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Vincenzo Fato

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Volume dedicato ad un pittore minore del Seicento Italiano

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A CURA DI GIACOMO LANZILOTTA

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CASTELLANA GROTTE (BARI)19 DICEMBRE 2005 – 19 FEBBRAIO 2006

CON IL PATROCINIO DI

MINISTERO PER I BENI E LE ATTIVITÀ CULTURALI

MINISTERO DELL’ISTRUZIONE, DELL’UNIVERSITÀ

E DELLA RICERCA

REGIONE PUGLIA

PROVINCIA DI BARI

CAMERA DI COMMERCIO, INDUSTRIA,ARTIGIANATO E AGRICOLTURA

DI BARI

-SOPRINTENDENZA PER IL PATRIMONIO STORICO,

ARTISTICO ED ETNOANTROPOLOGICO

DELLA PUGLIA

CENTRO STUDI SULLA CIVILTÀ ARTISTICA

NELL’ITALIA MERIDIONALE

“GIOVANNI PREVITALI”

CENTRO RICERCHE DI STORIA

RELIGIOSA IN PUGLIA

CENTRO RICERCHE CASTELLANESE

-ENTE PROMOTORE E ORGANIZZATORE

COMUNE DI CASTELLANA GROTTE

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COMITATO SCIENTIFICOFRANCESCO ABBATE

Docente di storia dell’arte - Università degli Studi di Lecce

SALVATORE ABITA

Soprintendente per il Patrimonio Storico, Artisticoed Etnoantropologico della Calabriagià Soprintendente PSAE della Puglia

NUCCIA BARBONE PUGLIESE

Funzionario Soprintendenza per il Patrimonio Storico, Artisticoed Etnoantropologico delle province di Bari e Foggia

GIAN MARCO JACOBITTI

già Soprintendente per i Beni Architettonici della Puglia

GIACOMO LANZILOTTA

Dottore di ricerca in storia dell’arteUniversità degli Studi di Milano

MIMMA PASCULLI FERRARA

Docente di storia dell’arte - Università degli Studi di Bari

MARIO ALBERTO PAVONE

Docente di storia dell’arte - Università degli Studi di Salerno

NICOLA PELLEGRINO

Ispettore per il patrimonio artisticoDiocesi di Conversano e Monopoli

FRANCESCO SAVERIO PERILLO

già Preside della Facoltà di Lingue - Università degli Studi di Bari

FILOMENA SARDELLA

Soprintendente per il Patrimonio Storico, Artisticoed Etnoantropologico delle province di Bari e Foggia

UGO SORAGNI

già Soprintendente regionale per i Beni Ambientali,Architettonici, Artistici e Storici della Puglia

GIOVANNA CISTERNINO

Istituto Centrale del Restauro di Roma

CONTRIBUTI CATALOGOFrancesco Abbate, Mimma Pasculli Ferrara, Giacomo Lanzilotta,Mariella Intini, Mario Alberto Pavone, Antonella Di Turi

REFERENZE FOTOGRAFICHEMimmo Guglielmi, Pino Canelli, Giovanna Cisternino, Antonella DiTuri, Nicola Furio, Mariella Intini, Piero Intini, Pasquale Ladogana,Giacomo Lanzilotta, Archivio Giacomo Lanzilotta, Archivio Ce.Ri.Ca.,Archivio Mimma Pasculli Ferrara, Archivio Mario Alberto Pavone,Archivio fotografico Soprintendenza per il Patrimonio Storico, Artisticoed Etnoantropologico delle province di Bari e Foggia

SI RINGRAZIANOMONS. VINCENZO VITTI

Arciprete di Castellana Grotte

S. E. MONS. DOMENICO PADOVANO

Vescovo di Conversano e Monopoli

MONS. VALENTINO DI CERBO

Segreteria di Stato della Città del Vaticano

S. E. MONS. BENIGNO LUIGI PAPA

Arcivescovo metropolita di Taranto

S. E. MONS. MARIO PACIELLO

Vescovo di Altamura Gravina e Acquaviva delle Fonti

L’Eccellentissima Deputazione della Real Cappella del Tesorodi San Gennaro di Napoli

Il Nucleo Tutela del Patrimonio Artistico dell’Arma dei Carabinieridi Bari

La comunità benedettina dell’Abbazia di S. Maria della Scaladi Noci

La Parrocchia di S. Maria della Natività di Noci

Il Santuario della Madonna del Pozzo di Capurso

La Confraternita dell’Immacolata di Castellana Grotte

La Congrega della Natività e dolori di Maria di Martina Franca

La Biblioteca Civica “Mons. Amatulli” di Noci

Il Centro Culturale “G. Albanese” di Noci

L’Associazione “Terra Fraxi” di Frasso Telesino (Benevento)

L’Istituto di Vigilanza di Castellana Grotte

SI RINGRAZIANO INOLTREP. Gabriele Arganese, Nicola Campo, D. Carmine Chiarelli, MariaGaetana Di Capua, Franco Di Masi, Emanuela Elba, Marina Esposito,D. Angelo Fanelli, P. Provinciale Nunzio Giugliano, D. MicheleGramegna, Cristiana Guarnieri, Piero Intini, D. Michele Lerario,Elisabetta Longo, P. Michelangelo Maglie, Mons. Vincenzo Muolo,D. Vito Palmisano, D. Pasquale Pirulli, Antonino Piepoli, PietroPiepoli, D. Donato Rizzi, Mons. Giovanni Battista Romanazzi,D. Giuseppe Russo, D. Angelo Sabatelli, Tommaso Semeraro,D. Fedele Sforza, Vincenzo Simone,D.Vincenzo Togati, Angelo Totaro,Carmine Zarra, P. Pietro Zarrella

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© Copyright byComune di Castellana Grottetutti i diritti riservati

progetto grafico e impaginazioneFicarra&Mastrosimini snc

stampaGraphic Artist - Andria

finito di stampare nel dicembre 2005

in copertina:V. Fato, Madonna d’Ogni Bene. Castellana Grotte, Municipio(foto Giacomo Lanzilotta)

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11 LA PITTURA A NAPOLI AL TEMPO DEL FATO

Francesco Abbate

15 LA SITUAZIONE ARTISTICA IN PUGLIA NEL SETTECENTO

Mimma Pasculli Ferrara

21 VINCENZO FATO PITTORE: 1705 - 1788Giacomo Lanzilotta

39 CATALOGO RAGIONATO DELLE OPERE DI VINCENZO FATO

Giacomo Lanzilotta

177 ADDENDA: GIORDANO, SOLIMENA, ROSSI

Mariella Intini, Mario Alberto Pavone

185 CRONOLOGIA E REGESTO DEI DOCUMENTI DI VINCENZO FATO

Giacomo Lanzilotta

195 SINTESI INGLESE E FRANCESE

Marina Ferrero

203 BIBLIOGRAFIA

SOMMARIO

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È per me un particolare motivo di soddisfazione e di orgoglio pre-sentare, in qualità di Sindaco della città di Castellana Grotte, il cata-logo della mostra retrospettiva dell’illustre concittadino settecentescoVincenzo Fato, pittore di cui ricorre quest’anno il terzo centenariodella nascita.

Un evento che il Comune ha voluto celebrare con un’esposizionedelle sue opere recentemente restaurate e con la presenza di alcunidipinti ignoti al grande pubblico.

Questo volume è il frutto di decenni di ricerche e documentazione,meritorio risultato delle fatiche congiunte dei nostri studiosi della sto-ria patria, e dei professionisti del settore, storici dell’arte e ricercato-ri delle Università e delle Soprintendenze.

I restauri intercorsi negli ultimi anni, e soprattutto la grande operadi recupero della chiesa castellanese del Purgatorio, scrigno preziosodella pinacoteca fatesca, hanno restituito alla comunità e ai cultoridelle bellezze artistiche, ciò che a tutti appartiene: le testimonianzedel nostro passato, la nostra memoria storica.

Con lo spirito di chi vuole sottrarre tali beni al degrado, all’incuriae all’ignoranza, con la volontà di restituirne il valore, di far conosce-re e divulgare il patrimonio artistico e culturale della nostra comuni-tà, Castellana celebra il suo Artista, e con lui, la pittura del Settecentopugliese.

Questo volume è una restituzione, un debito di riconoscenza di tuttii castellanesi nei confronti di Vincenzo Fato.

Dott. Simone PintoSindaco di Castellana Grotte

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Siamo particolarmente orgogliosi di inaugurare questa retrospettivasu Vincenzo Fato. Già nel 2002 ne avevamo fatto un punto fermo delnostro programma amministrativo.

Quest’iniziativa ha l’obiettivo di ricordare nella maniera miglioreun artista che probabilmente molti a Castellana conoscono di sfuggi-ta. Ci attiveremo anche per rendere fruibile la mostra alle scolare-sche, proprio per far capire come anche nella sperduta Puglia delXVIII secolo, un castellanese era in grado di realizzare questi capo-lavori. Senza contare il valore aggiunto culturale a quello che giàCastellana offre nel campo turistico e dell’intrattenimento.

Daniele RodioAssessore alla Cultura

Produrre cultura, oggi come tre secoli fa, è un eccellente e corag-gioso modo di fare impresa. La vicenda personale ed artistica diVincenzo Fato, che il Comune di Castellana Grotte celebra con unaimportante mostra, ne è testimonianza. Un’esistenza votata all’arte,talento e bisogno che si intrecciano in un unico percorso, lungo unavita.

Patrocinando questa mostra, la Camera di Commercio di Bari havoluto testimoniare l’apprezzamento per tutte quelle iniziative cheaccendono i riflettori sui territori e non solo per promuovere le pro-duzioni industriali, agricole o artigianali, ma anche quelle artistichee architettoniche.

La nostra terra ne vanta davvero tante. Eccellenze creative oltreche economiche. Bisognerebbe valorizzarle sempre più spesso.Promuoverle, non solo per la loro capacità di celebrare estro, armo-nia e bellezza ma anche per quel senso di appartenenza alla stessacomunità, che ci rende, imprese e persone, custodi di unico mondodi valori.

On. dott. Luigi FaracePresidente Camera di Commercio di Bari

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FRANCESCO ABBATE

LA PITTURA A NAPOLIAL TEMPO DEL FATO

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1 | LA PITTURA A NAPOLI AL TEMPO DEL FATO

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In un passo citatissimo di una lettera al fratello (un “classico” ormai della let-teratura relativa a Luigi Vanvitelli) il celebre architetto dà, sotto forma di unadichiarazione di preferenze culturali, un giudizio, implicito dunque ma chiaris-simo, sulla pittura napoletana della prima metà del Settecento: “qua non stima-no che Luca Giordano e Solimena, dei quali non curo avere quadri”.

Quale fosse il giudizio di Vanvitelli sui due grandi protagonisti della pitturanapoletana tra Sei e Settecento, l’architetto non può non riconoscere, sia puresdegnosamente e come “in negativo”, un incontrovertibile dato di fatto: a LucaGiordano e Francesco Solimena non possono non guardare, e non solo durantela prima metà del XVIII secolo (la lettera del Vanvitelli data infatti al febbraio1759) sia gli estimatori (e i collezionisti) sia, e soprattutto, gli artisti napoleta-ni.

A cominciare dal pittore che molti studiosi ritengono il reale maestro diVincenzo Fato, vale a dire Paolo De Matteis. Da questo punto di vista poco cam-bierebbe se il suo apprendistato pittorico il pittore pugliese lo avesse invececondotto, come pensano altri studiosi, sotto la guida di un altro pittore puglie-se, Serafino Elmo, artista non immune da suggestioni giordanesche.

Quando De Matteis muore, nel 1728, Fato, nato nel 1705, è poco più cheventenne; ma la maniera del maestro gli resta indelebilmente negli occhi: ebasti pensare a un dipinto come La Sacra Famiglia che appare a Santa Teresad’Avila a Frasso Telesino, che è del 1743, o la più giovanile Annunciazione diPutignano. Anche se di De Matteis Fato fu, credo, un discepolo più ideale cheeffettivo, trovandosi il maestro a Roma tra 1723 e 1726, vale a dire negli anniin cui maggiormente Fato poteva materialmente approfittare del suo insegna-mento; è vero che De Matteis era già presente e conosciuto in Puglia nel corsodel secondo decennio del secolo, ma in quegli anni il pittore castellanese eraveramente troppo piccolo per ricevere dall’opera demattesiana suggestionidecisive.

La formazione pittorica e l’avvio a una prima maturità artistica di Fato avven-gono infatti nel corso dell’ultimo decennio del viceregno austriaco, anni in cuii fermenti culturali, che sullo scorcio della dominazione spagnola e nei primitempi del nuovo regime avevano segnato la speranza di una profonda palinge-nesi, vanno ormai spegnendosi e come “accademizzandosi”. La stessa produ-zione tarda di De Matteis viene temperando la gioconda luminosità arcadica, lagrazia ammiccante di un incantato classicismo della sua vena migliore in unpurismo raggelato e con forti accenti pietistici, forse conseguenza delle frequen-tazioni con l’ambiente del cardinal Orsini, arcivescovo di Benevento e poi, dal1724, papa Benedetto XIII.

Istanze classicistiche e richiami al libero pittoricismo di Luca Giordano per-corrono la intera produzione di Paolo De Matteis, combinandosi a creare una“poetica” assai vicina alle istanze dell’Arcadia, nella composta impaginazionedelle scene, in cui la luminosità del colore giordanesco si depura della suasfrangiata, atmosferica, barocca instabilità per compattarsi in una nuova, piùsolida stesura. Ma è pur sempre la festosità coloristica a caratterizzare la pittu-ra di De Matteis, nei suoi molteplici registri, dalla lieve, graziosa mondanitàarcadica delle sue favole mitologiche o allegoriche fino al patetico rigorismo dicerta sua produzione religiosa.

La maniera di Paolo De Matteis è una delle principali alternative presenti

Luca Giordano, Affreschi nella volta della Cappella del Tesoro.Napoli, S. Martino

Paolo De Matteis, Trionfo dell Immacolata, particolare.

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nella pittura napoletana del primo Settecento, accanto a quella di Solimenacome a quella rappresentata dal tenace persistere di una tradizione giordane-sca, e in concorrenza con le istanze briosamente rococò di un gruppo di pittori,formatisi nell’entourage solimenesco ma ben presto voltisi, sviluppando conmolta originalità pensieri giordaneschi, a un sottile contestazione di quelle cor-renti dominanti nella cultura figurativa napoletana del Settecento.

La partecipazione alle istanze classicistiche trova Paolo De Matteis in anti-cipo sulla svolta operata in tal senso dallo stesso Solimena, svolta che caratte-rizzerà la produzione del maestro fino agli anni trenta del secolo, quando l’an-ziano caposcuola riconvertirà nuovamente la sua pittura ad una appassionatafoga barocca, a quei guizzanti contrasti luministici, a quei sonanti “squilli dicolore”, per dirla con Bologna, che avevano caratterizzato la sua particolareinterpretazione del “barocco” di Mattia Preti e Luca Giordano, durante gli annigiovanili.

Per l’intero periodo del viceregno austriaco Solimena svolge una sua parti-colare elaborazione della poetica classicistica, talvolta più purista e accademi-ca, ma più spesso senza abbandonare mai del tutto le suggestioni, appunto, pre-tiane e giordanesche. Tanto che le stesse fonti settecentesche parlavano diSolimena come di un Mattia Preti “nobilitato”; e vorrei anche aggiungere unLuca Giordano nobilitato, specialmente negli anni successivi al ritorno delGiordano dalla Spagna, quando il vecchio maestro esegue l’affrescatura dellacelebre cupoletta della cappella del Tesoro nella certosa di San Martino, verotestamento figurativo che il grande caposcuola lascia in eredità alla pitturanapoletana del Settecento.

