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VIII Congresso Nazionale SIMEU Rimini POSTER Sabato 20 Ottobre 2012* * Alcuni lavori potrebbro non essere presenti in quanto i contributi sono arrivati incompleti o mancanti di alcune parti

VIII Congresso Nazionale SIMEU Rimini - itjem.org · tivo il paziente (pz) appariva vigile ed orientato (GCS 15), senza di deficit di lato; con presenza di morsus; PAO ... Il pz lamentava

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VIII Congresso Nazionale SIMEURimini

POSTER

Sabato 20 Ottobre 2012*

* Alcuni lavori potrebbro non essere presenti in quanto i contributi sono arrivati incompleti o mancanti di alcune parti

ItalIan Journal of EmErgEncy mEdIcInE - Novembre 2012 special number

3VIII Congresso Nazionale SIMEU - RiminiPOSTER - Sabato 20 Ottobre

EMERGENZE-URGENZE NEUROLOGICHE

Un caso di agitazione psico-motoria… irrisolto

E. Conti, L. Brugioni, F. Donati, D. Vivoli, C. GozziMedicina Interna Area Critica, Policlinico, Modena, Italia

E.D., di anni 45, giungeva alla nostra attenzione, accompagnato dalla moglie, per la comparsa d’intensa confu-sione mentale associata ad agitazione psico-motoria, insorta dopo il ritorno da un viaggio di lavoro in Marocco. L’anamnesi patologica remota era negativa per patologie di rilievo.Il paziente si presentava agitato, irruento e non collaborante; i parametri vitali erano entro range di normalità. All’esame obiettivo non emergevano elementi patologici rilevanti; l’obiettività neurologica non era attendibile per la scarsa collaborazione del paziente, non era presente rigor. Agli esami bioumorali non si riscontravano altera-zioni suggestive, la TC encefalo e l’EEG risultavano negativi.Dato il marcato stato d’agitazione sono state somministrate benzodiazepine; inoltre, nel sospetto d’encefalite, è stato eseguita rachicentesi con evacuazione di liquor limpido sotto pressione ed è stata quindi impostata terapia empirica con Aciclovir e steroidi.Si assisteva ad una graduale risoluzione della sintomatologia, con amnesia dell’accaduto come unico esito. I col-turali ed i virologici del liquor sono risultati negativi così come il test per l’HIV. Dato il persistere del sospetto clinico di encefalite virale è stata eseguita RM cerebrale che mostrava unicamente iniziale vasculopatia.Gli esami tossicologici sono risultati positivi per amfetamine ed oppiacei; comunicato tale risultato, il paziente si è spontaneamente allontanato dal reparto, pertanto non è stato possibile effettuare ulteriori accertamenti.Le amfetamine sono sostanze d’abuso che possono avere effetti neurologici (cefalea, stroke), cardiologici (altera-zioni del ritmo cardiaco, ipertensione, dolore toracico) e sistemici (vasculiti, ipertermia, agitazione psico-motoria con atteggiamenti aggressivi) senza segni obiettivi caratteristici; spesso può quindi risultare complicato eseguire una corretta diagnosi differenziale.In caso d’intossicazione da amfetamine le sole benzodiazepine possono risolvere lo stato d’agitazione, l’iper-tensione e la tachicardia anche se terapie specifiche per il controllo della sintomatologia simpatico-mimetica e le relative complicanze possono comunque rendersi necessarie.

Cervical artery dissection: the importance of the correct diagnosis timing

V. Serafini*, S. Silipo*** Azienda Ospedaliera Integrata, Urgenza-Emergenza, Verona, Italia** Clinica Neurolgia, Verona, Italia

Cervical artery dissection is an important cause of ischemic stroke in younger patients. The major causes are trauma to the cervical or neck repeated microtrauma and genetic factor. The DAC is suspected if TIA or stroke in the territory of the internal carotid or vertebral artery, occurs in a patient who complains of cervical pain and/or headache of variable duration (hours or days).We present a case report of a 46-years-old man with a history of mild hypertension, who goes to ED for acute onset of interscapular pain after intense sports activity, followed by mild sensory and motor deficits in the left arm. Brain CT scan was negative, normal ECG and blood tests. The neurological examination identified the tendency to regression of the neurological disorder and, in suspected TIA, arose only indication for antiplatelet therapy. The Doppler TSA, performed some days later, showed reduction of left vertebral artery flow. There are no guidelines in the management of this disease. Timeliness of diagnosis and extent of the dissection of the cervical artery leading to the choice between anticoagulants therapeutic and anti-platelet and the duration of treatment.

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In our case the diagnosis of dissection of the left vertebral artery with signs of ischemia in the vertebrobasilar territory was made only after three months using MRI brain and neck vessels MRI angiography; the patient who continued antiplatelet therapy is no longer within the time limits to perform anticoagulation. Our case demonstrates that the diagnosis of cervical artery dissection can be difficult, especially when neurological symptoms are mild. A delay in diagnosis can change prognosys and long-term therapeutic management.

Focal neurological deficit in acute anemia: report of two cases

G. Lanza*, S. Giuffrida*, G. Pennisi*, P. Noto**, G. Carpinteri*** G.F. Ingrassia, Neurologia, Catania, Italia** U.O. di M.C.A.U., Catania, Italia

Introduction Although anemia is not regarded as an usual vascular risk factor for stroke, it is one of the potential mechanism by which the brain does not receive adequate oxygenation. Moreover, the relationship between drop of hemoglobin level and acute focal neurological deficits is not clear. We report two patients with cerebral infarction due to acute anemia.

Case reportsCase 1 was a 73-years-old man who complained a sudden episode of loss of consciousness followed by right hemiparesis and dysarthria after few hours. Melena was evident at admission. The haemoglobin concentration dropped from 11.3 g/dl to 5.6 g/dl (n.v. 12-18) in 24 hours. Areas of acute infarctions were evident at diffusion weighted imaging (DWI) of the brain. Endoscopic examination revealed active bleeding by duodenal ulcer.Case 2 was a 77-years-old man with a transient episode of aphasia, right lower limb paresis and mental confu-sion twelve hours after an intervention of percutaneous transluminal angioplasty and stenting of the left internal carotid artery. Hemoglobin was 11.8 g/dl before intervention and 9 g/dl 48 hours later. DWI showed bilateral and widespread acute infarcts.

Conclusions Anemia has to be considered as a potential factor in determining or worsening cerebral infarction, especially in patients with carotid or intracranial stenosis, high cerebrovascular lesions load or insufficient collateral supply. Acute or severe anemia may negatively impact the cerebral blood flow and decrease oxygen-carrying capacity, promoting rapid deterioration of ischemic penumbra. Brain DWI and treatment of the underlying etiology of acute anemia are crucial in early identification and recovery of cerebral infarctions.

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Sindrome di Tietze: a case report

S. Puglisi*, R. Codogni*, C. Tobaldini*, E. Formaglio*, V. Serafini*, M. Zannoni*, G. Ricci*** UOC Pronto Soccorso OCM, AOUI, Verona, Italia** UOC, AOUI, Verona, Italia

Introduzione La sindrome di Tietze è una rara patologia caratterizzata da un processo infiammatorio a carico delle giunzioni costo condrali a eziologia sconosciuta.

Caso clinico Giunge alla nostra osservazione una anziana donna di 87 anni a seguito di un episodio di “assenza” associata ad ipostenia dell’arto superiore dx. Alla valutazione clinica emerge inoltre la presenza di una tumefazione in regione sterno-claveare sx associata a tosse secca da dieci giorni. Esclusa la natura neurologica della sintoma-tologia, alla TAC torace emerge un vistoso “rigonfiamento” di tipo edematoso delle articolazioni sternoclaveari bilateralmente, di grado maggiore a sx, con uno spessore della falda infiammatoria di 9 ml medialmente.

Conclusioni Nel caso da noi descritto, l’edema compressivo sulla vena anonima di sx, associato alla stenosi bilateralmente delle carotidi già presente nella paziente, potrebbe aver rappresentato il trigger che in presenza dei movimenti del capo ha generato l’episodio di “assenza” riferito. In questo caso la diagnosi è stata posta per esclusione, ma ciò dimostra che un’anamnesi attenta e un esame obiettivo approfondito possono generare a priori il sospetto clinico di una sindrome rara come questa, per quindi indirizzare il paziente verso l’approfondimento diagnostico mirato.

Cefalea da emorragia intraparenchimale da iperleuchemia in crisi blastica da Leucemia Linfatica Acuta

F. Marletta, N.M. Preston, D. Comina, M. Brambati, R. La Rocca, C. MerloDipartimento di Emergenza-Accettazione, Policlinico San Donato IRCCS, San Donato Milanese, Italia

La cefalea non responsiva ai farmaci anti-infiammatori da banco è una comune motivazione di accesso in Pronto Soccorso. Le cause sottostanti a questo sintomo possono essere innumerevoli come riportato dalla “The Internatio-nal Classification of Headache Disorders”.Un’emorragia intraparenchimale da iperleucocitosi può essere considerata una tra le cause di cefalea con pro-gnosi peggiore (tasso di mortalità 20%-40%). L’iperleucocitosi è definita come la presenza di più di 100.000 leucociti per mm3 all’esame emocromocitometrico. L’iperleucocitosi può causare leucostasi, un accumulo patologi-co di blasti nel lume dei capillari polmonari e cerebrali con conseguente insufficienza respiratoria ed emorragia cerebrale. La leucostasi è più frequentemente riscontrata durante leucemia mieloide acuta rispetto che durante leucemia linfatica acuta e raramente si presenta con valori leucocitari inferiori a 400.000 mm3. Le manifestazioni cliniche della leucostasi possono essere messe in correlazione con il danno endoteliale. Si potranno riscontrare: ipossiemia, alterazione dello stato di coscienza, cefalea, atassia e febbre. È anche possibile riscontrare patologie correlate con il pattern piastrinico come coagulazione intravasale disseminata o trombocitopenia.Vi vogliamo presentare un caso di cefalea da emorragia intraparenchimale da leucostasi in una paziente di razza caucasica, di 19 anni di età, durante crisi blastica. La paziente è stata ammessa in Pronto Soccorso per calo del visus, anisocoria, rallentamento psicomotorio e cefalea. Il primo riscontro ematochimico, eseguito con sistema counter rapido, ha dimostrato valori leucocitari superiori alla soglia dosabile e importante piastrinopenia. In attesa dei risultati ematochimici di laboratorio, dato l’aumento della sintomatologia algica, è stata richiesta un’indagine TAC encefalo.

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Dato che le immagini radiologiche hanno dimostrato presenza di numerosi focolai intraparenchimali rotondeg-gianti emorragici (il più grande di 11 mm), la paziente è stata sottoposta prima ad una visita neurologica e suc-cessivamente, in accordo con il neurologo, ad un secondo esame TAC total body. Il secondo esame ha dimostrato splenomegalia (diametro bipolare di 15 cm, diametro cranio-caudale di 22 cm) e numerosi linfonodi patologici (il maggiore di 2,8 cm).Dato il peggioramento dello stato di coscienza (CGS 10/11) è stata impostata una terapia emo-trasfusionale (2 unità di emazie concentrate e un pool piastrinico) in modo da fornire i substrati necessari per attivare la casca-ta coagulativa. Il soggetto ha risposto prontamente e positivamente con ripresa delle capacità cognitive (CGS 13/14). Successivamente il laboratorio analisi ha confermato i dati preliminari, riportando una conta leucocitaria pari a 980.000 unità/uL e una conta piastrinica pari a 24.000 unità/uL. Anche lo striscio di sangue periferico ha confermato la presenza di numerosi blasti disposti a tappeto su tutti i campi microscopici.In seguito a nuovo peggioramento dello stato di coscienza, in accordo con il collega rianimatore è stato deciso di procedere ad intubazione endotracheale e di trasferire la paziente presso l’unità di neuro-rianimazione dell’Ospe-dale San Raffaele dove, nei giorni seguenti, è stato effettuato un doppio intervento di decompressione cranica per la formazione di nuovi focolai emorragici. Attualmente la paziente è mantenuta in coma farmacologico presso la medesima unità.

Frattura bilaterale di omero: rara complicanza di una crisi epilettica generalizzata

E. Pea, L. Garigliani, A. Coli, F. CarmassiEmergenza Urgenza, Medicina d’Urgenza Universitaria, Pisa, Italia

Case report Un uomo di 32 aa veniva condotto al Pronto Soccorso per crisi comiziale generalizzata protratta; all’esame obiet-tivo il paziente (pz) appariva vigile ed orientato (GCS 15), senza di deficit di lato; con presenza di morsus; PAO 150/100 mmHg; FC 115 bpm, TC 36.3°C. Il pz lamentava intenso dolore ai cingoli scapolari con limitazione funzionale ed iperalgesia degli arti superiori per cui veniva instaurata terapia con oppiacei. L’anamnesi era muta per episodi comiziali pregressi e per l’assunzione di farmaci, droghe o alcol. Risultavano normali TC encefalo, Rx torace ed EEG. Erano invece alterati i valori di mioglobina (865 ng/ml), CPK totale (3628 U/L) e CPK Mb (14.48 ng/ml).Durante il ricovero persistevano intenso dolore alle braccia con impotenza funzionale e dolorabilità spiccata alla compressione dei muscoli bicipite e tricipite omerale, inoltre compariva modesto edema delle regioni sopraclave-ari e della base del collo. Una TC torace escludeva lesioni mediastiniche ed evidenziava invece la frattura pluri-frammentata di entrambe le teste omerali con frammenti dislocati e sublussati posteriormente con risalita dell’asse omerale.Il pz veniva quindi trasferito presso la UO di Ortopedia per impianto di mezzi di osteosintesi. Ad una prima os-servazione l’incremento degli enzimi di rabdomiolisi veniva ascritto all’intensa contrazione muscolare verificatasi durante la crisi epilettica ma l’assenza di lesioni esterne e l’ambientazione dell’episodio (il pz aveva presentato

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la crisi nel proprio letto, al risveglio dopo il riposo notturno) non suggeriva la possibilità di traumatismi ossei. Nei pz epilettici il rischio di traumatismi ossei è elevato (0.03-3%) sia per la dinamica della crisi sia per la rarefazione ossea causata dall’assunzione cronica di anticonvulsivanti (fenitoina, fenobarbital, carbamazepina e valproato). Tali farmaci, infatti, inducendo il cit. P450, incrementano il catabolismo della vitamina D con ridotta disponibilità di tale vitamina e conseguente riduzione dell’assorbimento del calcio. Nel caso in esame le fratture non erano associabili all’uso cronico di farmaci antiepilettici né erano presenti segni esterni di traumatismi (ematomi). D’altra parte la letteratura riporta che fratture ossee (patognomonica è la frattura bilaterale dell’omero prossimale per sci-volamento con dislocazione posteriore dalla cavità glenoidea per intrarotazione e adduzione degli arti superiori) possano verificarsi in soggetti con masse muscolari ipertrofiche quando la contrattura si protragga per un tempo particolarmente lungo.

Conclusioni Il caso descritto suggerisce che, in casi selezionati, l’esame radiologico degli arti superiori rappresenta un utile strumento di completamento diagnostico in caso di crisi epilettiche generalizzate.

Uno strano caso di ipostenia: la sindrome di Parsonage-Turner

N. Amadori, L. Trabucco, A. FerrariDipartimento di Emergenza-Urgenza, Arcispedale Santa Maria Nuova, Reggio Emilia, Italia

Donna di 54aa in Pronto Soccorso per comparsa nella notte di ipostenia all’arto superiore dx (avambraccio e mano). Descrive perdita di controllo e deficit di forza progressiva a carico dei muscoli dell’avambraccio dx con impaccio motorio tale da impedirle l’esecuzione di gesti semplici. In anamnesi anemia da riferite metrorragie. Nel-la valutazione clinica si evidenzia una progressione dell’ipostenia al braccio, in assenza di deficit sensitivo e solo una sfumata pronazione in Mingazzini 1 a dx. Onde poter escludere accidenti cerebro-vascolari acuti, in urgenza si esegue TC encefalo con riscontro di minuta ipodensità frontale dx in esito, non congrua con la sintomatologia riferita: lesione periferica tipo radicolopatia o lesione periferica tipo sindrome di Parsonage-Turner (PTS)?La PTS è una rara sindrome che interessa principalmente i motoneuroni del plesso brachiale la cui presentazione clinica può essere assai variabile. Può insorgere con un dolore acuto e improvviso alla spalla, seguito, alcuni giorni dopo, da debolezza muscolare fino a paralisi flaccida dei muscoli del cingolo scapolare. L’incidenza è di circa 1,64/100.000, con un picco di frequenza tra la terza e la quinta decade e una lieve predominanza ma-schile. L’eziologia non è nota, possibile il ruolo di fattori precipitanti, come le infezioni, i traumatismi, gli interventi chirurgici, meccanismi autoimmuni. La prognosi è generalmente favorevole, con guarigione completa in circa il 75% dei casi entro i due anni. Nel restante 15% può residuare un’ipovalidità importante con deficit funzionale cronico dell’arto coinvolto.La PTS è una sindrome clinica, e pertanto la diagnosi viene fatta per esclusione. Entra in d.d. con patologie della cuffia dei rotatori, tendiniti acute, radicolopatie cervicali, SLA. L’Rx del rachide cervicale e della spalla non sono dirimenti; l’ecografia muscolo-tendinea escluderebbe eventuali lesioni a carico della cuffia e tendiniti; la RMN per-metterebbe di escludere discopatie o altro. L’esame principe che confermerebbe la diagnosi è considerata l’EMG che, eseguita a distanza di qualche settimana dall’evento acuto, mostra in genere variabili segni di denervazione. La prima arma diagnostica rimane sempre la clinica, tutti gli autori ribadiscono l’importanza dell’esame obiettivo per la diagnosi di questa sindrome, che proprio perché rara, può essere misconosciuta, il che comporta ritardo nel trattamento. Il trattamento si avvale di riposo funzionale, FANS (alcuni autori citano anche l’utilizzo di steroidi) e terapia fisico-riabilitativa.Dopo circa 15 giorni la nostra paziente ha eseguito una RMN rachide+encefalo che ci ha permesso di escludere radicolopatie cervicali, si evidenziava infatti un quadro ad impronta degenerativa. Come la maggior parte degli autori consiglia, abbiamo programmato un’EMG a distanza di 3-4 settimane dall’evento acuto. La paziente è stata dimessa e trattata con ibuprofene per 10 giorni con miglioramento del quadro clinico. La paziente verrà seguita da noi in follow-up.

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Attacco ischemico transitorio: una urgenza/emergenza vascolare… ma soprattutto un’opportunità!

V. Salvatori*, S. Vitali*, G. Agnelli*, S. De Vuono**, F. Di Filippo*** Medicina Interna, Medicina Interna Vascolare e Stroke Unit, Perugia, Italia** Medicina interna, Medicina Interna Angiologia Malattie Aterosclerosi, Perugia, Italia

Il TIA (attacco ischemico transitorio) rappresenta un’urgenza/emergenza neurologica in quanto la transitorietà dei sintomi, che spesso porta a sottostimare la problematica, è sinonimo di instabilità vascolare. Infatti, sin dall’arrivo in Pronto Soccorso, un’accurata anamnesi, un attento esame obiettivo neurologico e l’esecuzione di mirate indagi-ni strumentali ci consentono una corretta valutazione e stratificazione del rischio di recidiva del singolo paziente, potendo quindi adottare un differenziato ed adeguato percorso diagnostico-terapeutico.Gli elementi fondamentali nella gestione del paziente con sospetto TIA sono:1. Precoce conferma del sospetto clinico-diagnostico: l’anamnesi e l’esame obiettivo ci consentono di rilevare

elementi suggestivi per un evento a genesi vascolare, potendo escludere al contempo altre patologie che en-trano in diagnosi differenziale (tra le più comuni: epilessia/emicrania; ipoglicemia; lesioni cerebrali strutturali, sclerosi multipla).

2. Inquadramento ezio-patogenetico del TIA: gli esami di laboratorio e la diagnostica strumentale consentono di confermare il sospetto diagnostico e di identificare la causa sottostante (aterotrombotica; cardioembolica; lacunare; FOP, dissecazione ed altre cause più rare).

3. Stratificazione del rischio: alcune condizioni diagnostiche, per l’elevato rischio di evoluzione/recidiva, devo-no essere gestite in regime di ricovero; in questa categoria rientrano: stenosi carotidea significativa, disseca-zione carotidea, riscontro di una FA di nuova insorgenza e/o di cardiopatie emboligene. In tutti gli altri casi è utile stratificare il rischio di recidiva attraverso l’applicazione dell’ABCD2 score che valuta il rischio di ictus ischemico a distanza di 2,7,30 e 90 giorni dopo il TIA.

4. Percorso gestionale: il paziente con moderato-alto rischio di recidiva (ABCD2 ≥4) deve essere gestito in regi-me di ricovero; il paziente con basso rischio può essere gestito ambulatorialmente in follow-up.

5. Strategia terapeutica: precoce profilassi antitrombotica (entro 48 ore) e, qualora indicato, eventuale tratta-mento chirurgico. È bene ricordare che, qualora comparisse un nuovo deficit neurologico, eleggibile per trattamento trombolitico, la ricomparsa dei sintomi viene considerata il “tempo zero” di esordio.

Conclusione Un corretto inquadramento del paziente con sospetto clinico di TIA consente una stratificazione del rischio per ictus e permette di intraprendere un percorso diagnostico e terapeutico adeguato. L’evento transitorio è un “campanello di allarme” ma soprattutto un’opportunità per il paziente ad elevato rischio vascolare di essere correttamente se-guito e trattato al fine di prevenire eventuali complicanze.

Esame Finalità

Esami Ematochimici Corretto inquadramento del paziente/escludere altre cause

TC/RM cerebrale (<24h) Individuare una lesione cerebrale/escludere altre cause

Eco-color-Doppler TSA Identificare genesi aterotrombotica/dissecazione

ECG/Ecocardio TT Identificare genesi cardioembolica(FA e/o cardiopatie emboligene)

NOTE IMPORTANTI:Non scrivere al di fuori del riquadro. Altro testo o immagini saranno cancellati.

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Woman and risk factors of haemorrhagic stroke

M. Fedele, V. Caso, G. AgnelliMedicina Interna, Medicina Interna Vascolare-Stroke Unit, Perugia, Italia

Background Stroke is more common among men, but women tend to be more severely ill. Data from epidemiological studies showed a higher stroke prevalence in woman. Lifetime risk of all types of stroke is higher in women compared to men because of their longer life expectancy and the fact that stroke rates increase substantially with age. Moreover, the risk of intracerebral hemorrhage increases exponentially with age.The aim of this review is understand sex differences in epidemiology of haemorrhagic stroke focused on risk factors for cerebral hemorrhage in woman.

Materials and Methods A search strategy was designed to identify all relevant studies in the English language on stroke prevention in women. This search was restricted to papers published up until July 29th, 2012. Studies were initially identified from Medline/PubMed database, EMBASE, and the Cochrane Database using the search terms including: “RCT”, “stroke”, “vascular risk factors” “women”, “sex differences”, “hemorrhagic stroke “ and “cerebral hemorrhage”.

Results Intracerebral hemorrhage describe spontaneous extravasation of blood into brain parenchyma representing 10 to 15 % of all stroke cases. Stroke incidence was about 30% higher in men than in women, for cerebral infarction the excess was 45%, whereas there was little difference between the sexes regarding intracerebral hemorrhage and this difference tends to decrease with age. There was a significant drop in the m/f incidence rate ratio between the 65 to 74 and the 75 to 84 age bands, and a tendency to further drop in the 85 age band.The main risk factors for intracerebral hemorrhage in women are: age, hypertension and CAA cerebral amyloid angiopaty. Regarding hormones: pregnancy was a greater risk factor for cerebral hemorrhage compared to ische-mic stroke, while the data on contraceptive drugs were conflicting. Hormone replacement therapy was a greater risk factor for ischemic stroke and not for hemorrhagic stroke. The reversible vasoconstriction syndrome was repor-ted to be a risk factor for hemorrhage as well as for ischemic stroke, specifically in migraine patients.

Conclusions Intracerebral hemorrhage is not a typical male disease and emergency physicians should be aware of the risk fac-tors causing intracerebral hemorrhage in women.

Uno strano caso di ansia e la sindrome di Dandy-Walker

M. Maragno*, A. Tropea**, C. Sinno** Dipartimento di Emergenza-Accettazione, ASM Matera, Italia** UO Radiologia, ASM, Italia IntroduzioneLa malformazione di Dandy-Walker è causata da un alterato sviluppo del tetto del IV ventricolo con conseguente idrocefalo, mancata fusione degli abbozzi del cervelletto e della formazione del verme; così il verme cerebellare è assente o ipoplastico e gli emisferi sono piccoli. Spesso si associano altre anomalie. Benché sia stata stimata una prevalenza di 1:30.000 nati, la fisiopatologia della variante di Dandy-Walker e la megacisterna magna è ancora sconosciuta (Osenbach & Menezes, 1991). È stata descritta per la prima volta nel 1992 (Guion-Almeida & Richieri-Costa). Presenta una variabilità molto spiccata, così che ci sono casi molto gravi, altri quasi asintomatici ed altri ancora con segni di disfunzione cerebellare come atassia e nistagmo.

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Case report Una mattina si è presentata in Pronto Soccorso una ragazza di anni 31 che lamentava cervicalgia, vertigini, vo-mito e diarrea ed era in chiaro stato d’ansia. I disturbi erano insorti il giorno prima. Riferiva, inoltre, episodi simili nel passato. Era vigile, orientata, GCS:15, pupille isocoriche e normoreagenti, non rigor, non nistagmo, lasegue negativo, dolore e contrattura muscoli paravertebrali nel tratto cervicale, non deficit focali, toni ritmici pause libere, apiressia, parametri nella norma. La paziente è stata trattenuta in OBI ed è stata praticata terapia. Per il persistere della sintomatologia, per gli sfumati disturbi di tipo cerebellare e per il vomito insistente, si effettuava TC encefalo da cui la diagnosi di sindrome di Dandy-Walker. Al momento il neurochirurgo non riteneva che ci fossero gli estre-mi per un intervento chirurgico di urgenza, pertanto era ricoverata in Neurologia. Dopo 24 ore per il peggiorare dell’idrocefalo e della sintomatologia, veniva trasferita e sottoposta ad intervento chirurgico di derivazione ventri-colo peritoneale e dimessa in decima giornata asintomatica. Ancora oggi la paziente è asintomatica e nonostante sia a conoscenza della sua malformazione, è serena, positiva non manifesta più sintomi ascrivibili all’ansia.

DiscussioneNel caso descritto abbiamo valutato una giovane adulta che manifestava i segni tipici di una crisi d’ansia. Duran-te l’osservazione quella piccola lampadina che alloggia nel cervello del medico dell’emergenza, si è accesa e abbiamo deciso di eseguire una TC. Si trattava del tipo classico di sindrome di Dandy-Walker (il più raro) manife-statosi in età adulta cosa ancora più rara.

Conclusioni L’ansia può precedere l’espressività di un processo patologico. Occorre escludere una patologia organica acuta, l’uso di droghe o una crisi d’astinenza. Nel dubbio vanno effettuate le indagini diagnostiche necessarie per esclu-dere una malattia organica. Se valutiamo con serenità, scienza e coscienza qualunque paziente è più difficile incorrere in errore perché per quanto bravi, preparati ed aggiornati se si è prevenuti inevitabilmente si rischia di sbagliare. E in questo caso anche noi diventeremmo vittime dell’ansia! E un nostro collega ci ascolterebbe?

EMERGENZE-URGENZE CARDIOLOGICHE

Ecocardiografia tridimensionale nella pratica clinica di routine in Medicina d’Emergenza-Urgenza

A. Guzzo, C. Donnini, S. Squarciotta, E. De Villa, F. Innocenti. R. PiniDipartimento di Area Critica Medico-Chirurgica, AOUC, Firenze, Italia

Background L’ecocardiografia tridimensionale (3D) è stata a lungo confinata in ambito specialistico ambulatoriale a causa del-le difficoltà tecniche di acquisizione. Le sonde 3D di ultima generazione sono potenzialmente applicabili alla pra-tica clinica di routine e permettono di ottenere da un’unica proiezione le informazioni (morfologiche e funzionali) necessarie, riducendo i tempi di acquisizione e il disconfort del paziente. Scopo dello studio è quello di testare su una serie non selezionata di pazienti (pz) afferenti al nostro Dipartimento di Emergenza-Accettazione (DEA) una sonda in grado acquisire immagini 2D e 3D di alta qualità.

Metodi Un’ecocardiografia clinica è stata eseguita con la sonda X5-1 (iE33-Philips Medical System) su una serie di pazienti consecutivi ammessi nei reparti di Osservazione Breve (OB) ed Osservazione Breve Intensiva (OBI) del nostro Ospedale; al momento dell’esame sono stati rilevati i parametri vitali necessari al calcolo del Modified Early Warning System (MEWS). L’indagine è stata eseguita sia da personale esperto che da medici in formazione (ma in grado di eseguire un’ecocardiografia clinica di base) e a questi è stato chiesto di specificare al termine dell’esame la qualità della finestra acustica e le condizioni limitanti l’acquisizione delle immagini.

