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N° 21 - APRILE 2009 - TRIMESTRALE EDITO DALLO STUDIO EDITORIALE GIORGIO MONTOLLI - POSTE ITALIANE S. P. A.- SPEDIZIONE IN ABBONAMENTO POSTALE - 70% - DCB VERONA i n VERONA VIOLENZA A VERONA INTERVISTE GUIDO PAPALIA CORINNA ALBOLINO RINO BREONI Dopo le aggressioni di Porta Leoni e Piazza Viviani alcuni giornalisti veronesi si sono chiesti il perché di questi brutali episodi e hanno cercato di indicare delle possibili vie di uscita

Verona In 21/2009

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N° 21 - APRILE 2009 - TRIMESTRALE EDITO DALLO STUDIO EDITORIALE GIORGIO MONTOLLI - POSTE ITALIANE S.P.A. - SPEDIZIONE IN ABBONAMENTO POSTALE - 70% - DCB VERONA

inVERONA

VIOLENZAA VERONA

INTERVISTEGUIDO PAPALIA

CORINNA ALBOLINORINO BREONI

Dopo le aggressioni di Porta Leoni e Piazza Viviani alcuni giornalisti

veronesi si sono chiesti il perché di questi brutali episodi e hanno cercato

di indicare delle possibili vie di uscita

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L’idea di raccogliere i pareri deigiornalisti veronesi sul problemadella violenza a Verona a un annodalla morte di Nicola Tommasoliè nata su facebook (internet) neigiorni successivi all’aggressioneavvenuta in Piazza Viviani il 4gennaio di quest’anno, che ha vi-sto coinvolti giovani di destra ealtri ragazzi riuniti all’interno delCaffè Posta.Quest’ultimo episodio ha scossol’opinione pubblica ed è riverbera-to sul social network con prese diposizione sulle cause che sarebbe-ro all’origine di tanta brutalità.È stato Giancarlo Beltrame a pro-porre di esternare in modo co-struttivo non solo sulla rete, maanche nero su bianco, quei pen-sieri sparsi, utilizzando questogiornale.Abbiamo acconsentito e quindicoordinato l’iniziativa fornendouna traccia: “provare a individua-re le cause della violenza conesempi concreti, cercando dellecoraggiose ipotesi di soluzione aiproblemi per fare di Verona unacittà a misura d’uomo”.Quanto è giunto in redazione èstato pubblicato senza effettuarealcun taglio, nella convinzioneche per affrontare con luciditàproblemi tanto gravi e urgentitutte le opinioni siano necessariee che per creare spazi di confron-to autentici debba esserci primauna libera circolazione delle idee.Sono così emersi due filoni: il pri-mo che riconduce la violenza auna generale perdita di valori; ilsecondo più determinato ad indi-viduare una matrice “politica”, le-gata alle frange dell’estrema de-stra veronese.

Vogliamo sottolineare altri dueaspetti di questa iniziativa, non se-condari. Anzitutto non capita tuttii giorni che giornalisti provenientida varie testate, con esperienze esensibilità diverse, decidano ditentare insieme, con molta umiltà,di analizzare un fenomeno cheevidentemente li scuote e li inter-pella in prima persona.Il secondo motivo è che la sceltadi fare questa operazione su unpiccolo giornale è significativaper quanto riguarda la libertà distampa. Siamo infatti convintiche iniziative editoriali comequesta siano importanti per ilpluralismo dell’informazione, so-prattutto quando, di fronte allagravità di certi fatti, diventa diffi-cile trovare lo spazio per avviareuna seria riflessione che serva ascuotere le coscienze e a prevenirecerti mali.Per completare il lavoro abbiamosentito tre pareri: il procuratoregenerale della Corte d’Appello diBrescia Guido Papalia, il filosofoCorinna Albolino e don RinoBreoni, figure autorevoli nei diver-si settori di competenza.Vi invitiamo a cogliere l’impegnoe la generosità che stanno dietro leidee espresse, anche se diverse traloro. Ci sono infatti elementi uni-ficanti che affiorano con forza traun ragionamento e l’altro che col-piscono per la loro intensità. For-se è questo sforzo che ci è richie-sto: di passione per la nostra città,per le persone che la abitano. Eforse transita proprio da qui l’i-potesi di una Verona meno vio-lenta, più accogliente e a misurad’uomo.

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Primo piano

inVERONA 3

In copertina: Porta Leoni,la gente in meditazione sul luogo della tragedia

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Grazie alle Madri per una VeronaCivile, che hanno messo a disposi-zione le fotografie pubblicate, aGianni Falcone per la vignetta e al-l’avvocato Claudia De Mori per laconsulenza. Hanno contribuitoeconomicamente alla realizzazionedel giornale:Confindustria Verona (Vice Presidente Politiche Sociali)Associazione Vivi l’EuropaUniversità della pace G. La PiraComboni FemAndrea CastellettiPierluigi PerosiniAlberto SperottoLa tiratura è stata di 2500 copie peruna spesa di 2050 euro.

www.verona-in.it

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Violenza a Verona

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«Questi giovanipensano di poter

diventare dei modernicrociati, dei liberatori,

con un compito benpreciso: quello di

allontanare dal luogosacro coloro che

reputano diversi,mandandoli via dallestrade e da quello che

ritengono il loroterritorio»

di Giovanni Marchiorie Giancarlo Beltrame

Non vi è nato, ma ne parla comefosse la sua terra. Sicuramentenon si esprime con inflessioni dia-lettali veronesi, ma le parole pro-nunciate evidenziano il legame diaffetto con il territorio e la societàscaligera. Una città, quella di Ve-rona, in cui Guido Papalia, oraProcuratore generale della Cortedi Appello di Brescia, ha lavoratoper quasi trent’anni come magi-strato: dall’estate del 1980 alloscorcio finale del 2008. Circa tredecenni caratterizzati da un gran-de impegno professionale sonoun valido motivo per ascoltarel’opinione di un uomo che può,da un particolare punto di osser-vazione, fornire conoscenze sultema della violenza a Verona.Più che un’intervista l’incontrocon Papalia, avvenuto nel suo uffi-cio a Brescia, è stato un piacevolecolloquio. Una sorta di chiacchie-rata in cui il magistrato si è con-traddistinto, oltre che per la genti-lezza e la grande disponibilità, an-che per la precisione con cui ha ri-cordato episodi e date riguardantiatti giudiziari che si susseguivanotra gli appunti. Una lunga serie dinomi del passato, storie e vicendeche riguardano la criminalità or-ganizzata e il terrorismo negli an-ni ’60 e ’70, passando per i proble-mi del tifo violento nel mondo delcalcio, verso la fine degli anni ’80.– Il suo “debutto” veronese è av-venuto in un periodo difficile, l’i-nizio degli anni Ottanta, con unadata che è rimasta nella mente dimolti italiani: il 17 dicembre del1981, giorno del rapimento del

generale James Lee Dozier. Comericorda quel periodo?«Un momento delicato che si èfortunatamente concluso nel mi-gliore dei modi. In quel caso nonsolo si riuscì a liberare il generale,ma l’operazione si concluse con ilrilascio dell’ostaggio senza colpoferire. Inoltre riuscimmo ad indi-viduare tutti gli autori del seque-stro, non solo i cinque custodidell’ufficiale, ma proprio tutti icomponenti che appartenevanoalla colonna veneta, a quella ro-mana e a quella toscana delle BR. Iresponsabili del sequestro furonoarrestati e condannati e la libera-zione di Dozier fu certamentemotivo d’orgoglio».

– Tra la fine degli anni Ottanta el’inizio degli anni Novanta ci so-no stati dei gravi episodi, che po-tremmo definire di violenza gra-tuita. Quale ricorda con maggiortristezza?«Sicuramente l’omicidio di“Crea”, un anziano barbone che fuucciso per strada. La vittima, unuomo di 73 anni, Olimpio Vianel-lo, detto Crea, era un barbone cheabitualmente dormiva nel cortiledell’ex tribunale. Quella notte duegiovani, dopo aver trascorso la se-rata a bere in un bar, decisero diandare a caccia di “neri”. E pur-troppo si imbatterono nel poveroCrea che stava dormendo. Unodei due si avvicinò all’anziano col-

Le interviste

inVERONA 5

GUIDO PAPALIA

L’ispirazione nazifascista c’èma assume nuovi connotatiPrevale una forma di razzismo che colpisce chi è diverso da me, chi non è della

mia stessa opinione, chi non segue la mia religione, chi non veste come me

Guido Papalia

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«Inizialmente c’eraancora un riferimento

ideologico. Un’ideacertamente

contestabile, macomunque radicata inqualcosa. Un esempiopotrebbe essere il caso

degli skinheads...»

pendolo alla nuca durante il son-no con un corpo contundente.Quando i soccorritori giunserosul posto trovarono l’anzianoagonizzante. Poco dopo Crea mo-rì. Questo caso è stato risolto qua-si dieci anni dopo con la condan-na del giovane omicida. Veramen-te un brutto caso di violenza, ca-ratterizzato dalla determinazionee dalla volontà di fare del male ebasta».– Il fenomeno della violenza è si-curamente mutato con il passaredel tempo. Così, avvicinandoci al-la metà degli anni Novanta, a Ve-rona si è vissuto un periodo che èstato definito di “controllo delterritorio”. Quali sono le differen-ze con l’epoca del terrorismo?«Inizialmente c’era ancora un ri-ferimento ideologico. Un’idea cer-tamente contestabile, ma comun-que radicata in qualcosa. Unesempio potrebbe essere il casodegli skinheads. Nell’estate del1995, infatti, alcuni giovani delFronte Veneto Skinheads avrebbe-ro imposto a uno sharp, testa ra-sata antirazzista, di non entrareallo stadio per assistere alla partitadel Verona. Tutto ciò avvenivaperché come skin era fondamen-tale seguire una certa ideologia:dovevi essere razzista e dimotraredi sostenere con convinzione leidee del gruppo di appartenenza».

– E poi?«Negli ultimi anni la situazione èmutata. Mi riferisco in particolarmodo all’ultimissimo periodo, trail 2007 e il 2008. A differenza deglianni del terrorismo non c’è unachiara struttura di riferimento.Certamente rimane l’ispirazionenazi-fascista, ma a prevalere è unaforma di razzismo che colpisce chiè diverso da me, chi non è dellamia stessa opinione, chi non se-gue la mia religione, chi non si ve-ste come me e non possiede i mieiprincipi o quelli della mia fami-glia, gli unici giusti e gli unici daseguire. L’obiettivo è quello di al-lontanare tutti coloro che hannoopinioni diverse dalle mie».– Allontanare da dove, da che co-sa?«Per esempio dal cuore della città:il centro. Tanto che questi giovanipensano di poter diventare deimoderni crociati, dei liberatori,con un compito ben preciso:quello di allontanare dal luogosacro coloro che reputano diversi,mandandoli via dalle strade e daquello che ritengono il loro terri-torio».– Parlando di controllo del terri-torio è possibile definire lo sta-dio, e in particolare alcune frangedella curva, come uno degli am-bienti dove si sviluppa questomodo di pensare?

«Non c’è dubbio. È proprio così.E questa nuova forma di violenza,secondo me, è pericolosissima».– Le scelte politiche amministra-tive contro l’abbattimento dellezone di degrado possono fornireun alibi per un certo tipo di vio-lenza? «Sono del parere che bisogna evi-tare la nascita di ghetti. Piuttostosarebbe meglio adottare dei prov-vedimenti per aiutare gli emargi-nati».– Sembra che a Verona ci sia unareazione di rigetto nei confrontidelle critiche provenienti dall’e-sterno. È possibile che, per quan-to riguarda questo aspetto, siapiù sensibile di altre città?«Noto qualche affinità tra l’am-biente veronese, che ho cono-sciuto negli ultimi 28 anni, equello siciliano e calabrese. Lagente vuole difendere il proprioambiente, ma bisogna farlo nelmodo corretto. Non era giustoprendersela con i giornalisti cheparlavano della mafia, come èsbagliato sostenere che a Veronanon ci siano certi mali e non haproprio senso arrabbiarsi con chisi pone delle domande. Purtrop-po questi episodi di violenza nonsono fatti isolati e forse l’uccisio-ne di Crea nel ’90 e l’omicidioTommasoli non sono poi così di-stanti tra loro».

Violenza a Verona

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Sono stati preparatialcuni laboratori per

aiutare i ragazzi acapire ciò che è

accaduto a NicolaTommasoli.

I giovani venivanoinvitati a scrivere

muovendosi tra duequesiti: “io” vittima

che subisce; e “io”aggressore, per far

emergere i lati oscuridell’anima. Gli scritti

prodotti sonoprofondi, belli, intensi

di Elisabetta Zampini

Arriva il momento in cui, dopoaver osservato, commentato e ri-flettuto su ciò che accade, dopoche ci si è indignati, arrabbiati,dopo che si sono ricercate re-sponsabilità, dopo che si sonolanciate domande e raccolti ten-tativi di risposte, si cerchi infineun’apertura nuova, una possibili-tà di azione oltre e nonostante laviolenza destabilizzante respirata.Una soluzione che, agendo sulpresente e sulle persone che loabitano, possa ammettere un fu-turo diverso.La morte di Nicola Tommasoli èstata uno scandalo. È un puntointerrogativo aperto. Perciò farnememoria è un obbligo. Un doveremorale, civile, ma anche educati-vo. Questo è il senso delle tanteiniziative che l’associazione “Ma-dri insieme per una Verona Civi-le” ha portato avanti dopo i fattidi Porta Leoni, rivolte a tutta lacittà ma in modo speciale ai gio-vani. Una tappa significativa èstata quella di fotografare, farememoria, appunto, di tutti i bi-glietti, le lettere, i doni che hannoreso luogo di memoria condivisaPorta Leoni. Ne è uscita un mo-stra che è stata esposta per duemesi nella chiesa di San Giorgeto.Iniziativa già di per sé forte. At-tuale. Dare risalto e forza a spon-tanee espressioni “dell’uomo del-la strada”. Ritenerle fonti potentidi memoria. Ci si intende? Non igrandi discorsi. La retorica. Maquasi anonime parole di cittadiniche hanno sentito forte la do-manda esplosa in quel luogo. At-torno a questa mostra si è svilup-

pato però un percorso ulteriore emolto interessante che conferma,e ce n’è bisogno di questi tempi, ilsuccesso di una via culturale ededucativa che si fonda sulla con-sapevolezza, sulla conoscenza disé, per produrre cambiamentinell’essere e nell’agire.La dottoressa Corinna Albolino,filosofa ed esperta in scrittura au-tobiografica, con la collaborazio-ne di Anita Pavan, una lunga car-riera di insegnante alle spalle, hacoordinato e seguito una serie dilaboratori rivolti ai ragazzi al ter-mine della visita alla mostra diSan Giorgeto. Corinna Albolinosi è formata alla Libera Universitàdi Anghiari (AR) diretta da Duc-cio Demetrio, ordinario di peda-gogia dell’adultità all’UniversitàBicocca di Milano. I laboratorihanno perciò avuto come riferi-

mento e sfondo culturale l’attivi-tà di ricerca e di sperimentazioneche da anni Demetrio sta condu-cendo e che si basa sul riconosce-re la potenza della scrittura auto-biografica, non solo per ricono-scere che la vita di ognuno e diciascuno è tutta importante e me-rita di essere raccontata, ma an-che come straordinario strumen-to di cura, per sottrarre la propriavita al caso. «L’obiettivo dei labo-ratori – spiega la dottoressa Albo-lino – era quello di aiutare i ra-gazzi capire ciò che era accaduto aNicola Tommasoli ma anche atutti i “Nicola” che, per le variabilipiù diverse, avrebbero potuto ri-trovarsi in una situazione simile.Comprendere, come punto dipartenza, che il problema del ma-le non è “l’altro” o un’istituzioneo una città. Cioè una entità ester-

Le interviste

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CORINNA ALBOLINO

Niente capri espiatoriIl male ci abita dentro

Il problema non sono l’altro, le istituzioni o la città, secondo una visionesemplicistica e poco responsabile. Quando la prevenzione parte dalle emozioni

Corinna Albolino

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Ciascuno è statochiamato in prima

persona a disvelarsi, aparlare di sé, a

scoprisi. I laboratoriinfatti hanno

evidenziato la loroefficacia soprattutto intermini di conoscenzadi sé, a tutto tondo, tra

spazi azzurri e conid’ombra. Parlando di

sé in termine divittima o persecutore.

Nei confronti deicompagni, dei

genitori, di se stessi.Questo a dispetto di

chi si ostina apredicare sulla

presunta superficialitàdei giovani

na e separata. Perciò una visionesemplicistica, deresponsabiliz-zante e non empatica. Il male ap-partiene da sempre alla naturadell’uomo, ci abita interiormente.Ci disarma. Il passaggio dal maleal bene non è pura questione divolontà. Tutto ciò porta inevita-bilmente a percorrere la via dellacomplessità. Si riflette su ciò chesi è, sia sul versante positivo chenegativo. Riconoscendosi poi sipuò far il passo successivo e cioèindividuare quelle azioni regola-tive che la cultura ci offre per sub-limare i comportamenti pericolo-si. Non si tratta di una censuraperò di queste pulsioni ma piut-tosto nell’intraprendere percorsialternativi e socialmente accetta-bili in cui la propria individualitàsi possa esprimere».Molti studenti di tutte le età han-no visitato la mostra, in partico-lare hanno partecipato ai labora-tori le scuole Maffei, Fracastoro,Galilei e King. Determinante èstata la collaborazione degli inse-gnanti che hanno conosciuto pri-ma il percorso del laboratorio ehanno poi continuato la riflessio-ne in classe. Ma dire “riflessione”per restituire il senso del percorsocompiuto dai ragazzi non è ter-mine sufficiente. Si rischia dipensare ad un’operazione di tipoesclusivamente “razionale”, chenon ne spiegherebbe il successo.Perché a livello razionale, regola-tivo e normativo, è facile definirecerte azioni deprecabili e condan-nabili. Tuttavia ciò non basta adevitarle. Il percorso dei laboratoriperciò andava oltre, toccava l’e-mozionale, il profondo, la memo-ria personale, il vissuto di sé cheveniva fatto risuonare e portato agalla. «Il laboratorio prendeva av-vio da un primo confronto, cioèdal dire agli altri quali frasi lettedurante il percorso della mostraavevano colpito, erano rimastepiù impresse – prosegue CorinnaAlbolino -; si discuteva quindisulla scelta creando delle analogietra i contenuti dei messaggi e per-sonali esperienze, avviando cioèdei processi di identificazione.Quindi i ragazzi venivano invitatia scrivere muovendosi tra duequesiti: “Io come Nicola” e cioè“io” vittima che subisce; e “Iocontro Nicola”, l’ ”io” aggressoreche fa emergere i lati oscuri del-

l’anima. Certo, a livelli di portataminore, s’intende, ma comunqueazioni “contro” che si sperimenta-no nella quotidianità, gesti di of-fesa, alterchi, parole forti, conflit-ti. Infine ognuno era invitato aleggere e a condividere».Gli scritti prodotti sono profondi,belli, intensi. Si pensa anche all’i-potesi di pubblicarli così come siè fatto per tutti i biglietti, le lette-re, le poesie e gli oggetti lasciati aPorta Leoni, raccolti nel libro cheha preso il titolo dalla frase-testa-mento di Primo Levi “Compren-dere è impossibile, conoscere ènecessario”. Nelle parole dei ra-gazzi non c’è un parlare per ilparlare, è assente il luogo comu-ne, bandita la “doxa”. Perché cia-scuno è stato chiamato in primapersona a disvelarsi, a parlare disé, a scoprisi. I laboratori infattihanno evidenziato la loro effica-cia soprattutto in termini di co-noscenza di sé, a tutto tondo, traspazi azzurri e coni d’ombra. Par-lando di sé in termine di vittima opersecutore. Nei confronti deicompagni, dei genitori, di se stes-si. Questo a dispetto di chi si osti-na a predicare sulla presunta su-perficialità dei giovani. Ciò acca-de quando si rimane in superficiee non si praticano strade e metodiper andare oltre. «Questa è unaeducazione alle emozioni – sotto-linea la dottoressa Albolino – . Ela scrittura autobiografica è unavia. Aiuta ad elaborare. A disso-ciare tra l’ “io che scrive” e l’ “ionarrante”, aprendo così la possi-bilità di esplorare tutte le sfuma-ture che si percepiscono dentro disé. Permette di prendersi in ma-no. Tornare indietro. Chiarire emettere ordine. Aver piena consa-pevolezza di sé e delle proprieidee per avviare così con l’altroun vero, schietto e aperto, dialo-go. E qui per dialogo non intendouno scambio di pareri in tonominore, avvilito, “pacifista”. Maanche impetuoso, appassionato econflittuale. Per dialogare è ne-cessario saper far valere le proprieidee e nello stesso tempo tenereconto delle differenze. E soprat-tutto sapere che il proprio parereè dinamico e può essere modifi-cato».Questi laboratori hanno una va-lenza emblematica. Si amplifica-no oltre l’esperienza di chi li ha

vissuti. Offrono un’idea e un’agi-re. Cioè dicono che ci sono deipercorsi educativi che, puntandosu profondità e complessità, su ri-flessione ed emozione, su unumanesimo che è anche nostratradizione culturale, possono ge-nerare vissuti che vanno in dire-zioni opposte alla violenza. Sonopercorsi che producono doman-de, non temono di pescare in ma-ri meno noti. Portano a coltivarela memoria autobiografica e so-ciale in una dinamica di vasi co-municanti; si strutturano sul fer-marsi, conoscere, dare senso e ri-partire. E i luoghi educativi, tutti,non solo la scuola, hanno oggi lapossibilità di fermare il tempo peraprire queste possibilità. Solo ri-conoscendo e dando un nome atutti i sentimenti che ci frequen-tano, sentendo fortemente l’uma-nità che ci impasta, si può davve-ro provare compassione attivaper ciò che avviene all’esterno:“Se ti fermi, ti innamori” recita iltitolo del romanzo di LoredanaFrescura, scrittrice dei ragazzi eper i ragazzi.