“Ricchezza di componimenti, grandezza nel disegno del nudo, bellezza emaestà ne’ panneggiamenti… azioni nobili”: sono queste le espressioni usatedal biografo Bernardo De Dominici per definire il nuovo classicismo solimenia-no, facendo però ben attenzione a non scordare, nel contempo, la “gagliardia etenerezza nel colorito”, la “inarrivabile freschezza di colore, e di chiaroscuro”armoniosamente accordati; vale a dire quegli elementi che rappresentavano ilportato delle sue frequentazioni pittoriche giovanili. Questo allineamento diSolimena a istanze classicistiche fu certo dovuto all’influenza delle sue nume-rose frequentazioni culturali; ma più che la consonanza con il ritorno a sugge-stioni metafisiche da parte dei gruppi cartesiani napoletani, il classicismo soli-meniano rappresenta piuttosto il suo personale apporto al movimentodell’Arcadia, il cui ramo napoletano, la “colonia Sebezia” aveva visto la lucenel 1703.

Su una nuova base, più briosa e capricciosamente mondana (e con il decisi-vo apporto di altre istanze figurative, come di suggestioni arcadiche) la tradizio-ne giordanesca si era mantenuta viva in un gruppo di artisti di grande talento(Domenico Antonio Vaccaro, Francesco Peresi, Giacomo Del Po) che rappre-sentano il polo più innovatore della pittura napoletana del primo Settecento, distampo ormai chiaramente rococò.

Il “gran fuoco” (l’espressione è ancora del De Dominici) delle invenzionivaccariane, dal brio frenetico di una pennellata guizzante, gli inesauribilicapricci coloristici di un Peresi, non immemori delle fantasmagorie cromatichedi un Gaulli o dei grandi decoratori genovesi, l’espandersi delle turbinose iri-descenze di Giacomo Del Po sulle volte delle stanze, di rappresentanza ma

1 | LA PITTURA A NAPOLI AL TEMPO DEL FATO

Francesco Solimena, La madonna consegna aS. Bonaventura il Gonfalone del Santo

Francesco Solimena, Giuditta con la testadi Oloferne. Vienna, Kunsthinstorisches

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anche più intimamente private, dei palazzi nobiliari napoletani – dell’aristocra-zia napoletana Giacomo Del Po fu il pittore prediletto, ma grande fu il favoregoduto anche presso la classe dirigente austriaca – le maniere di questi estro-si, e forse un po’ “eretici”, interpreti della felice, ariosa libertà pittorica di LucaGiordano (va però ricordato che Del Po, ma soprattutto Vaccaro, furono tutt’al-tro che estranei all’ambiente di Solimena) portarono a livelli assai alti, anche ariportarli a una dimensione europea, la poetica rococò.

Per un lungo tratto del Settecento si mantenne comunque viva, accanto alleinterpretazioni più divaganti ed eterodosse, anche una più tradizionalmenteortodossa pittura di derivazione giordanesca. Sappiamo dalle fonti cheGiordano ebbe una pletora innumerevole di allievi, seguaci e imitatori, la granparte di assai modesto livello; altri, come Giuseppe Simonelli, ma soprattuttoNicola Malinconico (morto nel 1727) furono invece tra i protagonisti dellevicende pittoriche regnicole durante i primi decenni del secolo.

Discepolo di Giordano fu anche Giovan Battista Lama, con il quale laPasculli ha ipotizzato essere venuto a contatto, durante i suoi anni napoletani,lo stesso Fato. Pittore di grande originalità, Lama si era volto a condividere conDe Matteis esiti di un delicato classicismo arcadico, pur con una sostanzialefedeltà ad un intenso pittoricismo di stampo giordanesco, per avvicinarsi poi aSolimena, interpretato però con una vena di forte intensità sentimentale.

La frase di Luigi Vanvitelli citata all’inizio indica una preferenza culturaleche non appartenne soltanto all’architetto della reggia di Caserta, ma è presen-te anche negli orientamenti della nuova corte borbonica, al potere nel regno diNapoli a partire, come noto, dal 1734. Preferenze e orientamenti ben visibili nelsuccesso arriso al capofila della cultura pittorica neoclassica, Anton RaphaelMengs, nonostante le iniziali diffidenze dello stesso Vanvitelli nei confronti delpittore tedesco, ma anche ad altri pittori di tendenza classicistica, come Batonie Conca.

La cultura neoclassica resterà, nonostante tanto autorevoli protettori, pursempre minoritaria nel novero della pittura napoletana, perché la tradizionesolimenesca (come anche i sotterranei, ma non poi tanto, fermenti giordaneschi)impronterà ancora di sé la produzione regnicola ben oltre la metà del secolo.

Il più rappresentativo tra gli allievi di Solimena fu Francesco De Mura, prin-cipale punto di riferimento sia per la più specifica cultura figurativa di ambitosolimenesco sia per la generazione dei più giovani pittori (Diana e Bardellinoin primis) venuti alla ribalta specialmente nel corso del settimo decennio delsecolo, quando Fato ha ormai lasciato Napoli per far ritorno nella nativa Puglia,pur mantenendo presumibilmente i contatti con l’ambiente napoletano. Nelquale tra resistenze solimenesche, sopravvivenze di classicismo arcadico (connon trascurabili tangenze con il melodramma metastasiano), riprese della libe-ra fantasia della “triade” rococò, innesti di cultura neoclassica, le vere grandinovità sono rappresentate da un lato dal rientro nella capitale borbonica, nel1762, di Corrado Giaquinto (che dunque Fato poté vedere direttamente all’ope-ra, prima di lasciare Napoli) dall’altro dal “riemergere” di una pittura naturali-stica che definire “di genere” è probabilmente assai riduttivo, specie per il suopiù accreditato rappresentante, quel Gaspare Traversi, il cui percorso artisticosi svolse certo prevalentemente a Roma, ma del quale sicuramente si ebbeanche a Napoli una precisa conoscenza.

1 | LA PITTURA A NAPOLI AL TEMPO DEL FATO

Giovan Battista Lama, Agar nel deserto.Vienna, Kunsthinstorisches Museum

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MIMMA PASCULLI FERRARA

LA SITUAZIONE ARTISTICA IN PUGLIANEL SETTECENTO

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II | LA SITUAZIONE ARTISTICA IN PUGLIA NEL SETTECENTO

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Tra le voci da me elaborate per il Dizionario Biografico degli Italiani (per ipugliesi Vincenzo De Mita e Serafino Elmo, per i napoletani Alessio D’Elia ei Fumo) particolarmente interessante è quella dedicata al pittore VincenzoFato (1995), perché mi ha permesso di esaltare la figura di artista trait-uniontra la Puglia e Napoli, in quanto nativo di Castellana in provincia di Bari, ope-roso a Napoli in luoghi prestigiosi (come la Sagrestia del Tesoro di S. Gennaronel 1742), di ritorno in Puglia con bottega in loco, alla stregua dei grandiesempi seicenteschi quale il bitontino Carlo Rosa, sicuramente più affermatonella storia degli studi critici più recenti.

Dunque ben venga questo Catalogo e la relativa Mostra a rendere omaggionella natia Castellana all’operato di Vincenzo Fato, grazie ai recenti studi diGiacomo Lanzilotta e alla sensibilità della Civica Amministrazione.

Le Mostre che hanno segnato la storia artistica dell’età moderna in Pugliaper la loro grande problematica sono poche, ma fondamentali. Ne segnaloalcune a cominciare dalla miticaMostra dell’arte in Puglia dal tardo antico alrococò del 1964 (il cui catalogo è a cura di Michele D’Elia) con uno sguardopanoramico sulla Puglia con importante apertura al barocco, a continuare conRestauri in Puglia 1981-83 e Giaquinto del 1993 (cataloghi a cura dellaSoprintendenza), a Confraternite arte e devozione in Puglia dal ‘400 al ‘700 del1994 (catalogo a cura di C. Gelao, promossa dal Centro Ricerche di StoriaReligiosa in Puglia) al Barocco a Lecce e nel Salento del 1995 (catalogo a curadi A. Cassiano) a Foggia Capitale. La festa delle Arti nel Settecento del 1998(catalogo a cura di M. Pasculli Ferrara, V. Pugliese, N. Tomaioli).

Già dalla voce dedicata alla Puglia nel Dizionario della pittura e dei pitto-ri (1993, Einaudi editore) sottolineavo l’importanza dei pittori napoletani LucaGiordano e Francesco Solimena, ma ignoravo per esempio l’esistenza di uninteressante Francesco Giordano comparso recentemente, ad aprile 2005, inuna Mostra a Andria, come firmatario di una Annunciazione del 1726 perMinervino Murge.

Del grande Luca Giordano la prima opera che arriva in Puglia è il SanGiovanni Capestrano che appare a san Pietro d’Alcantara di Santa Teresa aBari ma già della distrutta S. Pietro delle fosse (ora in Pinacoteca). È datata efirmata 1692 e costituisce il primo grande esempio di pittura barocca nellaregione. Seguono, coevo all’incirca, Pan e Siringa di Putignano, un più tardoSan Benedetto nel convento di San Pasquale a Taranto (attribuiti da VincenzoPugliese). Nel 1703, firmata, per la chiesa di San Francesco a Otranto (ora inEpiscopio) giunge la Madonna e santi caratterizzata da una misurata eleganzacompositiva e da spunti classicisti, di ascendenza solimenesca, e da me resanota nel primo quaderno Ricerche sul Sei-Settecento in Puglia a cura di LuisaMortari.

Di Francesco Solimena, il figlio del meno famoso Angelo (che al seguito delGuarino aveva lasciato a Gravina, nella chiesa del Purgatorio l’Annunciazionee la Madonna e santi del 1667 e nel convento delle domenicane il Paradiso)arrivano in Puglia, sul finire del secolo, laMadonna in gloria con i santi Pietroe Paolo nell’Episcopio di Nardò, databile al 1690-95, l’Apparizione delCrocifisso a san Pietro d’Alcantara, commissionata intorno al '94,nell’Episcopio di Troia, il San Francesco della Cattedrale di Lucera e laMadonna col Bambino e i santi Gennaro e Francesco nella chiesa madre di

Paolo De Matteis, Adorazione dei pastori.

Paolo De Matteis, Gloria di S. Cataldo.

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Cutrofiano. Col Giordano e col Solimena e soprattutto attraverso i loro disce-poli si apre per la Puglia la grande stagione barocca.

Primo fra tutti il De Matteis che invia una serie di dipinti a Lecce (SanGregorio taumaturgo in gloria, 1696), a Barletta (La vittoria di Lepanto eun’Adorazione dei pastori), a Monopoli (Madonna delle anime) e molti, firmatie datati, a Bari (San Giacomo), a Taranto (Istituto San Luigi, Carmine) e in pro-vincia (Grottaglie, Laterza). La permanenza del pittore è documentata aTaranto, quando è chiamato dal vescovo Giovan Battista Stella (insediatosi neldicembre 1713) per la lavorazione ad affresco della cupola del cappellone diSan Cataldo da lui vistosamente firmata e da me esaltata nel saggio sulla gran-de decorazione barocca nell’Atlante del Barocco in Italia.Terra di Bari eCapitanata (1996).

La cupola di Paolo de Matteis viene un decennio dopo la volta della Certosaa Napoli (1704), con la quale Luca Giordano - col suo grande cielo dispiegato- apriva il secolo alle ventate di novità rococò. C’è una consapevolezza - daparte del de Matteis - di creare qualcosa di notevole, perché si firma in ungrande cartiglio rococò, all’imposta della cupola con tutti intorno i simbolidella pittura e di fronte allo stemma del vescovo committente sorretto da puttiin volo.

Grande scalpore destò tale esecuzione. Dalla Vita di S. Cataldo vescovo diTaranto, scritta nel 1717 dal Cassinelli, apprendiamo che “ultimamenteMonsignore Giovanni Stella nel governo della nostra chiesa succeduto al pre-ditto Francesco Cardinale Pignatelli, per segnalarsi anch’egli nella devozioneverso il nostro Glorioso S. Cataldo… ha più compito ciò che la magnificenzadi D. Tommaso Caracciolo aveva felicemente incominciato; mentre con nonminore spesa che di quattromila, e cinquecento ducati ha fatto dipingere dal-l’eccellente pennello di Paolo de Matteis, tanto rinomato, la cupola dellaCappella del Santo”. Anche l’Ughelli (1721) scrivendo di Stella, suo contem-poraneo, afferma che “ab egregio viro Paulo de Mattheis propriis quattuorsumptibus supra mille ducatorum pingendam curavit” la cupola, precisandoche pur essendo il vescovo stato nominato il 30 agosto 1713, “possessioneminiit die 18 octobris, die vero 16. Decembris eiusdem anni Tarentum advenit”(lo Stella si trasferiva allora a Taranto, reggendo la sede fino al 1725, annodella sua morte).

Giusta dunque la risonanza di tale avvenimento sia per la notevole sommaspesa, sia per la presenza operativa di un grande maestro, diffusore nellanostra terra dell’ultima moda. Paolo de Matteis introduce in Puglia la grandedecorazione barocca con la prima imponente cupola affrescata a cielo aperto,frutto della frequentazione dell’ambiente giordanesco e delle precedenti espe-rienze a Napoli, ma anche del viaggio in Francia, dove dal 1702 al 1705 dipin-ge vari ambienti.

Prima di lui, pochi episodi importanti in Puglia: ricordiamo a Conversanola volta dei SS. Cosma e Damiano (1650), affrescata da Paolo Finoglio e CesareFracanzano, per i potenti Acquaviva d’Aragona (di cui troneggiano gli enormistemmi agli angoli) o la cupola ribassata nella chiesa delle Benedettine, rettadalle famose abbadesse del “monstrum Apuliae”. Ma si trattava di composi-zioni ancora suddivise per singoli episodi da ampie cornici, quasi un corrispet-tivo in affresco delle grandi decorazioni lignee a cassettoni. Diversamente più

II | LA SITUAZIONE ARTISTICA IN PUGLIA NEL SETTECENTO

Giuseppe Mastroleo, SS.ma Trinit e Vergine.Taranto, S. Domenico

Giovan Battista Lama, Immacolata e S. S.

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moderne e di chiara derivazione napoletana sono nei SS. Cosma e Damiano leeleganti cornici in stucco, con motivi ornamentali dorati (che delimitano le ottoStorie dei santi Medici), arricchite da festosi puttini volanti e angeli reggistem-ma (paragonabili per la qualità ad opere disegnate da Lorenzo Vaccaro) e tutticonvergenti verso l’episodio centrale de La gloria celeste dei Santi Medici.

Di ben più ampio respiro si presenta la Gloria di san Cataldo del de Matteisin un unico sfavillante cielo che si dispiega in un vorticoso turbinio di angelie affastellamento di santi lungo la cupola, mentre le Storie della vita e dei mira-coli di san Cataldo scendono nel tamburo in riquadri singoli inframmezzatidalle finestre, frutto probabilmente di collaborazione col discepolo GiuseppeMastroleo (già al suo seguito in Francia) allora poco conosciuto. Dunque sem-pre a Taranto nella vicina chiesa di San Domenico si conserva un bel dipintodi Giuseppe Mastroleo la Santissima Trinità e la Vergine, datata 1740, mentrea Gallipoli un Compianto di Cristo Morto. Di altro allievo, nonché parente,Giovan Battista Lama sono da ricordare le giordanesche Madonna in gloria esanti in Sant’Andrea a Barletta e Immacolata del 1708 in Santa Chiara aRutigliano, la Santissima Trinità e santi e San Michele e sant’Eudocia, in SantaTeresa a Monopoli, commissionate nel 1715, il ciclo di Alliste eseguito dopoil 1719 (segnalato da Lucio Galante) e a Lecce le più tarde Natività (1730) inSanta Croce, dalle forme delicatamente rococò, e Vergine con i santi Nicolò eCataldo e San Benedetto, san Bernardo e santa Francesca romana in SantiNiccolò e Cataldo, di impronta chiaramente classicista.