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Risultati Sono stati esaminati 290 pz, 206 in OBI, 67 in OB e 17 esterni. Diagnosi di ingresso più comuni sono state: dolore toracico (36,2%), fibrillazione atriale (12%) e dispnea (9,7%). In 9 pazienti non è stato possible eseguire l’indagine, né in 2D né in 3D (obesità, BPCO, pneumotorace sn, decubito obbligato). In 72 pz la qualità dell’esa-me è risultata scadente a causa della cattiva finestra acustica (34 pz) e/o della scarsa compliance (38pz). Ad ogni modo sono stati ottenuti dati quantitativi in 250 pz con metodica 2D e in 226 pz con metodica 3D (86 vs 80%, p=0,012). I pz in cui l’indagine 3D non è stata possible si sono caratterizzati per una maggiore frequenza respiratoria [FR: a/min] (Range (R): 10-45, Mean (M): 20,29±7,45 vs R: 11-40, M: 17,81±5; p=0,01), ma non per differenze nella frequenza cardiaca [FC:b/min] (R: 50-160, M: 81,83±22,5 vs R: 42-150, M: 78,41±18,66 b/min, p=NS), nel MEWS calcolato al momento dell’esame (R: 0-6, M 1.7±1.56 vs R: 0-6, M: 1.3±1.19, p=NS) o nel BMI [kg/m2 ] (R: 17,6 - 44,8, M: 26,8±5,6 vs R: 16,9 -64, M: 26,2±5, p=NS). Il volume del VS in 2D (tele-dia-stolico, EDV: 87±41 ml; tele-sistolico, ESV: 42±33 ml), la FE-2D (54±15%), il volume del VS in 3D (EDV: 80±46 ml; ESV: 42±40 ml) e la FE-3D (52±14%) hanno mostrato un’ottima correlazione (EDV: r=0.785, p<0.0001; ESV: r=0.866, p<0.0001; EF: r=0.69, p<0.0001). Infine, è stata confrontata la qualità dell’ecocardiografia 3D tra operatori in formazione ed esperti che rispettivamente hanno esaminato 144 e 146 pz. I due gruppi di pazienti sono risultati sovrapponibili per MEWS (1.3±1.3 vs 1.5±1.3, p=NS), FC (80±21 vs 78±18 b/min, p=NS), BMI (26±6 vs 27±5 kg/m2) ma non per FR (17±5 vs 20±7 r/min, p=0,002). La valutazione quantitativa è stata possi-bile nella stessa percentuale di pazienti (78% vs 77%, p=NS).

Conclusioni Per quanto la tachipnea rimanga un fattore limitante, nella pratica clinica su pazienti non selezionati (di cui una proporzione significativa in condizioni critiche) la qualità delle immagini 2D e 3D si è dimostrata ottima, ha permesso una valutazione quantitativa nella maggior parte dei casi, con una buona concordanza tra le due metodiche.

Correlazione fra Fibrillazione Atriale Acuta databile e variazioni microclimatiche. Valutazione di 3633 casi afferiti al Pronto Soccorso di Parma dal 2002 al 2010

I. Comelli*, G. Cervellin*, J. Ferro*** Emergenza Urgenza, Azienda Ospedaliero Universitaria, Parma, Italia ** Dipartimento Cardio-nefro-polmonare, Azienda Ospedaliero Universitaria, Parma, Italia

Premesse Ci sono diverse patologie che mostrano una correlazione con le variazioni microclimatiche come ad esempio le coliche renali, l’ictus cerebrale, l’infarto miocardico, etc. Anche per quanto riguarda la fibrillazione atriale pare esistere una correlazione con la stagionalità, in particolare l’incidenza sembra aumentare nei mesi invernali.

Metodi Abbiamo selezionato prospettivamente tutti i pazienti afferiti al Pronto Soccorso (PS) di Parma per fibrillazione atriale parossistica (FAP) sintomatica (databile entro le 48 ore) nel periodo 01/01/2002-31/12/2010. È stata supposta l’esistenza di una relazione fra accessi al Pronto Soccorso per FAP sintomatica e variazione di tempera-tura e umidità. In particolare questi dati sono stati elaborati eseguendo una correlazione lineare univariata fra gli accessi al PS per FAP sintomatica databile e variazione di temperatura e umidità medie giornaliere. Tale modello è stato calcolato tramite il programma (Mathematica 7®). I dati metereologici sono stati ottenuti tramite il sistema Dexter di Arpa, Emilia Romagna.

Risultati Durante il perido di osservazione è stato rilevato un netto incremento dell’incidenza degli accessi per FAP sintoma-tica (Grafico 1). Gli accessi totali registrati sono stati 3633, di cui 52% maschi (età media 63±14 aa ) e 48% fem-

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mine (età media 71±11 aa). Non è stata riscontrata una correlazione significativa fra accessi medi giornalieri e variazione media giornaliera di temperatura (p>0.05; Grafico 2) e di umidità (p>0.05; Grafico 3). Da segnalare come fattore limitante dello studio, l’inclusione di accessi ripetuti di pochi pazienti afferiti per FAP recidivanti. Inol-tre non sono state considerate eventuali comorbidità come: presenza di cardiopatia organica (stenosi mitralica, infarto miocardico acuto, cardiomiopatie, broncopneumopatia cronica riacutizzata, etc.), tireotossicosi, malattia da reflusso gastroesofageo, sepsi, recenti interventi chirurgici, etc.; tutte condizioni associate ad incrementato rischio di FAP.

ConclusioniDal nostro studio emerge che l’incidenza di FAP sintomatica non è significativamente correlata alla variazione delle variabili microclimatiche da noi indagate. Alcuni studi segnalano un incremento dell’incidenza di questa aritmia nei mesi invernali, ma la letteratura in merito è scarsa e contrastante. Noi riteniamo che al di là dei nostri risultati, non sia da escludere un incremento stagionale di FAP (in particolar modo nella forma silente) associabile a comorbidità prevalenti durante il periodo invernale, quali ad esempio: polmonite, broncopneumopatia cronica riacutizzata, scompenso cardiaco.

Grafico 1.

Grafico 2.

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Grafico 3.

La sindrome di Wolff-Parkinson-White in Pronto Soccorso

G. Belvederi, M. Rosada, P. L'Angiocola, C. Soldera, N. Fabiano, A. PellegriniEmergenza-Urgenza, Pronto Soccorso Ospedale dell’Angelo, Venezia Mestre, Italia

IntroduzioneLa sindrome di Wolff-Parkinson-White (WPW) è un’anomalia congenita del sistema di conduzione del cuore, ca-ratterizzata dalla presenza di uno o più fasci atrio-ventricolari accessori, che bypassando le normali fibre di con-duzione del nodo atrio-ventricolare, possono provocare una più rapida eccitazione ventricolare (pre-eccitazione). Sul piano clinico ciò può tradursi nella comparsa di episodi di tachicardia parossistica sopraventricolare (TPSV) da rientro, ovvero tachiaritmie a complessi larghi, nel caso di fibrillazione atriale condotta ai ventricoli attraverso la via anomala.La sindrome, diagnosticata con l’ECG e poi eventualmente confermata dallo studio elettrofisiologico, può essere clinicamente silente o affliggere il paziente con più o meno frequenti recidive di tachiaritmia.Il trattamento definitivo della WPW è la distruzione della via accessoria con un’ablazione trans-catetere con radio-frequenza, per quanto si possono avere ricadute nel 5% dei casi.

Materiali e metodi Si tratta di uno studio retrospettivo su pazienti, affetti da WPW nota, che si sono rivolti al Pronto Soccorso (PS) dell’Ospedale dell’Angelo di Mestre nel periodo compreso tra il Giugno 2008 e l’Aprile 2012. Abbiamo registra-to 26 accessi relativi a 17 pazienti (alcuni con 2 o più accessi), di cui 8 maschi e 9 femmine, di età media 43,5 (min 1, max 76). Per quanto riguarda il quadro clinico che ha portato in PS, si è trattato in 16 casi (61,5%) di TPSV, in 3 casi (11,5%) di toracoalgie aspecifiche, in 3 casi di cardiopalmo in assenza di alterazioni del ritmo, in 2 casi (7,7%) di crisi ipertensiva, infine in un solo caso (3,8%) di fibrillazione atriale parossistica e un altro caso di riferita dispnea (sat 98%).Delle 16 TPSV, 9 (56,2%) sono state trattate con adenosina (1 f da 6 mg), tutte con immediato ripristino del ritmo sinusale (RS), 2 (12,5%) sono state convertite elettricamente, in 2 casi si è avuto il ripristino del RS spontaneamente o dopo manovre vagali, un caso è stato trattato con verapamil ed uno con flecainide. La fibrillazione atriale è stata trat-tata con diltiazem e poi con propafenone, con ripristino del RS. Un caso, trattandosi di bambino di 10 mesi appena operato per trasposizione dei grossi vasi, è stato ricoverato in pediatria. Solo un altro paziente è stato ricoverato (in cardiologia) e 4 sono stati osservati in OBI. Nel complesso in 20 casi (76,9%) il paziente è stato rimandato a casa.6 pazienti (35,3%) in precedenza erano stati sottoposti ad ablazione, evidentemente inefficace.

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ConclusioniLa tachiaritmia, in particolare la TPSV, è il problema che più frequentemente porta in PS i soggetti affetti da WPW, senza considerare i disturbi minori (cardiopalmo, toracoalgia o altro) che possono spingere il paziente, preoc-cupato e suggestionato, al PS. La TPSV può essere brillantemente convertita in RS con adenosina, e il paziente mandato rapidamente al proprio domicilio.

NT-proBNP, E/E’ e volume atriale: predittori di mantenimento del ritmo sinusale dopo cardioversione elettrica in pazienti con fibrillazione atriale persistente

E. Franza*, F. Soriano**, P. Canova**, E. Viganò**, L. Bonacchini**, F. Cesana**, G. Trocino***, A. Vincenzi***, A. Cirò***, C. Giannattasio***** Scuola di Specializzazione in Medicina d’Emergenza, Ospedale S. Gerardo, Monza, Italia** Scuola di Specializzazione in Malattie Cardiovascolari, Università di Milano-Bicocca*** Divisione di Cardiologia, Ospedale S. Gerardo, Monza, Italia**** Divisione di Cardiologia IV Ospedale Niguarda, Milano, Italia

Introduzione La cardioversione elettrica (CVE) della fibrillazione atriale (FA) non sempre si associa alla successiva persistenza di un ritmo sinusale (RS) stabile; risulta pertanto utile identificare degli indicatori non invasivi predittivi di successo procedurale. Recentemente è stato dimostrato che il valore di NT-proBNP si riduce dopo CVE, mentre appare ancora controverso se tale valore pre-procedurale possa costituire un indicatore predittivo di mantenimento di RS.

Obiettivi Valutare l’andamento del valore plasmatico di NT-proBNP prima della CVE, subito dopo ripristino del RS e dopo un mese dalla procedura per individuare un predittore non invasivo di mantenimento del RS dopo CVE.

Metodi Abbiamo arruolato 89 pazienti consecutivi (età 70±8 anni, pressione arteriosa 135±19/82±10 mmHg, frequen-za cardiaca 86±18 bpm, in terapia antiaritmica e anticoagulante) affetti da FA persistente, escludendo pazienti con scompenso cardiaco congestizio e/o valori di NT-proBNP >2000 pg/mL. Tutti i pazienti sono stati sottoposti prima della CVE ad ecocardiografia trans-toracica standard (GE Vivid 7) con valutazione della funzione sistolica, diastolica comprensiva di TDI e dei volumi ventricolari ed atriali indicizzati per BSA. NT-proBNP è stato dosato immediatamente prima della CVE, dopo 4 ore e dopo 30 giorni dalla procedura sia in caso di mantenimento di RS che in caso di recidiva di FA.

Risultati A 30 giorni dalla CVE l’elettrocardiogramma ha dimostrato persistenza di RS in 64 pazienti e recidiva di FA in 25. Il valore di NT-proBNP pre-procedurale non è risultato statisticamente differente tra i due gruppi (RS 1140±139 pg/mL vs FA 1163±167 pg/mL). Dopo 4 ore dalla procedura il valore di NT-proBNP è risultato notevolmente diminuito in entrambi i gruppi con correlazione tra loro statisticamente non significativa (RS 962±103 pg/mL vs FA 887±146 pg/mL). Dopo 30 giorni dalla CVE il valore di NT-proBNP è risultato significativamente ridotto solo nei pazienti con mantenimento di RS mentre è apparso pressoché invariato rispetto al valore pre-procedurale nei pazienti con recidiva di FA (RS 422±71 pg/mL vs FA 1048±158 pg/mL; p <0,0001). Il valore di NT-proBNP a 30 giorni dalla procedura è risultato correlare inoltre significativamente con il valore di E/E’ calcolato all’ecocar-diogramma pre-procedurale (r 0,18; p <0,002) che a sua volta correla con il volume indicizzato per BSA dell’atrio sinistro (r 0,16; p<0,03).

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Conclusioni I nostri dati suggeriscono che il valore di NT-proBNP nella FA persistente rispecchia la ripresa di normale attività elettromeccanica dell’atrio sinistro. Il valore di NT-proBNP non varia in modo significativo dopo ripristino di RS, bensì si riduce notevolmente dopo un mese di mantenimento di RS (pertanto dopo il periodo di stunning e ripresa di regolare attività meccanica atriale). E/E’ e volume atriale indicizzato sono parametri ecocardiografici che, es-sendo correlati con il valore di NT-proBNP a 30 giorni dalla CVE e con il mantenimento di RS, possono costituire elementi utili per la stratificazione dei pazienti con FA persistente per individuare i candidati a CVE con maggiori possibilità di efficacia nel tempo della procedura.

Fibrillazione atriale in Pronto Soccorso: cardioversione anamnestica?

C. Giuffrida*, R. Sciuto*, T. Trimarchi*, S. Calandra*, V. Fedele*** Emergenza, Presidio Piemonte, Messina, Italia** Emergenza, Ospedale Cannizzaro, Catania, Italia

Introduzione La fibrillazione atriale in area di emergenza rappresenta un’aritmia la cui gestione terapeutica presenta alternative generalmente efficaci e sovrapponibili.Ad esclusione della terapia elettrica, opzione che viene adottata in tutti i casi in cui si rende necessaria una car-dioversione elettrica sincronizzata per instabilità emodinamica o perché perdurante oltre le 48 ore in assenza di valvulopatia mitralica, la terapia farmacologica attinge a farmaci di classe 1c e classe 3 secondo la classificazio-ne di Vaughan-Williams, per il controllo del ritmo; meno frequentemente nella nostra realtà si utilizzano farmaci di classe IV per il controllo della frequenza. Questo è dovuto soprattutto al fatto che i pazienti in fibrillazione atriale giungono in Pronto Soccorso (PS) perché sintomatici per cardiopalmo e nel timing giusto perché possano essere cardiovertiti.La fibrillazione atriale è l’aritmia sostenuta di più frequente riscontro nella pratica clinica ed ha una prevalenza nella popolazione dell’1%; aumenta con l’aumentare dell’età passando dallo 0,1% dei soggetti con età inferiore a 55 anni a ben il 9% nei soggetti con età superiore ad 80 anni. Questa tachiaritmia pur non avendo, generalmen-te, un particolare impatto clinico per il medico di PS, rappresenta per il paziente una fonte notevole di disagio, quando non diventi pericolosamente instabile, per cui compito del sanitario è quello di controllare la frequenza e/o il ritmo in tempi brevi.Pur essendo utile effettuare un ecocadiogramma trans-toracico, per una valutazione delle camere cardiache e delle valvole, la possibilità di poterlo ottenere non è sempre facile in PS, per cui la più appropriata strategia terapeutica per il paziente che si presenta con una fibrillazione atriale di recente insorgenza dipende da una valutazione clinico-anamnestica volta ad escludere una disfunzione ventricolare sinistra, una malattia valvolare mitralica, pre-gressi episodi ischemici cerebrali e ad individuare con buona precisione il tempo di insorgenza dell’aritmia (1).Scopo di questa nostra ricerca è quello di verificare se l’anamnesi rappresenta uno strumento importante per l’ese-cuzione di una cardioversione farmacologica e per il tipo di farmaco da utilizzare.

Materiali e metodiÈ stato effettuato uno studio osservazionale retrospettivo che ha valutato una popolazione di 79 pazienti dal 1 Gennaio al 31 Maggio 2012 che giungevano in PS per fibrillazione atriale parossistica/persistente. I pazienti erano tutti stabili emodinamicamente e la somministrazione di farmaci di classe 1c e classe 3 dipendeva da un attento approccio clinico che evidenziava la possibilità che i pazienti potessero essere potenzialmente in scom-penso. È stata calcolata l’età media e la sua deviazione standard, la percentuale di cardioversione rispetto alla popolazione totale, la percentuale di cardioversione per farmaco utilizzato, i tempi di cardioversione rispetto al farmaco utilizzato, il tempo medio totale di cardioversione e la sua deviazione standard e si è utilizzato il test statistico di verifica di ipotesi del chi quadrato (test X2 ) per valutare le differenze di efficacia tra i farmaci utilizzati in termini di percentuale di cardioversione. I farmaci utilizzati sono stati: amiodarone, propafenone.

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Risultati La popolazione campionata aveva un’età media di 69,5 anni con dev.st. di +/-14,5. Il tempo medio di cardiover-sione è stato di 6,49 ore, con dev.st. di +/-6,1. Su 59 pazienti trattati con amiodarone si è ottenuta la cardiover-sione in 41 pazienti con una percentuale pari al 69,5%; su 20 pazienti trattati con propafenone si è ottenuta la cardioversione in 15 pazienti con una percentuale pari al 75%. Il tempo medio di cardioversione è stato di 7,11 ore per l’amiodarone e di 5,52 ore per il propafenone. L’efficacia è risultata sovrapponibile tra i due farmaci come attesta l’esecuzione del test X2. Nessun accidente trombo-embolico è emerso durante il periodo di osservazione post-cardioversione predimissione, né nei giorni successivi (2, 3).

ConclusioniUn attento esame clinico-anamnestico del paziente in fibrillazione atriale parossistica/persistente può permettere una cardioversione farmacologica sicura e scevra da rischi anche nella scelta del farmaco più opportuno.

Bibliografia 1. Falk RH. Atrial fibrillation. N Engl J Med 2001; 344: 1067-78.2. Kochiadakis GE, Igoumenidis NE, Simantirakis EN. Intravenus propafenone versus intravenus amiodarone in the

management of atrial fibrillation of recent onset: a placebo-controlled study. Pacing Clin Electrophysiol 1998; 21: 2475-9.

3. Blanc JJ, Voinov C, Maarek M. Comparison of oral loading dose of propafenone and amiodarone for converting recent-onset atrial fibrillation. PARSIFAL study group. Am J Cardiol 2000; 84: 1029-32.

Correlazione tra ritmo circadiano e orario di insorgenza di eventi cardiovascolari

D. Antonicelli*, F. Mangiatordi*, P. Laquale*** Pronto Soccorso, Ospedale di Altamura, Italia** 118, Ospedale di Altamura, Italia

La comparsa di manifestazioni cliniche di cardiopatia ischemica, angina pectoris, infarto miocardico acuto e morte cardiaca improvvisa non è equamente distribuita nell’arco delle 24 ore: come dimostrato da vari autori, infatti, il numero di eventi è risultato essere maggiore durante le prime ore del mattino e nella prima serata. Tale cadenza temporale è probabilmente legata ai meccanismi fisiopatologici ciclici del ritmo circadiano e quindi alla variazione circadiana delle catecolammine e dai fattori ambientali che possono scatenare eventi ischemici acuti. Per quanto riguarda, infatti, la somministrazione dei calcio-antagonisti e dei beta-bloccanti è stata ampiamente dimostrata l’influenza del ritmo circadiano.Nel nostro studio abbiamo analizzato i pazienti giunti in Pronto Soccorso da Gennaio 2011 a Dicembre 2011, valutando l’orario di ingresso dei pazienti e dividendoli in quattro gruppi in base a quattro fasce orarie. Abbiamo, inoltre, selezionato un gruppo di pazienti ipertesi sottoposti ad holter pressorio e si è valutata la fascia oraria di maggior insorgenza di picco pressorio, a dimostrazione della stretta correlazione con il ritmo circadiano delle catecolammine. Alla luce di questa variazione, quindi, gli interventi preventivi e terapeutici potrebbero essere adattati ed ottimizzati per ridurre gli eventi cardiovascolari maggiori.

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Utilizzo della Conti Chest Pain in un Pronto Soccorso periferico: valutazione del dolore toracico in triage

T. Campanelli, V. BarbieriEmergenza, AORMN, Fano, Italia

Questo lavoro vuole riconfermare l’utilità della Conti Chest Pain in Pronto Soccorso, in quanto permette di selezio-nare e valutare in modo veloce e corretto il paziente che si presenta con un dolore toracico; in particolare si vuole verificare se i codici assegnati dall’infermiere di triage, che utilizza come supporto alla valutazione del dolore toracico la Conti Chest Pain, sono gli stessi codici di dimissione e/o di ricovero.Lo studio in esame è stato realizzato nel Pronto Soccorso di Fano (Presidio S. Croce, dell’ Azienda Ospedali Riuniti Marche Nord) utilizzando il Conti Chest Pain Score.La popolazione oggetto di studio è rappresentata da tutti i pazienti che sono giunti al Pronto Soccorso con mezzi propri, con la sintomatologia tipica del dolore toracico nel periodo che va dal 1 Luglio al 1 Agosto 2011.I risultati confermano la distribuzione per sesso nell’età <40 anni (gli uomini in questa fascia di età si ammalano più delle donne), inoltre la popolazione con più di 60 anni è quella che accede più frequentemente per dolore toracico.Per quanto riguarda l’assegnazione del codice/colore di accesso è emerso che il numero dei codici colore giallo è nettamente superiore rispetto ai rossi ed ai verdi in entrata. Infatti abbiamo 45 pazienti con un codice colore giallo (65%), 24 pazienti con codice colore verde (34%) e 1 paziente con codice colore rosso (1%).Mentre al momento della dimissione/ricovero del paziente i codici colore giallo sono 37 (53%), i codici colore verdi 32 (46%) e i codici colore rosso 1 (1%), permane inoltre una enorme fetta di pazienti che viene dimessa con codice colore giallo.Il numero dei pazienti entrati con un codice (giallo) ed usciti con un altro codice (verde) sono 8.Viene riconfermata la validità dell’utilizzo della Conti Chest Pain anche in realtà piccole come quella oggetto di studio, infatti la maggior parte dei pazienti a cui veniva assegnato un codice colore giallo, questo poi risultava essere quello di dimissione/ricovero, per cui questo induce all’utilizzo dello strumento oggetto di studio in modo costante.La corretta individuazione del codice colore di accesso alla sala visita medica permette inoltre di ridurre i tempi di attesa per l’espletamento delle tecniche di vascolarizzazione e ripristinando la normale funzionalità cardiaca; questo assicura inoltre la riduzione/assenza di una sintomatologia post-ischemica.Altra considerazione è la diminuzione del rischio di errore per l’infermiere triagista perché la Conti Chest Pain permette una valutazione più corretta del dolore con percentuali di sovrastima del codice modesta (5,6%), senza così inficiare le code d’attesa in Pronto Soccorso.

Si può riaffermare che la Conti Chest Pain risulta un ottimo strumento di lavoro per l’infermiere di triage, in quanto funge da garante nella valutazione del paziente con dolore toracico e nella corretta assegnazione del codice/colore.Tale strumento fornisce informazioni utili sui tempi dell’esecuzione dell’elettrocardiogramma in triage, permettendo all’infermiere di valutare le priorità e di assegnare in maniera corretta il codice/colore fra tutti i pazienti che ac-cedono in Pronto Soccorso per un dolore toracico.

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Ruolo dell’ecocardiografia in urgenza nel trattamento della fibrillazione atriale parossistica; nostra esperienza

R. Mascianà, P. Tittoto, F. Paglia, A. Revello, F.R. PuglieseDipartimento di Emergenza-Accettazione, Ospedale Sandro Pertini, Roma, Italia

Introduzione Nella valutazione di un paziente che acceda al Pronto Soccorso (PS) per Fibrillazione Atriale Parossistica (FAP) occorre valutare la sua stabilità emodinamica, la sua performance ventricolare sx e stimare con la maggiore precisione possibile l’insorgenza della aritmia (superiore o inferiore alle 48 ore) per decidere la strategia da per-correre. La cardioversione può essere ottenuta elettricamente o mediante utilizzo di farmaci antiaritmici di classe Ic, caratterizzati da rapida azione ma inotropismo negativo, e di classe III, caratterizzati da azione più lenta non inibenti la performance ventricolare. Se si intende dunque procedere con una cardioversione farmacologica la scelta del farmaco oltre a tener conto della efficacia terapeutica (raggiungimento del risultato, velocità di azione) può gravare sull’inotropismo ventricolare e conseguentemente sull’emodinamica del paziente, in particolar modo nei casi di anamnesi silente o non esaustiva. Risulta pertanto utile in urgenza conoscere approssimativamente la Frazione di Eiezione del Ventricolo sx (FEVS) attraverso un’ecocardiogramma.

ObiettiviNel presente studio prospettico si vuole testare se l’utilizzo della metodica ecocardiografica di primo livello da parte di medici di PS adeguatamente addestrati, consentendo di acquisire elementi fondamentali di valutazione, seppur in maniera grossolana, quali dimensioni e FEVs, possa consentire una scelta più adeguata del farmaco da utilizzare.

Materiali e MetodiDa Aprile a Settembre 2012 verrà arruolato un gruppo di pazienti (campione stimato circa 30) affetti da FAP ad insorgenza <48 h con cardiopatia anamnesticamente nota o età >80 aa; in base all’anamnesi ed esame obiettivo verrà formulata una prima scelta del farmaco antiaritmico da utilizzare. Successivamente lo stesso campione di pazienti verrà sottoposto a valutazione ecografica della FEVS da parte del medico d’urgenza e verrà formulata una seconda scelta sul farmaco antiaritmico da utilizzare. La refertazione dell’esame ecocardiografico di primo livello verrà infine confrontata con quella eseguita da un ecocardiografista esperto (cardiologo di guardia in DEA).

Risultati attesi È auspicabile che la valutazione della FEVSx in urgenza da parte del medico di PS possa perfezionare la scelta strategica e farmacologica dei pazienti con FAP, riducendo i possibili effetti collaterali e migliorando l’accuratezza diagnostica e l’efficacia terapeutica.

Conclusioni La metodica ecografica diventa sempre più parte integrante della valutazione globale del paziente in urgenza svolgendo un ruolo importante nel completamento dell’esame obiettivo per un migliore orientamento diagnostico terapeutico.

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Io speriamo che me la “cava”. Insidia e sfida per il medico d’urgenza

M. Bonora, G. Elia, C. SinnoEmergenza/Urgenza, Ospedale Madonna delle Grazie, Matera, Italia

Caso clinico Riportiamo la cronistoria di quattro accessi consecutivi nel nostro Pronto Soccorso (PS) nello spazio temporale di un mese di A.M. (56 aa.), che fino ad allora godeva di un’apparente buona salute. La paziente giungeva la prima volta lamentando da qualche ora “sensazione di congestione al volto ed al collo con difficoltà respiratoria”. Al triage i parametri erano nella norma ed il successivo esame obiettivo evidenziava solo un lieve edema del collo e del volto. La clinica nei successivi due accessi era sovrapponibile e, dopo essere stata trattata con cortisonici ed antistaminici, la paziente veniva dimessa con diagnosi di reazione allergica. Al quarto accesso la paziente giungeva con un peggioramento del quadro clinico con importante edema del volto e del collo; dopo un iniziale trattamento con cortisonici ed antistaminici, veniva ricoverata in Osservazione Breve ed Intensiva (OBI). Durante la permanenza in OBI gli esami emato-chimici di routine risultavano nella norma e la visita otorinolaringoiatrica e pneumologica non evidenziava reperti patologici. Veniva eseguita radiografia del torace che documentava “slar-gamento del mediastino a contorni bozzuti del mediastino antero-superiore destro”. A distanza di una settimana, eseguiva TAC con mezzo di contrasto che documentava la presenza di una patologia neoplastica del mediastino a localizzazione linfonodale con un restringimento del lume della vena cava superiore e successiva diagnosi di linfo-ma non-Hodgkin. La sintomatologia della paziente era pertanto ascrivibile alla sindrome della vena cava superiore (SVCS), condizione relativamente rara e causata da un restringimento o occlusione della vena cava superiore.

Discussione La causa più frequente della SVCS è la presenza di un tumore (85%), i più comuni dei quali sono i carcinomi polmonari, seguiti dai linfomi di Hodgkin e non-Hodgkin e da tumori metastatici. Si riconoscono anche cause non neoplastiche, soprattutto trombosi secondarie a posizionamento di catetere venoso centrale o pace-maker. I sintomi associati alla SVCS possono insorgere improvvisamente o gradualmente e peggiorare con la posizione clinostatica. Comprendono difficoltà respiratoria, tosse, gonfiore del viso, collo, tronco e braccia, iperemia del volto, del palmo delle mani e delle mucose all’interno del naso e della bocca che in fase avanzata virano alla cianosi, sensazione di “pienezza” nella testa o nell’orecchio, gonfiore periorbitario, difficoltà alla deglutizione. La gravità dei sintomi varia a secondo del punto di ostruzione rispetto alla vena azygos. Una occlusione incom-pleta può essere asintomatica, mentre una occlusione completa ed estesa può causare stati patologici importanti. La diagnostica in PS si avvale della radiografia del torace (slargamento del mediastino, massa nel mediastino superiore, versamento pleurico, ecc. e ricordando che può risultare normale nel circa 15% dei casi) e della TC del torace (visualizzazione del tumore, della vena cava, eventuale presenza di trombi, del circolo collaterale, di interessamento dei bronchi e di altre strutture).