Violenza a Verona

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di Cinzia Inguanta

– Secondo il suo punto di vistacome sta rispondendo la cittàagli episodi di violenza che sistanno verificando a Verona? Larisposta della gente comune, delmondo culturale, della politica,della chiesa...«A me pare che, globalmente, larisposta agli episodi gravi di vio-lenza tenda ad esaurirsi in mani-festazioni di stupore indignato,in espressioni di partecipazionedi non molto peso per una inver-sione di tendenza. Deporre fiori emessaggi dove la violenza si èespressa, facendo vittime, è certa-mente un gesto di attenzione, dipietà ma non molto incisivo.Questi segnali reattivi andrebbe-ro fatti propri dai vari mondi del-la cultura, della politica, della re-ligione. A me pare che questerealtà a loro volta non vadano ol-tre le affermazioni di principio,l’esecrazione, la dissociazione.Siamo ben lontani da analisi per-tinenti e precise, premessa indi-spensabile per un’azione preven-tiva e correttiva».– Chi dovrebbe fare queste anali-si? Cosa potrebbe emergere?«Le analisi si possono condurre adiversi livelli: ad esempio quellostatistico e quello sperimentale.Può essere che, oltre all’approc-cio scientifico, sia utile attingerealla fonte dell’esperienza, consenso critico, leggendo al di làdelle impressioni immediate. Perfare degli esempi: l’attenzionedisinvolta, e magari festosa, concui un prete può essere accoltodai giovani la sera dopo cena,magari prima di fare mattina in

qualche discoteca, non può sbri-gativamente essere letta comedisponibilità ad accogliere unmessaggio spirituale. Se migliaiadi giovani si radunano per mani-festazioni mondiali di caratterereligioso ciò non è la riprova chesta passando un messaggio evan-gelico, per quanto autorevole siala voce che li raggiunge. Se chi hala responsabilità civile segue lestrade delle proposte sportive,agonistiche, popolando (a voltein modo assai discutibile) le piaz-ze, rimane tuttavia il fatto chequesti giovani, anche quandogiocano, fanno sport, si diverto-no possono portare nel cuore isegni dolorosi di situazioni fami-liari difficili ed essere privi di ri-ferimenti: gli effetti sono sotto gliocchi di tutti».– Non le pare che la gravità diquanto sta accadendo nella no-

stra città necessiterebbe di unosforzo congiunto tra le istituzioniveronesi per arginare il fenome-no? Qualcosa di organizzato co-me una commissione che prendacoscienza del fenomeno e pro-ponga elementi di contrasto...«Mi sia permessa una paroladubbiosa sull’efficacia di una“commissione” che prenda co-scienza e contrasti fenomeni diquesta portata. Se ognuna delleistituzioni chiamate in causa fa-cesse quanto è nelle proprie fina-lità, le cose andrebbero meglio.Le assemblee scolastiche, adesempio, con i cosiddetti “esper-ti” ottengono ascolto e dibattito,ma è nelle aule che fiorisce la pic-cola delinquenza. Si osservi l’ar-redo scolastico, si leggano i mes-saggi (foto e altro) che si tollera-no appesi sui muri, si ascolti ilgergo, si noti la gestualità adole-

Le interviste

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DON RINO BREONI

Anche il più lungo dei viaggicomincia con un passo

Siamo ancora in tempo a invertire la rotta, ma bisogna iniziare a farlo. I genitoridevono riscoprire il loro ruolo che non è quello di assecondare sempre i figli

«Non è moltoappariscente ciò che

può fare un prete.Formare, o meglio

contribuire allaformazione della

coscienza, all’eserciziodel senso critico.

E questo ancora primadi una proposta

strettamente religiosa.È l’uomo che va

aiutato a crescere e peril prete le occasioni

non sono poche»

Don Rino Breoni, abate di San Zeno

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scenziale o universitaria. Sonosparite le categorie di bene e dimale, di opportuno e inopportu-no, di conveniente o meno. A unospontaneismo distruttivo glieducatori appiccicano spesso l’e-tichetta di “ragazzate”. Una com-missione forse avrebbe il meritodi apparire fra le notizie di cro-naca con foto e dichiarazioni, perpoi lasciare tutto… sicut era inprincipio” (come era prima)».– Vede Verona come una città pi-gra in questo senso? E se sì, per-ché? Ci spiega cos’è il peccato diomissione e come si può indivi-duare in questo frangente?«Verona non è diversa da altre cit-tà. C’è una pigrizia diffusa che è ilfrutto di uno stordimento collet-tivo dovuto al bombardamentomediatico. Questo non è il luogoper sottolineare il graduale im-barbarimento del gusto mediodiffuso. La sovrapposizione incal-zante di eventi, proposte, sugge-stioni distrae l’attenzione, soprat-tutto quella interiore: c’è stataun’aggressione, si è uccisa o feritauna persona? La televisione e igiornali ne danno notizia ma...c’è chi ci deve pensare... su un al-tro canale c’è il derby... Non pas-sa neppure per l’anticamera delcervello il farne oggetto, a bottacalda, di conversazione e di con-fronto in famiglia. Già questa èuna prima e fondamentale omis-sione».– Qual è la prima cosa che si sen-tirebbe di fare come prete... qual-cosa di concreto.«Non è molto appariscente ciòche può fare un prete. Formare, omeglio contribuire alla forma-zione della coscienza, all’eserci-zio del senso critico. E questo an-cora prima di fare una propostastrettamente religiosa. È l’uomoche va aiutato a crescere e per ilprete le occasioni non sono po-che: i contatti con i giovani ci so-no ancora. Penso che quasi tutticoloro che hanno compiuto gestidelinquenziali abbiano anchefrequentato le nostre parrocchie.Quali messaggi hanno ricevuto?Sono ben lontano dal puntare ildito o mettere sotto accusa qual-cuno. Temo però che un messag-gio religioso, se non ha aderenzecon la realtà anche difficile, ri-schia di slittare in uno spirituali-smo disincarnato».

– Ci sono comportamenti appa-rentemente innocui che invecesono potenzialmente in grado digenerare violenza? Quali?«Un vecchio adagio diceva “ildisastro comincia dalle piccolecose”. E queste possono non avereimmediati rimandi alla delin-quenza, alla criminalità e tuttaviaesprimere individualismo, noncuranza dell’altro, prevaricazio-ne. Un sottofondo che può esplo-dere poi in violenza. Perché cede-re il posto sull’autobus? Perchémoderare la voce al ristorante pernon imporre agli altri il silenzio ola mortificazione di un dialogo?Perché alzarsi quando entra ilprofessore in classe? Perché cede-re il passo a chi svolge un ruolo?Che male c’è nel chiamare “cioc-colatino” un uomo di colore?Che male c’è nel mostrare l’om-belico o il fondo schiena?».– Ci sono piccole iniziative chepossono contrastare la violenzae che andrebbero sostenute daparte di chi ha a cuore le sortidella città?«Nelle esemplificazioni appenafatte, chi ha il coraggio cominciad evidenziare subito ciò che nonva, con decisione e con garbo,mettendo in conto anche qualchereazione non simpatica. Lo si fac-cia nei giardini pubblici, nei luo-ghi di aggregazione giovanile ealtro. Ciascuno nel proprio am-bito e secondo le proprie compe-tenze».–Ritiene che la soluzione a quan-to si sta verificando sia proble-matica? «L’ampiezza e la gravità dei pro-blemi è tale che sarebbe ingenuoprospettare soluzioni. L’avvertireun senso d’impotenza di frontealla condizione giovanile non si-gnifica rimanere con le mani inmano. La saggezza cinese sostie-ne che “il più lungo dei viaggi co-mincia sempre con un passo”. Sele istituzioni chiamate in causafacessero questo piccolo passoqualcosa succederebbe. I genitoririassumano il proprio ruolo, svi-lito dal considerarsi “amici” deiloro figli; tornino ad essere riferi-mento, proposta di vita, ripeten-do con chiarezza e motivando i“sì” e i “no”. La scuola torni a de-finirsi in maniera più autentica illuogo in cui cresce il “soggettopensante”. La società abbia il co-

raggio di ammettere le propriecontraddizioni: non è pensabileriformare gli itinerari scolasticiignorando che ogni giorno è in-flitta alla gioventù una “violenza”sottile con il piccolo schermo, in-ternet o altro, cattedre ben piùincisive di quelle scolastiche. Cia-scuno si deve assumere le proprieresponsabilità, vivere i ruoli chela vita e le competenze compor-tano. La stessa Chiesa, se non staattenta, rischia di fare suoi gli sti-lemi e le espressioni mondani,contrabbandando la provocazio-ne evangelica con suggestioni ac-cattivanti. Constatando che ilmale fa tanto scalpore, si finiscecol credere che la Chiesa sia chia-mata a farne altrettanto con il be-ne, e di più. C’è di che riflettere.– Delle ronde-assistenti civicicosa pensa?«Personalmente ritengo che lamia città non sia più violenta dialtre. L’enfatizzazione mediaticadi fatti, pur gravi, ha seminato ilpanico. Le polemiche e gli inter-rogativi nati nei confronti di que-ste ronde da parte anche delleforze di polizia, aggiungono per-plessità a perplessità. Potenzian-do nei debiti modi i tutori uffi-ciali dell’ordine pubblico, credoche la città sarebbe adeguata-mente custodita e si eviterebberocolorazioni ideologiche inoppor-tune».– Una parola ai giovani...«Imparate a ragionare con la vo-stra testa, liberandovi da qualsia-si forma di condizionamento».

Violenza a Verona

Aprile 200910

«La società abbia il coraggio di

ammettere le propriecontraddizioni: non è

pensabile riformare gliitinerari scolastici

ignorando che ognigiorno è inflitta alla

gioventù una“violenza” sottile con il

piccolo schermo,internet o altro,cattedre ben piùincisive di quelle

scolastiche»

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I giornalisti

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Violenza a Verona

Aprile 200912

«È proprio lanormalità, che diventa

omertà ecorresponsabilità, a

spiegare perché nellanostra provincia non è

normale che unoammazzi un altro dibotte, ma è normale

che lo si giustifichi, chesi capisca il violento e

la sua violenza, chenon se ne parli perché

non è bene rovinarefamiglie e ragazzi

“normali”»

di Vittorio Zambaldo

Se in città la violenza sbatte le testecontro i muri e si trasforma in tra-gedia, nei paesi della provincia èovattata nel verde e nel silenzio.Sembra fare meno male, perchéanche l’ambiente attutisce i colpi estempera i toni: qui si dovrebbecrescere bene e vivere meglio. Ilmale viene sempre da fuori, si pen-sa, è “foresto”come la paura, comeil buio, come la foresta, appunto,delle ombre della coscienza.Eppure quando la violenza esplo-de e ha il nome di Tizio della por-ta accanto e di Caio che sta di làdella strada, allora ci si meraviglia,si sta in silenzio imbarazzati, si ri-pensa alle “cattive amicizie” difuori, sempre, e ai cattivi maestri,immancabili in ogni cattiva co-scienza.A Illasi e a Boscochiesanuova lanotizia che Guglielmo Corsi, An-drea Vesentini e Federico Perini,tre ragazzi “di paese”, erano accu-sati del pestaggio e della morte diNicola Tommasoli a Porta Leoni èstata accolta con lo stupore deineofiti alle cattive notizie. «Non èpossibile.Non è credibile.Mettereila mano su fuoco». Frasi che han-no ripetuto in tanti, più i coetaneiche gli adulti, per la verità, forseperché la vita e gli anni insegnanola malizia del sospetto.E chi sapeva di certi precedenti, dicerti allarmi, di certe tendenze, neparla come della peste: «C’è, manon mi tocca; so che ne è stato pre-so lui, ma è un contagio che nonmi colpisce».La prova? A Illasi, sull’onda dell’e-mozione, un gruppo di cittadinichiede al parroco di organizzare

una veglia di preghiera e una fiac-colata che passi nei luoghi di ag-gregazione dei giovani: la piazza, ilbar, il campo sportivo, le scuole. Lapreghiera si fa, la processione laicaanche, ma mentre il corteo si in-cammina all’ombra di candele tre-molanti, giovani stanno seduti aitavoli del bar davanti alla fila che siforma e s’incammina. Neppure sialzano, come una sfida, non smet-tono né di bere né di fumare né diparlare. Guardano solo e non par-tecipano, neanche per dire: «Dis-piace che un coetaneo sia mortocosì». Una frase di circostanza, cheimpegna poco la bocca e per nullale coscienze.A Caldiero,undici mesi prima ave-vano pestato un ragazzino mino-renne, solo perché creduto comu-nista per via di una maglia rossaaddosso e perché conosciuto come«amico di zingari e stranieri». Dueadulti che vedono la scena nonfanno in tempo a intervenire persalvare il ragazzo da un pugno chegli frantuma la mascella, ma quan-do avrebbero tempo e dovere di te-stimoniare non lo fanno. Tace an-che chi avrebbe per mestiere ilcompito di parlare.Vivono in quell’isolato centinaiadi persone che sanno, ma solo unodi loro in due anni ha suonato alcampanello della famiglia perchiedere come stesse il ragazzo:«Fa male soprattutto il giudizioche queste cose siano in fondonormali»,è stato il pensiero pesan-te e sereno della madre della vitti-ma.Ecco, è proprio la normalità, chediventa omertà e corresponsabili-tà, a spiegare perché in provincianon è normale che uno ammazzi

un altro di botte,ma è normale chelo si giustifichi,che si capisca il vio-lento e la sua violenza, che non sene parli perché non è bene rovina-re famiglie e ragazzi “normali”.È il risultato del silenzio delle co-scienze, private delle radici dellavirtù e dei rami degli ideali, tron-chi cavi che risuonano per echi,perché da altrove arrivano le vocidel «fare presto e bene» e dentro disé ciascuno pensa a ripetere per in-tero l’eco.Azione e riflessione partono daldialogo, dalla comunicazione, pri-ma in famiglia,poi a scuola,poi nelgruppo dei pari, fino alla comuni-tà civile degli adulti: e un’azioneche ha per mani i pugni e per piedii calci non va incontro agli altri per“comunicare” ma solo per “tra-smettere violenza”.Non è facile e non è automatico ar-rivare a educare ai rapporti: pre-suppone conoscenza di sé e deglialtri, soprattutto dei diversi e deinuovi che fanno più paura; fiduciain sé e negli altri; capacità di comu-nicare,di cooperare,di affrontare erisolvere i conflitti. Una chiesa chepresta i suoi banchi a tutti per pre-gare,come a San Zeno di Cologno-la, non è una chiesa che perdeidentità, ma che predica un Vange-lo vivo. Un comune che aiuta chi fapiù fatica ad essere accettato svolgeuna funzione che è connaturale al-la sua stessa esistenza di casa co-mune; una scuola che insegna adesprimere l’aggressività in formaverbale e con capacità simbolichecome la poesia e il romanzo, avviasulla strada del dialogo; una fami-glia che si impone con la legge del-l’affetto non genera mostri,perchéè la violenza che genera violenza.

Quanto è “normale”ammazzare di botte?

Non è facile, non è automatico arrivare a educare ai rapporti: presupponeconoscenza di sé e degli altri, anche dei diversi e dei nuovi che fanno più paura

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«Domanda: che aspettal’associazionismo

cattolico a dire, a vocealta, qualcosa di

cristiano a quella fettaconsistente di cattolici

praticanti che tiene bendistinto l’ambito dellafede da quello dei soldi

e delle convenienze?Verona è piena di

associazioni di cittadiniimpegnate nel sociale,

nella cultura, nellascuola... ma va colto

che gran parte di questomondo guarda

esclusivamente alproprio segmento

di attività»

destra, è una visione semplificatae semplicistica di come gira ilmondo e di come ci si possa staredentro. Non che l’amministrazio-ne Zanotto fosse immune dal po-pulismo o non abbia commessoerrori (compreso quello di aver li-sciato il pelo alla veronesità), maoggi ci si affida ad un uomo soloche sintetizza in sé lo spirito vero-nese di questo tempo. Il che sem-plifica anche il lavoro di chi ha l’o-biettivo limpido di fare affari sul-le spalle della collettività.Questa politica, pur quasi del tut-to priva di contenuti decenti oforse proprio per questa ragione,ha convinto il grosso dei veronesia collocare a Palazzo Barbieri unsindaco che ha nel suo fulgidocurriculum le ronde padane antelitteram, le fiaccolate contro laCaritas perché si prende cura de-gli immigrati, la proposta in con-siglio comunale che le case popo-lari siano date solo ai veronesi eche gli immigrati siano obbligatia salire sui mezzi pubblici dallaporta anteriore in modo che l’au-tista possa verificare se hanno ilbiglietto.Altro che sicurezza, questa è robada democrazia autoritaria cheevidentemente ben si sposa conquella certa veronesità.E la società civile che fa? Lasciamostare il sindacato che, diviso e ac-ciaccato, si occupa del suo specifi-co,punto e basta.Ma Verona è pie-na di associazioni di cittadini im-pegnate nel sociale, nella cultura,nella scuola... Va colto che granparte di questo mondo guardaesclusivamente al proprio seg-mento di attività, al proprio impe-gno parcellizzato, ha un rapporto

I giornalisti

inVERONA 13

strumentale con la politica, ha unatteggiamento competitivo e fa fa-tica a intessere relazioni stabili conle altre associazioni. In definitiva èun mondo che ha scarso interessea progettare un impegno legatoad una visione coerente ed esi-gente di città.Ora nell’associazionismo sononumerosi i cattolici che fanno vo-lontariato e che sono impegnati avario titolo nel sociale. Domanda:che aspetta questo associazioni-smo cattolico a dire, a voce alta,qualcosa di cristiano a quella fettaconsistente di cattolici praticantiche tiene ben distinto l’ambitodella fede da quello dei soldi e del-le convenienze? Altra domanda: igruppi cattolici di base non sonostanchi di fare il volto edificantedi Verona e di contare poco oniente sia dentro sia fuori la chie-sa? Altra domanda ancora: questoassociazionismo di base – guar-dando il Vangelo e guardandosi infaccia – quando deciderà di costi-tuirsi come soggetto politico, pro-muovendo la formazione e la par-tecipazione politica; quando tro-verà il coraggio di incalzare i par-titi sul terreno delle scelte strate-giche e quando si assumerà ilcompito di intervenire puntual-mente sulla scena politica e socia-le veronese senza lasciare che sia ilsolito monsignore-giornalista apontificare su tutto? C’è tutta una città (a cominciareda quella cattolica) da svegliare eda orientare. C’è tutto un criteriodi cittadinanza da ricostruire, daarticolare, da modernizzare. Unapartita dura, ma l’associazioni-smo cattolico di base può contri-buire a innescare il cambiamento.

di Raffaello Zordan

Il giocattolo Verona si è rotto datempo: zoppica quanto a coesionesociale, esprime una cittadinanzaringhiosa o, quando va bene, de-dita alla contemplazione del pro-prio ombelico, manca di una lea-dership politica degna di questonome. Ma i più sembrano non ac-corgersene. Il meccanismo si chia-ma rimozione. La posta in gioco èil convincimento di potersi arroc-care all’infinito in un’ipoteticaisola felice, nella città perfetta che,come tale, non ha bisogno di esse-re governata ma solo assecondatanei suoi istinti familisti ed econo-micisti.Ci fosse un caso Tommasoli al me-se, lo spirito veronese di questotempo troverebbe il modo di ri-muoverlo, di addossarlo ai “ba-lordi” di turno (che per definizio-ne non sono figli di nessuno, noncalpestano questa terra, non re-spirano questa aria) e di difende-re la vecchia, logora di città-carto-lina, che è soltanto una caricaturadi città.Lo spirito di questo tempo è unimpasto di inerzie familiari, di dif-fidenze e di paure sociali, di mise-rie politiche, di intolleranze raz-ziali, di culto del soldo, di una federeligiosa ridotta a mera ritualità.Per capire meglio che cos’è e co-me funziona questo spirito vero-nese proviamo a soffermarci sualcuni dei fattori che lo costitui-scono e lo alimentano: una certa“veronesità”, una politica inade-guata, una società civile inin-fluente, specie nella sua compo-nente cattolica.Fatto salvo il tratto, apprezzabile,

della riservatezza, la “veronesità”spesso sconfina nell’indifferenzasociale e nella diffidenza versotutto ciò che è al di fuori del pro-prio cortile culturale. Di norma, iveronesi guardano prima di tuttoalle loro convenienze immediate enon si espongono. Possiamo direche si accontentano di fare il loroprivato “compitino” e che hannola tendenza a riconoscere volen-tieri solo i propri simili, così dasentirsi sicuri nel presente e rassi-curati per il futuro.Venendo alla politica, non diver-samente da quanto accade sulpiano nazionale, ciò che prevale,soprattutto nei partiti del centro-

Tra miserie politichee paure sociali

Lo spirito di questo tempo è un impasto di inerzie familiari, di diffidenze,di intolleranze razziali, di culto del soldo, di una fede ridotta a mera ritualità