Di questi allievi unico pugliese è Nicola De Filippis che decora il soffittodi Santa Maria Veterana a Triggiano. E’ erede, in chiave provinciale, dellagrande lezione dematteisiana e soprattutto della sua grande decorazione.Allievo - a detta del De Dominici - di Paolo de Matteis a Napoli, e comunqueunico, finora documentato, discepolo pugliese del maestro. Per certi versi assi-milabile ad Andrea Miglionico, altro diffusore del verbo giordanesco in Puglia,Nicola de Filippis, è attivo nella decorazione ad affresco della cupola delCrocefisso a Bitonto, insieme ai decoratori locali Domenico e FrancescoStorace, Stefano Troisi (attenendosi ai cartoni di Carlo Rosa, anche architettodella chiesa), subentrando allo zio Vito Antonio De Filippis, anziano allievodel Rosa. A Bitritto esegue, per la parete di fondo del Purgatorio, un grandis-simo telone con La gloria dell’Immacolata, santi e anime purganti, con pun-tuali rimandi alla Madonna del Purgatorio di Paolo de Matteis nel Purgatoriodi Monopoli, soprattutto nelle concitate figure delle anime purganti e nell’at-mosfera dorata vibrante su cui si stagliano, in una luce memore del Cappellonedi S. Cataldo. L’enorme telone è firmato in basso a sinistra con una sigla dasciogliersi in N. De Filippis ed una data 1736 (le ultime due cifre non sonochiaramente leggibili).

Un artista meno noto del De Filippis, ma decisamente superiore, è quelNicola Lersotti che segue l’affresco nella cupola e sui pennacchi della chiesadi Gesù e Maria a Foggia (la firma e la data 1754 sono sul pennacchio con l’im-magine di S. Marco) e appare vicino al De Matteis, ma sensibile anche allalezione del De Mura e Solimena. Probabilmente napoletano, è a noi noto soloattraverso le inedite tele dipinte per la Chiesa Madre di S. Giovanni ad Angri:il Banchetto di Erode, la Decapitazione del Battista, la Nascita del Battista e laVisitazionemolto rovinata (durante il restauro operato da Veronica Hartmann è

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Francesco De Mura, Sacrificio di Isacco.Monopoli, Cattedrale

Nicola Malinconico, Storie della vita di S.Agata.Gallipoli, Cattedrale

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venuta fuori la firma N. Lersotti 1747 con le iniziali intrecciate).Giordaneschi di qualità sono i napoletani Gerolamo Cenatiempo (San

Gerolamo penitente e la Maddalena, 1711, nella Trinità a San Severo, studiatida Mariella Basile, il soffitto in Santa Maria delle Grazie a Manfredonia, del1717, i quadri della cappella di San Giuseppe in Cattedrale a Barletta, del1741) e Andrea Miglionico che dal natio Cilento si trasferisce a Bari tra il1706 e il 1711, ove tiene bottega. Molte sue opere sono nel capoluogo puglie-se (in San Nicola Scene della vita di Maria, in San Gregorio Madonna e santovescovo, in Sant’Anna Sant’Anna e san Gioacchino, in Santa Teresa dei Maschila grande Apoteosi di santa Teresa del 1710-11, in Pinacoteca la Madonna delRosario) e in tutta la provincia, a Castellana, a Conversano, a Monopoli, aBitonto, a Modugno, a Rutigliano, a Putignano, a Gravina (le cinque piccoletele eseguite nel 1735 per la cornice lignea intorno alla Madonna delPurgatorio del Guarino, 1651, nella “ducal chiesa” degli Orsini), tutte indif-ferentemente testimonianza del favore riscosso grazie all’amabilità dei colori ealla facilità del ductus narrativo.

Ancora un allievo del Giordano, Nicola Malinconico (1663-1727), giàfamoso a Napoli, viene chiamato in Puglia dal vescovo di Gallipoli a comple-tare la decorazione della Cattedrale. Dal 1707 al 1735 l’impresa ha luogoattraverso l’operato di Nicola aiutato dal più modesto figlio Carlo (che conti-nuerà qui a lavorare dopo la morte del padre). E’ da ricordare l’episodio (stu-diato da Pavone) relativo al telone del soffitto del presbiterio con ilMartirio diS. Agata (firmato da Nicola nel 1712) circa la sosta forzata per 10 anni nellachiesa messinese di S. Francesco di Paola, dove era giunta a seguito di unfermo del bastimento napoletano in viaggio verso la Puglia.

E così alle opere già presenti del Coppola e del Catalano, si aggiungono igrandi teloni della controfacciata, del coro, del transetto, della navata centra-le con le Storie della vita di sant’Agata, creando un precedente di decorazio-ne totale che sarà seguita dal pittore Liborio Riccio nella parrocchiale del vici-no paese natio, Muro Leccese.

Più folta la schiera dei pugliesi allievi del Solimena a Napoli. Notevoli lefigure di Leonardo Antonio Olivieri e di Oronzo Tiso, il primo nativo di MartinaFranca, il secondo di Lecce, ai quali ho dedicato un saggio e un libro, a cuirimando, non senza sottolineare l’importanza dell’illustre mecenatismo deiCaracciolo di Martina Franca e di Airola per Olivieri (che muore nel 1752) ela carriera ecclesiastica intrapresa dal Tiso, che vive dal 1726 al 1800, diffon-dendo le sue opere in tutto il Salento.

Massiccia è la presenza nella regione di opere di Francesco De Mura chelascerà una determinante impronta sull’ambiente e sul gusto pugliese, dallagiovanile Assunta di Gallipoli (1737) alle tele di Monopoli (1755) e di Barletta,all’Addolorata di Lucera (1759), allaMoltiplicazione dei pani di Foggia (1771),alla tarda Assunta di Bari.

Sulla scia del De Mura sono i dipinti del napoletano Alessio D’Elia in SantaMaria dei Miracoli ad Andria (1755) e nella chiesa madre di Turi (Assunta),mentre un diretto solimenismo rivelano le opere giovanili, l’Assunta diSansevero e il San Giorgio e il drago di Chieuti, databile al 1746.

Di stretta ascendenza demuriana (tele) e solimenesca (bozzetti) è il puglie-se Andrea Giannico nella chiesa madre di Laterza. Seguono, inferiori per qua-

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lità, i foggiani Nicola Menzele e Vincenzo De Mita che ripetono spesso, in unfrasario ormai acquisito, formule scontate dal Maestro.

Chi solleva la pittura pugliese a gloria internazionale è il molfettese CorradoGiaquinto. Poche tuttavia le sue opere in Puglia: la Natività di Terlizzi, ilTobiolo e l’angelo e l’Assunta di Molfetta, la Natività del Battista e il Sogno diSan Giuseppe di Taranto (ora Bari, Pinacoteca, ove è anche esposto ilMiracolodi S. Nicola) e il grandioso Transito di san Giuseppe ad Ascoli Satriano, masoprattutto il ciclo delleMetamorfosi in collezione De Luca a Molfetta, discen-denti del marchese De Luca mecenate dell’artista.

Attiva in ambito locale la sua scuola, attraverso la famiglia dei Porta. DiNicolò Porta (1710-1874) mi piace segnalare il recente restauro di una prege-vole immensa tela (815x540) del Trionfo dell’Eucarestia (un tempo collocatanella volta della cattedrale di Bisceglie) caratterizzata dall’adozione di model-li di repertorio dal Giaquinto. Nella chiesa di S. Chiara a Trani, unaConversione di S. Chiara è affrescata nella navata, circondata da cornici instucco, firmata da Giovan Battista Calò (e datata 1767), allievo molfettese asua volta dei Porta e stanco imitatore delle grandi composizioni napoletane.

Un rococò di matrice giaquintesca, ma di formazione locale, esercita soprat-tutto nel Salento il migliore dei Carella, Domenico. Ricordiamo la pregevoledecorazione parietale dei Saloni di Palazzo ducale a Martina Franca, emble-ma del rococò pugliese e del prospettivismo illusionistico.

Continuano comunque ancora ad arrivare in Puglia, da Napoli, per tutto ilSettecento altri dipinti (pochi esemplari, testimoni di isolate scelte della com-mittenza): di Paolo De Maio a Bitonto (1739) e a Foggia (1741), di GiuseppeBonito a Barletta (1737), di Filippo Falciatore a Trani (1768), di FedeleFischetti a Mola (17..) e infine di Pietro Bardellino (che sul finire del secoloXVIII continuava ancora a muoversi nella tradizione giordanesca aggiornan-dola in chiave rococò) a Gravina (1774) e a Monopoli.

E’ interessante ricordare che il Bardellino eseguì un grande dipinto per ilCappellone sopraelevato della Madonna della Madia nella cattedrale diMonopoli, L’arrivo dell’icona della Madonna della Madia nel porto diMonopoli, che andava a sostituire proprio quello già eseguito da Vincenzo Fato(ora sullo Scalone di accesso al Cappellone). E’ l’ultima opera dell’artista (a cuiera stato commissionato anche un pendant mai eseguito per la morte soprav-venuta) da considerarsi quasi un presago commiato attraverso la dettagliataiscrizione “Vincentius Fato pinxit, anno aetatis suae 83, A.D. 1788”.

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GIACOMO LANZILOTTA

VINCENZO FATO PITTORE1705 -1788

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Il nome del pittore castellanese Vincenzo Fato è ancor oggi familiare solo aipochi addetti ai lavori: storici dell’arte, conoscitori e studiosi delle patriememorie. A parte le affettuose attestazioni di stima dei suoi contemporanei, dicui si parlerà in seguito, la critica non gli ha dedicato finora molta considera-zione.

Esistono insomma numerose testimonianze a livello locale, più alcuni spo-radici studi di carattere critico sull’opera del pittore.

Il primo documento che offre un giudizio sulla sua pittura risale al 1809: sitratta degli atti di soppressione dei monasteri maschili castellanesi di S.Francesco d’Assisi e S. Francesco di Paola per opera dei napoleonici diGioacchino Murat. L’anonimo incaricato di redigere l’inventario dei beni stimòessere “di buona mano” i dipinti del S. Paolo e dell’Annunciazione1, ancor oggiconservati nella sagrestia della chiesa dei Conventuali.

Del 1853 è la testimonianza del Pacifico, il quale riporta come due impor-tanti pale d’altare, l’Immacolata con S. Pasquale e la Madonna degli Angelicon S. Francesco e S. Pietro di Alcantara, nel Santuario della Madonna delPozzo a Capurso, furono molto lodate dai frati per la nobile composizione2.

Nella sua Guida sacra di Napoli del 1872 il Galante inserisce il Fato comeautore di varie opere nella cappella di S. Francesca Romana nella chiesa oli-vetana di S. Anna dei Lombardi3.

Si deve attendere quasi un secolo, sino al 1968, per un nuovo contributo,ben più rilevante: è un articolo del Lanera, che traccia un primo approssima-tivo profilo biografico sull’artista4.

Giusto vent’anni dopo, in occasione del bicentenario della morte, lo studio-so pubblica un nuovo saggio, più ampio e ricco di informazioni anche detta-gliate sulle sue vicende5. Tuttavia il Lanera si muove con gli strumenti che glisono consueti, quelli dello storico, senza mettersi nei panni del critico, mestie-re per il quale non si sente punto portato. Senz’altro gli va riconosciuto il meri-to di aver avviato le ricerche sull’opera di Vincenzo Fato, pubblicando prezio-sissimi documenti e redigendo un primo inventario delle opere conosciute.

Si sono avuti comunque diversi contributi critici, tra 1978 e 2003, ad operadel Di Mizio6 e della Senesi Albanese7, riguardanti alcune particolari tele delpittore.

Dal 1993 al 1998 si hanno una serie di importanti studi sull’opera del Fatoda parte del Pellegrino, che per primo avanza l’ipotesi – effettivamente fonda-ta – di un alunnato del pittore nella bottega di Paolo De Matteis8.

Nel 1995 il nostro artista è salito a maggior fama, essendo stata inserita lasua vita nel Dizionario Biografico degli Italiani.

La voce è stata curata dalla Pasculli Ferrara: lo scritto è prodigo di informa-zioni dettagliate, e fa il punto sulla situazione della critica fatesca fino a quel-la data9.

Da ultimo in ordine di tempo, ho contribuito alle ricerche con una serie distudi dal 1999 al 2005, e in questa sede riporto ulteriori aggiornamenti10.

Vincenzo Fato nasce nel 1705, dal castellanese Giampietro e da FrancescaAlfarano11; l’anno di nascita si ricava indirettamente dalle sue opere estreme(Madonna del Carmine e anime purganti, al Purgatorio di Castellana; L’arrivo

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della Madia, alla cattedrale di Monopoli), nelle quali il pittore volle indicarela sua età, oltre la firma e la data: Opus Vincentii Fato da Castellana; A.D.1785 Aetatis Suae A.80, così si legge in basso nella pala del Purgatorio.

Il suo nome non risulta nel registro dei battezzati di S. Leone di Castellana,né in quell’anno né in quelli vicini, né il registro sembra presentarsi incom-pleto o menomato; non è improbabile allora che sia nato altrove, forse in un’al-tra città della Terra di Bari, dove la sua famiglia si trovava in quel momento.Del resto il primo documento in cui viene menzionato a Castellana è del 1734.Dove abbia trascorso la sua infanzia e gioventù è ancora da chiarire. Certo èche sia presto andato a bottega da qualche rinomato pittore, intorno ai 13 o 14anni.

Una prima ipotesi fu adombrata dalla Pasculli, secondo la quale il suo pro-babile maestro deve essere stato Serafino Elmo di Lecce12, pittore di gustogiordanesco. Non molto dissimile nella sostanza è, di qualche anno più tardi,l’affermazione del Pellegrino13, condivisa dalla Cisternino14 ed accolta da chiscrive, che il Fato sia stato allievo di Paolo De Matteis15, conosciuto durante ilsoggiorno di questi in Puglia, negli anni 1713-171916. E non è escluso, anzi èmolto probabile, che abbia seguito il maestro al suo ritorno a Napoli, e nellacapitale si sia stabilito qualche anno, all’incirca tra 1719 e 1729.

La sua prima opera datata e firmata è del 1732, una Natività di Maria in S.Maria Amalfitana a Monopoli17; ma sicuramente molto prima di questa data ilFato avrà operato come pittore autonomo18. Da un’attenta analisi stilistica sievince come una o due pale d’altare in S. Domenico a Putignano si possanodatare all’incirca tra 1729 e 1732. Nella chiesa dei domenicani sono conser-vate ben 13 tele del nostro di cui una firmata e non datata, l’Annunciazione.

Due anni dopo è per la prima volta documentato a Castellana: si tratta di uncontratto stipulato tra la Confraternita dell’Immacolata Concezione ed il fratescultore Luca Principino, per la realizzazione di un altare in pietra in S.Francesco d’Assisi19. Lo scultore avrebbe provveduto altresì a colorire la sta-tua della Vergine; era previsto che in caso di morte di fra’ Luca, il Fato glisarebbe subentrato20.

