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1. Le apachetas, cumuli di pietre in forma di preghiera alla montagna, sono tipici del paesaggio andino e appaiono sui cammini di pellegrinaggio con il sincretismo della croce cristiana. VERSO L’ALTRO. LE MONTAGNE SACRE ANDINE Adine Gavazzi Sono i fianchi della montagna e non la cima a sorreggere la vita. Tradizione di Apurimac Apus e paqarinas: i progenitori ancestrali e lo spazio sacro 1 All’alba che segue la ricomparsa delle Pleiadi nel cielo australe delle Ande peruviane, ogni anno da migliaia di anni, almeno quarantamila o più pellegrini si radunano nella celebrazione del Qoyllur Rit’i, la stella della neve, per accogliere il ritorno degli orsi mitici dalle nevi perenni. Sfidando l’aria tagliente e rarefatta degli oltre 5.000 metri di altitudine del ghiacciaio del Qollqepunku e investendo le loro migliori risorse, i rappresentanti di almeno cinquecento comunità montane si accampano per tre giorni sull’altopiano di Sinaq’ara della valle di Cusco, dopo averlo raggiunto da molte regioni cantando, ballando, suonando e pregando ininterrot- tamente durante il tragitto di ascesa. Per i gruppi più remoti questo viaggio significa un sacri- ficio di diversi giorni di marcia in alta quota e lo sforzo sostenuto per raggiungere la montagna è visibile sui volti di tutti. Verso le 4:30 del mattino un frastuono corale annuncia lo spuntare del giorno e tutti gli sguardi dei pellegrini si rivolgono verso est per scorgerne la prima luce. Improvvisamente una vibrazione colorata scuote il crinale scuro e congelato del ghiacciaio, che comincia a illuminarsi con i primi raggi di sole. Piccolo e lontano, un sottile serpente danzan- te composto dalla fila interminabile di migliaia e migliaia di persone, comincia a discendere dalla sommità bianca. Nel giro di un’ora l’intero versante si popola di processioni colorate in discesa, che come un fiume musicale si sciolgono inondando la vallata con il loro canto. Sono gli ukukos, gli orsi mitici delle nevi perenni, che ritornano alle comunità con un carico di ghiac- cio sulle spalle, che garantirà loro la continuità della vita collettiva. Le speranze e i propositi di ogni villaggio verranno ascoltati dalla montagna sacra, che fornendo acqua alle coltivazioni di molte valli assicurerà benessere e stabilità per almeno un anno. Se ci si avvicina ai gruppi di pellegrini e si chiede il perché di questo sforzo spettacolare, la loro risposta univoca è «Perché vogliamo vivere». Queste stesse parole vennero riferite a Gary Urton nel 1976, durante una stagione particolarmente arida, quando l’antropologo statuninten- se chiese agli abitanti di Misimay nella valle di Cusco perché fosse così importante nel loro vil- laggio osservare la costellazione delle Pleiadi per prevedere la stagione agricola. Per stagione agricola qui non si intende semplicamante l’abbondanza del raccolto, ma quel delicato e diffi- cile equilibrio tra forze biologiche, geografiche, climatiche e umane che consente la vita delle culture andine, concepite tradizionalmente come un sistema unitario. La scelta tra la vita e la 3 1

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1. Le apachetas, cumuli dipietre in forma di

preghiera alla montagna,sono tipici del paesaggio

andino e appaiono suicammini di pellegrinaggio

con il sincretismo dellacroce cristiana.

VERSO L’ALTRO.LE MONTAGNE SACRE ANDINE

Adine Gavazzi

Sono i fianchi della montagna e non la cima a sorreggere la vita.Tradizione di Apurimac

Apus e paqarinas: i progenitori ancestrali e lo spazio sacro 1

All’alba che segue la ricomparsa delle Pleiadi nel cielo australe delle Ande peruviane, ogni annoda migliaia di anni, almeno quarantamila o più pellegrini si radunano nella celebrazione delQoyllur Rit’i, la stella della neve, per accogliere il ritorno degli orsi mitici dalle nevi perenni.Sfidando l’aria tagliente e rarefatta degli oltre 5.000 metri di altitudine del ghiacciaio delQollqepunku e investendo le loro migliori risorse, i rappresentanti di almeno cinquecentocomunità montane si accampano per tre giorni sull’altopiano di Sinaq’ara della valle di Cusco,dopo averlo raggiunto da molte regioni cantando, ballando, suonando e pregando ininterrot-tamente durante il tragitto di ascesa. Per i gruppi più remoti questo viaggio significa un sacri-ficio di diversi giorni di marcia in alta quota e lo sforzo sostenuto per raggiungere la montagnaè visibile sui volti di tutti. Verso le 4:30 del mattino un frastuono corale annuncia lo spuntaredel giorno e tutti gli sguardi dei pellegrini si rivolgono verso est per scorgerne la prima luce.Improvvisamente una vibrazione colorata scuote il crinale scuro e congelato del ghiacciaio, checomincia a illuminarsi con i primi raggi di sole. Piccolo e lontano, un sottile serpente danzan-te composto dalla fila interminabile di migliaia e migliaia di persone, comincia a discenderedalla sommità bianca. Nel giro di un’ora l’intero versante si popola di processioni colorate indiscesa, che come un fiume musicale si sciolgono inondando la vallata con il loro canto. Sonogli ukukos, gli orsi mitici delle nevi perenni, che ritornano alle comunità con un carico di ghiac-cio sulle spalle, che garantirà loro la continuità della vita collettiva. Le speranze e i propositi diogni villaggio verranno ascoltati dalla montagna sacra, che fornendo acqua alle coltivazioni dimolte valli assicurerà benessere e stabilità per almeno un anno.Se ci si avvicina ai gruppi di pellegrini e si chiede il perché di questo sforzo spettacolare, la lororisposta univoca è «Perché vogliamo vivere». Queste stesse parole vennero riferite a GaryUrton nel 1976, durante una stagione particolarmente arida, quando l’antropologo statuninten-se chiese agli abitanti di Misimay nella valle di Cusco perché fosse così importante nel loro vil-laggio osservare la costellazione delle Pleiadi per prevedere la stagione agricola. Per stagioneagricola qui non si intende semplicamante l’abbondanza del raccolto, ma quel delicato e diffi-cile equilibrio tra forze biologiche, geografiche, climatiche e umane che consente la vita delleculture andine, concepite tradizionalmente come un sistema unitario. La scelta tra la vita e la

