euro,

compresa prima colazione). Altrettanto appetitose le prelibatezze che si

possono gustare presso il Ristorante Da Carlo (Tel. 0935541030) – a pochi

passi dal mitico lago di Proserpina – con primi e secondi piatti arricchiti da

contorni per i palati più esigenti, al prezzo medio di 28 euro.

Patria del suino nero, delle provole, del pane di grano duro, delle paste di mandorle, dei buccellati, dell’olio

extravergine d’oliva Valdemone Dop, della nocciola e di molti altri gioielli

gastronomici, il paniere dei prodotti dei Nebrodi si potrà assaporare

presso la Masseria Maggiore (C.da Stranghi Castel di Tusa Pettineo, Tel.

3805451891) – splendido baglio costruito da un ramo della famiglia

Maggiore di S. Barbara nella seconda metà dell’800 – con un menù

completo al prezzo medio di 35 euro (il complesso è anche una struttura

ricettiva a quattro stelle, con suite dotate di ogni tipo di confort da 60

euro a persona, compresa prima colazione). Sarà possibile inoltre

ritrovare gli antichi sapori isolani nel menù della Masseria S. Mamma

(Via Nazionale Acquedolci, Tel. 3476792228) – che nel XVI secolo fu

eremo di S. Benedetto il Moro – con un menù completo al prezzo medio di 35 euro (la struttura dispone anche di 10

camere tutte con bagno privato, per un totale di 30 posti, a partire da 50 euro a

persona, compresa prima colazione).

di percorsi che si snodano all’interno della riserva del lago, è possibile visionare gli scavi che hanno portato alla luce quello che doveva essere il villag-gio principale di questo luogo di culto, presso Coz-zo Matrice: un abitato circondato da una cinta muraria e una necropoli di tombe a grotticella con corredi databili al VI-V a.C. Altre tracce sono state individuate anche nelle aree immediatamente li-mitrofe a questa, su Cozzo Jacopo, Monte Salerno e, a sud del lago, su Cozzo Signore, Cozzo Capito-ne e Monte Carangiaro. Ma le possibilità offerte da questo affascinante territorio, non finiscono qui. Tra gli itinerari da non perdere per chi si appresta alla visita del lago di Pergusa, infatti, vi è quello che parte da Villa Zagaria. Un tempo casina di caccia, la struttura risalente al XVIII secolo è oggi adibita a sede degli uffici della Riserva e del Centro di Edu-cazione Ambientale con annesso laboratorio. Da ricordare che l’importanza naturalistica della Ri-serva è stata confermata dall’individuazione come Zona di Protezione Speciale (ZPS) e Sito di Im-portanza Comunitaria (SIC).

In alto, il lago di Pergusa con l’Etna sullo sfondo e, sotto, la festa do’ Signuruzzu du Lacu (foto: Rosa Termine)

In apertura, il lago di Pergusa visto dal colle di Cozzo Matrice (foto: Rosa Termine). Qui, in alto, i panuzzi

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In alto: il pollo sultano (foto: Rosa Termine) e, sotto, il lago Biviere Cesaro nel Parco dei Nebrodi (foto: Michele Latteri)

Un’isola nell’isola: i laghi dei NebrodiSpostiamoci all’interno del Parco dei Nebrodi, do-ve si trovano alcuni dei laghi d’alta quota più im-portanti della Sicilia. È il caso, per esempio, della zona compresa tra i comuni di Floresta, Tortorici e Maniace, dove il visitatore potrà ammirare alcu-ni splendidi specchi d’acqua, incastonati tra verdi pascoli o circondati da fitti boschi. L’itinerario ne-broideo parte dalla Dorsale dei Nebrodi a Portella Mitta (Floresta), per arrivare al bivio del lago Pi-sciotto, visitato il quale si può farà base a Portella Dagara per proseguire a piedi verso lo splendido lago di Trearie. Da qui si raggiunge facilmente il lago Cartolari, ai piedi della bella faggeta di Piano di Palma. Ma i Nebrodi riservano nei loro meandri un altro gioiello: il Biviere di Cesarò. Situato a 1278 metri s.l.m. rappresenta la più importante zona umida montana della Sicilia; in esso è possibile im-battersi, ad esempio, in specie quali la testuggine palustre e la raganella verde.

Secondo il mito,Ciclopi, Giganti e Titani

sono stati i primi abitatori di questa terra e quindi i progenitori dei siciliani. E i laghi dell’isola hanno

fatto da quinta scenica a molti episodi leggendari

Piaceri La Sicilia trabocca di sagre, festività religiose, cortei, sfilate e rievocazioni storiche, quasi senza soluzione di continuità temporale e territoriale. Menzionare ciascuno di questi appuntamenti avrebbe il sapore di una sfida enciclopedica, tuttavia – e a titolo di esem-pio significativo per i territori dove insistono i laghi presi in esame – si può citare la Festa della Madonna della Visitazione, l’evento religioso più importante dell’ennese che si tiene il 2 luglio con il trasferimento dell’im-magine della Madonna della Visitazione dal Duomo alla Chiesa di Montesalvo. Quest’an-no, tra l’altro, ricorre il 600° anniversario del-la proclamazione di Maria SS della Visitazio-ne quale patrona della città di Enna. Come souvenir, non fatevi mancare la statuina di Euno, lo schiavo Siriano che guidò la guerra di liberazione che scoppiò nella città di Enna nel 139 a.C. contro Roma in Sicilia. Euno si pro-clamò re con il nome di Antioco, riuscendo con la mobilitazione delle gente a impadronirsi per breve tempo di quasi l’intera isola. Per riposare godendo di una splendida vi-sta sul lago di Pergusa, l’Hotel Riviera (Tel. 0935541267) propone camere singole a 65 euro, camere triple a 105 euro, prima cola-zione compresa. Per itinerari che contem-plano soggiorni più economici, è possibile prendere in considerazione il B&B Villa Vetri

(Tel. 0935511740) – poco distante dal lago – che propone per la camera singola 30 euro e per la camera doppia 55 euro, compresa prima colazione.Per quanto riguarda invece il territorio ne-broideo, alla testa della sfilza di appuntamen-ti che lo attraversa, la Festa del Muzzuni – in calendario il 24 giugno ad Alcara li Fusi –, una delle più antiche d’Italia. Per risalire alle sue origini è necessario tornare indietro nel tem-po, al periodo in cui alcuni sopravvissuti alla distruzione di Troia trovarono rifugio dove sorge attualmente il paese. La festa si svolge subito dopo il crepuscolo e fino alle prime ore del mattino, negli antichi quartieri dove le donne decorano, con ori e spighe, una brocca dalla testa mozzata, posta sopra un altarino sistemato tra le pizzare, tappeti colorati tes-suti al telaio. Infine, chi volesse portare con sé un souvenir dei Nebrodi e più in generale del-la Sicilia, non può non passare da S. Stefano di Camastra, uno dei luoghi più famosi al mon-do per la produzione di ceramiche artistiche. Per soggiornare, esistono nei pressi dei laghi “solo” strutture ricettive derivanti dalla riquali-ficazione di antichi edifici quali bagli, masserie, ville, etc. pur tuttavia trattandosi di strutture a 4 stelle. È il caso delle già citate Masseria Mag-giore e Masseria S. Mamma, tra le più sontuo-se del comprensorio, vantando anche delle vere e proprie suite. È in particolare a partire da quest’ultima, che sorge tra querceti secolari popolati da animali selvatici, in uno scenario di eccezionale suggestione, che è possibile intra-prendere diversi percorsi escursionistici, come quello che permette di raggiungere l’Abbazia di San Pancrazio (XII sec.) o quello, più impe-gnativo, che raggiunge il seicentesco Ponte dei Ninfi, sul torrente San Fratello, ove in alcuni periodi dell’anno è possibile fare il bagno.

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Ogliastra, cuore selvaggio di Sardegna

Isola nell’isola, questa regione

circondata dai monti

e all’apparenza impenetrabile,

riprende i caratteri di tutta

la Sardegna, ma è a suo

modo un mondo a parte.