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Violenza a Verona

Aprile 200914

di Paola Bozzini

Ho la sensazione che la gioventùdi Verona sia come una pentola apressione. Lucida, pulita, bella al-l’esterno e dentro tutto un ribolli-re che trova a fatica il giusto varcodi sfogo. Da anni assisto a episodidi violenza commessi per lo piùda giovani. Dai sassi lanciati daicavalcavia ai falò del dopo partita,dagli atti vandalici più diversi allebande di skinheads per giungere aun vero e proprio squadrismo in-tollerante, minaccioso e purtrop-po anche omicida.Che cosa si muove dentro i nostriragazzi? Perché è indiscutibile chetutti questi episodi non sono altroche esplosioni di rabbia, di unmalessere interiore inespresso,non individuato e forse anche in-consce richieste di aiuto. Davantiai fatti che la cronaca impietosaelenca, l’istinto è sempre quello ditrovare una cosa o qualcuno sucui addossare la colpa, ma noncredo sia questo il modo giustoper giungere a qualcosa di co-struttivo. I fattori da prendere inconsiderazione sono molteplici.Viviamo in una provincia ricca,anche se la gente tende a nonostentare il proprio benessere, mapiuttosto a nasconderlo. Nellamaggior parte dei casi i giovanicoinvolti nelle violenze di ognigenere, sono figli di normali fa-miglie, senza gravi problemi eco-nomici o situazioni di particolaredisagio, con genitori piuttosto at-tenti nei confronti dei propri figli.E allora, dove si annida la radicemalata? Agli inquirenti, alcuni ragazzihanno detto di avere agito per fu-

gare la noia. Altri hanno asseritodi non avere pensato alle conse-guenze delle loro azioni. Moltinon hanno saputo dare alcuna ri-sposta. Mi torna alla mente la ri-sposta di Maso: «Ma io non pen-savo che fosse così difficile! Nonpensavo che reagissero». Credevache l’assassinio dei suoi genitorisi sarebbe svolto come nelle fic-tion del cinema o della televisio-ne. Ecco, si potrebbe partire daqui, da un’analisi sincera dell’in-fluenza che la tv e un certo cine-ma hanno sui giovani. Sin da pic-coli. Quante ore trascorrono da-vanti al piccolo schermo? E, so-prattutto, che cosa passa davantiai loro occhi? Da un po’ di tempoanche i cartoons si sono tinti diviolenza e così i video games (piùgente investi più punti fai!) pernon dire dei pupazzi orientali daighigni orrendi. Una vera scuoladel brutto. E il resto lo aggiungecerta pubblicità che esalta l’avere,l’apparire, il possedere e la com-petizione. Crescono perciò conl’idea che conti più ciò che si ha intasca di quel si ha in testa o nelcuore. Ho conosciuto un giovaneobeso, obeso a tal punto da doveressere ricoverato in una clinica.Mangiava in modo assurdo e be-veva birra con altrettanta foga. Achi gli ha chiesto perché facessecosì, ha risposto: «Era un modoper colmare il vuoto, il vuoto cheho dentro e che resta sempreuguale!».Forse anche i nostri giovani sof-frono per un uguale vuoto inte-riore e cercano di eliminarlo o disopraffarne l’assordante suonocon azioni eclatanti. Il benessereha portato a una perdita progres-

siva dei valori che contano e chenon sono il denaro, il jeans firma-to o il cellulare dell’ultima gene-razione.Così è cresciuta la necessità di ap-partenere a un gruppo per nonsentirsi soli, oltre che vuoti. Ilbranco protegge, aiuta, sostiene,fuga le paure e permette di espri-mersi liberamente. Insieme tuttodiventa possibile. Presi uno a unosono normali ragazzi, senzagrandi spavalderie o aggressività,ma uniti si trasformano in unasorta di bomba sempre pronta adesplodere per colpire chi è diver-so, straniero o italiano non im-porta, basta che ai loro occhi ap-paia “diverso”.Insieme si può dare fuoco a un

Aiutiamo i giovaniad andare oltre l’apparenza

Nella mia esperienza di insegnante ho visto che, avvicinando gli allievi allamusica, all’arte, al cinema, alle buone letture si verificavano positivi cambiamenti

barbone addormentato, si posso-no minacciare ragazzini più gio-vani e si può picchiare a mortechi non ha la sigaretta pronta daoffrire.La soluzione? Arduo trovarla.Penso si debba costruirla matto-ne per mattone con pazienzaeducando le menti ed il cuore albello, a ciò che c’è di buono, allecose che davvero valgono. Nelcorso della mia esperienza di in-segnante ho visto che, avvicinan-do gli allievi alla musica, all’arte,al cinema ricco di contenuti, allebuone letture si verificavano po-sitivi cambiamenti. Nascevanodomande importanti, discussio-ni che andavano in profondità suargomenti esistenziali come la vi-ta, la morte, gli ideali, il senso del-la patria, l’amore per gli altri, lapassione artistica e l’impatto del-la presenza di Dio nella nostra vi-ta. Si aprivano dialoghi che miconsentivano di capire meglio iragazzi dandomi la possibilità dioffrire aiuto. Il dialogo, riuscire ainstaurare un rapporto d’anima esaper ascoltare con il cuore. Ri-tengo sia questa l’unica chiaveper aiutare i giovani a scoprire e aestrinsecare sé stessi, colmando ilvuoto con l’amore, la fiducia econtenuti che diano significato alvivere.Ed è altrettanto importante inse-gnare ai giovani a guardarsi at-torno e a vedere ciò che c’è al di làdell ’apparenza per aiutarli acomprendere che siamo tutti incammino lungo una stessa via. Larabbia, la violenza, l’odio posso-no solo creare ostacoli, difficoltà,dolore e distruggono tutto ciòche di buono c’è in ogni creatura.

«Viviamo in unaprovincia ricca, anche se la gente tende a non

ostentare il propriobenessere, ma piuttosto a

nasconderlo. Nellamaggior parte dei casi i giovani coinvolti nelleviolenze di ogni generesono figli di normalifamiglie, senza graviproblemi economici o

situazioni di particolaredisagio, con genitoripiuttosto attenti nei

confronti dei propri figli.E allora, dove si annida

la radice malata?»

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«Il bravo ragazzo èpronto a difendere il

territorio, a “tenere ilmondo fuori dalle

mura”, come qualcunoha scritto in

pennarello sull’Arcodei Gavi, parafrasando

il “There is no worldwithout Verona walls”

di WilliamShakespeare»

di Marzio Perbellini

Un bravo ragazzo. Giovane, cura-to, buone scuole, bella macchina,tanti amici e famiglia benestante.Bel sorriso da reclame e un gran-de cuore di pietra, incastonatonel contesto veronese come unporfido in una via del centro.Nessuno lo vede fino a quandonon lascia il buco. Un “Italianpsycho” lo definirebbe lo scritto-re Niccolò Ammaniti: un “inna-morato che scrive sotto casa lette-re d’amore con lo spray alla fi-danzata, le fa il regalo a San Va-lentino e in fondo pensa che darefuoco a un marocchino non siaparticolarmente terribile”. Perchésotto l’abito griffato ha l’animanera, difficile da scorgere nellacittà che riconosce e accoglie solociò che è bello in superficie.Il bravo ragazzo di giorno fre-quenta la parrocchia e di sera vain giro a pestare la gente. In chie-sa si fa il segno della croce e inpiazza inneggia al nazismo. Tuttilo vedono fare la comunione enessuno lo vede menare le mani.Il bravo ragazzo è pronto a difen-dere il territorio, a “tenere ilmondo fuori dalle mura”, comequalcuno ha scritto in pennarellosull’Arco dei Gavi parafrasando il“There is no world without Veronawalls” di William Shakespeare. AVerona coi bravi ragazzi si chiudeun occhio, anzi, due, salvo quan-do, dopo l’ennesima aggressionecontro il “diverso”, il nemico, l’a-lieno, ci scappa il morto, comecon Nicola Tommasoli, ucciso lanotte tra il 30 aprile e il 1 maggiodell’anno scorso a Porta Leoni.Ecco allora che la città sbigottita

si indigna, scopre e si interroga sutanta violenza. Guarda il buco enon capisce.Eh sì che di bravi ragazzi a Veronace ne sono stati di illustri, comePietro Maso, sempre impeccabilecol suo foulardino a pois e chediede allo psichiatra VittorinoAndreoli l’occasione di tracciareun quadro al vetriolo (mai dige-rito) del nostro contesto sociale,rozzo e privo di cultura.O gli studenti modello figli dellaborghesia strabene alla WolfgangAbel e Marco Furlan, e così de-scritti da Guido Vergani, giorna-lista di Repubblica, il 1 dicembre1986, alla prima udienza del pro-cesso a Ludwig, il nome con ilquale i due sono stati condannatiper aver ucciso dal 1977 al 1984prostitute, preti, tossici, omoses-suali. «Sono piccoli, mingherli-ni», scrive. «Le sbarre grigie li so-vrastano e fisicamente li rimpic-cioliscono. Wolfgang Abel e Mar-co Furlan hanno l’aspetto di ado-

lescenti e facce da ginnasiali».Bravi ragazzi. La violenza in cittàtorna sempre con la stessa faccia,ma nessuno la vede. O se lo ricor-da.Perché da noi non si fruga sotto aivestiti. Ci si accontenta dei vestiti,semplicemente. Così impegnatidalle nostre parti a “perseguitare”quelli con le mani sporche e gliindumenti sgualciti. Il “diverso”contro il quale si scaglia la Lega diFlavio Tosi, sovrano della città colsuo 65 per cento di consensi. Ildiverso che ha un nome stranie-ro, vive nell’ombra, viene sfrutta-to, e ci si ricorda di lui con foto egeneralità in bell’evidenza soloquando commette un reato. Il di-verso che la Chiesa ha paura didifendere; il diverso che dà fasti-dio ai padroni di quell’amato faz-zoletto di terra pulito e inconta-minato del centro storico dove i“brutti ceffi” non si vedono e lo-ro, i bei ragazzi dalla camiciabianca, continuano a parcheggia-re impunemente il proprio suv indivieto di sosta. Alla faccia delleregole e della tolleranza zero.Che sono inflessibili invece perchi chiede l’elemosina, per chi ge-stisce call center e negozi di ke-bab, per chi vuole pregare in unamoschea, per chi ha capelli lun-ghi, dreadlocks e fa risorgere dal-l’oblio un asilo comunale abban-donato da anni. Per chi non hacasa, li chiamano gli “sbandati”,che non hanno altro che una pan-china dove mangiare, o riposare.Per chi vorrebbe abbattere le mu-ra di una città che si illude di esse-re sicura solo quando tiene ilmondo fuori. Mentre il mostro cel’ha nella pancia. Da sempre.

I giornalisti

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«Bravi ragazzi»con un cuore di pietra

Il diverso ha un nome straniero, vive nell’ombra, viene sfruttato e ci si ricorda di lui con foto e generalità in bella evidenza solo quando commette un reato

«Di bravi ragazzi a Verona ce ne sono stati di illustri, a partire daPietro Maso, sempreimpeccabile col suo

foulardino a pois e chediede allo psichiatraVittorino Andreoli

l’occasione di tracciareun quadro al vetriolo

(mai digerito) del nostrocontesto sociale, rozzo

e privo di cultura»

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Violenza a Verona

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Tolleranza e accoglienza:due potenti antidoti

Bisogna tenere alta la guardia che difende il diritto e non il pregiudizio,la reciprocità e non la grettezza, la convivialità e non il fondamentalismo

di Maria Teresa Ratti

Sono da poco rientrata dal Brasile,dove ho avuto la gioia di partecipa-re al Forum Sociale Mondiale te-nutosi nella città di Belém, nellostato amazzonico del Pará. Un’e-sperienza, nel suo insieme, moltoricca di contenuti ma soprattuttomolto coinvolgente per quantoconcerne il leitmotiv che da anniaccompagna questo evento: un al-tro mondo è possibile!Credo valga la spesa riflettere su al-cune implicazioni racchiuse nel te-ma del Forum da tenere come filoconduttore alla nostra riflessione.Un altro mondo è possibile: l’affer-mazione esprime una presa di po-sizione di fronte alla quotidianitàdi un vissuto che ci ha portati a ca-pire che questo mondo in cui vivia-mo non è proprio quello che ave-vamo desiderato, ma tanto meno èun labirinto dal quale è impossibi-le trovare via d’uscita.A Belém ho incontrato donne euomini venuti da diversi angolidella terra per dirsi a vicenda che èimportante rimanere in rete e che èessenziale continuare a cercare so-luzioni alternative al modello poli-tico-economico imperante, piùpreoccupato di accaparrarsi il con-trollo delle risorse che di salvaguar-dare la dignità della persona e l’in-tegrità del creato.Nelle piccole o grandi aule-tendedel Forum sono risuonate parole erappresentati simboli che esprime-vano la necessità di fare propriquegli stili di vita capaci di genera-re solidarietà e giustizia, e, nel con-tempo si è ulteriormente compre-so – come ha affermato il saggioFrançois Houtart – che «non si

tratta più di cambiare alcune rego-le del gioco, come alcuni governidanno ad intendere, ma è urgentecambiare il gioco stesso».Che c’entra tutto questo con il per-ché della violenza nella città scali-gera? Quali ispirazioni trarre perdelineare prospettive che ci indichi-no delle modalità per costruire unacittà a favore della persona umana? Conosco più da vicino la storiamissionaria che lega Verona almondo che non la quotidianitàdella vita cittadina, ma, avendoavuto la fortuna di vivere con po-polazioni diverse per molti annifuori Europa, oso formulare qual-che indicazione.Ricordo con nostalgia la festa che lagente di Gaichanjiru, pochi chilo-metri a nord di Nairobi, aveva or-ganizzato per il mio arrivo. Per as-sicurarsi che io cogliessi la genuini-tà del loro interessamento nei mieiconfronti si premunirono di darmiun nome loro,con il quale sentirmipienamente parte del gruppo. Ledonne, poi, facevano a gara nel vo-ler conoscere la mia vita “prece-dente”, prima del mio arrivo inKenya, e con una creatività che ra-sentava talvolta l’incredibile mi co-municavano la gioia che si sprigio-na da un’accoglienza sincera e soli-dale. Così facendo contribuivanoad abbassare il livello del mio ini-ziale disorientamento e favorivanoil mio inserimento progressivo nelnuovo contesto di vita.Negli Stati Uniti, dove sono vissutaper sei anni, ho incontrato diversiveneti che dicevano di essersi“(ri)fatti” la vita là dove eranosbarcati. Perché allora tanto acca-nimento, ora, verso chi viene da ol-treconfine per cercare una possibi-

lità per migliorare la propria vita?«Sono tempi difficili», si sentespesso dire, ma è proprio quandola “crisi”è impellente che si deve al-largare la mano e non stringere ilpugno! Se non siamo capaci di far-lo per solidarietà dovremmo farloalmeno per giustizia. Ma non sonocose che si improvvisano...Verona potrebbe essere meno vio-lenta se i suoi abitanti fossero piùaccoglienti. E più accoglienti dicuore, non solo di facciata. È un’i-stanza che ho raccolto anche dadonne italiane di nascita ma nonnative di Verona, le quali mi hannoraccontato la loro fatica per trova-re, in città, conoscenze e soprattut-to amicizie. E Verona fatica su que-sto versante perché forse ha di-menticato il bene ricevuto dall’in-contro con i popoli che hanno ac-colto i veronesi nel mondo.Nella Verona che nel IV secolo ac-colse Zeno l’africano e da lui fuevangelizzata e che, a sua volta, hainviato missionarie e missionariverso i quattro angoli della terra;nella Verona del Duemila,divenutacrocevia di culture, religioni e tra-dizioni ma che, in questi tempi,meschinamente e in molti modisbatte le porte in faccia a chi bussaalle sue porte in cerca di casa e dicittadinanza, bisogna tenere alta laguardia che difende il diritto e nonil pregiudizio, la reciprocità e nonla grettezza, la convivialità e non ilfondamentalismo. E se una gara apunti si deve giocare non può es-sere che la gara della resistenza edella denuncia di tutto ciò che cal-pesta la dignità e offende la perso-na. Insieme ce la possiamo fare. Selo vogliamo, un’altra Verona èpossibile!

«Verona potrebbeessere meno violenta se

i suoi abitanti fosseropiù accoglienti. E piùaccoglienti di cuore,non solo di facciata.È un’istanza che ho

raccolto anche dadonne italiane di

nascita ma non nativedi Verona, le quali mi

hanno raccontato laloro fatica per trovare,

in città, conoscenze esoprattutto amicizie»

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Violenza a Verona

Aprile 200918

di Marco Sedda

«... anche i criminali e i delinquentiavevano dei genitori. In un sensoastratto e metafisico i genitori han-no sempre un po’ colpa se i figli sonodei criminali. Praticamente ne han-no un po’ meno, perché un uomo di-viene criminale anche per colpa del-l’ambiente, non lo è soltanto per co-stituzione ereditaria. Ma una cosa ècerta: non esiste assolutamente il ca-so in cui il padre o la madre o tutti edue insieme non abbiano nessunacolpa di come cresce il figlio».Giorgio Scerbanenco, “I ragazzidel massacro” (Garzanti, 1994)

La provinciale. La prima, e dun-que superficiale, impressione cheho avuto quando mi sono stabilitoa Verona, poco più di un anno fa, èstata quella di una città provincia-le. Niente di nuovo, nel panoramaitaliano: forse solo Milano puòvantare un respiro internazionaletra i capoluoghi della nostra peni-sola. Ma per Verona la cosa sor-prende per almeno tre motivi:perché la sua posizione geograficaavrebbe dovuto renderla più aper-ta alle influenze d’oltralpe, perchéla sua storia racconta di contami-nazioni e influenze secolari, italia-ne e straniere, e infine perché lasua grande tradizione culturaleavrebbe dovuto favorire il dialogoe l’empatia verso gli stranieri. Tut-to questo non è estraneo all’atteg-giamento che i veronesi hanno neiconfronti di chi proviene da oltrela cinta muraria della città: la diffi-denza verso chi arriva da altrerealtà o è portatore di una culturadifferente è il più evidente sinto-mo di un atteggiamento profon-

damente provinciale. Nei con-fronti dello straniero, di solito nelveronese non scatta la curiosità ela voglia di confrontarsi, ma unachiusura respingente.Valori e radici. Per molti com-mentatori la violenza, in partico-lare quella giovanile, è causata dauna mancanza di valori. Può esservero, almeno in parte, ma gli epi-sodi che in questi ultimi mesi han-no sconvolto l’opinione pubblicascaligera non sono una novitàfrutto di tempi cupi. È sufficienterivangare l’odio alimentato dalleideologie politiche che hanno ca-ratterizzato gli anni Settanta o gliscontri tra ultras che hanno se-gnato gli anni Ottanta. Forse neidecenni passati la violenza facevameno scalpore, vuoi perché c’era-no problemi di altro genere e mol-to più gravi, vuoi perché non veni-vano esaltati dai mass media o ri-presi con i videotelefonini e scari-cati su youtube. Gli episodi di vio-lenza registrati a Verona hannodue caratteristiche: sono staticompiuti da un gruppo di ragazzi,il cosiddetto branco, che si muovee si comporta come a voler difen-dere il proprio territorio violato;hanno come vittime persone inqualche modo considerate diver-se. L’altro continua a fare paura,anche oggi, e allora si va contro chinon si omologa alla cultura pre-dominante. Più che all’assenza divalori, la causa di questa ostilitàverso il diverso sembra essere cau-sata dalla mancanza di solide radi-ci e di sicurezza in se stessi.L’omologante globalizzazione.Una carenza a cui non è estraneoquell’inarrestabile processo mon-diale chiamato globalizzazione.

Un fenomeno che negli ultimi 10anni, da quando si è diffuso l’usodi internet, ha avuto un’evidenteaccelerata. I bambini e i ragazziche oggi crescono in una qualun-que città del mondo occidentalericevono per lo più gli stessi inputculturali. La musica, i film, le mo-de: da questo punto di vista ungiovane di Verona cresce con glistessi riferimenti culturali di unragazzo nato in qualsiasi altra cit-tadina europea. Ma questo feno-meno di omologazione può pro-vocare guasti e distorsioni se nonsi hanno delle radici profonde chepermettono di non perdersi e dimantenere una propria identità.Un esempio,per capirci: i bambininati negli anni Settanta sono cre-sciuti leggendo Pinocchio o le av-venture dei pirati di Salgari, oggile favole per i bambini del mondooccidentale sono quelle rielabora-te da Disney o assimilate attraver-so i cartoni animati giapponesi.

Ecco, il problema delle radici: senon si hanno, si rischia di venirespazzati via e di perdersi nel maremagnum delle culture predomi-nanti. Se non si sa da dove si vienee a cosa si appartiene, si cerca unsurrogato e ci si sforza comunquedi costruire dei propri punti di ri-ferimento. Ecco allora che un gio-vane ricerca il senso di apparte-nenza nel gruppo, mortificandocosì la propria identità di indivi-duo che viene annullata da quelladel gruppo.In Barbagia. A questo proposito èinteressante comparare la situa-zione di Verona con quella di unarealtà completamente diversa, laBarbagia. Un territorio monta-gnoso al centro della Sardegna,una sorta di isola nell’isola, congravi problemi infrastrutturali efortemente depresso dal punto divista economico. Ebbene, anchequi negli ultimi anni si è assistito auna escalation di violenza giova-nile. Se fino a qualche anno fa ireati erano per buona parte quellitipici di una società agro-pastora-le, da qualche anno si assiste a rea-ti caratteristici del mondo metro-politano: furti, scippi, rapine,spaccio di droga, crimini che unaventina di anni fa erano pratica-mente inesistenti.Questo cambia-mento è dovuto sia alla diffusionedella droga, soprattutto cocaina,che non ha risparmiato neanche ilmondo delle campagne, sia ainuovi modelli comportamentaliadottati dai giovani pastori deipaesi dell’interno dell’isola. Daquesto punto di vista, tra un ra-gazzo di Orgosolo e un suo coeta-neo di Verona le differenze coltempo si fanno sempre più labili.