Conclusioni La descrizione del caso conferma come i segni clinici e i sintomi della SVCS sono spesso ambigui e sub-acuti e possono trarre in inganno il medico d’urgenza. Non è quindi raro che pazienti con SVCS si presentino più volte in PS prima che venga posta la diagnosi. Il medico d’urgenza deve focalizzarsi sulla cronicità relativa dei sintomi per arrivare alla diagnosi non comune di SVCS.

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Uno strano caso di amnesia globale transitoria

A. Parise, M. Barchetti, I. Mazeu, S. Rosi, M. Fiorini, A. Soli, E. GottardiMedicina d’Urgenza e Pronto Soccorso, Nuovo Ospedale di Sassuolo, Italia

Introduzione La diagnosi differenziale dei disturbi neurologici è un compito a volte molto difficile, presentiamo un caso a nostro avviso emblematico.

Materiale e metodi Alle 21:24 G.M., uomo di 65 aa., si presenta a triage accompagnato dalla figlia che riferisce un episodio di amnesia globale di breve durata seguito da parziale disorientamento. Viene attribuito un codice giallo. Alla visita i parametri vitali sono nella norma, il paziente non lamenta disturbi, riferisce un episodio di amnesia globale della durata di alcune ore seguito da un senso di stordimento (non sa riferire cosa sia accaduto dal mattino fino alle 17,30), non è preoccupato ed anzi chiede di potere rientrare a domicilio. L’esame obiettivo non mostra deficit neurologici focali e nessun reperto significativo toraco-addominale; gli esami bioumorali sono nella norma come pure la radiografia del torace, l’ECG, l’emogas e la TAC encefalo. Il consulente neurologo conclude per episodio di amnesia globale transitoria consigliando un doppler TSA. Il paziente viene trattenuto in OBI e la mattina succes-siva esegue l’esame che mostra: “a sx segnale flussimetrico con reflusso diastolico come da occlusione”. A questo punto si decide di eseguire un’angioTC che mostra: “aneurisma dell’aorta ascendente e presenza di dissezione aortica tipo A con interessamento del piano valvolare, il flap intimale si estende sino all’arco distalmente all’emer-genza dell’arteria succlavia sinistra. Il paziente viene pertanto trasferito d’urgenza in cardiochirurgia dove viene sottoposto ad intervento di sostituzione dell’aorta ascendente con tubo valvolato.

Conclusioni Il caso descritto a nostro avviso mostra come la diagnosi differenziale dei sintomi neurologici possa essere molto difficile e presentare sorprese eclatanti. I percorsi diagnostici devono essere possibilmente completati prima della dimissione.

Se l’emisindrome cambia lato

M. Velati, G. Licata, K. Cazzola, F. Galbiati, D. CoenPronto Soccorso e Medicina d’Urgenza, Azienda Ospedaliera Niguarda Ca’ Granda, Milano, Italia

Durante una notte invernale i soccorritori dell’automedica vengono allertati per un uomo di 55 anni, caucasico, che durante rapporto sessuale manifesta afasia, vomito e plegia dell’arto superiore destro. All’arrivo del medico a domicilio si conferma il quadro di emisindrome facio-brachiale destra, sullo scenario non è possibile raccogliere dati anamnestici. Durante il trasporto in ambulanza si assiste alla risoluzione della plegia all’arto superiore destro ma persistenza di afasia e agitazione. Nel frattempo l’infermiere di Pronto Soccorso (PS), contattato dal 118, atti-va il “protocollo ictus” con immediata allerta del neurologo per eventuale trombolisi nell’ipotesi di ictus ischemico.All’arrivo in DEA il paziente si presenta all’internista disorientato, agitato, con capo e sguardo deviati a destra; ma pochi istanti dopo il neurologo obiettiva anche una paresi dell’arto superiore sinistro. Lo specialista è perplesso: il medico del 118 si è confuso o l’emisindrome è ora controlaterale? Il collega del 118, ancora presente in PS, non ha dubbi sul riscontro all’esordio di emisindrome destra.Dopo pochi minuti è la stessa obiettività a condurre verso la soluzione dell’enigma: il paziente, sempre più agi-tato, riprende la posizione primaria di sguardo, muove i quattro arti, il linguaggio presenta qualche parafasia, compare cianosi a mantellina con interessamento di tutto il capo e si rileva assenza del polso femorale destro. A questo punto per tutti è chiaro che il paziente deve essere sottoposto velocemente non solo ad una TC encefalo ma soprattutto ad una TC torace con mezzo di contrasto, nel sospetto di dissecazione aortica.

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La TC mostra dissecazione dell’aorta toracica dal piano valvolare dell’aorta ascendente coinvolgente l’arco aor-tico, l’emergenza dei tronchi epiaortici; mancata opacizzazione della arteria carotide comune destra e rivasco-larizzazione al carrefour. La dissezione continua all’aorta toracica discendente ed addominale almeno fino al carrefour aorto-bisiliaco. La TC encefalo risulta negativa.Il paziente viene sottoposto con successo a intervento di sostituzione di aorta ascendente e successivo impianto di PM DDDR per BAV totale a comparsa intraoperatoria.A posteriori il paziente è risultato essere HIV positivo da 10 anni; negava fattori di rischio cardiovascolari, com-preso l’abuso di sostanze stupefacenti.

La dissecazione aortica tipo A: una diagnosi non sempre facile

M. Barchetti, F. Cristiano, A. Parise, S. Rosi, M. Fiorini, E. GottardiMedicina d’Urgenza e Pronto Soccorso, Nuovo Ospedale di Sassuolo, Italia

Introduzione La dissecazione aortica acuta rappresenta la più grave emergenza cardiovascolare con una mortalità di 1-2% per ora dall’inizio dei sintomi. La diagnosi precoce è pertanto essenziale; ma la sua relativa rarità, accompagnata da una presentazione atipica, può renderla difficoltosa. Presentiamo 4 casi di dissecazione aortica con manifestazio-ne atipica che ha condizionato la tempestività diagnostica e la prognosi.

Materiali e metodi Dal Gennaio 2011 al Marzo 2012 presso il Pronto Soccorso del nostro ospedale si sono presentati 6 casi di dissecazione aortica, in 4 la presentazione era atipica.

Caso 1 I.E., maschio di 46 aa. viene inviato dalla guardia medica per tosse persistente e dolore toracico, all’emogas ipossia con ipocapnia, sat. 88% in aa. TAC torace nel dubbio di embolia polmonare: aneurisma aorta ascendente con dissecazione tipo A.

Caso 2 N.G., maschio di 50 aa., inviato dal curante per dolore toracico, astenia, vertigini soggettive, trattenuto in os-servazione in OBI per curva troponina, al termine esegue consulenza cardiologica con riscontro di flap intimale all’ecocardio, esegue tac: dissecazione tipo A.

Caso 3 B.P., maschio 66 aa., giunge per episodio di amnesia transitoria globale, non sintomatologia toracica o cardia-ca, asintomatico, TAC encefalo negativa, trattenuto in OBI dopo consulenza neurologica per eseguire il giorno seguente doppler TSA; riscontro di anomalie come da occlusione carotidea, esegue angiotac con riscontro di dissecazione tipo A.

Caso 4 P.A., femmina 46 aa., giunge per epigastralgia improvvisa, reazione di difesa in epigastrio, Rx addome negativo, arresto cardiaco durante consulenza chirurgica, exitus da tamponamento cardiaco da rottura di dissecazione aortica.

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Dolore addominale complicato da shock emorragico in paziente in TAO

M. Barchetti, M. Fiorini, S. Rosi, A. Soli, E. GottardiMedicina d’Urgenza e Pronto Soccorso, Nuovo ospedale di Sassuolo, Italia

Introduzione Il riconoscimento e la diagnosi differenziale dello shock in Pronto Soccorso richiedono particolare attenzione ed un alto grado di sospetto. Presentiamo un caso a nostro avviso emblematico.

Materiali e metodi B.G., maschio 77 aa. Si presenta alle 22,06 lamentando un forte dolore ingravescente in regione paralombare-fianco destro irradiato all’ipocondrio dal pomeriggio in assenza di traumi diretti, seguito circa 2 ore prima da un breve episodio sincopale dopo evacuazione, all’arrivo vomito alimentare. All’anamnesi riferisce di essere cardiopatico, con malattia del nodo del seno sintomatica per sincope, in TAO per pregressa embolia polmonare complicanza di un ictus ischemico, assume warfarin, ace inibitore, beta bloccante, allopurinolo, diuretico. E.O: vigile con GCS 15/15, pallido, sudato sofferente, Pa 110/60, sat. 95% in aa., toni ritmici, FC 66b/min, addome globoso, meteorico, dolente ai quadranti di dx con reazione di difesa, esplorazione rettale negativa. ECO-FAST: negativa per versamenti e idronefrosi, aorta nella norma. Diretta addome: non livelli, “velatura emiaddome de-stro”. Routine: Hb 11,1, lieve insufficienza renale, INR 3,31. Durante gli accertamenti peggioramento clinico con assopimento, ipotensione, oliguria marcata. Si richiede Tac addome: “notevole ematoma retro peritoneale che si estende dal fegato fino alla fossa iliaca dx, marcato ispessimento delle fasce retro peritoneali pararenali, ematoma sottocapsulare del rene”. Il paziente viene pertanto trasferito per essere sottoposto a simbolizzazione.

Conclusioni L’ematoma spontaneo retro-peritoneale è una complicanza rara e molto insidiosa della TAO. Il riscontro di dolore addominale con quadro radiologico non dirimente deve indurre all’approfondimento mediante TAC con mdc. La terapia è quasi sempre conservativa con buoni risultati.

Sindrome di Kounis: un caso clinico

C. Visconti, A. Bastreri, R. Castagna, F. Ghittoni, L. Pratticò, C. Del PratoEmergenza e Accettazione, Ospedale Sant’Andrea, La Spezia, Italia

La Sindrome di Kounis, nota anche come Sindrome Anginosa Allergica, è caratterizzata dalla concomitanza di Sindrome Coronarica Acuta ovvero angina instabile, STEMI o N-STEMI con condizioni che includono l’attivazione dei mastociti, quali reazione allergica, anafilassi o reazioni anafilattoidi. Infatti i mediatori dell’infiammazione quali istamina, proteasi, derivati dell’acido arachidonico, citochine e chemiochine, elevati sia nelle reazioni al-lergiche che nelle sindromi coronariche acute, vengono considerati i determinanti dello spasmo delle coronarie, dell’erosione o della rottura della placca ateromasica.Sono descritte due varianti di tale sindrome: di tipo 1 (coronary spasm), che include soggetti con coronarie indenni nei quali il rilascio dei mediatori dell’infiammazione, durante la reazione allergica, può indurre o uno spasmo delle coronarie con enzimi cardiaci normali o uno spasmo delle coronarie che progredisce in infarto miocardico con incremento degli enzimi cardiaci; di tipo 2 (coronary thrombosis) che include soggetti con preesistente pato-logia coronarica ateromasica nei quali la reazione allergica e il rilascio dei mediatori dell’infiammazione induce erosione della placca o rottura che dà origine all’infarto del miocardio.Riportiamo il caso di un paziente di 47 anni giunto in Pronto Soccorso (PS) per una reazione allergica con rush cutaneo da causa alimentare. Le condizioni cliniche all’ingresso in PS erano stabili. Il paziente presentava solo un rash cutaneo diffuso di tipo pomfoide con parametri emodinamici nella norma, la monitorizzazione elettrocar-diografica mostrava reperti normali con un ritmo sinusale; gli venivano somministrati metilprednisolone 60 mg ev

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e clorfenamina 10 mg im, seguiti da idratazione con soluzione fisiologica e monitoraggio emodinamico. Dopo pochi minuti le condizioni cliniche evolvevano in shock anafilattico, con marcata ipotensione, pertanto si sommini-stravano idrocortisone ev, cristalloidi a bolo. Vista la scarsa risposta alla terapia, veniva somministrata adrenalina 0.2 mg im, ripetuta allo stesso dosaggio dopo 10-15 minuti per l’assenza del miglioramento emodinamico. Il paziente presentava dunque un lieve miglioramento clinico, ma nell’immediato, durante l’osservazione, il tracciato ECG mostrava marcato sottoslivellamento del tratto ST nelle derivazioni V1-V6; il paziente veniva ricoverato per-tanto in UTI, ove ristabilita la condizione di stabilità emodinamica veniva sottoposto il giorno seguente a corona-rografia, che evidenziava severa patologia ateromasica delle coronarie con indicazione alla rivascolarizzazione chirurgica.

Come implementare la diagnosi di dissecazione o rottura di aneurisma dell’aorta. Rivalutazione casistica DEA Ospedale Sandro Pertini

P. Tittoto, R. Mascianà, A. Revello, C. Petrilli, F.R. PuglieseDEA UOC Pronto Soccorso-Medicina d’Urgenza, Ospedale Sandro Pertini, Roma

Introduzione La dissecazione o rottura di aneurisma dell’aorta rappresenta per il medico di Pronto Soccorso (PS) una continua sfida resa difficile da subdoli sintomi di presentazione.

Scopo Nel presente studio retrospettivo è stata rivalutata la casistica del nostro PS negli ultimi 28 mesi per evidenziare eventuali fattori epidemiologici o mezzi diagnostici che consentano di accorciare i tempi di diagnosi.

Materiali e Metodi Sono stati esaminati tutti i casi con diagnosi finale di aneurisma rotto o dissecazione aortica dal Gennaio 2010 all’Aprile 2012 acceduti nel nostro PS, prendendo in considerazione i dati epidemiologici, i sintomi di esordio, la durata del sintomo dall’arrivo in PS, i parametri emodinamici, il dosaggio del D-dimero, il tempo di attesa per la diagnosi e l’evoluzione clinica.

Risultati I casi con diagnosi finale di aneurisma rotto o dissecazione aortica sono stati 32 di cui il 62% aneurismi rotti ed il 38% dissecati. I pazienti avevano un’età media di 77 aa, di cui il 63% uomini. I sintomi di esordio sono stati: dolore toracico/addominale 58%, dorsalgia/lombalgia 31%, shock 27%, sincope 17%, deficit neurologici 10%. Il codice colore assegnato al triage era nel 55% dei casi rosso, nel 17% giallo, nel 27% verde. Le co-morbilità più frequentemente riscontrate sono state ipertensione arteriosa 65%, cardiopatia 34%, aneurisma noto 27%, assenza di patologie note 27%, vascolopatia cerebrale 17%, diabete 0,6%, insufficienza renale 0,3%. Fra le caratteristi-che cliniche i polsi sono stati asimmetrici nel 27% dei casi. Il dosaggio del D-dimero ha mostrato una concordanza positiva nel 93% dei casi. È stato eseguito un esame ecografico nel 25% dei pazienti. Il tempo medio di attesa per il raggiungimento della diagnosi rispetto all’arrivo del paziente è stato di 2 h per i codici rossi, 6 h per i codici gialli e verdi. Abbiamo riscontrato lo 0,06% di decessi in PS, la restante parte è stata inviata in reparti specialistici.

Conclusioni I dati epidemiologici da noi ottenuti concordano con la letteratura internazionale. Nei pazienti con sintomi di esor-dio subdoli ed aspecifici ed in quelli paucisintomatici triagiati all’ingresso come codici verdi la clinica non è stata dirimente e la diagnosi conseguentemente tardiva. In particolare questi pazienti non avevano co-morbilità o erano solo ipertesi, i sintomi riferiti erano dolore toracico associato a sintomi aspecifici come febbre, dolore addominale irradiato al fianco, in sede inguinale, genitale. La valutazione della pressione arteriosa e dei polsi ha mostrato una sensibilità del 12%. In tutti questi casi il D-dimero ha assunto un ruolo importante per l’orientamento diagnostico

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(concordanza positiva 93%), come pure l’ecografia in urgenza ha consentito di ridurre nei casi dubbi il tempo di raggiungimento della diagnosi. Abbiamo pertanto verificato come nella nostra casistica tali mezzi diagnostici siano stati rilevanti e determinanti nell’orientamento e nell’ottimizzazione dei tempi di diagnosi.

Cardioversione elettrica per la fibrillazione atriale di nuova insorgenza: un trattamento sicuro, efficace ed economico in Pronto Soccorso

R. Volpin*, F. Stella**, A. Scudeller*, F. Borrelli**, G. Vettore*, F. Tosato** Pronto Soccorso ed Osservazione, Azienda Ospedaliera di Padova, Italia ** Dipartimento di Medicina, Università degli Studi di Padova, Italia

Introduzione La fibrillazione atriale (FA) ed il flutter atriale sono le più frequenti aritmie causa di accesso in Pronto Soccorso (PS). Con fibrillazione atriale di recente insorgenza si definisce un episodio di fibrillazione atriale ad insorgenza minore di 48 ore.In accordo con le linee guida internazionali, nel paziente che accede in PS con FA associata ad instabilità emodi-namica, la cardioversione elettrica rappresenta il trattamento elettivo; non vi sono invece chiare linee guida sulla opportunità di scegliere tra cardioversione elettrica e farmacologica in pazienti che accedono in PS con FA di recente insorgenza e stabilità emodinamica.Complicanze acute della cardioversione sono rappresentate dall’insorgenza di aritmie cardiache, da eventi ische-mici ad eziologia cardioembolica e da reazioni avverse ai farmaci utilizzati nella cardioversione farmacologica o per le procedure di sedazione.L’opportunità di intraprendere terapia anticoagulante a domicilio deve essere valutata mediante stratificazione del rischio cardio-embolico nel singolo paziente, mediante l’applicazione di score clinici quale il CHADS2VASC2, come indicato nelle linee guida ESC 2010, in uso presso il nostro PS.L’esecuzione in PS della cardioversione consente la dimissione del paziente al domicilio, a prescindere dal fatto che questo sia o meno già in terapia anticoagulante.

Scopo dello studio Valutazione della sicurezza e della efficacia della cardioversione elettrica come trattamento per FA/flutter di nuova insorgenza nel nostro PS nel biennio 2010-2011.

Materiali e Metodi Abbiamo studiato retrospettivamente i pazienti che sono stati sottoposti presso il nostro PS a cardioversione elet-trica per il trattamento di FA/flutter di nuova insorgenza nel periodo Gennaio 2010-Dicembre 2011, ricercando il tasso di ripristino del ritmo sinusale, insorgenza di complicanze acute e croniche, ed il tasso di ricorrenza di FA a 1, 3 e 6 mesi dalla procedura.

Risultati Sono stati studiati in totale 386 pazienti, 341 dei quali si sono presentati con fibrillazione atriale, 45 con flutter atriale.Il 96,63% dei pazienti sono stati cardiovertiti a ritmo sinusale; 13 pazienti (3,37%) sono stati non responsivi alla terapia ed hanno presentato FA persistente. Deve essere sottolineato che tutti i pazienti con flutter atriale sono stati cardiovertiti a ritmo sinusale con successo, nessun paziente con flutter atriale è stato refrattario alla terapia.Nessun paziente cardiovertito con successo presso il nostro PS ha avuto episodi tromboembolici. Due pazienti hanno presentato, come complicanza precoce, la modifica del ritmo cardiaco da FA a TPSV, successivamente cardiovertite a ritmo sinusale in PS. Non sono state riportate ulteriori complicanze a breve e lungo termine della procedura.Il tasso di ricorrenza di fibrillazione atriale è stato 6,18% ad 1 mese, 10,29% a 3 mesi e 12,06% a 6 mesi rispet-tivamente.

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Conclusioni La cardioversione elettrica è una procedura sicura nel paziente con FA di recente insorgenza. Nessun paziente cardiovertito a ritmo sinusale ha avuto eventi cardioembolici. Il tasso globale di eventi avversi è stato eccezio-nalmente basso. Il ritorno in PS per FA ricorrente è di non trascurabile entità, e tutti i pazienti dovrebbero essere informati della possibilità del verificarsi di questo evento.In accordo con i dati emersi dal nostro studio, la cardioversione elettrica è una procedura sicura ed efficace.

NOTE IMPORTANTI:Non scrivere al di fuori del riquadro. Altro testo o immagini saranno cancellati.

Aumento della troponina nella sepsi

S. Galvan, F. Causin, M.L. Maifreni, V. Puppo, M. SacherMedicina d’Urgenza, Ospedale Cà Foncello, Treviso, Italia

B.A, maschio di 72 aa; esiti di stroke bulbare sinistro, ASO TSA, DMNID; IPA. Ricoverato il 22/02 per insufficien-za respiratoria acuta in corso di shock settico (partenza polmonare).I giorni antecedenti il ricovero il paziente ha iniziato a lamentare dolore addominale con diarrea, febbre e di-spnea ingravescente.Tra gli esami all’ingresso: creat 1.04 mg/dl, PCR 8,3 mg/dl, Procalcitonina 10.21 ng/dl, A. Lattico 11,4 mmol/l. EAB: PH 7,02, PCO2 86 mmHg, pO2 52 mmHg, HCO3- 22.2 mmol/l, sat 71%, FiO2 100% in mascherone. PAM 63. ECG: non segni di ischemia.Paziente ricoverato in Semiintensiva MGU (Apache II 26), sottoposto a NIV mod. Bilevel Ipap 20, Epap 4, FiO2 60%. Applicato monitoraggio multiparametrico, posizionato CVC (SvO2 52,5%), amine ev e terapia antibiotica d’associazione ed antivirale (levofloxacina, ceftriaxone, oseltamivir).Dopo poche ore rialzo di TpT (fino a 1,70). Positività per tampone nasale per influenza A. Emocolture ed urino-colture negative.Ecoscopia: Vsx con disfunzione sistolica severa (FE circa 35%) per ipocinesia diffusa. Vdx apparentemente con cinetica nei limiti. VCI lievemente dilatata, discretamente modulabile. Non versamento pericardico.Il paziente è progressivamente migliorato, con riduzione della febbre, degli indici di flogosi e della troponina. Lo stato di shock si è risolto, per cui sono state sospese le amine, mentre la situazione respiratoria rimaneva altale-nante con prolungata necessità di ventilazione.Il 28/2 si è verificato arresto cardiorespiratorio per tachicardia ventricolare (torsione di punta): il paziente è stato subito defibrillato a 150J difasico con ripresa del polso e RS dopo singola scarica.

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All’Eco Cuore miglioramento della funzione di pompa; sospensione levofloxacina e indicata CGF. Trasferito in Cardiologia, alla CGF: coronaropatia trivasale. Eseguita PTCA con applicazione di due stent medicati su CX2; successiva PTCA con stent medicato su DA media con successo.Conclusioni:• ladisfunzionemiocardicaèunacomplicazionecomuneneipazienticonsepsi;• l’aumentodellatroponinaèindicediseveraisfunzionedelVsx;• l’aumentodellatroponinaèunindicatoreprognosticonegativo;• latroponinapuòessereusatapermonitorarelaterapianelloshocksettico;• nellasepsilatroponinaelevatanonècorrelataconsottostanteCAD;• inquestipazienti,inassenzadispecificifattoridirischiodidoloretoracicoodialterazioniECGoecocardio-

grafiche suggestive per SCA non vi sono indicazioni ad uno specifico trattamento riperfusivo.

BibliografiaSpies C. et al. Serum cardiac troponin as a prognostic marker in early sepsis. Chest 1998; 113: 1055-1083.Allen J. et al. Narrative review: alternative causes for elevated cardiac troponin levels when Acute Coronary Syndrome

are excluded. Ann Intern Med 2005; 142: 786-791.Maeder M. et al. Sepsis-associated myocardial dysfunction diagnostic and prognostic impact of cardiac troponin and

natriuretic peptides. Chest 2006; 129: 1349-1366.

L’embolia polmonare in Pronto Soccorso: non sempre Wells ci aiuta. Esperienza del Pronto Soccorso dell’Ospedale HSR Giglio di Cefalù

V. Paternò, A. Fatta, E. Fertitta, R. SquatritoPronto Soccorso, HSR Giglio, Cefalù, Italia

Introduzione L’embolia polmonare rappresenta per il medico di Pronto Soccorso (PS) una sfida diagnostica ancora aperta. La presentazione, sovente subdola, atipica, pone seri rischi di errore.

Studio Studio retrospettivo osservazionale su una popolazione di 37 pazienti con diagnosi finale di embolia polmonare afferenti alla nostra UO nel quadriennio 2007-2010.

Obiettivo dello studio Analisi dei pattern di presentazione anamnestico-clinica e laboratoristica di pazienti con embolia polmonare.

Popolazione Su 50 pazienti afferenti presso il nostro PS ricoverati con diagnosi di embolia polmonare nel quadriennio 2007-2010, 37 sono risultati eligibili allo studio. La popolazione in esame risulta composta da 37 pazienti (21 donne, 16 maschi) con età media di 72 anni (24-101).In tutti i pazienti si è giunti alla diagnosi tramite angio TC polmo-nare a strato sottile.

Risultati Nella popolazione in esame, i sintomi di presentazione più frequenti sono: dispnea in 27/37 (78%); dolore tora-cico con dispnea 5/37 (14%); dolore toracico 2/37 (5%); sincope 1/37 (3%); 3/37 (8%) non hanno presentato né dolore toracico né dispnea. In anamnesi, le tre condizioni predisponenti l’embolia polmonare: storia di TVP 6/37 (16%); recente intervento chirurgico (ortopedico e non) o frattura 3/37 (8%); storia di malattia neoplastica in generale 10/37 (27%); anamnesi negativa per le tre condizioni suddette 18/37 (49%).Dividendo il nostro campione in esame a seconda della presenza o meno dei sopra citati fattori anamnestici

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predisponenti, ci accorgiamo che la presenza all’EGA arterioso di PCO2 <40 mmHg si rileva in 10/15 (67%) nel gruppo ad anamnesi negativa e in 14/17 (82%) nel gruppo ad anamnesi positiva. Altresì, la positività della troponina si riscontra maggiormente nei pazienti senza fattori anamnestici predisponenti l’embolia polmonare (11/15 vs 6/15), così come la leucocitosi (10/18 vs 7/19). Naturalmente l’entità del campione in esame non consente verifiche di significatività statistica.

Conclusioni Da quanto emerge da questi primi dati, la negatività anamnestica per condizioni predisponenti l’embolia polmo-nare, riscontrata in quasi il 50% della popolazione in esame, non esclude che si sia verificato l’evento. Quindi in una dispnea non immediatamente spiegabile, con paziente emodinamicamente stabile, in cui vi sia un’EGA arterioso con ipocapnia non inquadrabile, il dosaggio successivo di troponina e D-dimer potrebbe rappresentare un importante aiuto verso la diagnosi.

Un caso di insolita dispnea

A. Bazza***, D.V. Zotti ***, Salvetti***, L. Tarozzi***, E. Chiari *, G. Coletti**, E. Agabiti Rosei ***, M. L. Muiesan***** U.O. Cardiologia Spedali Civili di Brescia, Italia** U.O. Cardiochirurgia Spedali Civili di Brescia, Italia*** Scuola di Specializzazione in Medicina d’Emergenza-Urgenza Università degli Studi di Brescia, Italia**** Divisione Clinica (Sezione Medicina d’Urgenza) Università degli Studi di Brescia, Italia

F.M., donna di 65 anni, giunse al Pronto Soccorso riferendo dispnea ingravescente nelle ultime due settimane. La paziente riferiva inoltre tosse e dolore toracico, ma non febbre. In anamnesi veniva riportata solamente diagnosi di ipertensione arteriosa in terapia con lisinopril/idroclorotiazide e amlodipina. Alla visita la paziente appariva intensamente dispnoica a riposo con una frequenza respiratoria di 22 atti al minuto, una PA di 120/70mmHg, una FC di 68 bpm e una saturazione arteriosa periferica di 87% in aria ambiente e di 96% con ossigenoterapia 15 lt/min. Si apprezzavano bilateralmente rantoli crepitanti bibasilari; i toni cardiaci erano parafonici, le pause libere.Durante la visita si osservò che la paziente in posizione seduta diventava intensamente dispnoica e la SpO2 scen-deva a 75% nonostante la somministrazione di O2-terapia (reperti compatibili con sindrome da platipnea/ortode-ossia). L’emogasanalisi eseguita mostrava alcalosi respiratoria ed ipossiemia con un pH di 7,47 e una SpO2 di 86%, una pCO2 di 31mmHg e una pO2 di 49 mmHg. L’emocromo era nei limiti della norma, così come gli esami di funzione epatica e renale. Non aumento della troponina I. La radiografia del torace non evidenziava lesioni pleuro-parenchimali. L’esecuzione di un ecocardiogramma transtoracico mostrava la presenza di dilatazione del ventricolo destro e di aneurisma del setto interatriale. Una scintigrafia polmonare ventilatoria-perfusoria risultò posi-tiva per difetti periferici di perfusione e veniva interpretata come a media probabilità per embolia polmonare (EP).La paziente iniziò terapia anticoagulante con eparina embricata in seguito con warfarin. Fu quindi eseguito un ecocardiogramma transesofageo che mostrò la presenza di forame ovale pervio (PFO) concomitante ad aneuri-sma del setto interatriale e uno shunt destro-sinistro confermato dopo ecocontrastografia. Con l’assunzione della posizione seduta lo shunt diveniva più evidente e si associava ad ipossia severa. Una seconda scintigrafia ventila-toria-perfusoria eseguita dopo due settimane di terapia anticoagulante fu refertata come ad elevata probabilità per EP in fase di risoluzione. Alla luce di ciò, l’EP veniva interpretata come la possibile causa dell’inversione dello shunt interatriale. Dopo due settimane le condizioni della paziente miglioravano solo in modo lieve per cui si decise per la correzione chirurgica del PFO.Dopo tale procedura, ben tollerata e tecnicamente ben riuscita, si assisteva ad una risoluzione del quadro di pla-tipnea/ortodossia non essendosi verificati ulteriori episodi di desaturazione in ortostatismo.