È un viaggio straniante quello che ci porta fino

ad Alghero, tra monumenti

naturali e misteriose

vestigia, genti dalle mitiche

origini e lingue mai sentite

altrove

testo e foto di Marco Scataglini

Sardegna

Ogliastra

Alghero

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Ogliastra, cuore selvaggio di Sardegna

Vista dall’alto, l’Ogliastra appare come un vasto e tormentato insieme di colline e roccia circondato da alte montagne, iso-lato, isolatissimo da tutto e da tutti: quan-do i pirati saraceni aggredivano le coste in cer-ca di bottino, qui forse nemmeno se ne accorgevano. Col tempo l’isolamento è diven-tato un modo di essere e di pensare, una qua-lità dell’anima, una categorie morale, e il fat-to che oggi i pirati utilizzino la Borsa di New York per le loro incursioni, non ha certo mo-dificato le cose. Gli abitanti dell’Ogliastra (il cui nome pare derivi dalla ricchezza di Oli-vastri, anche secolari, che vegetano un po’ ovunque, oppure da un alto sperone di roccia nei pressi del golfo di Orosei chiamato Agu-glia, da cui Agugliastra) hanno conservato, se-condo i ricercatori, lo stesso DNA dell’antico popolo degli Shardana, quelli, per intenderci, che prima edificarono le Domus de janas e poi i Nuraghe e le Tombe dei Giganti. Per scopri-re una terra così, occorre necessariamente su-perare l’immagine stereotipata che ha della Sardegna il turista medio: che è quella di una sorta di immensa ciambella, un anello di coste con un buco nel mezzo. E pensare che invece

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“Occorre che il visitatore non si limiti a osservare le coste dove il blu del mare è un riflesso dell’azzurro del cielo, dove pinnacoli

di roccia si gettano impetuosi nelle acque, ma rivolga l’attenzione verso le onde verdi

dell’interno, alla ricerca di suggestioni ben diverse”

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per i sardi era tutto l’opposto. Dal mare veni-vano solo problemi: invasori, pirati, malattie (le zanzare anofele se la spassavano nei numerosi stagni costieri). Popolo di pastori, ma anche di contadini, mica di marinai. Gente abituata a stare mesi in mezzo alle montagne, seguendo il gregge delle pecore e lavorando il latte per ottenere “l’oro bianco” della Sardegna, il for-maggio pecorino. Occorre dunque fare in mo-do, dicevo, che il visitatore non si limiti a osser-vare le selvagge coste dove il blu del mare è un riflesso glorificato dell’azzurro del cielo, dove pinnacoli di pura roccia si gettano impetuosi nelle acque che ribollono nell’accoglierli, ma magari punti la prua della propria attenzione

verso le onde verdi dell’interno, alla ricerca di suggestioni ben diverse, non disgiunte dalle pri-me – che pure hanno la loro rilevanza – ma più strettamente connesse con quella che è l’au-tentica cultura della Sardegna.

Sulle tracce di antichi popoliLa Tomba dei Giganti di Triei è un buon inizio. Ma poi si rischia la sindrome di Stendhal col Nu-raghe Serbissi a Osini, inserito in un contesto pa-esaggistico davvero suggestivo. E che dire della tomba dei giganti di Pradu Su Chiai a Villagrande Strisaili? Centinaia di siti di grande fascino pun-teggiano tutto il territorio e meriterebbero ben altro spazio di quello a mia disposizione. Però uno

Piaceri Le escursioni sono uno dei piaceri più intensi di cui si può godere in

Sardegna. Il Monte Novo San Giovanni è raggiungibile partendo

dalla caserma forestale Montes di Orgosolo (bivio segnalato dal paese):

un sentiero conduce in circa mezz’ora sulla vetta, a 1316 metri di quota, da

dove si gode uno dei panorami più belli e intatti dell’isola. Rimanendo

nell’area del Gennargentu, ci si può fermare all’agriturismo S’Ozzastru (Dorgali, ss 125 al

km 211,600 – Tel. 3389469965, www.agriturismosozzastru.com),

con prezzi a partire da 35 euro per notte a persona. Altra proposta

interessante è l’Hotel Miramare (Cala Gonone, Piazza Giardini, 12 –

Tel. 0784 93140, www.htlmiramare.it), con prezzi a partire da 72 euro,

prima colazione inclusa; fondato nel 1955 in una delle più belle

località di mare della Sardegna, in posizione panoramica a pochi metri

dalla spiaggia, offre camere con tutti i comfort, ma soprattutto uno

strepitoso affaccio sul Golfo di Orosei.

Nell’area di Alghero, da non perdere un’escursione a Capo

Caccia. Difficilmente potrà capitarvi di effettuare una passeggiata

altrettanto mozzafiato, con affacci vertiginosi su altissime e selvagge

scogliere a picco su un mare blu profondo. Il sentiero parte dal parcheggio panoramico al

termine della strada (sp 55) per Capo Caccia (circa un chilometro

prima dell’ingresso alla Grotta del Nettuno, strada asfaltata a

destra). Affacciandosi dalle rocce sovrastanti, si può ammirare una

vista sensazionale sull’isola Foradada. Da qui un’esile traccia percorre

la cresta e si getta tra la macchia, dirigendosi verso Torre della Pegna,

a 271 metri sul livello del mare. Ci si deve allontanare dalla cresta solo per aggirare Punta Malrepos, che

domina la stretta Cala d’Inferno, e proseguire poi parallelamente al mare. Diversi “omini” lasciati dagli

altri escursionisti, aiutano non poco a trovare il percorso giusto.

In apertura, la torre San Giovanni di Serrala a Tertenia. In questa pagina la Chiesa sull’altipiano del Golgo e, sotto, la deliziosa cittadina di Bosa, vicino ad Alghero

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Cibo&territorio Quasi ovunque, nei ristoranti, si possono gustare gli gnocchetti sardi, le sapide zuppe con porcini (nonostante si pensi il contrario, la Sardegna è ricca di boschi) e soprattutto i famosi arrosti sardi, con l’immancabile porceddu. In Ogliastra vanno degustati i classici culurgiones, sorta di ravioli ripieni di patate e in genere arricchiti con foglie di menta. Un’autentica prelibatezza. Tra i dolci, segnalo che la tradizione locale evita i sapori troppo zuccherosi e ipercalorici, in favore di gusti più soft, con magari l’utilizzo del formaggio, come nelle seadas, dolce da portare sempre con sé nelle escursioni (sostituisce anche un pranzo, credetemi!). Tonara, un paese dell’interno, è poi famoso per il torrone, realizzato con il miele locale e insaporito con noci o nocciole. Da notare che non è prodotto solo a Natale, ma tutto l’anno (per fortuna)! Nelle località di mare come Alghero si può degustare la bottarga, una sorta di “caviale” fatto con le uova di muggine. E per digerire, cosa c’è di meglio di un buon liquore al mirto? Senza volervi togliere il piacere di scoprire i ristorantini o, ancora meglio, le piccole trattorie di paese che sorgono tra i vicoli dei borghi, vi segnalo un paio di indirizzi che possono costituire un buon punto di inizio. A Santa Maria Navarrese, nota per i suoi olivastri millenari e come base di partenza per gite in barca nel golfo di Orosei, si trova il caratteristico ristorante Il Pozzo (Via Plammas, 49 – Tel. 0782615039) che offre anche menù di pesce con prezzi a partire da 30 euro). Per rifocillarsi dopo aver passeggiato tra gli spettacolari “tacchi” e le gole che costellano il territorio di Ussassai (raggiungibili anche con il tradizionale “trenino verde” a scartamento ridotto), ci si può fermare al ristorante Su Ponti ‘e Irtzioni (località Niala – Tel. 078255721). È chiuso il martedì ed è bene prenotare. Prezzi a partire da 28 euro.

dei piaceri di questo tipo di turismo consiste pro-prio nel lasciarsi guidare un po’ dal caso, dando retta ai cartelli che indicano mete dai nomi im-pronunciabili. E poi c’è la Natura, il cui simbolo più potente è il Monte Perda ‘E Liana, un pinna-colo di roccia giurassica scalpellato dal vento e dalle stagioni nella forma esatta per giustificare il nome con cui sono note questo tipo di forma-zioni geologiche: tacchi. E poi ci sono le grotte, come quelle spettacolari di Su Marmuri, utero monumentale e profondo di questa terra, costel-lato di fantasmagorici monoliti, frutto del rap-porto tra la roccia e l’acqua, e che oggi attirano migliaia di turisti in cerca di emozioni d’altri tem-pi, quando per questi oscuri antri si scendeva si-no agli inferi. L’Ogliastra, che è un’isola nell’isola, riprende i caratteri di tutta la Sardegna, ma è a suo modo un mondo a parte. Arida, solare, spi-nosa, verde di quel verde glauco che inganna i sensi (sembrano boschi e sono invece muri, mu-ri vegetali d’accordo, ma sempre impenetrabili). E dura. Non dura come il granito, che quella è roccia per i ricchi, buona per edificarci sopra le villette o costruire i caminetti per i tiepidi inver-

In alto: la Torre spagnola che si erge su una piccola propaggine granitica protesa verso il mare presso Barisardo. Sotto: le Grotte Su Marmuri tra le più belle e imponenti d’Europa

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Folclore Secondo la leggenda,

dopo aver creato tutte le terre emerse, Dio si accorse che gli avanzavano ancora

un po’ di meraviglie naturali; così decise

di collocarle in mezzo al mare più limpido e lucente e per dar

loro una forma vi premette su col suo sandalo. Ecco come è nata la Sardegna.