Il pittore ha la casa in via del Gelso, nei pressi della piazza, corrisponden-te all’attuale via Cesare Battisti21. Del 1738 è il S. Francesco Borgia, primolavoro di una lunga serie per la chiesa castellanese della confraternita delPurgatorio.

Nel 1741 esegue una Circoncisione per la chiesa dei domenicani diRutigliano, commissionata dalla nobile Agnese Pappalepore Troiani; realizzaanche un disegno, oggi perduto (da cui nel 1791 è stata ricavata un’incisio-ne)22, che rappresenta la copia della statua rinascimentale della Madonnadella Consolazione di Aurelio Persio in S. Leone. In questo periodo la Pasculliinserisce la pala dellaMadonna d’Ogni Bene, conservata nel municipio castel-lanese23, per le analogie compositive con una pala del Veronese, dalBellifemine attribuita a tale Francesco Siculo24, laMadonna con quattro Santi,proveniente da S. Francesco d’Assisi in Monopoli ed affidata al Fato per unrestauro. È possibile però che l’allogazione avvenisse in anni più tardi25, intor-no al 1760-61, e forse da quella data si potrebbe meglio collocare laMadonnadella biblioteca.

Dei primi anni quaranta è l’Immacolata nella chiesa matrice di Mola, ese-

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guita probabilmente in occasione dell’erezione dell’oratorio omonimo, percommissione delle famiglie patrocinanti Zuccarino e Martinelli26.

Tra la seconda metà del 1741 e l’aprile del 1752 il pittore risiede stabilmen-te a Napoli; prende casa e bottega in via dell’Avvocata al Mercatello, in quel-lo che all’epoca era il rione degli artisti27.

Degli anni 1742-43 sono gli otto dipinti raffiguranti Storie dell’infanzia emiracoli di Cristo del Tesoro di S. Gennaro nel Duomo di Napoli. Si tratta dellacommissione più importante della sua carriera artistica, ancorché avvenuta incircostanze non del tutto chiare: dall’Archivio del Tesoro sono emersi una seriedi documenti che si riferiscono al trasporto di alcuni di questi quadri e allaloro incorniciatura, alle mance per il facchino, mentre si tace dell’onorario cor-risposto all’artista o dell’origine dell’allogazione28.

Un pur tenue raggio di luce su quest’ultima questione può ricavarsi dallarecente scoperta di quattro piccoli bozzetti dei miracoli di Cristo del Tesoro29in collezione privata, provenienti dal palazzo Giampietro di Castellana.

Hanno la medesima origine pure altri dipinti, ereditati dal casato estinto deide Giorgio30, un ovale del Fato raffigurante unaMater Domini e un S. Giuseppecon Bambino ora in due diverse raccolte private, tanto da suggerirci una loropeculiare predilezione nei suoi riguardi31: è plausibile insomma che i deGiorgio, signori di provincia con possedimenti tra Napoli e il sud-est barese,furono i primi ‘protettori’ dell’artista, e che forse intervennero in suo favoresegnalandolo - potremmo dire raccomandandolo - alla Deputazione; le capaci-tà artistiche del nostro poi fecero il resto.

Vivere a Napoli costituiva per un artista la migliore occasione per affermar-si. La capitale del Mezzogiorno era già all’epoca una metropoli con oltre tre-centomila abitanti, centro artistico di prim’ordine ed arsenale delle migliori epiù moderne energie intellettuali; basti ricordare i nomi di Vico, Giannone(pugliese come il Fato) per la prima metà del secolo, poi quelli di Filangierie Genovesi, che faranno della Napoli del secondo ’700 il baluardo del giuri-sdizionalismo e grande centro dell’illuminismo italiano32.

Per quanto riguarda le arti, un clero pletorico, ricchissimo, costituiva lafonte primaria di committenza e patrocinio: monasteri d’ogni ordine, compresiquelli mendicanti, santuari, alti prelati, confraternite, congregazioni d’ognigenere e parrocchie si contendevano pittori, scultori, marmorari, orefici e stuc-catori per decorare i propri edifici, sacri e non solo. Continuatrici della manie-ra giordanesca, le scuole del Solimena e del De Matteis dominavano la scenapittorica; e in quest’ambito il giovane Vincenzo Fato incominciava a muoversiin autonomia, alla ricerca di una propria affermazione professionale. Certo chenella città partenopea c’era molto lavoro ma la concorrenza doveva essere spie-tata; per questo a un certo punto, dall’aprile 1752, il nostro decide di stabilir-si definitivamente a Castellana.

Nel decennio di permanenza della capitale, il Fato mette su famiglia. Il 17ottobre 1743, nella parrocchia dell’Avvocata, sposa la napoletana AntoniaPicardi33. Del medesimo anno sono la pala d'altare con La Sacra famiglia cheappare a S. Teresa d’Avila in estasi, nella chiesa di S. Maria del Soccorso34 aFrasso Telesino, ed una piccola tela raffigurante l’Addolorata, della PinacotecaCivica di Manfredonia35.

Nel 1744 esegue una Madonna e anime purganti per S. Giuseppe a

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Vincenzo Fato, S. Caterina de Ricci in estasi,particolare. Putignano, S. Domenico

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Castellaneta, la chiesa privata dei conti Sarapo di Taranto.Nel giugno 1745 nasce il primo figlio, battezzato col nome del nonno pater-

no, Giovan Pietro36.Sempre a Napoli il Fato firma nel 1747 due dipinti polilobati per la chiesa

olivetana di S. Anna dei Lombardi, nella cappella di S. Francesca Romana:una S. Francesca adolescente, e un Angelo che difende S. Francesca dalle per-cosse del demonio37.

Nell’aprile 1752 lo troviamo in viaggio con tutta la famiglia versoCastellana, ed in compagnia dell’amico prete Giannantonio Cardone, suo com-paesano38; durante il tragitto è costretto a sostare alla Taverna d’Orta, inCapitanata39, ove la moglie partorisce la terza figlia, Maria Saveria.

Doveva essere successo qualcosa di grave se, con la moglie in avanzatostato di gravidanza, si era deciso ad intraprendere un viaggio così lungo e fati-coso: può darsi, come ipotizza il Pellegrino, che le cause di questo improvvisospostamento stiano forse in una lite accesa, o nella mancanza di lavoro, o inun dissesto economico tale da non potergli permettere ulteriormente la vita incittà40.

Lo stesso anno o il seguente, in occasione del completamento dei lavori dirifacimento della cappella del SS. Sacramento nella chiesa matrice di Mola,dipinge un Padreterno, cimasa del nuovo altare.

Un’altra figlia, Grazia Maria, gli nasce nel 175441. In questi anni è alleprese con una serie di quattro ovali per la chiesa conventuale di S. Francescod’Assisi a Monopoli, e con una pala per la chiesetta della confraternita delPurgatorio nella stessa città42: il primo dei quattro ovali è datato 1755, l’ulti-mo 1761. I frati, vista la buona mano del nostro, pensarono allora di commis-sionargli il restauro della tela del Veronese, di cui si è accennato prima. Ilrisultato però deluse le aspettative iniziali. Scrive fra’ Giuseppe Maria Bruni,cronista del convento:

Dimandò il suddetto quadro, prima di collocarlo al medesimo altare, in Castellana a Vincenzo Fato

pittore per accomodarlo, perché dal tempo stavano toccate alcune figure, ma gli intenti non lo lodaro-

no, che il pregio più singolare di quella pittura stava nella prima uscita dalle mani e del pennello del

proprio autore Veronese43.

Nello stesso anno 1761 nasce Marianna, la quinta figlia44. Come è eviden-te, la famiglia del Fato era piuttosto numerosa: oltre le cinque figlie, risultanodue figli maschi: il già noto Giovan Pietro45 (che morì nel 1775) e Francesco46(che morì nel 1783)47. Nei documenti compare come convivente don PaoloFato48, prete, fratello del pittore.

Possiamo intuire come la sua vita professionale fosse non certo facile,costretto spesso dal bisogno alla ricerca di commissioni, anche a condizioniper lui umilianti, per la sussistenza di “una famiglia di dieci persone”, comeebbe a dire nella lettera del 1768, che è riportata più avanti. Come risulta daltestamento, tutte le figlie entrarono in monastero: due in S. Benedetto aMassafra, due nello Spirito Santo a Casalnovo (l’odierna Manduria, in Salento)ed una in S. Chiara a Conversano. E’ stato calcolato dal Lanera che per la dotedella monacazione delle figlie (perché in quel tempo era uso, anche per pren-dere i voti, portare una ‘dote’) il nostro pittore avrà speso non meno di 1500

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Vincenzo Fato, La Sacra Famiglia appare a S.Teresa in estasi, particolare. Frasso Telesino,S. Maria del Soccorso

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ducati49. Le sue condizioni economiche, oltre che per queste ingenti uscite,peggiorarono sensibilmente col passare degli anni, per varie cause, che si pos-sono facilmente scorgere: innanzitutto, la difficoltà di ottenere commissioni,per l’affermarsi nel clero locale di un gusto più orientato verso il disegno faci-le e i toni dolciastri di un Carella50, suo concorrente, o di un più modesto edeconomico Tatulli51.

Del resto le poche commissioni ottenute (la splendidaMadonna e S. SimoneStock, ed altre due tele, per il Convento Grande di Putignano) non furono suf-ficienti: la carestia del 1764, e la scarsità dei raccolti nei suoi piccoli fondi,non permisero al Fato un adeguato sostentamento della sua famiglia52; tantoche, a partire dal 1767, il pittore non fu più in grado di rispettare regolarmen-te il pagamento del censo. Il 25 gennaio 1767 il Capitolo di S. Leone concedeal Fato una dilazione nel pagamento, su sua richiesta, fino al mese di aprile53.In quest’anno dipinge per la chiesa dei carmelitani di Putignano una pala conS. Teresa. Il 25 agosto il cappellano del Caroseno a Castellana gli commissio-na due quadri per le nicchie dell’altare maggiore54, un S. Pietro e un S.Giovanni. Lo stesso cappellano, stimandolo e nominandolo nei documenti“Vincenzo Fato professore di pittura”, chiederà il 17 luglio dell’anno seguen-te un suo consulto circa i migliori colori da adottare per la decorazione del coroligneo55.

E’ probabile che intorno alla metà degli anni ’60, il pittore decida di stabi-lirsi con la sua famiglia definitivamente a Castellana, e dal 1764 in poi non sirechi più a Napoli. Tuttavia vengono mantenuti i contatti con la capitale, dadove si fa inviare le tele ‘imprimite’. In questo periodo si suppone il suo ingres-so nella confraternita del Purgatorio, nella cui chiesa egli dipingerà numerosetele, grandi e piccole56.

Il bisogno di lavorare e le necessità impellenti costringevano spesso il Fatoa dover mercanteggiare coi committenti sul prezzo delle sue opere; cosa fasti-diosissima per lui, che giustamente si sentiva un galantuomo e si consideravasuperiore a queste meschinità. Ma una sua lettera del 24 gennaio 1768 testi-monia vivamente questo stato di cose, ed è tra l’altro un documento notevoleche fa luce sulla sua personalità: si ricava il profilo di un uomo mite, abitua-to da tempo a tollerare le amarezze e le delusioni per la sua professione, amoderare nel contempo i moti dell’animo e la consapevolezza orgogliosa delproprio valore artistico.

L’epistola è indirizzata ad un certo don Michele (identificato dal Lanera indon Michele Manuzzi57), procuratore del monastero di S. Benedetto aConversano. Si trattava di due opere che le monache volevano pagare a pocoprezzo, perché non stimavano che il lavoro valesse oltre; e lo fanno sapere alpittore senza mezzi termini, in maniera piuttosto offensiva per il nostro. Scriveinfatti il Fato a don Michele, nel chiedergli una sua mediazione nella trattati-va:

Mio Signore e Padrone colendissimo.

Non potei rispondere subito alla sua stimatissima per l’affare delle due pinture da farsi. Ma Signor

D. Michele mio carissimo Padrone, è tropp’ingiusta la offerta delle Signore Monache, che appena

basterebbe per uno solo di quei quadri; né bisognava ponere la condizione del purchè siano buone le

pitture58, perché io son un uomo che non tanto fò l’opere per l’utile, quanto per l’onore, imperciochè

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Vincenzo Fato, S. Francesco Borgia, particola-re.

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quel poco lucro subito si consuma, ma l’onore perpetuamente dura; e questa è forse la mia pazzia.

Non mi basterebbe l’animo di poter ringraziare V. S. di quanto ha detto in mio favore, non avendo

io tal merito presso la dignissima sua persona; ma Iddio che sa il tutto lo rimunerà (sic) a misura del

suo buon cuore. Io compatisco le Signore Monache, e benchè tutte Signore, inesperte però di queste

cose, e perciò stimano assai il denaro e poco la virtù. Onde chi più intende deve illuminare chi allo

buio delle cose si trova, perché le cose buone non si ponno avere a vil prezzo. V. S. da vero amico mi

consulta che in questa prima occasione sagrificassi la mia fatiga, ma, Padron mio carissimo, è troppo,

è troppo; almeno s’aggiungesse all’offerti docati venticinque la spesa delle tele e colori, le quali pen-

zerei farle venire da Napoli tutte imprimute, e ciascuna d’un sol pezo59. Queste con tutta la condotta

qui, includendovi anche la spesa dei telari (che bisognano per tirare dette tele, e poter dipingere), detta

spesa potrebbe ascendere a docati cinque; e venticinque che per bontà m’offeriscono60, faranno l’esi-

to di docati trenta. Il più della mia fatiga io ce lo dono di cuore.

E le dette pitture non permetterò giammai di ponerle nelle loro nicchie, se non stimerò poterci stare

con decoro e stima; e per avere l’intento farò prima li disegni in carta61 e li manderò a vedere e se piac-

ciono, farò le macchiecolorite62, e quelle anche farò considerare da V. S. alle Signore Monache, e se

avrò la sorte di sodisfare al loro buon gusto, si faranno in grande per il determinato luogo.

Non credo che daranno indietro per questa bagattella da me richiesta tanto giustamente, perché

alla pur fine che importerà mai al Monastero di S. Benedetto? ed a me importa molto per essere un

povero galantuomo che deve dar pane ad una famiglia di dieci persone. Onde s’adopra V. S. con ogni

calore e me ne dia subito l’aviso acciò si commettono le tele in Napoli e possano per i nostri vaticali

qui portarsi.

In conclusione altro non desidero che si faccia adesso, che la spesa delle tele e colori, e se danno

dubbio della mia onestà e non vorranno contribuirmi nulla per caparra, avrò la pazienza sinchè Iddio

me la farà compire, e con genio e piacere di tutti; ed allora mi daranno la promessa mercede ed una

grossa spasa di dolci per le mie figliole.

Circa degli affari venturi, Dio sa se io ci sarò. Attendo frattanto la mia favorevole risposta assieme

con l’onore de’ suoi comandamenti. Divotamente mi raffermo

Di V. S. Castellana, li 24 gennaio 1768

Devotissimo et obligatissimo Servitore

Vincenzo Fato

Se per sorte si conchiude l’affare, avrà la bontà V. S. far prendere le misure esatte delle nicchie e

della figura del dintorno di esse, per poterne formare li disegni come ho detto sopra63.