Un’identità debole crea la paura del diverso

Gli episodi violenti hanno punti in comune: sono stati compiuti da ragazzi decisia difendere il territorio e hanno come vittime persone considerate diverse

«Se non si sa da dove si viene e a cosa si

appartiene, si cerca unsurrogato e ci si sforzacomunque di costruire

dei propri punti diriferimento. Ecco allorache un giovane ricerca

il senso di appartenenzanel gruppo, mortificandocosì la propria identitàdi individuo che vieneannullata da quella

del gruppo»

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di Laura Lorenzini

Sono una giornalista, ma ancheuna madre. E come tante madriho vissuto la storia di Nicola Tom-masoli come una botta nello sto-maco.Somatizzandola, subendolacome una questione personale.Mia e di tutte le altre madri chehanno figli più o meno ventenni,più o meno dell’età di Nicola. Chegirano la sera, incontrano amici,bazzicano i propri punti di ritro-vo, luoghi che riflettono identità,filosofia di pensiero, ideali, cultu-ra di appartenenza. O semplice-mente bar in cui bere una birra eascoltare musica. C’è chi ha un fi-glio come i “butei”, i ragazzi dellacurva, magari con la testa rasata,magari con abiti Gucci e scarpePrada, passione le “vasche” dapiazza Erbe a Portoni Borsari odalla Bra a piazza Viviani. E c’èchi, come me, ne ha uno che asso-miglia a Tommasoli. Capelli quasialle spalle. A volte raccolti con uncodino. Un jeans qualunque, opantaloni larghi tipo etno, felponelunghe col cappuccio. Spesso e vo-lentieri abiti volutamente trasan-dati. Immancabile chitarra al se-guito. Poca o zero politica, intesacome quella dei partiti. Piuttostouna chiara idea di non omologa-zione, di distinzione dal coro, dal-la vita modaiola. Di un modo diessere molto easy, mai belligeran-te, sempre in pace col mondo,aperto a persone ed esperienze.Gente “tranqui”, come dicono lo-ro in gergo.Credo che mio figlio, come Nicolae tanti altri, sia un ottimo ragazzo.Amante della vita, pieno di pro-getti, preso dallo sci e dall’arram-

picata e dalla mountain bike, studiall’università, passione per la mu-sica, libri, riviste e mille altri inte-ressi.Vive e rispetta gli altri. Io do-vrei fidarmi, stare rilassata. Palpi-tare al massimo quando esce inmacchina, perché potrebbe corre-re, ubriacarsi, fare chissà qualiguasconate. Invece no. Ho altrepaure. Pochi giorni dopo la mortedi Nicola, ho iniziato a metteremano nel suo armadio. Ho nasco-sto sotto la pila di magliette quelledi Che Guevara e di Bob Marley.Le braghe stile indiano le ho im-boscate nel mio armadio. L’hopregato di spuntarsi i capelli. Gliho raccomandato di girare ingruppo. Di evitare il centro. Dinon rispondere alle provocazioni.Di stare fuori dalle risse. Di andar-sene subito, ai primi segni di sca-

ramucce. O di evitare del tutto diuscire. Preferendo case di amici,cinema, posti fuori da Verona. Erala comprensibile apprensione diuna madre, sconvolta da un ragaz-zo ucciso a calci in faccia per uncodino e –forse – un mezzo spi-nello in bocca. Ma ho capito chestavo cadendo in un pericolosoavvitamento di terrore, di autodi-fesa, di chiusura di porte e tappa-relle. Per scappare. Evitare. Nonvedere e non sapere. Come duran-te il fascismo, il nazismo. Lo stali-nismo.O le dittature dei colonnel-li in Sudamerica. Mi sono chiestase fosse giusto. E mi sono rispostadi no.È un delitto avere un codino, gira-re con un amico di colore, avereuna maglietta con la faccia di Mas-simo Cacciari (me l’aveva regalatail sindaco di Venezia quando lavo-ravo al Gazzettino di Venezia, e iol’ho passata a mio figlio)? È cosìsconveniente e riprovevole rifiu-tare gli abiti griffati, preferire lasemplicità all’ipocrisia, il vivere elasciar vivere alla sopraffazione eall’intolleranza? Io, francamente,non vedo colpe.E credo invece chequesta città non riesca a uscire daun provincialismo gretto e bigottoe dalle caste, da una cultura del-l’apparenza e da circoli chiusi cheimpediscono qualsiasi afflato co-smopolita o semplicemente euro-peista.Verona rimane chiusa alla liberaespressione, alle differenze, al giu-dizio in base ai meriti piuttostoche al diritto di successione, sem-pre più bendisposta al conto cor-rente o all’omologazione del pen-siero piuttosto che alla creatività eal leale confronto. Così si spiega la

madre in ansia per il figlio chevorrebbe vivere da giovane, cometutti i giovani, girando liberamen-te per i locali come accade a Lon-dra o a New York. In ansia come loera la mia, più di vent’anni fa,quando, adolescente, mi intrup-pavo nei cortei con gonne lunghee zoccoloni da convinta femmini-sta. Ero una giovane idealista e vi-vevo, ignara, una Verona che giàallora era divisa in due. Il centro,con il bar Forst di via Mazzini, inmano ai “fascisti”. Lo stradoneMaffei, con la sede dell’Msi. Il barMotta, che era il bar dei “bajosi”,cioè dei discotecari e delle sbarbi-ne immortalate mirabilmente da-gli Skiantos. Al di là del fiume, co-me oggi, c’erano i covi rossi.Avan-guardia Operaia in via San Vitale,Lotta Continua in via Scrimiari, ilPdup-Manifesto in via XX set-tembre. Unica eccezione, il Movi-mento nonviolento di Massimo“Mao”Valpiana, futuro esponentedei Verdi, relegato in uno scanti-nato in via Filippini da 15 mila lireal mese, in piena zona minata. Pie-no centro. E infatti Valpiana fu ri-empito di botte perché beccato dinotte, da alcuni esponenti di de-stra, ad attaccare manifesti in stra-done San Fermo. Non era terrasua, lì non poteva starci. ComeTommasoli. Come la ragazza pe-stata in piazza Viviani. Trent’annidopo, nulla sembra cambiato.

I giornalisti

inVERONA 19

Quando la giornalistaè anche mamma

Credo che mio figlio sia un ottimo ragazzo. Vive e rispetta gli altri. Io dovreifidarmi, palpitare al massimo quando esce in macchina. Ma ho altre paure...

«Ero una giovaneidealista e vivevo,

ignara, una Verona chegià allora era divisa indue. Il centro, con il barForst di via Mazzini, inmano ai “fascisti”. Lo

stradone Maffei, con lasede dell’Msi. Il bar

Motta, che era il bar dei“bajosi”, cioè deidiscotecari e delle

sbarbine immortalatemirabilmente dagliSkiantos. Al di là del

fiume, come oggi,c’erano i covi rossi»

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Violenza a Verona

Aprile 200920

«I partito moderatoraccolse i voti di tutti

quei fascisti che furonoportati a Verona dalla

Repubblica sociale, chequi aveva i suoi

ministeri e quindi isuoi impiegati.

La nostra città hafornito un terreno

adatto a favorireaggregazioni amicali

che trovavano unagiustificazione

culturale in saghepseudoesoteriche che

impostavano il pathosdel loro racconto sulmito del conflitto di

civiltà e della necessitàdi mantenere una

irrazionale eanacronistica purezzaoriginaria nel popolo»

di Giuseppe Brugnoli

“Dall’analisi del perché della vio-lenza alle prospettive per una Ve-rona a misura d’uomo”… “prova-re a individuare le cause della vio-lenza con esempi concreti, trac-ciando delle coraggiose ipotesi disoluzione ai problemi per fare diVerona una città a misura d’uo-mo”… “essere concreti e costrut-tivi, tanto nelle analisi quantonelle prospettive”. Ecco la tracciadi un “tema in classe”, da svolgerenello spazio di 4-5 mila battute,spazi inclusi. Una bella sfida, nonc’è che dire.L’analisi quindi deve necessaria-mente prescindere dai discorsigenerali, che sono così belli per-ché onnicomprensivi, per affron-tare la domanda: in un mondocome il nostro dove la violenza èdappertutto, e gli esempi ci ven-gono sottoposti ogni giorno, esi-ste una violenza “veronese” concaratteristiche proprie, con unaspecifica individualità antropolo-gica? Se le cause della violenza so-no le stesse a Verona come inqualsiasi altro luogo del mondo,allora le “coraggiose ipotesi di so-luzione ai problemi” possono es-sere formulate “per fare di Veronauna città a misura d’uomo” comeper fare di Mumbai o di Baghdaduna città a misura d’uomo. Ma ilproblema proposto parte dall’as-sunto che a Verona ci siano causespecifiche di una violenza con ca-ratteristiche particolari, e la pri-ma incognita da risolvere sia l’in-dividuazione di queste cause chenon hanno corrispondenza in al-tre parti d’Italia e del mondo. Sequindi “l’analisi del perché della

violenza” porta alla constatazioneche la situazione, il clima, ma an-che gli episodi stessi di violenzanon caratterizzano in modo spe-ciale Verona rispetto ad altri luo-ghi con cui la città possa esserecorrettamente paragonata, alloraviene a mancare anche ogni “co-raggiosa ipotesi di soluzione” chesia indicata per Verona.La premessa vale per sostenereche invece, se si chiede come ana-lisi di studio e di proposta Verona,si ritiene che la città meriti e forseabbia bisogno di un approfondi-mento critico. E quindi, per poterprocedere, conviene identificareuna specificità, che qualifica laviolenza a Verona come diversa,in tutto o in parte dalla violenzapanica che sommerge il mondointero.Provo a buttare un’ipotesi, chenon è un “esempio concreto” eneppure una “ipotesi di soluzio-ne” ma solo un’ipotesi di causa.Essa parte dalla constatazione cheVerona, città che prima del ven-tennio fascista è stata laica e socia-lista, dopo la liberazione divennefrancamente democristiana. Nonper una improvvisa conversione,ma soltanto perché il partito mo-derato raccolse i voti di tutti queifascisti che furono portati a Vero-na dalla Repubblica sociale, chequi aveva i suoi ministeri e quindii suoi impiegati. Rimasti a Veronadopo la guerra, spesso disoccupa-ti o sottoccupati, questi ex fascistinon militarono se non in minimaparte nelle nuove formazioni po-litiche che rivendicavano unacontinuità con lo scomparso regi-me, ma allevarono nei loro figligenerazioni di “nostalgici” che,

per esprimere la loro insofferenzaverso i nuovi padroni del vaporesi orientarono verso una miliziadi carattere sportivo, di preferen-za come tifosi di calcio, in cui po-tevano esprimere la loro vogliarevanchista anche in esercitazionidi guerriglia urbana o in attentati,o presunti tali, dimostrativi.Verona, città appartata e lontanadal circuito dei grandi centri diattrazione politica o dalle scuoledi elaborazione ideologica comele università, forniva un terrenodi coltura adatto a far crescere ri-vendicazioni e a favorire aggrega-zioni amicali che trovavano unagiustificazione culturale in saghepseudoesoteriche che impostava-no il pathos del loro racconto sulmito del conflitto di civiltà e dellanecessità di mantenere una irra-zionale e anacronistica purezzaoriginaria nel popolo. E poichè,come diceva Goja, “el sueno de larazon produce monstruos” eccoche questo irrazionalismo eretto asistema di vita e a comandamentodi carattere istituzionale-religio-so porta a fenomeni come quelliattribuiti trent’anni fa ad Abel eFurlan ed ora ai giovani incolpatidelle aggressioni di Porta Leona edi Piazza Viviani. Ipotesi di solu-zione? Tornare a pensare che ladiversità è ricchezza, non soltantoculturale, e che un mondo in cui“uomini dai capelli lunghi si ac-compagnano a donne dai capellicorti”, come i razzisti del profon-do sud statunitensi definivanoscandalizzati durante la guerra ci-vile gli yankee venuti dal nord, ènon solo possibile ma anche “nor-male” è uno dei dati più elemen-tari per una civile convivenza.

Un tizzone fascistacova ancora sotto la cenere

La nostra città, prima del ventennio fascista laica e socialista, dopo la liberazionedivenne democristiana. Ma non fu certo per una improvvisa conversione

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«Quando non si dicepiù grazie e per favore,

la fine è vicina», dicelo sceriffo Bell nel libro

“Non è un paese pervecchi” di Cormac

McCarthy, portato sulgrande schermo dai

fratelli Coen. Veronanon è zona di confine

con il Messico, ma“accettare” violenza e

aggressività comenormalità è rischioso

di Giovanni Marchiori

Un ambiente finito sotto la lentedi ingrandimento. Una città ana-lizzata al microscopio. I suoi ra-gazzi improvvisamente osservaticome degli extraterrestri, soprat-tutto dai loro concittadini, ancoraincreduli per ciò che combinanoquesti giovani che, fino a ieri, era-no dei bravi “butei”. Del resto, vio-lenza ed aggressività sono due ter-mini che, nell’ultimo periodo, so-no stati associati spesso all’atmo-sfera che si respira nella nostrabella Verona. E in particolare aigiovani veronesi. A quello che è illoro modo di fare, di comportarsie di relazionarsi con il prossimo.Di conseguenza è naturale chel’ambiente rimanga sconvolto.Una reazione del tutto normaleinsomma. Qualsiasi città, comu-nità, o piccola società avrebbe va-cillato davanti a fatti del genere.Così, le domande si susseguono.Perché fanno quello che fanno? Co-m’è possibile? E a quel punto tuttialla ricerca delle ipotetiche cause.Ma da dove nasce questa violenza?Perché questi episodi carichi di ag-gressività accadono proprio a Vero-na? Dopo i quesiti, è finalmentegiunto il momento delle prime ri-sposte. Sono persone normalissi-me, fanno una vita comune. Comela maggior parte dei loro amici e co-etanei. Fermi tutti! E sta a vedereche è proprio questo il punto: lanormalità. O meglio, ciò che oggiè visto, considerato e tollerato co-me normale. Perché in fin dei con-ti, sembrerebbe proprio che la vo-ce venga alzata soltanto di fronteai fatti eclatanti. Agli episodi disangue che ci hanno fatto soffrire

e che ci costringono a riflettere suquello che è il nostro modo di vi-vere. Le nostre abitudini. La quo-tidianità. Ed ovviamente la nor-malità, o meglio ciò che ormai,consideriamo come normale. Fi-no a quando appunto, non accadequalcosa di tremendo. Un fattoche spaventi l’intero Paese. Unavicenda che metta Verona in dis-cussione e che faccia sì che i vero-nesi si sentano osservati (non perforza giudicati) dagli altri.Una situazione difficile da gestire,per coloro che non avevano mainotato segnali di pericolo. E per-ché mai? Campanelli d’allarmenon ce ne sono stati! O comunquenessuno li ha uditi. Perché tantofino a quel momento era tuttonormale. Giovani veronesi stu-denti o lavoratori accomunati daaspetti e caratteristiche. Propriocome i ragazzi di altre province,intendiamoci. Forse, però, qui da“noi” certi atteggiamenti sono più“marcati”. E gli esempi non man-cano. Serate a bere, iniziate con ilprimo bicchiere di spritz già alle18 e che terminano a tarda nottetra fiumi di rhum e birra. Neancheci dovessimo difendere da tempe-rature nordiche. Risultato? Grup-pi di giovani a zonzo completa-mente ubriachi. Continuandocon il tifo allo stadio, che non ne-cessariamente significa amore perla squadra o passione per il calcio.Tra canti e applausi, non mancanopurtroppo i cori razzisti. E in unambiente così carico di adrenalinanon è semplice trattenere i lati ag-gressivi di noi stessi.Senza dimenticare quella che è laprincipale ambizione di moltissi-mi giovani veronesi, cioè l’arric-

chirsi. Il denaro davanti a tutto, ilmezzo indispensabile per poterrealizzare i propri sogni: auto, ve-stiti e vacanze. Tutto all’ultimogrido. E in una vita caratterizzataprincipalmente da atteggiamentie azioni di questo genere, il rischiodi perdere il controllo è alto. Soloche ormai non ci si fa quasi più ca-so, quando a dire il vero, nella bel-la Verona conviviamo spesso conazioni e modi di fare al limite del“normale”. Perché ci sono stati in-sulti e provocazioni per le vie delcentro nei confronti di ragazzi dialtre province, in alcuni casi con-clusi con inseguimenti, spintoni ecazzotti. Fatti gravissimi. Ma pur-troppo in un certo senso accettati.Altrimenti sarebbe difficile spie-gare la perplessità e lo sgomentodi fronte ad un’aggressione finitatragicamente. Un’azione vista co-me un qualcosa di isolato. Un atti-mo di pazzia, che ha portato qual-cuno “dei nostri” fuori dallo sche-ma. Perché l’atteggiamento di co-loro che ora sono all’indice è statofino a quel punto “normale”.È evi-dente invece che i segnali di peri-colo ci sono stati e ci sono tuttora.È solo che ci si è “abituati”a questodrammatico tran tran. “Quandonon si dice più grazie e per favore lafine è vicina”, dice lo sceriffo Bellnel libro “Non è un paese per vec-chi”di Cormac McCarthy e porta-to sul grande schermo dai fratelliCoen. Verona non è zona di confi-ne con il Messico, ma “accettare”violenza e aggressività come nor-malità è rischioso.

I giornalisti

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Tutto bene a Verona... e allora avanti così

Serate a bere, iniziate con il primo bicchiere alle 18, fino a tarda notte tra fiumi di rhum e birra. E il tifo allo stadio, che non sempre è passione per il calcio

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Violenza a Verona

Aprile 200922

di Giorgio Montolli

Verona, per quanto riguarda il fe-nomeno della violenza, non è di-versa da altri centri urbani: a volteè l’affetto che nutriamo per questacittà, insieme all’ignoranza perquanto si trova oltre le sue mura,che ci spinge a tentare di indivi-duare delle responsabilità solo in-terne. Un provincialismo che simanifesta anche in modo contra-rio, quando, sollevata la città dauna responsabilità così pesante, sifinisce per accettare certi fenome-ni violenti come senza rimedioperché d’importazione.

Usciamo per un attimo dalle ansedell’Adige per fare alcune consi-derazioni di carattere generale.Con la secolarizzazione dellaChiesa, il crollo del sistema socia-lista-marxista e la deriva di quelloliberale la nostra identità è entratain crisi e con essa i nostri modellieducativi che vengono percepitidalle nuove generazioni come fal-si e anacronistici. La coesione so-ciale non risponde più a dei valoricondivisi e finisce per prevalerel’elemento irrazionale con la co-stituzione di aggregazioni autori-tarie e populiste o di gruppi estre-misti e violenti. A questo proposi-to le responsabilità della TV, a cuiPasolini attribuiva la colpa di ge-nocidio, sono enormi.

In questa situazione generale si col-loca Verona, che ha comunque unapropria storia e una sua peculiareconnotazione culturale.Il fatto che nella nostra città siamancato un vero e proprio movi-mento operaio ha consentito di

traghettare fino ai giorni nostriuna mentalità padronale e conta-dina, legata ai valori della terra e al-le logiche del piccolo commercio,che affonda le sue radici nel lungoperiodo della dominazione vene-ziana. Con questi valori, uniti a unradicato sentimento religioso, sicostruisce la Verona del dopoguer-ra, quando forze politiche, im-prenditoriali e culturali disegnanoinsieme il nuovo volto della città(scuole, strade, fabbriche, risorseenergetiche, gruppi di solidarietà).Abbiamo così assimilato una nuo-va mentalità urbana e industrialeche ci ha permesso di raggiungereun alto grado di benessere materia-le. Ma è un modello storicamentesuperato, certamente inadeguatoper affrontare le sfide di questo ter-zo millennio globalizzato.Eppure continuiamo ad organiz-zare la nostra vita, il nostro sistemadi relazioni, le nostre forme di go-verno e i nostri piani di sviluppocon gli stessi criteri di 30-40 annifa. Le conseguenze sono un’ecces-siva cementificazione a danno del-l’ambiente, una mentalità del su-perfluo e dell’iperconsumo, unacomunicazione drogata, l’intolle-ranza verso i poveri, gli stranieri oanche solo per chi porta i capellilunghi e veste in modo originale.

Le ideologie, ma anche i riferimen-ti culturali locali, entrano in crisiquando la forza che li anima non siidentifica più nella sua storicizza-zione. Ma queste fasi di passaggiopotrebbero essere gestite meglio sesapessimo riconoscere i valori pro-fondi che stanno dietro le struttureche l’uomo crea per organizzarenella storia la propria esistenza. È

infatti a partire da tali valori che sipossono costruire nuovi modelliculturali di riferimento trovandonuovi significati alle parole di sem-pre. Per fare un esempio: se rag-giungere il centro storico in auto-mobile era sicuramente una mani-festazione di benessere, oggi lo èmuoversi a piedi o in bicicletta per-ché abbassa il pericolo di infarto edi cancro ai polmoni.

Se la violenza non è una prerogati-va veronese essa diventa però unproblema per la città nel momen-to in cui si manifesta non in unateoria astratta e lontana ma nellenostre vie e nelle nostre piazze(porta Leoni e piazza Viviani, perintenderci). Ecco allora alcuneidee che andrebbero finanziate einserite in modo coordinato inuno specifico programma di in-tervento locale.1. Puntare sui giovanissimi facili-

tando il loro inserimento in as-sociazioni che si occupano dipace, convivenza e mondialità,non a parole ma con azioni e sti-li di vita concreti (gli scout adesempio).

2. Inserire nei programmi scolasti-ci percorsi di educazione allaconvivenza civile e alla tolleran-za, per genitori e figli, con veri epropri laboratori, favorendol’incontro con culture e religionidiverse e gli scambi con l’estero.

3. Mettere in cantiere delle inizia-tive per aumentare nei giovanila considerazione nei confrontidelle istituzioni, in particolaredelle forze dell’ordine e dei ma-gistrati.

4. Valorizzare e seguire i giovanitalenti di casa nostra per far cre-

scere figure autorevoli nei setto-ri della cultura, dell’arte, dellapolitica, dell’educazione.

5. Studiare percorsi culturali chevalorizzino l’aspetto cosmopoli-ta della città, per evidenziare cheVerona nella storia è stata al cen-tro di avvenimenti internazio-nali che l’hanno portata a con-frontarsi con culture diverse.

6. Far crescere negli extracomuni-tari una coscienza civica, ancheattraverso una loro rappresen-tanza organizzata (non un ghet-to) in grado di interloquire conle istituzioni cittadine.

7.Favorire i piccoli giornali che, li-beri da interessi e monopoli, ga-rantiscono il pluralismo delleidee e possono svolgere più effi-cacemente un’informazioneonesta e stimolante.

8. Chiedere agli intellettuali di usci-re dalla loro nicchia e di spender-si per la città in cui vivono.

9. Coinvolgere gli imprenditorivalorizzando la loro abitudine aragionare in modo dinamico eproduttivo.

10. Istituire un osservatorio eticoa tutela delle persone, che inter-venga sui media denunciandotutte quelle azioni, anche quelleamministrative, non rispettosedella dignità umana.

Non possiamo infatti permettercipanchine con i braccioli anti clo-chard, ingressi per gli autobus ri-servati agli stranieri, schedaturevarie,discriminazioni nei confron-ti di associazioni pacifiste, esercitoe ronde per le strade, case da giocoe altre strampalate iniziative in es-sere o in fieri con le quali i veronesinon stanno certo scrivendo unabella pagina della loro storia.