Una terra che alle sue tradizioni ci tiene

moltissimo, come dimostrano non solo

i molti musei a esse dedicati, ma anche

le sagre e le feste che in ogni periodo

dell’anno rinnovano il patto tra i sardi e le proprie radici

culturali. Il ballo tondo, il canto a

tenore, l’uso delle Launeddas, sorta

di zampogne senza sacco, ma anche la

recitazione a braccio o le rappresentazioni

(il più delle volte a contenuto sacro, ma anche profano

con il ricorso a caratteristiche

maschere apotropaiche)…

e sono ancora molteplici gli esempi

che si potrebbero fare. Ad Alghero, però, c’è qualcosa

di più: la lingua. Per conservarla esiste

anche una scuola, la Escola de Alguerès,

dedicata alla memoria del grande scrittore e

linguista di Alghero Pascual Scanu.

ni. No, qui è calda roccia vulcanica dal colore del so-le o calcare proletario, roccia mutabile, candida come gesso, ruvida, spugnosa, molto più scontrosa ma an-che cedevole agli effetti congiunti del sole, del vento, dell’acqua… Una roccia così può anche apparirti vi-va, in certi momenti. Per gli abitanti dell’Ogliastra ha significato lotta quotidiana per la sopravvivenza in una terra difficile, ma anche generosa. È una roccia che difende, alla quale si finisce per somigliare.

Alghero: così lontana, così vicinaE a proposito di “isole nell’isola”, non si può non ci-tare un’altra meta che il viaggiatore interessato a sco-prire la Sardegna più autentica deve mettere nel pro-prio Road Book. Si tratta forse della cittadina più bella della Sardegna (insieme alla non lontana Bosa), edificata sul mare, dal quale la separano massicce mura completamente restaurate: Alghero conserva

intatta l’atmosfera un po’ “straniera” che l’ha sempre caratterizzata, trattandosi di una colonia catalana. Nella seconda metà del XIV secolo la città venne infatti abitata da popolazioni provenienti dalla Spa-gna, e da allora la lingua ufficiale (sebbene oggi sem-pre meno utilizzata) è stato il catalano. Anche l’at-mosfera che si respira nei vicoli, con quelle architetture così esotiche, con le targhe bilingui del-le strade, contribuisce ad aumentare il fascino di es-sere contemporaneamente in due posti (Italia e Spa-gna), e anzi in due epoche diverse, perché il catalano di Alghero è quello antico. La cittadina va sicuramen-te scoperta anche per gli interessantissimi dintorni. Oltre alla necropoli di Anghelo Ruiu (sulla strada Al-ghero-Porto Torres, presso lo svincolo per l’aeropor-to di Fertilia), e al Nuraghe Palmavera, vale la pena di scoprire l’indimenticabile costa settentrionale, con i suoi grifoni, le sue grotte marine e le sue scogliere.

In alto, le splendide mura di Alghero, dove

passeggiare al tramonto. Qui a destra uno dei murales

che hanno reso celebre il borgo di Orgosolo e che

ne colorano le strade

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I pazienti ai qualiè possibile inserireimpianti a caricoimmediato sonoi portatori di protesitotale completae i soggetti affettida piorrea con i denti compromessi e mobili. L’implantologia, nella sua forma più evoluta ed efficace, prevede l’inse-rimento degli impianti dentali con un’attesa variabile nel tempo dai tre ai quattro mesi, prima di procedere all’applicazione del carico mastica-torio definitivo e duraturo. Ti tratta dei tempi biologici necessari per ottenere l’osteointegrazione degli impianti (viti) in titanio, cioè la loro perfetta saldatura biologica all’osso. Con il carico immediato si soddisfa

senza attese il principale obiettivo del paziente: avere i denti subito, che siano funzionali e che presen-tino un bell’aspetto naturale. Tutto questo si ottiene grazie alle nuove tecniche chirurgiche, all’esperienza di chi opera e ai materiali utilizzati che devono essere di alta qualità e biocompatibili. Non va poi dimen-ticato il risparmio di tempo grazie al ridotto numero di sedute. Studi recenti hanno dimostrato che anche con la protesizzazione immediata si ottiene l’osteointegrazione che è il fenomeno biologico chiave per conseguire un’implantologia orale di successo. La condizione necessaria per la predicibilità della tecnica è la stabilità primaria degli impianti al momento dell’inserimento.I candidati al carico immediato sono i portatori di protesi totale comple-ta, che viene sostituita da una pro-tesi fissa nell’arco di una giornata. I vantaggi son tanti anche sotto il profilo psicologico del paziente. Al-tri candidati sono i soggetti affetti da piorrea con i denti gravemente compromessi e mobili. In questi casi si esegue l’estrazione degli elementi

dentali e il contestuale inserimento degli impianti. Nello stesso giorno si consegna la protesi fissa con un dop-pio risparmio di tempo e con disagi relazionali ridotti ad un solo giorno. I pazienti candidati a ricevere gli im-pianti a carico immediato vengono selezionati con adeguate procedure diagnostiche, sia strumentali sia cli-niche, al fine di ottimizzare la per-centuale di successo. Questa fase diagnostica consente al clinico di operare con la massima sicurezza nel rispetto delle strutture anatomi-che sensibili, come il nervo alveolare nella mandibola e il seno mascellare nell’arcata superiore.Costituisce controindicazione la presenza di malattie sistemiche non compensate rilevate da un’accurata anamnesi. Per l’intervento il pazien-te viene preparato con sedativi per vincere l’ansia e con un adeguato dosaggio di anestetico che permette di controllare il dolore intraoperato-rio, mentre gli antidolorifici comu-ni lo aiutano a sopportare il dolore postchirurgico. Dopo qualche mese, quando il processo di osteointegra-zione e di guarigione si è realizzato,

si procede alla finalizzazione con protesi definitiva, che è in ceramica, con forma, volume e colore dei den-ti esteticamente eccellenti. Tutti i denti sono avvitati in modo da poter revisionare la protesi ed eseguire re-interventi protesici, quando fossero necessari, senza dover compromet-tere tutto il manufatto. La terapia di mantenimento sia domiciliare, con l’attento controllo della placca con mezzi e modi adeguati, sia pro-fessionale con sedute periodiche di igiene orale effettuate nello Studio, garantisce la durata nel tempo della ricostruzione.

Con l’impianto a carico immediato masticazione senza indugiI recenti progressi dell’implantologia garantiscono tempi ridotti e risultati estetici oltre che funzionali

RX panoramica con impianti osteointegrati

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110 I piaceri di BaccoPrié Blanc, il vitigno “eroico” che nasce ai piedi del Monte Bianco

da pag. 112Rubriche• Il buono a tavola• Benessere• Camera con vista• Trendy• Shopping• Libri• Arte

Piaceri

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di Roberto RabachinoGiornalista e Presidente IWTO

International Wine Tasters Organization

Prié Blanc, il vitigno che viene dal freddo

La Valle d’Aosta è terra di contrasti e nep-pure i vitigni della regione si sottraggono alla regola. Nel solco vallivo della Dora Bal-tea, la coltura della vite è segnalata in tempi remoti e il territorio vitivinicolo valdostano è piuttosto ricco e variegato, per essere una re-gione che produce vini di montagna. La col-tivazione della vite in Val d’Aosta è stata in-trodotta probabilmente già in epoca romana. Nel medioevo le colture erano ampiamente diffuse e già si esportavano vini al di là delle Alpi, nel Vallese e in Savoia.L’esposizione soleggiata del versante setten-trionale della valle centrale, unito al clima ari-do della regione, rendono varie zone della Val-le assolutamente vocate alla produzione

Dai piedi del Monte Bianco, terra aspra e piena di contrasti, una varietà autoctona capace di resistere alle intemperie e regalarci bollicine dai profumi

delicati che, abbinate a una fetta di lardo, creano indimenticabili mariages

viticola. Qui il territorio è profondamente se-gnato dalla presenza di terrazzamenti ricavati con muretti a secco, costruiti con il paziente e duro lavoro di generazioni di vignerons.La produzione è limitata, frutto di una viticol-tura spesso “eroica”, dove l’impiego delle tecno-logie è limitato dalla conformazione del terri-torio. La qualità dei vini tuttavia è elevata e dalle caratteristiche molto particolari.Grazie al contributo dei servizi tecnici regio-nali e alla realizzazione di alcune cooperative, negli ultimi decenni si è assistito a un costan-te incremento qualitativo e quantitativo del-le produzioni, che hanno ottenuto numerosi riconoscimenti in campo nazionale e interna-zionale. Tra i vitigni più caratteristici si inse-