La mediazione del Manuzzi portò le cose a buon fine; nel corso del 1768 ilFato consegnò alle monache le due opere pattuite: due allegorie, una Speranzae una Carità, entrambe attualmente nei depositi di S. Benedetto64. Scrive ilD’Elia che nella chiesa benedettina si conserva anche un’Immacolata, dallostudioso attribuita al Fato65. In realtà si tratta di opera di Carlo Rosa, pittoredi cui si conservano altre tele nella stessa chiesa66.

Sempre del 1768 è la tela dell’Adorazione dei pastori nella chiesa dellaNatività di Noci, eseguita su commissione del beneficiato Francesco AntonioLongo, primicerio di S. Leone di Castellana, attraverso Vittoria Lenti di Noci,sua madre67.

Ormai anziano, il Fato intraprende nell’ottavo e nono decennio del secolo lafase più intensa e difficile della sua carriera, oltre che della sua vita: malfer-mo nella salute, ridotto per ragioni non chiare in miseria, continua tenacemen-te a dipingere, per sostenere sé e la sua famiglia, e per pagare i debiti contrat-ti. Tra 1770 e 1788 si contano oltre dieci pale d’altare di grandi dimensioni,

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Vincenzo Fato, Tobiolo e l Angelo, particolare.Putignano, S. Domenico

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ed altrettante opere di minori misure, nelle quali affiora un impegno, un’ener-gia creativa e una laboriosità frenetica fatta di continui ripensamenti, penti-menti e correzioni, un tratto ancora energico e sicuro e una sorprendente fre-schezza cromatica, espressione di un artista giunto al limite della vita ma fer-mamente determinato ad affermarsi, contro le ristrettezze del momento e perla gloria presso i posteri, per quell’onore tanto anelato che “perpetuamentedura”.

Del 22 luglio 1770 è una toccante lettera, che il Fato scrive al Capitolo diS. Leone, ed attestante le sue gravi difficoltà economiche:

Reverendi Signori

Vincenzo Fato umilissimo oratore delle Signorie loro Reverende, riverentemente loro espone come,

ritrovandosi possedere sin dall’anno 1742 un sottano di questo Reverendo Capitolo ad interim, ora

essendo il supplicante (come è notissimo) caduto in una compassionevole, e lagrimevole povertà, per-

ciò si è reso impotentissimo alla sodisfazione dell’annuo censo; si mette a piedi delle Signorie Loro

Reverende supplicandogli per amor dell’Altissimo Dio, e dell’Immacolata Vergine sua degnissima

Madre, a voler compiacersi ripigliarsi il sottano; non per giustizia, ma per quella cristiana pietà, e cari-

tà, che regna negli ecclesiastici a sollievo dei poveri infelici uomini; senza che si esponga l’angustie

dell’infelice supplicante, senza beni, e senza potersi prevalere della persona; e con l’obbligo d’alimen-

tare una numerosa famiglia di otto persone68, con le sole fatighe delle sue mani, che oggimai per l’età

pressochè decrepita, sono quasi impotenti a reggere gl’istrumenti della di lui nobile professione […]69

Lo stesso anno una figlia fa professione di fede nel monastero di Massafra;per quella chiesa dipinge il Miracolo di S. Mauro. Per il convento dei dome-nicani di Putignano esegue un S. Vincenzo Ferreri.

Gli affari sembrano migliorare nel 1771: riportano tale data diversi grandiquadri, una Madonna di Costantinopoli con S. S. Donato e Biagio ed unaTrinità con S. S. Lucia, Giuseppe Calasanzio, Vincenzo Ferreri e Caterinad'Alessandria per la chiesa di S. Leone a Castellana, un’Immacolata con S.Pasquale Baylon per il Santuario di S. Maria del Pozzo a Capurso (per cui rea-lizza nel 1773 il pendant S. Pietro d’Alcantara).

Di questo periodo è altresì la Madonna Pastora, forse il bozzetto per unapala d’altare ancora ignota; il bozzetto, che apparteneva ai Conti Sava diSanteramo, è oggi presso l’Istituto dei Padri Monfortani, nella stessa città. Ilquadro è firmato e datato 1771.

Ancora difficoltà economiche si registrano nel 1774: del 15 settembre è lasua richiesta al Capitolo di S. Leone di un prestito di 180 ducati al 5% di inte-resse, che servirà parte per i propri bisogni, parte per coprire precedenti debi-ti70.

Nel 1776 è impegnato nelle tre tele per la minuscola chiesa confraternaledi S. Maria di Costantinopoli a Putignano.

Due anni dopo realizza per la Confraternita del Purgatorio di Conversano laMadonna del Carmine con anime purganti, opera che firma e data. E’ datato1779 un piccolo ovale raffigurante S. Giacomo Minore, ora in collezione priva-ta.

Un documento datato 26 marzo 1780 ne attesta nuovamente le ristrettezze:il Fato è inserito nell’elenco dei debitori del Capitolo per i mancati pagamen-ti dei censi delle annate precedenti. Il debito, riferito al 1779, ammonta a 3

29

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ducati e 60 grana71. E’ nominato però tra i “galantuomini rispettati in questopaese”: il suo nome è preceduto dal Don spagnolesco, titolo di recente intro-duzione, che “allora si concedeva soltanto ai ‘dottori’ e ai ‘galantuomini’ diantica stirpe, mentre quelli di estrazione più recente dovevano contentarsi(guarda caso!) del più antico e italico Signore” (Lanera)72.

Del 1781 è l’Annunciazione del Purgatorio di Castellana; a questi anni, finoal 1786 circa, si possono datare presumibilmente le cimase degli altari dellachiesa: il Riposo durante la fuga in Egitto, il Padreterno, il S. FrancescoSaverio morente. Contemporaneamente è impegnato nell’esecuzione su ramedella Mater Domini della chiesa del Caroseno, sempre a Castellana. E’ statotrovato in proposito un documento interessante, con data 1 maggio 1783: ilcappellano del Caroseno comunica al Capitolo che ha trovato una ricevuta delpittore di 6 ducati – una probabile caparra – “per fare il quadro nuovo dellaVergine, stante il vecchio assai maltrattato”73. L’opera piacque davvero ai reve-rendi padri; un documento capitolare del 13 luglio 1786 riporta che il sacer-dote Oronzo Montanaro definisce “eccellenti pitture” i quadri fateschi delCaroseno74.

Nel 1785, a 80 anni, conclude e firma la pala dell’altare maggiore delPurgatorio castellanese, la Madonna del Carmine con anime purganti. L’operaè piena di ripensamenti, di pentimenti, di rapide coperture ed istintive corre-zioni, visibili anche ad occhio nudo; segno di un non mai contentarsi, di unaformidabile volontà di ricerca della perfettibilità artistica, di una estenuantedeterminazione nel raggiungere la composizione auspicata. Vi è dentro tutta lapassione dell’artista.

La cimasa dell’altare maggiore, il S. Francesco Saverio Morente, rappresen-ta quasi il suo testamento spirituale. Osserva bene il Pellegrino: “Il nostro pit-tore si paragona proprio al missionario delle Indie che ha terminato la sua mis-sione, la sua avventura terrena. Il mare, che invita a raggiungere nuovi oriz-zonti, non lo interessa più, non è più tempo di navigare, di tentare nuoveavventure, non è più tempo di dipingere”75.

Il sentirsi prossimo alla morte induce il devoto pittore a fare testamento. Il10 maggio 1785 detta le sue ultime volontà al notar Giuseppe DomenicoPace76. Lascia erede universale la sua dilettissima moglie donna AntoniaPicardi; nel contempo ha un pensiero generoso per le figlie monache, per lo“Spedale” di Castellana, per i poveri bisognosi. Richiesto dal notaio se voles-se lasciare qualcosa all’erigendo Albergo dei poveri di Napoli, il Fato rispose,con una nota forse di risentimento verso la capitale, di “essere un poverogalantuomo”77.

Il pittore visse ancora tre anni, durante i quali le sue condizioni economi-che e di salute precipitarono ulteriormente. Infatti il 29 gennaio 1788 richie-de una seconda volta gli uffici del notaio, per un codicillo al testamento78.

Il buon notaio Pace si reca alla sua casa di via del Gelso e lo trova a lettoinfermo. Nel codicillo, lascia la moglie assoluta padrona della sua eredità,conferendole piena libertà di vendere qualsiasi bene, nessuno escluso, elasciando in subordine ai poveri quel che fosse avanzato a morte di lei.Nuovamente interrogato dal notaio circa un eventuale lascito all’Albergo deipoveri, “disse non aver che lasciare”79.

Ma fino al precipitare dell’infermità Vincenzo Fato attendeva ancora ad

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Vincenzo Fato, S. Michele sconfigge il demo-nio, particolare. Putignano, S. Domenico

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un’opera grandiosa, la più grande tela della sua carriera: l’Arrivo dell’iconadella Madonna della Madia, commissionata dalla diocesi di Monopoli peril cappellone della cattedrale. Volle firmarsi e raffigurarsi tra gli astantidevoti: quell’uomo canuto con barba che viene fissato da un cagnolino,mentre una sua zampetta si allunga verso un sasso ove è incisa la firma del-l’artista, Vincentius Fato pinxit, anno aetatis suae 83, A.D. 1788.

Il grande dipinto, come è noto, è l'ultima opera del Fato.Non fu portato a termine per l’avvenuta sua morte, e successivamente

completato da Pietro Bardellino80. Fu in seguito collocato nella cattedralemonopolitana, su una parete dello scalone sinistro che porta al Cappellonedella Madia81.

Pochi giorni dopo aver dettato il codicillo al testamento, il 6 febbraio1788, muore, munito dei sacramenti, Vincenzo Fato. Viene sepolto nellachiesa del Purgatorio82. Osserva il Lanera:

Dovè essere quindi la congrega del Purgatorio a rilevare le spoglie del povero pittore, recando-

le a spalla fino a S. Leone per le solenni esequie, e quindi al sepolcro (distinzione che il nobile soda-

lizio accordava solo ai propri confratelli): e la sera precedente le esequie avranno cantato al solito

l’intero Ufficio dei Morti in casa del defunto, chè potevano ben farlo i fratelli del Purgatorio, lette-

rati tutti quanti83.

E nella chiesa del Purgatorio ora riposa, in buona compagnia degli ange-li e dei santi da lui raffigurati in oltre mezzo secolo di intensa, umile e reli-giosa fatica d’artista.

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1 Lanera M. (a cura di), Gli atti di soppressione dei monasteri maschili di SanFrancesco d Assisi e San Francesco di Paola in Castellana di Bari nel 1809, quader-no I, San Francesco d Assisi,Castellana Grotte, 1991, p. 6, 7. A p. 11 è nominato nell’inventario un ritratto di Papa Ganganelli,oggi perduto, forse anch’esso opera del Fato.

2 Pacifico A., Un nuovo santuario e una nuova basilica,Capurso, 1853, p. 220.

3 Galante G. A., Guida sacra di Napoli,Napoli, 1872, p. 126.

4 Lanera M., Qualche nota biografica di un pittore poco conosciuto di Castellana.Vincenzo Fato in L Alabastro, a. IV, 1968, pp. 2-3, 16.

5 Id., Ricordo di Vincenzo Fatoin “La Forbice”, n. 63, 1988, pp. 10-12.

6 Di Mizio P., Vincenzo Fato in alcuni particolari di tele esistenti a Castellanain “LaForbice”, n. 7 (a. IV, n.1), gennaio 1978, p. 14; Id., Lettura di un dipinto di Vincenzo Fatoin “La Forbice”, n. 8 (a. IV, n.2), aprile 1978, p. 10; Id., Sermone silenzioso dal pulpito dellachiesa del Purgatorioin “La Forbice”, n. 12 (a. V, n. 2), agosto 1979, p. 5; Id., Fato, Fanellie figlie del Carmeloin “La Forbice”, n. 14 (a. V, n. 4), dicembre 1979, p. 14; Id., I nasi delFatoin “La Forbice”, n. 16 (a. VI, n. 2), aprile 1980, p. 6; Id., Il volto del Fatoin “La Forbice”,n. 22 (a. VII, n. 2), aprile 1981, p. 14; Id., Fato, Fanelli e figlie del Carmeloin “Pagine puti-gnanesi”, a. I, n. 1, febbraio 1984; Id., Il profeta e la vedovain “Pagine putignanesi”, a. I, n. 1,febbraio 1984; Id., Cristo nell’orto dei Getsemani e legato alla colonnain “Pagine putigna-nesi”, a. II, n. 2, aprile 1985; Id. (con Sabato V.), All’angelo della chiesa di San Domenicoscrivi, Monopoli, 2003.Pasquale Di Mizio è mancato prima che questo libro vedesse la luce; al caro divulgatore dellenostre testimonianze dell’arte, va il mio commosso e affettuoso saluto.

7 Senesi Albanese O., Passeggiata sacra del Fatoin “La Forbice”, n. 16 (a. VI, n. 2), aprile1980, p. 7; Ead., L’approdo della Madiain “La Forbice”, n. 22 (a. VII, n. 2), aprile 1981, p.14; Ead., La Sacra Famiglia (chiesa di S. Domenico)in “Pagine putignanesi”, n. 0, febbraio1983.

8 Pellegrino N., Vincenzo Fato pittore dimenticato e rubatoin “Susasuso”, n. 5, 1993,pp. 7-10; Id., Le chiese di Castellana inAAVV, Castellana Grotte. Guida storico-turisti-ca, Fasano, 1997; Id., Vincenzo Fato pittore castellanese, conferenza tenuta presso l'asso-ciazione “Convegni di cultura Maria Cristina”, Castellana Grotte, 26 aprile 1998; Id., VincenzoFato pittore castellanese (1705-1788)in “Fogli per Castellana”, n. 14, gennaio 1999.

9 Pasculli Ferrara M.,Vincenzo Fatoin Dizionario Biografico degli Italiani, Istitutodell Enciclopedia Italiana, Roma 1995, pp. 325-328. Cfr. in proposito la bibliografia in fondoal testo. La studiosa aveva pubblicato in sintesi una biografia del pittore in Gelao C. (a cura di),Confraternitearte e devozione in Puglia tra Quattrocento e Settecento, Napoli, 1994,pp. 112, 277.

10 Lanzilotta G., Vita e opere del pittore Vincenzo Fato (1705-1788)in “Fogli diPeriferia”, a. XI, n. 1-2, 1999, pp. 27-34; Id., Vincenzo Fato pittore (1705-1788), Universitàdegli Studi di Milano, Facoltà di Lettere e Filosofia, tesi di laurea in Istituzioni di Storia dell’arte, a.a. 1999-2000; Id., Vincenzo Fato pittore: nuove scoperte. Contributi per la biografia el’opera di un pittore del Settecento: Vincenzo Fato da Castellana (1705-1788)in“Susasuso”, n. 12, 2000, pp. 9-10; Id., Di una tela settecentesca e del suo autore inMoif , n. 26 (a. VII, n. 4), 2001, pp. 19-21; Id., Vincenzo Fato e la pittura del Settecento

in Puglia in Moif, n. 33 (a. IX, n. 3), 2003, p. 29; Id., La ricostruzione del Polittico diSan Leone: aggiunte ad Aurelio Persio, in AAVV, Interventi sulla questione meridio-

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Note

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nale, Centro Studi sulla civiltà artistica nell’Italia meridionale «Giovanni Previtali», a cura diFrancesco Abbate, Roma, 2005, pp. 95-98 + ill.

11 Lanera M., op. cit., 1968, p. 2.

12 Pasculli Ferrara M., op. cit., 1994, p. 112; Ead., op. cit., 1995, p. 326. Vedi anche ead.,Contributi a Paolo de Matteis e Giovan Battista Lamain “Napoli nobilissima”, a. XXII, 1982,p. 52, ove la studiosa annota come il Lama e il Fato avessero lavorato negli stessi anni a Napoli,in Monteoliveto, lasciando intendere l’eventualità d’un legame del Fato all’ambiente del De Matteis,dal quale proveniva il Lama.