La fatica che dobbiamo fare

La violenza ha cause che superano i confini cittadini. Non è però una teoriaastratta e lontana, ma un fenomeno drammaticamente locale che va contrastato

Page 23: Verona In 21/2009

I giornalisti

inVERONA 23

L’equilibrio si costruiscetra le mura domestiche

L’armonia dell’istinto, della volontà, il senso morale, l’etica della vita,l’educazione alla socialità nascono in famiglia con l’esempio dei genitori

di Gianfranco Tommasi

Di fronte a fatti gravi di violenza,che vedono protagonisti i giovani– per fortuna una esigua mino-ranza – mi domando che cosa tut-ti noi abbiamo covato in seno. So-no figli nostri, sono cresciuti quitra di noi, eppure si comportanodiversamente da noi e manifesta-no atteggiamenti che la stragran-de maggioranza dei loro coetaneirifiutano.Le cause della violenza giovanilenon sono sempre facilmente indi-viduabili. Sbrigativamente spessosi punta il dito sulla società – ma lasocietà siamo noi – e una dellecomponenti importanti è la fami-glia, luogo dove nasce l’uomo, sisviluppa e si forma. In questo sen-so, sono personalmente convinto,confortato anche da molti esempi,che una delle concause della de-vianza giovanile va ricercata an-che nel fallimento educativo dellafamiglia. Spesso le cause che favo-riscono la violenza in certi giova-ni, sono le stesse che portano al-l’uso della droga. Per esigenzeobiettive e per far quadrare i contii coniugi sono costretti a mettereinsieme le risorse economiche.Sono entrambi fuori casa per buo-na parte della giornata, affidandoad altri, i figli. Ne consegue, unmutamento radicale nella gestio-ne dei rapporti tra gli stessi geni-tori e tra genitori e figli. Una realtàconosciuta da tutti noi.Negli anni ’70, la domanda era:“Perché ti droghi”? Su questodrammatico interrogativo ho fir-mato più di una trentina di in-chieste sul campo. Le risposte pre-sagivano quello che ora stiamo vi-

vendo – la crisi della famiglia. I ge-nitori dei ragazzi intervistati risul-tano occupati a soddisfare le esi-genze create dalla modernità,dando poco tempo ai figli, la-sciandoli soli, particolarmente inquel delicato passaggio tra la fan-ciullezza e l’adolescenza. Per cui,nel tentativo di riparare, sbaglian-do, risolvono tutti i loro problemi,risparmiando al figlio ogni diffi-coltà senza prestare attenzione al-le loro domande esistenziali, nondedicando la giusta vicinanza e lacomprensione verso i naturalimutamenti di umore e di com-portamento dovuti all’esploderedella pubertà.Di conseguenza, questi ragazzicon in tasca quattro soldi, trovanofuori dalla famiglia, risposte sba-gliate alle loro ansie accrescendo illoro disagio. Un disagio che si ag-grava con l’insicurezza, dovuti al-l’incertezza nel futuro che essi re-spirano ogni giorno. L’equilibriodell’istinto, della volontà, il sensomorale, l’etica della vita, l’educa-zione alla socialità e alla conviven-za nascono tra le mura di casa conl’esempio dei genitori. Se in que-sto luogo non si costruisce l’equi-librio della volontà dell’uomo didomani, questi sarà in balia di ciòche trova fuori casa: se debole ce-derà alle mode distruttrici del fisi-co e della psiche e se la sua aggres-sività infantile non sarà stata cor-retta, diventerà un violento. Lopsicoterapeuta Roberto Framba,in una analisi sul bullismo, affer-ma che «i bulli di oggi, da piccoli, a2 anni, epoca del no, sono stati la-sciati in balia della loro aggressivi-tà, senza contenimento né perl’impulso né per l’ansia che gene-

ra». Da grandi, se ne deduce che laloro esistenza sarà spesso caratte-rizzata da impulsività e da un ca-ratteristico bisogno di dominare esottomettere gli altri con un atteg-giamento positivo verso la violen-za, spesso inclini a istintive reazio-ni, contagiando e incoraggiando il“branco”. Inoltre, di fronte a spet-tacoli di violenza e privi di filtriinibitori, cadono vittime dell’e-mulazione.L’analisi sin qui espressa si riferi-sce all’ambito di una famiglia nor-male, cioè che vive una stabile re-lazione. Le ricadute negative sul-l’educazione dei figli, si aggravanonelle situazioni di famiglia “insta-bile”. In quelle famiglie che sicompongono e si scompongono,dove non c’è una continuità edu-cativa con la vicinanza costante dientrambi i genitori biologici, visono molte probabilità che nei fi-gli si generi l’embrione della de-bolezza e dell’insicurezza. Se nondominato e curato in tempo, puòsvilupparsi in più direzioni: o nelbullismo prima e nella violenzapoi, o nel ricorso alla droga. In de-finitiva il fenomeno della violenzagiovanile non è un’espressioneesclusivamente veronese. La vio-lenza nasce tra i giovani (pochissi-mi per fortuna) come nel resto delPaese, perché le cause sono comu-ni. Quando la famiglia viene me-no, è la società a pagarne le conse-guenze e i giovani sono le primevittime.

«Lo psicoterapeutaRoberto Framba, in

un’analisi sulbullismo, afferma che

“i bulli di oggi, dapiccoli, a 2 anni, epoca

del no, sono statilasciati in balia della

loro aggressività, senzacontenimento né per

l’impulso né perl’ansia che genera”»

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I giornalisti

inVERONA 25

Il lungo filo nerodi un male oscuro

Qui sono sorti movimenti come il Veneto Fronte Skinheads da cui, come scheggeimpazzite, oggi nascono aggregazioni spontaneistiche senza più ideologia

di Giancarlo Beltrame

C’è un male oscuro a Verona? Inprincipio questo fu il quesito. Sen-za risposta. O con troppe risposte.Tutte poco piacevoli al sentire co-mune. Erano trascorsi pochi gior-ni dall’ennesimo fattaccio. Una ra-gazza spedita all’ospedale col nasorotto da un colpo in faccia con unpesante portacenere dopo un’ag-gressione del solito branco di “bu-thellas”, quel coacervo di frequen-tatori della Curva Sud e del Centrostorico – sentiti come il Territorio– che si alimenta dei facili miti deltifo per l’Hellas e di ideologie nazi-ste e fasciste mal digerite e comun-que vissute in chiave di razzismo esuperomismo. Due centimetri piùin là e saremmo stati a piangere,sette mesi appena dopo NicolaTommasoli, un altro morto. Un al-tro omicidio preterintenzionale,come sarebbe stato giuridicamen-te catalogato. Ma colpire un uomoo una donna in faccia con un og-getto pesante, ma prendere siste-maticamente a calci in testa constivaletti o scarpe dalle punte rin-forzate appositamente per i raid“purificatori” del fine settimanabattezzati “Boot Party” un uomo ouna donna che si è gettato a terraper renderlo inerme, si può defini-re un atto che va “al di là” delle in-tenzioni? L’intenzione di far malec’è. E se per far male, non una madue dieci venti volte adotto unmetodo pericoloso per l’incolumi-tà e la stessa sopravivenza altrui,devo mettere in conto che prima opoi ci scappi il morto. Solo suglischermi, piccoli o grandi che sia-no, chi le prende in un certo modopoi si rialza indenne o quasi.

C’è un male oscuro a Verona? Ag-gressioni, violenze, pestaggi suc-cedono anche altrove. Magari an-che peggio che in riva all’Adige.Ma qui c’è qualcosa che in altrecittà non c’è.Qui c’è una specie di primogeni-tura. Qui, in quegli stessi ambien-ti di “famiglie bene”, di “scuolecome si deve”, di “amicizie virili”,nacque Ludwig. Trent’anni fa. Inuna città attraversata dai fantasmidel terrorismo di sinistra e di de-stra, tra bombe per le peggioristragi che prima di insanguinareil Paese passavano o stazionavanonei covi di ultradestri dai strettis-simi legami con servizi segreti ita-liani e americani, tra rapimenti digenerali USA in nome del popolooppresso e attentati incendiaricontro proprietà simbolo o rapi-ne per autofinanziarsi, ci fu chidecise di mettere in pratica lapropria personale “pulizia” dellasocietà eliminando bersagli sim-bolo: nomadi, omosessuali, tossi-codipendenti, prostitute, fre-quentatori di luoghi di perdizio-ne. E lo fece usando emblemi,simboli e parole d’ordine del na-zionalsocialismo. Nel nome della“purezza della razza”.Qui c’è la continuità. Un lungo fi-lo nero che si snoda lungo gli an-ni e i decenni. Una matassa attor-cigliata, dove uno dei capi affon-da le proprie radici addiritturanel biennio di Verona capitale difatto della Repubblica Sociale diSalò, con tutte le trame oscure egli inghippi che accompagnaronola fine della guerra e il riciclaggio,spesso in Sud America, da partedegli Alleati di alcuni dei peggioriuomini ombra del regime scon-

fitto. Dove altri capi sono le testedi un’idra dall’unico corpo. Dovesorgono e prosperano movimentipolitici come Ordine Nuovo eFronte Nazionale, gli unici scioltiper decreto del ministro dell’In-terno per ricostituzione del Parti-to Fascista. Questa idra è il brododi cultura da cui sono nati movi-menti come il Veneto FronteSkinheads e da cui come scheggeimpazzite oggi nascono quelle ag-gregazioni spontaneistiche, senzapiù ideologia, nel senso di unaelaborazione di un pensiero poli-tico o di un progetto di società,che vivono e agiscono con unaviolenza mirata nei confronti dichi individuano come avversario,sia egli tifoso di una squadra riva-le, simpatizzante di un’area politi-ca opposta o semplicemente por-tatore manifesto di uno stile di vi-ta non gradito, tutto nel nome diuna “fede” e di un senso di appar-tenenza collettivo che va a colma-re vuoti individuali. Basta andaresemplicemente su Youtube percoglierne i segni. C’è un canale,TerroreNeroVerona, creato da unventenne, che si proclama appar-tenente al Veneto Fronte Skin-heads, il cui slogan è “Verona èFASCISTA!” e i cui “Hobby e inte-ressi” sono: “HELLAS VERONA!Massacrare di botte comunisti, si-nistroidi, islamici, ebrei, cinesi”.Una intolleranza violenta che hatrovato facile esca nelle paroled’ordine di una certa politica del-l’esclusione trionfante oggi in cit-tà. Le parole non sono mai neutre.E non bisogna quindi stupirsi ostracciarsi le vesti, invocando pe-ne severe quando certi episodisuccedono. Certi fatti sono conse-

guenza logica e diretta delle paro-le seminate, soprattutto tra i gio-vani, nel corso degli anni.Qui c’è cecità. Una voglia, così ra-dicata da sembrare non scalfibile,di non vedere e non capire. Un ri-flesso condizionato, che potrem-mo chiamare difesa della verone-sità. Essa consiste nel rigettare au-tomaticamente e aprioristica-mente qualsiasi critica, analisi,lettura differente che provengadall’esterno. Verona è come lamatrigna di Biancaneve che si ri-mira allo specchio per sentirsicontinuamente ripetere che è lapiù bella del reame. Che sia bellanon c’è dubbio, ma vuole esserela più bella. Sempre e comunque.E se lo specchio le risponde haqualche ruga e che altre possonoessere più belle, lo infrange. O locopre con un telo nero. Lo spec-chio deve rimandare solo l’im-magine che di sé essa ha in men-te. Altrimenti è “aggressione me-diatica”.C’è un male oscuro, allora, a Ve-rona? Assumendomene la re-sponsabilità, io dico sì. C’è unmale oscuro che ha colpito i gio-vani di questa città, non tutti perfortuna, ma tanti, troppi. Un ma-le che viene da lontano, un maleche ha trovato un ambiente idealeper svilupparsi, un male che ri-schia di peggiorare nel futuro. Unrazzismo ontologico, introiettato,non più supportato nemmeno daun pensiero ideologico, ma dipancia, viscerale. E quando al po-sto del cervello a muovere le azio-ni umane sono le viscere, l’uma-nità ha sempre conosciuto le suevicende peggiori. A Verona comealtrove.

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Violenza a Verona

Aprile 200926

«Da noi scatta semprel’autodifesa a oltranza.

Accadeva anche nel 1866quando gli Austriaci

furono cacciati daVerona e fu uccisaCarlotta Aschieri.Non vedo alcuna

speranza di incontrareuna città a misura

d’uomo. Verona è capacedi accettare qualunque

cosa: omicidi,pestaggi...». D’altraparte, come disse il

sindaco, la gran partedegli aggressori di

Tommasoli viene dallaprovincia. Magari è in

provincia che sonorazzisti. In città no

di Federica Sgaggio

«Non capisco perché per una litea Verona venga sollevata una que-stione (…) nazionale e se ne par-li per mesi, mentre se a Napoli lacamorra ammazza (...) una per-sona (…) i telegiornali ne parla-no per un giorno e poi nessunone parla più».Questo, proveniente da un lettoreche negli ultimi decenni dev’es-sersi volentieri spesso distratto, èuno dei commenti comparsisull’Arena.it dopo l’arresto degliotto accusati di aver picchiatoFrancesca Ambrosi.L’automatismo «a Verona succe-de una cosa brutta, la stampa neparla, ergo la stampa/il mondo/icattivi ce l’hanno con Verona»sembra funzionare da più di unsecolo. Apparentemente, sono al-meno 143 anni che la città fatica acapire il motivo per il quale esistachi accanitamente si ostina a darenotizia dei fatti (anche) violentiche accadono a Verona. Se non te-messi di contravvenire alla primalegge della veronesità – cioè l’un-derstatement, il «volare basso» –mi verrebbe quasi da pensare chela città patisca una specie di ma-nia di persecuzione. Ma siccometemo di contravvenire alla primalegge della veronesità, non lo di-co.Nel 1866, in ottobre, da Veronavennero cacciati gli austriaci. L’e-vento non fu indolore, e sul terzonumero del quotidiano L’Arena silegge: «La stampa italiana riboccadei fatti nostri. (…) Le apprezzia-zioni dei giornalisti (…) ci piov-vero addosso come una rampo-gna (…). Le prime notizie partite

da Verona annunciavano all’Eu-ropa che (…) i Veronesi trascese-ro oltre i confini del contegno de-cente, passarono a vie di fattocontro le i.r. Truppe Austriache, e(…) si abbandonarono agli ec-cessi del furor popolare. Se fossevero quanto fu scritto sugli avve-nimenti del 5 e 6 ottobre, noi sa-remmo i primi a chiederne venia.(…) Ma noi siamo ben lungi daldover chinare il capo; abbiamo in-vece (…) l’obbligo di non lasciareche la calunnia ci soffochi».Ma quali sono i fatti a cui cosìtortuosamente si riferisce il neo-nato giornale? Sono i torbidi incui fu uccisa quella CarlottaAschieri che, incinta, è ricordatanella lapide all’inizio di via Maz-zini, dove una volta c’era il caffèMotta.Alla città non piace affatto che sidica che c’è stata «ammuina»; emeno ancora piace che a storcereil naso sia stato – perbacco – ilpresidente del Consiglio baroneBettino Ricasoli, autore di un te-legramma con il quale – scriveràL’Arena dandone notizia con uncerto qual comodo, il 21 ottobre1866 – la città viene messa in sta-to d’assedio: «Siamo venuti nelconvincimento», scrive il giorna-le, «che la popolazione fu insulta-ta, provocata, costretta ad usciredai limiti della moderazione».«Moderazione» è una parola im-portante. Segniamocela. La col-pa, già dal 1866, è di qualcun al-tro. E il problema sta nelle «falseinformazioni fatte pervenire, for-se a disegno», al credulone Rica-soli su un «popolo» invece «perabitudine moderato e tranquil-lo».

dianamente sperimento. E cioèche non sono in grado di vederealcuno spiraglio da cui si possatransitare fino a incontrare unaVerona a misura d’uomo. Verona– e intendo dire le sue donne daicapelli tinti, i suoi uomini scar-pati all’inglese, i suoi ragazzi consuv e case al lago, l’orgoglio per ilproprio «cattivismo», le sue com-messe sempre in tiro (mai passas-se per di lì la troupe di un provinotv)… – ha accettato che un’al-leanza politica che metteva insie-me Lega nord, An, Forza nuova,Fiamma tricolore e chiesa anti-conciliare (spingendo Forza Ita-lia alla minorità matematica eculturale) venisse definita una«coalizione di moderati». Cosache evidentemente non potevaessere, e infatti non è stata, alme-no agli occhi di chi abbia un ri-cordo anche vago di cos’è stata laDc.Verona è capace di accettare qua-lunque cosa: omicidi, pestaggi, o– come mi è capitato di vedere inpresa diretta – pugni a un ragaz-zino di colore al grido di «la tepiase, eh, la figa bianca?». Purchénessuno – nemmeno il baroneRicasoli – si sogni di farla «ogget-to di biasimo pubblico» per es-sersi spinta oltre l’argine della“moderazione”. D’altra parte, co-me disse il sindaco, la gran partedegli aggressori di Tommasoliviene dalla provincia. Magari è inprovincia che sono razzisti. Incittà no. E poi – puff – ecco chequel che succede a Verona si allar-ga in Italia. Dove, in effetti, la col-pa è – circa – dei romeni.No. Iospiragli non ne vedo, né qui né al-trove.

Nessuno spiraglioNé qui, né altrove

L’automatismo «a Verona succede una cosa brutta, la stampa ne parla, ergo lastampa/il mondo ce l’hanno con Verona» sembra funzionare da più di un secolo

Per dirne un’altra: nel 1921 (annoin cui il 12 aprile L’Arena dà noti-zia del primo congresso provin-ciale fascista), il Padova calcioperde in casa dalla Bentegodi, il«proto-Hellas». I padovani me-nano pugni, e i veronesi rispon-dono sparando rivoltellate. Col-pa grave? No: erano «quasi tuttein aria». Uno potrebbe doman-darsi: «Va bene: e cosa c’entra con“l’analisi del perché della violen-za”e “le prospettive per una Vero-na a misura d’uomo”»? Ci arrivo.Trascurando il piano dell’analisidei perché, io sono solo in condi-zione di raccontare ciò che quoti-

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I giornalisti

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di Elena Zuppini

È una tentazione congenita, pro-babilmente comune a tutte le altrerealtà. Ma, si sa, i difetti si notanoquando si guardano da vicino.Ogni volta che Verona è teatro diepisodi di violenza, anche con ri-svolti terribili come il delittoTommasoli, la preoccupazionemaggiore per la città sembra di-ventare i probabili attacchi allasua immagine da parte dei medianazionali. Per carità, da PietroMaso in poi nulla ci è stato rispar-miato e più le autorità scaligerehanno alzato la voce più i solonidella carta stampata e della televi-sione ci hanno preso gusto,appro-fittandosene anche di una certa“permalosità provinciale”.Non c’è dubbio che Verona è mol-to di più della testa bacata di alcu-ni dei suoi figli. Ma condensaremolte energie nell’autodifesa, im-piegandone gran poche nella ri-cerca del perché – riprendendo leparole del procuratore Schinaia –,ci sono ragazzi che hanno fattodella violenza uno stile di vita,rende sterile qualsiasi indignazio-ne di fronte alla morte di un ra-gazzo a causa di una sigaretta ne-gata o all’occhio tumefatto di unaragazza picchiata con un posace-nere perché “diversa”.Credo che sia assurdo trovare del-le cause tipicamente veronesi vi-sto che i nostri giovani non hannonulla di diverso da quelli di altrecittà. Se Verona ha una sua colpa èche troppo spesso alcune manife-stazioni di violenza verbale e diesplicito razzismo che si levavanodalla Curva Sud del Bentegodi so-no state tacciate come l’opera di

quattro deficienti se non addirit-tura l’espressione folcloristica deltifo calcistico. Salvo poi “scoprire”che gli arrestati per l’omicidio diNicola,della rissa di piazza Vivianie di altri fatti di cronaca apparten-gono agli ultrà dell’Hellas e s’ispi-rano all’ideologia nazifascista (maforse la conoscono solo per slo-gan) a cui la Sud non è estranea.Allora che fare? Credo che tra letante chiacchiere la direzione giu-sta l’abbiano tracciata i genitori diNicola a pochi giorni dall’iniziodel processo contro i presunti au-tori dell’omicidio del loro figlio:«Oggi troppi giovani sono omolo-gati in una non cultura», hannoscritto in una lettera. Verrebbe daaggiungere: non solo loro e forsenon per colpa loro.Ma dove nasce questa non-cultu-ra? Credo che il nocciolo dellaquestione sia la famiglia. Mi dice-va un pedagogista: la mente ri-spettosa, che non conosce nemicoo avversario, non è innata nelbambino, ma si plasma e si inse-gna. Viene da chiedersi quantocerte chiusure mentali, certi pre-giudizi espressi in casa anche soloa parole, finiscano poi per diven-tare il terreno fertile dove il bran-co miete le sue aberrazioni. Tutta-via, quanto l’ambiente esterno in-coraggia queste chiusure? Peresempio, mi domando se coloroche ci governano non dovrebberomuovere i neuroni delle personepiuttosto che la pancia. Non ab-biamo bisogno di “ministri dellaPaura” (il personaggio inventatoda Antonio Albanese), ma di poli-tici e amministratori che dianoancora peso alla forza dirompentedelle parole – che assumono signi-

ficato diverso quando provengo-no dall’alto – e che cerchino ilconsenso non assecondando eamplificando le paure ancestralidella gente ma riportandole al fil-tro della razionalità e realizzandoil bene e il benessere comune, sen-za escludere nessuno. Un esamedel nostro operato lo dovremmofare poi anche noi dei mass media.Nessuno ci chiede di colorare dirosa o nascondere fatti di cronacanera, ma quanta obiettività c’è incerti titoli, quanto senso criticomettiamo nell’analizzare un feno-meno o nel riportare la sparata delpolitico di turno? Siamo convintiche la percezione di insicurezzadei cittadini non sia dovuta a una

Meno autodifesae più ricerca dei perché

Viene da chiedersi quanto certe chiusure mentali, certi pregiudizi espressi in casa diventino poi il terreno fertile dove il branco miete le sue aberrazioni

certa politica e alla cassa di riso-nanza che i media fanno di essa?Va da sé che una società che si sen-te minacciata ha bisogno di un ca-pro espiatorio, che non è mai coluiche è omologato al pensiero do-minante, e crede più alla forza del-le mani che a quella del dialogo edelle leggi.In tutto questo s’inserisce una cer-ta debolezza delle altre agenzie chedovrebbero fare cultura. La scuo-la, per esempio, che spesso tra-smette un sapere slegato dalla vita,come se fosse solo in funzione diun voto e non il filtro da cui i ra-gazzi imparano a guardare la real-tà, evitando così di vendere il cer-vello ai falsi profeti. Penso allaChiesa, che vorrei più in strada adavvicinare quei ragazzi che nonincontra in parrocchia e che untempo erano la priorità dei grandisanti educatori.E penso ancora al-le istituzioni: dovrebbero averepiù coraggio nel proporre iniziati-ve culturali (in senso stretto) chesi discostino dal pensiero unicocorrente senza partire con il pre-giudizio che intanto alla gente in-teressa il Grande Fratello. Chi l’a-vrebbe mai detto che il fine setti-mana di arte e scienza, Infin-ta…mente, potesse attirare cosìtanti veronesi, e giovani: eppurenon si parlava di calcio, ma di in-telligenza artificiale. La città tuttadovrebbe avere più coraggio nelconfrontarsi sui grandi temi e sul-le questioni che la riguardano davicino. Di convegni se ne fannomolti, ma spesso si ha l’impressio-ne che si riducano a un parlarsiaddosso tra chi coltiva lo stessoorticello. E anche questo è non-cultura.