Il Prié Blanc è coltivato

nei comuni di Morgex

e la Salle, fino a 1.000 m di quota

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ipiaceridiBacco

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risce il Prié Blanc, coltivato nei comuni di Morgex e la Salle, ai piedi del Monte Bianco, fino a 1.000 m di quota. Con questa uva, col-tivata su piede franco, si producono vini fer-mi, alcune vendemmie tardive, icewine ed eccellenti spumanti, sia con metodo classico che con metodo charmat. Le origini, come abbiamo detto, sono molto antiche. L’ipote-si più attendibile propende a considerare questo vitigno come autoctono, selezionato cioè, attraverso i secoli, dagli antichi abitanti della Valdigne per le particolari caratteristi-che di adattamento alle condizioni climati-che. La sua prerogativa è di compiere l’inte-ro ciclo vegetativo in un periodo di tempo molto breve, grazie al germogliamento tar-divo e a una precoce maturazione; è allevato su pergole basse per evitare i danni del vento, ma soprattutto per sfruttare, durante le fred-de nottate, il calore che il terreno ha accu-mulato di giorno. La moltiplicazione avviene ancora oggi con il sistema delle propaggini o con delle barbatelle, franche di piede, non essendo necessario l’in-nesto su vite americana. A queste altitudini, la fillossera non ha potuto resistere ai freddi invernali che rendono poco temibili tutte le malattie crittogame, limitando così l’uso dei trattamenti antiparassitari.Un vitigno di questo tipo quali sensazioni or-ganolettiche può offrire? Proviamo a descriver-le. Il grado alcolico di un vino prodotto con il Prié Blanc non è mai molto elevato. L’acidità è sempre decisamente spiccata, i profumi molto delicati di tipo erbaceo e fruttato appena ma-turo con una caratteristica nota di erbe di mon-tagna e nette sensazioni minerali che vi invito a ricercare. Gli spumanti presentano note di crosta di pane, mela verde, fiori di rododendro e una vena agrumata. Per la vendemmia tardi-va, l’alcolicità è più accentuata e nette sono le percezioni di miele e albicocca.

Valle d’Aosta

Concludiamo col suggerirvi un abbi-namento, a mio avviso, perfetto. Prepa-

rate una fetta sottile del valdostano lardo di Arnad su un crostino di pane caldo (magari scuro, di segale). Il calore diluisce delicatamente la con-sistenza e riduce l’effetto di pastosità che general-mente ogni lardo produce in bocca. Provate ad abbinargli uno spumante ottenuto con questo vi-tigno. L’azione piacevolmente detergente delle bollicine e il suo leggero sentore di fieno di mon-tagna ben si accorderà, creando un mariage indi-menticabile. In alternativa un tagliere di lardo, mocetta e salumi della Valle d’Aosta con un de-licato miele abbinati a un Blanc de Morgex et de La Salle Doc servito in calice ampio e alto alla temperatura di 10 gradi.

La produzione di Prié Blanc è frutto di una viticoltura spesso “eroica”, dove l’impiego delle tecnologie è limitato dalla conformazione del territorio

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In uno scenario fiabesco tra castelli e antichi santuari, in-castonata tra i monti più alti d’Italia c’è la regione più piccola dello stivale. La Valle d’Aosta. Una delle mete tu-ristiche più ambite, amata da sciatori, escursionisti e sem-plici appassionati della bellezza e della quiete che fanno decantare i pensieri e rasserenano la mente. La gastro-nomia della regione è rimasta tradizionalmente fedele ai prodotti del territorio così che oggi possiamo raccon-tare attraverso la sua cucina l’identità del suo popolo. La posizione sul confine tra Italia e Francia ha influenzato molto il profilo culturale della regione e ha dato vita a un ricettario dove la tradizione della montagna si sposa alle influenze d’oltralpe senza tradirne l’essenza. L’elemento

Una cucina ad alta quota Filano, fondono, s’inzuppano. Profumano di montagna e di Francia. Sono le specialità tipiche della Valle d’Aosta, perfette per fare il pieno di energia dopo una lunga passeggiata alpina

Zuppa alla Valpelleunentze

Ingredienti:500 gr di pane di grano500 gr di fontina valdostana50 gr di burro1 verza di media grandezza Per il brodo: carne di manzo, porri, cipolla, aglio, carote, sedano sale, cannella, noce moscata, 2 litri di acqua

Procedimento: Preparare il brodo. Lasciar scolare la verza dopo averla lessata. Ungere una pentola (di terracotta) e predisporre strati come segue: il primo di pane tagliato a fette, poi uno di foglie di verza e uno di fontina. Si prosegue fino ad aver terminato gli ingredienti. L’ultimo strato deve essere di pane, a cui vanno aggiunti dei fiocchi di burro. Si cuoce a forno caldo (200°C) per almeno 30 minuti.

Polenta Pasticciata

Ingredienti:750 gr di polenta fredda 250 gr di toma 50 gr di burro

Procedimento: Tagliare la polenta a fette (spesse un dito) e disporle in una teglia di terracotta precedentemente imburrata. Tagliare a fette sottili il formaggio, formare strati alternati e, come ultimo strato, disporre la polenta con qualche fiocco di burro che la renda più morbida. Inserire a forno caldo (200°C) per circa 20 minuti, fino a quando si sarà formata una bella crosta dorata.

Fonduta valdostana

Ingredienti per 4 persone:500 gr di fontina valdostana 1 litro di latte80 gr di burro 4 tuorli d’uovosale, pepepane tostato

Procedimento: Tagliare la fontina a pezzetti e lasciarla macerare nel latte per almeno 5 ore. Sistemare il composto nell’apposito tegame (meglio se di rame) e cuocere a fuoco lento, aggiungendo il burro e le uova (solo i rossi), e mescolare lentamente. Salare e pepare. Servire con del pane tostato.

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Il buono a tavola di Antonio Romeo - [email protected]

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Il lardo di Arnad: menzione d’onore Si ottiene dal lardo di spalla di maiale (animale del peso di almeno 160 kg e d’età non inferiore ai 9 mesi) la cui carne deve essere rosata e senza macchie; il peso è variabile dai 3 ai 4 Kg, la forma è a trancio quadrangolare. Dai tempi più antichi e fino alle più recenti disposizioni di tipo igienico, il lardo veniva conservato e stagionato nei doils, forme di legno di castagno con particolari incastri che non facevano fuoriuscire la salamoia; oggi i recipienti per questo uso sono di vetro. La preparazione prevede la rifilatura del lardo che, privato della cotenna, è posto nel recipiente di vetro a strati alternati con sale e acqua (precedentemente fatta bollire con sale e aromi quali pepe, rosmarino, alloro, salvia, chiodi di garofano, cannella, ginepro, noce moscata, achillea). Il recipiente viene chiuso, quindi, con un coperchio su cui è posto un peso; inizia così la stagionatura che si protrae fino a un anno: per una conservazione prolungata il lardo viene posto, coperto di vino bianco, in vasi a chiusura ermetica. Si consuma affettato sottilmente, posto su fette di polenta abbrustolite e calde, in modo che, sciogliendosi, il salume sprigioni il suo aroma dolce e delicatamente aromatico, oppure in una preparazione tipica, il bocon du diable, su una fetta di pane di segale, abbrustolito in teglia con aglio e spalmata di miele (alternativamente alla mocetta di camoscio). Il lardo di Arnad è stato insignito del marchio di Dop della Comunità Europea.

Carbonade

Ingredienti:800 gr di carne magra tenera (manzo o noce di vitellone) 2 spicchi d’aglio3 pugni sale grosso50 gr di burro

Per la salsa:30 gr di burro 1 bicchiere vino (bianco o rosso)noce moscata, salvia, chiodi garofanosale, pepe, farina

Procedimento: Far bollire la carne, aromatizzarla con l’aglio e ricoprirla con sale grosso (un paio di pugni), quindi lasciarla sotto sale per qualche giorno. Dopo 4 o 5 giorni il pezzo di carne va ripulito dal sale e tagliato in piccoli pezzetti (dadini). A parte, preparare la salsa: fare un soffritto di burro e cipolla, aggiungendo un po’ alla volta il vino, il sale e le spezie. Da ultimo va aggiunta un po’ di farina per rendere la salsa più solida. In una padella soffriggere la carne con il burro e poi unire la salsa, mescolando il tutto. Accompagnare con la polenta.

