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“Viaggiare nello spazio…e nel tempo” Camillo Stefanucci, 5 D Pag. 1 VIAGGIARE NELLO SPAZIO...E NEL TEMPO Percorso multidisciplinare FISICA Albert Einstein e la teoria della relatività. STORIA Ai tempi di Einstein: La seconda guerra mondiale (l’operato della scienza nella costruzione della bomba atomica e l’antisemitismo nazista) SCIENZE La curvatura dello spazio tempo nell’universo: dal Big Bang ai Buchi Neri. MATEMATICA La deformazione dello spazio: le geometrie non euclidee (accenni) INGLESE Un mondo a più dimensioni immaginato da Abbott in piena età vittoriana: Flatland. DISEGNO Tavole che accompagnano la presentazione del romanzo inglese Flatland. STORIA DELL’ARTE L’influenza della relatività nel Surrealismo: Magritte e Dalì FILOSOFIA Il concetto di tempo e di spazio nella storia del pensiero filosofico: da Aristotele a Bergson. ITALIANO Il Sentimento del Tempo nell’esperienza di Giuseppe Ungaretti. LATINO Il tempo nella vita dell’uomo: De Brevitate vitae di Seneca Disponibile su internet all’indirizzo online: http://webphysics.altervista.org

VIAGGIARE NELLO SPAZIO E NEL TEMPO · La Germania nazista: totalitarismo e antisemitismo Il successo del nazismo è strettamente collegato alle conseguenze della grande crisi. Fu

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“Viaggiare nello spazio…e nel tempo” Camillo Stefanucci, 5 D Pag. 1

VIAGGIARE NELLO SPAZIO...E NEL TEMPO Percorso multidisciplinare

FISICA Albert Einstein e la teoria della relatività.

STORIA Ai tempi di Einstein: La seconda guerra mondiale (l’operato della scienza nella costruzione della bomba atomica e l’antisemitismo nazista)

SCIENZE La curvatura dello spazio tempo nell’universo: dal Big Bang ai Buchi Neri.

MATEMATICA La deformazione dello spazio: le geometrie non euclidee (accenni)

INGLESE Un mondo a più dimensioni immaginato da Abbott in piena età vittoriana: Flatland.

DISEGNO Tavole che accompagnano la presentazione del romanzo inglese Flatland.

STORIA DELL’ARTE L’influenza della relatività nel Surrealismo: Magritte e Dalì

FILOSOFIA Il concetto di tempo e di spazio nella storia del pensiero filosofico: da Aristotele a Bergson.

ITALIANO Il Sentimento del Tempo nell’esperienza di Giuseppe Ungaretti.

LATINO Il tempo nella vita dell’uomo: De Brevitate vitae di Seneca

Disponibile su internet all’indirizzo online: http://webphysics.altervista.org

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“Viaggiare nello spazio…e nel tempo” Camillo Stefanucci, 5 D Pag. 2

Indice Indice................................................................................................................................... 2

Presentazione....................................................................................................................... 3

Albert Einstein..................................................................................................................... 4

Il contesto storico: il Novecento.......................................................................................... 5

La Germania nazista: totalitarismo e antisemitismo ........................................ 5

La Seconda Guerra Mondiale........................................................................... 6

La bomba atomica ............................................................................................ 6

La Teoria della Relatività.................................................................................................... 8

La relatività ristretta ......................................................................................... 8

La relatività generale...................................................................................... 11

Le teorie cosmologiche ..................................................................................................... 13

La teoria stazionaria ....................................................................................... 13

La teoria evolutiva.......................................................................................... 14

La fine dell’Universo ..................................................................................... 15

Le geometrie non euclidee ................................................................................................ 17

Edwin Abbott .................................................................................................................... 18

Flatland A Romance of Many Dimensions (1884) ........................................ 19

Tavole della suddivisione sociale di Flatland ................................................ 20

Spazio e Tempo nel pensiero filosofico. ........................................................................... 28

“Sentimento del tempo” .................................................................................................... 31

Struttura dell’opera......................................................................................... 31

L’isola............................................................................................................. 32

Il tempo nell’antichità: De brevitate vitae......................................................................... 33

Bibliografia........................................................................................................................ 35

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Presentazione Il titolo di questo percorso “Viaggiare nello spazio…e nel tempo” vuole sottolineare vari aspetti tra cui quello di un ‘viaggio’ multidisciplinare sull’evoluzione del concetto di spazio e di tempo. In particolare la prima tappa del viaggio è fissata nel mondo scientifico con la teoria della relatività di Albert Einstein che ha fornito al mondo una nuova visione dell’universo attraverso la prospettiva di uno spazio-tempo inscindibile. Il tempo viene dunque a sussistere come vera e propria dimensione fisica che ha influenzato notevolmente il mondo della scienza e in particolare l’ambito astronomico riguardo le teorie cosmologiche. Oggi dunque viviamo in un universo di quattro dimensioni, non solo viaggiamo spostandoci nello spazio ma lo facciamo anche spostandoci nel tempo. Nuove teorie fisiche, tuttavia, ipotizzano ai giorni d’oggi che una delle tre dimensioni spaziali possa essere illusoria, e in effetti, sia le particelle elementari sia i campi che compongono la realtà si muovono in un ambiente bidimensionale simile alla Flatlandia di Edwin A. Abbott. In particolare, le teorie prevedono che il numero di dimensioni della realtà potrebbe essere una questione di punti di vista. Così come oggi ci allibisce questa possibilità allo stesso modo, all’epoca, nei primi anni del Novecento, un ‘900 ricco di avvenimenti spaventosi come i regimi totalitari e le guerre mondiali, sicuramente molti furono influenzati dalla relatività di Einstein. E in particolare nell’arte figurativa nascono nuove tendenze dal Cubismo, al Surrealismo, al Futurismo che scompongono gli spazi, modificano le dimensioni, rappresentando gli attimi del movimento con assoluta innovazione. Un radicale sviluppo si ebbe tuttavia nell’evoluzione filosofica del concetto di tempo: fin dai tempi di Aristotele si iniziò a ragionare su cosa sia lo ‘spazio’ e cosa sia il ‘tempo’ e con Newton si gettarono nozioni su cui nacquero e si svilupparono le scienze che si studiano tutt’ora nelle scuole. L’innovazione di Einstein non solo fece cambiare tali nozioni sottolineando il relativismo di tali concetti, ma diede la possibilità di rivalutarli da capo. Così dalle intuizioni kantiane si finì con il considerare un tempo esteriore e un tempo interiore della vita umana, come fece Bergson. Ecco dunque che la rivalutazione del Tempo non si limita all’ambito scientifico ma travolge anche il prospetto umano. Il tempo è proprio della vita di ogni uomo e ognuno lo gestisce come meglio crede. Allora si passa a ragionare sulla vita, come fece Seneca molti secoli or sono, oppure si riflette sul passato, sulla memoria di attimi interminabili nelle trincee di guerra come sottolineano le poesie di Ungaretti, poeta italiano. Tutto è tempo e nel tempo è il nostro pensiero che viaggia oltre che il nostro corpo. Ecco dunque che da un titolo che permette di spaziare con la fantasia è possibile fare un ragionamento molto ampio che riesce a soffermarsi su ambiti scientifici e ambiti umanistici, su formule e su poesie di guerra.

Stefanucci Camillo

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Albert Einstein “N.224. Ulm, 15 marzo 1879. Oggi il commerciante Hermann Einstein, residente a Ulm, Bahnhofstrasse 135, di religione israelita, personalmente noto, si è presentato al sottoscritto Ufficiale di stato civile, e ha dichiarato che il 14 marzo dell’anno 1879, alle ore 11 e 30 antimeridiane, è nato in Ulm, nella sua casa, da sua moglie Pauline Einstein, nata Koch, di religione israelita, un bimbo di sesso maschile cui è stato dato il nome di Albert. Letto, confermato e sottoscritto: Hermann Einstein. L’Ufficiale di stato civile, Hartman.”

A causa dei continui problemi economici la famiglia Einstein dovette trasferirsi spesso. Einstein trascorse la sua prima giovinezza a Monaco, educato nel rigido sistema scolastico bavarese; dopo un breve soggiorno a Milano si trasferì a Zurigo. Egli cominciò a studiare matematica all'età di dodici anni e due suoi zii assecondarono i suoi interessi intellettuali durante la tarda infanzia e la prima adolescenza, aiutandolo negli studi e fornendogli libri di scienza e matematica. Il suo fallimento all'esame d'ingresso presso l'Eidgenössische Technische Hochschule (il Politecnico di Zurigo) fu tuttavia una dura battuta d'arresto; fu mandato dalla sua famiglia a Aarau, in Svizzera, per concludere gli studi superiori, dove ricevette il diploma nel 1896. Nel 1898, Einstein incontrò e si innamorò di Mileva Maric, una sua compagna di studi serba da cui ebbe anche una figlia che morì di scarlattina. Nel 1900, gli fu garantito un diploma da insegnante dal Politecnico e dopo la laurea continuò a dedicarsi intensamente ad alcuni problemi di fisica teorica anche quando, per risolvere i più gravi immediati problemi economici, prese la cittadinanza svizzera per assumere un modesto impiego presso l' Ufficio Brevetti di Berna. Nel 1905 pubblicò tre articoli sugli Annalen der Physik, il primo sui “quanti di luce”, il secondo sul “moto browniano”, destinato a confermare l' atomicità della materia, il terzo sui “fondamenti della relatività ristretta”. Fu vincitore del Premio Nobel per la Fisica nel 1921 grazie alla sua spiegazione dell'effetto fotoelettrico e "per i suoi contributi alla fisica teorica". Dopo la formulazione, nel novembre 1915, della teoria della Relatività generale la fama di Einstein dilagò in tutto il mondo. Era un successo insolito per uno scienziato e, durante gli ultimi anni della sua vita, la fama di Einstein non fece che aumentare, superando quella di qualunque altro scienziato della storia. Nella cultura popolare, il suo nome divenne ben presto sinonimo di intelligenza e di grande genio. Questi ormai storici lavori furono l' avvio di una lunga e brillante carriera accademica, iniziata a Zurigo e proseguita in terra tedesca fino al 1932 quando, a causa delle persecuzioni antisemitiche naziste, fu costretto ad abbandonare la Germania per essere accolto a braccia aperte in USA. Einstein, naturalizzato cittadino americano, si stabilì a Princeton, dove insegnò presso l' Institute for Advanced Studies fino al 1945, anno del suo ritiro dall'attività accademica. Si spense il 18 Aprile 1855 a Princeton.