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Significato clinico dei rialzi marginali della troponina ad alta sensibilità e valutazione gestaltica dei pazienti con dolore toracico in Pronto Soccorso

P. Iannone, G. Fera, M. Lillo, S. Tredici, M. Cavallero, J. Garau, M. Valerio, P. Ghirlanda, E. BelcastroS.C. Pronto Soccorso, ASL 4 Chiavarese, Lavagna, Italia

Premessa/background Le troponine ad alta sensibilità (HST) rappresentano il nuovo standard biochimico di riferimento per la gestione delle sospette Sindromi Coronariche Acute (SCA) a ST non sopralivellato in Pronto Soccorso, anche se il reale significato clinico e prognostico dei rialzi marginali della HST non è ben chiaro.

Materiali e metodi Abbiamo analizzato la diagnosi di PS, le percentuali di ricovero e l’esito a 1 mese dei pazienti consecutivi acce-denti al PS di Lavagna nel periodo dal 1 Febbraio al 30 Novembre 2011 a cui è stato riscontrato un rialzo margi-nale della HST (definito come marginale l’intervallo di valori fra 0,015 e 0.100 ng/ml, High Sensitivity Troponin T Roche, valori di riferimento 0.000-0.014 ng/ml) sottoposti a valutazione clinica gestaltica (senza l’ausilio di algoritmi diagnostici o prognostici strutturati) da parte del medico di PS, con eventuale valutazione cardiologica, ECG e dosaggio HST seriato a 2, 6 e 12 ore dall’accesso in PS. L’orientamento diagnostico raggiunto alla fine del percorso valutativo in PS e l’outcome a 30 giorni dei pazienti dimessi (decesso o riammissione in PS per Sindrome Coronarica Acuta) sono stati presi in considerazione.

RisultatiAbbiamo considerato 533 pazienti consecutivi (264 femmine e 269 maschi) di età media 64 anni (deviazione standard ± 20 anni) con valori di HST compresi tra 0,014 e 0,100 ng/dl. Di questi 337 sono stati ricoverati e 196 dimessi. Le diagnosi rispettive sono di seguito riportate (tabella 1).

Diagnosi Dimessi Ricoverati Pazienti totali

196 (%) 337 (%) 533

SCA 0 (0) 124 (37) 124(23)

Dissezione aortica 0 (0) 1(0) 1(0)

Malattia tromboembolica 0 (0) 7 (2) 7(1)

Aritmia sopraventricolare 23 (12) 14(4) 37(7)

Crisi ipertensiva 16(8) 1(0) 17(3)

Scompenso cardiaco 10(5) 57(17) 67(13)

Sincope 12 (6) 13(4) 25(5)

Malattie biliodigestive 30(15) 24(7) 54(10)

Malattie Respiratorie 12(6) 34(10) 46(9)

Altro 93(47) 62(18) 155(29)

Tabella 1.

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Tutti i dimessi presentavano valori costanti di HST e non è stato registrato alcun decesso o ricovero per Sindrome Coronarica Acuta nel mese successivo alla dimissione da Pronto Soccorso. L’innalzamento seriato della HST in assenza di modificazioni ECG e di recidiva di dolore è stato il principale criterio di ricovero con diagnosi di Sin-drome Coronarica Acuta.

Conclusioni Il criterio del rialzo seriato della HST assieme alla valutazione gestaltica non strutturata dei pazienti con dolore to-racico sono risultati utili nel determinare l’origine coronarica ischemica del dolore, e hanno permesso di dimettere in sicurezza un elevato numero di pazienti con dolore toracico senza eventi sfavorevoli nei 30 giorni successivi. Tuttavia vi è un stato un elevato margine di inappropriatezza nella richiesta della HST per condizioni estranee alle Sindromi Coronariche Acute, oltre che uno spreco di risorse per la permanenza in PS di pazienti per l’inutile ripetizione di esami strumentali e di laboratorio. Ciò rafforza la necessità di fornirsi di strumenti decisionali di supporto per la gestione del dolore toracico in Pronto Soccorso.

Un caso di perdita di coscienza

S. Ingrassia*, P. Giuntini**, O. Cutuli*, L. De Mattei**, P. Costelli**, R. Delfino***, P. Moscatelli** Dipartimento di Emergenza, SDS Medicina d’Emergenza-Urgenza, IRCCS S. Martino-ist, Genova, Italy** Pronto Soccorso e Medicina d’Urgenza, IRCCS S. Martino-ist, Genova, Italy*** UOC Cardiologia, IRCCS S. Martino-ist, Genova, Italy

Uomo di 64 anni, giunge all’attenzione del medico di Pronto Soccorso in quanto è stato trovato a terra; la dina-mica non è chiara, non reca alcuna documentazione clinica, nessun congiunto è presente. Dalla documentazione rintracciabile sul sistema informatico ospedaliero, si evince che si tratta di un paziente iperteso, cardiopatico, diabetico, affetto da sindrome bipolare. All’esame obiettivo del torace sono presenti rantoli diffusi bilaterali, l’atti-vità cardiaca è tachicardica, i toni sono parafonici. L’ecografia clinica focalizzata mostra un quadro di sindrome alveolare diffusa; all’ecoscopia cardiaca si riscontra una severa ipocinesia del VS. Viene eseguita TC torace e addome che evidenzia la presenza di multipli addensamenti polmonari, di verosimile aspetto flogistico, associati a versamento pleurico bilaterale. L’ECG a 12 derivazioni presenta un BBD con alterazioni diffuse della FRV. Gli esami ematochimici mostrano una leucocitosi spiccata (19,6 X10E9/L), un rialzo significativo della TnI (31,3 mcg/L) e dell’NT-proBNP (12305 ng/L). È peraltro inoltre presente un quadro di rabdomiolisi legato al prolungato stazionamento a terra.Viene impostata terapia con diuretico ad alte dosi, antibiotico terapia con piperacillina/tazobactam e levoflo-xacina e intrapresa ventilazione non invasiva mediante C-PAP con PEEP di 5 cmH20 e FiO2:0,40. Il controllo successivo degli esami ematochimici mostra un ulteriore rialzo degli indici di miocardiocitolisi con un valore di TnI di 55,9 mcg/l, che andrà incontro a ulteriori incrementi (168,0-258,0-179,0 mcg/L), ulteriore rialzo dei globuli bianchi (23,9X10E9/L) e incremento dei valori di PCR (96,3 mg/dl).La risposta da parte del paziente alla ventilazione non invasiva mediante CPAP è di un rapido miglioramento con raggiungimento di valori di P/F >450 entro le prime 24 ore di trattamento; il paziente viene quindi trasferito in UTIC.L’ecocardiografia conferma un quadro di grave deficit della funzione sistolica globale con dilatazione del VS, IM lieve e valori di frazione di eiezione del 25%. In considerazione della clinica, del quadro ecocardiografico e degli esami ematochimici viene confermata la diagnosi di miocardite acuta; si soprassiede quindi allo studio coronarografico in regime di urgenza e si prosegue la terapia conservativa, con rapido miglioramento della cli-nica nei giorni successivi. Il controllo radiografico del torace mostra un netto miglioramento del quadro a quattro giorni e l’ecocardiografia a nove giorni evidenzia una graduale ripresa della funzionalità globale del VS, con una riduzione della globale ipocinesia.In questo caso la diagnosi differenziale era posta principalmente tra un caso di miocardite acuta, un quadro di infarto acuto del miocardio e un quadro di sepsi. La presenza, a livello polmonare, non solo di un processo infetti-vo, ma soprattutto di un quadro di scompenso cardiaco, il rapido miglioramento clinico (in particolare la risposta

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alla ventilazione con CPAP) e il tipico quadro ecocardiografico hanno permesso di porre diagnosi di miocardite.La miocardite acuta rappresenta un evento clinico che raramente esordisce con un quadro clinico di tale gravità: è di fondamentale importanza per il medico d’emergenza il ricorso all’ecografia point-of-care per pervenire più precocemente alla diagnosi e, quindi, considerare un approccio terapeutico che, ad oggi, raramente prescinde dal supporto ventilatorio mediante ventilazione non invasiva.

Acute and persistent atrial fibrillation in the ED: aggressive approach by electrical cardioversion

S. Squarciotta, A. Conti, M. Baioni, E. De Villa, M. Luzzi, Y. Mariannini, G. Cerini, N. De Bernardis, F. Caldi, I. TassinariDepartment of Critical Care Medicine and Surgery, Careggi University Hospital, Florence, Italy

Aim This study aimed to investigate the percentage and characteristics of patients submitted to electrical cardioversion and the association with immediate outcome. The use of cardioversion therapies varies by region and patients with large differences. Electrical cardioversion is preferred in northern Europe including Sweden, Denmark and Germany while pharmacological cardioversion is preferred in southern Europe including Spain and Italy.

Methods We retrospectively considered patients coming to the Emergency Department with acute or persistent AF, confirmed by ECG on admission. Patients were excluded if they were considered to be submitted to pharmacological car-dioversion, need hospitalization for comorbidities, or poor candidates for procedural sedation. Routine care was provided on the index visit, and suitable candidates were submitted to early electrical cardioversion or discharged and asked to return to hospital after 3 weeks of oral anticoagulation with warfarin. Endpoint was success of car-dioversion.

Results We enrolled 188 patients in the year 2010 (68% female, mean age 70±11). Out of these 123 patients (65%) were submitted to electrical cardioversion inside the Emergency Room by use of biphasic waveform and 114 (93%) gained the sinus rhythm; 65 patients (35%) were submitted to intensive observation and managed with DC shock. Out of these, 55 patients (85%) gain the sinus rhythm. At univariate analysis including gender, age, left atrial dimension, hypertension, diabetes mellitus, high blood cholesterol, active smoke, only the presence of diabetes mellitus was predictive of DC shock failure (p <0.05). The majority of patients gained the sinus rhythm by the first DC shock (81%). No major side effects were recorded during the observation period lasting 6-12 hours. Only 4 patients showed bradicardia, successfully treated with atropine and normal saline infusion.

Conclusions Cardioversion of AF is successfully and safe in the emergency setting. Diabetes mellitus was an independent predic-tor of failure of cardioversion. The study needs to perform short-term and long-term follow up to evaluate outcomes.

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Gestione del dolore toracico in un DEA di I livello: protocollo aziendale

G. Santangelo, S. CurtiDEA Anzio, Italia

È stato istituito un protocollo aziendale condiviso in tutta l’azienda Roma H per la gestione del dolore toracico in Pronto Soccorso (PS), visto che i Dipartimenti di Emergenza e i Pronto Soccorso dell’azienda non sono provvisti di emodinamica.Sono stati formati tutti i medici ed infermieri dei Pronto Soccorso per uniformare la gestione in collaborazione con i colleghi cardiologi secondo il protocollo ANMCO/SIMEU.È stato creato un questionario da compilare al triage per eseguire la stratificazione del paziente e avviarlo verso percorsi definiti al fine di limitare eventi avversi. Gli autori espongono i criteri e le caratteristiche di tale protocollo.

Il dolore toracico. I protocolli: opportunità e limiti

R. Bonfini, F. Mancini*Dipartimento di Emergenza e Accettazione - Pronto Soccorso, ASL Rieti, Italia* Dea - ps, Asl, Rieti, Italia

Introduzione Il dolore toracico è una delle patologie dell’emergenza che pone i maggiori problemi. Nel caso di dolore toracico di natura cardiologica molte sono le problematiche per la diagnosi certa, a causa della grande variabilità nella forma di presentazione. Per tale motivo in molti ambiti si è arrivati alla codifica di un protocollo standardizzato che consenta di ottenere una diagnosi di probabile certezza per la dimissione in sicurezza del paziente con tale sintomatologia.Anche nel DEA della ASL Rieti si è codificato un protocollo multidisciplinare che prevede che il paziente con sin-tomatologia “dolore toracico” esegua, ove si presenti l’indicazione un ECG all’arrivo in Pronto Soccorso ed un prelievo ematico per Tni fast e Tni sierica. Dopo il referto negativo di questi esami il paziente (in assenza di va-riazioni cliniche e/o sintomatologiche) continua il monitoraggio dell’ECG e della Tni presso l’OBI (6-12 h). Dopo tale monitoraggio ed il calcolo di Chest Pain Score (CPS), può essere inviato a visita cardiologica ove, se reputato utile ai fini del discernimento, viene sottoposto a test da sforzo-protocollo Bruce.

Caso clinico Un paziente maschio di 39 anni si presentava in PS al DEA Rieti riferendo episodio di dolore precordiale irradiato all’arto superiore Sn della durata di circa 10 minuti, avvenuto 5 ore prima. L’anamnesi familiare era positiva per Cardiopatia Ischemica (1 germano rivascolarizzato a 42 aa per IMA), fumatore. Ulteriore anamnesi negativa. Il paziente veniva quindi inserito nel protocollo interno per monitoraggio ECG e Tni a 6 e 12 h dal momento di presentazione al PS, presso l’OBI. Il paziente si manteneva asintomatico durante tutta l’osservazione. I valori ed il referto degli esami erano negativi. Dopo circa 15 h dal momento della presentazione in PS il paziente, che presentava CPS=8 (medio-alta probabilità di angina), veniva avviato a consulenza cardiologica. Per la familiarità e per l’abitudine tabagica effettuava test da sforzo (“Test da Sforzo submassimale negativo per sintomi e segni di ischemia miocardia da sforzo”). Conseguiva dimissione del paziente con diagnosi “dolore toracico di natura extracardiaca” 18 h circa dopo l’ingresso in PS.20 minuti dopo la dimissione il paziente riaccedeva al PS per improvvisa comparsa di violento dolore toracico e sudorazione algida. Veniva eseguito immediatamente ECG che evidenziava sopraslivellamento D2-D3-AVF con immagine speculare V1-V2-V3-V6-AVL come per Infarto Miocardio STEMI postero-inferiore. Veniva trasferito presso il reparto di Emodinamica dove veniva sottoposto a coronarografia d’urgenza con reperto di A.C. dx dominante, occlusa al tratto medio. La successiva angioplastica con tromboaspirazione ed impianto di stent non medicato consentiva la rivascolarizzazione della stessa.

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Conclusioni Il caso clinico in questione potrebbe mettere in discussione il protocollo di gestione del dolore toracico di natura da determinare ma, a nostro avviso, ne valorizza alcuni aspetti come in primo luogo l’uso del CPS che, nel no-stro caso, ha correttamente indirizzato il paziente alla successiva visita cardiologica con l’esecuzione del test da sforzo. Probabilmente lo stress indotto da tale metodica ha accelerato l’insorgenza dell’IMA in sicuro divenire. La nostra esperienza ci ha indotto a proseguire l’osservazione del paziente reduce dal test da sforzo per almeno altre 3 ore tenendo comunque la durata dell’intero iter ben al disotto delle 24 ore.

Caso clinico

F. Fiorentino, G. RuggianoMedicina d’Urgenza, Ospedale Santa Maria Annunziata, Firenze

Codice giallo, donna di 33 anni, accompagnata in Pronto Soccorso per trauma cranio-facciale conseguente ad episodio di perdita di coscienza, della durata inferiore a 1 minuto, preceduta da prodromi, e seguita da incon-tinenza per le urine. La paziente soffriva da alcune settimane di rinite allergica e per tale motivo aveva assunto clorfenamina collirio più volte al giorno. Durante l’infanzia la paziente aveva eseguito controlli cardiologici per dispnea da sforzo, con rilievo di prolasso valvolare mitralico con insufficienza di grado lieve e di sospetta sindro-me del QT lungo, per la quale non aveva mai assunto alcuna terapia né eseguito test genetici.All’esame obiettivo: GCS 15, ferita lacero-contusa del labbro superiore, ecchimosi periorbitaria destra e della piramide nasale, non deficit neurologici focali, toni cardiaci ritmici, soffio mesosistolico 2/6 Levine alla punta e al mesocardio. Un’EGA ha mostrato lieve alcalosi respiratoria da iperventilazione. L’ECG ha mostrato un ritmo sinu-sale, lunghezza del PR e morfologia del QRS nei limiti, QTc ai limiti superiori del range di normalità. L’ecoFAST, la TC del cranio, del massiccio facciale e del rachide cervicale sono risultati nella norma. Gli esami ematici iniziali sono risultati nella norma, ma ai successivi controlli la troponina ha avuto un trend in aumento. L’ecocardiogram-ma ha confermato un’insufficienza mitralica lieve per prolasso dei lembi valvolari, non altri reperti patologici. Il monitoraggio elettrocardiografico e lo studio elettrofisiologico non hanno dimostrato aritmie. È stato pertanto im-piantato un loop-recorder. Si può comunque ipotizzare che la sincope possa avere una causa cardiogena su base aritmica, facilitata dall’assunzione di un anti-istaminico a bassi dosaggi, ma per un periodo prolungato. Questo caso clinico fa riflettere sul fatto che occorre evitare la somministrazione di farmaci che facilitino sindromi aritmo-gene potenzialmente fatali nei pazienti con sindrome del QT lungo accertata o sospetta e quindi già predisposti alle aritmie.

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EMERGENZE-URGENZE INFETTIVOLOGICHEQuando la febbre si trasforma in minaccia per la vita

C. Gozzi, C. Ognibene, C. Gozzi, S. Ciaffi, L. BrugioniMedicina Interna Area Critica, Policlinico, Modena, Italia

La paziente M.E., di anni 40, giungeva alla nostra osservazione per comparsa di iperpiressia fino a 40°C e fa-ringodinia. L’anamnesi patologica remota risultava negativa. All’ingresso in reparto i parametri vitali erano nella norma ad eccezione di tachicardia sinusale e di TC 40,9°C. All’esame obiettivo faringe iperemica, soffio sistolico 2/6 prevalente su focolaio mitralico, nella norma l’obiettività toraco-addominale. Agli esami bioumorali marcata leucocitosi (17.52 migl/ul) con linfopenia, incremento della PCR (15.33 mg/dl). Rx torace negativo per reperti patologici. Si eseguivano emocolture ed urinocolture e si impostava terapia antibiotica empirica con ampicillina sulbactam.A distanza di 3 ore dall’ingresso le condizioni cliniche della paziente subivano un notevole peggioramento con marcata ipotensione (80/40 mmHg) ed alterazione dello stato di coscienza. Agli esami bioumorali comparivano alterazioni come da MOF. Si procedeva quindi a stabilizzare il quadro emodinamico della paziente anche tramite supporto di amine.Le emocolture risultavano positive per S. pyogenes; l’urinocoltura per E. Coli. Ecocardiogramma t-t negativo per vegetazioni valvolari. L’Rx torace di controllo documentava comparsa di esteso opacamento polmonare bilatera-le; veniva eseguita quindi una TC collo-torace-addome che rilevava versamento pleurico bilaterale apico-basale con atelettasia massiva di tutto il lobo inferiore a sinistra e pressoché completa del lobo inferiore destro, multipli linfonodi in sede sovraclaveare bilateralmente, prevascolare e mediastinica, adenomegalie in sede endo- e retro-peritoneale in parte con aspetto necrocolliquato, versamento liquido libero in sede sovra e sottomesocolica.La terapia antibiotica impostata secondo antibiogramma con meropenem e moxifloxacina permetteva un graduale miglioramento clinico, bioumorale e radiologico. Il test HIV risultava negativo a fronte di una grave linfopenia CD4/CD8; ripetuto a distanza di qualche mese era ancora negativo.L’immunodeficienza da causa ignota della paziente ha favorito un quadro di shock settico plurieziologico nono-stante la giovane età e l’anamnesi muta.Il caso clinico descritto suggerisce comunque che una febbre elevata, pur con scarsi segni obiettivi, può trasfor-marsi in una situazione clinica assai più grave e complessa e quindi rappresenta una situazione da valutare con estrema attenzione e da tenere in Osservazione Breve Intensiva per almeno 24 ore.

HIV d’esordio

F. Donati, L. Brugioni, M. Tognetti, E. Conti, C. GozziMedicina Interna Area Critica, Policlinico, Modena, Italia

M.M., maschio di 55 anni, giungeva ricoverato nel nostro reparto per stato confusionale associato a dispnea. In Pronto Soccorso veniva riscontrata iperpiressia con TC di 39°C.In anamnesi: non precedenti anamnestici di rilievo, abitudine tabagica. All’ingresso in reparto il paziente appa-riva vigile, confuso e disorientato s-t, con parametri emodinamici nei limiti di norma, Sat O2 94 % con O2 tp a 4 l/min. All’esame obiettivo: ronchi diffusi al torace, nulla a cuore e addome; non deficit focali neurologici ma dubbio impastamento nucale.Gli esami di laboratorio mostravano un incremento modesto della PCR (4 mg/dl), con normale valore di GB; gli-cemia 520 mg/dl in paziente con anamnesi muta per diabete mellito. L’Rx torace documentava un addensamento parenchimale al campo inferiore sinistro. Negativa la TC encefalo per lesioni ischemiche/emorragiche acute. Negativi gli esiti di emocolture, urinocoltura ed Ag urinari per Legionella e Streptococco.L’EEG mostrava attività lento-parossistica in emisfero destro. La rachicentesi documentava un liquor limpido con

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iperprotidemia in assenza di cellule. Per tale motivo, alla terapia antibiotica con PIP TAZ già in essere, si associava terapia con aciclovir.Previo consenso informato, veniva effettuato prelievo per HIV che dava esito positivo con Western Blot indetermi-nato e presenza di deboli bande (p24 e GP 160). Veniva pertanto diagnosticata un’infezione acuta da HIV con soddisfacente situazione immunologica (CD4: 993 cell/microl). Nel liquor risultava un HIV viral load in PCR real time quantitativa pari a 455 copie /ml. Negativa invece la ricerca di batteri, HSV 1 e 2, e Varicella Zoster.Il paziente veniva trasferito nel Reparto di Malattie Infettive per competenza. Intraprendeva terapia antiretrovirale data la sintomatologia neurologica ed il rischio cardiovascolare aumentato (abitudine tabagica, diabete mellito all’esordio). Completava l’iter diagnostico tramite esecuzione di: HRCT (qualche micronodulo in sede basale sinistra con aspetto di albero in fiore) e broncoscopia con BAL risultato negativo per Pneumocisti jirovecii, BK, batteri aerobi e miceti. Negative inoltre le sierologie per lue, CMV, toxoplasma, EBV, HBV e HCV, criptococco, Quantiferon TB.Durante la degenza il paziente ritornava all’abituale stato di vigilanza e la febbre si risolveva. Veniva dimesso in ventesima giornata con follow-up presso l’ambulatorio di malattie infettive dedicato.Il caso proposto mostra come a volte uno stato confusionale imputabile ad iperpiressia in corso di polmonite co-munitaria, possa celare una causa di malattia ben più insidiosa. Il nostro paziente presentava infatti una encefalite da HIV. È necessario ricordare nella nostra pratica clinica come l’HIV sia una patologia diffusa, ormai nelle varie fasce di età, e grazie ai farmaci antiretrovirali anche curabile.

Anisakis Allergy: a difficult diagnosis in the Emergency Room

F. T. Feliziani, R. Pilotti, G. Concetti, M. Bizzarri, C. Santeusanio, G. Petrelli, P. GroffDipartimento di Emergenza, Pronto Soccorso-MURG, San Benedetto del Tronto, Italia

IntroductionAnisakidae larvae can cause anisakiasis when ingested by humans. Anisakis allergy among people are reported in Italy and other mediterranean countries.Sensitization to Anisakis is confirmed by detecting serum specific IgE to Anisakis simplex. The most common ma-nifestation of anisakiasis is urticaria (80% to 100%) with or without angioedema, followed by abdominal pain (30%-50%) and anaphylaxis (30%). All patients presenting with these symptoms, in literature, also exhibited high serum specific IgE (0.45 to 100 kU/L) to A. simplex.Anisakis simplex should be considered as a possible causative food allergen in adult patients presenting with urti-caria, angioedema, and anaphylaxis following the consumption of raw fish or seafood.Anisakiasis usually occurs in the stomach and can easily be diagnosed by digestive tract endoscopy as opposed to enteric anisakiasis which is very rare and difficult to be diagnosed definitively, expecially for the emergency physician. The most important and useful tool in diagnosing enteric anisakiasis is obtaining an accurate patient history of having eaten raw fish before the onset of symptoms together with a succesive determinaton of IG e levels.

Aim To determine if there is a group of US features that can permit to suspect anisakys, as an adjunct to clinical features, in the Emergency Department.

Methods All patients received a medical visit, general blood exams, sonography and surgery or gastroenterological con-sultation if needed. All patients had eaten raw fish before the onset of symptoms. We analyzed the correlation between bowel sonography, labolatory caracteristics and story of consumption of raw fish.

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Results 5 patients presented with angioedema; 3 patients with orticaria; 40 with abdominal pain. We searched if there was a correlation between bowel sonography and expecially stomach tickened loop and anisakoidis; despite an evident prevalence of positivity of this US sign in this population, the correlation was not significative (p >0.05), probably due to the low number of patients. US showed markedly thickened bowel loops associated with luminal narrowing, swelling of Kerckring folds, and decreased peristalsis in 30/44 patients (p >0,05). A small amount of ascitic fluid around the bowel loops in 32/44 patients (p >0.05); again we did not find any significative correla-tion, despite a clear tendency, due to the small number of patients.

Conclusions The diagnosis of Anisakis allergy is based on three criteria: a compatible history such as urticaria, angioedema, or anaphylaxis that developed following fish consumption. If the above US features are confirmed, the diagnosis of intestinal anisakiasis must be seriously considered in the case of ingestion of raw or undercooked fish also in the absence of IgE test, or if IgE test aren’t immediate.

Un esordio impegnativo e controverso per una tubercolosi renale

G. Di Giacomo Russo, M. Carbone, R. Di Sarno, F. Pardo, V. TiscioneMedicina d’Urgenza, AORN Sant’Anna e San Sebastiano, Caserta, Italia

Paziente maschio di aa. 48 sottoposto tre giorni prima a TURB per sospetta lesione vescicale mucosa ostiale urete-re sinistro (in attesa biopsia) e posizionamento di stent pielo-uretero-vescicale rene sx per idronefrosi. Giunge alla nostra osservazione per shock settico e MODS. Pratica all’ingresso emocolture ed urinocolture (negative) ed avvia terapia antibiotica ad ampio spettro secondo criteri empirici.Emodinamicamente stabile già dalla seconda giornata, il paziente presenta sin dall’esordio leuco-piastrinopenia con striscio periferico negativo. Esegue TC addome senza mdc che evidenzia: “splenomegalia con falda fluida perisplenica, in sede iliaca bilaterale e nello scavo pelvico. Presenza di stent pielo-uretero-vescicale a sx in sede. Lieve dilatazione della pelvi renale sx”. Nonostante l’apiressia, la persistente negatività degli esami colturali, la graduale remissione della sindrome multiorgano ed il graduale miglioramento clinico del paziente, persiste la leuco-piastrinopenia. Il controllo eco-addome evidenzia ancora splenomegalia, per cui si richiede consulenza ematologica. Insorge di nuovo la febbre con ematuria. Emocolture negative e così i test per salmonella, brucella, CMV e leishmania. Pratica aspirato midollare che evidenzia: “in più preparati, elementi cellulari di verosimile natura extra-midollare, spesso presenti sotto forma di sincizi […] Conclusione: probabile infiltrazione midollare da neoplasia solida”. La biopsia ossea contestuale evidenzia: “Reperto morfologico di tipo granulomatoso […] (colorazione specifica di Ziehl-Neelsen negativa). Non si osservano aspetti da riferire a patologia linfoprolifera-tiva”. Esegue TC torace-addome con mdc che risulta negativa per neoplasie solide, persiste la splenomegalia. L’urinocoltura è positiva per Kleb. Pneum. Multiresistente.Inizia trattamento antibiotico secondo antibiogramma che determina risoluzione dell’infezione come da urinocol-tura successiva. Regredita la piastrinopenia, persistono lieve leucopenia e incostante febbricola con sudorazione notturna. L’urologo decide la rimozione dello stent pielo-uretero-vescicale. Ad un successivo controllo ecografico del rene sx si evidenzia la presenza di area ipoecogena al polo inferiore di circa 4 cm di diametro. Alla RMN si evidenzia: “dilatazione calicopielica del rene sx fino al giunto pielo-ureterale, con uretere lombare omolaterale lievemente dilatato. Al terzo inferiore del rene sx, nel contesto della dilatazione caliceale, si apprezza una disomo-geneità di segnale di tipo ematico-proteinaceo con un’impregnazione periferica, dopo somministrazione di mdc, dei calici e del parenchima renale contiguo. Il reperto appare compatibile con pionefrite focale”.Esegue ricerca BK su urine che risulta positiva ad esame microscopico ed alla ricerca del DNA (ceppo non resisten-te alla rifampicina). La mielocoltura è negativa per BK. Alla luce di tutto ciò si decide di iniziare terapia specifica per TBC ancora in corso.