«Penso alla Chiesa,che vorrei più in strada

ad avvicinare queiragazzi che non incontra

in parrocchia e che untempo erano la priorità

dei grandi santieducatori. E penso

ancora alle istituzioni:dovrebbero avere piùcoraggio nel proporreiniziative culturali (in

senso stretto) che sidiscostino dal pensierounico corrente senza

partire con il pregiudizioche intanto alla gente

interessa il GrandeFratello»

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Violenza a Verona

Aprile 200928

di Silvia Beltrami

Calci e pugni per una sigaretta ne-gata da un giovane che portava ilcodino. Calci, pugni e cinghiateper espressioni di disaccordo a slo-gan inneggianti il fascismo. La “le-zione”, i sentimenti di condannadopo la tragedia di Corticella Leo-ni, l’epiteto di Verona città violen-ta che ci hanno appioppato i massmedia di tutta Italia, non sono ba-stati. Esattamente 9 mesi dopo,come una gestazione, la violenza,gratuita, cercata, pretestuosa, hapartorito ancora. Ha partoritoun’altra aggressione. In pieno cen-tro. Un centro blindato. Ma la por-ta non ha retto, ancora una volta.Sono pericolosi quando si muovo-no in gruppo, soprattutto la notte,quando la blindatura è meno pres-sante. Quando, nel nome di un“credo”, si arrogano il diritto di fa-re i gradassi, di sentirsi padronidella città. E di prendersela conchi, a prima vita, non è come loro.Tra rossi e neri a Verona c’è semprestata tensione, per o meno tra lefrange estremiste della destra edella sinistra. Una tensione bidire-zionale. Benzina o bombe molo-tov contro le serrande del negoziodi una “Testa rasata” o le sedi deimovimenti della destra estrema,botte e calci alle persone che, per illoro modo di vestire o di compor-tarsi, sembrano di sinistra. A in-tervalli più o meno regolari, la Di-gos ha le sue indagini da fare, chenon sempre hanno portato, in ve-rità, all’individuazione dei re-sponsabili.Verona è cambiata negli ultimi an-ni. É diventata una città meno tol-lerante, perché il mendicante, il

senza tetto, l’immigrato, il diversoin genere, in nome di un ordine dariportare, viene additato, colpevo-lizzato, etichettato, sanzionato, eli-minato. È vero, i vu cumprà sonospariti dal centro. Oggettivamentedavano fastidio. Ma non erano ilproblema di Verona. É vero, le excartiere sono state abbattute. Maora lo spaccio avviene sempre dipiù alla luce del sole, in strada. Laverità è che, nel bene e nel male, idiversi, chi non agisce nella legali-tà, ci sono. Sempre. Da che mondoè mondo. E a poco allora servonole ordinanze per il decoro.Se in una città prevale la mentalitàper cui bisogna diffidare del “di-verso”, è evidente che chi la pensacosì si sente legittimato ad agire innome di quella battaglia per il de-coro. Anche per questo NicolaTommasoli è stato ucciso: Nicolaaveva il codino, il codino simbo-leggia idee di sinistra. Ecco perchéc’è stata l’aggressione fuori dal barPosta 9 mesi dopo. Perché la com-pagnia che dentro stava festeg-giando un compleanno ha dimo-strato di non gradire gli slogan in-neggianti il nazismo, i buuh con-tro i neri. Non fossero stati ingruppo, forse finiva tutto lì. Maerano in “branco” e quando sonoin branco si sentono forti, invinci-bili. E scappano quando si rendo-no conto che la loro vittima è iner-me a terra o quando vedono la ca-mionetta con i militari. Nei due“branchi” identificati dalla Digosci sono amici e amici degli amici.Giovani, anche di buona famiglia.Giovani già noti alle forze dell’or-dine; molti sono “daspati”, hannocioè l’inibizione di entrare allo sta-dio.Perché anche qui si trasforma-

no, mentre magari in famiglia so-no figli modello.«Ma dove sono le famiglie?», sichiede il procuratore di VeronaMario Giulio Schinaia. Famiglieche, evidentemente, non interven-gono abbastanza. Quando un ge-nitore sa che il proprio figlio nonpuò più entrare allo stadio, nondeve aver bisogno di aspettare lacondanna di un giudice per sapereche suo figlio fuori casa è violento,eppure succede, sempre più spes-so. Fino a sentirsi suonare il cam-panello all’alba e vederselo portarevia in manette.La famiglia dunquemanca in casi come questi.È la pri-ma responsabile di tragedie comequeste. Anni fa se un figlio era vi-vace lo si metteva in collegio. Orano, non succede più. Si tende a co-prirlo, a farlo credere vittima di uncerto sistema.Cosa fare? È innegabile che il lassi-smo, da quello familiare a quelloscolastico a quello giudiziario, haindebolito il sistema di autodifesadella nostra società. Un società do-ve l’apparire è più importante del-l’essere,dove la forma accredita piùdella sostanza. Vanno richiamatee ribadite certe regole, più severe,per cercare di rimettere in carreg-giata chi ha sbandato una primavolta per evitare che sbatta controun platano, di rimettere in carreg-giata i giovani, certi giovani d’oggi,che saranno gli uomini di domani.Invece così passano in secondo pia-no realtà, presenze, figure che esi-stono ma che non godono dei cla-mori e della ribalta della cronaca.Anche a Verona sono tante, bastasfogliare l’elenco telefonico o en-trare in google, in sostanza bastavolerle vedere.

Ma dove sono le famiglie?Servono regole più severe

Il lassismo, quello familiare, quello scolastico e quello giudiziario ha indebolitola società. Se un figlio sbaglia i genitori cercano di passarlo per vittima

«È vero, i vu cumpràsono spariti dal centro.

Oggettivamentedavano fastidio. Ma

non erano il problemadi Verona. É vero, le ex

cartiere sono stateabbattute. Ma ora lo

spaccio avvienesempre di più alla luce

del sole, in strada».La verità è che, nel

bene e nel male, idiversi ci sono sempre.

Da che mondo èmondo. E a poco allora

servono le ordinanze per il decoro»

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I giornalisti

inVERONA 29

«I ragazzi, (“tutti”i ragazzi, anche quelli

che non possonoandare in piscina, a

tennis o a sciare)hanno a disposizione

dei centri sportivi nona pagamento? Ci sono

luoghi che non siano lediscoteche dove stare

insieme facendoqualcosa di divertente

e costruttivo, senzadover sborsare soldi

che non tutti hanno adisposizione? Crescono

giustamente leopportunità ricreative

per la terza età: quantene esistono per i

giovani?»

La causa di tanta brutalità è banale e si chiama noia

Spesso i giovani protagonisti di episodi violenti, se non addirittura efferati,sono ragazzi che mostrano difficoltà nel riconoscere emozioni e sentimenti

di Anna Ortolani

La violenza è una prerogativaumana: nel mondo animale esistel’aggressività ma non la violenzagratuita. In nome di dottrine reli-giose, principi etici, concezionidel mondo diverse, pregiudizi in-giustificati, gli uomini lottano e siaggrediscono fra loro, spesso conferocia, diversamente dalle specieanimali che, se si sbranano, lo fan-no per soddisfare i loro bisognialimentari, difendere il loro terri-torio o la loro vita.Le cause di questa “peculiarità”umana non sono note, certo è chea determinare il gesto violentoconcorrono fattori biologici, psi-cologici e sociali. Statisticamente,ad esempio, la componente di ag-gressività che può sfociare in vio-lenza è più frequente nei maschiche nelle femmine. Le bambinesarebbero meno aggressive perchépiù inclini alla comunicazione e allinguaggio, all’empatia e alla co-municazione. Invece i maschi sa-rebbero emotivamente più distac-cati, mostrando sovente difficoltàad immedesimarsi nella sofferen-za altrui. Effettivamente spesso igiovani protagonisti di episodiviolenti, se non addirittura effera-ti, sono ragazzi che mostrano dif-ficoltà nel riconoscere emozioni esentimenti, quelli che consentonodi entrare in sintonia con gli statimentali degli altri. Questo scolla-mento aumenta la difficoltà a di-stinguere finzione e realtà, e que-sto spiega perché, ad esempio, unodei responsabili dei lanci di sassidal cavalcavia si giustificasse affer-mando che non era sua intenzionefar del male a persone in carne ed

ossa, ma “solo” colpire le auto, unpo’ come si fa in un video gioco.Confondere reale e virtuale è peri-coloso perché viene meno la val-vola di sicurezza, sostenuta da fat-tori educativi, che permette disublimare l’aggressività nella fin-zione. Lo stesso meccanismo fun-ziona anche nello sport, dove lacompetizione traduce agonistica-mente l’istinto di sopraffazionenei confronti dell’antagonista.Ma al di là di tante spiegazioni so-ciologiche e psicologiche, un so-spetto si affaccia alla mente difronte all’insensatezza di fatti cheaccadono anche nella nostra città.Viene il dubbio che la ragione diun pestaggio mortale, delle fiam-me appiccate ad un poveraccio,dei sassi buttati dai cavalcavia, siatanto banale quanto atroce: lanoia.I ragazzi, (“tutti” i ragazzi, anchequelli che non possono andare inpiscina, a tennis o a sciare) hannoa disposizione dei centri sportivinon a pagamento? Ci sono luoghiche non siano le discoteche dovestare insieme facendo qualcosa didivertente e costruttivo, senza do-ver sborsare soldi che non tuttihanno a disposizione? Cresconogiustamente le opportunità ri-creative per la terza età: quante neesistono per i giovani? Se la noia è insopportabile, persentirsi vivi si ricorre anche allaviolenza, che cerca un bersagliofrugando nell’intolleranza, un vi-rus ricorrente nella storia. Succe-de che una razza si ritiene irragio-nevolmente superiore ad un’altra,e si genera il razzismo. Oppure c’èuna discriminazione di genere,com’è ancora oggi in molti Paesi

dove si ritiene che l’uomo sia su-periore alla donna.Esistono pregiudizi economici, dicasta, di classe sociale, di corpora-zione, e nelle sue forme estreme,l’intolleranza si intreccia al fanati-smo.Qual è l’antidoto? La tolleranza,naturalmente, quella che Voltaire,nel suo Dizionario filosofico(1763) definisce “appannaggiodell’umanità”. Non è però la dire-zione in cui sta andando la nostrasocietà, sempre più impaurita,sempre più incline a cercare fuorida sé le cause del suo malessere,che è invece profondamente inter-no. I ragazzi lo rispecchiano, resti-tuendoci l’immagine di un mon-do che non ci piace ma che noistessi abbiamo forgiato.

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Violenza a Verona

Aprile 200930

«Sebastiano posadavanti al cartelloKrematorium del

campo diconcentramento di

Auschwitz. È con unodel solito gruppetto di

amici (tutti maschi, diragazze non se ne

vedono mai) che siritrova anche in altri

scatti: di fronteall’obiettivo ridono,

hanno un’espressionebeota e gaia, tengono ilpollice alzato in segno

di vittoria»

di Alessio Corazza

Sebastiano sa dove colpire per farmale. Sa dove colpire per romperele ossa. Sa dove colpire per uccide-re. Me ne sono reso conto quasi percaso,a una riunione di famiglia.Luisi fa vedere poco, passa a salutare epoi se ne va,nessuno sa dove.Quel-la volta il discorso è caduto su unarissa allo stadio accaduta qualchegiorno prima. Avevano arrestatoun suo amico che, a sentir lui, nonc’entrava nulla. «Quello non è unoche va in curva – aveva detto – era laprima volta che andava al Bentego-di». C’era scappata di mezzo unacoltellata e al processo ci sarebberoandati giù duri. A sentire Sebastia-no, chi aveva usato con tale disin-voltura la lama era stato un inge-nuo. «Basta sapere dove colpire –spiegava con disarmante sicurezza– e una mano può essere mortale.Ma anche con un colpo secco qua –e indicava un punto preciso sotto ilcostato – si può facilmente rompe-re una costola e poi sparire,nel nul-la». L’uditorio familiare ascoltavaperplesso, ma anche ammirato.Mamme, nonne e zie fingevano dirabbrividire a quel dispiego di vio-lenza, ma gli uomini sembravanopiù accondiscendenti: uno zio op-poneva qualche domanda tecnica,un altro ricordava un aneddoto chelo aveva visto protagonista.Di Sebastiano so poco, nonostantela nostra anagrafe comune. Se nonfossimo parenti, io e lui nonavremmo mai avuto occasione diincrociarci se non a qualche mani-festazione. Cosa che è capitata. Lui,confuso nel corteo, a cantare cori esventolare sciarpe. Io ai margini,con un taccuino in mano. Quel che

so di lui lo devo in buona parte aduna bacheca di sughero appesanella taverna dove ci ritroviamodue volte l’anno, per il Natale e laPasqua, di cui lui dispone come unlocale personale il resto dell’anno.Appese alla rinfusa ci sono una se-rie di fotografie che lo ritraggonoin varie situazioni, accanto ad ade-sivi con slogan di Forza Nuova (“Lesole bombe sono le nostre idee”),spille del Verona e biglietti dellostadio. Me n’è rimasta impressanella mente una in particolare. Se-bastiano posa davanti al cartelloKrematorium del campo di con-centramento di Auschwitz. È conuno del solito gruppetto di amici(tutti maschi, di ragazze non se nevedono mai) che si ritrova anche inaltri scatti: di fronte all’obiettivo ri-dono, hanno un’espressione beotae gaia, tengono il pollice alzato insegno di vittoria.Quando quella bacheca è compar-sa in taverna,ho provato disgusto eho deciso di non metterci più pie-de finché non fosse stata tolta. Mapoi sono stato convinto a noncreare il caso: e così, Natale dopoNatale, Pasqua dopo Pasqua, me laritrovo davanti. Non è l’unica vi-sione inquietante con cui mi devoconfrontare: su una mensola, ac-canto a bottiglie di Valpolicella eAmarone, c’è n’è una che ha sull’e-tichetta l’inconfondibile effige diAdolf Hitler. Furherwein, si chia-ma: non so se contenga un vinobuono, ma è chiaro che non è fattaper essere bevuta. È un elementodecorativo. Su un mobiletto c’èuno stereo con accanto una pila dicd. Non riconosco nessuno dei ti-toli, ad eccezione de “La direzionedel vento” di Massimo Morsello,

l’ex terrorista dei Nar e cantoredella destra più radicale.Sebastiano è cinque anni più gio-vane di me. Quando eravamo pic-coli, toccava a lui stare in porta aparare i miei tiri. Poi lui è diventatoun discreto portiere nella squadradi calcio del suo paese e, in fondo,ho sempre pensato fosse meritomio se aveva sviluppato quella do-te. Come sia diventato ammiratoredi Hitler, però, proprio non sapreidire. La nostra famiglia non è diquelle che si interessano di politica,se non per prendersela col gover-nante di turno. I nostri nonni nonerano né fascisti né partigiani, manascosero per mesi un pilota ingle-se che si era schiantato sulle nostrecolline durante la guerra. Lo aves-sero trovato i tedeschi, lo avrebbe-ro fatto prigioniero e i miei nonnisarebbero stati fucilati. Io e Seba-stiano non saremmo mai nati.Da quando è diventato a tutti gli ef-fetti un adulto, io e lui non abbia-mo mai avuto un granché da dirci.So che lui aveva pesantemente cri-ticato una mia vecchia fidanzata.Aveva la pelle bianca come il latte,era perfino cattolica: ma era ameri-cana. Poi una volta mi ha manda-to un sms sul telefonino: non eraun saluto, o una cortesia, ma unacritica ad un mio articolo troppotenero – a suo avviso – con gli im-migrati.Sebastiano è un oggetto misteriosoanche per le persone che gli sonovicine. In famiglia nessuno osachiedergli nulla: hanno paura dilui.Gli oscuri tatuaggi che spunta-no minacciosi sul suo corpo sonoun invito a non porre troppe do-mande. Io stesso non saprei cosachiedergli.

Sebastiano sa dove colpire per far male

In famiglia nessuno gli chiede nulla: hanno paura di lui. Gli oscuri tatuaggi chespuntano minacciosi sul suo corpo sono un invito a non porre troppe domande

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I giornalisti

di Andrea Sambugaro

Il torto? Segnare un gol con la ma-glia sbagliata e la pelle olivastra:Juio Cesar Uribe, il «diamante ne-ro», centrocampista peruvianodel Cagliari, non lo sapeva maquel 21 novembre del 1982 fu ilprimo destinatario degli uh-uh alBentegodi. Poche domeniche pri-ma, il 17 ottobre, a Verona era ar-rivato l’Avellino di GeronimoBarbadillo, anche lui di Lima:niente cori, ma una banana gon-fiabile con il marchio Chiquita,come quelle esposte nelle rivendi-te di frutta e verdura, gettata dallacurva mentre andava a battere uncalcio d’angolo.

L’ESEMPIO DEL CHIEVO

Accadesse oggi, i cancelli dello sta-dio rimarrebbero a lungo chiusi.Quando gioca l’Hellas, ovvio, noncon i tifosi del Chievo. Loro hannoriempito la bacheca della società dipremi Fair play, il riconoscimentodestinato al club con il pubblicopiù corretto. L’unica macchia, infondo, rimane uno striscione conla scritta «Napole-cani».Nel 1982 il razzismo era tollerato,circoscritto, se non ignorato. Cosìil 28 aprile del 1996, in un derbycon il Chievo, dalla curva sud, do-v’era seduta anche il sindaco Mi-chela Sironi, ignara di ciò che sta-va avvenendo, potè penzolare unmanichino nero con la magliagialloblù accompagnato dall’ap-parizione di due tifosi incapuc-ciati come mebri del Ku KluxKlan e dello striscione «El nero ive l’ha regalà, dasighe lo stadio danetar» riferiti a un giocatore dicolore, Michael Ferrier, origina-rio delle Antille olandesi, che l’-Hellas avrebbe ingaggiato. Unmanichino che ha varcato i confi-ni: è riapparso lo scorso anno aBarcellona in una mostra intito-lata «Passione nel pallone» ri-aprendo la ferita di Verona. Così il20 febbraio del 2000 gli uh-uh ri-volti a Lilian Thuram e SaliouLassissi, francese e ivoriano delParma, poterono essere assordan-ti, così quando il 30 aprile dellostesso anno la Juve dell’olandeseEdgar Davids venne a perdereuno scudetto al Bentegodi la cur-va potè urlare «Schiavi dei neri,voi siete schiavi dei neri».

Basta e avanza, anche se la catenadi esempi potrebbe essere moltopiù lunga nonostante da qualcheanno i signori del pallone abbia-no deciso che non era più tollera-bile lasciare che gli stadi fosserozona franca, dove tutto è ammes-so (tant’è che, da quando sonoentrate in vigore le sanzioni per ladiscriminazione razziale, l’Hellasha pagato dazio ed è stato costret-to più di una volta a giocare senzapubblico: fuori tutti, tifosi buonie cattivi).Tanto lo si sa, lo si è sempre dettoe lo si è sempre scritto: Verona èrazzista. Se in curva appare lo stri-scione «Lavatevi» quando al Ben-tegodi gioca il Napoli, il sindacoLele Sboarina è chiamato al tg adare una spiegazione. Ma se la ri-sposta al San Paolo è un «Giuliet-ta è ‘na zoccola», la reazione è unarisata. Nessun sindaco di Napoline deve rispondere. Anzi, l’asser-zione diventa il titolo di un libro.O la chiusura di una telecronacada parte di un giornalista campa-no, in tribuna stampa, nell’ultimoVerona-Napoli. Cercare su youtube, in internet, per credere.

MA VERONA È RAZZISTA?

Il male si annida in curva, si ali-menta lì, tra i «butei», quelli che,quando nelle piazze d’Italia simanifestava per la pace con le

bandiere con l’arcobaleno, nesventolavano altre a righe giallo-blù con la scritta «Pache». Una diquelle bandiere, del resto, è stata alungo esposta all’ingresso di unodei negozi di riferimento dei «bu-tei», il Black Brain di corso Mila-no, il cui titolare, intervistato perun programma Rai, alla domanda«Chi era per lei Benito Mussoli-ni?» rispose: «Un grande statista».