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3. Anche conosciuto comeapu Veronica, questo

progenitore ancestralefemminile domina la valle

di Ollantaytambo.

riconoscersi. Ogni valle ha tanti Apu quanti sono i picchi che generano una rete idrografica oformano un confine territoriale. Ma allo stesso tempo ogni valle ha tanti Apu quanti ne ripor-ta la mitologia antica e contemporaea. Gli Apu vengono visitati come parenti, interrogati comeoracoli, venerati come divinità e rispettati come autorità indiscutibili al centro di ogni gruppo.Le lagune che li circondano, soprattutto nella Sierra settentrionale, sono note come paqarinas,luoghi di origine di ordine mitico. Le paqarinas si riconoscono nel paesaggio montano comeelementi naturali dalla forma insolita e imprevista e corrispondono a soglie di manifestazionedel sacro4. Ogni gruppo etnico riconosce oltre a un Apu principale una serie di paqarinas checomunicano con il regno della creazione. Nel Caso di Qoyllur Rit’i, oltre all’ Apu maschileSinaq’ara esiste il suo vicino e contendente Ausangate, circondato da ben sette paqarinas, olagune sacre. Nella zono di Arequipa l’Apu principale è il Coropuna, mentre ad Ayacuchodominano Carhuarasu e Tinka. Salkantay è l’Apu protagonista della sierra tra Apurima e Cusco,mentre la femminile Wakay Willka domina la valle di Ollantaytambo e le valli di Huarochiríriconoscono il progenitore ancestrale di Pariacaca, che ha alimentato l’opera di cronisti e lette-rati andini5.Che queste e molte altre cime vengano considerate sacre dalle culture della tradizione andinasi può facilmente dedurre dalla visione indigena di cronisti come Poma de Ayala6 che hannoritratto diversi culti regionali in epoca inca, oppure dall’iconografia ceramica e tessile di moltesocietà più antiche, come Moche sulla costa o Chavín nella sierra, che hanno rappresentato su

2. La montagna sacra chepersonifica l’origine delleacque nella regione é l’apuSalq’antay, vicino econtendente di Ausangantenella valle di Cusco.

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morte, tra la sopravvivenza e l’estinzione non è metaforica, ma realmente legate a un rapportoequilibrato tra queste diverse forze. Sia nel caso di Misimay che in quello del Qoyyul Rit’i, laconoscenza della meteorologia deriva dall’interpretazione astronomica: «il successo del raccol-to , e con esso la sopravvivenza della comunità, dipende dalla corretta interpretazione non solodi alcuni indizi, come la piogga, la tempreatura e le caratteristiche del vento, ma anche dal piùsottile messaggio inviato giorno e notte dai corpi celesti».2 Se comprendere le stelle sulle Andesignifica prevedere il clima, esiste allora un nesso inseparabile tra il paesaggio celeste e quelloterrestre, che produce questo ciclo: le stelle governano il tempo e la terra governa lo spazio. Inquesto cosmo le montagne controllano il clima, il clima controlla l’acqua, l’acqua controlla lavita. Per sopravvivere armonicamente all’interno di questo sistema è necessario che le popola-zioni si rechino periodicamente alla fonte del ciclo acquatico, ossia presso i ghiacciai, per veri-ficare che l’acqua generata sia sufficiente per tutti nell’arco di un anno. In un universo cosmo-centrico come quello montano andino, in cui tutte le forme naturali sono viventi, sacre e inter-dipendenti secondo una struttura biologica e una etnografica ben deteminate3, è facile imma-ginare chi si trovi al vertice della gerarchia. La montagna, spirito originario, progenitore ancestrale di una comunità o gruppo etnico, ora-colo, divinità e luogo sacro per eccellenza, riunisce in sé tutte queste caratteristiche. Apu è il termine quechua che riassume questi caratteri e indica la montagna sacra delle origini,da cui sgorga l’acqua che fertilizza i piani ecologici coltivabili e in cui ogni famiglia umana può

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5-6. Il cronista GuamánPoma de Ayala ritrae

nel XVI secolo il culto inca alle montagne,personificate come

antenati.

suo volto chiaro con i capelli lunghi neri e un vestito immenso e bianco, fatto di neve. Era laneve della cima della montagna. Guardandomi dolcemente mi parlò: ‘Sono l’Apu Veronica e tisto aspettando. Quando verrai da me?’»7.La personalita della montagna andina, la sua presenza e il potere di comunicare con gli esseriumani influenzandone il destino sono caratteri tipici che ne fanno un autentico antenato sacroe vivente. Questo modo di intendere una supremazia fisica, geografica e spirituale dell’Apu sopra ogniaspetto del paesaggio fa sì che la montagna appaia come un perno centrale nello sviluppo delterritorio, sin dalle epoche più antiche. Sia sulla costa che nella sierra la presenza di un rilievoalle fonti di un bacino idrografico determina la maggior parte degli insediamenti cerimonialisin dal loro principio. Il nesso circolare montagna-clima-acqua-vita si trova alla base di tutte le

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ceramica e tessuti l’importanza della relazione rituale montana. Ma cosa si intende in realtà permontagne sacre sulle Ande?