13 Pellegrino N., op. cit., 1993.

14 Cisternino G., com. or., 1997; la Cisternino negli anni 1992-94 ha restaurato assieme alBellantuono alcune tele del Fato, tra cui quelle trafugate e poi recuperate nel giugno 1992.

15 Finora non è emerso alcun documento a suffragare questa ipotesi; rimane pertanto ignotoda chi il Fato sia stato a bottega.

16 Pellegrino N., op. cit., 1993, p. 8.

17 Tartarelli C., in La Stella di Monopoli, a. 11, n. 12, dicembre 1960.

18 Nell’analisi delle opere di Vincenzo Fato si evince come il pittore non si mostri insensibile aqualche richiamo degli “opposti maestri”: pur manifestando un’aperta predilezione per il linguag-gio del De Matteis, o del Lama o di quel giro, di tanto in tanto cede a qualche accento, cromati-co e compositivo, solimenesco e demuriano. Rimando al capitolo del Catalogo ragionato.

19 Lanzilotta G., Fra’ Luca Principino scultore (1684-1750),Bari, 1997, pp. 29-30.

20 Riporto uno stralcio del documento con le notizie più interessanti: “Si è convenuto fra esse partiche detto venerabile convento dovrà fare tutta la spesa per formarsi detta cappella dal suddettofra’ Luca, e che all’incontro detta venerabile confraterna dovrà contribuire docati cento […] conpatto che il suddetto venerabile convento habbia ancora da far colorire la statua della venerabileConcezione che si farà in detta cappella, dal detto fra’ Luca, ed in caso mancasse detto scoltoree, successivamente, Vincenzo Fato, che la spesa di colorirsi si debbia fare metà per ciaschedunad’esse parti, restando tutta la cappella indorata, di legno, colla statua, in beneficio di detta confra-terna” Archivio di Stato di Bari (di qui in avanti siglato ASB), Schede notarili, Castellana, Notaio ColaMonsullo, 1734, n. 8504, cc. 44 e seguenti.

21 Lanera M., op. cit., 1988, p. 10, nota 3, e p. 11, nota 8. Apprendiamo questa notizia da piùfonti: Archivio Comunale di Castellana Grotte, Registri di stato civile, morti, a. 1813, a 4 aprile,data di morte della vedova del pittore, Antonia Picardi, spentasi appunto nella casa di via Gelsoche fu di suo marito; ASB, Schede notarili, Castellana, Notaio Cola Monsullo, 1757, c. 19, ove silegge che il pittore don Vincenzo Fato abitava “nel vicinato della Piazza Pubblica”, e cioè l’attualepiazza Nicola e Costa.

22 Il disegno è andato perduto; l’incisione, di cui si conoscono due impressioni in collezioni pri-vate a Castellana, fu pubblicata la prima volta in Lanera M., op. cit., 1968, p. 8; riprodotta e distri-buita in allegato a Susasuso, n. 11, 1999. Cfr. Lanzilotta G., op. cit., 2005, p. 95 e sgg.

23 Pasculli Ferrara M., op. cit, 1995, p. 326. In precedenza il dipinto era depositato presso labiblioteca civica “Giacomo Tauro”; per questo è altrimenti nota come Madonna della bibliote-ca.

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24 Bellifemine G., La chiesa di S. Francesco in Monopoli, Alberobello, 1981, pp. 48-50.

25 Ibid., p. 48.

26 Sciacovelli - Viceconte, Quando l’arte racconta, Fasano, 1998.

27 La scoperta del domicilio napoletano è data da un documento conservato nell’Archivio delTesoro di S. Gennaro (di qui in avanti siglato ATSG), riportato nella nota seguente, dal quale emer-ge anche la presenza d’un ignoto aiutante (detto “servo”, “lacchè”). Pur non essendo esplicitato ilnome del pittore è evidente che si tratti del nostro, autore dei dipinti conservati in sacrestia e fir-mati 1742. Infatti altri documenti dell’Archivio parrocchiale dell’Avvocata testimoniano la presenzadel Fato nel rione (riportati in note successive). La via dell’Avvocata si affaccia sulla via Toledo,all’altezza di piazza Dante (il Mercatello).

28 Nel passato si ipotizzò la commissione da parte di un deputato del Tesoro, nobile di Puglia.Cfr. Catello E. - Catello C., La Cappella del Tesoro di S. Gennaro, Napoli, 1977, p. 48.Qualcosa si può provare a dedurre, basandoci sulle carte emerse e alla luce della scoperta deibozzetti dei Miracoli- di cui si parla in seguito - su come si svolsero i fatti: il Fato donò due degliovali alla Deputazione, questi piacquero, ed egli ottenne di venderne gli altri sei per i locali dellasacrestia e dell’antisacrestia.I documenti si riferiscono alle mance - in carlini e in sedie - della Deputazione nei confronti del servodel pittore.Napoli, ATSG, doc. H/80, Spese mensili fatte per la chiesa, aprile 1742: “Per due sedie alpittore che ha regalato li quatri e regalo al suo servo carlini sette”; ibid., settembre 1742: “Al pit-tore che ha fatto li due altri quatri per dentro la sag.[resti]a essendo […] per due sedie regalo alsuo lacchè e portatura in due volte [da] uno facchino dalla Avocata al Tesoro carlini sette e granaotto”; in ATSG, doc. CF/20, n. 1297, Spese diverse per la sacrestia, 1743, è conservata lanota di spese di Vito Caiazza per l’indoratura delle cornici dell’antisacrestia datata 10 maggio1743; dodici giorni dopo segue il pagamento: ATSG, doc. GG/13, aa. 1741-1751, Giornale delTesoro del Glorioso S. Gennaro, 22 maggio 1743: “Spese di suppellettili D[ucati] cento esedici pagati da detto Banco [Banco dei Poveri, n.d.a.] a Vito Caiazza, detti cioè d. cento diessi per l’indoratura de esso fatta d’oro fino a quattro Cornici intagliate, […] e fogliami, quali visono posti a 4 quatri situati nell’ante Sagristia della […] Cappella del Tesoro […]”; ancora oggi tutti quadri fateschi del Tesoro conservano l’originaria cornice dorata. Si deve aggiungere che in dueinventari delle sacrestie dei primi del Novecento le tele dei Miracoli di Cristorisultano datate1744, registrate ai nn. 832 (Guarigione del cieco di Gerico), 833 (Guarigione idropico),834 (Guarigione Cananea), 835 (Guarigione paralitico); ma è verosimile che si tratti di unerrore del redattore, e che i dipinti precedano le cornici di cui sono note le commissioni al 1743.

29 I quattro piccoli oli su tela in collezione privata raffigurano esattamente: a) Cristo e l idro-pico, b) Cristo e il cieco di Gerico, c) Cristo e lo storpio, d) Cristo e il muto. Date le ridot-te dimensioni, è evidente che si tratti di lavori preparatori per opere più grandi. I dipinti a e b sonoinfatti i bozzetti degli analoghi soggetti dell’antisacrestia della Cappella del Tesoro. Il Fato poidovette cambiare parere (oppure gli fu data espressa diversa commissione dalla Deputazione,magari dopo aver visto i bozzetti) e sostituì i soggetti dei dipinti c e d con gli episodi dellaCananeae del Paralitico di Cafarnao. Per i dettagli rimando alle rispettive schede del catalo-go.

30 L’ultima appartenente al casato, Antonia de Giorgio, vissuta nella seconda metà del XVIII seco-lo, sposò Vito Giampietro. L’unione portò due figli: Palma e Vitantonio. Da quest’ultimo, sposatocon Lucia Tauro, nacque Antonietta Giampietro, che in seguito ereditò i beni dei genitori e dellazia. Antonietta Giampietro sposò Luigi Mancini e con la loro famiglia risiedettero nello storico palaz-zo castellanese di via del Caroseno, oggi via Roma.

31 Si deve rammentare che per la cappella rurale di S. Michele, fondata nel 1735 dai figli di

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Giangiacomo de Giorgio, il Fato dipinse il murale d’altare con l’Immacolata e i Santipatroni dellafamiglia.

32 Per un quadro ampio della situazione politica, economica e culturale della capitale delMezzogiorno, cfr. Carpanetto D. - Ricuperati G., L’Italia del Settecento, Bari, 1994.

33 Napoli, Archivio parrocchiale di S. Domenico Soriano (APSDS) già dell’Avvocata, Registrimatrimoniali, vol. 1740-1746, a. 1743, 17 ottobre, p. 21v.: “A dì dicisette Ottobre mille sette-cento quarantatré / Fatte debite denuncie e precedente decreto della R[everenda] CorteArcivescovale di Napoli da me D. Gio[van] Batt[ist]a Tipaldo Par[roc]o dell’Avv[oca]ta è stato solen-nizzato il Matrim[oni]o q[ua]le hanno contratto Vincenzo Fato, et Antonia Andreana Picardi di miaPar[rocchi]a […] in presenza del R[everendo] D. Dom[eni]co M[ari]a Natale, di R. D. EligioZapparelli et altri”. È da rilevare che il pittore prese moglie in età avanzata, a 38 anni; comunquenon risulta che a Castellana si fosse sposato in precedenza e fosse poi rimasto vedovo.

34 La quale è oggi nota come “Chiesa di Campanile”. L’opera in questione è firmata e datata.Cfr. Lanzilotta G., op. cit., 2001, pp. 19-21 e Id., op. cit., 2003, p. 29. In un documento anonimodell’archivio Gambacorta, conservato presso la fondazione frassese “Madonna di Campanile”, silegge: “il quadro della Madonna del Carmine, e S. Teresa fu fatto dipingere dal Monastero. Fubenedetto dall’arciprete di Filippo, e l’epoca del permesso della benedizione offre il 15 8bre 1743,e l’epoca della sua venuta in Frasso è xbre 1743”: nota segnalatami dal sig. Vincenzo Simone diFrasso, che qui cordialmente ringrazio.

35 Firmata e datata sul retro; vedi la relativa scheda in catalogo.

36 Napoli, APSDS già Avvocata, Registro dei Battezzati, vol. 1740-46, 30 giugno 1745, p.80r.: “A dì trenta giugno mille settecento quarantacinque / Da me Soprad[ett]o Par[roc]o è statobattezzato Gio[van] Pietro Paolo Filippo Vincenzo Dom[enico]; figlio delli Sig.ri Vincenzo Fato, e diAntonia Picardi coniugi; il comp[a]re il S.re D. Pietro Capone, la mam[mi]na Gius[eppa]Passalacqua”.A Napoli risultano essere nate anche due figlie, Michela e Arcangela, le quali si faranno monachebenedettine a Massafra (Jacovelli E., La chiesa e il monastero delle benedettine diMassafrain “Studi di storia pugliese in onore di Giuseppe Chiarelli”, vol. IV, Galatina, 1970; lefiglie del Fato sono registrate come provenienti da Napoli) e probabilmente anche un altro figliomaschio, Francesco. Purtroppo di codesta prole non v’è traccia nei registri battesimalidell’Avvocata, né in quelli castellanesi. Sicché c’è da pensare che siano nati a Napoli o negli anni1725-32 da un precedente matrimonio a noi ignoto, altrimenti battezzati in altra parrocchia napo-letana negli anni 1746-51, oppure anche altrove tra 1755 e 1760 o posteriormente al 1761.

37 La presenza del Fato nella cappella di S. Francesca Romana in Monteoliveto è segnalata perla prima volta in Galante G. A., Guida sacra di Napoli, Napoli, 1872, p. 126; lo studioso gli attri-buisce però anche gli affreschi con storie della vita della santa nei ventagli e nella volta della cap-pella, i quali invece appartengono alla mano di Giuseppe Simonelli, firmati e datati 1710. Cfr.Strazzullo F., Postille alla Guida sacra della citt di Napoli del Galantein “Asprenas”, a.IX, I, 1962, p. 89, ed anche la nuova edizione critica del Galante (1985, p. 80).

38 Lanera, op. cit., 1968, p. 3.

39 Nell’atto di battesimo di Maria Saveria risulta una “Taverna d’Ardò” (Lanera, op. cit., 1968, p.3). Ma si tratta certamente di una storpiaturadel compilatore dei registri, ed era cosa che suc-cedeva piuttosto di frequente all’epoca, data la diffusa approssimazione dei toponimi come deinomi di persona; basti ricordare come nel passato il nostro pittore fu ricordato a Napoli comeVincenzo Frate(Galante, op. cit. 1872). La Taverna d’Orta era situata nei pressi del fiumeCarapelle, lungo la valle appenninica di Bovino, uno dei consueti luoghi di transito dei viandanti trala Terra di Bari e la capitale; per la valle di Bovino oggi passa infatti la linea ferroviaria Foggia –

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Benevento – Napoli. Vedi in proposito Lanzilotta G., op. cit., 2000, pp. 10, 11. Il toponimo dovreb-be identificarsi all'incirca all'altezza del ponte Bonassisi, qualche kilometro più a sud.

40 Pellegrino N., op. cit., 1998.

41 Lanera M., op. cit., 1968, p. 3.

42 La pala in questione è firmata e datata 1756. Nella chiesa si conserva altresì una bellissimaMadonna del Carmine ed anime purgantidel suo maestro Paolo De Matteis.

43 Archivio Unico Diocesano di Monopoli, Sezione Curia, Ms. cartaceo n. 311: Libro dellenotizie che si trovano disperse principiato da mŁ Fr Giuseppe Maria Bruni, set-tembre 1755,fl. 398r e seguenti.; Bellifemine G., op. cit., 1981, p. 48.

44 Lanera, op. cit., 1968, p. 3.

45 Id., op. cit., 1988, p. 10: ricordato nei documenti castellanesi come “Pietro” soltanto.

46 Ibid., p.10.

47 Archivio di S. Leone Magno (ASL) di Castellana, Libro dei Morti, dal 1750 al 1839.

48 Don Paolo Fato è nominato più volte in ASL, Libro degli introiti ed esiti, dal 1755 al 1759.Dalla Santa Visitadel 1738 (Lanera M., Gli atti della Santa Visita del 1738, CastellanaGrotte 1990, p. 54) apprendiamo che don Paolo era procuratore della confraternita del SS.Sacramento, la quale aveva sede in S. Leone (p. 56 nel manoscritto). Vincenzo aveva anche altridue fratelli: Giuseppe, nato il 10 ottobre 1696, di professione notaio, e Francesco, nato il 17 mag-gio 1699, di cui non si hanno altre notizie.

49 Lanera M., op. cit., 1988, pp. 10 e 11, nota 7. Osserva l’autore: “A seicento ducati ammon-tava la dote monastica del Real Monastero di San Benedetto di Conversano: ma era il MonstrumApuliae; una somma ben distante comunque dai tre o quattromila ducati di monasteri napoleta-ni, in cui trovavano asilo le figliuole dei grandi del Regno. Sui trecento o trecentocinquanta ducatiera invece la dote in conventi molto più modesti, come quello delle Carmelitane in Putignano (irelativi documenti in Archivio Diocesano di Conversano, Putignano, Monasteri soppressi). A quat-trocento ducati ammontava la dote delle benedettine del citato monastero di San Benedetto diManduria, quello più nobile e più ricco. […] Possiamo quindi supporre, con qualche ragionevolez-za, che nell’altro monastero dello Spirito Santo la dote monastica fosse alquanto inferiore: sui tre-cento / trecentocinquanta ducati, come per le Carmelitane di Putignano. Sempre una bella som-metta comunque.”