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EMERGENZE-URGENZE RESPIRATORIE

Gestione in Medicina d’Urgenza di uno pneumotorace spontaneo secondario bilaterale

D. Orso, G. Zanella, E. Meneghin, M. Calci, L. StrizzoloPronto Soccorso - Medicina d’Urgenza, A.S.S. 5 Bassa Friulana Palmanova (UD), Italia

Presentiamo il caso di una donna di 70 anni con pneumotorace spontaneo bilaterale. M.F. si rivolge al nostro Pronto Soccorso (PS) per dispnea ingravescente da 2 giorni. È una fumatrice ma non risulta null’altro di sostanziale all’anamnesi. Obiettivamente si riscontra un quadro di broncospasmo serrato; l’ecografia toracica focalizzata allo studio del parenchima polmonare evidenzia strie B bilaterali alle basi. Le prime misure terapeutiche sono rivolte alla gestione del broncospasmo ma ottengono scarso risultato. Viene perciò eseguito un Rx torace che mostra pneumotorace bilaterale importante. Si esegue drenaggio pleurico bilaterale con sistema Pleurocath (16 G), posto in aspirazione. Le condizioni della paziente migliorano subito dopo la procedura e i polmoni tornano stabilmente a parete dopo 7 gg. Alla 10° giornata la paziente viene dimessa in buone condizioni cliniche seppur la TC alla dimissione evidenzi un residuo Pnx di 12 millimetri all’apice del polmone dx ed enfisema evoluto con diverse bolle le maggiori delle quali, di 7 cm a dx e di 2.5 cm a sx. Dopo una settimana la paziente accede nuovamente in PS per dolore toracico e dispnea insorti improvvisamente durante ponzamento. All’Rx si rilevano falde d’aria di circa 2 cm a dx (che si decide di non trattare) e di 4 cm a sx, per la quale si pone invece drenaggio toracico di piccole dimensioni (Pleurocath). Dopo 7 gg tuttavia, poiché il quadro radiografico risulta invariato, si posiziona drenaggio toracico di ampie dimensioni tipo Cook che consente di ottenere la riespansione del polmone sx e la chiusura della breccia nell’arco dei successivi 3 gg. In accordo con gli pneumologi e i chirurghi toracici si decide di mantenere una strategia di follow-up.

DiscussioneLo Pnx spontaneo secondario complica una patologia polmonare pre-esistente e la sua genesi sembra legata alla rottura di bolle patologiche createsi dalla pressione vigente all’interno delle piccole vie aeree. La sua gestione è spesso guidata da raccomandazioni con scarso livello di evidenza, in considerazione della bassa incidenza. Le linee-guida più recenti legano l’indicazione al drenaggio pleurico alle dimensioni della falda di aria. Le medesime linee-guida raccomandano tuttavia di dare maggior risalto alle condizioni cliniche del paziente piuttosto che al solo imaging. Non v’è alcuna evidenza né univocità di opinioni sulla gestione di Pnx che non si risolvano nei primi 3-5 giorni di trattamento con drenaggio. La letteratura riporta casi risolti anche dopo 14 giorni sebbene alcuni esperti raccomandino un trattamento chirurgico precoce. Un’alternativa è la pleurodesi ma anche questa soluzione non pare avere maggior evidenza del solo follow-up 4,5. Nel caso in discussione l’utilizzo di un drenag-gio toracico di maggiori dimensioni è apparso decisivo nel determinare la risoluzione del Pnx sinistro. La scelta conservativa è stata motivata dalla complessità del quadro TC che non presagiva il successo terapeutico di un eventuale approccio chirurgico.

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L’evoluzione dell’emogasanalisi arteriosa dopo 120 minuti di trattamento è in grado di predire l’esito della ventilazione non invasiva nei casi di edema polmonare acuto cardiogeno

R. Ferrari, F. Giostra, G. Monti, M. CavazzaUO Medicina d’Urgenza e Pronto Soccorso, Policlinico Sant’Orsola-Malpighi, AOSP Bologna, Italia

Introduzione La Ventilazione Meccanica Non Invasiva a Pressione Positiva (NIPPV) è intervento di prima linea nell’Edema Polmonare Acuto Cardiogeno: una forte evidenza ne supporta l’efficacia e la sicurezza nel ridurre il tasso di intu-bazione tracheale (ETI), di mortalità, e di altri eventi avversi e complicanze. Il medico d’Urgenza (EP) necessita di elementi oggettivi in aggiunta al giudizio clinico per decidere come gestire l’Insufficienza Respiratoria Acuta (ARF). L’emogasanalisi arteriosa (ABG) è ampiamente disponibile nella pratica clinica del Dipartimento di Emergenza (ED) ed ha dimostrato capacità e limiti nel prevedere l’esito dell’ARF trattata con NIPPV e con terapia medica.

Scopo del lavoro Stabilire il ruolo dell’ABG fin dalle prime fasi nel ED nell’identificare la severità delle condizioni e la risposta al trattamento in pazienti accuratamente selezionati e monitorizzati con ARF da ACPO e trattati con NIPPV, così da predirne l’esito.

Materiali e Metodi L’esito è stato definito come fallimento nei casi di mortalità e/o necessità di ETI e Ventilazione Meccanica Invasiva in qualunque momento nel tempo della degenza. Abbiamo condotto uno studio clinico osservazionale in un ED Universitario, nell’arco di 5 mesi, che ha incluso ogni paziente consecutivamente giunto in ED per ACPO e trattato precocemente con NIPPV secondo indicazione posta dall’EP (secondo una specifica Istruzione Operativa di Servi-zio). Abbiamo analizzato prospetticamente i dati ABG alla presentazione e l’esito al termine dell’ospedalizzazio-ne; campioni di sangue arterioso sono stati valutati all’arrivo nell’ED e nelle prime fasi (1-6 ore) di monitoraggio.

Risultati Duecentoquattordici pazienti (media 1.42/die) sono stati reclutati. Il tasso di fallimento è risultato del 14,5% (suc-cesso dell’85,5%). I nostri dati mostrano come l’ABG alla presentazione non sia in grado di prevedere accurata-mente l’esito (in termini di necessità di ETI o mortalità nel corso del ricovero). Dopo 60 minuti di NIPPV entrambi i gruppi (successo versus fallimento) migliorano i parametri EGA senza mostrare significative differenze. Dopo 120 minuti i pazienti del gruppo di fallimento non sono più in grado di correggere gli scambi gassosi, mentre è stato documentato un miglioramento progressivamente più evidente nei casi del gruppo di successo. Questo andamento è confermato anche dopo 3 e 6 ore.

Conclusioni In un’ampia maggioranza di pazienti ben selezionati affetti da ACPO la NIPPV migliora gli scambi gassosi ed evita l’ETI e le complicanze ventilatorie-associate. Il miglioramento dell’ABG dopo 2 ore di trattamento con NIPPV è associato all’esito positivo: questi pazienti probabilmente potranno trarre beneficio dalla prosecuzione della NIPPV. L’incapacità di migliorare gli scambi gassosi dopo 120 minuti di NIPPV è predittiva di fallimento; questi pazienti dovrebbero essere ancor più strettamente monitorati con una bassa soglia per l’ETI.

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“Quel bicchiere di troppo”

R. Castelli, V. Asero, G.F. Martines, P. Noto, G. CarpinteriMCAU, AOU Policlinico Vittorio Emanuele, Catania, Italia

L’alcool è la più comune droga di abuso del mondo. Più del 20% dei pazienti che accedono al sistema sanitario in Europa hanno una storia di abuso, più del 21% dei ricoveri nelle terapie intensive statunitensi sono direttamente correlati a diagnosi con anamnesi positive per consumo cronico. Quasi il 4% degli accessi nei Pronto Soccorso italiani è legato all’abuso di alcool. L’attenzione è focalizzata sulle complicanze che la sostanza induce sul sistema nervoso (etilismo acuto, neuropatie periferiche, coma) e sull’apparato gastro-intestinale (gastrite erosiva emorragi-ca, cirrosi, epatite, pancreatite). Troppo spesso viene sottovalutato il danno polmonare alcool-indotto. Descriviamo il caso di un paziente di anni 31, giunto in Pronto Soccorso per stato di agitazione psicomotoria da ebbrezza alcolica.I parametri vitali erano nella norma, anamnesi apparentemente muta, nulla all’esame obiettivo, no trauma cranico. Veniva sottoposto a blanda sedazione con Midazolam e inviato in OBI per monitoraggio multiparametrico. Nulla agli esami ematochimici se non un lieve aumento delle transaminasi ed una alcolemia di 345 mg/dL.Dopo circa 6 ore il paziente si presentava vigile e collaborante, parametri emodinamici stabili ad eccezione di una saturazione del 95% per cui è stata iniziata O2 terapia in Venturi con una FiO2 del 35%.Si assisteva quindi ad un repentino peggioramento delle condizioni cliniche del soggetto che si presentava forte-mente dispnoico, con cianosi periferica e rantoli polmonari bilaterali. L’emodinamica appariva fortemente com-promessa con PA 80/50 mmHg, FC 140 b/min, SatO2= 80% in aa. All’ECG: tachicardia sinusale a complessi stretti, da segnalare all’EGA severa ipossiemia con P/F 70 e acidosi mista. Eseguito Rx torace che evidenziava quadro di infiltrati polmonari bilaterali. Si decideva pertanto di intubare il paziente. Nonostante l’assistenza ven-tilatoria invasiva il paziente andava in arresto cardiocircolatorio. Richiesto il riscontro autoptico da cui emergeva edema polmonare acuto con danno alveolare diffuso come da ARDS, cirrosi epatica macronodulare associata a steato-epatite alcolica severa.La correlazione tra danno polmonare ed abuso di alcool è ormai nota. I meccanismi patogenetici fondamentali del danno sono l’alterazione del sistema immunitario con riduzione della funzione dei neutrofili, dell’attività dei macrofagi, del surfactante, aumento dell’apoptosi delle cellule dell’epitelio alveolare, aumento della permeabilità della membrana alveolo-capillare con stravaso delle emazie e infiltrazione dei leucociti. Numerosi studi hanno inoltre dimostrato come l’assunzione di elevate dosi di alcool in soggetti con comorbidità (sepsi, trauma, cirrosi) determini un aumento dei meccanismi dello “stress ossidativo” che si traduce in un danno polmonare anche severo (ARDS) che pare si possa sviluppare in breve tempo, diventando tanto più grave quanto maggiore è il tasso di alcolemia. Il caso sopra descritto a nostro avviso è un chiaro esempio della correlazione tra alcool e danno pol-monare. L’etilismo acuto del paziente è stato sottovalutato a causa probabilmente della giovane età, dell’anamnesi silente sull’abuso cronico di alcool, dell’iniziale apparente stabilità emodinamica. Nulla faceva pensare ad una così rapida e sfavorevole evoluzione del caso.A nostro avviso data l’elevata incidenza del fenomeno sarebbe utile sviluppare percorsi e trial clinici mirati che permettano il riconoscimento precoce e la corretta gestione di questi casi in DEA.

Case report: uomo di 57 anni con insufficienza respiratoria acuta criptogenetica

E. Saglio, C. Merlo, F. Giachino, S. Battista, V. Busso, M.G. Gregoretti, A. Lerda, P. Ferrera, L. Delsedime, D. Garabello, L. Bonino, C. Moiraghi, F. MorelloDipartimento di Emergenza, AOU S. Giovanni Battista, Torino, Italia

Riportiamo il caso di un uomo di 57 anni afferito al Dipartimento di Emergenza (DEA) per febbre e dispnea. La valutazione di primo livello rilevava la presenza di insufficienza respiratoria ipossica associata ad un esteso addensamento pleuroparenchimale basale. Il paziente veniva pertanto ricoverato in Area Medica Semintensiva

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con diagnosi presuntiva di polmonite comunitaria. La storia clinica includeva ipotiroidismo, fumo, recente disagio sociale. Veniva iniziata terapia antibiotica empirica con levofloxacina e piperacillina/tazobactam. Le indagini sierologiche e colturali risultavano tuttavia negative.In seguito a deterioramento del quadro clinico, con febbre e peggioramento degli scambi respiratori, il paziente veniva sottoposto a TC del torace, che evidenziava la presenza di multiple opacità polmonari bilaterali, aree di risparmio e versamento pleurico. Veniva quindi esteso lo spettro della terapia antibiotica ed eseguita una bron-coscopia. L’esame del BAL risultava negativo per patogeni ed evidenziava la presenza di numerosi macrofagi. Il paziente veniva pertanto sottoposto ad intubazione orotracheale, ventilazione meccanica e biopsia a cielo aperto del polmone. L’esame istologico rilevava la presenza di aree di organizzazione intraluminale delle vie aeree (alve-oli, dotti alveolari, bronchioli) nel contesto di un’architettura polmonare risparmiata, senza lesioni granulomatose o vasculitiche. Il quadro patologico era suggestivo di polmonite criptogenica organizzata (Cryptogenic Organizing Pneumonia, COP). Veniva pertanto iniziata la somministrazione di corticosteroidi, con netto beneficio clinico, rapi-do divezzamento dalla ventilazione meccanica e miglioramento del quadro radiologico. Il paziente veniva infine dimesso al domicilio in discrete condizioni e senza necessità di ossigeno.La COP è una patologia spesso sottodiagnostica, la cui eziologia è scarsamente conosciuta. È descritta in associa-zione a patologie infettive, infiammatorie e neoplastiche, ma spesso resta idiopatica. La COP ha una prevalenza <1/10.000 ricoveri ospedalieri, colpisce soggetti di età media di 55 anni ed il fumo rappresenta un fattore di ri-schio. Il quadro di presentazione è sostanzialmente indistinguibile da quello della polmonite infettiva. Le principali diagnosi differenziali includono inoltre: polmonite associata a connettivopatia, polmonite eosinofila, pneumopatia da farmaci, polmonite da ipersensibilità e polmonite interstiziale acuta idiopatica. La diagnosi conclusiva può essere posta solo con esame istologico polmonare. La terapia specifica della COP include steroidi, immunosop-pressori e macrolidi. La prognosi è favorevole, ma è frequente la recidiva.In conclusione, la COP è una patologia rara richiedente una terapia specifica al fine di ridurne morbilità e mortali-tà. È pertanto necessario un elevato indice di sospetto clinico per la sua pronta identificazione, anche nel contesto del DEA.

Accessi in Pronto Soccorso per angioedema indotto

M.T. Spina1, M.G. Scarpellini1, F. Buccelletti2, M. De Simone3, L. Zulli4, F.R. Pugliese5, V. Valeriano5, M.P. Ruggieri6, M. Magnanti6, B. Susi7

1. Medicina d’Urgenza, Università La Sapienza, Roma, Italia2. Medicina d’Urgenza, Università Cattolica, Roma, Italia3. Medicina d’Urgenza, Ospedale S. Eugenio, Roma, Italia4. Medicna d’Urgenza, Ospedale San Filippo Neri, Roma, Italia5. Medicina d’Urgenza, Ospedale Sandro Pertini, Roma, Italia6. Medicina d’Urgenza, Ospedale S. Giovanni, Roma, Italia7. Pronto Soccorso-Osservazione Breve Intensiva, Policlinico Tor Vergata, Roma, Italia

IntroduzioneNegli ultimi anni si è visto come l’uso di alcuni farmaci possa determinare l’insorgenza di angioedema senza orticaria non istaminergico. L’entità del fenomeno rimane sconosciuta.L’insorgenza di un attacco acuto di angioedema costituisce una causa di accesso in Pronto Soccorso (PS) con ne-cessità di una rapida diagnosi, di una terapia specifica o di un intervento di emergenza per prevenire l’ostruzione delle vie aeree.Con lo scopo di valutare l’incidenza degli accessi in PS per angioedema indotto da farmaci, abbiamo proposto uno studio che ha coinvolto alcuni PS di Roma e la SIMEU Lazio.Tipo di studio: prospettico osservazionale. Luogo dello studio: PS dei seguenti ospedali di Roma: Policlinico Um-berto I, Policlinico Gemelli, Policlinico Tor Vergata, Ospedale S. Eugenio, Pertini, S. Giovanni, S. Filippo Neri. Durata dello studio: sei mesi.

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Metodologia I pazienti sono stati reclutati al momento dell’accesso e in base ai codici ICD 9 di dimissione (codici 995 e 708), attraverso i dati ricavati dal sistema informatico. Sono stati valutati i sintomi dei pazienti; i farmaci assunti, consi-derando la possibilità di una relazione tra questi e l’angioedema.

RisultatiSu un totale di oltre 120.000 accessi nei box medici nei sei mesi dello studio, 1185 pazienti sono stati codificati con i codici 995 e 708. Alla revisione del Rapporto di PS, sono stati identificati, come sospetti di angioedema 62/1185 casi.Dei 62 pazienti inclusi nella nostra casistica 45 presentavano un edema del volto; 12 un edema della glottide, della lingua e della laringe. In 2 casi è stato riscontrato un edema del collo (Figura 1). In più casi si è verificata la presenza di disturbi di vario tipo come disfagia o disfonia, associati a quadri clinici, come edema del sottocute e/o della mucosa.Al triage il 67% di questi casi è stato codificato con il codice verde, il 33% con il codice giallo. In questi ultimi era presente un interessamento delle vie aeree.I pazienti sono stati sottoposti a visita. Alcuni tra loro che lamentavano dispnea, disfonia, con edema della glottide, e/o della laringe hanno effettuato una consulenza otorinolaringoiatra e/o una fibrolaringoscopia.Tra i farmaci assunti dai pazienti i FANS costituiscono la classe maggiormente responsabile di un episodio acuto (22/62 casi), seguono gli antibiotici con 15 casi. Solo in un numero esiguo di casi troviamo gli ACEI e gli ARBs. Antiasmatici, inibitori di pompa, antiepilettici, antidiarroici e il paracetamolo figurano nella nostra casistica come possibile causa di angioedema.La terapia praticata in PS è stata per la massima parte con cortisone, ma il 5% avuto bisogno di adrenalina, som-ministrata in per aerosol.L’esito dei pazienti reclutati è stato nell’89% dei casi (pari a 55 persone) il rinvio a domicilio; il 6% è stato ricove-rato in osservazione e il 5% ha rifiutato il ricovero.

ConclusioniSe consideriamo i farmaci sospettati di aver causato angioedema nella casistica e il loro comune uso, l’evento av-verso può coinvolgere un numero rilevante di persone. La deformazione causata dalla tumefazione ha comportato uno stress emotivo anche nei pazienti codificati come codici verdi; la compromissione delle vie aeree, risultata presente o possibile in un caso su tre, ha indotto l’uso di terapia con adrenalina nel 5% dei casi.

Figura 1. Quadro clinico.

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Sintomi ed elementi predittivi di tromboembolia polmonare: esperienza di due anni al Pronto Soccorso dell’Ospedale di Monza

E. Franza*, M. Gardinali**, I. Cuevas Cairo**, C. Giannattasio**** Scuola di Specializzazione Medicina d’Emergenza, Ospedale S. Gerardo, Monza, Italia** Medicina d’Urgenza, Ospedale S. Paolo, Milano, Italia*** Divisione Cardiologia IV, Ospedale Niguarda, Milano, Italia

Introduzione L’embolia polmonare (EP) rappresenta una delle sfide più difficili per il medico dell’urgenza a causa della scarsa specificità dei sintomi; una precoce diagnosi è fondamentale per ridurne la mortalità.

Scopo Valutare retrospettivamente l’approccio diagnostico seguito in soggetti sospetti per EP nel Pronto Soccorso dell’Ospedale di Monza, dove è sempre disponibile l’esecuzione di angio-TAC polmonare, in un periodo di due anni.

Pazienti e metodi Sono stati identificati due gruppi di pazienti: 1) soggetti con EP confermata in PS con angio-TAC o altre metodiche [EP pos]; 2) soggetti che hanno eseguito angio-TAC polmonare in PS nel sospetto di EP con risultato negativo [EP neg]. L’analisi dei verbali ha permesso di ricostruire lo “score di probabilità” di EP secondo Wells. Differenze nei sintomi di presentazione, nei diversi items dello score di Wells e nei livelli di D-dimero nei due gruppi sono state analizzate con il metodo del χ2 o t-test di Student per dati non appaiati.

Risultati e conclusioni Sono stati individuati 110 casi [EP pos] (età 33-103 anni) e 70 soggetti [EP neg] (età 29-95). I sintomi di presenta-zione erano simili nei due gruppi; la sincope era presente con frequenza doppia (23.6 vs 12,8%) nei soggetti [EP pos] ma la differenza non era significativa (p=0.08). Lo score di Wells è risultato significativamente maggiore nel gruppo [EP pos] (5.3+1.8 vs 4.5+1,5; p=0.001) pur con un’ampia sovrapposizione fra i due gruppi. Una storia di trombo-embolismo venoso e la recente immobilizzazione e/o intervento chirurgico sono risultati significativamente più frequenti nel gruppo [EP pos] (rispettivamente 22,7% vs 8,5% e 20,0% vs 7,1%; p=0.01). Questi due items presentano la maggiore specificità per EP (0.92 e 0.91).Dei 180 pazienti sottoposti ad angio-TAC 150 avevano una probabilità media e 30 un’alta probabilità di EP; escludendo invece nel calcolo dello score i 3 punti per l’item “diagnosi alternativa più probabile”, 110 avevano bassa probabilità, 69 media e 1 alta probabilità di EP; 173 dei 180 soggetti avevano un D-dimero superiore al cut-off. Un paziente con elevata probabilità di EP presentava un D-dimero negativo ed aveva effettivamente una EP. L’indicazione all’esecuzione di angio-TAC appare corretta in 174/180 pazienti. I livelli plasmatici del D-dimero (LIATEST® Roche) sono risultati significativamente diversi fra i due gruppi: [EP pos] 7,2+6,3 mg/mL, [EP neg] 2,9+2,9 (p=0.003) ma con ampia sovrapposizione fra i due gruppi.

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Riacutizzazioni della BPCO, comorbilità e deficit di vitamina D

M. Masoero, M. Bellocchia, A. Vaudano, D. Varenni, I. Parisi, A. Ciuffreda, C. Bucca Dipartimento di Emergenza AOU Città della Salute, Servizio di Fisiopatologia Respiratoria Medicina 5, Torino, Italia

Premesse La Broncopneumopatia cronica ostruttiva (BPCO) è la malattia cronica respiratoria con la maggior prevalenza ed incidenza. La BPCO presenta elevati costi socioeconomici dovuti alle frequenti riacutizzazioni, che talora richiedono accesso al Pronto Soccorso o ricovero ospedaliero determinando declino irreversibile della funzione respiratoria e il deterioramento della qualità della vita. Si stima che la prevalenza di BPCO sia destinata ad aumentare nei prossimi anni, anche nelle fasce di età più giovanili. I dati internazionali e nazionali dimostrano che, nonostante la diffusione delle Linee Guida internazio-nali GOLD (Global Initiative for Obstructive Lung Disease), la prevenzione e il controllo di questa malattia sono ancora insufficienti.L’aumentata prevalenza mondiale e lo scarso controllo della BPCO è da attribuire al fenomeno dell’industrializza-zione, al fumo di sigarette, allo stile di vita e alle abitudini alimentari.Numerose osservazioni indicano che la vitamina D svolge un ruolo importante nella regolazione dell’immunità innata e adattativa in risposta alle infezioni. Dati epidemiologici indicano che ridotti livelli di 25(OH) vitamina D sono associati con una maggior frequenza di infezioni respiratorie negli adulti sani. Recenti osservazioni suggeri-scono che il deficit di vitamina D ha un’elevata prevalenza nei pazienti con BPCO, soprattutto in quelli con grave ostruzione delle vie aeree, suggerendo che esso possa contribuire alle riacutizzazioni della malattia.

Obiettivi Valutare la relazione fra livelli di vitamina D, riacutizzazioni della malattia e comorbilità nei pazienti affetti da BPCO.

Pazienti e metodi Sono stati esaminati 142 pazienti affetti da BPCO, 82 uomini (58%) e 60 donne (42%) di età compresa tra 38 e 85 anni. I pazienti sono stati sottoposti a esame clinico, questionario anamnestico-sintomatologico con valutazione della patologia respiratoria e delle eventuali comorbilità, esame funzionale respiratorio, prelievi per il dosaggio dei principali parametri nutrizionali e markers di flogosi sistemica (proteina C reattiva e ferritina).Il deficit di vitamina D è stato considerato lieve quando i valori sierici erano compresi tra 29 e 20 ng/ml, moderato per valori tra 19 e 10 ng/ml e grave per valori minori di 10 ng/ml.Le comorbilità considerate erano: patologie cardiovascolari (scompenso cardiaco, cardiopatia ipertensiva, cardio-patia ischemica, valvulopatie, aritmie), diabete mellito, neoplasie e ansia/depressione.La BPCO è stata classificata utilizzando la scala di gravità GOLD sulla base dei sintomi, dei dati anamnestici e dei parametri di funzionalità respiratoria.È stato valutato il numero di riacutizzazioni e il numero di ricoveri ospedalieri nell’ultimo anno. Le riacutizzazioni sono state definite come accessi ambulatoriali non programmati associati a cadute del FEV1 del 20% e ricoveri ospedalieri per riacutizzazione della BPCO.I pazienti con 2 o più esacerbazioni all’anno sono stati definiti frequenti esacerbatori.Le riacutizzazioni e i ricoveri ospedalieri sono stati messi in relazione allo stato nutrizionale, alla pervietà delle vie aeree e alle comorbilità.

Analisi statistica I dati sono stati analizzati utilizzando il software SPSS (IBM SPSS Statistics n. 17).Per l’analisi delle caratteristiche generali sono stati utilizzati i metodi di statistica descrittiva.I paragoni fra gruppi sono stati effettuati con il test T di Student per campioni indipendenti, con l’analisi della va-rianza per le variabili continue, e con il test del Chi Quadro per le variabili non parametriche.La correlazione fra parametri funzionali e nutrizionali è stata indagata mediante analisi della regressione lineare.Il risultato di ogni test è stato considerato significativo quando il valore della p risultava inferiore a 0,05.

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Risultati Le caratteristiche generali dei pazienti sono presentate in Tabella 1.

Variabile BPCO(n.142)

Età anni (range) 68 (38-85)

Uomini (%) 57,7

BMI (SEM) 26,06 (±0,43)

Fumatori % 58,4

Ex-fumatori % 29,6

Non fumatori % 12,0

Deficit di Vitamina D % (<30 ng/ml) 93,8

Deficit di Vitamina B12 % (<200 pg/ml) 41,8

Deficit di Folati % (<4,5 ng/ml) 40,6

Aumento di PCR % (>5 mg/l) 56,1

Aumento di Ferritina % (>200 ng/ml) 27,3

Frequenti esacerbatori % 63,4

Accessi al Pronto Soccorso seguiti da ricovero % 58,3

SEM= errore standard della mediaTabella 1. Caratteristiche generali dei pazienti esaminati.

La distribuzione dei pazienti secondo la scala di gravità GOLD è riportata in figura 1.

Figura 1. Distribuzione dei pazienti BPCO secondo le scala di gravità GOLD.

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Il disturbo nutrizionale più frequente era il deficit di vitamina D, riscontrato nel 93,8% dei pazienti. Di questi il 16,7% aveva un deficit lieve, il 46,7% moderato e il 36,6% presentava un deficit grave (Figura 2).

Figura 2. Percentuali del deficit di vitamina D lieve, moderato e grave nel totale dei pazienti BPCO esaminati.

Il deficit di vitamina D era direttamente correlato al grado di ostruzione bronchiale (vedi figura 3).

Figura 3. Relazione tra i livelli di vitamina D e il grado di ostruzione bronchiale (r=0,20; p=0,048).

I frequenti esacerbatori, che rappresentavano circa il 60% dei pazienti, avevano livelli di vitamina D significati-vamente ridotti rispetto ai soggetti con una o nessuna riacutizzazione (19,07 ± 1,67ng/ml verso 12,53 ± 1,03 ng/ml; p=0,001).I livelli di vitamina D erano inversamente correlati al numero di riacutizzazioni (vedi figura 4).Il 58% dei pazienti aveva subito almeno un ricovero nell’ultimo anno.La prevalenza delle comorbilità è indicata in tabella 2. La patologia più frequente era lo scompenso cardiaco. Le patologie cardiache non erano correlate né ai livelli di vitamina D né ai parametri di flogosi.

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Figura 4. Relazione tra i livelli di vitamina D e il numero di riacutizzazioni.(r=0,44; p<0,0001).

Dal confronto fra i pazienti che avevano subito un ricovero ospedaliero nell’ultimo anno e quelli non ricoverati emerge che i pazienti ricoverati avevano: età più avanzata, maggiore ostruzione delle vie aeree, più bassi livelli di vitamina D e più frequenti esacerbazioni, maggiore presenza di comorbilità cardiache (cardiopatia ischemica e scompenso cardiaco) e metaboliche (diabete mellito) (vedi tabella 3).