Camoscio in civet

Ingredienti:1 kg di carne di camoscio 300 gr di patate 200 gr di carote 200 gr di cipolle2 bicchieri di vino rossosale, aromi1 dl di panna1 dl di latte

Procedimento: Far cuocere la carne in padella affinché il grasso rimanga sul fondo. Poi tagliare in pezzetti e riporli in una pentola insieme con il vino e le verdure, aggiungendo sale e aromi, lasciando marinare il composto per un paio di giorni. Al termine della marinatura, lasciar cuocere il tutto per almeno 2 ore: a metà cottura aggiungere il latte e la panna in sostituzione del vino, che nel frattempo è evaporato. A cottura ultimata, schiacciare le verdure fino a ottenere una salsa omogenea e densa.

che caratterizza maggiormente la gastronomia valdo-stana è l’abbondanza di piatti brodosi, tra cui spicca la zuppa ucca, preparata con orzo, costine di maiale e pa-ne nero; o piatti unici come la zuppa alla Valpelleunent-ze, preparata con pane nero, brodo di carne, verza e fontina, e ancora zuppe di cavolo e mele oppure con la cipolla. Le zuppe con le verdure e il pane raffermo con-notano una tradizione originariamente povera cui, nel corso del tempo, si sono aggiunti ingredienti cosiddetti ricchi quali il formaggio e la carne. Nella cucina valdostana mancano i piatti asciutti e le pa-ste, a parte gli gnocchi alla bava, conditi con la fontina, e i risotti alla fonduta di fontina. La presenza di castagne, ha portato alla produzione di farine che, miscelate a quel-le di grano, si usano per preparare alcune paste, come le fettuccine di castagne condite con verza e costine di maiale. Come condimento troneggia il burro, ma il più significativo fra i prodotti alimentari è proprio la fontina, che troviamo in diverse preparazioni nonché alla base della fonduta valdostana, che differisce dalle altre perché la crema è arricchita con tuorli d’uovo. La polenta è un altro piatto insostituibile: morbida e cal-da, accoglie l’inverno e quasi lo ammorbidisce, lo rende cremoso come il burro e, ovviamente, la fontina con cui viene condita. Il clima ha favorito lo svilupparsi delle arti di conservazione delle carni, quali la salatura e l’affumi-catura. Si possono quindi gustare alimenti antichissimi come la mocetta, fatta con polpa di camoscio o di capra, che si serve tagliata a fette come antipasto, accompa-gnata da fette di pane integrale imburrato, e il famoso lardo d’Arnad, conosciuto fin dal XVI, unico lardo euro-

peo a denominazione di origine protetta. La sua particolarità sta nell’alimentazione dei maiali impiegati che esclude mangimi integrati, e nel fatto che venga profuma-

to con spezie reperibili sul territorio. Un

altro piatto molto diffuso è la carbonade, il tipico ragù di carne salata addolcita nella cottura da tanta cipolla e vi-no rosso. Molto usata poi la carne di cacciagione, come quella di capriolo e di camoscio, che si prepara sempre in salsa civet, cioè marinata nel vino con verdure e a vol-te con uno spruzzo di grappa. La mela infine è il frutto più diffuso della Valle d’Aosta, in particolare la renetta, molto usata in cucina per via del suo sapore acidulo. Anche la viticoltura è antica ed è frutto, visto la natura impervia del territorio, della sapienza e della fatica dell’uo-mo. Si distinguono qui vini come il Priè Blanc, unico viti-gno autoctono a bacca bianca, vini Doc come l’Enfer d’Arvier e il Torrette, o il gioiello dell’enologia valdostana fin dal XV secolo, ovvero il Moscato dei signori,e ancora il Muller Thurgau e tanti altri. E poi un’infinità di grappe, spumanti, passiti. E il gènèpy, il liquore tipico della tradi-zione valdostana fatto con 200 specie di piante raccolte ed essiccate tradizionalmente in locali arieggiati.

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Pelle squisitaHuile Divine di Caudalie. Estratti dai vinaccioli d’uva, i polifenoli brevettati Cauda-lie sono presenti in ogni pro-dotto della marca. Sono ec-cezionali antiossidanti naturali e grandi protettori dell’acido ialuronico natura-le. Completano la formula di questo olio secco (adatto per corpo, viso e capelli), l’olio d’uva e l’olio di sesamo uniti all’olio di argan e di ibi-sco. La pelle è riparata, am-morbidita. Si può usare an-che nell’acqua del bagno. Il suo profumo a base di rosa, pompelmo, cedro, vaniglia e pepe rosa, è conturbante; 100 ml, 24 euro. www.caudalie.com

Un tesoro di melaDa quella d’oro donata ad Afrodite, la mela porta con sé il maggior numero di significati simbolici e immagini mitiche, ed è un tesoro di vitamina C e B, di calcio prezioso per le ossa, di potassio per rassodare i tessuti e di zinco per la struttura cellulare. È il frutto altoatesino per eccellenza e nel centro Spa & Vital delle Terme di Merano non potevano mancare trattamenti che la impiegano come base, come il Giardino dei meli (peeling con schiuma di sapone alla mela, impacchi corpo con cellule staminali alla mela, massaggio al viso alla mela, maschera finale – ingresso di due ore alle Terme, 112 euro). www.termemerano.it

Carote al sesamoCrema Solare alla Carota, al Sesamo & al Karité SPF 30. Per pelli ultrasensibili, indicata per condizioni di sole intenso e per le prime esposizioni. È consigliata anche per la pelle dei bimbi, ideale per il viso e per il seno, ottima per tutto il corpo. Il beta-carotene, con-tenuto in alta percentuale nelle carote, dona alla pelle una calda tonalità ambrata, l’olio di sesamo svolge un’azione emolliente e nutriente, il Gamma Orizanolo (derivato dall’olio di crusca di riso) svolge un’azione filtrante verso il raggi UVA; 125 ml, 15,50 euro. www.erbolario.com

Colore tropicaleOlio Corpo Abbronzante SPF 20 di Vagheggi. Contiene Olio di carota e burro di Murumuru biologico proveniente dalla Foresta Amazzonica. Ricchissimo di vitamina A, stimola la produzione di melanina, donando un’abbronzatura ultra-rapida. Uno speciale complesso vegetale ha un effetto riducente e modellante. La vitamina E ha un effetto antiossidante e protettivo, previene l’invecchiamento cutaneo. Contiene inoltre filtri UVB antieritema e filtri UVA per la prevenzione del Photo-ageing, è dermatologicamente testato, senza conservanti, alcohol-free. Per corpo e capelli; 200 ml, 27,50 euro. www.vagheggi.com

Buoni (non solo) da mangiareTutte le virtù della frutta nei prodotti indispensabili per la protezione del viso, del corpo e dei capelli durante l’esposizione al sole. Non solo come difesa dai raggi UV, ma anche per un piacevole effetto aromaterapico

Delizie mediceeSui dolci pendii delle verdeggianti colline di Fiesole, nella superba villa rinascimentale sede dell’Hotel Il Salviatino, l’esclusiva Spa offre trattamenti che si avvalgono dei prodotti del Dr Vranjes, perfetto connubio di tecniche all’avanguardia e ricerca nella tradizione: scrub a base di gelatina al mosto di vino rosso, impacchi caldi idratanti con olio di oliva, massaggi con mousse di burro naturale, aromatizzati con essenze a base di spezie, fiori di gelsomino note di menta o agrumi mediterranei. Pacchetto relax con vista su Firenze, 2 notti per due persone: 1.260 euro. www.salviatino.com

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benessere di Francesca Frediani

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(maggiori info e news www.colpetrone.it)

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Immerso in un contesto naturalistico unico del-la Puglia jonica, affacciato sulle acque cristalline del litorale pugliese, si trova il Kalidria Thalas-so Spa Resort, gioiello del prestigioso network MGallery, un’esclusiva collezione internaziona-le di hotel d’alta gamma dalla spiccata indivi-dualità, in grado di offrire al cliente un’espe-rienza di soggiorno autentica e indimenticabile. Il Resort, incorniciato da un lato da un mare dal-le mille sfumature turchesi e dalla sabbia impal-pabile di 5 km di spiaggia esclusiva, e dall’altro dalla macchia mediterranea impreziosita dai pi-ni d’Aleppo della riserva biogenetica di Storna-ra, rappresenta la destinazione ideale per una vacanza da sogno immersi nella natura, nel benessere e nella bellezza. L’Hotel, sofisticato e raffinato, è caratterizzato da un design d’in-terni contemporaneo e da una bioarchitettura all’avanguardia, che incastona le camere in una

Kalidria Thalasso Spa Resort: un’oasi di

bellezza e benessere immersa nella natura, affacciata sulle acque cristalline del litorale

pugliese. Membro della prestigiosa

collezione internazionale

MGallery

parete giardino, a mo’ di anfiteatro, da cui si go-de una splendida vista rilassante sulla pineta e sui laghetti di acqua di mare. Centodieci le eleganti camere, suddivise in Standard, Superior e Suite, tutte con terrazzino privato attrezzato, dotate dei più moderni comfort di ospitalità. Tre ampie sale Meeting, una delle quali con una capienza massima fino a 600 persone, dotate di moder-ne attrezzature (inclusa una cabina di regia) per incontrare tutte le esigenze Mice & Incentive. Una ristorazione d’eccellenza, con due ristoran-ti – Ben…è, quello principale, con una capienza fino a 300 persone, e Mediterraneo, situato a bordo mare – che celebrano i profumi e i sapo-ri dell’autentica cucina pugliese reinterpretando ricette e metodi culinari, mescolando gusto e salute: la ricchezza dei prodotti regionali dal sa-pore unico e la sapiente creatività dello staff del Kalidria sapranno deliziare anche i palati più esi-genti! E per vivere fino in fondo il sogno di una vacanza per rigenerare corpo e spirito in un’in-dimenticabile esperienza sinestetica, il Kalidria vi attende nella sua raffinata Thalasso Spa: un’oasi di più di 3500 metri quadri e le migliori expertise del settore dedicati alla vostra remise en forme, in un percorso attrezzato con piscina di acqua di mare riscaldata interna ed esterna, cabine per l’idromassaggio e la cromoterapia, sauna, bagno turco, area relax, centro fitness.