50 Domenico Carella (1723-1813), di Francavilla Fontana. Fu un copista e imitatore delGiaquinto, e per questo godette al tempo di vastissima fortuna presso la committenza ecclesia-stica e privata. Sue opere si trovano a Taranto, Martina Franca, Conversano, Putignano, Monopolie altrove in Puglia e persino in sperdute località dell’appennino lucano.

51 Samuele Tatulli (1754-1826), di Bitonto, pittore per la verità piuttosto mediocre. A Castellanasi conservano di sua mano una serie di tele della Via Crucisnel Santuario della Madonna dellaVetrana ed altre opere in altre chiese del circondario.

52 Notar Vitantonio Campanelli di Castellana ci informa della vendita di un fondo del Fato in con-trada La Cupa, nel 1766: altro indice delle sue precarie condizioni economiche. ASB, Schedenotarili, Castellana, Notaio Vitantonio Campanelli, 1766, c. 5t.

53 ASL, Conclusioni capitolari, 1722-1769, 25 gennaio 1767, p. 277r.

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54 ASL, Conclusioni capitolari, 1722-1769, 25 agosto 1767, p. 286v.

55 ASL, Conclusioni capitolari, 1722-1769, 17 luglio 1768, p. 300v.

56 Come si evince dal catalogo delle opere, il pittore lasciò sue tele per tutte le confraternite delPurgatorio delle città viciniore: a Monopoli, Polignano, Conversano, Putignano e Noci. Segno que-sto della particolare predilezione del sodalizio per le opere del confratello castellanese.

57 Lanera M., op. cit., 1968, pp. 3, 16.

58 Il corsivo è mio.

59 S'intende una tela intera, e non costituita da più pezzi cuciti insieme; quindi di fattura e quali-tà migliore, in quanto priva di cuciture.

60 Qui forse v’è un pizzico d’ironia: 25 ducati offerti per bonterano veramente una cifra irri-soria per le casse del Real Monastero, che era ricchissimo. Sulla storia del monastero di S.Benedetto e della sua potenza politica ed economica cfr. Simone S., Il Mostro della Puglia,Conversano 1885; Lanera M., Appunti per la storia del monastero di San Benedetto diConversanoin “Studi di storia pugliese in onore di Giuseppe Chiarelli”, vol. I, Galatina, 1972, pp.345-422; Viterbo M. (postumo), Castellana, la contea di Conversano e l abazia di SanBenedetto di Conversano(3 voll.), Fasano, 1987.

61 Purtroppo non rimangono disegni né acquerelli preparatori delle opere del Fato.

62 Acquerelli. Tecnica appresa senz’altro durante il soggiorno napoletano, meno praticata a que-sti anni nelle province pugliesi.

63 Archivio Diocesano di Conversano (ADC), Conversano, Monasteri soppressi, San Benedetto,Corrispondenza comune, s. n.; v. sub die. La lettera fu pubblicata per la prima volta in LaneraM., op. cit., 1968, p. 16, ed Id., op. cit., 1988, pp. 11-12.

64 Un documento ci informa che in data 22 febbraio 1768 il pittore castellanese ricevette dalMonastero di S. Benedetto la somma di ducati 10 e grana 30, quale probabile pagamento par-ziale del lavoro commissionato. ADC, Conversano. Monasteri soppressi. S. Benedetto. Bilanci,busta 11, fascicolo 9, f. n. i.

65 D’Elia M., Notiziario. Attivit della Soprintendenza, in “Bollettino d’arte”, s. 5, LIII, 4,1968, p. 215. Id., La pittura baroccain AAVV, La Puglia tra Barocco e Rococ, Milano,1982, p. 262; qui per un refuso è indicato un titolo non corrispondente al paragrafo: è riportataLa Cattedrale di Gallipolianziché La chiesa di S. Benedetto di Conversano.

66 Carlo Rosa (1613-1677), grande artefice della scuola bitontina, attivo a Conversano a fiancodel Finoglio, ne continuò la tradizione dopo la di lui morte (1645). In quella bottega, affianco alRosa lavorarono, tra l’altro, Nicola Gliri e Francesco Antonio Altobello.

67 Pasculli Ferrara M., op. cit., 1995. La fonte si ricava altresì da un’iscrizione presente sullostesso quadro, in basso a sinistra.

68 Evidentemente tra 1768 e 1770 il nucleo familiare del Fato si era ridotto, per il probabileingresso in convento di due delle sue figlie.

69 ASL, Conclusioni capitolari, 1770-1788, 22 luglio 1770, p. 5v + allegato l’autografo fatescon.n.; cfr. Lanzilotta G., op. cit., 1999.

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70 ASL, Conclusioni capitolari, 1770-1788, 15 settembre 1774. Si tratta di debiti accumulati per160 ducati, una cifra molto alta per l’epoca.

71 ASL, Conclusioni capitolari, 1770-1788, 26 marzo 1780, pp. 63v, 64r.

72 Lanera, op. cit., 1968, p. 2.73 ASL, Conclusioni capitolari, 1770-1788, 1 maggio 1783, p. 83r.

74 ASL, Conclusioni capitolari, 1770-1788, 13 luglio 1786, p. 108v.

75 Pellegrino N., op. cit., 1998.

76 ASB, Schede notarili, Castellana, Notaio Giuseppe Domenico Pace, 1785, cc. 47 e seguen-ti. Le parti più interessanti del testamento sono state pubblicate in Lanera, op. cit., 1998, p. 11.

77 Galantuomoqui ha il senso di gentiluomo, con esclusivo riferimento al grado sociale; cfr.Lanera M., L Albergo dei Poveriin “La Forbice”, n. 15, 1980, p. 6.

78 ASB, Schede notarili, Castellana, Notaio Giuseppe Domenico Pace, 1788, cc. 36 e seguen-ti. Anche la parte saliente del codicilloè stata pubblicata in Lanera, op. cit., 1988, p. 11.

79 Questa volta con un’espressione più brusca rispetto alla dichiarazione di tre anni prima.

80 Senesi Albanese O., op. cit., 1981, p. 14.

81 Bellifemine G., La Basilica Madonna della Madia in Monopoli, Fasano, 1979, pp. 173,175, 209n. Si legge infatti da p. 173: "La tela era destinata ad ornare una delle pareti laterali delCappellone della Madia, e simmetricamente sull'altra parete doveva essere posta un'altra teladello stesso pittore […]. La morte improvvisa troncò il suo lavoro nel 1788 e l'anno seguente ilCapitolo mandò a Castellana il pittore Antonio Maria Drago a ritirare le due tele "delli due qua-dri, una dei quali era pittata e l’altra imprinita"…".Il Capitolo monopolitano commissionò successivamente a Pietro Bardellino opere dello stessoargomento, da collocare nel Cappellone in preferenza alla tela del Fato.

82 Il Libro del Procuratore generaledi S. Leone ci informa che per le esequie del pittorefurono spesi ducati dieci, grana ventotto, cavalli nove; cfr. Lanera M., op. cit., 1988, p.10, nota4.

83 Lanera, op. cit., 1968, p. 3.

Questo lavoro sulla vita e le opere del Fato, frutto di nove anni di ricerca, è dedicato alla memo-ria di mio nonno Francesco Lanzilotta (1883-1917), socialista, caduto come tanti altri a Caporetto.Sono in debito di riconoscenza nei confronti di chi mi è stato vicino e mi ha sostenuto – anche neimomenti difficili – nel portare a termine questo modestissimo tributo al pittore castellanese: pertutto ciò sono grato a mia moglie Laura.

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GIACOMO LANZILOTTA

CATALOGO RAGIONATO DELLE OPEREDI VINCENZO FATO

AUTORI DELLE SCHEDEGiacomo Lanzilotta [G.L.]

Mariella Intini [M.I.]Antonella Di Turi [A.D.T.]

Il criterio di elencazione delle opere in catalogo è di ordine cronologico.

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1. NATIVITÀ DI MARIA (1732)Monopoli, già inS. Maria Amalfitana

Olio su tela, cm 237x185 - irreperibile

Bibl.: Tartarelli 1960; Pasculli Ferrara 1994, 1995; Pellegrino 1998; Lanzilotta 1999, 1999-2000.

Opere certe, documentate o generalmente riconosciute dalla critica

Era la pala d'altare dell'antica cappella di S. Anna, la quale nel 1937 fu tra-sformata in sacrestia. Dell’opera, firmata e datata, si conosce una piccolafoto in b/n del 3 ottobre 1960 conservata negli archivi della SBAAAS diBari, da cui si evince essere in cattivo stato di conservazione. Il 13 settem-bre 1949 l'ispettore onorario di Monopoli Angelo Nicola Pipoli fa richiestaalla Soprintendenza che la tela sia depositata in cattedrale; il soprintenden-te Schettini con lettera del 14 novembre 1949 gli comunica l'assenso (Cfr.Archivio della Soprintendenza ai Beni Artistici, Architettonici, Ambientalie Storici della Puglia, cartella A, Ba XXX Monopoli, n. 71, chiesa di S.Maria Amalfitana). Sembra però che la tela sia rimasta al suo posto; neparla con entusiasmo mons. Tartarelli ne La stella di Monopoli, a. 11, n. 12,agosto 1960: tuttavia deplora le condizioni della tela e ne auspica unrestauro. Si suppone quindi il probabile restauro della tela a partire dal-l'autunno del medesimo anno (come lascia presagire la data della foto SBA-AAS in data 3-10-1960, eseguita in un laboratorio di restauro e non nellachiesa). I casi quindi sono due: o la Soprintendenza ha smarrito l'opera tra1960 ed oggi, affidandola a qualche restauratore non più rintracciabile;oppure in questo lasso di tempo ha restituito l’opera alla diocesi diMonopoli, la quale non l’avrebbe più ricollocata nella sua ubicazione origi-naria. Fatto sta che la pala risulta oggi irreperibile. A seguito di una miaindagine (agosto 1999) presso la Curia Vescovile di Monopoli, nessun mem-bro della Curia sembrava conoscerne l’esistenza.

La fotografia del 1960, essendo in bianco e nero, e documentante il pre-cario stato di conservazione dell’opera, non permette un’analisi approfondi-ta di quello che è lo stile giovanile del pittore: uno stile che muta in manie-ra consistente già dopo pochi anni, verso il 1738, con il S. Francesco Borgiadel Purgatorio castellanese. Composizione più incerta e una certa durezzanel disegno caratterizzano la presente pala, forse l’unica che può dirsi vici-na ai modi del leccese Serafino Elmo: si confronti la S. Anna Amalfitanacon la Maria della tela dell’Elmo al Gesù di Lecce, dalla medesima postu-ra e fisionomia, simmetricamente speculari. Eppure si tratta dell’unicatestimonianza che appoggia la tesi di un alunnato del Fato presso la botte-ga del pittore leccese (Pasculli Ferrara 1995). Insieme ai protagonisti, lascena si presenta gremita di personaggi secondari che conferiscono allavisione una coralità di gesti, espressioni, azioni: emerge una volontà dina-mica nella composizione insolita nella produzione pittorica dell’autore, chegeneralmente tende a prediligere pochi elementi - umani e materiali - sullascena, dalle posture e dagli atti ed espressioni del volto attentamente stu-diati e rifiniti. Al di sopra degli astanti si apre uno squarcio di cielo lumi-noso con la presenza degli angeli e dello Spirito Santo. È firmata in basso:PIT.E VFATO INV.Ò 1732. [G.L.]

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42 2. PASSEGGIATA SACRA (1729-41)Putignano, S. Domenico

Olio su tela, cm 263x175 - cattivo s. d. c.

L’opera è da datarsi, per le incertezze cromatiche e per l’arcaicità del disegno,nell’ambito della produzione giovanile, e vicina (se non antecedente) allaNatività diMonopoli. Nel complesso, essa presenta le caratteristiche formali pro-prie della pittura napoletana del Settecento, indice di un presunto fresco ritornodalla Capitale del pittore, subito alle prese con l’importante commissione deidomenicani di Putignano. La Sacra Famiglia è ritratta durante una passeggiata,originale composizione iconografica diffusasi in Terra di Bari nella prima metàdel secolo. Al centro, il Bambino Gesù è collocato in posizione zenitale rispettoall’Eterno Padre e allo Spirito Santo, così da rappresentare nel contempo ilmistero trinitario, legato da un unico fascio di luce, interrotto solo da un gruppodi cherubini che servono da riempimento. Non si escludono interventi di aiuti odi ritocchi apocrifi posteriori: in particolare per quanto riguarda la figuradell’Eterno, di fattura per verità men che mediocre. Basti confrontare l’elabora-zione dei panneggi delle figure inferiori, di gran lunga di maggiore qualità,rispetto a quelli dell’Eterno.

I modelli a cui si rifà il Fato vanno individuati nella pittura di Paolo DeMatteis, come giustamente rileva la Senesi Albanese nei due scritti dedicati aquest’opera (1980, 1983); la studiosa afferma altresì che «le figure di imposta-zione statuaria della Madonna, di San Giuseppe e di Gesù Bambino […] pervigore d’impianto» fanno pensare anche al nome di Massimo Stanzione. [G.L.]

Bibl.: Marascelli 1933; Senesi Albanese 1980, 1983; Pasculli Ferrara 1995;Lanzilotta 1999, 1999-2000; Di Mizio – Sabato 2003.

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3. S. ANNA CON MARIA BAMBINA(1729-41)Putignano, S. Domenico

Olio su tela, cm 125x97 - pessimo s. d. c.

La tela, pur rovinatissima e scarsamente leggibile, va senz’altro ascritta trai primi lavori noti del Fato, vicina agli anni della Natività di Monopoli. Faparte di una serie di ovali di uguali dimensioni dipinti per i domenicani diPutignano.

L’ovale mostra l’anziana genitrice seduta nell’atto di accogliere l’abbrac-cio affettuoso di Maria bambina, appena mostrata di spalle, dalla cui figu-ra risalta la complessa treccia di capelli composta sul suo capo in forma dicorona: colto riferimento al titolo mariano di Regina (Coeli, Apostolorum,Confessorum, etc.). [G.L.]

Bibl.: Di Mizio 1980; Lanzilotta 1999-2000; Di Mizio – Sabato 2003.

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Ascrivibile alla produzione giovanile del Fato. Fa parte di una serie di ovalidi uguali dimensioni dipinti per i domenicani di Putignano.Il Cristo, corredato dei tradizionali attributi della Passione (la corona dispine, la canna, le corde, il mantello purpureo), è seduto, isolato, entro uninquietante e cupo ambiente, di cui non si scorgono tracce di identificazio-ne.

L’elaborazione cromatica a tinte forti - il rosso intenso su fondo scuro -richiama le testimonianze pittoriche dei seicenteschi napoletani seguacidella maniera caravaggesca, benché qui edulcorata con soluzioni più mor-bide, tipiche del tempo: come ad esempio il nimbo luminoso intorno alcapo, l’uso di una luce non violenta che attenua i contrasti nelle carni e nelpanneggio. [G.L.]

Bibl.: Di Mizio 1980; Lanzilotta 1999-2000; Di Mizio – Sabato 2003.

4. CRISTO CORONATO DI SPINE(1730-41)Putignano, S. Domenico

Olio su tela, cm 125x97 - discreto s. d. c.

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Anche quest’opera fa parte di una serie di ovali di uguali dimensioni dipin-ti per i domenicani di Putignano. Costituisce il pendant per il Cristo coro-nato di spine della scheda precedente.