Comorbilità %

Diabete Mellito % 15,3

Cardiopatie %Cardiopatia ipertensiva %Cardiopatia ischemica %Scompenso cardiaco %Cardiopatia valvolare %Aritmie cardiache %

67,927,719,749,631,424,1

Neoplasie % 27,3

Ansia/Depressione % 27,7

Tabella 2. Comorbilità nei pazienti con BPCO.

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Tabella 3. Confronto tra i pazienti ricoverati e i pazienti non ricoverati.

ConclusioniI risultati di questo studio dimostrano che il deficit di vitamina D è molto frequente fra i pazienti con BPCO ed è associato a più grave ostruzione delle vie aeree, a più frequenti riacutizzazioni ed accessi al pronto soccorso con ricovero ospedaliero.I pazienti nel nostro studio presentavano prevalenze per comorbilità cardiache simili a quelle riportate nella lette-ratura per scompenso cardiaco e cardiopatie ischemiche.Considerato l’effetto negativo delle riacutizzazioni sulla qualità della vita e sulla sopravvivenza dei pazienti affetti da BPCO e le relative ricadute sui costi diretti e indiretti della malattia sarebbe auspicabile valutare l’effetto del supplemento con vitamina D sull’andamento della malattia.

Trattamento e monitoraggio del paziente con insufficienza respiratoria acuta e insufficienza renale

L. Pratticò, E. Belloni, T. Mazzoni, A. Giorgi, C. Del PratoEmergenza e Accettazione, Presidio Ospedaliero Sant’Andrea, La Spezia, Italia

Il paziente con scompenso cardiaco e sottoposto ad emodialisi per insufficienza renale cronica può andare incontro ad episodi di acuzie con edema polmonare acuto. La gestione e il trattamento dell’insufficienza respira-toria talvolta ipercapnica con CPAP o BiLevel può causare peggioramento del danno renale. Inoltre pazienti con insufficienza renale acuta non sottoposti a trattamento dialitico in seguito ad insufficienza respiratoria trattata con CPAPA o Bilevel, in quanto il danno renale può essere peggiorato da tali trattamenti, devono essere attentamente monitorizzati ed eventualmente candidati al trattamento dialitico in urgenza.

Variabile Pazienti non ricoverati Pazienti ricoverati p value

Età (SEM) 65 (±1,32) 70 (±1,07) 0,001

Vitamina D ng/ml (SEM) 19,31 (±1,57) 10,98 (±0,79) <0,0001

Deficit grave di Vitamina D % 16,3 50 0,0006

Frequenti esacerbatori % 41,5 82,4 <0,0001

Diabete mellito % 5,5 22,8 0,007

Cardiopatia ischemica % 3,6 30,4 0,0001

Scompenso cardiaco % 34,5 58,2 0,007

FEV1 % (SEM) 74,07 (±3,09) 56,72 (±1,99) <0,0001

FEV1/VC % (SEM) 61,80 (±1,76) 51,01 (±1,51) <0,0001

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Nel nostro lavoro 15 pazienti affetti da insufficienza respiratoria acuta e da insufficienza renale venivano trattati con CPAP o BiLevel. Di questi, 6 pazienti erano precedentemente in trattamento dialitico. Dei 9 pazienti non in trattamento emodialitico 4 venivano inviati in dialisi dopo un primo trattamento ventilatorio, e dei 5 non eleggibili in urgenza per l’emodialisi, 2 avevano bisogno di trattamento emodialitico per progressivo peggioramento della funzione renale.Tale peggioramento delle condizioni renali sono da imputare al distress respiratorio e al rilascio di citochine in-fiammatorie in grado di inficiare la funzione renale, oltre che alle alterazioni emodinamiche tipiche dell’edema polmonare e del distress respiratorio.Anche la tecnica ventilatoria e in particolare i volumi utilizzati possono influenzare la funzione renale.In conclusione la criticità del paziente con insufficienza respiratoria e insufficienza renale richiede oltre che un trat-tamento ventilatorio immediato e corretto, un attento monitoraggio per un eventuale trattamento precoce dialitico.

Riacutizzazioni asmatiche e deficit di vitamina DM. Masoero, M. Bellocchia, A. Vaudano, D. Varenni, I. Parisi, A. Ciuffreda, C. BuccaDipartimento di Emergenza, AOU Città della Salute, Servizio di Fisiopatologia Respiratoria Medicina 5, Torino, Italia

Premesse Le riacutizzazioni asmatiche sono associate a sostanziale morbilità e mortalità e implicano un considerevole uso di risorse sanitarie, a causa dei frequenti accessi al Pronto Soccorso e ricoveri ospedalieri. Recenti studi hanno dimo-strato una relazione diretta tra la presenza di esacerbazioni e una più rapida perdita di funzionalità polmonare, indipendentemente dal grado di ostruzione di partenza.Numerose osservazioni indicano che la vitamina D svolge un ruolo importante nella regolazione dell’immunità innata e adattativa in risposta alle infezioni. Recenti studi mostrano come il deficit di vitamina D sia associato ad una più elevata probabilità di sviluppare infezioni dell’apparato respiratorio ed esacerbazioni severe, soprattutto nei pazienti con asma e broncopneumopatia cronica ostruttiva. Recenti dati della letteratura suggeriscono che nei soggetti asmatici la carenza di vitamina D è associata a iperresponsività bronchiale, a ridotti volumi polmonari e a scarso controllo della malattia. Quest’ultimo può dipendere dal fatto che il deficit di vitamina D contribuisce allo sviluppo di resistenza alla terapia steroidea.

Obiettivi Valutare il ruolo della vitamina D sulla salute respiratoria, in termini di funzionalità respiratoria e rischio di riacu-tizzazioni, di soggetti con asma bronchiale.

Pazienti e metodi Sono stati esaminati 159 pazienti asmatici, 41 uomini (26%) e 118 donne (74%) di età compresa tra 12 e 80 anni.I pazienti sono stati sottoposti a esame clinico, questionario anamnestico-sintomatologico con valutazione della patologia respiratoria e delle eventuali comorbilità cardiovascolari quali cardiopatie e ipertensione arteriosa, ed esame funzionale respiratorio basale.Sulla base dei sintomi, dei dati anamnestici e dei parametri di funzionalità respiratoria, i pazienti sono stati sud-divisi in classi utilizzando le scale di gravità GINA (Global Initiative for Asthma).Nella maggior parte dei pazienti sono stati effettuati prelievi per il dosaggio della vitamina D e dei principali pa-rametri nutrizionali. Il deficit di vitamina D è stato considerato lieve quando i valori sierici erano compresi tra 29 e 20 ng/ml, moderato per valori tra 19 e 10 ng/ml e grave per valori minori di 10 ng/ml.È stato, inoltre, valutato il numero di riacutizzazioni e il numero di ricoveri ospedalieri nell’ultimo anno. I pazienti con 2 o più esacerbazioni all’anno sono stati definiti frequenti esacerbatori. Come parametro funzionale della gravità della riacutizzazione è stata utilizzata la caduta del FEV1, espressa come rapporto percentuale tra FEV1 in corso di esacerbazione e FEV1 più alto registrato durante remissione della malattia (FEV1 min/FEV1max%).È stata valutata la relazione fra vitamina D e pervietà bronchiale, frequenza delle riacutizzazioni e comorbilità.

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Analisi statisticaI dati sono stati analizzati utilizzando il software SPSS (IBM SPSS Statistics n. 17). Per l’analisi delle caratteristiche generali sono stati utilizzati i metodi di statistica descrittiva. I paragoni fra gruppi sono stati effettuati con il test T di Student per campioni indipendenti, con l’analisi della varianza per le variabili continue, e con il test del Chi Quadro per le variabili non parametriche. La correlazione fra parametri funzionali e nutrizionali è stata indagata mediante analisi della regressione lineare.Il risultato di ogni test è stato considerato significativo quando il valore della P risultava inferiore a 0,05.

RisultatiLe caratteristiche generali dei pazienti sono presentate in Tabella 1.

SEM= errore standard della mediaTabella 1. Caratteristiche generali dei pazienti esaminati.

La maggior parte dei pazienti era di sesso femminile e vi era bassa prevalenza di fumatori. Il 28% dei pazienti aveva cardiopatie (che consistevano prevalentemente in valvulopatia mitralica e cardiopatia ipertensiva).La distribuzione dei pazienti secondo la scala di gravità GINA è riportata in figura 1.

Variabile ASMA(n.159)

Età anni (range) 49 (12-80)

Donne % 74,2

BMI (SEM) 24,68 (±0,38)

Fumatori % 12,6

Ex-fumatori % 9,4

Non fumatori % 78,0

Deficit di Vitamina D % (<30 ng/ml) 88,9

Deficit di Vitamina B12 % (<300 pg/ml) 27,0

Deficit di Folati % (<4,5 ng/ml) 43,9

Terapia corticosteroidea % 83,0

Frequenti esacerbatori % 53,9

Accessi al Pronto Soccorso seguiti da ricovero % 11,0

Cardiopatia % 27,9

Ipertensione % 37,6

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Figura 1: distribuzione dei pazienti secondo la scala di gravità GINA. Figura 1: distribuzione dei pazienti secondo la scala di gravità GINA.

All’analisi degli esami ematochimici il più frequente disturbo nutrizionale era la carenza di vitamina D presente nell’88,9% dei pazienti. Di questi il 23,9% aveva un deficit lieve, il 47,9% un deficit moderato e il 28,1% presen-tava un deficit grave.

Figura 1. Percentuali del deficit di vitamina D lieve,

moderato e grave.

Figura 2. Percentuali del deficit di vitamina D lieve, moderato e grave.

Il deficit di vitamina D era direttamente correlato al grado di ostruzione bronchiale (Figura 3) e alla gravità della malattia secondo i criteri GINA (Figura 4).

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Figura 3. Relazione tra livelli di vitamina D e grado di ostruzione bronchiale. (r=0,22; p=0,022).

Figura 4. Relazione tra livelli di vitamina D e gravità dell’asma secondo GINA.(r=0,20; p=0,035).

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Come riportato in Tabella 1, i frequenti esacerbatori erano circa il 54% dei pazienti esaminati e avevano livelli di vitamina D significativamente ridotti rispetto a quelli con una o nessuna riacutizzazione (23,30 ± 1,53 ng/mL verso 12,68 ± 1,05 ng/mL p<0,0001).Come dimostrato in figura 5 il numero di riacutizzazioni annuali era inversamente correlato ai livelli di vitamina D.

Figura 5. Relazione tra livelli di vitamina D e numero di riacutizzazioni. (r=0,52; p<0,0001).

Dal confronto tra i rari e i frequenti esacerbatori si osserva che questi ultimi oltre ai livelli ridotti di vitamina D avevano età più avanzata (59±2 verso 44±1,9; p<0,0001) e maggiore ostruzione delle vie aeree (FEV1%: 69,98±2,7 verso 89,19±2,18 p<0,0001; FEV1/VC%: 62,25±1,83 verso 76,25±2,27 p<0,0001).Come riportato in figura 6 i pazienti con cardiopatia e con ipertensione arteriosa avevano livelli di vitamina D significativamente più bassi dei pazienti privi di comorbilità cardiovascolari.

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Vitamina D ng/ml (SEM)Senza Cardiopatia 19,53 (±1,22)Con Cardiopatia 13,06 (±1,53)Senza Ipertensione 19,93 (±1,21)Con Ipertensione 14,01 (±1,40)

Figura 6. Istogrammi dei livelli di vitamina D nei pazienti esaminati con e senza cardiopatie (p=0,002) e con e senza ipertensione arteriosa (p=0,002).

ConclusioniI risultati di questo studio dimostrano che il deficit di vitamina D è molto frequente fra i pazienti asmatici ed è cor-relato alla severità della malattia, a più frequenti riacutizzazioni e alla presenza di comorbilità cardiovascolari, quali cardiopatie e ipertensione arteriosa.Considerato l’effetto negativo delle riacutizzazioni e delle comorbilità sulla qualità della vita e sulla sopravviven-za dei pazienti affetti da asma e le relative ricadute sui costi diretti e indiretti della malattia sarebbe auspicabile valutare l’effetto del supplemento di vitamina D sull’andamento della malattia.

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La Ventilazione Non-Invasiva nel Dipartimento di Emergenza per il trattamento dell’insufficienza respiratoria acuta da riacutizzazione di broncopneumopatia cronica ostruttiva: fattori predittivi di successo o fallimento

F. Giostra, R. Ferrari, L. Mele, M. CavazzaUO Medicina d’Urgenza e Pronto Soccorso, Policlinico Sant’Orsola- Malpighi, AOSP Bologna, Italia

Scopo dello studio Valutare le caratteristiche dell’utilizzo della Ventilazione Meccanica Non-Invasiva (VMNI) in Pronto Soccorso (PS) nei soggetti affetti da Broncopneumopatia Cronica Ostruttiva riacutizzata (BPCOr) con Insufficienza Respiratoria Acuta (IRA) su Cronica (IRAsC), e stabilire se vi siano fattori clinici, strumentali o di laboratorio oggettivi, precoci e di rapido riscontro che possano permettere al medico d’Urgenza (MdU) di predire l’esito del trattamento.

Metodi Studio osservazionale prospettico monocentrico su tutti i casi di IRAsC da BPCOr presentatisi al PS di un Policlinico Universitario tra il 1/1 ed il 31/3, per i quali il MdU ha ritenuto indicato intraprendere VMNI in riferimento al protocollo interno d’istruzione operativa di servizio per IRA. Abbiamo definito come fallimento della VMNI i casi di decesso e/o di necessità di ricorrere ad intubazione tracheale e Ventilazione Meccanica Invasiva in qualunque momento nel corso del ricovero.

Risultati 124 casi (23 fallimenti, 101 successi; media di 1.38 al dì). Tra tutti i dati raccolti, si dimostrano particolarmente differenti fra i due gruppi le alterazioni riscontrate riguardo a: obnubilamento del sensorio per IRA (secondo la scala di Kelly); urea, creatinina, AST, ALT, CPK, CPK-MB, troponina T, LDH, PCR; parametri emogasanalitici quali pH al tempo zero e l’evoluzione ad un’ora di VMNI di PaO2, pH, PaCO2, HCO3

-, SaO2, rapporto PaO2/FIO2.

Conclusioni La VMNI si conferma in grado di ottenere un buon tasso di successo in corso di IRAsC da BPCOr, con benefici già nella prima ora di trattamento, e la possibilità di identificare già in PS fattori utili per orientarsi su di una stratificazione del rischio. Sta crescendo sempre più l’interesse per la VMNI in urgenza, dati i benefici offerti già ampiamente dimostrati in letteratura, e ne sta aumentando l’utilizzo al di fuori delle Unità di Terapia Intensiva, ciò grazie ad un processo di organizzazione e formazione mirato a garantire la continuità assistenziale tramite il coinvolgimento e l’integrazione di differenti competenze specialistiche.

Ipertensione polmonare in paziente affetta da fibrosi cistica

L.U. Di Donato*, A.N. Fagotto*** Medicina, Ospedale Civile, Portogruaro, Italia** Pronto Soccorso, Ospedale Civile, Portogruaro, Italia

Introduzione La fibrosi cistica è una malattia autosomica recessiva caratterizzata da una processione a carattere cronicizzante e da involuzione multisistemica. Come involuzione del quadro clinico i pazienti presentano una progressiva in-sufficienza respiratoria multifattoriale, ipertensione polmonare (PH) e scompenso cardiaco destro. La patogenesi dell’ipertensione polmonare è determinata da una vasocostrizione dei vasi polmonari, da un’omogenea proli-ferazione delle cellule muscolari e da trombosi. Ambrisentan, un recettore antagonista dell’endotelina 1 (ERA), somministrato per os è stato approvato per il trattamento dell’ipertensione polmonare. Anche se le pressioni in arteria polmonare e altri parametri emodinamici cardiaci possono essere accuratamente valutati dal cateterismo cardiaco dx (RHC), un semplice esame strumentale, ripetibile e non invasivo, può essere utilizzato per diagnostica-

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re un’ipertensione polmonare nei pazienti con fibrosi cistica: il doppler ecocardio (DE) è in grado di poter valutare in urgenza la pressione sistolica in arteria polmonare (sPAP), valutando il picco della velocità del jet di rigurgito della valvola tricuspide.

Metodi Una paziente di anni 20 giunge con febbre e segni di insufficienza respiratoria acuta ipossiemico ipercapnica con acidosi respiratoria scompensata. Viene inizialmente trattata con NIV (maschera CPAP), associando antibio-ticoterapia ad ampio spettro ed antimicotico (in attesa della risposta del colturale dell’espettorato). In urgenza viene praticato un ecocolordoppler cardiaco che pone in evidenza il flusso del rigurgito tricuspidale compatibile con ipertensione polmonare, identificato dal flusso continuo del colordoppler senza l’uso di contrasto endovenoso.

Conclusioni Per i pazienti con fibrosi cistica che giungono in area di emergenza, oltre ad adottare tutti i protocolli terapeutici per il mantenimento delle funzioni vitali, risulta utile eseguire in urgenza un ecocolordoppler cardiaco per poter quantizzare il jet di rigurgito tricuspidale e poter diagnosticare in tempi rapidi, con metodica non invasiva, anche la contemporanea presenza di ipertensione polmonare.

Bibliografia 1. Ionescu AA, et al. Subclinical right ventricular dysfunction in cystic fibrosis. A study using tissue doppler echocardiog-

raphy. Am J Respir Crit Care Med 2001; 163: 1212-8.2. Stern RC, Borkat G, Hirschfeld SS, Boat TF, Matthews LW, Liebman J, Doershuk CF. Heart failure in cystic fibrosis. Treat-

ment and prognosis of cor pulmonale with failure of the right side of the heart. Am J Dis Child 1980;134 (3): 267-72.3. Arcasoy SM, Christie JD, Ferrari VA, Sutton MS, Zisman DA, Blumenthal NP, Pochettino A, Kotloff RM. Echocardio-

graphic assessment of pulmonary hypertension in patients with advanced lung disease. Am J Respir Crit Care Med 2003; 167 (5): 735-40. Epub 2002 Dec 12.

4. Homma A, Anzueto A, Peters JI, Susanto I, Sako E, Zabalgoitia M, Bryan CL, Levine SM. Pulmonary artery systolic pressures estimated by echocardiogram vs cardiac catheterization in patients awaiting lung transplantation. J Heart Lung Transplant 2001; 20 (8): 833-839.

5. Oswald-Mammosser M, Weitzenblum E, Quoix E, Moser G, Chaouat A, Charpentier C, Kessler R. Prognostic factors in COPD patients receiving long-term oxygen therapy. Importance of pulmonary artery pressure. Chest 1995;107 (5): 1193-8.

L’embolia polmonare “life-threatening”

P. NazerianDipartimento di Emergenza, Azienda Ospedaliera Universitaria Careggi, Firenze, Italia

L’Embolia Polmonare (EP) rappresenta una patologia trattabile che deve essere sospettata e diagnosticata nei pazienti con dispnea, dolore toracico, sincope, shock o arresto cardiaco. Contemporaneamente alla diagnosi di EP è importante effettuare una corretta stratificazione prognostica nel Dipartimento di Emergenza. Tale stratifica-zione prognostica è utile per decidere “l’intensità di cura” del paziente (dimissione, osservazione breve, ricovero ordinario, ricovero subintensivo o intensivo) e la corretta terapia. La scelta delle opzioni terapeutiche deve essere guidata anche dalla presenza di comorbilità, dalle condizioni preesistenti e dalla presenza di controindicazioni alla terapia e quindi da un’attenta valutazione del rapporto costo/beneficio.Le opzioni terapeutiche possibili sono varie e nei pazienti con EP “life-threatening”, oltre alla terapia scoagulante e alla terapia di supporto cardio-respiratoria, può essere indicata in fase acuta una terapia “aggressiva” come la fibrinolisi sistemica, l’interventistica con catetere o l’embolectomia chirurgica. Tali terapie hanno lo scopo di au-mentare la sopravvivenza, stabilizzare la funzione cardiorespiratoria, risolvere più rapidamente i sintomi, ridurre il danno al ventricolo destro, ridurre il rischio di recidive trombo-emboliche e di ipertensione polmonare cronica, sono però gravate da effetti avversi, in primis il rischio emorragico.

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I pazienti in arresto cardiaco e quelli in shock o ipotensione secondari a EP hanno una alta mortalità. In tali pazien-ti ad alto rischio/EP massiva le linee guida internazionali suggeriscono di considerare una terapia “aggressiva”.Tra i pazienti non ad alto rischio, che rappresentano la maggior parte dei pazienti con EP, è importante distingue-re i pazienti a basso rischio che hanno un’eccellente prognosi con trattamento scoagulante da quelli a prognosi peggiore (rischio intermedio/EP submassiva) che necessitano di ricovero e spesso di monitoraggio respiratorio ed emodinamico.Sono stati proposti vari metodi per distinguere fra i pazienti normotesi quelli a rischio intermedio/EP submassiva da quelli a basso rischio: score clinici standardizzati come il PESI o il Geneva score; segni di disfunzione ventri-colare destra rilevati con ecocardiografia, tomografia computerizzata o con elettrocardiografia; markers sierici di disfunzione ventricolare destra come i fattori natriuretici atriali o markers sierici di danno miocardico come le troponine; segni di ipoperfusione sistemica latente come lo shock index o l’aumento del acido lattico sierico.Nel gruppo di pazienti a rischio intermedio, inoltre, la presenza di più fattori prognostici sfavorevoli, la presenza di una severa disfunzione o danno ventricolare destro, il deterioramento emodinamico o respiratorio selezionano un sottogruppo in cui può essere utile una terapia “aggressiva”.Altri casi particolari di EP “life threatening” che vanno considerati sono: la presenza di trombo flottante nelle cavità cardiache destre, i pazienti con embolia paradossa e i pazienti con controindicazione alla terapia scoagulante o con complicanza emorragica attiva.

Helmet continuous positive airway pressure (CPAP) versus oxygen venture in severe acute respiratory failure in pneumonia

E. Prina1, AM. Brambilla1, S. Aliberti2, F. Piffer3, M. Del Forno4, F. Corradi5, G. Ferrari6, S. Nava7, P. Pelosi8, R. Cosentini91. Medicina d’Urgenza, Policlinico, Milano, Italia2. Pneumologia, Ospedale San Gerardo, Monza, Italia3. Pneumologia, Policlinico, Milano, Italia4. Pneumologia, Policlinico S. Orsola-Malpighi, Bologna, Italia5. Medicina d’Urgenza, Ospedale San Martino, Genova, Italia6. Medicina d’Urgenza, Ospedale San Giovanni Bosco, Torino, Italia7. Pneumologia, Policlinico S. Orsola-Malpighi, Bologna, Italia8. Terapia Intensiva, Ospedale San Martino, Genova, Italia9. Medicina d’Urgenza, Policlinico, Milano, Italia

AimTo compare if Continuous Positive Airway Pressure (CPAP) delivered by a helmet device is superior of oxygen support by Venturi mask to avoid endotracheal intubation (IOT) during severe acute re-spiratory failure caused by pneumonia.

MethodsThis was a prospective, randomized, controlled trial. We enrolled 52 patients with hypoxemic acute respiratory failure due to pneumonia (defined as pO2/FiO2 ratio ≤250 in Venturi mask 50% and respiratory rate ³30 breath/min or sign of respiratory distress) admitted to Emergency Departments and Intensive Respiratory Care Unit of four Italian Hospitals, from February 2010 to April 2012.The criteria for IOT were ≥1 major criteria (respiratory arrest, respiratory pauses with unconsciousness, severe hemodynamic instability, need of sedation) or ≥2 minor criteria maintained for at least 1 hour (reduction of ≥30% of basal PO2/FiO2 ratio (P/F) ≤250, increasing of 20% PaCO2 if basal PaCO2 is ≥40 mmHg, worsening of alertness, respiratory distress, SpO2 <90%, exhaustion).

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ResultsFifty-two patients were enrolled in the study: 25 patients randomized to CPAP and 27 patients to controls.Between the two groups, there were not significantly differences about demographical data, co-morbidities, type of pneumonia, laboratory analysis, vital signs and severity according to scores CURB-65, PSI, SAPS-II and SOFA. P/F at enrollment was the only value significantly different between the two groups: patients treated with CPAP presented a lower P/F respect the patients treated with Venturi mask (134±37 vs 163±40 mean ± Standard De-viation, p=0.01, respectively).The proportion of patients who reached the IOT criteria was 16% (4/25) among CPAP group and 56% (15/27) among controls (p=0.003). Among 15 patients, that achieved IOT criteria in Venturi group, 10 patients then were treated with CPAP. Among CPAP group, 2 of 4 patients failed because of intolerance to the interface.

Conclusions The use of CPAP by helmet in patients with severe acute respiratory failure caused by pneumonia reduced the risk to reach IOT criteria respect patients treated with oxygen by Venturi mask.

EMERGENZE-URGENZE TOSSICOLOGICHE

Cardiotossicità da metadone: descrizione di un caso clinico ed ipotesi fisiopatologiche

V. Minerva, F. Dello Vicario, P. Arbo, C. Catenaccio, A. Dell’Aversana, G. De Lisa, A. Lavanga, E. Manfredi, S. Vaudo, E. MirantePronto Soccorso-Osservazione Breve Intensiva-Medicina d’Urgenza, Dono Svizzero, Formia, Italia

Un giovane maschio di 18 anni giunge in Pronto Soccorso per cefalea e alterazione dello stato di coscienza. I parametri vitali all’ingresso sono: FR 12/min, SpO2 88% in AA, PA 90/60 mmhg, FC 115 bpm, GCS 13 (E3M6V4). L’EAB (FiO2 21%) mostra acidosi respiratoria ed ipossia (pH 7.30, pCO2 55, PaO2 46, HCO3 24). Per un successivo peggioramento dello stato di coscienza e dei parametri respiratori (GCS 10, SpO2 80%) si somministra O2 ad alti flussi con maschera facciale e naloxone 0.6 mg ev con rapido miglioramento del sensorio e della SpO2.Il paziente riferisce di aver assunto alcune ore prima a scopo voluttuario circa 150 mg di metadone. Gli esami ematochimici mostrano esclusivamente un lieve incremento degli enzimi muscolari. Lo screening tossicologico rileva positività per metadone e cannabinoidi. L’ECG risulta nella norma. Nelle ore successive per la persistenza di ipossia, facilmente correggibile con la somministrazione di O2, e sonnolenza viene iniziata infusione ev di naloxone (4 mg in 10 ore).La mattina successiva gli esami ematici rilevano un significativo incremento degli enzimi cardiaci, muscolari e delle transaminasi (CPK 827, Ckmb 24.8, troponina 3.46, AST 88, ALT 162, mioglobina 210). L’ECG mostra un prolungamento del QTc (506 msec) in assenza di alterazioni di tipo ischemico. L’ecocardiogramma non mostra aree di alterata cinesi del ventricolo sinistro. Nei giorni successivi gli enzimi miocardio-specifici persistono elevati, mostrando una significativa riduzione in quinta giornata. Il QTc ritorna ai valori normali in terza giornata.

DiscussioneIl metadone è un oppioide sintetico, agonista puro dei recettori µ. Sono ampiamente descritti tra gli effetti collatera-li l’alterazione del sensorio, la depressione respiratoria e l’allungamento del QT. Esistono invece solo segnalazioni sporadiche di casi di sindrome di Tako-Tsubo o di infarto miocardico secondari all’assunzione di dosi elevate di metadone. La significativa dismissione degli enzimi cardiaci documentata nel nostro paziente può essere dovuta ad un effetto cardiotossico diretto del metadone o, in alternativa, a vasospasmo coronarico da inappropriata sca-rica adrenergica, evento documentato in studi condotti su consumatori abituali di oppioidi a cui sia somministrato l’antagonista recettoriale (naloxone). Il paziente in esame non ha mai presentato una critica e protratta ipossia

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che giustifichi una sofferenza cardiaca secondaria. In letteratura è documentata una reciproca modulazione tra il sistema oppioidergico e quello endocannabinoide, con potenziamento degli effetti cardiovascolari della marjuana nei consumatori abituali dopo la somministrazione dell’antagonista per i recettori oppioidi.

Conclusione Il metadone assunto in dosi non terapeutiche potrebbe causare, da solo o in combinazione con altre droghe, un danno miocardico con meccanismo ancora non noto. L’antagonista dei recettori oppioidi potrebbe essere esso stesso causa del danno miocardico quando usato in consumatori abituali di oppioidi.