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Relax di lusso tra ulivi centenari

Passeggiando nel verde La Tenuta Le Selve è circondata da uno splendido pianoro che ospita mille ulivi e che, per le sue dimensioni, è un caso unico in quest’area del Garda. La sua collocazione geografica e i venti favorevoli che soffiano dal Monte Pizzoccolo, creano infatti le condizioni climatiche ideali per la produzione di olio; le escursioni termiche contribuiscono inoltre a rafforzare lo stato di salute delle piante e favoriscono risultati eccellenti dal punto di vista organolettico. I 1000 ulivi centenari producono un olio d’oliva extra-vergine certificato Dop (cultivar Casaliva, Leccino, Pendolino e Gargnà, pianta autoctona rara e di difficile coltivazione), dalla personalità garbatamente fruttata, arricchita da una caratteristica nota di mandorla, lievemente erbacea, con una leggera punta piccante. È particolarmente equilibrato e unico nel panorama degli oli italiani, e si colloca tra i migliori prodotti nazionali. Perfetto per preparazioni di pesce lacustre, ha un carattere gentile, ed è ideale per accompagnare piatti dal sapore delicato. Gli ospiti della Villa, oltre ad assaporare il gusto intenso e le note olfattive di quest’olio pregiato, possono apprezzarne i profumi e le sfumature argentate della coltivazione durante le loro tranquille passeggiate attraverso la Tenuta.

È stata progettata negli anni Venti dall’ar-chitetto Giancarlo Maroni, noto principal-mente come progettista del Vittoriale degli Italiani – la residenza del poeta e letterato Gabriele D’Annunzio – la prestigiosa Vil-la che rappresenta il nucleo centrale della Tenuta Le Selve di Gaino, frazione del co-mune di Toscolano Maderno, in provincia di Brescia. Ristrutturata nel 2008, la Villa mette a disposizione degli ospiti della te-nuta tre suite matrimoniali che si compon-gono di ampie camere dotate di tutti i com-fort, curate e personalizzate nel dettaglio: i marmi del bagno, le decorazioni in legno, i tessuti pregiati delle lenzuola e delle spu-gne, le sfumature tenui e gli arredi di sti-le sono stati scelti e abbinati con cura per esaltarne gli ambienti. Come ogni dimora confortevole, la Villa è inoltre dotata di un

ampio soggiorno, sala da pranzo e cucina. Queste si trovano all’interno dell’elemen-to che meglio caratterizza lo stile elegan-te e ricercato dell’edificio: un conservatory in ferro e vetro orientato verso il lago che, attraverso le sue superfici trasparenti, per-mette non solo alla luce, ma anche ai colori intensi della natura di fondersi all’interno e regalare un’atmosfera unica. Per coccolare i propri ospiti la Villa è dotata inoltre di uno spazio wellness con vista sul giardino e sul lago. Qui si trovano una grande vasca idro-massaggio in cui immergersi per un bagno rivitalizzante o una sauna finlandese; senza dimenticare infine la piscina all’aperto, do-ve farsi incantare da un panorama unico, tra aiuole con essenze e fioriture profuma-te, abbandonati in un’acqua limpida che sembra fondersi con l’azzurro del lago.

Elegante ed esclusiva, situata sulla sponda occidentale del Lago di Garda, la Tenuta Le Selve è abbracciata dal verde dell’ulivetoche le si stende tutt’attorno. Qui, una prestigiosa Villa è a disposizione di quanti desiderino trascorrervi momenti di assoluta tranquillità

Tenuta Le Selve Via M.E. Bossi, 67 - Salò (Bs) - www.tenutaleselve.com

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Azienda Vitivinicola NasiniLocalità Collecchio

58051 Magliano di Toscana (Gr)Tel. +39 3472910551 [email protected]

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10, av. de Thonex, Chene-Bourg 1225 Genève (CH)[email protected]

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Finalmente il sole.Resisterà? Sarà una bella estate? Fresca, calda, afosa,

luminosa?Certamente avremo, in ogni caso, la possibilità di

indossare dei costumi da bagno.Che si vada al mare, al lago, sui fiumi o in bellissime

piscine, non rinunceremo a sfoggiare il nostro nuovo modello.

Diciamoci la verità.Ognuno di noi possiede più di un costume da bagno

e ognuno di noi ne conserva di vecchi pur sapendo perfettamente che non li indosserà più.

Ma il fatto di averli, in fondo a qualche cassetto, ci rassicura e ci tutela perché in questo modo riusciamo a rivivere anche i ricordi che ci legano al periodo in cui li indossavamo. Un amore passato, un periodo felice,

una vacanza bollente…Ma quest’anno?

Sicuramente andremo alla ricerca di qualche nuovo modello cercando tra i colori più attuali.

E difficilmente lo indosseremo.Poi inevitabilmente cadremo in un modello e in un

colore rassicuranti. I nostri preferiti. E li porteremo per tutta l’estate.

Ma ci basterà un costume da bagno?No!

Magliette, occhiali da sole, pantaloncini, accessori.Tutto ci farà vivere più intensamente la nostra estate

2012, dove nuovi colori, nuovi tessuti, nuove forme ci renderanno tutti più solari e allegri.

Il ricordo di estati passate, di vecchi amori, delle spiagge dell’infanzia.

Ma anche le aspettative per una stagione calda da vivere intensamente.

Quante emozioni in pochi centimetri di stoffa! Il costume da bagno

è un’icona, da scegliere con cura

di Giemme

1. Dolce&Gabbana2. Prada

3. Adidas Originals 4. Louis Vuitton

5. Marni - 6. Gucci7. Etro

8. CP Company9. Yamamay

10. Calzedonia11. Valentino

tren

dyIl fattore bikini

3.

1.

3.

5.

6.

7. 8. 11.

10.9.

4.

2.

120

trendy

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shopping

Passeggiando nel soleSandali con zeppa tessuta e colorate perline: una folata di vento fresco nelle torride serate della bella stagione. Un omaggio di Burberry all’estate, che è femmina! Prezzo: n.d.

La Candy Bag, il bauletto lanciato la scorsa stagione da

Furla e da subito best seller, è fulcro di nuove

sperimentazioni tra cui la versione super-trendy in

pvc abbinato a vitello stampa pitone. Il

bauletto nasce da una lavorazione accurata

che unisce una tecnologia rivoluzionaria,

data dall’utilizzo di uno stampo a iniezione per

la produzione dei componenti della borsa, alla tradizione, attraverso

cuciture realizzate artigianalmente.

Prezzo: 260 euro

Icone in trasparenza

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Sinuoso e scintillanteAnello Serpenti in oro giallo con peridoto e pavé di diamanti (1,40 cts) di Bulgari. In vendita da luglio. Prezzo: n.d.

shopping di Olga Carlini

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shopping

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Design in viaggio Momodesign presenta una nuova travel experience pensata per i viaggiatori contemporanei: la linea Urban Travel, essenziale nelle forme e dall’approccio materico innovativo. Due i trolley con struttura morbida, uno da cabina e l’altro più grande, realizzati in tessuto tecnico gommato con dettagli e inserti in nylon vela, per un risultato ultra resistente. Prezzo: 149 e 175 euro

All’insegna della naturaT-Short è lo short Timberland dal tratto green (vanta la certificazione EarthkeepersTM) che intreccia suggestioni country chic ed elementi active. Il lino e il cotone si mescolano garantendo il massimo comfort anche nelle giornate più afose, mentre sulla tela si scontra un caleidoscopio di colori. Pratico e smart, il T-short si trasforma con un semplice gesto grazie al bottone che permette di accorciarne la lunghezza. Prezzo: 109 euro

Elegant moodUltra femminili, extra large, super romantici. Eccessivi ma incredibilmente sofisticati; sono gli occhiali da sole firmati Marc Jacobs, per una donna glam e seducente. Prezzo: 260 euro

Definiscimi la bellezza…Il modello Ixus 510 HS ha un impressionante zoom ottico 12x con grandangolo da 28 mm in un corpo che misura solo 19,8 mm di spessore. La tecnologia ZoomPlus Canon consente di estendere lo zoom della fotocamera e avvicinarsi ancora di più all’azione, pur mantenendo una qualità superiore rispetto ai tradizionali zoom digitali. Prezzo: 380 euro

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Dodici libri in dodici mesiIl libro/guida su Atene è il primo di una serie di dodici titoli che andranno a comporre la collana Europe, scrit-ta e pubblicata nell’arco di un anno. Ce ne parla Miche-le Monina, scrittore, giornalista e autore televisivo.