La montagna nelle cosmovisioni antiche, inca e coloniali

La montagna è sacra innanzitutto per il suo aspetto impassibile e irraggiungibile. Ma ciò nonbasta a renderla viva. La sua forma, i colori delle rocce che la compongono, l’altezza, i profili,le nevi perenni contribuiscono a fornire alla sua massa minerale una fisionomia unica e irripe-tibile, come quella di un individuo. La visione dell’Apu è quasi sempre collegata a quella di unospirito antropomorfo, dotato di un volto, un vestito e una voce. Un informatore orginario diApurimac così descrive la sua visione dell’Apu Veronica nei pressi di Ollantaytambo: «Vidi il

4 Il tema dello scalonatoquadripartito, tipico dellecuture andine della sierra,viene sovente assimilatoalla montagna, che come iltempio ascende per gradiper comunicare con gli dei.

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8. Gli inca rappresentano il paesaggio naturale

in forma animata,mostrando spiriti e creature

ancestrali che abitano leregioni montane

Il dominio delle conoscenze idrografiche delle società andine rimonta in realtà a epoche assairemote: il canale artificale di irrigazione di Cumbemayo in pietra vulcanica sulla Sierra deCajamarca per un’estensione di oltre nove chilometri, è stato realizzato nel 1500 a.C. allo scopodi divergere l’acqua al suo corso naturale sul versante atlantico a quello Pacifico: gli effetti diquest’alterazione di portata continentale hanno consentito lo sviluppo di immense aree altri-menti inabitabili. Il suo aspetto più evidente tuttavia non è quello agricolo, ma quello cerimo-niale: per l’intera lunghezza del condotto, innumerevoli petroglifi e aree di culto e di offertatestimoniano il rispetto e la devozione degli abitanti verso la montagna che ha consentito un’e-rogazione supplementare d’acqua. La tradizione costiera, più sensibile al controllo dell’acqua per la natura desertica della sua geo-grafia, sviluppa nel tempo una mitologia complessa attorno al tema della montagna sacra. Ilmondo Moche, per esempio, oltre a identificare nel progenitore ancestrale l’origine e il centrodel mondo, da vita anche a una cosmologia che associa l’immagine di stabilità e permanenzadella propria società a quella del rilievo montuoso e del suo ciclo acquatico associato. Il temauniversale della montagna come axis mundi8 viene interpretato dal mondo andino in strettobinomio con l’origine dell’acqua proprio per l’eccezionale posizione della cordigliera, che siaffaccia alla costa con un versante desertico, attraversato da fiumi che scendono dal versante

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pianificazioni territoriali della sierra e della stragrande maggioranza di quelle della costa. Laforma dell’Apu determina la forma dei monticoli scalonati o dei recinti centrali cerimoniali; laposizione della montagna indica l’origine dell’acqua e serve come asse di orientamento princi-pale; il colore, l’inclinazione dei pendii e la sua forma nello skyline costituiscono gli allineamen-ti principali e le proporzioni formali nello sviluppo archittettonico e urbanistico dei siti. Non èpossibile scindere il paesaggio della città inca di Machu Picchu e la sua geometria dalla morfo-logia naturale che li compone. Non si può comprendere la posizione del centro cerimonialearcaico di Ventarrón senza circondarlo dall’omonimo monte. Allo stesso modo per vedere l’in-clinazine dei monticoli scalonati della capitale teocratica Nasca di Cahuachi è necessario rico-noscere il profilo della duna del Cerro Blanco, o per trovare l’orientamento dell’Akapana, lastruttura centrale di Tiahuanaco sul lago Titicaca bisogna allineare la pianificazione al CerroAerq’akta.L’analisi di ogni pianificazione urbanistica comincia con l’identificazione del riferimento prin-cipale nel paesaggio di un Apu, collegato quasi sempre con uno o più corsi d’acqua: il centrodi Chavín de Huantar nella valle di Mosna per esempio sorge all’incontro tra gli affluenti delrio Marañon Puccha e Mariash, a loro volta situati in una vallata compresa tra la presenza mas-siccia della Cordillera Blanca e quella Negra.

7. A Cusco L’apuAusangate dominacostantemente lo scenario ecostituisce il riferimentoprincipale per tutte lecomunità della valle

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occidentale e formano verso ovest oasi lineari fluviali. Il percorso di ritorno alla montagna delle società antiche quindi riproduce letteralmente il cam-mino inverso del fiume verso le sue origini. L’iconografia Moche a questo proposito è assaiesplicita, come mostra l’illustrazione (XX): circondati da una corona di montagne, diversi pel-legrini assistono a un sacrificio su una vetta. Dalla sommità, dove un corpo appare sacrificatoscende una scia di sangue, che come un fiume si dirige verso la valla da rendere fertile e colti-vabile. A un lato della scena in cima a un tempio un sacerdote trasformato in una divinità feli-nica assiste al sacrificio e conduce i partecipanti alla cerimonia nello spazio del mito, narratosulla superficie bidimensionale della ceramica. Due eventi contemporanei, uno nel tempo sto-rico e uno in quello mitico, vengono unificati nell’atto cerimoniale: questo è possibile solo sullamontagna sacra, dove una realtà ascende e trascende in un’altra. Con il processo di trasforma-zione individuale dell’umano in felino avviene anche quelle dei partecipanti in protagonistidella vicenda mitica, raffigurata in un differente contesto dimensionale. In comune tra i duemondi è lo sguardo estatico, che accomuna l’officiante, il felino che irradia del suo capo, i par-tecipanti e i personaggi bidimensionali evocati. All’ordine di grandezza del sacrificio e all’in-tensitá dello sforzo corrisponderanno altrettanti benefici concessi dalla montagna, affinché ilflusso della vita mantenga un costante equilibrio dinamico.