LE CONTRADDIZIONI

Ma qualche contraddizione de-v’esserci, almeno per chi non si ac-contenta delle etichette e degli ste-reotipi che dicono tutto e niente.Se Verona è razzista, perché il pub-blico del Chievo non lo è? Da doveviene, da un altro pianeta? Se lacurva è razzista, perché quando ungiocatore di colore è a terra infor-tunato non gli urla «Morte, morte,morte» con il pollice verso, comefa sempre, ma «Vita, vita, vita» conil pollice rivolto verso l’alto e poi,quando il calciatore si rialza, ap-plaude? È accaduto poche dome-niche fa, in Verona-Reggiana.Se un gruppo della curva grida«Butei liberi», riferendosi ai giova-ni in carcere o agli arresti domici-liari per la morte di Nicola Tom-masoli e per la rissa in piazza dellePoste, perché altri fischiano?Il fatto è che la curva,per chi ne vo-lesse dare una definizione, defini-

zioni non ne ha. È una, nessuna ecinquemila. È un teatro dove nonsi assiste,ma si recita ogni volta cheil Verona gioca. Gli attori sono lo-ro, i «butei», che fanno il tifo per sestessi, che ci vanno giù pesante masanno anche, spesso, ironizzare.L’Hellas sprofonda? Cantano «Iocredo risorgerò» e si applaudono.E magari inscenano una proces-sione sollevando un tifoso semi-nudo in posizione da crocifisso,imitando il suono delle campanea morto. Il Verona in trasferta staperdendo 2-0? S’inventano il goldel pareggio, esultano, scandisco-no «Due-a-due, due-a-due» an-che se non è accaduto nulla. Tra lostupore del pubblico di casa, co-me ricorda Tim Parks in «Questapazza fede», il libro che raccontaun campionato con i tifosi, tra-sferte comprese.Nella squadra avversaria gioca undifensore che si chiama Negro? Èbianco, ma appena tocca palla glifanno uh-uh. Difficile stabiliredove finisca il razzismo e dove co-minci la goliardia.In ogni caso la curva nasce e muo-re la domenica, un’ora prima eun’ora dopo la partita e ognuno èlibero di partecipare ai suoi riticome crede. Unendosi ai cori o ri-manendo in silenzio, applauden-do o fischiando, con la propria re-sponsabilità e la propria coscien-za. Altrimenti non si spieghereb-be perché è frequentata da perso-ne che durante la settimana han-no un comportamento assoluta-mente normale a scuola, al lavoro,in famiglia. Altrimenti non sispiegherebbe perché c’è anche unsettore dove molti spettatori sonobambini.

IL MONDO FUORI LO STADIO

Forse la curva sud non è la culla ditutti i mali, ma lo specchio e lasintesi di una realtà esterna cheincontriamo, respiriamo, animia-mo tutti i giorni ma che tutti pos-siamo contribuire a modificare inmeglio o in peggio. Il servizio divigilanza del Bentegodi ha 28 te-lecamere che riprendono tuttociò che accade durante la partita,ma solo dieci sono puntate suglispalti, le altre sono tutte rivolteverso l’esterno. Solo un caso? Op-pure fuor di queste mura unmondo c’è?

inVERONA

DALLA CURVA SUD

Una, nessuna,cinquemila...«La curva, per chi ne volesse dare una

definizione, definizioni non ne ha.Forse non è la culla di tutti

i mali, ma lo specchio e la sintesi di unarealtà esterna che incontriamo,

respiriamo, animiamo tutti i giorni ma che tutti possiamo contribuire a modificare in meglio o in peggio»

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GLI ANNI DI PIOMBO (1969-1984)

196922 aprileUna carica di dinamite piazzatadavanti al Palazzo dell’Agricolturascardina il portone d’ingresso eprovoca il crollo di un soffitto.

6 dicembreL’auto del senatore Adelio Albarel-lo, prestata alla sezione veronesedel Psiup, viene incendiata.

12 dicembreStrage di piazza Fontana a Milano.

197014 marzoIl trentino Marco Pisetta si costi-tuisce a Verona a un maresciallo dipubblica sicurezza che dall’ufficiopolitico della Questura di Trentoera stato trasferito nella città scali-gera. Amico di Renato Curcio, nel1969 aveva partecipato agli atten-tati contro le sedi dell’Inps e delPalazzo della Regione a Trento. En-trerà nelle Brigate Rosse, di cui fu ilprimo pentito dopo un nuovo ar-resto nel 1972.

28 agostoIn una sala passeggeri della stazio-ne ferroviaria di Porta Nuova,ignoti depongono una valigia con-tenente un ordigno. Fortunata-mente è notata da un sottufficialedella Polfer e viene portata in unluogo isolato dove esploderà un’o-ra più tardi. Il 2 agosto 1980, nellastazione ferroviaria di Bologna,l’attentato sarà riproposto con lemedesime modalità provocando85 morti e 200 feriti.

19 novembreScontri in piazza tra polizia e stu-denti delle medie superiori in cen-tro. Numerosi feriti sia tra i poli-ziotti, sia tra gli studenti che prote-stavano contro la “repressione”.

7 dicembreTentato Golpe Borghese. Conun’azione coordinata sull’interoterritorio nazionale, gruppi di civi-li, appartenenti a formazioni di de-stra (Avanguardia nazionale, Mo-vimento sociale, Ordine nuovo),ad organizzazioni criminali(‘ndrangheta, mafia) e reparti mi-litari e di polizia iniziano un’ope-

razione che dovrebbe concludersicon il rovesciamento del governo.Le inchieste giudiziarie coinvolge-ranno alcuni veronesi, tra cui l’uf-ficiale dell’esercito Amos Spiazzi(successivamente prosciolto) el’ordinovista Elio Massagrande.Un testimone dirà che il concen-tramento dei partecipanti veronesial “Golpe Borghese” era nella sededell’Associazione mutilati e invali-di di guerra di piazza Mutilati.

DicembreIniziano nella questura di Veronale indagini sul movimento politicoOrdine nuovo diretto da ClementeGraziani, che porterà ai successiviprocessi e al suo scioglimento perdecreto nel dicembre 1973.

197124-25 marzoIn un’operazione della polizia so-no arrestati Pietro Rocchini, Clau-dio Bizzarri, Elio Massagrande,Roberto Besutti. Tutti membri diOrdine Nuovo.

197213 febbraioUn gruppo di neofascisti aggredi-sce e ferisce in via Mazzini il sena-tore del Psiup Adelio Albarello e ilsegretario provinciale del partitoGiorgio Gabanizza.

11 luglioDue attentati incendiari ai danni dialtrettante sezioni del Pci.

197330 gennaioLuigi Bellazzi, militante di estremadestra, aggredisce un militante disinistra e poi spara con una pistolalanciarazzi contro 2 agenti di poli-zia intervenuti per porre fine al-l’aggressione, ustionandoli.

10 aprileViene devastato il deposito dei libridella casa editrice di sinistra Berta-ni, che pubblica tra l’altro l’operateatrale di Dario Fo.

3 agostoAttentato incendiario alla sede del-la Dc.

4 agostoDue bottiglie incendiarie sono lan-ciate, durante la notte, contro il ci-mitero ebraico.

197413 gennaioIl colonnello dell’esercito AmosSpiazzi viene arrestato nell’ambitodell’inchiesta sulla Rosa dei Venti.

28 maggioStrage di piazza della Loggia Bre-scia. Le indagini degli anni ’90 co-involgeranno alcuni veronesi, lega-ti ai servizi segreti militari ameri-cani e all’estremismo di destra.

18 giugnoL’auto di un giornalista del Gazzet-tino viene distrutta in un attentatoincendiario.

15 dicembreMolotov contro il garage del presi-dente democristiano della RegioneVeneto, Angelo Tomelleri, accom-pagnato dal primo volantino delleBrigate Rosse.

21 dicembreViene arrestato Marcello Soffiati,di Ordine Nuovo, dopo una per-quisizione nella sua abitazione divia Stella, dove la polizia rinvienearmi, bombe a mano, detonatori,proiettili anticarro e 10 candelottidi esplosivo. Indagini giudiziarie dimolti anni dopo indicheranno inquella casa il covo dove transitò labomba usata per la strage di piazzadella Loggia a Brescia.

28 dicembreIl giudice di Venezia Felice Cassonsequestra al veronese Marcello Sof-fiati alcuni documenti che fannoemergere il ruolo avuto da servizisegreti americani nell’addestra-mento di neofascisti italiani.

1975Una bottiglia incendiaria vienelanciata contro la porta d’ingressodell’abitazione del direttore de“L’Arena”Gilberto Formenti.

21 febbraioLa polizia arresta 3 studenti di sini-stra che contestano un’assembleaal Maffei dei gruppi di destra.

19 maggioIncendiate due auto di militariamericani in piazza Simoni.Volan-tino delle B. R.

30 agostoAll’uscita di un cinema, elementi

Violenza a Verona

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Delitti e processi“politici”a VeronaDagli anni di

piombo a Ludwig,fino alla storia

recente

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di destra malmenano il sindacali-sta Nadir Welponer.

30 settembreViene ferita e catturata dopo unconflitto a fuoco con la polizia adAltopascio (Lucca) la brigatistarossa veronese Paola Besuschio.

197619 aprileLa sede del Pci di Legnago vienedevastata di notte da un gruppo dineofascisti.

17 maggioMolotov contro la sede dell’Asso-ciazione indutriali in piazza Citta-della per l’inizio del processo aCurcio a Torino.Volantino B. R.

5 giugnoA Borgo Roma 4 militanti di Avan-guardia operaia sono aggrediti dauna squadra di destra mentre af-figgevano manifesti di Dp (Demo-crazia proletaria); uno di essi ri-porta trauma cranico.

14 giugnoVengono arrestati a Verona MarcoFasoli, Michele Galati e Luigi Pedi-larco, e a Milano il veronese FrancoBrunelli, tutti ritenuti, con diversiruoli, componenti delle BrigateRosse. Fasoli e Pedialrco sarannoassolti, Galati e Brunelli condanna-ti a fine ottobre 1977. Fasoli diven-terà uno dei membri di spicco delleB. R., condannato all’ergatolo pergli omicidi Gori e Albanese.

4 novembreMolotov nelle cabine della Sip invia Leoncino. Volantino firmatoNuclei d’iniziativa armata per ilcomunismo.

197719 febbraioViene dato fuoco con liquido in-fiammabile all’ingresso del cinemaAstra, che sta proettando “La lunganotte di Entebbe”, definito in unvolantino di rivendicazione “filmfascista sul massacro israeliano”.

6 aprileAttentato incendiario a una coope-rativa di facchini. Rapina politicacon sequestro di persona in un’al-tra cooperativa di Golosine.Volan-tino firmato Iniziativa armata peril comunismo.

2 maggioAttentato incendiario alla sezioneDc di Borgo Trento in via Mameli92.

10 maggioUna bottiglia incendiaria vienelanciata contro la sinagoga

25 agostoPrimo omicidio di Ludwig, il no-made Guerrino Spinelli viene bru-ciato nella sua Fiat 126 a Verona.

1 novembreBottiglie incendiarie sono lanciatecontro 3 sezioni del Pci e una delPsi.

197822 gennaioIrruzione della Ronda proletariaall’istituto tecnico Marconi, Deva-stati gli uffici.

13 maggioAttentato incendiario distruggel’auto dell’ex segretario Dc AlbertoRossi nel garage di casa. Telefonatadi rivendicazione delle B. R. a “L’A-rena”.

26 agostoRaid incendiario contro cinquepullman che hanno portato spetta-tori in Arena. Un ferito. Telefonatadi rivendicazione dei Gruppi co-munisti a “L’Arena”.

24 ottobre I “Proletari armati per il comuni-smo” feriscono alle gambe l’agentedi custodia Arturo Nigro, dopoaverlo atteso sotto casa.

16 dicembre 2 giovani aggrediscono e disarma-no in un posto di polizia l’agenteAntonio Di Pasquale.

17 dicembreSecondo omicidio di Ludwig, a Pa-dova viene ucciso il cameriere Lu-ciano Stefanato, omosessuale, acolpi di bastone.

19791 gennaioUn commando di sei persone at-tacca l’ex posto di guardia del fortedi Azzano, sequestrando sei perso-ne, l’intera famiglia del maresciallodell’esercito Filippo Cantore. Cer-cavano armi.

6 gennaioRapina dei Pac alla posta di BorgoVenezia, in via Salgari.

17 gennaioI Gruppi armati comunisti riven-dicano l’imboscata con bombemolotov a un’autoradio dei cara-binieri attirata in un agguato invia Sauro con una finta telefonatadi segnalazione di un’auto rubata.

17 giugnoAttentato contra la sede del PciLuciano Manara rivendicato daiNar, Nuclei armati rivoluzionari,movimento clandestino di estre-ma destra.

19 giugno Si impicca nel carcere di VeronaLorenzo Bortoli, militante deiCollettivi politici veneti.

26 giugnoIncendio con bome moltov di ot-to motoscafi a Bardolino.

12 dicembreTerzo omicidio di Ludwig, a Vene-zia viene ucciso con una trentinadi coltellate il tossicodipendenteventiduenne Claudio Costa.

198011 aprileAttentato incendiario distrugge laporta dell’abitazione del capo-gruppo Dc in Consiglio comuna-le Giancarlo Passigato.Quarto omicidio di Ludwig, a Vi-cenza viene uccisa l’ex prostitutaAlice Maria Baretta a colpi diascia e di martello.

198110 gennaioUn raid squadristico compiuto daattivisti di destra distrugge la sededella casa editrice Bertani, specia-lizzata in pubblicazioni di sini-stra. Diversi i feriti. Si tratterebbedi una rappresaglia per preceden-ti aggressioni subite da militantidi destra durante attività di pro-paganda.

3 aprile Alcuni giovani di sinistra vengo-no aggrediti mentre attaccanomanifesti in città.

6 aprileViene arrestato per rissa il missi-

Violenza a Verona

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no Nicola Pasetto, futuro parla-mentare.

25 maggioQuinto omicidio di Ludwig. Vienedatta alle fiamme la Torretta diPorta San Giorgio, ricovero persbandati e senza casa. Nell’incen-dio muore il diciassettenne stu-dente Luca Martinotti, che si erafermato per dormire. La rivendica-zione viene fatta così:“LUDWIG. LA NOSTRA FEDE ÈNAZISMO, LA NOSTRA GIUSTI-ZIA È MORTE LA NOSTRA DE-MOCRAZIA È STERMINIO.RENDIAMO NOTO CHE AB-BIAMO PUNTUALMENTE RI-VENDICATO IL ROGO DI SANGIORGIO A VERONA CON ILMESSAGGIO INVIATO A ‘LAREPUBBLICA’. ALLEGHIAMOUN DISCHETTO METALLICOIDENTICO A QUELLO APPLI-CATO SULLA PIU’ GRANDEDELLE TRE TORCE USATE.GOTT MIT UNS”.

16 giugnoVengono ritrovati 170 volantinibrigatisti, alcuni contengono mi-nacce ad aziende locali.

13 novembreRapina dei Pc alla Cassa di rispar-mio di San Massimo.

27 novembreRapina dei Pac alla Cassa di rispar-mio di Negrar.

17 dicembre A Verona, un nucleo delle Br se-questra il generale James Lee Do-zier, vice comandante della Natoper il sud Europa. Dagli Usa par-tono immediatamente investiga-tori incaricati di affiancare quelliitaliani.

198223 gennaio La polizia arresta, nell’ambito del-l’inchiesta sul sequestro Dozier,Nazareno Mantovani.

28 gennaio Sempre nell’ambito delle indaginisul sequestro Dozier, è arrestatoArmando Lanza.Il generale Dozier viene liberato inun appartamento di Padova da uo-mini dei reparti speciali della poli-zia. Vengono arrestati Antonio Sa-

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vasta, Emilia Libera, EmanuelaFrascella, Cesare Di Lenardo e Gio-vanni Ciucci.

29 gennaioPer il sequestro Dozier vendonoarrestate altre 18 persone. Si sco-prono covi in tutto il Veneto, tracui uno a Verona.

1 febbraio A Verona, è arrestata Maria Gio-vanna Mussa, militante delle Br elatitante da 2 anni.

5 marzoPer insurrezione e guerra civilevengono arrestati tre giovani vero-nesi gravitanti nell’area di PrimaLinea e dei Pac, Proletari armatiper il comunismo.

25 marzo A Verona, è emessa la sentenza acarico degli imputati per il seque-stro Dozier. Al pentito Antonio Sa-vasta sono inflitti 16 anni e 6 mesidi reclusione; a Cesare Di Lenardo,27 anni; a Emilia Libera, 14 anni;stessa pena è inflitta a GiovanniCiucci.

20 luglioSesto e settimo omicidio di Lud-wig. Vengono uccisi a martellateGabriele Pigato e Giuseppe Lovato,entrambi frati settantenni del San-tuario della Madonna di MonteBerico a Vicenza.

198326 febbraioOttavo omicidio di Ludwig, vieneassassinato a Trento il sacerdotedon Armando Bison, che è trovatocon un punteruolo sormontato daun crocifisso conficcato in testa.

14 maggioAltri sei omicidi di Ludwig, vienedato fuoco al cinema a luci rosseEros di Milano, dove muoiono 6persone e 32 restano ferite.

19848 gennaioQuindicesimo e ultimo omicidiodi Ludwig, è appiccato un incendioalla discoteca Liverpool di Monacodi Baviera; nel rogo muore unapersona e altre sette restano ferite.

4 marzoWolfgang Abel e Marco Furlan

vengono arrestati per aver cercatodi incendiare la discoteca Melama-ra di Castiglione delle Stiviere inprovincia di Mantova, dove si tro-vavano quattrocento ragazzi, lamaggior parte dei quali mascheratiper la festa di carnevale. Sono i dueassassini di Ludwig.

10 dicembreSi conclude con 14 condanne e dueassoluzioni il processo a 16 ex ap-partenenti dell’ultrasinistra gravi-tanti nell’area dell’Autonomia edei Pac, Proletari armati per il co-munismo. Le accuse comprende-vano tre rapine, l’incendio di alcu-ni motoscafi a Bardolino e alcunecorriere in piazza Cittadella tra il1978 e il 1981. Fra i condannati Ce-sare Battisti e i veronesi AlessandroBerzacola, Giovanni Gaeta, MariaCecilia Barbetta, Paolo Sommaru-ga, Arrigo Cavallina, Giuseppe Lo-russo, Francesca Cavattoni, Ga-briele Gabrieli, Maria CristinaOliosi.

DIECI ANNI DI (RELATIVA)TREGUA (1985-1995)

19852 dicembre A Sandrà, è arrestato Omar SadatSalem Fathat, giordano,“capitano”dell’Olp, in possesso di un arsenaledi armi e di esplosivi.

11 dicembre Omar Sadat Salem Fathat è con-dannato a 14 anni di carcere.

19871 febbraioCon l’accusa di associazione a de-linquere vengono arrestati 12 tifosidelle Brigate gialloblù. Nelle abi-tazioni vengono sequestrate an-che delle bandiere naziste concroci uncinate. Tra i 14 imputati ifuturi leader locali dell’ultradestraAlberto Lomastro e AlessandroCastorina. Il successivo processovedrà tutti condannati in primogrado nel gennaio 1991. Condan-na confermata in appello nel1998, quando era ormai condona-ta o prescritta.

19909 dicembreUn barbone di 73 anni, Olimpio

Vianello detto «Crea», colpito allanuca con un corpo contundente,viene trovato in fin di vita nel cor-tile dell’ex tribunale, dove era soli-to dormire. Muore in ospedale. So-lo nel settembre 1999 si scopre chel’omicidio era maturato nell’ambi-to di una tragica bravata di alcuniragazzi di buona famiglia. Vieneprocessato e condannato dieci an-ni e mezzo di carcere Nicola Mura-ri, un veronese, di 27 anni che nelfrattempo si era fatto la sua bravavita. «Eravamo usciti per bere abuso e dopo andare a caccia di nerie barboni», disse, «è stato un inci-dente».

199125 luglioA Villafranca sono scagliate bombemolotov contro il campo nomadi.

GLI ANNI DEL CONTROLLODEL TERRITORIO (1994-2009)

1994 4 ottobre Sette skinheads vengono arrestatidalla Digos su ordine del procura-tore Guido Papalia. Arriva così aduna svolta l’indagine avviata neiprimi giorni del 1993 sul VenetoFronte Skinheads che a Verona haun nutrito numero di giovani sim-patizzanti che si aggregano attra-verso iniziative come concerti e ra-duni. Nel corso dei mesi, l’inchie-sta si arricchisce di prove per soste-nere che l’associazione, regolar-mente fondata a Roma da PieroPuschiavo, opera in violazione del-la legge Mancino e incita all’odio ealla discriminazione razziale.

1995 21 gennaioCon l’accusa di ricostituzione deldisciolto partito fascista il Gip deltribunale di Verona Carmine Pa-gliuca rinvia a giudizio l’ editorepadovano Franco Freda, 54 anni, ealtre 49 persone delle 75 coinvolte,nell’ estate del 1993 , nell’inchiestapromossa dalla Procura della Re-pubblica di Verona sul “Fronte na-zionale”. Il 25 ottobre la Corted’Assise emette 45 condanne, traquella di 6 anni a Freda. Il 21 no-vembre 2000, il governo, con de-creto del ministro dell’Interno im-mediatamente esecutivo, scioglie il‘Fronte nazionale’, a seguito della

Cronistoria

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sentenza definitiva della Cassazio-ne del 1999 che ha condannatoFreda per violazione della leggeMancino e ha definito il suo movi-mento “un’organizzazione aventetra gli scopi l’incitamento all’odiorazziale”.