Una guida all’Europa proprio in questo mo-mento storico? Cosa “c’è dietro”? Oggi non sentiamo che parlare di Europa. Ma sen-tiamo anche ripeterci, ossessivamente, come l’Euro-pa non sia solo una, ma tante, un insieme di realtà diverse con differenze apparentemente inconciliabili. Europa ed Europe, dunque. L’idea quindi è quella di raccontare lo stato dell’arte facendo un tour europeo, alla maniera dei Grand Tour del passato. Ma questi li-bri non sono solo reportage. Sono anche e soprattut-to guide, utili per chi poi vorrà mettersi sulle mie orme e seguirne le tappe.

Cosa possiamo aspettarci nel leggerli?Il lettore tipo di Europe è chiunque sia interessato a conoscere le città che racconteremo. Non neces-sariamente perché intenzionato ad andarci, magari anche solo per leggere un libro che in qualche mo-do scatti una foto. Il “Grand Tour de force” cui mi sto sottoponendo mi consentirà infatti di racconta-re le città quasi in presa diretta. Troverete quindi un racconto ancora vivo, recentissimo, e al tempo stes-so tutte le indicazioni utili per orientarsi, testate in prima persona. Non troverete invece le informazioni che fanno tanto guida turistica: hotel con stellette di giudizio, ristoranti…

La maratona di viaggio e scrittura è già iniziata: un commento a caldo? La sensazione, a caldo, è che confrontarsi con gli al-tri paesi del nostro continente sia una grande occa-sione. Partire da Atene, che più di ogni altra capitale europea sembra avere il potere di influenzare, si te-me negativamente, tutti le altre, è stata una scelta naturale; proseguire con Londra, che proprio in que-sta estate 2012 sarà al centro dell’attenzione di tutto il mondo con le Olimpiadi, anche. Tra un anno il mio viaggio sarà finito e il dodicesimo titolo di Europe sarà arrivato in libreria: ne vedrò delle belle, ne sono certo, e ve le racconterò fedelmente.

di Renata DiscacciatiSalani Editore

11 euro

La scienza è servita!L’editor del volume di Agostino Traini, Giacomo Spallacci, ci spiega come la cucina può diventare un divertente laboratorio.

A chi si rivolge il volume?Ai bambini, ma può essere usato dagli adulti come spunto per un incontro divertente con la scienza.

L’esperimento più sorprendente? Inevitabile restare affascinati dalla gagaplocia: anche gli adulti finiscono per pasticciarci e magari sporcarsi i vestiti (è solo lavabilissima fecola). C’è poi l’uovo gommoso, così inverosimile che qualcuno l’ha scambiato per una pallina e… il finale è stato esplosivo!

Ma gli “esperimenti” poi… si mangiano? Proprio no. Semmai si mangia quello che avanza! Per un approccio giocoso al cucinare, piuttosto, Emanuela Bussolati ha scritto per noi “Cuochi con sale in zucca”, un divertente manualetto di cucina per i più piccoli.

Esperimenti pop-up in cucinadi Agostino TrainiEditoriale Scienza9,90 euro

di Michele MoninaLaurana Editore9,90 euro

La “terapia” del titolo sembra non ri-ferirsi tanto (o almeno non solo) al singolo viaggiatore, ma al mondo – al modo di vederlo e viverlo – che potrebbero essere migliori se fossimo più viaggiatori e meno turisti. È così? Sì, certamente. Non si tratta tanto, o solo, della differenza fra turista e viag-giatore (anche se ciascuno di noi non ama essere definito turista). Direi che l’unica qualità necessaria per viaggiare è la curiosità, per le persone, i luoghi...

Un viaggio può essere un momento di riflessione, ma può anche risolversi in una fuga straniante rispetto alla pro-pria vita. Qualche consiglio per trarre il meglio da questa esperienza? Più che un momento di riflessione è una situazione di apertura, bisogna essere in grado di accogliere tutto quello che arriva, la riflessione verrà al ritorno. Proust dice-va: “Il solo, vero viaggio non consiste nel-lo scoprire nuovi paesaggi, ma nell’avere

nuovi occhi”. Il meglio dall’esperienza si trae imparando a “vedere”.

Un capitolo è dedicato al ritorno. Cosa lo rende un momento così im-portante e come è possibile affron-tarlo nel modo giusto? Il ritorno è un momento importante per-ché si torna ad affrontare il “conosciu-to”, la routine, la vita normale. E questo spaventa, perché ci mette di fronte a doveri che avevamo dimenticato. Come si supera? Programmando un altro viag-gio, se possibile, oppure ripercorrendo l’esperienza appena conclusa per capire se siamo cambiati, se siamo cresciuti. In-somma credo che il viaggio sia una pre-disposizione mentale.

Il mondo con nuovi occhi

Renata Discacciati ci racconta cosa significhi

per lei viaggiare.

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libri letti per voi di Gilda Ciaruffoli

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magazine

by

Air One magazine by Viaggi del Gusto è un mensile unico in Italia sulla cultura del cibo e della promozione dell’agroalimentare di eccellenze. L’informazione seria che sfocia nell’approfondimento mensile, le scoperte, le selezioni ne fanno un punto di riferimento credibile ed indipendente nel settore, con una funzione ormai di pubblica utilità.

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Page 126: VdG Viaggi del Gusto Magazine Giugno 2012

Arrivi e partenze 2012: MediterraneoTerza edizione del progetto di arte contemporanea che ha come sede naturale la città di Ancona, la cui posizione baricentrica tra Europa e Me-diterraneo la rende ideale porto di confluenza per personalità creative provenienti da Paesi diversi. Si compone in questo modo un mosaico fat-to di dissonanze, rotture, assenze e qualche incontro, che ha come ca-ratteristica unificante un linguaggio che parla il codice della contempo-raneità. Le mostre e gli eventi del progetto sono ospitati presso la Mole Vanvitelliana, cittadella fortificata ed ex Lazzaretto a pochi passi dal por-to, luogo che negli ultimi anni è diventato il centro di produzione artisti-ca della città. Arrivi e partenze si configura come premessa per la Bien-nale Giovani Artisti del Mediterraneo, che si terrà ad Ancona nel 2013.

15 giugno-2 settembre

Mole Vanvitelliana Banchina Giovanni Da Chio, 28 – Anconawww.arriviepartenzemediterraneo.it

L’Homme qui marchePrende forma il progetto espositivo dedicato ad Alberto Giacometti, artista svizzero/italiano tra i maggiori del Novecento, che più di ogni altro ha saputo interpretare i dubbi, le incertezze, le angosce del seco-lo appena trascorso. La mostra presenta oltre 120 opere tra sculture, oli, disegni, litografie originali, acqueforti oltre che alcuni delicatissimi modellini in gesso, in un percorso che privilegia la produzione matu-ra dell’artista, totalmente centrata sull’uomo e sulla sua vita interiore. I soggetti delle sue sculture – ritratti a mezzo busto e a busto intero, figure sole, composizioni multiple, immobili o in movimento – sono solidi ma hanno i contorni continuamente frantumati, che ne suggeri-scono, ma al tempo stesso vanificano, la presenza.

15 giugno – 4 novembre

Forte di Bard, Aosta – www.fortedibard.it

Giunta alla sesta edizione, la Biennale d’arte contemporanea di Luc-ca coinvolge artisti internazionali nella realizzazione di opere di carta di grandi dimensioni visibili per le strade e le piazze del centro storico della cittadina e nel comune di Porcari. Parallelamente, una serie di mostre monografiche e collettive di artisti che utilizzano la carta co-me media costitutivo, sono ospitate all’interno delle sedi museali del-la Biennale. Inoltre i luoghi della manifestazione diventano, per tutto il mese di luglio, teatro di concerti, happenings, spettacoli, danza, in-contri e presentazioni di libri. Filo conduttore dell’edizione 2012 è (ine-vitabilmente) “crisi e rinascita”.

30 giugno-29 luglio

location varie, Lucca – www.cartasia.it

Ericailcane a Ravenna

Cartasia

È stata completata l’opera murale di Ericailcane, realizzata nell’ambito delle Cinquetracce, dialoghi per la candidatura di Ravenna a Capita-le Europea della Cultura del 2019. Lo street artist di fama mondiale è stato invitato a lasciare un segno concreto e simbolico in un’area che è attualmente al centro dell’interesse dei cittadini: la Darsena. Il disegno murale, oltre che un’opera d’arte di portata mondiale, ha dunque per la città un alto valore simbolico: nei prossimi mesi la zona sarà infatti sottoposta a interventi di riqualificazione urbana, coinvolgendo i citta-dini nell’immaginare la Ravenna del futuro. Oggi, camminando sulla banchina destra della Darsena, il disegno compare in tutta la sua ma-gnificenza, come un grande schermo cinematografico architetturale che accompagnerà le passeggiate estive. In occasione dell’inaugura-zione l’area interessata ospiterà iniziative artistiche di varia natura.