9. La società Moche evocail contesto naturale dellemontagne come corona checirconda il tempio e formaparte integrante dellospazio sacro.

10. Il sacrificio Moche sulla vetta mostra l’origine dell’acqua e diconseguenza della vitadalla montagna sacra.

Nella doppia paginaseguente:

11. La comunità dei Q’erossi dirige verso il destino delpellegrinaggio del QoyllurRit’i, la stella della neve,danzando e cantandoininterrottamente.

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12. La discesa dalghiacciaio Salq’antay che

ha donato alle comunità ilghiaccio avviene come unadanza policroma e sonora.

con un antenato mitico13. La croce cristiana viene utilizzata assieme a quella andina, che origi-nariamente indica la quadripartizione dello spazio in direzioni cardinali e si associa alla costel-lazine della Croce del Sud. La presenza costante della croce nei culti e nei pellegrinaggi con-temporanei alle montagna sacre nasce con il presupposto di cancellare ciò che la conquista per-cepisce come un pericoloso idolo pagano, ma nel tempo veicola il suo contenuto e si trasformain un elemento sincretico molto più significativo: il tema del sacrificio.

Qoyllur Rit’i: il pellegrinaggio più alto d’America

Alla base dei pellegrinaggi contemporanei verso la montagna sacra esiste infatti la profonda eradicata convinzione che a un sacrificio offerto corrisponderà un beneficio, secondo un bilan-cio definito dalle forze della natura. L’intero sistema comunitario delle offerte ai luoghi sacri sifonda sull’idea di risolvere un problema privando un individuo o un gruppo di un bene o unvantaggio per offrirlo alla divinità, ricevere in questo scambio un favore e ristabilire così unequilibrio rispettoso tra regno animale, vegetale, minerale e umano. Il sacrificio e l’offerta dianimali14, piante e prodotti della terra era ed è tutt’ora la forma principale per rivolgersi aglispiriti antenati delle montagne sacre per richiedere il buon esito di un evento futuro, propizia-re i raccolti e i guadagni o anche ringraziare per un bene ricevuto. Questa relazione di scam-bio, che assicura benessere individuale o collettivo, mantiene in equilibrio il comportamento diuna comunità con il paesaggio naturale e con i moti celesti e assicura una continuità economi-

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Se l’epoca dei centri cerimoniali disegna il proprio paesaggio in relazione alla montagna e allafertilità delle valli circostanti in modo indipendente e policentrico, l’impero inca concepisce unpiano per integrare le diverse reti irrigue in fondazioni urbanistiche. Anche le città però dipen-dono dai percorsi d’acqua, che vengono incorporati dalla pianificazione attiva a partire dal XIV

secolo. Questo elemento collega il cammino con la rete irrigua, ma soprattutto con la sua ori-gine montana: il sacro originario viene accolto, canalizzato e controllato, al fine di gestire le tra-dizioni antiche in un mondo integrato ma cosciente delle origini. Il culto alla montagna si uffi-cializza nella figura dell’inca o delle famiglie reali, note come panacas, che periodicamente sirecano agli Apu di loro competenza o giurisdizione per sovrapporre il culto solare di stato aquello più antico degli spiriti antenati delle montagne. L’autorità del sovrano viene anche riba-dita dall’Apu, che solo l’inca può consultare in forma oracolare. Questa facoltà di stabilire unlegame individuale superiore a ogni altro tra la montagna e l’inca consolida il massimo poterenelle mani di quest’ultimo e lo pone al di sopra della stessa classe sacerdotale. L’impero si incarica di incorporare le attività degli oracoli più importanti: alcuni vengono rap-presentati da huacas, luoghi sacri, stratificati nel tempo da centri cerimoniali; altri invece sonoApu di importanza e prestigio che storicamente comunicano con i gruppi regionali locali. Pariacaca9, per esempio, costituisce il principale oracolo del Chinchaysuyu, quarto settentrio-nale dell’impero, come riporta il testo di Huarochirí10. Situato tra le province di Yayuos eHuarochirí e origine dei fiumi Cañete e Mantaro, il ghiacciaio Pariacaca dotato di due picchiinnevati ha un carattere storico e mitico duale. Il cammino inca che lo collega attraversa unaserie di zone votive, paquarinas e aree sacre che configurano un percorso cerimoniale esteso eassai articolato. Le formazioni rocciose naturali e modificate come altari, come quella del cam-mino Caquiyoca o della laguna Mullucocha11, presentano molte e diverse raffigurazioni diamaru, serpenti mitico simbolici collegati a una visione tripartia della realtà e al culto dell’ac-qua.Diversamente dai centri cerimoniali, per loro natura costantemente attivi, le mete di pellegri-naggio montuose restano disabitate per la maggior parte dell’anno, come segnalano anche icronisti12, ma come i centri radunano una grande quantità di popolazione, che ha la possibilitàdi trasportare e scambiare merci. Oltre alla connessione tra popolo e montagna quindi, il pel-legrinaggio all’Apu fornisce anche la possibilità di stabilire scambi in un ambito politicamenteneutrale, ben collegato e lontano dai fronti: anche per questa ragione tale attività si mantieneviva e inalterata per millenni. L’epoca della conquista produce un cataclisma nel rapporto tra comunità e montagna sacra,poiché gli estirpatori di idolatrie del XVII secolo si accaniscono determinati contro le zone ceri-moniali montuose, identificate come idoli nemici del pensiero evangelizzatore: Francisco deAvila conduce personalmente la distruzione di Cicallibia, Pillan, Xamuna e Pariacaca nella valladi Cañete e avvia una campagna nell’intero territorio andino: in ogni provincia viene negato ilculto tradizionale e i santuari sistematicamente distrutti. Quando questo non è possibile, per-ché le montagne non sono spianabili e perché le comunità mantengono un rapporto prima congli elementi naturali e poi con i templi, sulle vette viene costruita una croce. La proliferazione di croci e di successivi culti coloniali che associano la montagna al tema dellapassione cristiana, ha origine nell’imposizione del nuovo culto durante la conquista e si affer-ma quasi ovunque nel vicereame. La croce visibile nei villaggi in prossimità dei coltivi mostraun collegamento privilegiato con la montagna e rappresenta uno strumento di comunicazione