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Il contesto storico: il Novecento Come abbiamo visto Albert Einstein vive in un contesto storico del tutto particolare: quello della Germania del Novecento, la nazione che poco tempo dopo, guidata da Adolf Hitler porterà alla Seconda Guerra Mondiale.

La Germania nazista: totalitarismo e antisemitismo

Il successo del nazismo è strettamente collegato alle conseguenze della grande crisi. Fu allora che la maggioranza dei tedeschi perse ogni fiducia nella Repubblica e nei partiti democratici e prestò ascolto in misura crescente alla propaganda del nazismo, che prometteva il ritorno della Germania alla passata grandezza, indicando nelle sinistre e negli ebrei i responsabili delle difficoltà del paese. Il partito di Hitler, rimasto fin allora ai margini della vita politica, vide crescere i suoi consensi nelle numerose elezioni che si tennero fra il ’30 e il ’32, fino a diventare il primo partito tedesco. Nel gennaio ’33 Hitler fu chiamato dal presidente Hindenburg a guidare il governo e in breve tempo assunse pieni poteri.

Tra i principi base del nazismo stava il particolare rapporto tra il capo (Führer) e le masse, il controllo della propaganda, l’uso del terrore e della forza contro gli oppositori. Inoltre fin dalle idee espresse nel libro hitleriano Mein Kampf c’era il concetto principale dell’antisemitismo: gli ebrei erano il nemico pubblico che doveva essere combattuto. La discriminazione fu sancita ufficialmente con le Leggi di Norimberga del 1935 che li privavano dei normali diritti. Il 9 novembre del ’38 si scatenò un violento pogrom (distruzione degli ebrei) in Germania, ricordato come ‘notte dei cristalli’. Queste violenze si accuirono attraverso un controllo militare operato dalla Gestapo, il confinamento in ghetti, l’obbligo di rispettare la razza ariana, superiore a loro. Alla fine nel 1941 quando le sorti della futura guerra stavano per essere compromesse, iniziò la soluzione finale ossia l’eliminazione fisica degli ebrei. I campi di concentramento dove erano stati deportati come bestie e costretti a lavorare in condizioni disumane vennero dotate di camere a gas che iniziarono a sterminarli: tutti, donne e bambini, vecchi e giovani. In questo modo vennero eliminati milioni e milioni di persone. Le crude e incredibili testimonianze ci vengono descritte dai pochi superstiti come Primo Levi.

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Fucilazioni di massa....Cavie umane per futili esperimenti Ecco la sorte destinata a migliaia di innocenti che non riuscirono a mettersi in salvo in

altri paesi o nascondendosi e furono vittima di violenza “inutile” e gratuita.

La Seconda Guerra Mondiale Se Einstein fosse rimasto in Germania e fosse scampato come ben pochi all’olocausto ebraico, avrebbe assistito da li a poco alla distruzione della Cecoslovacchia (marzo ’39) che determinò l’inizio delle conquiste dell’impero nazista. In risposta alle mire tedesche sulla Polonia, Francia e Inghilterra conclusero un’alleanza con questo paese. Decisivo divenne a quel punto l’atteggiamento dell’Urss: ma, per reciproche diffidenze, le trattative fra sovietici e anglo-francesi si arenarono. Garantitosi a est con il patto di non aggressione con l’Urss, Hitler potè attaccare subito dopo la Polonia (1° Settembre 1939). Francia e Inghilterra dichiararono guerra alla Germania mentre l’Italia – che da poco aveva concluso il “patto d’acciaio” con i tedeschi – annunciò la ‘non belligeranza’. La conquista tedesca della Polonia fu rapidissima, grazie al nuovo tipo di “guerra-lampo” praticato dai tedeschi (uso congiunto di aviazione e mezzi corazzati). Nei primi mesi la guerra si svolse in pratica solo a nord: la Russia attaccò la Finlandia, la Germania occupò la Danimarca e Norvegia. Nel maggio-giugno 1940 l’offensiva tedesca sul fronte occidentale si risolse in un travolgente successo: la parte centro-settentrionale della Francia fu occupata dai tedeschi, mentre la sovranità francese si esercitava su quella meridionale (la Repubblica di Vichy), di fatto subordinata alla Germania. L’impero hitleriano aveva raggiunto la sua massima espansione, ma non durò a lungo grazie alla lotta tenace dell’Inghilterra rimasta sola, alla reazione dell’URSS di li a poco attaccata e all’entrata in guerra degli USA.

La bomba atomica Nel 1945 i tedeschi dovettero arretrare su entrambi i fronti, sotto la pressione di anglo-americani e russi, penetrati in Normandia e nell’Italia. Il 25 aprile, mentre la Resistenza proclamava l’insurrezione generale, l’Italia era liberata dalle forze alleate (Mussolini fu allora giustiziato dai partigiani). Pochi giorni dopo, entrati i russi a Berlino, la Germania capitolava. La guerra era finita, in Europa...ma proseguiva in Asia, nel Pacifico contro il Giappone. Si potè considerare terminata solo il 2 settembre, dopo la triste decisione da parte del governo statunitense di far esplodere due bombe atomiche su Hiroshima e Nagasaki. Questo ordigno di incredibile potenza distrusse totalmente le due città

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provocando centinaglia di migliaia di morti con effetti di lungo periodo per chi era stato contaminato dalle radiazioni. Era un’arma a fissione nucleare sperimentata le prime volte nel deserto del Nuovo Messico a Alamogordo. Fu Harry Truman, il nuovo presidente degli USA, ad acconsentirne l’utilizzo per velocizzare la guerra e mostrare la potenza militare americana. Molti scienziati illustri quali l’italiano Fermi, Feynman e Teller vi lavorarono nel progetto Manhattan diretto da Oppenheimer. Einstein che invece disprezzava la violenza e la guerra fu, suo malgrado, doppiamente coinvolto nella realizzazione della bomba atomica di cui è considerato padre putativo: in primo luogo perchè uno dei risultati della teoria della relatività, riguardante la cosiddetta equivalenza massa-energia E=mc2, rappresentò il punto di partenza del successivo sviluppo dell' energia nucleare; in

secondo luogo perchè si deve al suo intervento (voluto da altri) se il governo degli Stati Uniti d' America mise a disposizione i capitali che portarono alla costruzione della bomba di Hiroshima. In una lettera al presidente Roosvelt infatti egli aveva suggerito di sviluppare il nucleare...ma come fonte energetica! Fu l’unico infatti a mettere in guardia il presidente contro il rischio di un’arma letale come quella che si stava costruendo. Dopo la seconda guerra mondiale, Einstein cercò in tutti i modi di favorire la pace nel mondo, promuovendo una vasta campagna popolare contro la guerra e le ersecuzioni razziste. Proprio una settimana prima di morire, insieme ad altri sette Nobel, compilò una dichiarazione pacifista contro le armi nucleari. Questo messaggio all'umanità, che rappresenta una specie di testamento spirituale dello scienziato, termina con queste parole: “Noi rivolgiamo un appello come esseri umani a esseri umani: ricordate la vostra umanità e dimenticate il resto. Se sarete capaci di farlo è aperta la via di un nuovo paradiso, altrimenti è davanti a voi il rischio della morte universale”

Fat Man Little boy

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La Teoria della Relatività Prima di Einstein il concetto di relatività già esisteva: si trattava del principio di relatività galileiana che fu ben presto riconosciuto come uno dei fondamenti della scienza moderna: rinunciare ad esso equivaleva infatti a negare la possibilità di descrivere il mondo fisico con leggi semplici e universali. Dopo Galileo, pertanto, nessuno osò mettere in discussione il principio di relatività; anzi sembrava del tutto ovvio ritenere che qualunque legge fisica che in futuro si sarebbe potuta scoprire avrebbe “ naturalmente” rispettato tale principio. Questa fede nel principio di relatività venne tuttavia profondamente scossa dalle scoperte e dalle nuove teorie che irruppero sulla scena nella seconda metà del sec. XIX. Per usare le parole di Kelvin, la fisica e l’intera scienza, dopo quasi tre secoli di ininterrotti successi, sembrava avviata verso una crisi inevitabile.

a) Il problema dell’etere La luce aveva bisogno di un mezzo per propagarsi? Come poteva esistere l’etere?

b) Il problema della velocità della luce L’etere avrebbe dovuto condizionare la velocità della luce secondo la relatività galileiana. Gli esperimenti condotti da Michelson a partire dal 1880 basati su questo presupposto fallirono. Perchè?

c) L’elettromagnetismo e il principio di relatività Le equazioni di Maxwell contengono il prodotto di due costanti e0 e µ0 e risolvendole si trova che qualunque perturbazione del campo elettromagnetico si propaga nel vuoto con una velocità data da: Sorge allora il dilemma: dobbiamo rinunciare al principio di relatività o cercare di modificare le equazioni di Maxwell?

La situazione era a questo punto quando, intervenne nel dibattito un giovane e ancora sconosciuto ingegnere tedesco che a quel tempo lavorava presso l’Ufficio Brevetti di Zurigo: Albert Einstein.

La relatività ristretta La nuova teoria di Einstein si fonda su due postulati:

1. Postulato di relatività: tutti i sistemi inerziali sono equivalenti per la descrizione e spiegazione dei fenomeni

2. Postulato di costanza della velocità della luce: la velocità della luce assume lo stesso valore rispetto a qualunque osservatore

Mentre il primo postulato riafferma il principio galileiano, il secondo ci dice che comunque ci muoviamo la velocità della luce sarà sempre uguale a c (˜ 300000 km/s). I problemi in questo modo vengono così risolti:

a) Il concetto di etere è privo di significato fisico: l’etere non esiste! b) Gli esperimenti falliti non sono dovuti a una “congiura della natura” come

diceva Poincaré ma al fatto che l’etere non esiste. c) La velocità della luce, costante in tutti i sistemi, non pone un sistema

privilegiato e quindi le quazioni di Maxwell soddisfano automaticamente il principio di relatività.