28 agostoNei pressi dello stadio a uno sharp,una testa rasata antirazzista, vieneimposto da alcuni skinheads delVeneto Fronte Skinheads di nonentrare ad assistere alle partite delVerona

199615 ottobre A Verona, quattro giovani ski-neads, Fabio Bazzerla, FrancescoGuglielmo Mancini, Andrea Mi-glioranzi (oggi capogruppo dellaLista Tosi in Consiglio comunale) eAlessandro Castorina sono tratti inarresto su ordine del gip SandroSperandio per violenza e istigazio-ne all’odio razziale; sarebbero statiprotagonisti delle due aggressioni,del 28 agosto 1995 e del 13 luglio1996 in un bar. Il loro processo fi-nirà nel giugno 2002 con la confer-ma della condanna, con l’aggra-vante della legge Mancino, da partedella Cassazione. In quella occasio-ne il Pm Antonino Condorelli lan-ciò per primo l’allarme sull’ideadistorta di “controllo del territo-rio”che li animava.28 ottobreUn manichino nero viene fattopenzolare come se fosse impiccatodalla Curva Sud dell’Hellas primadel derby con il Chievo. Per la ver-gognosa messinscena di intolle-ranza razziale finiscono sotto pro-cesso Yari Chiavenato e AlbertoLomastro, che saranno assolti do-po anni, perché nessuno dirà da-vanti ai magistrati di aver vistoqualcosa. “Un clima di omertà”,sottolinearono i giudici di primogrado Isabella Cesari, Marco Zena-telli ed Enrico Sandrini, “con igruppi di tifosi ultras che godonodi privilegi assolutamente ingiusti-ficati e che hanno sicuramente fa-cilitato la commissione del reato”.

199823 aprileInizia il processo al Veneto FronteSkinheads. Ma dopo numeroseudienze il presidente del collegio,Guglielmo Ascione, lascia la magi-

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stratura. Il processo deve ricomin-ciare daccapo.

199917 aprileAttentati dinamitardi e incendiaricontro una sezione e la sede del co-mitato cittadino dei Ds. Sarannorivendicati dalla sigla Nuclei terri-toriali antimperialisti.

13 luglio Il procuratore capo Guido Papaliaordina una serie di perquisizioni aRoma, Milano e Torino nelle abita-zioni di ex appartenenti alle Bri-gate rosse o sospetti tali, nell’am-bito di un’inchiesta collegata al-l’omicidio D’Antona.

2000MaggioMassimiliano Stancanelli, consi-gliere di Circoscrizione di An eultrà (già implicato in incidentiallo stadio) e altri quattro giovanidi destra tifosi dell’Hellas vannosotto processo dopo una rissa invia Nizza. Saranno assolti.

28 giugnoRiprende il processo al VenetoFronte Skinheads con il giudiceDario Bertezzolo a presiedere ilnuovo collegio, che conserva granparte del lavoro svolto dal prede-cessore Guglielmo Ascione.

15 settembre Un incendio doloso distrugge lavecchia stazione delle corriere dipiazza Isolo, divenuta il rifugio dimolti senza casa e nella quale l’e-ditore Bertani teneva il suo ma-gazzino. Nell’incendio muore unimmigrato polacco, Cesar Kara-bowski, e altri due sono in gravicondizioni. L’edificio stava per es-sere sgomberato in vista della co-struzione del parcheggio. Neigiorni successivi vengono fermatitre algerini.

19 settembreLuis Marsiglia, professore al liceoScipione Maffei, insegnante di re-ligione di origine ebraica e che,per questa ragione, avrebbe giàsubito in precedenza insulti e mi-nacce, dichiara di essere stato ag-gredito da ignoti. Risulterà che siera inventato tutto e sarà condan-nato a 8 mesi per simulazione direato.

200113 febbraioUltima udienza del processo al Ve-neto Fronte Skinheads. Il pubblicoministero Antonino Condorellichiede condanne per promotori eaderenti e alcune assoluzioni perimputati contro i quali non sonoemerse prove. Chiede anche le pe-ne accessorie, come l’obbligo pergli skinheads di andare a lavoraregratis nelle strutture sociali che as-sistono gli emarginati. Il tribunale,invece di emettere la sentenza, ac-coglie le richieste della difesa e or-dina la trasmissione degli atti allaProcura di Vicenza. Due anni emezzo dopo saranno tutti assolti.

5 maggioGiovani militanti di Forza Nuovaassaltano a Porta Leona il banchet-to di Rifondazione e del CircoloPink durante la campagna eletto-rale. A processo finiscono in sei:cinque di Forza Nuova e un giova-ne della sinistra radicale. Il 28 ot-tobre 2005 la sentenza pronunciatadal giudice Marco Zenatelli: trecondanne e tre assoluzioni.

27 ottobre Il procuratore della repubblicaGuido Papalia indizia di reato 6esponenti locali della Lega nord,per “incitamento ad atti discrimi-natori per motivi etnici e razziali”,dopo che avevano promosso unaraccolta di firme per allontanarealcuni zingari da tempo presentesul territorio comunale. Tra essi ilfuturo sindaco Flavio Tosi.

200219 luglioUn volantino delle Brigate Rosseviene fatto rinvenire negli stabili-menti grafici Mondadori.

200310 gennaioIrruzione nello studio di Telenuo-vo in via Orti Manara contro AdelSmith, rappresentante della Unio-ne mussulmani d’Italia, e il suocollaboratore Massimo Zucchi. 24esponenti di Forza Nuova vengonoda tutto il Veneto per tappare labocca al polemista islamico. Con-dannati nel 2008. Tra essi YariChiavenato, uno dei leader dell’e-strema destra scaligera e del tifoorganizzato dell’Hellas, all’epocasegretario provinciale di Forza

Nuova (pena di due anni e duemesi condonata), e i camerati Ste-fano Armigliato, Luca Castellini eMassimiliano Fiorini.

17 aprileUn’auto con a bordo dei neofasci-sti lancia alcune molotov contro ilcentro sociale La Chimica. Il fuocosi ferma all’esterno.

26 aprileAl negozio “Black brain”di France-sco Guglielmo Mancini, esponentedel Veneto Fronte Skinheads, incorso Milano, viene sfondata la ve-trina. Il gesto viene ripetuto qual-che giorno dopo. E anche il Came-lot di Alessandro Castorina, tra viaIsonzo e via IV Novembre, vienecolpito.

20042 gennaioIrruzione all’Osteria ai Preti in In-terrato dell’Acqua Morta. Zuffa dasaloon in un bar solitamente fre-quentato da giovani della sinistra.Sedie e tavoli distrutti. La Digosdenuncia quattro estremisti di de-stra per incendio e rissa.

25 aprileDue molotov inesplose vengonolasciate davanti allo studio dell’av-vocato Roberto Bussinello, difen-sore storico dei militanti di estre-ma destra, e davanti alla sede diForza Nuova in via Filopanti.

2 dicembreA Verona, il Tribunale condanna a6 mesi di reclusione, con la sospen-sione condizionale della pena, e aldivieto di propaganda elettoraleper 3 anni, oltre al risarcimento deidanni, 6 esponenti leghisti respon-sabili di una violenta campagnacontro la comunità dei Sinti sfocia-ta in uno sgombero forzoso. SonoMatteo Bragantini, Luca Coletto,Enrico Corsi, Maurizio Filippi,Barbara e Flavio Tosi. Il ministrodella Giustizia Roberto Castelli at-tacca i magistrati esprimendo lasua solidarietà ai condannati.

200513 febbraio A Verona, confluiscono 10.000 le-ghisti per reclamare contro il giu-dice Guido Papalia, pesantementeattaccato per aver condannato 6militanti veronesi (a 6 mesi, con

Violenza a Verona

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sospensione di pena) per ‘incita-mento all’odio razziale’. Il ministroRoberto Calderoli infiamma laplatea: «in nome del popolo pada-no condanno a ritornare sui ban-chi di scuola chi conosce i codici e icodicilli ma non sa cos’è il buonsenso…». Su un’aiuola dei giardinidi piazza Bra viene deposta una la-pide tombale con il nome di GuidoPapalia. Reagiscono i magistraticon una dura presa di posizione.

17 luglioUn gruppo di una trentina di ul-tras dell’Hellas, di estrema destraaggredisce a volto San Luca, concinghie, coltelli e catene, alcunisimpatizzanti del centro sociale LaChimica e ferisce due ragazzi. Ar-restati cinque militanti di estremadestra con l’accusa di lesioni gravi(un sesto era all’epoca minoren-ne). I veronesi Marco Battaglini,Alessandro Brentaro, il bolzaninoMarco Cleva e i perugini FilippoPeducci e Alessio Sguilla, scontati 3mesi di carcere di custodia cautela-re, patteggeranno nel 2007.

23 luglioDurante una manifestazione orga-nizzata dai Centri sociali per pro-testare contro l’aggressione di unasettimana prima, un centinaio digiovani incappucciati, giunti daprovince limitrofe e contrastatifortemente dagli organizzatori,provoca danni ad alcuni negozi.Viene lanciata una bomba cartacontro un negozio in via Roma.

31 luglioViene compiuto un attentato in-cendiario alla sede de La Chimicain via Zapata. Fortunatamente lefiamme sono spente prima dicompromettere la struttura.

12 settembreUn mese e mezzo di relativa calma,poi un ordigno viene fatto esplo-dere davanti al negozio di Alessan-dro Castorina, segretario provin-ciale di Fiamma Tricolore.

22 ottobreAggressione di un giovane antifa-scista da parte di cinque neofasci-sti, uno dei quali da poco scarcera-to per l’aggressione del 17 luglio.

23 ottobreUn simpatizzante del centro socia-

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le si azzuffa per strada e ferisce lie-vemente il proprietario del BlackBrain, lo skinhead Francesco Gu-glielmo Mancini.

200628 gennaioIl Centro sociale La Chimica de-nuncia il lancio di una bottigliaincendiaria contro la sede.

30 gennaioUn appartenente al Csoa denun-cia di essere stato aggredito al ter-mine del concerto di MassimoBubola da 5 giovani di destra.

4 febbraioUn ordigno rudimentale danneg-gia l’infisso della vetrina del nego-zio di Francesco Guglielmo Man-cini.

22 ottobreLa sede di Forza Nuova in via Fi-lopanti viene salvata dalla pen-denza verso l’esterno. Qualcunoaveva versato benzina davanti al-l’ingresso e appiccato il fuoco.Fosse penetrata sarebbe stato ildisastro.

200729 giugnoUna perquisizione a casa di 17giovani veronesi è l’atto conclu-sivo di un’indagine della Digosiniziata mesi prima che prendevale mosse da molti episodi che siripetevano con modalità simili.Vengono accertati 12 pestaggicompiuti per lo più nei fine setti-mana in centro storico. Le tec-niche di aggressione e il tipo dilinguaggio porta gli investigatoria trovare una matrice comune:l’appartenenza alla tifoseria del-l’Hellas e alla destra più estrema.Inoltre emerge che che vi era unasorta di leadership all’interno delgruppo, ovvero chi istigava allaviolenza. A questi “bravi ragazziinsospettabili” è contestata l’as-sociazione per delinquere fina-lizzata alle lesioni oltre che laviolazione della legge Mancino(contro la discriminazione raz-ziale).

18 luglio Un ordigno deflagrante è fattoesplodere contro il bar in via XXSettembre del consigliere comu-nale Giampaolo Beschin.

29 luglio Il sindaco Flavio Tosi è condanna-to in appello per incitamento al-l’odio razziale in conseguenzadella campagna contro i nomadisvolta dalla Lega.

8 novembreCatene e coltelli all’uscita del Cir-colo Malacarne in via San Vitale aVeronetta. Il figlio del consiglierecomunale Pdci Graziano Periniviene assalito e ferito da estremistidi destra, alcuni dei quali impu-gnano catene. Sono indagati settegiovani.

12 novembreUn nuovo attentato colpisce il ne-gozio di abbigliamento Camelotin via Isonzo, a Borgo Trento.Unasaracinesca divelta e una vetrinain frantumi, oltre a vetri sparsi unpo’ ovunque sono i danni mate-riali.

10 dicembrePer “vendetta” dell’aggressione aLuca Perini in via Portici, nei pres-si di piazza delle Erbe, viene feritoun militante di Fiamma Tricolore,noto frequentatore della curva sudallo stadio. Un’aggressione rimastaancora senza responsabili anche seun fascicolo è stato regolarmenteaperto dalla Procura scaligera. Èappena salito in auto quando unosconosciuto con una spranga glimanda in frantumi il cristallo del-la macchina. Lui scende ed è inquel frangente che il gruppo lo ag-gredisce: una coltellata lo feriscealla gamba, sulla coscia, e poi vienecolpito alla testa.

16 dicembreTre militari, parà della Folgore,picchiati perché meridionali e ti-fosi del Lecce, dopo uno scambioverbale all’interno di un bar di viaMazzini «Andate via perché que-sta è casa nostra, questa è la miazona... Voi siete italiani, io sono diVerona». E giù botte. Quattro i ve-ronesi processati e condannati.Negli stessi giorni sui muri dellacittà compaiono scritte di minac-cia al segretario del Pdci GrazianoPerini.

20088 marzo Intervenuto per invitare a desiste-re dei ragazzi che ne avevano ag-

gredito un altro e lo stavano bru-talmente colpendo a calci e pugni,un trentaduenne della provinciaviene a sua volta selvaggiamentepicchiato. Si allunga così la seriedi aggressioni “senza movente” si-stematicamente effettuate da ungruppetto di giovani.

1 maggioCinque giovani, successivamenteindividuati come Nicolò Veneri,Federico Perini, Raffaele DalleDonne, Guglielmo Corsi e AndreaVesentini, aggrediscono per futilimotivi (una sigaretta negata) tregiovani. Nel tafferuglio resta a ter-ra, in gravi condizioni, NicolaTommasoli, 29 anni, di Santa Ma-ria di Negrar. Morirà qualchegiorno dopo, senza riprendere co-noscere. Il processo per omicidiopreterintenzionale è in corso inCorte d’Assise.

18 settembreLa macelleria equina di via PontePietra di cui è titolare GiuseppeVeneri, il padre di Nicolò, in car-cere dal maggio 2008 per l’omici-dio preterintenzionale di NicolaTommasoli, viene semidistruttada un incendio doloso nella notte.Pare quasi una vendetta.

20 ottobreTre militanti della galassia anarco-insurrezionalista, Giuseppe Sciac-ca, noto col nome di battaglia “Su-camorvo 22”, di 29 anni, origina-rio di Catania, ultrà della curvanord del locale squadra di calcio(già interdetto dallo stadio), la suacompagna Nora Gattiglia, 24 an-ni, di Genova e la studentessa pa-dovana Maddalena Calore 20 an-ni, sono fermati dalle volanti dellaquestura di Verona che li attende-vano al varco nelle zone solita-mente frequentate dai simpatiz-zanti della sinistra più estrema. Ilfermo avviene dopo che era stataindividuata come “veronese” l’au-to usata per fuggire dagli attenta-tori che avevano lanciato duebombe carta contro il comandodei vigili urbani a Parma, per ven-dicarsi di un atto di violenza raz-zista ai danni di un giovane di co-lore di un mese prima.

20 ottobreIl sindaco Flavio Tosi condannatonel secondo processo d’appello per

razzismo. Il giudice Maurizio Gia-nesini conferma la condanna a duemesi di arresto per propaganda diidee razziste a Flavio Tosi, al depu-tato del Carroccio Matteo Bragan-tini, alla sorella del primo cittadinoBarbara Tosi, all’assessore provin-ciale Luca Coletto, all’assessore co-munale Enrico Corsi e a MaurizioFilippi. I sei leghisti dovranno ri-fondere alle parti civili 12 mila eu-ro per le spese di giudizio in Cassa-zione, che aveva rispedito a Vene-zia la prima sentenza di condanna.All’origine del procedimento i toni– giudicati razzisti – di una raccol-ta di firme per lo sgombero deicampi nomadi indetta dal Carroc-cio nel 2001.

20094 gennaioFrancesca Ambrosi, 30 anni, e dueamici, vengono aggrediti in PiazzaViviani da un branco di giovani diestrema destra, tifosi dell’Hellas,con cui avevano polemizzato per icori razzisti, nazisti e inneggiantialla violenza sulle donne che into-navano. Viene colpita con un po-sacenere al volto.

20 gennaioAlle tre di notte ignoti sistemanoun ordigno esplosivo davanti allavetrina del circoloo culturale diestrema Destra Casapound, tragalleria Marconi e via Poloni,sfondando una vetrina.

5 febbraioOtto ultràs dell’Hellas vengonoarrestati per l’aggressione a Fran-cesca Ambrosi. Sono Federico Bo-nomi, 20 anni; Luca Cugola, 25anni; Gabriele Girardi, 23 anni;Andrea Iacona, 26 anni, detto“Gomma”, militare dell’Esercito;Giovanni Nale, 20 anni; ClaudioPellegrini, 45 anni; Andrea San-son, 20 anni ed Enrico Stizzoli, 22anni. Nella maggior parte dei casisi tratta di studenti. Uno è impie-gato statale. Gran parte di loro haprecedenti per episodi simili, inqualche caso si tratta di tifosi dell’-Hellas che hanno già avuto e“scontato” un divieto di recarsi al-lo stadio, altri ce l’hanno in atto.Nelle settimane successive il Tri-bunale del riesame alleggerisce laposizione di alcuni di loro.

Giancarlo Beltrame

Cronistoria

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Mercoledì 25 marzo il direttore diquesto giornale ha richiesto aldott. Roberto Bolis, portavoce delSindaco, un’intervista con FlavioTosi, presentando in una letteral’iniziativa del numero speciale diVerona In. Sentire il parere delprimo cittadino era importante,soprattutto in riferimento al filo-ne “politico” della violenza, ancheper rispondere ad alcuni contri-buti giunti in redazione. Ci pare-va corretto rivolgere alcune do-mande dirette al Sindaco, senzatanto girare intorno ai problemi,usandogli però la cortesia di for-nire in anticipo i quesiti, in mododa consentire dichiarazioni medi-tate. Così abbiamo fatto.Qualche giorno dopo il portavoceha detto che non avremmo potutoincontrare di persona Flavio Tosi,ma che l’Ufficio stampa del Co-mune avrebbe comunque provve-duto ad inviarci delle rispostescritte. Da mercoledì 25 marzo agiovedì 16 aprile (sono 23 giorni),abbiamo più volte spostato laconsegna del giornale in tipogra-fia per dare il tempo di risponderema, nonostante i numerosi solle-citi, nulla è arrivato dal Comune.Il giorno 18 aprile è stato stampa-to il giornale, dopo aver informa-to gli interessati che qualche spie-gazione a chi ci legge l’avremmocomunque dovuta dare.Non vogliamo fornire interpreta-zioni sul perché non si sia potutarealizzare l’intervista e lasciamoche siano i lettori a farsi una loroopinione in merito. Possiamo pe-rò dire che al Sindaco erano statededicate le primissime pagine del-la rivista, per il ruolo che spetta alprimo cittadino; che le altre treinterviste ci sono state concessenel giro di 24-48 ore con un in-contro faccia a faccia; che i 18giornalisti che hanno aderito al-l’iniziativa forse meritavano unpo’ di considerazione, per quelloche hanno cercato di dirci e per ilfatto che si tratta di firme prove-nienti da mondi eterogenei e nonsconosciuti, come Verona Fedele,DNews, L’Arena, Il Verona, Telea-rena, Radioadige, Telepace, Cor-riere della Sera, Il Gazzettino, Ni-grizia, Combonifem...Ecco infine le domande rivolte alsindaco:– Violenza a Verona. Che idea si è

fatto riguardo le cause di episo-

di come quelli di Porta Leoni ePiazza Viviani?

– Esiste anche una violenza dimatrice politica. Penso agliskeanheads, a Forza Nuova: cisono stati dei reati e delle con-danne. Come si pone nei con-fronti di queste formazioni?

– Esiste una strategia destabiliz-zante da parte della destraestrema che mira al controllodel territorio?

– Uno degli skeanheads condan-nati nel 2002 è Andrea Miglio-ranzi. Quali sono i motivi percui lo ha scelto come capogrup-po per la sua lista?

– Lei stesso è stato condannatoper incitamento ad atti discri-minatori per motivi etnici erazziali, in seguito alla raccoltadi firme per lo sgombero deiRom. Il Flavio Tosi di oggiprende un po’ le distanze dalFlavio Tosi di ieri? Potrebbepermetterselo…

– Lei è cattolico? Quali sono i va-lori del cattolicesimo che più lestanno a cuore?

– Non pensa che una manifesta“insofferenza” verso i deboli, gliemarginati, gli extracomunitaripossa generare violenza nellepersone fragili e negli esaltati?Sente questa responsabilità co-me sindaco?

– Il solidarismo cattolico è fattodi attenzione e di accoglienzaverso i poveri. Però lei passeràalla storia come il sindaco cheha fatto piazza pulita di rom,vucumprà, poveri accampatiper le vie del centro... Si ricono-sce in questo ruolo o pensa checi sia una strategia nel dipin-gerla così?

– Cosa fa o pensa di fare il sindacoper gli emarginati? Forse FlavioTosi non è solo uno sceriffo in-transigente e inflessibile…

– L’anno scorso ai pacifisti di Bea-ti i Costruttori di pace non èstato concesso l’utilizzo dellaGran Guardia. Non pensa che ilruolo di sindaco le impongauna considerazione diversa neiconfronti di persone con lequali evidentemente non siidentifica, ma che comunque siimpegnano per dei valori im-portanti?

– Il Comune ha annullato il pre-mio Enzo Melegari... guardiche era una brava persona.

– Esiste una violenza delle parole?Penso alle frasi che spesso la Le-ga ha utilizzato per raccogliereil consenso. Anche qui non ve-de il pericolo di una degenera-zione? C’è sempre qualche stu-pido che crede a quanto vienedetto e che si lascia andare...

– Dalla società civile emerge unadomanda non solo di sicurezza,ma anche di pace. Come coniu-gare insieme le due cose e qualisono le forze che Verona puòutilizzare per prevenire la vio-lenza?

– Ci sono iniziative concrete del-l’Amministrazione in proposito?

Violenza a Verona

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Giornale di attualità e cultura

DirettoreGiorgio [email protected]

RedazioneElisabetta Zampini

Cinzia Inguanta

Lungadige Re Teodorico, 10 37129 -Verona. Tel. 045.592695

StampaCroma Verona

Registrazione al Tribunale di Veronan° 1557 del 29 settembre 2003

N° 21/aprile 2009

Progetto editorialeProporre temi di attualità e cultura.

Stili di vita per la crescita della persona.Il giornale è distribuito gratuitamente

nelle librerie di Verona

www.verona-in.it

STUDIOeDITORIALEGiorgio Montol l i

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