22 giugno

Via Salona, Ravenna – www.ericailcane.org

126

artearte di Gilda Ciaruffoli

Page 127: VdG Viaggi del Gusto Magazine Giugno 2012

Passioni primitive

La cantina Soloperto è nata e cresciuta

a Manduria, in quell’arco di Puglia che si affaccia

sul mar Ionio. Da sempre questa è la terra del

Primitivo, con le vigne ad alberello che disegnano il paesaggio, arrivando

a lambire il mare

La passione tra la famiglia Soloperto e il vino scoppia nei primi decenni del seco-lo scorso. «Furono i nostri nonni», ci raccontano «a capire per primi le potenzia-lità che una terra come la nostra poteva esprimere, fondando una delle prime aziende per il commercio del vino sfuso. Verso la fine degli anni ’60 del secolo scorso, nostro padre Giovanni Soloperto fece il passo successivo e, prima an-cora della legge sulle Doc, imbottigliò il Primitivo in purezza nella prima, picco-la cantina». Col tempo la struttura si è ingrandita fino a raggiungere le attuali dimensioni e oggi, in azienda, produciamo circa due milioni di bottiglie l’anno. «Il Primitivo è sempre la nostra principale risorsa, affiancato dai vini della tradi-zione pugliese quali il Negroamaro e alcuni vitigni a bacca bianca delle colline murgesi che compongono le Doc Locorotondo e Martina Franca. Il nostro la-voro, infatti, è concentrato sulla promozione dei vitigni autoctoni di Puglia, un patrimonio ampelografico ricco di varietà e storia. Siamo, nello stesso tempo, molto attenti alle esigenze dei consumatori offrendo loro sia vini semplici e di pronta beva che vini più complessi e strutturati, adatti anche all’invecchiamen-to». Ogni bottiglia delle Cantine Soloperto è sempre un prodotto di alta qualità, che porta nel mondo l’anima di un terroir unico al mondo: la Puglia.

Cantine Soloperto SS 7 Ter, Manduria (Ta) - Tel. 0999794286, www.soloperto.it

selezioni

Page 128: VdG Viaggi del Gusto Magazine Giugno 2012

Per chi ha voglia di mangiar sano

Con un’attenzione quasi maniacale alla qualità delle materie prime impiegate e a quella dei processi produttivi, Elgaviva

porta sul mercato un’ampia gamma di risotti premiscelati adatta a tutti, compresi celiaci e… single!

Realtà giovane nata da un’esperienza decennale nel settore ali-mentare e agro-alimentare, Elgaviva fonda la sua attività su una precisa filosofia aziendale. Alla base della produzione infatti la consapevolezza che oggi più che mai la qualità del prodotto, as-sociata alle più moderne e sicure tecniche di confezionamento, è alla base di una sana e corretta alimentazione; in questa ottica la ricerca e la selezione delle materie prime di eccellenza svolge un ruolo primario all’interno delle procedure aziendali. I prodot-ti di Elgaviva vengono commercializzati con il marchio Le Voglie che sta a sottolineare proprio la necessità e il desiderio di sce-gliere alimenti buoni, sani e sicuri. I prodotti Le Voglie – in parte biologici e tutti senza glutine, quindi adatti alle persone affette da celiachia – si dividono in tre linee: quella tradizionale, quella biologica e la linea gourmet, tutte con due varianti quantitative da 215 gr per 2/3 persone e 75 gr, ovvero monoporzione (gam-ma denominata “solo per me”, per permettere anche ai single di gustare ottimi risotti senza sprechi!). I risotti sono premiscelati con brodo vegetale, verdure e ortaggi disidratati, dosati e amal-gamati in modo tale da ottenere uno standard qualitativo al top del settore. Particolare attenzione è stata posta all’individuazione dei fornitori di materie prime, anch’essi certificati e con prodotti di qualità inattaccabili sia a livello nazionale che internazionale. Il riso è esclusivamente italiano e proveniente dal triangolo Vercelli-Pavia-Novara, zone tradizionalmente votate a questa produzio-ne; le verdure invece sono selezionate fra le migliori dei territori di provenienza. Per ottenere la qualità del prodotto finito, oltre alle materie prime reperite sul territorio nazionale, Elgaviva pre-sta una particolare attenzione alla composizione delle miscele, che sono “maniacalmente” calibrate e inserite all’interno delle confezioni nel modo corretto. L’elaborazione delle ricette infi-ne tiene conto delle moderne esigenze nutrizionali e i prodotti confezionati quindi non contengono glutammato, conservanti, aromi, glutine e ogm, e sono naturali al 100%.

Elgaviva di Monsini Valeria c.so G. Gerraris s/n, Trino (Vc)

Tel. 0161801909 - www.elgaviva.it

Elgaviva di Monsini Valeria c.so G. Gerraris s/n, Trino (Vc)Tel. 0161801909 - www.elgaviva.it

selezioni

Page 129: VdG Viaggi del Gusto Magazine Giugno 2012

Cibi raffinati, vini eccellenti e golf al Castello di Spessa Resort di Capriva

del Friuli, fra le colline del Collio

Soggiornare nel castello friulano amato da Giacomo Casanova, godere dell’atmosfera elegante e rare-fatta dei suoi eleganti saloni, degustare vini che egli non esitò a definire nelle sue Memorie “di qualità eccellente”: la proposta viene dal Castello di Spessa di Capriva del Friuli, raffinata residenza d’epoca nel cuore del Collio goriziano, una fra le più pregiate zo-ne enologiche d’Italia. Fondato nel 1200, il maniero fu per secoli dimora dei signori della nobiltà friulana e ospitò personaggi illustri quali Lorenzo Da Ponte, il celebre librettista di Mozart, o, appunto, Casanova. Il susseguirsi di personalità di tale levatura ha dun-que segnato la vocazione all’ospitalità del Castello, dove oggi sono state ricavate 15 eleganti suite ar-redate con mobili del Sette e Ottocento italiano e mitteleuropeo. Nel sottosuolo si possono visitare le scenografiche cantine medievali, dove si affinano i vini prodotti dall’omonima azienda, che si trovano in vendita con le grappe della maison e altre delizie gourmand del territorio nel Wine Store Casanova. Dalla barriquerie, 70 scalini conducono al secondo livello della cantina, ricavato in un ex bunker scava-to a 18 metri di profondità nel 1939 a scopi milita-ri. Da qui si esce all’esterno, nel parco secolare del castello, dove è stata tracciata una romantica pas-seggiata letteraria dedicata a Casanova in 10 tappe, scandite da tabelle in ferro battuto dove sono incise sue frasi sull’amore, le donne, la vita. Immerso nella tranquillità dei 25 ettari di vigne della tenuta, il Ca-stello è il cuore di uno dei più accoglienti Resort del-la campagna italiana, con campo da golf 18 buche. Negli antichi rustici è stata ricavata la Tavernetta al Castello, con 10 camere dall’atmosfera country chic e un eccellente Ristorante Gourmand, dove lo Chef Tonino Venica propone le sue raffinate creazioni che esplorano tradizioni, stagioni e ingredienti. Una ca-ratteristica casa colonica affacciata sul green ospita invece l’Hosteria del Castello, dove si gusta una cu-cina immediata, che si esprime esaltando i piatti e i sapori del territorio: affettati e formaggi friulani, ap-petitosi primi piatti, carni del cortile, le erbe, squisiti e invitanti dessert, il tutto rigorosamente a km 0.

Una vacanza da Casanova

Un’idea per ogni stagioneDurante tutto l’anno, il Castello di Spessa propone pacchetti soggiorno fra cibi e vini raffinati, incanti di natura e – ovviamente – golf per gli appassionati del green. Gli ospiti hanno a disposizione le Vespe e le biciclette giallo/Ribolla del Collio con cui vagabondare fra colline e caratteristici paesi, raggiungere il mare di Grado o seguire l’andamento sinuoso del fiume Isonzo, fino alle sue sorgenti, in Slovenia. Le giornate trascorrono fra rilassanti passeggiate, degustazione guidate di vini, pranzi golosi e informali all’Agriturismo La Boatina, il polo agreste del Resort immerso nei vigneti della Doc Isonzo a 2 km dal Castello, pronto a stupire con le sue ricchissime proposte di salumi e formaggi, che qui sono i protagonisti, abbinati a salse e mostarde. E per concludere, cene romantiche e gourmand a La Tavernetta, dove vengono organizzati anche corsi di cucina per piccolissimi gruppi di partecipanti.

Castello di Spessa - Via Spessa, 1 - Capriva del Friuli (Go) - Tel/Fax. 0481808124 - www.castellodispessa.it

selezioni

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Con carta di credito sul sito www.viedelgustostore.com

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