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La dilatazione dei tempi In fisica ha senso parlare di “tempo” soltanto se possiamo disporre di un sistema segnatempo. A tal proposito usiamo in questo caso un tipo di orologio inconsueto: l’orologio a luce. Esso si compone essenzialmente di una lampada in grado di emettere brevi lampi di luce, di uno specchio posto a una certa distanza d dalla lampada e da un fotorivelatore, ossia un congegno in grado di emettere un segnale quando viene colpito dalla luce; il fotorivelatore si trova molto vicino alla lampada. Quando la lampada emette un lampo di luce, questo giunge sullo specchio, viene riflesso e giunge sul fotorivelatore, il quale emette il

segnale; questo segnale aziona il contatore e, al tempo stesso, la lampada che emette un’altro lampo e il ciclo si ripete. Considerato un raggio di luce, questo si muove di moto rettilineo uniforme quindi per percorrere la distanza 2d di andata e ritorno, applicando le formule, impiegherà un tempo t pari a: Questo nell’ipotesi sia in quiete. Le cose cambiano invece se l’orologio è in movimento. In questo caso infatti il percorso della luce non è d ma l’ipotenusa del triangolo AA’B come è mostrato in figura. Il percorso completo è rappresentato dai lati uguali del triangolo isoscele di base v t’ dove v è la velocità si movimento dell’orologio.

Applicando il teorema di pitagora nel triangolo AA’B possiamo mettere in relazione la vecchia distanza d con la nuova c t’.

...da cui sostituendo si ha:

Il risultato a cui si arriva ci fa dedurre che gli scatti dell’orologio in moto sono separati da intervalli di tempo più lunghi rispetto agli scatti dell’orologio in quiete. Si ha avuto dunque una dilatazione dei tempi! Questo accade sempre per qualsiasi corpo in movimento:

”La durata di un fenomeno visto in movimento risulta uguale alla durata dello stesso fenomeno visto in quiete, moltiplicata per un fattore gamma, detto fattore relativistico”

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La contrazione delle lunghezze Altra conseguenza della relatività einsteniana è la contrazione delle lunghezze. Per questo consideriamo il solito orologio in movimento, ma in orizzontale. La lunghezza AB che percorre la luce è data dalla formula:

Questo nel caso sia in quiete. Nel caso sia in moto di velocità v si ha invece che la luce parte dal punto C e finisce nel punto B’ ossia:

Nel viaggio di ritorno dallo specchio la luce parte da D e torna a A’’’ avendo così:

Nel primo caso:

Nel secondo caso:

Considerando che il tempo totale è dato da e che t’ e t’’ sono:

si ha automaticamente attraverso qualche semplice passaggio aritmetico che:

La lunghezza l’ finale risulta quindi contratta di un fattore 1/ . Questo si verifica per ogni lunghezza in movimento. Ovviamente si nota come il fattore relativistico:

per v

0, si ha = 1, e quindi tutto rimane invariato (si tratta di velocità piccole, come quelle della meccanica newtoniana)

per v

c, si ha =8 , e quindi i tempi tendono a essere infiniti e le lunghezze nulle (si parla in questo caso di velocità relativistiche)

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Quantità di moto e Energia cinetica relativistica La dilatazione dei tempi e la contrazione delle lunghezze influenza dunque tutta la fisica classica e dà vita alla fisica relativistica. In particolare presentiamo due esempi influenzati dal fattore relativistico appena scoperto.

Consideriamo la quantità di moto classica, essa sarà:

Se consideriamo invece il fatto che la quantità di moto si riferisce a corpi in movimento allora dovremmo tener conto, per essere precisi, del fatto che t

è un tempo dilatato rispetto all’originale e quindi sarebbe più opportuno scriverlo come t’. La quantità di

moto diventa perciò espressa in funzione di t

come:

La quantità di moto relativistica risulta dunque essere espressa da:

Inoltre essendo la velocità della luce una barriera non superabile da alcun oggetto in movimento risulta inadatta la classica definizione di energia cinetica. Infatti osservando sperimentalmente l’andamento dell’energia

cinetica rispetto alla velocità, si nota che mentre a velocità basse si ha un andamento lineare la situazione cambia notevolmente a velocità relativistiche. Risulta dunque generale un’altra relazione data da:

In queste equazioni m0 rappresenta la massa a riposo (o massa di quiete) del corpo considerato, mentre m è la sua massa relativistica. In altre parole per continuare ad accettare il principio di conservazione dell’energia, la teoria della relatività ha dovuto abbandonare il familiare concetto secondo cui la massa di un corpo è costante. Quest’ultima grandezza, al contrario, aumenta man mano che aumenta la velocità del corpo stesso. Una variazione di massa genera una variazione di energia esprimibile come:

Da cui la famosa formula, che sancisce la relazione di equivalenza tra massa ed energia e ha aiutato scienziati a capire meglio i fenomeni energetici che un tempo non venivano compresi. Prime tra tutti, le reazioni nucleari, in particolar modo quelle generate all’interno delle stelle come il nostro sole.

La relatività generale Einstein, quando arrivò a completare la Teoria della Relatività Ristretta, non si riteneva ancora soddisfatto, perchè tale teoria non si occupava della forza di gravità. Riassumendo sinteticamente il risultato della teoria generale: “Un campo gravitazionale curva lo spazio-tempo”. Quindi ogni massa genera una curvatura dello spazio-tempo ormai da intendere come un’unica realtà. Infatti ogni punto dello spazio, alla luce della teoria relatività, deve essere descritto attraverso quattro coordinate come P(x, y,z,t).

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In un universo quadridimensionale grandi masse, come quelle dei corpi celesti, piegano il tessuto spaziotemporale come dei sassi su un panno.

Più i corpi sono pesanti, più si creano curvature dello spazio accentuate. A tal proposito sicuramente sono da sottolineare stelle densissime come le stelle a neutroni, che creano immense deformazioni spaziotemporali.

Oppure i buchi neri, che curvano lo spazio tempo tanto da creare delle singolarità ossia dei punti in cui la densità del corpo è infinita. Se lo spazio curva, anche la luce che attraversa lo spazio è soggetta a deviazioni! Questa stravolgente ipotesi Einstein non potè verificarla direttamente, ma ciò fu possibile durante un’eclissi di sole dopo che furono prototipate attrezzature adatte allo scopo. Si scoprì quello che venne definito “lente gravitazionale” ossia uno sdoppiamento dell’immagine che avviene a causa della deflessione dei raggi luminosi per opera di un corpo, come la nostra stella, che ha una grande forza gravitazionale. Talvolta i raggi luminosi vengono deviati talmente tanto da chiudersi in sè stessi e non uscire più a sfuggire all’attrazione del corpo. Questo avviene nei buchi neri su citati, e ciò ne spiega anche il nome. Infatti essi risultano “buchi” in quanto pozzi dello spaziotempo e “neri” perchè non lasciano sfuggire segnali luminosi.

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Le teorie cosmologiche Dall’antichità fino agli anni ’20 dello scorso secolo si pensava che l’universo fosse statico cioè che fosse sempre stato così com’era: immobile, eterno e finito cioè presupponeva il concetto di creazione. La cosmologia moderna nasce invece proprio con la relatività generale di Einstein di cui prima abbiamo parlato e con le osservazioni di Edwin Hubble che nel 1928 mostrarono come le galassie si allontanano le une dalle altre. Einstein cercò di salvaguardare la teoria statica aggiungendo nelle 16 equazioni di campo gravitazionale la costante cosmologica , ma il problema era che il valore fisico riscontrabile doveva essere esattamente uguale a quello matematico per mantenere in equilibrio l’universo perchè qualsiasi approssimazione ne avrebbe causato un collasso o un’espansione. Alla teoria statica si sostituirono dunque due altre teorie: quella stazionaria e quella evolutiva basata sulla teoria del Big Bang.

La teoria stazionaria Sviluppata nel 1948 da Fred Hoyle oggi è considerata superata e si basava sul principio cosmologico perfetto secondo il quale l’universo ha un’identità spaziale e temporale, il che significa che osservandolo nello stesso istante da due punti di vista diversi ci apparirebbe comunque uguale. Sembrerebbe una teoria statica, ma invece ammette la recessione delle galassie: ogni galassia si forma, si evolve e si allontana, facendo diminuire la densità media dell’universo. Ciò sembra negare il principio cosmologico perfetto ma quest’apparente contraddizione viene risolta supponendo che dal nulla, o meglio da Nuclei Galattici Attivi, si origini dell’idrogeno che poi formerebbe nuove galassie che andrebbero a riempire lo spazio vuoto lasciato dalle galassie recesse. Anche se la materia non può originarsi dal nulla assoluto nè tantomeno è verificata l’esistenza di tali nuclei, ammettendo che ciò possa accadere ugualmente nel modello stazionario resterebbero costanti sia la densità media che l’età media dell’universo (per una galassia che muore, ne nasce una nuova).

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Ci sono invece due obiezioni da fare a questa teoria: 1) La densità non rimane affatto costante. Un esempio ne sono i quasar: più ci si

allontana dalla terra e più sono numerosi. Essendo poi lontanissimi i segnali visivi che ci inviano oggi risalgono praticamente alle origini dell’universo (circa 10.000.000.000 di anni fa)

2) Esiste una radiazione fossile o radiazione di fondo (scoperta nel 1964 e abbreviata in CBR, da Cosmic background radiation) corrispondente ad una temperatura di circa 3°K. Questa sarebbe un’eco, proveniente isotermicamente da ogni direzione dell’universo, dell’originaria esplosione detta Big Bang.