Intossicazione da acido cianidrico e CPAP: un case report

P. Pozzessere, A. Pistone, G. Loiacono, A. Castore, C. Mallardi, C. Morelli, S. De Matteis, M. Baffari, F. SteaDipartimento di Emergenza, Mechau, Bari, Italia

Le mandorle amare come tali o sotto forma di olio essenziale trovano impiego nella fabbricazione di liquori, dolci e altri prodotti e per tale motivo sono facilmente reperibili in commercio e possono essere causa di avvelenamento accidentale o volontario.Contengono l’amigdalina, un glucoside che ritroviamo in basse concentrazioni anche nei noccioli di ciliegie, pesche e albicocche oltre che nelle foglie di lauroceraso. L’amigdalina si accompagna all’emulsina, una sostanza che la idrolizza in glucosio e aldeide benzoica e acido cianidrico. L’acido cianidrico causa ipossia intracellulare grazie al legame reversibile con il citocromo ossidasi intramitocondriale. Ciò blocca la produzione di ATP portan-do la cellula verso il metabolismo anaerobio con alta produzione di lattati e acidosi metabolica ad elevato AG.Il problema essenziale è quindi l’estrazione e l’utilizzo dell’ossigeno a livello cellulare non essendo sufficiente la somministrazione di ossigeno in maschera a spiazzare il legame dell’acido cianidrico, benché un suo utilizzo potenzi l’efficacia dell’antidoto poiché compete con il tossico nel legame con i siti del citocromo ossidasi.Riportiamo il caso di una donna di 83 anni affetta da morbo di Parkinson, ipertensione arteriosa e note di de-pressione dell’umore, accompagnata dall’equipe medicalizzata del 118 per un episodo sincopale insorto 30 minuti prima in pieno benessere e seguito al risveglio da due episodi di vomito alimentare e dispnea. All’arrivo in sala rossa la paziente si presentava vigile, poco collaborante e disorientata con un’ideazione polarizzata su problematiche familiari. I parametri vitali mostravano una PA di 150/70 mmHg con tachicardia (Fc 125 bpm), una elevata frequenza respiratoria (FR 45 atti/min) e chiari segni di distress respiratorio ed obiettivamente rantoli a piccole bolle alle basi polmonari. All’EGA era presente un’acidosi metabolica a AG aumentato (Ph 7,03, PCO2 20 mmHg, HCO3- 5,3 mmol/l, BE -24 e AG 35), marcata iperlattatemia (17,9 mmol/L) e severa ipossemia (PO2 39 mmHg, SaO2 73% in aria ambiente).La paziente veniva subito trattata con CPAP a 7,5 cm H20 e FiO2 100%, infusione di bicarbonato e cristalloidi. Dopo 45 minuti circa di CPAP il miglioramento della meccanica ventilatoria e del quadro clinico ci consentiva di effettuare un’anamnesi più approfondita, e solo allora la paziente riferiva di aver assunto pochi minuti prima della sincope più di 10 mandorle amare che solitamente utilizzava nella preparazione di dolci (dato confermato dalla figlia della paziente) negando di aver assunto farmaci. Per combattere l’assorbimento sistemico abbiamo effettuato gastrolusi con carbone attivo interrompendo la NIMV per soli 15 minuti e ci siamo attivati per reperire i cianokit. Il controllo EGA tuttavia mostrava già un notevole miglioramento dei parametri con risoluzione dell’acidosi me-tabolica e della severa ipossiemia (ph 7,40, SaO2 99%, pO2 75 mmHg), mentre permaneva l’iperlattatemia (11 mmol/L) con comparsa di moderata ipotensione (95/60 mmHg). Appena disponibili 2 cianokit (da 2,5 g d’idros-sicobalamina ciascuno) abbiamo somministrato il primo, in 15 minuti in soluzione fisiologica, non interrompendo la NIMV. Era trascorsa già 1 ora e 30 minuti dall’ingresso in sala rossa.Dopo 25 minuti dalla somministrazione dell’antidoto l’EGA mostrava la rapida diminuzione dei valori dei lattati (2,9 mmol/L) e la risalita dei valori pressori (115/65 mmHg) rendendo così la seconda dose dell’antidoto non necessaria. Stabilizzati i parametri la paziente è stata ricoverata in osservazione nella sala gialla della rianima-zione, rapidamente svezzata dalla CPAP e dimessa dopo 3 giorni.

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Noi riteniamo che l’utilizzo della CPAP sia stato fondamentale nel gestione della nostra paziente. Infatti, sebbene l’alta concentrazione iniziale dei lattati indicasse che si trattava di una intossicazione grave, in un primo tempo da tossico non noto comportando perciò un ritardo oggettivo nel reperimento dell’antidoto, la CPAP ci ha consentito di gestire e risolvere il distress respiratorio evitando di ricorrere all’intubazione e rallentando in maniera determinante l’effetto letale del tossico stesso.Si auspica che in futuro la CPAP faccia parte di un “bundle” terapeutico standardizzato, così da rendere il suo uti-lizzo il più precoce possibile, già sul luogo dell’incidente, sia in caso d’intossicazione orale che per via inalatoria.

Noccioli di albicocca… poco amari ma molto pericolosi

L. Brugioni*, M.C. Rosa*, D. Lucchesi*, M. Bucciarelli**, D. Lonati***, C.A. Locatelli***, L. Rocchi***, C. Gozzi** Medicina Interna Area Critica, Policlinico, Modena, Italia** Pronto Soccorso e Medicina d’Urgenza, Policlinico, Modena, Italia*** Centro Antiveleni IRCCS Pavia,Italia

Due sorelle di 20 e 30 anni giungevano alla nostra attenzione in seguito alla comparsa di una sintomatologia caratterizzata da tachicardia (FC 130 bpm r), dispnea (Sat O2 94% in aa), malessere ed addominalgia comparsa 20 minuti dopo l’ingestione di circa 15 noccioli di albicocca selvatica. In Pronto Soccorso veniva eseguita decon-taminazione del tratto gastroenterico con gastrolusi, somministrazione di carbone vegetale attivato e di catartico. Una volta giunte nel nostro reparto le pazienti presentavano valori pressori e di saturazione di O2 nei limiti di norma, residuava tachicardia sinusale (Fc 105 bpm).Durante la degenza le pazienti rimanevano asintomatiche ed in seconda giornata venivano dimesse. Non si verificavano alterazioni degli esami bioumorali né dell’EGA, in particolare non acidosi metabolica. Il dosaggio ematico dei cianuri eseguito in un paziente presso il laboratorio di Tossicologia Clinica Analitica della fondazione Policlinico San Matteo di Pavia è risultato 1mg/L (valori superiori a 0,5 mg/L sono associati a sintomi di intossica-zione di cianuro potenzialmente gravi). La rapida risoluzione della sintomatologia clinica non rendeva necessaria la somministrazione dell’antidoto specifico, l’idrossicobalamina.I semi di albicocca contengono amigdalina, che conferisce il tipico aroma di mandorla amara. L’amigdalina (D-mandelonitrile-beta-D-gentobioside) è un glicoside che viene idrolizzato in acido cianidrico, due molecole di glu-cosio e benzaldeide. I semi di albicocca contengono anche emulsina, una beta glucosidasi che catalizza l’idrolisi dell’amigdalina. Il cianuro inibisce il metabolismo aerobio legandosi allo ione ferrico del complesso a-a3 dell’enzi-ma citocromo ossidasi. Nel’uomo la dose letale di cianuro è 1,5mg/Kg. Anche se il dato è molto variabile, si stima che ogni seme di albicocca ne contenga da 0.122 mg a 4,09 g. I segni clinici di intossicazione sono aspecifici e la diagnosi può risultare assai complicata. Possono comparire dispnea, tachicardia, agitazione, tremori, vertigini; la situazione può evolvere precocemente verso l’ipotensione e la morte avviene per anossia cerebrale. All’EGA è tipica la presenza di acidosi metabolica.La gastrolusi e la somministrazione di lassativi in tempi rapidi permettono di ridurre l’assorbimento del tossico. In caso di peggioramento dei sintomi, l’antidoto di prima scelta è l’idrossicobalamina. Questa lega infatti il cianuro libero o legato alla citocromo ossidasi formando cianocobalamina (vitamina B12), composto non tossico ed eli-minabile con le urine. Di seconda scelta è invece il sodio tiosolfato che favorisce la trasformazione di cianuro a tiocianato (composto meno tossico).L’intossicazione cianidrica a seguito di ingestione di semi di albicocca è rara. I casi qui descritti sono stati carat-terizzati da una prognosi favorevole grazie alla rapida decontaminazione del tratto gastroenterico. Il dosaggio ematico del cianuro, in caso di ingestione di vegetali può non correlare con la gravità del quadro clinico: la determinazione quantitativa dell’amigdalina (dosaggio ancora in corso) potrebbe risultare più attendibile per la gestione clinica dei pazienti intossicati.

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Un crostino indigesto. Intossicazione acuta da cicuta: a case report

L. Mussoni, C. Manuzzi, L. Valentini, A. Morri Pronto Soccorso - Degenza Breve - 118, I.S.S., San Marino, Repubblica di San Marino

Una famiglia di 4 persone giungeva in Pronto Soccorso a seguito della riferita ingestione accidentale di Cicuta Major con la quale, previa cottura, avevano preparato dei crostini. I quattro pazienti, di cui due adolescenti di 11 e 14 anni, presentavano sintomi quali astenia, cefalea, vertigini, parestesie, fascicolazioni, diplopia e solo uno vomito, insorti dopo circa un’ora dall’ingestione. I sintomi erano effettivamente compatibili con l’assunzione di questa pianta erbacea appartenente alla famiglia delle ombrellifere passata alla storia per essere stata la causa della morte di Socrate.Tutti i componenti della famiglia si presentavano stabili dal punto di vista emodinamico e con parametri vitali nella norma. È stato contattato il CAV di Pavia. Ai quattro pazienti sono state somministrate benzodiazepine per via sub-linguale e sono stati sottoposti a gastrolusi e successiva somministrazione di 50 grammi di carbone vegetale attivato e catartico (30 grammi di Solfato di Magnesio). Dopo aver eseguito i prelievi ematici per emocromo, coagulazione, funzionalità renale, elettroliti, CPK e markers cardiaci, abbiamo iniziato una diuresi forzata (100 ml/Kg/24 ore). Abbiamo inoltre raccolto campioni ematici ed urinari per il successivo dosaggio di cicutolo e cicutossolo grazie alla collaborazione del CAV di Pavia. I pazienti sono quindi stati trattenuti sotto monitoraggio ECGrafico e pressorio; 3 sono stati ricoverati in OBI e 1 in Terapia Intensiva.Gli esami di laboratorio eseguiti in urgenza hanno mostrato un innalzamento in tutti i pazienti delle CPK (valore massimo pari a 411 U/l) rientrate poi nella norma ai controlli successivi. Abbiamo riscontrato una lieve ipotensio-ne a circa 6 ore, risolta con l’aumento della velocità di infusione dei liquidi.

Discussione La Cicuta è una pianta della famiglia delle Apiaceae comprendente tre specie: la cicuta maggiore (Conium macu-latum), la più comune; la cicuta minore (Aethusa cynapium) detta anche falso prezzemolo per la sua somiglianza a questa pianta aromatica; la cicuta acquatica (Cicuta virosa), piuttosto rara.Tutti i componenti della pianta sono notevolmente velenosi e potenzialmente mortali sia per l’uomo che per gli animali. Ciò è dovuto alla presenza di cinque diversi alcaloidi: la coniina, la conidrina, la pseudoconidrina, la metilconicina e la coniceina. La coniina è l’alcaloide più attivo e provoca prima l’attivazione e successivamente il blocco dei recettori nicotinici dell’acetilcolina. L’intossicazione ha quindi un caratteristico andamento bifasico con una prima fase rapida e passeggera caratterizzata da nausea, vomito, scialorrea, dolori addominali, tachipnea, tachicardia ed ipertensione. A livello neurologico si rileva miosi, confusione, tremori, fascicolazioni muscolari e in alcuni casi convulsioni. Nella seconda fase si verificano invece depressione respiratoria, bradicardia, ipotensione, midriasi, debolezza muscolare ed ipotonia fino alla paralisi ed al coma. L’azione esercitata dagli altri alcaloidi non è invece ancora ben nota. Le foglie contengono inoltre potassio, magnesio ed un olio essenziale impiegato in passato come analgesico ed antispastico. Generalmente l’intossicazione avviene per errori nel riconoscimento; la cicuta ha infatti una forte somiglianza con il prezzemolo e con il finocchio selvatico. Nel nostro caso la pianta è stata confusa con il Cerfoglio (Anthriscus Cerefolium).

Un caso di intossicazione da acido ossalico

F. Tasso, A. Riccardi, M. Castelli, G. Guiddo, M. Ghinatti, A. Calvia, R. LerzaSC Medicina e Chirurgia d’Accettazione e d’Urgenza, ASL N° 2 Savonese, Savona, Italia

Riportiamo il caso di un uomo valutato per ingestione accidentale di acido ossalico. Pochissimi casi sono descritti in letteratura, per lo più a scopo suicidario. La tossicità da acido ossalico si può anche osservare in corso di intos-sicazione da glicole etilenico di cui rappresenta il metabolita tossico.

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Caso clinico Si tratta di un uomo di 74 anni, iperteso, con cardiopatia ischemica, che giungeva in Pronto Soccorso un’ora dopo l’ingestione accidentale di un cucchiaino di acido ossalico. Il paziente, apicoltore, lo utilizzava per la puli-zia degli alveari. All’ingresso presentava nausea e vomito, era vigile, orientato e con parametri normali. Il centro antiveleni consigliava posizionamento di SNG e gastrolusi. Veniva impostata terapia gastroprotettiva ed eseguita esofagogastroscopia con riscontro di esofagite erosiva. Si programmavano controlli seriati della calcemia, e per la comparsa di ipocalcemia, veniva iniziata infusione di calcio gluconato. Malgrado ciò, la calcemia si manteneva ai limiti inferiori della norma. Nel corso della degenza il paziente sviluppava insufficienza renale acuta (creatini-na massima 3,4 mg/dl a 10 giorni). Il quadro quindi si è normalizzava senza bisogno di emodialisi. Il paziente presentava una crisi comiziale 2 settimane dopo l’assunzione.

Discussione L’acido ossalico è un acido di origine endogena (sintetizzato a partire dall’aminoacido glicina) o esogena alimen-tare (spinaci, rabarbaro, thè e caffè), ed è utilizzato nell’industria come antiruggine e in apicoltura come antipa-rassitario. L’intossicazione acuta da acido ossalico si manifesta con dolori addominali e vomito seguiti a breve distanza da tremori, tetania, convulsioni e successiva anuria. I sintomi sono derivati dalla precipitazione dei sali di calcio nei tessuti con conseguente ipocalcemia.L’intossicazione può essere acuta o cronica e derivare da ingestione, contatto cutaneo o da inalazione. I danni sono rappresentati per lo più a livello encefalico, cardiaco, renale e sulla mucosa gastrica. La dose letale di acido ossalico è tra i 5 e i 15 grammi.Il primo approccio in caso di ingestione e se si è distanti da un ambiente ospedaliero, è la somministrazione per os di un sale solubile contenente calcio per indurre la precipitazione di ossalati. In ospedale si deve procedere allo svuotamento gastrico, ed escludere lesioni della mucosa gastrica. Successivamente si deve iniziare una infusione di calcio per evitare l’ipocalcemia. Oltre ai rischi sulla contrattilità muscolare legati all’ipocalcemia vi sono anche i danni tissutali a livello del parenchima renale e dell’encefalo, con comparsa di crisi epilettiche.In effetti, il nostro caso presenta tutte le caratteristiche cliniche descritte nelle intossicazioni da acido ossalico e le complicanze legate ai danni d’organo causati dalla precipitazione del calcio nei tessuti; nel confronto con l’unico caso rintracciabile in letteratura, richiamiamo che il nostro paziente ha avuto evoluzione favorevole senza bisogno di ricorrere all’emodialisi.

Acidosi lattica: che cosa pensare?

M.L. Maifreni, V. Puppo, L. Borella, A. Farina Urgenza, Pronto Soccorso e Medicina d’Urgenza, Treviso, Italia

Giunge in Pronto Soccorso in ottobre la signora I., piuttosto sovrappeso, di 78 anni in stato soporoso: la paziente vive sola, conduce vita molto attiva ed è stata trovata a terra dalla figlia al mattino con tracce di vomito. Pare che i giorni precedenti abbia accusato diarrea ed epigastralagie, non è febbrile, ed è facilmente risvegliabile.Risulta essere stata operata di meningioma e nefrectomia destra con una residua lieve insufficienza renale ed una embolia polonare post-operatoria, inoltre cardiopatia ipertensiva con pregresso scompenso cardiaco.Viene riferita dai familiari questa terapia: Depakin (ac valproico), Cabaser (cabergolina), Sinemet (carbidopa/levodopa), Gabapentin, Limpidex (lansoprazolo), Lasix (furosemide), Losartan e Zyloric (allopurinolo).Esami ematochimici: EGA pH 7.03 , pCO2 51, pO2 47, Bic 13.5 e lattati 14.4, gb 6800, hb 10.8, creatinina 4.93, troponina T 0.18, cpk 90, PCR 15, INR 1.15, Na 137, K 4.6, glicemia 80. Pannello tossicologico negativo, ac valproico 14 (inf range terap) restanti esami normali.Viene sottoposta a TAC cerebrale (negativa) ed esame liquor (normale), Rx torace (normale). Ecocardio: Vsin moderatamente dilatato e diffusamente ipocinetico, FE 40%, Vds dilatato e lievemente ipocinetico, vena cava inferiore dilatata e mobile.Inizia terapia con bicarbonati, e poiché sempre ipotesa inizia terapia con amine e viene ricoverata nella terapia semintensiva della Medicina d’Urgenza. Nella notte il quadro clinico peggiora e la paziente viene sottoposta ad intubazione oro-tracheale e ventilazione meccanica.

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L’acidosi metabolica migliora solo lievemente dopo bicarbonato ed incremento della diuresi (pH 7.28, pCO2 44, bic 20 e lattati 9.1).Nel frattempo si recupera documentazione precedente e vi è riscontro di diagnosi di diabete in una dimissione del dicembre precedente per “flemmone alla coscia sinistra” ed in tale occasione sconsigliato l’uso di metformina vista la lieve insuff renale (1.76 g 1.03 mg /dl). Si inviano i familiari a domicilio i quali trovano un blister di metformina vuoto sul comodino.Nell’ipotesi di intossicazione da metformina si prosegue con bicarbonati e stimolazione della diuresi e si propone la paziente ai colleghi della rianimazione affinché sia sottoposta a dialisi.Dopo dialisi progressivo rapido miglioramento della creatinina (4.07 g 2,34 à1.8) e clearance dei lattati: ( 14.4 g 7.8 g 1.2)La paziente estubata e clinicamente migliorata viene ritrasferita in Medicina d’Urgenza dove racconta di aver assunto nei giorni precedenti cibi particolarmente dolci e “per senso di colpa” di avere assunto la metformina che aveva ancora a disposizione a domicilio.L’intossicazione da metformina o l’acidosi lattica da accumulo da metformina non è un evento frequentemente diagnosticato. In questo caso l’anamnesi anche se un po’ indaginosa ha facilitato la diagnosi e la terapia idonea quale la dialisi.

Intossicazione da farmaco: un pericolo in agguato

K. Cazzola, M. Velati, G. Licata, S. Colombo, M. Strozzi, D. CoenEmergenza, Urgenza e Accettazione, AO Ospedale Niguarda Ca’ Granda, Milano, Italia

Un uomo di 78 anni si presenta alla nostra attenzione per la presenza da una settimana di vomito alimentare e, da quattro giorni, caffeano. Riferisce negli ultimi giorni più scariche diarroiche normocromiche e brividi scuotenti con dolore addominale diffuso, senza piressia. Obiettivamente il paziente appare in condizioni scadute, a tratti rallentato e poco chiaro sulla descrizione della sintomatologia e della propria storia clinica; in APR riferisce uni-camente psoriasi in trattamento da otto giorni con methotrexate (MTX) settimanale, già assunto a cicli in passato. Non porta in visione documentazione clinica e al momento della visita non ci sono parenti disponibili.Il paziente è tachicardico (FC 128 RS), i restanti parametri vitali sono nella norma e l’esame obiettivo rileva muco-site al cavo orale e diffusa dolorabilità addominale, senza segni di peritonismo, ER negativa.Viene posizionato SNG con ristagno di 500 cc di liquido caffeano e nel sospetto di ulcera peptica viene impostata terapia con PPI. Gli esami ematici mostrano PLT 13 x109/L, WBC 1.2 x109/L, Hb 12.9 g/dl, creatinemia 3.1 mg/dl, urea 165 mg/dl, ALT 140 U/L, bilirubina tot. 4.3 mg/dl, dir. 3.2, PCR 26 mg/dl, lattati 2.3 mmol/l.Rx torace, Rx addome e ecografia addome negative. TC encefalo, richiesta per rallentamento ideo-motorio, ne-gativa.Con questi dati clinici e anamnestici la nostra diagnosi differenziale è quella di una insufficienza multiorgano da sepsi senza un chiaro focolaio o di una malattia ematologica all’esordio.La negatività dello striscio periferico ci spinge verso la prima ipotesi e il paziente viene trattato con terapia anti-biotica ad ampio spettro e sottoposto a trasfusione di piastrine.Successivamente il colloquio con un parente fa emergere una nuova ipotesi: negli ultimi otto giorni il paziente, che vive solo e non sempre è attendibile, potrebbe aver assunto quotidianamente la posologia settimanale di MTX (15 mg totali die).Nell’ipotesi di una tossicità farmacologica, in accordo con il Centro Antiveleni, viene intrapresa terapia con calcio levofolinato 50 mg ev quattro volte/die, terapia antifungina e G-CSF per la leucopenia. Il paziente viene ricovera-to fino a miglioramento della crasi ematica. Il dosaggio plasmatico di MTX è 0.03 mcrmol/l.La tossicità da MTX è più frequentemente epatica (insufficienza epatica, fibrosi) e secondariamente ematologica (pancitopenia), polmonare (fibrosi) e renale.Nei pazienti in trattamento affetti da psoriasi un segno di allarme è la mucosite, che precede la leuco-, piastrinopenia.La tossicità si manifesta più spesso per trattamenti protratti e al dosaggio cumulativo di 1.5 g, ma effetti tossici sono stati osservati a qualsiasi dosaggio.

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Il trattamento consiste in idratazione, somministrazione di calcio folinato ev, G-CSF, supporto trasfusionale e co-pertura antimicrobica.

È davvero un’intossicazione da litio?

S. Ingrassia*, O. Cutuli*, P. Ballarino**, P. Giuntini**, C. Vergassola**, P. Moscatelli**, T. Barreca** SDS Medicina d’Emergenza-Urgenza, Università degli Studi di Genova, Italia** Pronto Soccorso e Medicina d’Urgenza, IRCCS S. Martino, Genova, Italia

Si propone il caso di un paziente bipolare, in trattamento con litio, di 56 anni, che si presenta in Pronto Soccorso per un riscontro, agli esami di laboratorio di insufficienza renale (creat: 5,5 mg/dl), con una funzione renale nota, 3 mesi prima, nella norma. Il paziente ha eseguito tali esami in quanto da alcuni mesi presente nausea e dolori addominali diffusi, per cui ha eseguito una visita gastroenterologica e un’ecografia addominale che non hanno riscontrato anomalie. La litiemia è elevata (1,36 mEq/L) e il paziente presenta alterazioni elettrocardiografiche compatibili con un quadro di intossicazione, per cui si inizia, in accordo con il consulente nefrologo, l’idratazione, in quanto il paziente non necessita, al momento, di un trattamento emodialitico.Nelle ore successive, nonostante i livelli di litiemia rientrino nell’intervallo di normalità, il paziente presenta un pro-gressivo deterioramento dello stato di coscienza con momenti di confabulazione e momenti di sopore; la pressione arteriosa si mantiene a livelli molto elevati (200/120 mmHg), con una parziale risposta alla terapia con fenoldo-pam. Dal punto di vista laboratoristico compare anemia (Hb:7,7 g/dl) e trombocitopenia (plts: 77X10E9/L): si assiste inoltre a un rialzo dell’LDH (607 U/L) e della bilirubina indiretta; si esegue un dosaggio dell’aptoglobina (0,001 g/L), e si invia lo striscio di sangue periferico, che evidenzia la presenza di schistociti. Si pone quindi la diagnosi di sindrome emolitico-uremica e il paziente inizia il trattamento con plasmaferesi; vengono effettuate complessivamente 9 sedute con miglioramento delle condizioni cliniche, con completo recupero del sensorio e stabilità dei parametri ematologici. La persistenza tuttavia dell’insufficienza renale ha reso necessario trattare il paziente con emodialisi con parziale recupero della funzionalità renale, per cui il paziente viene dimesso non ancora svezzato dal trattamento trisettimanale.Data l’assenza di un fattore enteritico o farmaco-tossico scatenante, fattori esclusi con indagini sierologiche e con ripetute accurate raccolte anamnestiche, nell’ipotesi di SEU atipica, sono stati inviati campioni per lo studio gene-tico del fattore H, fattore I e complesso MCP (tuttora in corso).La sindrome emolitico-uremica rappresenta un’evenienza clinica rara, ma l’importanza del trattamento specifico adeguato con plasmaferesi rende doveroso, per il medico dell’emergenza, un suo rapido riconoscimento. In questo caso, nelle prime ore, la presenza di valori di emoglobina nei limiti della norma, e il dato anamnestico dell’assunzione di litio, inserivano nella diagnostica differenziale un caso di intossicazione da litio con conseguen-ti nausea e vomito prolungati e insufficienza renale da deplezione di volume e, associato, un possibile quadro di neurotossicità (SILENT syndrome). La presenza, tuttavia, di chiari segni di emolisi ha permesso di districarsi all’interno del labirinto delle ipotesi e di porre la corretta diagnosi.

Vasculite da farmaci in Pronto Soccorso: dal caso clinico all’ipotesi diagnostica più probabileE. Cecchi, M. Banchelli, T. Marchione, A. Baldini, S. Magazzini Dipartimento di Emergenza e Accettazione, Azienda USL 4, Prato, Italia

Introduzione Tra le sindromi emorragiche le porpore rappresentano una quota, non ancora conosciuta, di casi di accesso nei Dipartimenti di Emergenza (DE), che mettono a dura prova le capacità diagnostiche del medico, sia per la relativa rapidità richiesta nella diagnosi che per la complessità di inquadramento clinico. Solitamente, l’approccio dia-gnostico del medico d’urgenza inizia con il riconoscimento della lesione elementare: la petecchia, che può essere

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palpabile o non palpabile, associata o meno a trombocitopenia. Tra le porpore palpabili, le vasculiti indotte da farmaci costituiscono un’entità tuttora sottostimata e sottosegnalata, ma in continua espansione, come evidenziato dalla numerosità dei case reports e series provenienti dalla letteratura internazionale.

Il caso clinicoDescriviamo il caso di una donna di 62 anni presentatasi nel nostro DE per la comparsa, nei due giorni precedenti, di porpora palpabile agli arti inferiori, associata a modesto prurito, senza altri segni e sintomi di accompagna-mento. In anamnesi: pregressa TVP dell’arto inferiore sinistro con rilievo di positività per l’Anticoagulante tipo Lu-pus (LAC), da circa 7 anni in terapia anticoagulante orale con warfarin. Ipertensione arteriosa, da molto tempo in trattamento con ramipril e nebivololo, a cui è stata aggiunta negli ultimi 3 giorni l’associazione di idroclorotiazide + amiloride. All’esame obiettivo: parametri vitali nei limiti (con apiressia), cute calda e ben idratata con evidenza agli arti inferiori di rash purpurico palpabile (vedi figura 1). Obiettività cardio-toracica, addominale e neurologica nei limiti. Polsi periferici tutti presenti, normosfigmici e simmetrici, non soffi vascolari. Esami ematochimici nei limiti della norma ad eccezione di INR sotto il range terapeutico e PTT di 50 sec compatibile con la precedente diagno-si trombofilica. Un ecodoppler venoso degli arti inferiori escludeva la TVP. Escluso il coinvolgimento sistemico e d’organo, sospesa la terapia con idroclorotiazide + amiloride, la paziente è stata dimessa dal DE con diagnosi di sospetta vasculite da idroclorotiazide e inviata a consulenza reumatologica che successivamente ha confermato la suddetta diagnosi.

Figura 1. Rash purpureo palpabile agli arti inferiori.

Bibliografia Radic M. et al. Drug-induced vasculitis: a clinical and pathological review. The Netherlands Journal of Medicine 2012;

70: 12-17.Cecchi E. et al. Porpore da farmaci: una riflessione per il clinico. Internal and Emergency Medicine, Medicina Italia

2007, 4.

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Il caso di un morso di serpente raro

S. Pierconti, F. Di Fazio, M. Centi, C. Sighieri UO Medicina d’Urgenza e Pronto Soccorso, Ospedale M.G. Vannini, Roma, Italia

Alle ore 23:53 giunge in Pronto Soccorso un paziente di anni 24, ripetutamente morso sulla mano destra da un serpente di sua proprietà, appartenente alla specie Hemorrois Ravergeri. Al momento della visita il paziente è in buone condizioni generali, presenta un edema molle della mano destra (figura 1), esteso fino al primo terzo dell’avambraccio omolaterale. L’esame obiettivo ed i parametri vitali sono nella norma. Emocromo, PCR, glicemia ed elettroliti nella norma, azotemia 55 mg/dl, creatinina 1,4 mg/dl, indici di lisi muscolare nella norma, INR 1,4.Questo colubride, molto raro, non dovrebbe essere velenoso, ma l’esatto profilo tossico della saliva non è noto da un punto di vista quantitativo né qualitativo. È stata impostata terapia antibiotica, antiinfiammatoria e profilassi con EBPM 4000 UI sc. Durante le successive 48 ore si è assistito ad un progressivo incremento dell’edema dell’arto su-periore destro esteso fino al cavo ascellare. Esami ematici seriati hanno mostrato lieve leucocitosi neutrofila e lieve e transitorio aumento della funzionalità renale e dei parametri coagulativi. Un ecodoppler dell’arto superiore ha mostrato pervietà degli assi venosi in assenza di segni trombotici. Successivamente, si è rilevata una progressiva riduzione dell’edema. PCR, procalcitonina e dimero sono sempre risultati nella norma. Concludiamo pertanto che il morso da Hemorrois Ravergieri determina edema della parte lesa di origine non infiammatoria e non possiede potenziale trombotici.