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13. Le comunità sirivolgono alla montagna al

sorgere del sole come alproprio progenitore

invocando il suo aiuto perciò che li attende a valle.

preparati per settimane a questo evento e dal punto di partenza per tutto il percorso di ascesahanno cantato, suonato , arciato, pregato, e danzato senza sosta, senza interrompere un dialo-go musicale instaurato con la montagna da raggiungere20. Anche accampandosi all’ingressodella vallata di Sinaq’ara hanno mantenuto una disposizione cerimoniale e un’organizzazionedello spazio bipartita in parte hanan alta e hurin bassa e quadripartita, separando donne, uomi-ni, musicisti e danzatori e ricevendo gli ospiti con una decisa formalità. È l’Apu che indica chi

ca e culturale essenziale. Per tale motivo le cerimonie di offerta non hanno mai cessato di fun-zionare durante l’epoca coloniale e repubblicana e si sono trasmesse per generazioni mantenen-do intatta la propria funzione. Il dialogo con la montagna si stabilisce grazie a questo processodi scambio e all’idea di una trasformazione insita nel processo di ascesa. La cerimonia di offerta al progenitore ancestrale incarnato nella montagna o in una huacacostiera può manifestarsi localmente, presso un Apu direttamente legato a una comunità, oppu-re riunire su scala interregionale differenti popolazioni. La Virgen del Rosario nella valle diChincha per esempio, o la Virgen del Rosario di Yauca15 a sud di Ica, raccolgono numerosi pel-legrini che compiono un lungo tragitto per riunirsi in un piccolo santuario. Ma l’evento ceri-moniale che maggiormente richiama interesse e dedizione su tutto l’arco andino è senza dub-bio il Qoyllur Rit’i. Qualche giorno prima dei festeggiamenti cristiani del Corpus Domini e della celebrazione delnuovo anno inca Inti Raymi al solstizio di giugno, diverse decine di migliaia di pellegrini intra-prendono un cammino di giorni che converge nel santuario del Milagroso Señor de QoyllurRit’i 16ubicato nella regione di Cusco a pochi chilometri dal ghiacciaio Ausangate, nella vallatadi Sinaq’ara ai piedi del ghiacciaio Qolquepuncu. Scopo del percorso, oltre a ricevere la bene-dizione del Cristo in croce dipinto in pietra nella chiesa del sito, è alimentare una relazione dirispetto e reciprocità con l’Apu, risalendo il cammino delle acque fluviali sino alle sorgentiinnevate e garantire che queste scorrano abbondanti secondo ritmi stagionali e astronomiciprevedibili. Nel periodo che intercorre tra il 24 di aprile e la prima decade di giugno in questa regione lacostellazione delle Pleiadi scompare dall’orizzonte visibile e determina un periodo di lutto nelcalendario, il cui ciclo annuale ricomincia al soltizio di giugno. I giorni che precedono l’appa-rizione vengono osservati dalle comunità andine con particolare attenzione, perché dalla lumi-nosità degli astri e dal contesto celeste gli agricoltori possono determinare molti elementiimportanti per il futuro dei campi: la quantità di umidità e di pioggia, l’andamento mensiledelle temperature, il tipo di luce e la velocità di crescita delle piante vengono registrate da indi-catori celesti, tra i quali le Pleiadi giocano il ruolo principale17. L’osservazione celeste tuttavia avviene anche in un luogo ben preciso. Il periodo di scomparsadelle Pleiadi era noto in epoca inca come Onkoymita, in quechua periodo di malattia e debo-lezza, e terminava con purificazione dell’ acqua in arrivo da un ghiacciaio posto a est dalla cittàdi Cusco: il Qollqepunco, ancora oggi noto per i poteri curativi per campi e le persone. Il viag-gio degli orsi mitici con il ghiaccio in spalla quindi ha due funzioni principali: scacciare la debo-lezza e la malattia dell’anno vecchio con l’acqua purificatrice del ghiacciaio e propiziare la fer-tilità dei campi e della comunità, ricomponendo il corso di un fiume. Il ciclo del’anno celestesi riflette in quello terrestre: la via lattea Mayo, in quechua «fiume celeste», deve poter far scor-rere in accordo i fiumi terrestri per garantire vita, salute e prosperità all’intero sistema biologi-co18. La posta in gioco pel gli abitanti delle valli è tale che ogni comunità manda la miglior dele-gazione di musicisti, danzatori e ukukos per un buon esisto della cerimonia. Ogni comunità, denominata nación, raggiunge l’altopiano di Sinaq’ara e si dispone in una zonapredisposta. Nel caso della comunità degli Japu Q’eros, che giunge da Paucartambo19, si trattadi un’area riservata da tempo immemorabile a fianco di una grande rocca votiva. Da questaposizione è possibile riconoscerli da lontano con i copricapi chuyos dalle tipiche frange multi-colori e decorazioni in perline bianche, i ponchos grigi e il cappello marrone. I Q’eros si sono