[Nella figura precedente si notano i rilevamenti e l’evoluzione dello studio della CBR dai primi dati raccolti da Penzias e Wilson fino agli ultimi della sonda WMAP]

La teoria evolutiva La teoria evolutiva si basa invece sul principio cosmologico ordinario: c’è uniformità spaziale ma non temporale, cioè l’universo è isotropo (uguale da ogni punto di vista) ma varia nel tempo. Nel 1946 l’americano George Gamow propose la teoria chiamata Big Bang con intento derisorio proprio da Hoyle. Essa prevede un’esplosione da una singolarità iniziale convenzionalmente collocata a un tempo cosmico uguale a 0. Lo studio dell’evoluzione dell’universo è riuscito a riportarci indietro di 20 miliardi di anni fa, fino ai primi 10-43 secondi dopo la grande esplosione, cioè al momento in cui iniziò a formarsi materia e le varie forze iniziarono a separarsi: è il “tempo di Planck”. Prima di questo istante c’era la singolarità, ma come ha potuto crearsi? Secondo teorici come Hawking l’intero universo potrebbe essere comparso dal nulla che vibrava quantisticamente nella dimensione di 10-34 cm che racchiudeva in se tutta l’energia. Solo con l’esplosione l’energia sarebbe evoluta in materia, ma avvenne così rapidamente che è necessario introdurre la teoria inflazionaria un modello proposto da Alan Guth che prevede nei primi secondi dell’universo una gravità repulsiva che avrebbe generato una grande espansione dello spazio detta inflazione. Nei primi istanti di vita dell’universo si distinguono:

Da 10-43 a 10-35 secondi: Era dei Quark Si creano le prime particelle, i quark e i relativi antiquark

Da 10-35 a 10-12 secondi: Era della Grande Unificazione Avviene l’inflazione e essendo la materia leggermente maggiore prevale sull’antimateria nei processi di annichilazione.

Da 10-12 a 10-6 secondi: Era Elettrodebole Si separano la forza debole e quella elettomagnerica

Da 10-6 a 10-3 secondi: Era degli Adroni I quark si uniscono formando protoni e neutroni

Da 10-3 a 1 secondo: Era dei Leptoni Nell’universo sono presenti elettroni, positroni, neutrini, antineutrini e fotoni.

Da 1 secondo a 3 minuti: Era della Nucleosintesi Si formano i primi atomi, elementi leggeri quali deuterio, elio e idrogeno.

Fino a 379000 anni dopo: Era della Ricombinazione Si formano tutti gli altri atomi dell’universo e diminuisce la temperatura.

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La fine dell’Universo Lo spaziotempo si può rappresentare come una superficie sferica in cui il raggio rappresenta il tempo e la superficie è lo spazio tridimensionale, immaginando appunto che una superficie bidimensionale abbia tre dimensioni. Applicando questo modello all’universo, le stelle e le galassie e tutti i corpi celesti sono disposti sulla superficie sferica. Andando indietro nel tempo il raggio diminuirebbe progressivamente e si arriverebbe infine alla condizione r = 0 cioè t = 0 cioè l’inizio del tempo. In tale singolarità (punto di densità infinita) lo spazio non è nullo, perché anche un punto è unidimensionale. Non potendo più ammettere l’esistenza di spazi vuoti in cui le galassie recedono, sono le galassie stesse che recedendo creano spazi vuoti secondo un processo detto inflativo cioè in cui il tempo “gonfia lo spazio”. Ma una domanda è d’obbligo: quest’espansione avrà mai fine? Gli scienziati concordano ormai tutti sul fatto che l’universo non è statico, ma evolve. In quale direzione però, resta ancora un mistero. La durata dell’espansione dell’universo dipenderà dalla sua massa, infatti secondo la relatività la materia curva lo spaziotempo e la curvatura è espressa dal parametro K. Nel 1922 il sovietico Friedmann mostrò che esistono modelli di universo diverso al variare di K. 1. (Modello Ellittico) Se K > 0 l’entità della curvatura tende a chiudere l’universo, che

risulterà perciò di forma sferica, chiuso e finito. Questo significa che l’espansione dell’universo si fermerà. Ciò accade se la densità dell’universo 0 risulta maggiore della densità c detta critica perchè teorizzata per arrestare la recessione all’infinito (attualmente calcolata 5x10-30 g/cm3).

Come nella balistica quando la gravita riesce a controbilanciare l’energia cinetica di un proiettile, questo cade a terra, analogamente quando la gravitazione netta dell’universo controbilancerà la velocità di recessione esso collasserà su se stesso. Essendo la gravitazione una forza continua dopo una fase di espansione consegue un’implosione dove tutte le tappe evolutive vengono percorse in senso contrario: si tratta del Big Crunch, speculare al Big Bang. Le parti si scontrano e si fondono arrivando e alla fine si avrà un universo superpiccolo, superdenso e supercaldo. A questo punto potrebbe esserci una nuova fase di espansione e quindi si parla di universo pulsante o oscillante caratterizzato da Big Bang e Big Crunch.

2. (Modello Parabolico) Se K = 0 l’entità della curvatura tende a eliminare le curvature e l’universo risulterà perciò di piatto, aperto e infinito. Ciò accade se la densità dell’universo 0 risulta uguale alla densità teorica c. Un’universo del genere ha una

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densità tale per cui resce a malapena a sfuggire alla forza di gravità: l’espansione continua per sempre, ma la velocità di espansione diminuisce costantemente.

3. (Modello Iperbolico) Se K > 0 l’entità della curvatura tende a creare una forma a sella e l’universo risulterà aperto e infinito. Ciò accade se la densità dell’universo 0

risulta minore della densità critica c. Un’universo del genere è in espansione permanente e quindi il suo destino sarà un destino ‘a freddo’: le galassie si allontanano sempre di più le une dalle altre e le stelle progressivamente si spengono; i grandi buchi neri, dopo aver inghiottito parte della materia, evaporano per effetti quantistici e alla lunga i protoni decadono in raggi gamma, in modo che alla fine resta solo un “brodo” di radiazione sempre più fredda.

Anche il precedente modello parabolico ha una fine a freddo ma a differenza di questo risulta meno energetico, e la recessione si ferma teoricamente all’infinito.

Stabilito ora come parametro di densità il seguente, in base al suo valore è possibile riepilogare i vari modelli nella seguente tabella. Il valore di densità 0 più accreditato è 5x10-31 g/cm3 quindi risulteremmo in un universo iperbolico in espansione. Ma il metodo di calcolo, seppur il più

accreditato, non è completamente attendibile perchè non riesce a calcolare la materia presente negli spazi intergalattici.

Geometria e densità dell’universo Geometria dello spazio

Curvatura dello spazio

Tipo di universo

Densità dell’universo ( 0)

Parametro di densità O0

Sferico Positiva Chiuso 0 > c O0 >1 Piatto Nulla Piano 0 = c O0 =1

Iperbolico Negativa Aperto 0 < c O0 <1

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Le geometrie non euclidee

Spazi curvi come quelli degli universi precedenti sono regolati da diverse geometrie a cui è necessario fare un accenno. Infatti mentre l’universo parabolico ha una geometria euclidea (come quella che si studia nelle scuole!) gli altri presentano geometrie diverse dette appunto non euclidee. Tali geometrie sono valide di per sè perchè si basano su concezioni di spazio differenti e dunque su diversi postulati. Si mina in particolare il V postulato di Euclide che dice che per un punto passa solo una retta parallela a un’altra. In effetti critiche teoriche hanno portato diversi matematici quali Saccheri e Lobacevskij a concludere che per quello stesso punto possono passare più di una parallela. Si inaugurò così la geometria iperbolica (caso c delle figure precedenti). La geometria ellittica invece (caso a), elaborata da Riemann, suppone che non esistono rette parallele, ossia due rette hanno sempre un punto in comune. Tale geometria considera le n-ple coordinate di un punto ed è basata sulla geodetica ossia la linea più breve tra due punti. In uno spazio euclideo è una retta, sulla suferficie sferica è una linea curva. Si giunge alla conclusione che le proprietà geometriche dipendono dalla curvatura dello spazio: se la curvatura è costante lo spazio ha le stesse proprietà geometriche altrimenti varia (si ritorna alla costante K precedentemente vista). Ciò presuppone la possibilità di avere infinite geometrie valide e corrette che differiscono solo per curvatura.

Essendo assiomaticamente valide le varie geometrie, anche tutti i teoremi ad esse legati cambiano; tanto per fare un esempio se consideriamo i tre triangoli sopra rappresentati notiamo che:

1) Geometria ellittica: somma degli angoli interni > 180° 2) Geometria euclidea: somma degli angoli interni = 180° 3) Geometria iperbolica: somma degli angoli interni < 180°

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Edwin Abbott Come abbiamo visto la realtà che ci circonda ha tre dimensioni e se a queste si aggiunge il tempo, il risultato è uno spazio con quattro dimensioni, lo spazio-tempo. Quindi oggi sappiamo di vivere in un universo quadridimensionale, tuttavia già in epoca vittoriana un reverendo inglese aveva preceduto quest’idea oggi scientificamente provata di un mondo a più dimensioni: si tratta di Edwin Abbott con il suo romanzo “a più dimensioni” chiamato Flatlandia.

Edwin Abbott Abbott (December 20, 1838 – 1926), was an English schoolmaster and a theologian. Abbott was born in London and was the eldest son of Edwin Abbott (1808–1882), headmaster of the Philological

School, Marylebone, and his wife, Jane Abbott (1806–1882). His parents were first cousins. He was educated at the City of London School and at St John's College, Cambridge, where he took the highest honours in classics, mathematics and theology, and became fellow of his college. In 1862 he took orders. After holding masterships at King Edward's School, Birmingham, and at CliftonCollege, he succeeded G. F. Mortimer as headmaster of the City of London School in 1865 at the early age of twenty-six. He reintroduced the classical pronunciation of latin and the obbligatory study of chemistry and philology. Abbott wrote his most famous work, Flatland: a romance of many dimensions (1884), under the pseudonym of A. Square. The book has seen many editions, the sixth edition of 1953 being reprinted by Princeton University Press in 1991 with an introduction by Thomas Banchoff. Flatland is an account of the adventures of A Square in Lineland and Spaceland. In it Abbott tries to popularise the notion of multidimensional geometry but the book is also a clever satire on the social, moral, and religious values of the period. He retired in 1889, and devoted himself to literary and theological pursuits. Dr. Abbott's liberal inclinations in theology were prominent both in his educational views and in his books. His Shakespearian Grammar (1870) is a permanent contribution to English philology. In 1885 he published a life of Francis Bacon. His theological writings include three anonymously published religious romances: Philochristus (1878), Onesimus (1882), and Sitanus (1906). More weighty contributions are the anonymous theological discussion The Kernel and the Husk (1886), Philomythus (1891), his book The Anglican Career of Cardinal Newman (1892), and his article "The Gospels" in the ninth edition of the Encyclopædia Britannica, embodying a critical view which caused considerable stir in the English theological world. He also wrote St Thomas of Canterbury, his Death and Miracles (1898), Johannine Vocabulary (1905), Johannine Grammar (1906).