Figura 1. Edema molle dell’arto superiore destro.

La gestione delle intossicazioni nel Pronto Soccorso del Policlinico Tor Vergata di Roma

B. Susi, C. Paganelli, M. MastropasquaPronto Soccorso-Osservazione Breve Intensiva, Policlinico Tor Vergata, Roma, Italia

Le intossicazioni rappresentano circa l’1-2 % degli accessi in Pronto Soccorso (PS) e comportano un impegno importante da parte del personale sanitario, anche da un punto di vista organizzativo.È nota la specificità del ruolo del Laboratorio (attivo 24 ore) nella diagnosi e nel monitoraggio degli effetti della terapia e nel follow-up di questi pazienti, come d’altronde si intuisce che per un corretto e tempestivo approccio a questi pazienti sia necessario un armadio degli antidoti di I e II fascia, debitamente stoccati in relazione al contesto socio-economico in cui è allocato l’ospedale, all’utenza e alla numerosità degli utenti e della casistica.Il Policlinico Tor Vergata (PTV) si trova nella periferia Sud Est di Roma, in prossimità di un quartiere di grandi problematiche socio-economiche, Tor Bella Monaca, sede di spaccio e uso di sostanze stupefacenti, soprattutto eroina, e con un’alta percentuale di extracomunitari, per la maggior parte clandestini.

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65VIII Congresso Nazionale SIMEU - RiminiPOSTER - Sabato 20 Ottobre

Il PS del PTV dispone di armadio degli antidoti e si giova di un laboratorio tecnologicamente avanzato ed in fun-zione 24 ore al giorno.Sono stati presi in esame gli accessi in PS per intossicazione nel corso del 2011 (oltre 400 casi). Di questi sono stati considerati il sesso, l’età, le modalità d’arrivo, il codice di triage, la causa dell’accesso, anamnesi, esame obiettivo, attività (diagnostica strumentale e di laboratorio, prestazioni), terapia medica e antidotica, l’utilizzo o meno del consulto col CAV, la diagnosi finale, l’esito e il tempo di stazionamento in PS. Sono state poi diversificate alcune categorie (sostanze abuso, farmaci, sostanze chimiche per uso domestico o agricolo, piante) e si sono valutate le caratteristiche dei pazienti.L’esame dei dati ricavati dimostra la stretta relazione fra la casistica e il contesto geografico e socio-economico del territorio in cui è ubicato l’ospedale. Inoltre si ricava fortemente la necessità di implementare la formazione dei medici dell’emergenza sulla gestione delle intossicazioni, sull’utilizzo e lo stoccaggio degli antidoti e di tutti i presidi e farmaci necessari alla decontaminazione.

Neurological deficit after viper bite

A. Lignani, V. Mommi, M. Pellizzaro Venti, G. AgnelliMedicina interna, Medicina interna e vascolare e Stroke Unit, Perugia, Italia

A 77-years-old man was bitten by a viper on his right thumb. After the bite, the patient suffered nausea, abdominal pain, vomiting. He became sleepy and confuse. Vital signs were stable. Heart, abdomen and lung examinations were normal. His pupils were miotic. He also suffered a III left cranial nerve incomplete palsy and near paralysis and difficulty in coordinating movement in his right arm. Characteristic fang marks, pain, edema and lymphangitis on his right hand were present. A cranial CT scan was negative. Blood tests showed: Hb level 18 g/dl, PLT count 190.000, creatinin 1.9 mg/dl, INR 1.3, D-dimer 519. A second blood test showed a decrease in the Hb level and in the PLT count.Antivenin was not administered. Tetanus antitoxin, antibiotics and saline solution were administered.A cranial MRI showed multiple areas of hyper-intense signal abnormality along the left frontal lobe, bilateral occipi-tal lobes and left cerebellum. On the frontal and occipital areas there was hemorragic infarction (figures 1, 2, 3).

Figure 1: T2

Figure 2: Diffusion Figure 3:Gradient eco

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L’amarissimo che fa… malissimo!

E. Pennacchio, G. Gaudino, F. Lisanti, L. Genzano, M. Martorano, M. Carbone, G. Staffa, M. Ricapito, M.G. D’Adamo, M. AutilioDipartimento di Emergenza-Accettazione, Pronto Soccorso Medicina d’Urgenza, Potenza, Italia

IntroduzioneIl caso clinico che presentiamo descrive una diagnosi comune (e frequentemente letale) in ambito veterinario, ma insolita per una donna adulta.

Caso clinico A.G., sesso F, 46 anni. La paziente viene condotta all’osservazione per vertigini, vomito, disturbi del visus ed agi-tazione psichica. Insiste perché le venga praticata la gastrolusi e controllata la glicemia, dal momento che ha man-giato dei lupini, noti per l’attività ipoglicemizzante e per altre proprietà benefiche, apprese dalla consultazione di alcuni siti internet. I parametri vitali sono i seguenti: PA: 140/80 mm Hg, FC 106/min, SpO2 98%, TC 36,6°C. All’esame obiettivo la paziente è agitata, confusa, scarsamente collaborante. Ha un tappo di cerume occludente e le pupille in media midriasi; a breve distanza compare un’anisocoria sn > dx. I segni meningei sono assenti.La paziente viene sottoposta ad un esame TC dell’encefalo, che risulta nella norma. Una rapida ricerca su internet ci informa che i lupini contengono molti alcaloidi tossici (tra i principali la lupo-tossina, la lupanina, l’oscilupanina) e che per tale motivo vengono lavati più volte, cotti e conservati in salamoia, che viene cambiata frequentemente prima della vendita. Gli alcaloidi dei lupini sono amari; per questo le intossicazioni sono frequenti in ambito veterinario (gli animali ingeriscono i semi mescolati accidentalmente con altro foraggio) e sono segnalate anche in età pediatrica. Non sono descritti casi di intossicazione nell’adulto. Nuovamente interrogata, la paziente rife-risce di aver mangiato numerosi lupini secchi, ricevuti in dono da una parente che li coltiva, a partire dalla sera precedente.Si esegue decontaminazione con gastrolusi, carbone attivato e solfato di magnesio. Monitorata per 24 ore, la paziente viene dimessa in buone condizioni.

ConclusioniI lupini non trattati per uso alimentare sono responsabili di un’intossicazione potenzialmente letale, frequente in ambito veterinario, segnalata in età pediatrica, decisamente insolita nell’adulto. La terapia consiste nelle comuni procedure di decontaminazione e supporto.

Avvelenamento da funghi

M. Larocca, F. Barone, N. Barone, L. Maione, D. Vallefuoco, D. ColarussoASP Potenza, Ospedale di Lagonegro, Potenza, Italia

EpidemiologiaSolo una piccola parte delle numerosissime specie fungine è tossica, pur tuttavia ogni anno si rilevano in Italia numerosi casi di intossicazioni, anche mortali. Le intossicazioni da funghi rappresentano, in Italia, una vera e propria epidemia stagionale.Dal mese di settembre sino alla fine di novembre, numerosi sono gli accessi in Pronto Soccorso per la comparsa di disturbi dopo il consumo di funghi, quasi sempre raccolti personalmente o da conoscenti.Il numero di intossicazioni da funghi sul territorio nazionale non è quantificabile con precisione non esistendo una raccolta sistematica dei dati. I dati di ricovero ospedaliero fanno riferimento in genere ai casi più gravi, ma ovviamente sfuggono i casi di sola gestione in Pronto Soccorso o domiciliare. I casi segnalati dai centri antiveleni vedono coinvolti in media tra i 1.500 e i 2.500 pazienti ogni anno, spesso interi nuclei familiari. Tale variabilità è correlata alle condizioni più o meno favorevoli alla crescita dei funghi che si determinano di anno in anno.

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Gli ultimi dati disponibili risalgono a più di un decennio fa. Nel 1997 sono stati ricoverati in Italia, con la diagnosi di intossicazione da funghi (classificazione ICD 9 = 988.1), 837 pazienti, senza differenze di sesso (49% femmi-ne e 51% maschi) e con un’età media di 41 anni (da 1 a 95 anni). La degenza media è stata di 2,5 giorni (da 1 a 32 giorni) e la mortalità è stata dello 0,3%.In tabella 1 sono riportate le distribuzioni regionali dei ricoveri.

Tabella 1. Ricoveri per intossicazione da funghi: distribuzione per regioni (anno 1997).

Calabria 147 Emilia R. 23Toscana 102 Liguria 23Puglia 92 Piemonte 18Lazio 86 Umbria 16Campania 77 Sicilia 14Lombardia 67 Marche 14Basilicata 41 Friuli 13Sardegna 33 Trentino 10Veneto 31 Valle Aosta 3Abruzzo 25 Molise 2

Ogni anno si registrano circa 200 decessi per avvelenamento da funghi.

ClinicaSi distinguono fondamentale due gruppi di sindromi da intossicazione da funghi: a) sindromi a lunga latenza (da 6 a 24 ore o oltre dal pasto), potenzialmente gravi e mortali in alcuni casi; b) sindromi a breve latenza (da pochi minuti fino ad un massimo di 4-6 ore dal pasto), a decorso benigno nella maggior parte dei casi. Esse rappresen-tano oltre l’80% dei micetismi osservati.

Indice di gravità: intervallo intercorso tra ingestione dei funghi e comparsa dei sintomi. Un periodo superiore a 6 ore deve far sospettare una grave intossicazione da funghi. Quindi: ospedalizzazione.

Le sindromi a lunga latenza Le sindromi a lunga latenza sono classificabili in: sindrome falloidea; sindrome orellanica; sindrome giromitrica*, sindrome acromelalgica*, sindrome norleucinica*, sindrome rabdomiolitica*, sindrome di Szechwan*, sindrome cerebrale, sindrome encefalopatica.La sindrome falloidea rappresenta l’avvelenamento da funghi con più frequente esito mortale. Il quadro clinico è classicamente costituito di 4 fasi: periodo di latenza, fase gastrointestinale, fase epatica, insufficienza epatica grave.

Terapia Penicillina G: 250 mg/Kg/die ev lenta (sposta l’alcaloide dal legame albuminico e facilita l’eliminazione renale).Cortisonici a dosi elevate: desametazione 40 mg; idrocortisone 1000 mg.Acido tioctico-NAC (acetil-cisteina), Fluimucil (impedirebbe l’accumulo di metabolici epatotossici).Vitamine del gruppo B e C. Carbone attivo. Silimarina.Diuresi forzata.Infusione liquidi (1000 ml/10 kg peso) in 24 ore x 72 - 96 ore – Mannitolo - Plasmaferesi – Emodialisi ripetere ogni 12 ore le prove di funzionalità epatica e controllare la diuresi e P.V.Fenilbutazione – Citocromo CTrapianto epatico.

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Le sindromi a breve latenzaLe sindromi a breve latenza sono classificabili in: sindrome muscarinica, sindrome panterinica, sindrome psilocibi-nica, sindrome coprinica, sindrome paxillica, sindrome gastrointestinale.

TerapiaIn questi casi la terapia prevede: gastrolusi, idratazione, carbone attivo. La prognosi è generalmente favorevole.

Lista funghi commestibili con tossine termolabili

Genere Specie Avvertenze

AmanitaAmanitaArmillariaBoletusClitocybeEntolomaFlammulinaLeccinumMarasmiusMorchella - VerpaRussulaSuillusMacrolepiota

rubescens e relativo gruppovaginata e relativo gruppomellea e relativo gruppoluridus, erytrophus, appendiculatusnebularis (*)clypeatum (**)velutipestutte le specieoreadestutte le specieolivaceagranulatus, luteus e probabilmente altre specie procera e relativo gruppo

Commestibilità condizionata alla cottura prolungata per almeno 40 minuti o alla sbollentatura + successiva cottura per altri 20 minuti per le specie del genere Armil-laria.Consigliata la sgambatura per Armillaria.Flammulina e Leccinum e l’asportazione della cuticola per i Suillus.Tossici se consumati crudi o poco cotti o con preparazioni a rischio (alla piastra e alla griglia)

(*) attualmente è considerata specie sospetta, capace di provocare intossicazione in alcuni indivudui sia che cotta per lungo tempo che sbollentata, scolata e successivamente cotta.(**) segnalato da alcuni Autori, necessita di sicura conferma.

Tabella 2.

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CLINICAL RISK MANAGEMENT

L’autopsia cognitiva nello studio degli errori diagnostici

M. Barchetti*, M. Franchini**, A. Ciuffreda*, A. Parise*, S. Rosi*, E. Gottardi** Medicina d’Urgenza e Pronto Soccorso, Nuovo Ospedale di Sassuolo, Italia** Psicologo Clinico, Modena, Italia

IntroduzioneIl problema degli errori diagnostici è ancora molto sottovalutato; l’approccio con la root analysis ha contribuito ad iniziare l’analisi dei processi di tipo procedurale che possono portare all’errore, ma non aiuta quando l’errore, ed è ciò che capita nella grande maggioranza dei casi, è frutto di un ragionamento sbagliato. L’approccio di tipo cognitivo ha proposto alcuni strumenti che possono rilevarsi molto utili per capire il perché ed il come degli errori diagnostici. Presentiamo la nostra esperienza nell’applicazione di queste metodiche.

Materiali e metodi Durante il 2011 presso la nostra unità operativa abbiamo eseguito una analisi di tipo cognitivo (autopsia co-gnitiva) nei casi di errore diagnostico che sono stati rilevati. L’analisi è stata condotta su quattro casi di errore diagnostico: a) embolia polmonare scambiata per polmonite; b) rottura di aneurisma addominale scambiata per riacutizzazione di bpco, c) frattura di C2 misconosciuta; d) ritardo nella diagnosi di neoplasia mediastinica. Tutti i casi sono stati analizzati rivedendo la documentazione clinica e ricostruendo le fasi del processo diagnostico, applicando quando possibile il ragionamento metacognitivo.

Risultati Sono stati individuati 12 errori euristici (3 errori/caso) i più frequenti dei quali sono risultati essere: l’errore di accessibilità, l’effetto cornice, la chiusura prematura, l’errore di conferma, di ancoraggio, di ricerca soddisfatta. In assoluto il più frequente è stato la chiusura prematura.

Conclusioni Il problema degli errori diagnostici non può essere affrontato solamente con la root analysis in quanto questa metodica non riesce ad affrontare l’errore che scaturisce da un ragionamento sbagliato. L’autopsia cognitiva nella nostra esperienza si è dimostrata una metodica semplice ed efficace, quanto meno a gettare luce sui meccanismi che hanno condotto all’errore. Ulteriori studi sono necessari per capire la sua capacità di prevenirli.

Bioetica di Pronto Soccorso

M. BarchettiMedicina d’Urgenza e Pronto Soccorso, Nuovo Ospedale di Sassuolo, Italia

IntroduzioneL’attività quotidiana mette il medico di Pronto Soccorso (PS) di fronte a problemi in cui l’aspetto etico è fondamen-tale. L’esigenza di un supporto metodologico al processo decisionale è molto sentita ma non ha finora trovato risposte concrete. Presentiamo una nostra proposta operativa che tenta di superare questa impasse.

Materiali e metodi Abbiamo ricondotto il nostro ragionamento al pensiero di Beauchamp, basato sui principi fondamentali dell’etica medica: 1. Autonomia; 2. Beneficienza o non maleficienza; 3. Giustizia; 4. Integrità morale della professione. Sulla base di questo assunto proponiamo quindi un approccio pragmatico all’analisi del problema etico che

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prevede 5 fasi: a) individuazione del problema; b) soluzione abbozzata; c) giustificazione in base ai principi; d) confronto con proposte o soluzioni diverse; e) sintesi. Tale metodo può essere applicato rapidamente come esigo-no le situazioni di PS.Con tale metodo abbiamo analizzato tre casi esemplificativi:1. Maschio di 89 aa. Demente con emiplegia dx giunto per edema polmonare acuto: quale trattamento è eti-camente corretto?; 2. Maschio 78 aa. Grave BPCO giunto per riacutizzazione: rifiuto del ricovero, quale atteg-giamento prendere?; 3. Donna 68 aa. Demenza con agitazione psicomotoria, accompagnata dalla figlia per sintomatologia vaga, richiesta di ricovero, quale risposta dare?

ConclusioniAnche gli aspetti etici delle decisioni mediche in PS possono avvalersi di processi decisionali che aiutano ad af-frontare il problema. La nostra proposta vuole essere un aiuto concreto ai colleghi che si trovano a fare delle scelte il più delle volte soli e con poco tempo a disposizione, insomma una sorta di pronto soccorso bioetico.

Il Pronto Soccorso come osservatorio delle reazioni avverse da farmaci

B. Susi, M. Mastropasqua, C. PaganelliPronto Soccorso-Osservazione Breve Intensiva, Policlinico Tor Vergata, Roma, Italia

La Farmacovigilanza è l’insieme delle attività mirate a sorvegliare il profilo di rischio di un farmaco dopo la sua immissione in commercio.L’Organizzazione Mondiale della Sanità fissa in 300 segnalazioni/1 milione di abitanti il tasso di segnalazione efficace (con il 30% di segnalazioni riguardanti reazioni avverse gravi).Il tasso di segnalazione nel Lazio nel 2009 è stato di 68,2/1 milione, ben inferiore quindi al tasso nazionale di 242,9.È stata istituita quindi una commissione regionale di farmacovigilanza per implementare questa attività, anche nell’ambito dei Pronto Soccorso.Dopo un seminario introduttivo, si è avviato quindi nel nostro PS un monitoraggio continuo, durato 10 mesi (Set-tembre 2010 - Giugno 2011), su tutti gli accessi per estrapolare le reazioni avverse da farmaci, identificandone i farmaci coinvolti, le modalità di somministrazione, il tempo di permanenza in PS, l’eventuale terapia somministra-ta, la necessità o meno di ricovero e il codice di priorità assegnato al triage.Di ogni reazione avversa è stata compilata la relativa scheda di segnalazione (come da disposizione ministeriale) ed è stata poi inserita nella Rete Nazionale di Vigilanza.A fronte di quasi 42000 accessi sono state identificati 123 episodi sospetti di reazione avversa (2.9/1000 ac-cessi).La fascia di età maggiormente rappresentata è stata quella fra i 36-50 anni con il 28.4%, mentre per quel che concerne il sesso c’è stata una netta prevalenza femminile (59.3%).Fra le 123 schede inserite nella rete nazionale di vigilanza 111 riguardavano 1 solo farmaco e 12 più farmaci, con un totale di 136 farmaci sospetti per reazione avversa.La classe ATC più coinvolta è stata quella degli antibiotici (J) con 42.6%, seguita dai farmaci dell’apparato mu-scolo scheletrico (M) con il 19.8%.Nell’11.8% dei casi si è trattato di farmaci senza obbligo di prescrizione. Per il 21.1% si trattava di reazioni gravi e per il 78.9% non gravi.Lo studio conferma il coinvolgimento delle classi J ed M nelle reazioni avverse, confermando i dati della lettera-tura e soprattutto il ruolo strategico del PS nell’intercettare e segnalare le reazioni avverse da farmaci, così da incrementare il tasso regionale, attualmente molto al di sotto della media nazionale e soprattutto del tasso indicato dall’OMS.

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Hand off: istituzione di una cartella informatizzata in un DEA di I livello

S. Curti*, D. Scarpati**, C. Castaldi*, R. Dal Piaz*, C. Consolante*** Dipartimento di Emergenza-Pronto Soccorso, Ospedale di Anzio, Italia** Direzione Sanitaria, Ospedale di Anzio, Italia

Il momento del cambio medico a fine turno in un Dipartimento di Emergenza si è rilevato come evento sentinella di errori e malpratiche nella gestione dei pazienti della holding area in particolare.Lo stazionamento dei pazienti all’interno delle sale visite, inappropriato ed inadeguato, a causa della carenza di posti letto, porta al medico di Pronto Sccorso un carico di lavoro inaspettato.La codifica e la possibilità di avere su computer il quadro generale delle attività da svolgere e svolte permette al medico di guardia di avere più cura della safety del paziente e di non incorrere in errori o slaps mistake.

Paziente critico in Pronto Soccorso: gestione del rischio clinico con analisi degli eventi avversi

E. Rossi, L. Capitanucci, L. SeveriniEmergenza, Pronto Soccorso, Ospedale di Ancona, Italia

Attraverso la metodologia di analisi applicata all’HFMEA (Health care Failure and Effect Analysis) abbiamo esami-nato il percorso del paziente critico in Pronto Soccorso attraverso lo studio di sottoprocessi.I sottoprocessi analizzati sono:a) principali: paziente che arriva con 118; paziente esterno (autonomo o altro nosocomio); paziente ambulato-

riale o accompagnatore.b) secondari: valutazione clinica; prescrizione farmaci; somministrazione terapia; destinazione paziente (OBI o

ricovero); dimissione.L’analisi ha poi seguito il percorso dell’attività, dell’operatore, del modo dell’errore e delle cause.Dopo la valutazione attenta della catena si è passati alla stratificazione del rischio clinico con calcolo della for-mula R=PxD, ove R rappresenta la magnitudo del rischio, P configura la probabilità del verificarsi dell’evento, D evidenzia la gravità del danno.Per valutare la probabilità del danno si è fatto riferimento a parametri ben definiti e applicabili secondo un pun-teggio1-4.Il nostro studio ha rilevato aree ambulatori e OBI con un danno a basso rischio: hanno avuto come azione un continuo monitoraggio. Aree a medio rischio (area box e sala emergenza) hanno avuto una pianificazione e una attuazione di azioni correttive quali: implementazione e formazione sanitari (ALS; ATLS, etc.), verifica sovraccarico di lavoro, predisposizione di linee guida, opuscoli plurilingue, consegna protocolli a neoassunti, controllo e ag-giornamento presidi, miglioramento della comunicazione sanitario/paziente, etc. Presso il nostro Dipartimento di Emergenza, negli ultimi anni, sono stati formati facilitatori del risk management per il miglioramento della qualità delle cure e il riconoscimento dell’evento avverso.

Bibliografia Incidence of adverse events in hospitals: a retrospective study. Schiolen 2001.Rischiosanità Assoinform 2003.

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TELEMEDICINA

Applicazione dell’e-health in un sistema di teleconsulto a costo zero: l’esperienza della ASL 4 Chiavarese

M. Cavallero*, G. Fera*, M. Estienne**, S. Tredici*, M. Lillo*, J. Garau*, M. Valerio*, S. Cantoni**, P. Iannone** SC Pronto Soccorso, ASL 4 Chiavarese, Lavagna, Italia** SC Radiologia, ASL 4 Chiavarese, Lavagna, Italia

Premessa La razionalizzazione dei servizi sanitari richiede ormai l’uso di tutti i mezzi disponibili per poter integrare e sfrutta-re le professionalità presenti a livello interaziendale. I servizi di telemedicina rappresentano una parte integrante del ridisegno strutturale ed organizzativo della rete di assistenza, contribuiscono a migliorare la qualità dell’assi-stenza sanitaria e consentono la fruibilità di cure, servizi di diagnosi e consulenza specialistica a distanza.

Descrizione La ASL 4 Chiavarese non è dotata di un servizio di neurochirurgia, pertanto si è avvertita la necessità di avviare un percorso di collaborazione con la SC di Neurochirurgia dell’Ospedale Galliera dell’area metropolitana genovese. Dall’avvento del sistema di digitalizzazione e archivio delle immagini, in attesa della condivisione informatica a livello regionale (PACS), si predisposto un sistema di invio on-line delle immagini digitali in formato .jpeg, per offrire un servizio efficiente per ottenere le consulenze neurochirurgiche, che non comporti disagio per il paziente ed eviti eccessive perdite di tempo legate al trasporto tradizionale del CD tramite Pubblica Assistenza.Si utilizza la posta elettronica aziendale di entrambe, con l’invio delle immagini in cartelle zippate di dimensioni inferiori a 10 Mb. Si è predisposta una cartella condivisa tra la SC Radiologia e la SC Pronto Soccorso, dove il radiologo estrae le immagini delle TC, inserite in una sottocartella (rinominata con le iniziali del paziente e la data) che viene compressa. Se le dimensione del file supera 10 Mb, il radiologo suddivide, raggruppandole per distretti, le immagini in più sottocartelle. che vengono compresse per essere allegate. In questo caso è necessario inviare più email.Il medico di PS accede alla casella dedicata di posta elettronica aziendale, creata appositamente con una mag-gior capienza rispetto a quelle ordinarie, scrive l’e-mail, con i dati rilevanti del caso, alla casella aziendale della SC Neurochirurgia dell’Ospedale Galliera, allegando la cartella zippata contenente le immagini digitalizzate. Il neurochirurgo le esamina ed invia la consulenza via e-mail.Per il rispetto della privacy, non trattandosi di un sistema criptato, si è predisposto un modulo di consenso informato all’invio delle immagini, che viene fatto firmare al paziente, se in grado di farlo, o ai parenti.

Conclusioni Il sistema è attivo da Marzo u.s. e fino ad ora non ha presentato alcuna criticità. La semplicità dell’utilizzo ha peraltro permesso l’invio in tutti i casi in cui è stato necessario avere una consulenza specialistica. Peraltro nei casi in cui è stato necessario il trasferimento del paziente i tempi sono stati notevolmente più brevi e si sono azzerati i trasporti inappropriati. Infine, oltre al miglioramento del Servizio rivolto all’utente, l’Azienda ha risparmiato sul costo dei trasporti, utilizzando semplicemente al meglio una risorsa già presente.

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Progetto TESTMED: supporto informatico in Medicina d’Urgenza

E. Migliozzi*, M. Suppa*, F. Cossu**, E. Baldini*, B. Romildo*, M. Mecella** * Emergenza-Accettazione, Medicina d’Urgenza, Roma, Italia** Ingegneria Informatica Automatica e Gestionale, Roma, Italia

Introduzione Un’analisi delle iniziative avviate nei principali paesi industrializzati dimostra il crescente interesse per le appli-cazioni dell’informatica al settore sanitario. La “progressiva informatizzazione” tuttavia rimane più lenta in alcuni scenari a causa della loro complessità e vastità. Nel progetto TESTMED, in collaborazione fra la Medicina d’Ur-genza del Policlinico Umberto I di Roma ed il Dipartimento di Ingegneria Informatica Automatica e Gestionale della Sapienza, si sta studiando come supportare i professionisti in modo da contribuire ad un incremento quali-quantitativo delle prestazioni,con l’utilizzo di sistemi di supporto alle linee guida durante il processo diagnostico-terapeutico, ad una riduzione degli errori medici (ad esempio nella trascrizione dei risultati diagnostici) e in ultimo, ma non meno importante, ad una riduzione sensibile dei costi temporali correlati.

Materiali e metodiIl prototipo TESTMED consiste di due componenti: un’interfaccia utente ed un back-end engine di gestione delle linee guida. La prima è progettata per essere eseguita su dispositivi mobili tablet (con possibilità di approccio tattile e voca-le) che possano fornire una accessibilità e una portabilità tali da permetterne l’uso direttamente in reparto. Il secondo si occupa di gestire il routing delle attività cliniche tra i medici e gli altri professionisti coinvolti (infermieri, etc.) con lo scopo di coadiuvarli nella pratica clinica. L’engine è organizzato in servizi, di cui alcuni dedicati alla gestione di applicazioni e sistemi già esistenti nel Dipartimento di Emergenza, ed altri che permettono di poter utilizzare sull’inter-faccia mobile gli score ricavati dalle linee guida. Viene presentato lo studio che ha permesso di applicare il prototipo TESTMED nella gestione del dolore toracico, una delle cause più frequenti di accesso nei Pronto Soccorso. Il medico che si trova a gestire un paziente con dolore toracico con questo sistema avrebbe la possibilità di interrogare lo stesso e relazionarsi contemporaneamente all’interfaccia dove troverà il Chest Pain Score, con la possibilità (indossando delle cuffie collegate al tablet), di ascoltare e scegliere le opzioni presenti. Al termine del questionario il sistema suggerisce velocemente un indirizzo terapeutico e diagnostico, e, se confermati, avvia e monitora il progresso degli esami da effettuare e la relativa terapia, sino ad arrivare alla decisione di ospedalizzazione o meno del paziente.

Figura 1. Schema di funzionamento del prototipo TESTMED.

ConclusioniSempre più si sta prendendo in considerazione la possibilità di approcciarsi alla pratica clinica con l’aiuto di si-stemi informatizzati, col fine di digitalizzare tutti i dati sanitari in modo da rendere più pratica e veloce la gestione del paziente. Sembra che siano ormai “maturi” i tempi per una sinergia fra medicina e tecnologia, lì dove si sta ancora lavorando per valutare il reale impatto che questa soluzione avrebbe nella pratica clinica.