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15. La danza guerriera dei Capac Chuncho di

fronte al tempio cristianoha origine nella selva, da cui provengono le

lunghe piume.

mediato con gli spiriti della montagna presuppone un’idea di spirito per forza diversa da quel-la occidentale, fondata su una dicotomia tra corpo e anima. Sulle Ande questo rapporto è biu-nivoco: non esiste uno senza l’altro ed è necessario che il corpo subisca una reale trasformazi-ne fisica dettata dallo sforzo, dall’ascesa e dall’alterazione di cicli cicardiani affinché lo spirito22

si sollevi con la musica e la cerimonia. Quando i diversi ukukus si incontrano per l’ascesa fina-le al ghiacciaio rappresentano del tutto, fisicamente con i costumi e spiritualmente con la visio-ne, gli orsi mitici.Terminata la metamorfosi nel cuore della notte si accingono a salire per la parte finale e piùimpegnativa del percorso. In basso, al campo base decine di migliaia di pellegrini mantengonoviva la musica e le danze attorno alla chiesa e alle pietre principali. Nell’oscurità gli ukukosscompaiono per prepararsi alla cerimonia del ghiaccio. Alle prime luci dell’alba la polifoniadelle centinaia di comunità presenti aumenta d’intensità, come per richiamare gli orsi verso il

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tra loro diventera ukuko e riceverà l’incarico di mantenere l’equilibiro tra il mondo degli esse-ri umani, runa, quello silvestre, salqas e quello di luoghi sacri huacas e Apus. Di fronte ai Q’eros e alle molte comunità accampate attorno alla piccola chiesa dell’altopianosfilano giorno e notte molti gruppi danzanti21, procedeti da molte valli e regioni e gli ukukos,con un lungo vestito di frange, sonagli, una frusta un fischietto e un passamontagna che limaschera completamente. Di notte come di giorno anche gli ukukos della comunità hanno dan-zato e richiamato gli spiriti della montagna e l’ascesa ha progressivamente ridotto la differenzache separa gli attori dai personaggi che interpretano. All’arrivo sulle pendici del ghiacciaioQollepunku non è più possibile distinguere la differenza tra la realtà invocata e quella del pae-saggio circostante. Gli ukukos sono diventati gli orsi delle nevi perenni, nelle movenze, nellavoce e soprattutto nell’energia necessaria per scalare l’ultima parte del ghiacciaio, che supera i6.000 metri. La trasformazione di questi personaggi che consente un contatto diretto e non

14. La danza del CapacNegros mostra unsincretismo che incorporaelementi di origineafricana con la processione andina.

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basso. Dopo pochi istanti ed esattamente quanto la prima luce del sole illumina la cresta delghiacciaio, spunta la prima fila di ukukos danzanti, che in meno di un’ora trasforma la monta-gna gelida in un flusso policromo vibrante di tutte le musiche possibili. Sia per chi resta sull’altipiano che per gli ukukos si tratta di un evento comunicativo di ecce-

zionale intensità: la voce della montagna risuona in quella del suo fiume umano, cha a sua voltarichiama il fiume d’acqua reale. In questa immensa sinestesia del paesaggio si ricompone unequilibrio, in cui i diversi regni – umano, silvestre e minerale – si fondono in una rara e mae-stosa armonia dinamica.Finché questo incontro avviene, nessuna delle tre realtà prevarica sull’altra. In particolare gliuomini non osservano la biosfera e la montagna come oggetti inanimati da possedere, conqui-stare, addomesticare e potenzialmente distruggere. Lo sguardo degli esseri umani qui è rivoltoad altri esseri, con cui stabilire un rapporto di reciproca comprensione e rispetto. Sacrificandouna parte di sé, gli ukukos non vanno verso l’alto, ma verso l’altro, trasformandosi prima in ani-mali, poi in fiumi poi di nuovo in uomini. Perché i fiumi, sgorgando dai fianchi elevati e remoti del corpo degli antenati costituiscono infondo le vene della terra. E grazie ai fiumi, sono i faticosi versanti – e non la vetta brillante –che determinano l’eccezionale prosperità della cordigliera andina. Sono i fianchi della monta-gna e non la cima a sorreggere la vita.

16. I pellegrini discendonodal ghiacciaio in filaseguendo un motoserpentiforme assimilabilea quello realizzabile su un geoglifo.

17. Nell’idea di sforzo chetrascende le capacità delsingolo individuo si integrail tema della croce cristianacon quella di sacrificioandino, che produce unbeneficio secondo unbilancio definito dalle forzedella natura.

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do Cristo nostro Dio, da lei generato, per tor-nare da lui».18 L’Anastasis, la chiesetta ad Crucem, la gran-de chiesa – il Martyrium: cfr. PeregrinatioEtheriae 30.19 Nel suo Liber peregrinationis, del 1294, ildomenicano Rinaldo di Monte Crucis riportadi essere salito al Santo Sepolcro «per viam,per quam ascendit Christus, baiulans sibi cru-cem», ed enumera alcune stationes: il palazzodi Erode, il Litostrato, l’incontro con ledonne, il Cireneo. Il domenicano FeliceFabri, in Terrasanta nel 1480, relaziona di unaVia Crucis che percorreva tuttaGerusalemme. Alla pia pratica nel 1686 papaInnocenzo XI concesse le indulgenze propriedel pellegrinaggio in Terra Santa, e nel 1731papa Clemente XII fissò il numero delle sta-zioni a 14 e ne permise l’erezione in tutte lechiese secolari. Cfr. M. Righetti, StoriaLiturgica, vol. II, pp. 219-251. Nel XV secolo si diffusero, in particolare inGermania e nei Paesi Bassi: la devozione alle«cadute di Cristo» sotto la croce (se ne enu-merano fino a sette); la devozione ai «cammi-ni dolorosi di Cristo», che consiste nell’ince-dere processionale da una chiesa all’altra inmemoria dei «percorsi» di dolore (sette, novee anche di più) dal Getsemani alla casa diAnna (cf. Gv 18, 13), alla casa di Caifa (cf. Gv18, 24; Mt 26, 56), al pretorio (cf. Gv 18, 28;Mt 27, 2), al palazzo di Erode (cf. Lc 23, 7); ladevozione alle «stazioni di Cristo», cioè aimomenti in cui Gesù si ferma lungo il cammi-no verso il Calvario. 20 La forma attuale e più comune della ViaCrucis contempla quattordici stazioni ed èattestata in Spagna dalla prima metà del XVIIsecolo, soprattutto in ambienti francescani.