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Flatland A Romance of Many Dimensions (1884)

Flatland is a classic 19th century novel by Edwin Abbott Abbott, still popular among mathematics and computer science students, and considered useful reading for people studying topics such as the concept of other dimensions. As a piece of literature, Flatland is respected for its satire on the social hierarchy of Victorian society.

The story is divided in three parts: 1) In a two dimensional world : Flatland.

The narrator, a humble square (named A. Square), guides us through some of the implications of life in two dimensions. 2) In a one dimensional world: Lineland.

A. Square dreams of a visit to Lineland, and attempts to convince the realm's ignorant monarch of a second dimension. 3) In a three-dimensional world: Spaceland.

The narrator is visited by a three-dimensional sphere, which he cannot comprehend until he sees the third dimension for himself.

In Flatland… Flatland is described like a world with an history, social classes and particular laws. In the book, men are portrayed as polygons whose social class is directly proportional to the number of sides they have (And polygons with angles of greater degree have all the more room for a brain); therefore, triangles, having only three sides, are at the bottom of the social ladder and are considered generally unintelligent, while the Priests are composed of multisided polygons whose shapes approximate a circle, which is considered to be the "perfect" shape. The role of women is explained, along with this class system, both of which are a satire of Victorian society at the time. The female population is comprised only of lines, who are required by law to sway back and forth as they walk, due to the fact that when a line is coming towards an observer in a 2-D world, it appears merely as a point. A. Square talks of accounts where men have been killed (both by accident and on purpose) by being stabbed by women. This explains the need for separate doors for women and men in buildings. The population of Flatland can "evolve" through the Law of Nature, which states:

“a male child shall have one more side than his father, so that each generation shall rise (as a rule) one step in the scale of development and nobility. Thus the son of a Square is a Pentagon; the son of a Pentagon, a Hexagon; and so on”

This rule is not the case when dealing with isosceles triangles (Soldiers and Workmen), for their evolution occurs through eventually achieving the status of an equilateral triangle, removing them from serfdom. The most acute angle of an isosceles triangle gains thirty minutes (half a degree) each generation. Additionally, the rule does not seem to apply to many-sided polygons; often the sons of several hundred-sided polygons will often develop fifty or more sides than their parents.

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{In the next pages there are many disigns about the social classes of Flatland. It is possible to see that all figures are different only on the horizontal plane but they are equal if we see them lateral or in front of. So, how do the flatlanders recognize them?}

In the world of Flatland, classes are distinguished using the "Art of Feeling" and the "Art of Sight Recognition". Feeling, practiced by the lower classes and women, determines the configuration of a person by feeling one of their angles. The "Art of Sight Recognition", practiced by the upper classes, is aided by "Fog", which allows an observer to determine the depth of an object. With this, polygons with sharp angles relative to the observer will fade out more rapidly than polygons with more gradual angles.

The book… The book poses several interesting thoughts, including the idea that higher dimensional beings have god-like powers over lesser dimensions. In the book, the three-dimensional Sphere has the ability to stand inches away from a Flatlander and observe them without being seen, can remove flatland objects from closed containers and "teleport" them via the third dimension apparently without traversing the space in between, and is capable of seeing and touching the inside and outside of everything in the two dimensional universe. The book implies the possibility that higher dimensions than three exist (like now! Einstein demonstrated that there is a four-dimensional world with the space-time), implies a satirical description of Victorian life, and teaches a lesson about ignorance, closed-mindedness, and self-satisfaction.

Tavole della

The Victorian Compromise

The word ‘victorian’ derives from Queen Victoria who ruled for more than half a century, from 1867 to 1901, and became the symbol of the nation. It was a complex and contradictory era: on the one hand, it was the age of progress, stability and great social reforms, on the other, it was also characterized by poverty, injustice and social unrest. The Victorians were great moralizers: they felt obliged to support certain values which offered solutions or escapes. So they promoted a code of values that reflected the world as they wanted it to be, not as it really was, based on personal duty, hard work, respectability and charity.

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suddivisione sociale di Flatland

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Influenze nell’arte del ‘900 La concezione si spazio e tempo nell’arte moderna è cominciata a cambiare gradualmente. In questo campo il nostro ‘viaggio’, la nostra riflessione, parte dall’abolizione di uno spazio tridimensionale, contornato di chiaroscuro e prospettiva per arrivare alla bidimensionalità, come nelle opere di Magritte ad esempio. Poi con il Cubismo si è iniziati a rappresentare la realtà nel modo più vero possibile considerandola contemporaneamente in tutti i suoi istanti e in tutte le sue molteplici viste. Arrivando infine al futurismo, il movimento viene scomposto fotograficamente in modo che i singoli momenti diventino protagonisti essi stessi. E’ così che si inaugura un nuovo modo di percepire la realtà, ma la percezione viene così condizionata che raggiunge il suo apice nel Surrealismo. Tale corrente di pensiero fu inaugurata nel 1924 dal “manifesto” scritto dal poeta francese André Breton che ne diede vere e proprie definizioni enciclopediche, definendo la surrealtà come la realtà assoluta espressa da un automatismo psichico puro. Si nota, seppur fugacemente, come tale corrente di pensiero sia stata influenzata dalla psicanalisi di Freud, ma probabilmente anche la relatività di Einstein ha avuto la sua influenza, vediamolo... L’arte surrealista dà la possibilità all’inconscio di esprimersi e il fine comune che raggiungono i vari artisti, attraverso procedimenti diversi, è lo spostamento del senso, ossia la trasformazione delle immagini, che normalmente siamo abituati a vedere in base al senso comune, in immagini che ci trasmettono l’idea di un diverso ordine della realtà. Tra i surrealisti, chi più gioca con gli spostamenti del senso, è il pittore belga René Magritte (1898-1967). Dopo aver scoperto la pittura di De Chirico, si avvicinò nel 1927 al Surrealismo, divendone uno dei principali protagonisti. I suoi quadri sono realizzati in uno stile da illustratore, di evidenza quasi infantile. Nell’opera di Magritte è possibile trovare un po’ tutti gli elementi e le tecniche del surrealismo. Egli gioca con le immagini e le parole, accostando oggetti e nomi non loro, oppure disegnando una pipa e scrivendoci sotto che quella non è un pipa. Gioca con il rapporto tra immagine naturalistica e realtà, proponendo immagini dove il quadro nel quadro ha lo stesso identico aspetto della realtà che rappresenta, al punto da confondersi con esso. Combina, nel medesimo quadro, cieli diurni e paesaggi notturni. Accosta, sospesi nel cielo, una nuvola ed un enorme masso di pietra. Trasforma gli animali in foglie o in pietra. Fa ritratti, dei quali nasconde la parte più significativa, il volto. Fa baciare due persone tra loro con la testa completamente coperta da un lenzuolo bianco. Il suo è un surrealismo molto mentale, anche se ha contenuti di una poesia lieve e suggestiva e ha l’obiettivo di far riflettere l’osservatore. A tal proposito consideriamo il quadro La Durèe poignardèe (La durata pugnalata) 1938 - Olio su tela,cm 147 x 99 - Chicago, The Art Institute, - The Joseph Winterbotham Collection, e poniamo le nostre riflessioni a riguardo. Spiega Magritte in una lettera: “L’immagine di una locomotiva è immediatamente familiare, ma il suo mistero non è percepito. Perché il suo mistero sia evocato, un’altra immagine immediatamente familiare – priva di mistero – l’immagine di un caminetto da sala da pranzo è stata unita all’immagine della locomotiva… Ho pensato di unire l’immagine di una locomotiva all’immagine di un caminetto da sala da pranzo in un momento di ‘presenza di spirito’ . Intendo con questo un momento di lucidità che nessun metodo può far comparire. Si manifesta allora soltanto la potestà del pensiero”.

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La citazione è significativa, perché Magritte chiarisce che, se c’è un metodo che gli permette di risolvere un problema, la fase centrale di questo processo è sempre istintiva, istantanea e inesplicabile. Per questo non deve stupire se Magritte, apparentemente l’artista più freddo e “mentale “ del Surrealismo, parli spesso – e senza alcuna remora – di ispirazione: la sua mente riflette su una serie circoscritta di problematiche, ma la soluzione è sempre conseguenza di un’intuizione, giunge inattesa. Ed è precisamente qui, al di là di qualsiasi ripresa formale o contenutistica, che si avverte il legame che affianca due opere per molti versi diversissime come quella di Magritte e de Chirico: per entrambi l’opera nasce solo quando un momento particolare di presenza di spirito consente di guardare alla realtà con occhi vergini e non contaminati dall’abitudine. L’elemento, non dichiarato, che accomuna il treno e il caminetto è il fumo, che esce dalla locomotiva e sale lungo la canna fumaria del camino: ma l’accostamento fa emergere anche una dialettica più profonda, che oppone il viaggio e l’ambiente domestico, la casa e l’avventura, la novità e l’abitudine. L’orologio, impostato su un’ora meridiana come nelle piazze dechirichiane, sembra dichiarare che le intuizione di Magritte sono lucide e diurne e hanno bisogno della luce del sole, non dell’oscurità della notte.

Osservando il quadro si notano i seguenti elementi costitutivi: Lo specchio : è un elemento piuttosto frequente nei quadi di Magritte. Qui vi sono riflessi soltanto i candelabri e l’orologio, che appaiono sospesi in uno spazio vuoto, in modo da sottolinearne l’importanza La candela : la luce forte e innaturale sottolinea ed evidenzia i singoli oggetti, compresi i candelabri che, non a caso, sono privi di candele e quindi di luce. L’orologio : è il simbolo del tempo. Il fumo : la velocità della locomotiva è enfatizzata dal fumo che usa il camino come via d’uscita. La locomotiva : la sua presenza, se pur sottolineata dalla forte ombra, è resa irreale dalla mancanza totale dei binari. Il camino : è chiaramente legato ai concetti di calore, di focolare, di casa e di famiglia

La visione di questo quadro ha però fatto riflettere in modo diverso alcuni scienziati i quali non si sono limitati a un’interpretazione di accostamento tra il quotidiano e il lontano, ma sono passati a riflettere sul tempo che viene trafitto: probabilmente è stato trafitto dalla relatività di Einstein. Esso infatti rimane li immobile segnato sull’orologio ma è nello stesso tempo continuamente in movimento. Lo spazio è sterile e privo di luce, e la locomotiva, utilizzata più volte da Einstein nella sua esposizione divulgativa della teoria della relatività, rompe l’armonia del quadro e si staglia dirompente nella quotidianetà e la tranquillità dell’ambiente. Ma se in questo caso l’influenza di Einstein è solo supposta, esiste invece un altro caso in cui è effettivamente evidente. Si tratta del pittore spagnolo Salvador Dalì (1904-1989) altro vivo esponente del Surrealismo. Il suo però è un surrealismo così vissuto da risultare totalmente eccentrico. Dalì con il suo metodo paranoico-critico se ne stava ore davanti alla tela bianca ad aspettare l’intuizione che gli venisse dal suo inconscio, poi disegnava.

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Significativo nel nostro caso è il quadro La persistenza della memoria 1931- Olio su tela,cm 24 x 33. Si tratta di uno dei quadri più famosi nel quale si nota l’invenzione degli “orologi molli”.

“…E il giorno in cui decisi di dipingere gli orologi, li dipinsi molli. Accadde una sera che mi sentivo stanco e avevo un leggero mal di testa…A completamento della cena avevamo mangiato un camembert molto forte e, dopo che tutti se ne furono andati, io rimasi ancora a lungo seduto a tavola, a meditare sul problema filosofico della “ipermollezza” posto da quel formaggio…Quando, due ore dopo, Gala tornò dal cinema, il quadro, che sarebbe diventato uno dei miei più famosi, era terminato.”

Come abbiamo accennato, Dalí restò fortemente influenzato dagli sconvolgimenti teorici della fisica ad opera di Einstein. In quest’opera il maestro spagnolo ha voluto interpretare le indagini relativistiche sulla dimensione del tempo. La deformazione delle immagini è uno strumento per mettere in dubbio le facoltà razionali, che vedono gli oggetti sempre con una forma definita. L'orologio è lo strumento razionale per eccellenza che permette di misurare il tempo, e di dividerlo in modo da piegarlo alle esigenze pratiche e quotidiane. Deformando l'orologio, trasformandolo in una figura liquida, che sembra sciogliersi e adattarsi alle superfici su cui viene posta, Dalí invita l'osservatore a riconsiderare la dimensione del tempo, della memoria, del sogno e del desiderio, non sottoposta alle regole apparentemente logiche, nella quale il prima e il dopo si mescolano e lo scorrere delle ore e dei giorni accelera e rallenta a seconda della percezione soggettiva. Una interpretazione filosofica che ben si associa con le proprietà metriche dello spazio e del tempo concepite con la relatività di Einstein. Il tempo, inteso nella razionale successione di istanti meccanicamente determinati, viene messo in crisi dalla memoria umana, che del tempo ha una percezione che, in fondo, tanto razionale non è. La dilatazione o la contrazione del senso del tempo è una caratteristica che dipende dalla singola individualità, ma è sensazione certamente universale quella di avvertire lo scorrere del tempo secondo metri assolutamente personali. Sul lato sinistro Dalí dipinge un albero (simbolo di rinnovamento e ricrescita) ma qui la sua totale desolazione suggerisce il distruttivo trascorrere del tempo. In primo piano è possibile notare un particolare singolare: sopra un orologio ancora chiuso nel suo coperchio sono presenti delle formiche. Questi esseri minuscoli rappresentano l’aspetto psicologico del tempo, il cui trascorrere, nella soggettiva percezione umana, assume una velocità e una connotazione diversa, interna, che segue solo la logica dello stato d’animo e del ricordo. Alcuni critici azzardano l’idea che questa rappresentazione cadente e flaccida degli orologi nasconda un’ulteriore significato, ovvero il suo timore dell’impotenza. Naturalmente si preferisce tralasciare questo pensiero e soffermarsi semplicemente sulle teorie meno compromettenti, fermandosi sulle sue congetture sull’analisi temporale.

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Spazio e Tempo nel pensiero filosofico. Soprattutto in filosofia sono stati da sempre oggetto di riflessione sia lo spazio che il tempo. Nel corso dei secoli, a partire da Aristotele fino ai giorni d’oggi, sono state elaborate varie concezioni di questi due “enti” che caratterizzano e circondano la vita dell’uomo. E’ dunque necessario fare un piccolo ‘viaggio’ filosofico per comprendere sinteticamente le varie ipotesi proposte da alcuni filosofi per poi fare, in conclusione, una breve riflessione e sottolineare l’importanza della relatività dello spazio-tempo attuata da Einstein, che in un certo senso, era anche un pò filosofo…

Aristotele Ciascun elemento ha il suo luogo naturale e ogni oggetto si trova in un luogo, in uno spazio. Il luogo è il limite del corpo, la porzione di spazio che il corpo occupa. Non esiste un luogo a sé, uno spazio vuoto e senza corpi. Ne è prova la tendenza degli oggetti ad occupare il loro “luogo naturale” e l esperienza per la quale, non appena un corpo si sposta, un altro viene ad occupare il luogo in cui esso si trovava. A questa negazione del vuoto all interno dell universo si

accompagna un analoga negazione del vuoto all esterno dell universo stesso. Fuori dell’universo non può esserci uno spazio vuoto in quanto dove non c’è corpo non c’è neppure spazio. Se lo spazio esiste, sia pure come limite del corpo, come può esistere il tempo? Non si compone soprattutto di “ciò che non è più” (il passato) e di “ciò che non è ancora” (il futuro), quindi di parti che sono anche non-enti? Il presente non è un “istante”, quindi qualcosa di non misurabile e che non può essere parte del tempo? Aristotele risponde facendo anzitutto del tempo una risultante del movimento. Noi avvertiamo il trascorrere del tempo solo se avvertiamo che qualcosa muta, quindi “il tempo è il numero del movimento secondo il prima e il poi”. Ma poiché solo la coscienza dell’individuo è in grado di “numerare” il prima e il poi, allor oltre al movimento anche l’anima è condizione del tempo: senza di essa non ci sarebbe il tempo.

Sant’Agostino Qual è la natura del tempo? Nessuna nozione ci è più familiare e nota. “Ma – dice Agostino – se nessuno me lo chiede, io so che cosa è il tempo, ma se devo spiegarlo, allora non lo so.” sicuramente gli appartengono il passato, il presente e il futuro. Ma il presente per diventare tempo deve tramontare nel passato e il passato non esiste più, così come il futuro non esiste ancora. Il tempo, quindi, esiste in quanto tende a non esistere. Il tempo misura il movimento ma non è movimento.

Come possiamo misurare il tempo? Non siamo in grado di misurare il passato che non esiste più e il futuro che non esiste ancora. Neppure del presente possiamo individuare la durata, poiché esso è “l’istante fuggitivo”, cioè “quel punto che trasvola così rapidamente dal futuro al passato, da non avere alcuna estensione di durata”. Eppure in qualche modo esistono passato, futuro e presente. Ma dove hanno sede? Il

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passato è ricordo della memoria dell’uomo; il futuro è anticipazione e presentimento; il presente è attenzione a ciò che avviene. ma questa compresenza delle tre dimensioni del tempo è reale e possibile solo grazie all’anima. Il tempo può essere definito Distensio animi, il distendersi dell’anima del tempo. E’ distendersi come memoria del passato, attenzione al presente e attesa del futuro.

Isaac Newton “Il tempo assoluto, vero, matematico, in sé e per sua natura senza relazione ad alcunchè di esterno, scorre uniformemente ed è con altro nome chiamato durata. Quello relativo, apparente e volgare, è una misura esatta o inesatta, sensibile ed esterna della durata per mezzo del moto, e comunemente viene impiegata al posto del vero tempo. Tali sono l’ora, il giorno, il mese, l’anno.” Newton afferma che lo Spazio e il Tempo sono assoluti. A livello percettivo essi risultano limitati e parziali,mentre la matematica richiede una loro considerazione assoluta che ci permette, ad

esempio, di descrivere un corpo in una quiete assoluta che i nostri sensi non potrebbero mai accertare. Gli stessi tre principi della dinamica, su cui si regge l’intero modello newtoniano dell’universo, mancherebbero di un fondamento certo ove non avessero, come loro sistema di riferimento, quei concetti di spazio e tempo assoluti. Ad essi, per esempio, fanno riferimento i termini di quiete o di moto rettilineo uniforme con cui nel primo principio della dinamica si designa lo stato inerziale di un corpo. Oppure, è ad un’idea di spazio assoluto che si riferisce il cambiamento di stato di un corpo derivante dall’applicazione, ad esso, di una forza.

Immanuel Kant Kant trova la sua applicazione più significativa a proposito della conoscenza sensibile e, più precisamente, a proposito delle sue determinazioni spazio-temporali. Riflettendo su queste ultime Kant giunge a rifiutare le posizioni sia di Newton che di Leibniz. Spazio e Tempo non possono essere per lui né una realtà oggettivo-assoluta (come aveva affermato il primo), né tanto meno una dimensione relativa all’ordine delle cose (come voleva Leibniz).