CAPITOLO 13. DAVIDE DOMENICI

1 López Austin 2001.2 E.g. 1994, pp. 160-165.3 Ortíz Ceballos e Rodríguez 1999; 2000.4 Taube 2000.5 Rodríguez e Ortíz Ceballos 2000.6 Drucker, Heizer e Squier 1959.7 Grove 1984.8 Martin 2007.9 Saturno, Taube e Stuart 2005.10 Tedlock 1998, pp. 138-139.11 Cfr. Ashmore 2004.12 Stuart 1987, p. 17.13 Brady e Ashmore 1999.14 E.g. Bonor Villarejo 1989; Brady 1989;Brady e Prufer 2005; Prufer e Brady 2005;Domenici 2003, 2005; Thompson 1975.15 Heyden 1981.16 Burkhardt cit. in Cowgill 1992.17 Albores Zárate e Broda 1997; Arnold 2001,Broda 1991; Broda, Iwaniszewski e Montero2001; Carrasco 1991.18 Botta 2008.19 Boone 1987; Broda, Carrasco e MatosMoctezuma 1987.20 Lopez Luján 1993.21 Román Bellereza 1987.22 López Austin e López Luján 2006.23 Nolan 1991.24 Muñoz Camargo 1986.25 Lopez Austin e Lopez Luján 2006, pp. 29-36.26 Cfr. Albores Zárate e Broda 1997; Broda,Iwaniszewski e Montero 2001.27 Vogt 1981.

28 Sandstrom 2005.29 Botta 2002.30 Sensu Ingold 2000.

CAPITOLO 14. ADINE GAVAZZI

1 Gli informatori cui va una profonda e rispet-tosa gratitudine per la possibilità di stenderequeste note sono: Carola Violeta MoragaSepúlveda, Apurimac Bacilio Zea Sanchezdella comunità di Coabamambas e compadredei comuneros Q’eros di Japu e Tayta Martín,dell’omonima comunità.24 «Chiesi perché tutti guardavano il Collca.La sua risposta, accompagnata da uno sguar-do vivace, fu semplice: porque queremos vivir(perché vogliamo vivere). Era chiaro proprioda questo commento che le stelle vengonodiscusse così raramente non perchè non sonoimportanti o interessanti, ma perchè il lororuolo nella vita della comunità è una questio-ne di grande serietà.». Gary Urton (1981: 3)(trad. ns.).3 La concezione di un universo animato nonva confusa con il pensiero animista di matriceafricana: qui la natura e la cultura appaionointrecciate secondo una rete assai strutturata.Senza una chiara conoscenza delle strutture edei legami che intercorrono tra processi cli-matici, geografici, biologici ed etnografici, lepopolazioni americane non sarebbero riuscitea inserirsi con successo in un continente conuna elevatissima biodiversità. 4 Dal quechua paqariy, nascere, apparire, ori-ginare, le paqarinas si possono riconoscerecome luoghi di ierofanie originarie, emergen-ze o cavità specifiche nella roccia, lagune, maanche spiriti protettori della nascita, comeaspetto preminentemente femminile dellageografia nel luogo di nascita.5 Con la traduzione del manoscritto diFrancisco de Ávila Dioses y hombres deHuarochirí, J.M Arguedas ha potuto docu-mentare il quadro mitologico, rituale e ceri-moniale della regione della sierra di Lima inepoca preispanica. 6 A Guamán Pome de Ayala (1615) si deveuna importante cronaca illustrata a partire dauna visione indigena del mondo inca.7 C. Wilka Cuntur Ausangate Guayacundo(com. pers.). 8 Il simbolismo della montagna come asse uni-versale è un archetipo dell’ascesa, che com-prende il collegamento ideale tra terra e cieloe si materializza tipicamente nella montagna,letteralemente interposta tra le due realtà.Tale simbolo indica anche I passaggio tra ilmondo degli uomini e quello degli déi, che letradizioni sciamaniche andine indicano conl’ascesa e la trasformazione di un individuoattorno a un asse verticale centrale. Eliade haapprofondito questo il tema del simbolismode centro in Immagini e Simboli (1981).9 «Montagna rossa» in quechua.10 Vedi nota 5.11 Ibidem 106.12 Cieza de León [1551] (1984) indica le attivi-tà di pellegrinaggio che radunano masse dipopolazione a Pachacamac; Poma de Ayala[1551] (1987) elenca numerose attività pro-cessionali; Arriaga [1621] (1968) nomina leriunioni periodoche alle huacas, luoghi sacri;Juan de Hoces visita nel 1572 il sito cerimo-niale di Noquis, popolato solo per le cerimo-nie.13 Ancora oggi nelle valli di Apurimac e Cuscola croce viene utilizzata per proteggere I