Al contrario spazio e tempo che accompagnano indubitabilmente ogni nostra conoscenza sensibile si configurano come forme della nostra sensibilità: come principi che organizzano il materiale percepito con i cinque sensi. Attraverso spazio e tempo vengono connessi i dati forniti dalle sensazioni gli uni accanto agli altri nello spazio (contiguità) e gli uni dopo gli altri nel tempo (successione). Spazio e tempo, afferma Kant, in netta contrapposizione alle tesi di Berkeley e di Hume, non sono derivabili dall’esperienza empirica esterna. Entrambi, invece, sono trascendentali: sono infatti condizioni che si devono ammettere a priori, in modo universale-necessario, onde rendere possibile e pensabile la conoscenza sensibile. Entrambi, poi, sono soggettivi: nel senso che si fondano sul nostro modo di essere, e più precisamente sulla “costituzione soggettiva” della sensibilità.

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“se togliessimo di mezzo il nostro soggetto o anche solo la costituzione soggettiva della sensibilità in generale” scrive Kant a questo proposito “tutta la costituzione, tutte le relazioni degli oggetti nello spazio e nel tempo, anzi, lo spazio e il tempo stessi sparirebbero perché, come fenomeni, non possono esistere in se stessi ma solo in noi”.

Henri Bergson Il tempo é concepito come una successione indefinita di istanti omogenei e uniformi, anche se distinti gli uni dagli altri, analogamente a quanto avviene nella serie dei numeri naturali, dove a ogni unità ne segue un'altra identica alla prima. In questo modo si opera una specie di spazializzazione del tempo , dato che ogni interpretazione quantitativa del tempo implica necessariamente, per la sua descrizione, il ricorso ad una metafora spaziale. I singoli istanti vengono intesi come punti spaziali che si contrappongono ad

altri punti ( t1 , t2 , t3) , dando origine ad una serie temporale divisibile in segmenti spazialmente definiti. Se ci si distacca dal modello matematico-quantitativo, cui si é legati per tradizione, viceversa ci si accorge che il tempo é piuttosto una successione di stati qualitativi della coscienza, gli uni diversi dagli altri, ma anche gli uni intimamente connessi agli altri; in questa successione, infatti, i momenti precedenti si fondono con i momenti immediatamente successivi, senza che sia possibile ravvisare cesure interne al tutto, così come in una melodia le note, sebbene siano qualitativamente diverse, si fondono in un processo unitario senza soluzioni di continuità. A questa intuizione qualitativa del tempo, Bergson dà il nome di durata reale . La contrapposizione della durata reale al tempo spazializzato non vuol dire che Bergson renda scevra di valore ogni concezione spaziale del tempo, la quale continua ad essere di fondamentale importanza nella descrizione, operata dalla fisica in generale e dalla meccanica in particolare, dei fenomeni relativi al mondo inorganico.

E’ così che dunque la concezione di tempo è stata sempre considerata o in modo “oggettivo” o in modo “soggettivo”. Aristotele è l’esponente della prima concezione secondo cui il tempo esiste in funzione del movimento e quindi ha la caratteristica dell’oggettività. Sant’Agostino rivendica invece la soggettività del tempo, il quale esiste in quanto tende a non esistere e per questo la sua percezione è affidata all’anima dell’uomo. Newton invece, fonderà le basi della fisica classica fino al 1905 considerando il tempo come misura del movimento e quindi relativo a un sistema di riferimento. Questo presuppone l’esistenza di un tempo e uno spazio assoluti ma in questo modo, spazio e tempo vengono intesi fisicamente e oggettivamente ricollegandosi al filone aristotelico. Kant invece riporta alla soggettività queste due intuizioni del soggetto, come forme a priori che usiamo per rappresentarci la realtà. Infine c’è Bergson che adotta una sintesi tra le due concezioni attraverso la spazializzazione del tempo che tende a renderlo come successione di istanti e quindi quantitativo, e la percezione individuale che invece lo distingue qualitativamente. E’ in quest’ottica che si realizza la divisione e la duplice esistenza di un tempo esteriore (simile a una collana di perle) e uno interiore (simile a un gomitolo) che condizionano la vita dell’uomo e fondano anche la sua libertà.

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“Sentimento del tempo” Gli insegnamenti filosofici di Bergson influenzarono non pochi letterati. Tra questi bisogna ricordare Giuseppe Ungaretti, illustre poeta italiano, che potè assistere direttamente alle lezioni del filosofo impartite alla Sorbona. Ungaretti trae da Bergson l’idea di una scrittura poetica come maniera per dare voce ai contenuti enigmatici della memoria e della vita psichica profonda, alla ricerca di una percezione soggettiva del tempo. Influenzato da questo pubblicherà nel 1933 la prima edizione del “Sentimento del Tempo”, una tra le più famose opere composte dal poeta. E’ la sua seconda raccolta e comprende 62 poesie da lui scritte tra il 1919 e il 1935, divise in sette sezioni. A differenza della sua prima raccolta, l’”Allegria”, “Sentimento del Tempo” esprime temi molto differenti: riflette sulla natura e vi è il ripristino di metrica e punteggiatura. Questi cambiamenti di forma e di sostanza sono da attribuire a vari mutamenti in ambito sia personale che sociale che hanno particolarmente influenzato l’animo dell’autore in questione. I più rilevanti avvenimenti che scatenarono questi mutamenti sono, appunto, di diverso genere: si ha uno stato di malinconia nei confronti del passato causato dalla morte della madre, dei disagi economici e dei vari dispiaceri famigliari a cui l’autore ha dovuto far fronte. Vi sono il superamento delle esperienze d’avanguardia con il ritorno alla tradizione italiana sui modelli di Manzoni, Leopardi e Petrarca, il recupero della metrica classica e la propria conversione alla religione cattolica. A differenza di “Allegria” Ungaretti usa un vocabolario nobile con una sintassi ricca e fluida senza frantumazioni della grammatica. L’opera, nell’oscurità formale meditata e consapevole risulta uno degli archetipi dell’Ermetismo. Già il titolo della raccolta è ambiguo e possiede almeno due significati: se si intende “del tempo” con valore oggettivo, esso allude al sentimento che noi uomini abbiamo del tempo; se invece si attribuisce al complemento di specificazione un valore soggettivo, il titolo di riferisce al sentimento che il tempo ha di se stesso e di ciò che nel tempo accade. Nello stesso modo vengono spesso usati periodi molto lungi volutamente ambigui e polisemici. Il contenuto semantico dei testi presenti nel “Sentimento del Tempo” è spesso ricostruibile compiutamente solo a partire dal titolo.

Struttura dell’opera Nelle prime due sezioni (Prime, La fine di Crono) spicca una vera e propria rinascita della mitologia naturalistica. Il paesaggio che fa da sfondo alle poesie è quello laziale, avvolto dalla stagione estiva che appare distruttiva agli occhi del lettore: l'estate è «furia che s'ostina, è l'implacabile» (Di luglio). Estate che lascia spazio a tramonti e paesaggi come il lago di Albano, il bosco di Marino, le cascate di Villa Gregoriana e Tivoli, che dominano indiscutibilmente queste prime due sezioni dell’opera di Ungaretti. Questi fenomeni fanno conseguire delle elevazioni, vere e proprie illuminazioni, dello spirito, come avviene in “Paesaggio” («Quel moto di vergogna delle cose svela per un momento, dando ragione dell'umana malinconia, il consumarsi senza fine di tutto»). La memoria è volta a volta «fluido simulacro, / Malinconico scherno, / Buio del sangue...» (Alla noia) o «figlia indiscreta della noia» (Caino) mentre il fluire del tempo è percepito attraverso le immagini della natura, nelle quali l'animo umano si rispecchia e si riconosce. In Sogni e Accordi è nuovamente colonna portante l’attenzione al mondo naturale. Questa terza sezione lascia spazio alle stagioni analizzate attraverso le fasi del giorno, lo scorrere del tempo, che si lasciano scoprire a colui che riesce ad osservarle in tutta la loro

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grandezza, creando un’unione ideale tra uomo e natura. Il poeta che osserva albe, tramonti, cielo e stelle si sorprende a godere di «quella brama senza fine, / Grido torbido e alato / Che la luce quando muore trattiene» (Grido). In Leggende si lascia più da parte l’argomento natura per trattare con maggior rilevanza la propria situazione personale. Il ritorno dei motivi autobiografici sono ben legati alle nostalgie di persone lontane. In questa quarta sezione, l’esperienza di un amore che si rinnova nel ricordo con tutte le sue inquietudini di peccato è accostata alla morte della madre o ad una poesia per la patria. Nella quinta sezione (Inni) una forte idea di peccato accompagna un’accurata riflessione religiosa, sembra che il poeta non ancora sazio della vita sia travolto da un senso di “felice colpa”. Nella religione degli Inni sembra indugiare soprattutto sulle tentazioni mondane che stringono l’uomo. Ritornato cristiano, seppur tra mille dubbi, dopo un tentativo di appellarsi a Dio gli rimane soltanto la coscienza della piccolezza umana, e ricerca la certezza divina. La morte meditata, sesta sezione, è divisa in sei canti in cui la morte «Emula sofferente dell'eterno», è «Madre velenosa degli evi», è «Bellezza punita e ridente», è «Sognatrice fuggente»; tutto questo trattato in una cupa religiosità dove la riflessione sul divino è ancora molto rilevante. L’ultima sezione è L’amore ed il poeta, in Auguri per il proprio compleanno, si abbandona a un ultimo sfogo di lirica contraddittorietà: «Eppure, eppure griderei: / Veloce gioventù dei sensi / Che all'oscuro mi tieni di me stesso / E consenti le immagini all'eterno, // Non mi lasciare, resta, sofferenza!».

L’isola

A una proda ove sera era perenne di anziane selve assorte, scese, e s’inoltrò e lo richiamò rumore di penne ch’erasi sciolto dallo stridulo batticuore dell’acqua torrida, e una larva (languiva e rifioriva) vide; ritornato a salire vide ch’era una ninfa e dormiva ritta abbracciata ad un olmo.

In sé da simulacro a fiamma vera errando, giunse a un prato ove l’ombra negli occhi s’addensava delle vergini come sera appiè degli ulivi; distillavano i rami una pioggia pigra di dardi, qua pecore s’erano appisolate sotto il liscio tepore, altre brucavano la coltre luminosa; le mani del pastore erano un vetro levigato da fioca febbre.