campi e viene curata come una essere viventefinché non fallisce il suo scopo. Quando cióavviene, la croce viene sostituita (B. Zea, com.pers.) 14 In epoca precolombiana e coloniale ancheindividui: la pratica delle processioni ritualicon sacrifici di esseri umani era nota comeCapacocha (Rostworowski in Curatola, 2008:189) e procurava crediti immensi.15 Il caso di Yauca è particolarmente interes-sante perché si può porre in relazione con ilpercorsi cerimoniali realizzati sui geoglifi inepoca Nasca che ricompongono nella pampala natura rituale dell’altopiano. Silvermann(1993) ha proposto anche un paragone con ilcentro cerimoniale di Cahauchi.16 In quechua «stella della neve».17 Robert Randall (1982) ha registrato il lega-me tra il ciclo acquatico, le Pleiadi e il Qoyullrit’i, dimostrando la continuità del culto indi-geno odierno in relazione al calendario inca.18 L’acqua non viene solo estratta dall’Apu, maofferta, per esempio per potersi sposare.Moraga Violeta (2009) riporta con un infoma-tore questa tradizione di Cotabambas, nellaprovincia di Anta: «en las alturas de Ivin hayun Apu que se llama Urkuya, ahí dice que losque iban a pedir la mano de una mujer, quequerían emparejarse, llevaban cargando elagua, entonces dice pedían la mano cargandoel agua». L’Apu è anche invocato nei cantipeché mandi la pioggia: «Lluvia que vienecomo la nube, ven pronto. Así le cantan.Llaman los nombres de los Apus para quevengan sus lluvias, sino vamos a morir dehambre vamos a estar sin alimento, diciendollaman».19 La comunità dei Q’eros, residente nella pro-vincia di Paucartambo sul versante orientaledi una zona montuosa della regione delVilcanota, era formata da otto ayllus, o grup-pi familiari allargati sino agli anni Cinquanta.Oggi ne comprende cinque: Hatun Q’ero,Q’ero Totorani, Japu, Quico e Marcachea. Ilcontributo alla conservazione delle tradizioniandine dei Q’eros, che sottraendosi al contat-to con la colonia e la repubblica hanno man-tenuti isolati un mondo autonomo, è inesti-mabile: per dare solo un esempio grazie allostudio delle loro modalità preincaiche dioccupazione del territorio negli anni ’60,L’etnografo Murra (1980) ha potuto com-prendere l’organizzazione economica e terri-toriale andina e formulare la teoria degli arci-perlaghi verticali di produzione.20 Bacilio Zea Sanchez (2009). 21 Sfilano i Ccapac Qolla, commerciati dell’al-topiano, con un copricapo rettangolare e unapiccola vigogna di lana a tracolla che si muo-vono con un passo di ben undici movimenti; iCapac negros, ex schiavi africani mascherati evestiti di bianco, I Capac e Wairy Chuncho,guerrieri con mantelli e copricapi dalle lun-ghe piume della selva, i mestizos Coyacha, iPasña Coyacha, i danzanti di Saqra cusqueñi,i coloniali Huilillas, Majeños di Sicuani console percussioni, i Kachampa di Paucartamboche alternano giullari e guerrieri molti altriancora.5 Lo stesso termine «spirito» è improprio,perché non ha un corrispettivo quechua esat-to: awki indica l’entità spirituale, aya la forzavitale e hayni l’anima dei vivi; espiritu in que-chua si usa per indicare sia lo spirito in sensooccidentale, contrapposto al corpo, sia lecreature alate. Ankhari sono gli spiriti mes-saggeri degli Apu.

244 NOTE BIBLIOGRAFIA 245

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Sulla collina primordiale si vedano: A. deBuck, De Egyptische Voorstellingen betref-fende den Oerheuvel, Eduard Ijdo, Leiden1922; R.J. Clifford, The Cosmic Mountainin Canaan and the Old Testament,Harvard University Press, Cambridge, MA1972, pp. 25-29; K. Martin, Urhügel, inLexicon der Ägyptologie, VI, Harrassowitz,Wiesbaden 1986, coll. 873-875. Sui miticosmogonici in cui la collina primordialeriveste un ruolo fondamentale S. Nickel,La Cosmogonie égyptienne avant le nouvelEmpire, Éd. Universitaires, Freiburg-Göttingen 1994. Sul benben si veda E.Otto, Benben, in Lexicon der Ägyptologie,I, Harrassowitz, Wiesbaden 1975, coll.694-695, e il lavoro di J. Baines, Bnbn:Mythological and Linguistic Notes, in«Orientalia», 39 (1970), pp. 389-404.

Sulla montagna tebana e la dea Mertseger, sivedano: B. Bruyère, Mert Seger à Deir el-Médineh, Mémoires publiés par les mem-bres de l’Institut Français d’ArchéologieOrientale 58, Le Caire 1930; V.A.Donohue, The goddess of the Thebanmountain, in «Antiquity», 66 (1992), pp.871-885; J. Yoyotte, À propos de quelquesidées reçues: Mèresger, la Butte et lescobras, in G. Andreu (cur.), Deir el-Médineh et la vallée des Rois, Khéops,Paris 2003, pp. 281-307.

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Sulle «montagne sacre» e, in particolare, AbuSimbel, si veda Chr. Desroches-Noblecourt, Charles Kuentz, Le PetitTemple d’Abou Simbel, Centre deDocumentation et d’Étude sur l’AncienneÉgypte, Mémoires 1, Le Caire 1968, t. 1,nota 342, pp. 203-204.

Le affascinanti ipotesi di ChristianeDesroches-Noblecourt sulla simbologiadei templi di Abu Simbel e della grottasacra della Valle delle Regine a Tebe sonostate esposte in particolare nelle sue opere

BIBLIOGRAFIA

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