“L’isola è il paesaggio che s’incontra andando da Tivoli a Subiaco a piedi”. Nella poesia viene dunque rielaborato il topos della trasfigurazione paradisiaca di un paesaggio descritto vagamente come irreale, in cui ogni elemento pare assumere un valore simbolico. L’isola è “il punto in cui sono solo, separato dal mondo”. L’approdo nei giardini di villa d’Este sono luogo dove il poeta si isola e in cui la natura, il paesaggio, il ciclo del tempo paiono sospesi in un quadro di immobile perfezione. Si tratta di una costruzione artificiale dove l’autore proietta le sue illusioni e i suoi sogni: è un mondo indeterminato perchè fa parte dell’invenzione. E’ un mito fatto per un momentaneo sollievo, un autoinganno per allontanare i pensieri sul dominio di Crono e la morte inevitabile. I verbi usati sono come nelle favole al passato e remoto, e la poesia presenta un’eleganza stilistica e un rapporto con l’esperienza autobiografica.

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Il tempo nell’antichità: De brevitate vitae L’ultima tappa del viaggio è fissata nell’antichità. Tornando indietro nel tempo, nella civiltà latina, troviamo alcuni personaggi della Roma antica, tra cui Seneca, che riflettono sull’importanza del tempo nella vita dell’uomo. Una continua meditazione sul tempo e sulla morte sono di fatto tutti i dialoghi della raccolta senecana: una meditazione che culmina nel De brevitate vitae (“La brevità della vita”), composto probabilmente dopo il ritorno dall’esilio e dedicato ad un certo Paolino, forse padre di quella Paolina che Seneca stesso sposerà. Così l’autore latino rifletterà nel primo libro:

I, 3. Non exiguum temporis habemus, sed multum perdimus; satis longa vita et in maximarum rerum consummationem large data est, si tota bene collocaretur; sed ubi per luxum ac neglegentiam diffluit, ubi nulli bonae rei inpenditur, ultima demum necessitate cogente, quam ire non intelleximus transisse sentimus. In verità non è che noi abbiamo poco tempo, è che ne perdiamo molto. La vita sarebbe abbastanza lunga, e ci è stata data in abbondanza per il compimento delle più grandi imprese; bisognerebbe però che fosse tutta ben spesa; ma quando è svanita tra il lusso e la trascuratezza, quando non è impiegata per nessuna azione che valga qualcosa, quando infine il destino estremo incombe, allora noi, che non l’abbiamo sentita passare, ci accorgiamo che è già passata. I, 4. Ita est: non accipimus brevem vitam, sed facimus, nec inopes eius sed prodigi sumus. Sicut amplae et regiae opes ubi ad malum dominum pervenerunt, momento dissipantur, at quamvis modicae, si bono custodi traditae sunt, usu crescunt: ita aetas nostra bene disponenti multum patet. Proprio così: la vita non è che l’abbiamo ricevuta beve, ma l’abbiamo resa breve; di essa noi non siamo poveri, ma prodighi, come capira per delle ricchezze immense e regali che, se vanno in mano a un padrone che non sa amministrarle, svaniscono in un momento, mentre sostanze anche modeste, se affidate a un buon amministratore, col tempo aumentano: così anche il tempo che abbiamo a disposizione si estende a sufficienza, se sappiamo impiegarlo bene. II, 1. Quid de rerum natura querimur? Illa se benigne gessit: vita, si uti scias, longa est. Sed alium insatiabilis tenet avaritia, alium in supervacuis laboribus operosa sedulitas; alius vino madet, alius inertia torpet; alium defatigat ex alienis iudiciis suspensa semper ambitio, alium mercandi praeceps cupiditas circa omnis terras, omnia maria spe lucri ducit; quosdam torquet cupido militiae nunquam non aut alienis periculis intentos aiut suis anxios. [...] Perchè ci lamentiamo della natura? Lei si è comportata generosamente: la vita, se sai servirtene, è lunga. Ma uno lo possiede un’insaziabile avidità, un altro un affannarsi premuroso in fatiche inutili; uno è madido di vino, un altro è intorpidito dall’inerzia; uno lo sfianca l’ambizione, che è sospesa sempre ai giudizi altrui, un altro il desiderio di commerciare per tutte le terre, per tutti i mari, lo conduce a capofitto con la speranza di lucro; certuni li tormenta il desiderio della vita militare, continuamente intenti agli altrui pericoli o ansiosi per i propri.

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E così la vita bisogna gestirla come delle ricchezze e non bisogna perder tempo in vari e numerosi affanni. Infatti per Seneca la vita è la parte del tempo umano che ci arricchisce e accresce la propria esperienza personale; tutto il resto non può essere considerato vita:

II, 2. [...] “Exigua pars est vitae, qua vivimus”. Ceterum quidem omne spatium non vita sed tempus est. « Piccola è la parte di vita in cui viviamo veramente ». Tutto lo spazio che rimane, non è vera vita, ma tempo. III, 5. [...] quam serum est tunc vivere incipere, cum desinendum est! [...] Quanto tardi è cominciare a vivere, quando bisogna smettere !

Molte volte quindi gli uomini perdono tempo invece di vivere, questo è l’insegnamento di Seneca. Anche Cicerone, tuttavia, nelle sue varie riflessioni ricorda che l’otium, ossia il “tempo libero” del civis romanus deve essere vissuto cum dignitate cioè cercando di ricavarne qualcosa. La lettura e lo studio, per esempio, sono funzionali ad accrescere la propria persona nonchè utili per la res publica, altrimenti sarebbe solo una perdita di tempo. Così per Seneca gli unici a vivere veramente del tempo che hanno a disposizione sono i saggi e i filosofi, mentre le persone affaccendate vedono il presente scorrere troppo in fretta, il futuro sempre incerto e il passato ormai concluso:

X, 1. Quod proposui si in partes velim et argumenta diducere, multa mihi occurrent, per quae probem brevissimam esse occupatorum vitam. [...] Quello che mi sono proposto di trattare, se volessi dividerlo in parti ed in prove, molti dati mi si presenterebbero per mezzo dei quali potrei dimostrare come brevissima sia la vita delle persone affaccendate. X, 2. In tria tempora vita dividitur: quod fuit, quod est, quod futurum est. Ex his quod agimus breve est, quod acturi sumus dubium, quod egimus certum. [...] In tre stagioni si divide la vita: ciò che è stato, ciè che è, ciò che sarà. Di queste, il tempo che viviamo è breve, quello che vivremo è dubbio, quello che vivemmo è sicuro. X, 6. Praesens tempus brevissimum est, adeo quidem, ut quibusdam nullum videatur ; in cursu enim semper est, fluit et precipitatur.[...] Il tempo presente è brevissimo, a tal punto che a certuni appare inesistente : è sempre in corsa, fluisce e si precipita. XIII, 2. Grecorum iste morbus fuit quaerere, quem numerum Ulixes remigum habuisse, prior scripta esset Ilias an Odyssia, praeterea an eiusdem esset auctoris, alia deinceps huius notae, [...] nihil tacitam conscientiam iuvant[...] Dei Greci fu questa malattia, ricercare che numero di rematori avesse avuto Ulisse, se fosse stata scritta prima l’Iliade o l’Odissea ed inoltre se fosse dello stesso autore, e di seguito altri problemi di questo tipo, i quali in nulla aiutano la tua coscienza. XIV, 1. Soli omnium otiosi sunt qui sapientae vacant, soli vivunt ; nec enim suam tantum aetatem bene tuentur : omne aevum suo adiciunt ; quicquid annorum ante illos actum est illis adquisitum est. [...] Fra tutti, i soli liberi da preoccupazioni esterne sono quelli che dedicano il loro tempo alla saggezza, soli essi vivono veramente : non custodiscono bene solo lo spazio di vita loro assegnato, ma tutto il tempo aggiungono al proprio, tutti gli anni già trascorsi sono da loro acquisiti.

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Bibliografia FISICA Einstein, Biografie: 12, Abraham Pais, La Biblioteca di Repubblica. Nuovo corso di Fisica, volume 3, Caldirola-Casati-Tealdi, Ghisetti e Corvi Editori. Relatività. Esposizione divulgativa, A. Einstein, Universale Bollati Boringhieri.

STORIA I sommersi e i salvati, Primo Levi, Einaudi Tascabili. Profili storici: dal 1900 ad oggi, Giardina-Sabatucci-Vidotto, Editori Laterza.

SCIENZE Scienze della terra, Tarbuck-Lutgens-Tozzi, Principato. Storia della scienza, 8-Dal DNA al big bang, P. Rossi, Gruppo Editoriale L’Espresso.

INGLESE Flatlandia, Edwin A. Abbott, gli Adelphi. Lit & Lab, volume 2, Spiazzi-Tavella, Zanichelli.

STORIA DELL’ARTE Magritte, I classici dell’arte: Il Novecento, Rizzoli/Skira (con il Corriere della Sera). Itinerario nell’arte, Volume B, Cricco-Di Teodoro, Zanichelli.

FILOSOFIA Storia della filosofia, volume 5, Nicola Abbagnano, Gruppo Editoriale L’Espresso. Filosofia, tomo 5, Bartolomeo-Magni, Atlas. Storia della Filosofia 3: Dal Romanticismo ai giorni nostri, Reale-Antiseri, La scuola (Edizione fuori commercio per l’insegnante).

ITALIANO Tempi e immagini della letteratura, volume 6: Il Novecento, Anselmi-Fenocchio, Edizioni scolastiche Bruno Mondatori.

LATINO La letteratura latina, volume 3, Maurizio Bettini, La Nuova Italia. Seneca DIALOGHI, Vol. II, Classici Greci e Latini, Oscar Mondatori

Altre fonti

Wikipedia, l’Enciclopedia libera: http://it.wikipedia.org

Testo in inglese di Flatland (E.A. Abbott): http://www.alcyone.com/max/lit/flatland/

CD multimediale del progetto “Fisica e Filosofia nella scuola” redatto da alunni e professori del liceo scientifico M.V. Pollione nel 2004-05.

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