Qui l’effetto luministico è reso ancora più intenso dal brillare della pellechiara sulla scena fosca, da cui emergono soprattutto le ferite sanguinolen-te. [G.L.]

5. CRISTO FLAGELLATO (1730-41)Putignano, S. Domenico

Olio su tela, cm 125x97 - discreto s. d. c.

Bibl.: Di Mizio 1980; Lanzilotta 1999-2000; Di Mizio – Sabato 2003.

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Rientra nella produzione giovanile del Fato. Fa parte di una serie di ovalidi uguali dimensioni dipinti per i domenicani di Putignano. Identificata inun primo tempo come S. Rita dal Di Mizio (1980), in seguito come S.Caterina de’ Ricci dal medesimo (2003); si tratta effettivamente della Santamistica domenicana (1523-90), riconoscibile grazie ai tradizionali attributi(abito, corona di spine, stimmate, crocifisso che le si anima davanti).

La scena presenta la Santa in preghiera che vede animarsi il crocifissoche ha di fronte. Delicato e attentamente studiato l’equilibrio cromatico,ricco di contrasti (i panni del tavolo rosso e blu, l’abito della domenicanabianco e nero) a sottolineare la straordinarietà dell’evento mistico. Sulfondo, in richiamo della teatralità tipica barocca, si alza un drappo e simostrano vaporose nubi dorate. Di notevole effetto emotivo l’incrocio disguardi tra la Santa e il Gesù crocifisso, come anche l’equilibrato dinami-smo delle braccia e delle mani di entrambi, aperte e protese reciprocamen-te. [G.L.]

Bibl.: Di Mizio 1980; Lanzilotta 1999-2000; Di Mizio – Sabato 2003.

6. S. CATERINA DE’ RICCIIN ESTASI (1730-41)Putignano, S. Domenico

Olio su tela, cm 125x97 - discreto s. d. c.

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7. BEATO BENEDETTO XIBENEDICENTE (1730-41)Putignano, S. Domenico

Olio su tela, cm 125x97 - discreto s. d. c.

Ascrivibile alla produzione giovanile del Fato. Il Di Mizio (2003) ha svela-to l’identità del pontefice raffigurato: il beato Nicolò Boccasini, domenica-no divenuto papa col nome di Benedetto XI (1303-1304). Fa parte di unaserie di ovali di uguali dimensioni dipinti per i domenicani di Putignano. Ilritratto in questione è presumibilmente desunto da una incisione.Sapiente è nelle opere di questo periodo l’applicazione sulla tela di unatavolozza vivace e ricca di colori contrastanti.

Questi vengono accuratamente accostati nella composizione, rendendodegli effetti luministici alquanto gradevoli: si notino in particolare i riflessidella luce sulla mozzetta e sulla veste del pontefice. Anche qui, come nellaS. Caterina de’ Ricci troviamo un drappo verde alle spalle del personaggioraffigurato, a chiudere ogni spazio ad un fondo meno interessante. [G.L.]

Bibl.: Di Mizio 1980; Lanzilotta 1999-2000; Di Mizio – Sabato 2003.

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Dipinto degli anni giovanili, l’immagine dell’altro pontefice domenicanosalito agli onori degli altari, Antonio Gislieri divenuto papa col nome di PioV (1556-72).Fa parte di una serie di ovali di uguali dimensioni dipinti per i domenica-ni di Putignano.

L’opera costituisce, per le strettissime analogie iconografiche, la versio-ne con protagonista maschile dell’episodio estatico della S. Caterina de’Ricci. Qui il pontefice si accorge dell’improvviso animarsi del Gesù croci-fisso, che comincia a perdere sangue dalle ferite e mostra col suo aspettotutta la sofferenza del supplizio.

La mistica atmosfera creatasi è sottolineata dal grande drappo rosso chefa da sfondo al Crocifisso, mentre S. Pio ha il volto luminoso ed è circonda-to da un nimbo di luce e da un agglomerato di vaporose nubi. La medesimafigura la ritroviamo ben distinta nella pala che il pittore eseguì per i dome-nicani di Monopoli, la Gloria di S. Domenico e dell’Ordine dei Predicatori.[G.L.]

Bibl.: Di Mizio 1980; Lanzilotta 1999-2000; Di Mizio – Sabato 2003.

8. SAN PIO V DAVANTI ALCROCIFISSO (1730-41)Putignano, S. Domenico

Olio su tela, cm 125x97 - discreto s. d. c.

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9. S. PIETRO MARTIRE (1730-41)Putignano, S. Domenico

Olio su tela, cm 263x175mediocre s. d. c.;lacerazioni e cadute di colore

Ascrivibile alla produzione giovanile del Fato. Il Santo è raffigurato in posturaidealizzata, in piedi, mostrante i segni del suo martirio, la palma e il libro inmano. Pietro da Verona (1203-1252), domenicano, operò nel milanese comeinquisitore, combattendo la setta eretica dei patarini.

Da alcuni di questi fu trucidato in un bosco a Farga, in Brianza, assieme asuoi confratelli. Le cronache agiografiche riportano come S. Pietro, morente,avesse trascritto le parole del "credo" per terra, con le dita intinte di sangue (Sitratta delle parole iniziali del simbolo niceno, secondo la formula estesa redattanel Concilio del 325 aNicea; in formula abbreviata costituisce unmomento dellaliturgia eucaristica, noto come il "credo"). Il pittore non sceglie di rappresenta-re la scena del martirio, che costituiva per tale soggetto la soluzione iconografi-ca più usata nella pittura devozionale. Incontrando diligentemente il nuovo gustodell’epoca (cfr. D’Elia 1982), il Fato colloca il martire in un ambiente paesaggi-stico rasserenato, dai richiami arcadico-pastorali. Il libro aperto, bene in vista,riporta chiaro il sunto del messaggio religioso affermato dal Santo in punto dimorte: "CREDO IN / DEUM PA / TREMOMNI / POTENTEM / CREATOREM/ COELI ET TERRAE / ET IN JESUM / CHRISTUM FI / LIUM EIUS / UNI-CUM D(OMI)NU(M) / NOSTRU & C." ("Credo in Dio padre onnipotente, crea-tore del cielo e della terra, e in Gesù Cristo suo figlio, nostro unico Dio etc.").[G.L.]

Bibl.: Di Mizio 1980; Pasculli Ferrara 1995; Lanzilotta 1999-2000; Di Mizio – Sabato 2003.

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10. S. VINCENZO FERRERIRISANA GLI INFERMI (1730-41)Putignano, S. Domenico

Olio su tela, cm 270x180 - mediocre s. d. c.

L’opera è vicina per stile e cronologia al S. Pietro Martire e al S. Tommasod’Aquino conservati nella stessa chiesa.I domenicani putignanesi elaborarono un preciso programma iconograficoche sottoposero alla mano del nostro artista, costituito di sei tele di grandidimensioni destinate a fare da pale d’altare e sei ovali di corredo di minoridimensioni, più una settima pala iconograficamente isolata (la PasseggiataSacra).

Le sei pale si dividono in due gruppi: la trilogia dei grandi alfieridell’Ordine dei Predicatori (i detti S. S. Vincenzo Ferreri, Pietro Martire,Tommaso d’Aquino) e la trilogia degli Arcangeli (i S. S. Michele, Raffaele,Gabriele). Gli ovali si dividono per coppie: due Sante (Anna e Caterina de’Ricci), due pontefici, due momenti della Passione di Cristo.

S. Vincenzo Ferreri (1350-1419) è ricordato per la sua straordinaria atti-vità di predicatore itinerante, e nell’iconografia tradizionale è raffiguratocon le ali. In questa tela il pittore lo mostra attorniato dai devoti infermi inatto di guarirli. Una lettura più sottile del ciclo domenicano può suggerireuna rappresentazione allegorica della trilogia dei Santi, come simboli delleVirtù teologali. In questo caso si assocerebbe al S. Vincenzo la Carità(essendo ritratto come guaritore degli infermi), al S. Pietro la Speranza (instretta analogia con la formula del “Credo”), all’aquinate la Fede (in quan-to Dottore della Chiesa, difensore dell’ortodossia cattolica contro le eresie,ed autore della Summa Teologica).

Di rilievo è da notare il pavimento “a chianche”, elemento tipico dell’ar-chitettura pugliese, presente qui come in numerose opere successive tantoda potersi considerare un vero e proprio stilema del pittore. [G.L.]

Bibl.: Di Mizio 1980; Pasculli Ferrara 1995; Lanzilotta 1999-2000; Di Mizio – Sabato 2003.

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Più complessa la composizione di questa pala d’altare.L’aquinate è ritratto mentre attende ad una delle sue opere, verosimilmen-te la Summa Teologica, il più importante trattato medioevale della dottrinacattolica, uno dei massimi fondamenti della teologia della Chiesa anchenelle età moderna e contemporanea.

Accanto gli fanno compagnia tre figure allegoriche, rappresentanti leVirtù teologali: una donna che prega (la Speranza), una madre col figlio (laCarità), un’altra donna (la Fede), con vicino a sé una croce, che aiuta ilSanto a reggere il libro (la corretta dottrina), e con i piedi sottomette gli ere-tici, dai cui libri fuoriescono dei serpenti (la falsa dottrina).

Quest’ultimo elemento ha un preciso riferimento contemporaneo, sicura-mente noto all’artista: il telamone del pulpito della chiesa di S. Francescod’Assisi a Castellana, opera del suo amico scultore fra’ Luca Principino(1727).

Si osservi quindi la precisa volontà dei domenicani del convento puti-gnanese ad un programma iconografico pregno di colte indicazioni sullacorretta dottrina, ma adattabile comunque a prestarsi ad interpretazioni piùe meno sottili. Alle spalle del gruppo dei personaggi, una balaustra segnail confine tra l’ambiente in primo piano ed il paesaggio sullo sfondo, resovisibile dall’apertura di un grande drappo scuro.

In basso, due eretici dalle fattezze demoniache si accapigliano tra loro,mostrando in tal modo la discordia delle reciproche opinioni, conseguenzanaturale di chi osserva le false dottrine. [G.L.]

Bibl.: Di Mizio 1980; Pasculli Ferrara 1995; Lanzilotta 1999-2000; Di Mizio – Sabato 2003.

11. S. TOMMASO D’AQUINO(1730-41)Putignano, S. Domenico

Olio su tela, cm 270x180 - mediocre s. d. c.

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Da una certa maturità nell’esecuzione narrativa ed una più armoniosa resa croma-tica, l’opera sembra essere posteriore alle pale dei S. S. Pietro Martire, Vincenzo,Tommaso d’Aquino conservate nella stessa chiesa.

L’episodio raffigurato è tratto dal libro deuterocanonico di Tobia (VI, 2-5: Faparte di uno dei libri veterotestamentari non accolti subito, ma solo in epoca patri-stica, dalla chiesa cattolica tra le Sacre Scritture, e non rientra nella Bibbia ebrai-ca né in quella protestante): l’Arcangelo Raffaele che incoraggia il giovane Tobia(o Tobiolo) a catturare il pesce balzato fuori dal fiume Tigri, dove il ragazzo si eraaccostato per lavarsi. Il fegato, il cuore e il fiele del pesce dovevano essere con-servati parte per scacciare il demonio Asmodeo e permettere a Tobia di sposareSara, parte per guarire dalla cecità l’anziano padre del fanciullo, Tobi.

Si tratta di un soggetto che ha riscosso sempre grandissima fortuna nella devo-zione popolare, e di conseguenza nella rappresentazione nella pittura: la sventuradella cecità paterna è la causa del viaggio iniziatico che intraprende Tobia versouna terra sconosciuta, in compagnia di un misterioso personaggio (l’ArcangeloRaffaele), che gli si presenta come Azaria, un lontano parente. Il ragazzo deverecarsi presso la famiglia d’un suo zio, Raguele, per sposare la cugina Sara, rima-sta vedova già sette volte, perché un demonio che s’era invaghito di lei facevamorire tutti i suoi mariti alla prima notte di nozze. La vicenda si conclude felice-mente: seguendo le indicazioni dell’arcangelo, Tobia scaccia il demonio, sposaSara; acquisisce la ricchezza paterna che un altro parente, Gabael, conservava;ritorna a casa e libera il padre dalla cecità. Proprio per il suo significato allegori-co morale e per la forte presa sull’immaginazione popolare il tema iconografico,insieme a quello parallelo e per tanti versi sovrapponibile dell’Angelo Custode siritrova molto spesso trattato nella pittura ‘riformata’ post-tridentina, soprattutto inambito meridionale.

“La fortuna dipese dalla ricchezza dei contenuti edificanti e pedagogici: l’esal-tazione della condotta di vita improntata alla fede religiosa, l’insistenza sui codicimorali di comportamento e sui valori della pietà e della carità, la completa fiducianella provvidenza divina, sempre vicinissima alla quotidiana esistenza dell’uomo,la devozione filiale” (Barbone Pugliese N., in Paolo Finoglio e il suo tempo,Napoli, 2000, p. 173). [G.L.]

Bibl.: Di Mizio 1980; Lanzilotta 1999, 1999-2000; Sisto 2000; Di Mizio – Sabato 2003.

12. TOBIOLO E L’ANGELO (1734-41)Putignano, S. Domenico

Olio su tela, cm 190x115 - discreto s. d. c.

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L’opera fa parte della trilogia di tele dedicate agli Arcangeli, assieme allapala di Tobiolo e all’Annunciazione, conservate nella stessa chiesa. È tra ilavori più riusciti, sia per l’elegante disegno sia per la suggestiva resa cro-matica e luministica. La luce varia decrescendo dall’alto (la Grazia divina)verso il basso (le tenebre, il male), secondo un colto riferimento alla con-trapposizione agostiniana di Luce e Tenebre, elaborata sulla scorta delleparole di Giovanni in Gv, I, 4-5, 9-10. L’Arcangelo Michele si fa quinditestimone e ambasciatore della Grazia che sconfigge e sottomette il Male.

Interessanti precedenti iconografici di raffronto noti al Fato si trovanodai Paolotti in Castellana, ove è una tela del Miglionico, e presso ilPurgatorio di Polignano, in una pala sul presbiterio data anch’essa al pitto-re campano. [G.L.]

Bibl.: Di Mizio 1980; Lanzilotta 1999, 1999-2000; Sisto 2000; Di Mizio – Sabato 2003.

13. S. MICHELE SCONFIGGEIL DEMONIO (1734-41)Putignano, S. Domenico

Olio su tela, cm 190x115 - discreto s. d. c.

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14. ANNUNCIAZIONE GABRIELI(1734-41)Castellana, collezione privata

Olio su tela, cm 70,5x51,2 - discreto s. d. c.

Denominata così dal nome della penultima proprietaria, Teresa Gabrieli diNoci; la tela è firmata su un lato ombrato d’uno sgabello in basso “VINC.FATO”. Date le piccole dimensioni dell’opera e la conformità stilistica deltema con l’analoga tela putignanese, si tratta certamente del bozzetto pre-paratorio per l’Annunciazione di S. Domenico a Putignano.

In confronto alla pala putignanese però il pittore modifica alcuni ele-menti compostitivi e cromatici: l’Arcangelo rimane sostanzialmente identi-co nella postura, ma cambia il colore del mantello; nella stesura definitivaè eliminato lo sgabello e tolto il drappo di velluto verde, mostrando in com-penso un tavolino di pregiata fattura. Nel bozzetto soprattutto la parte supe-riore assume una certa preponderanza luministica, che risulta alleggeritacol passaggio dal fondo oro al fondo opaco della versione finale. La posizio-ne dell’Annunziata ruota in direzione del messaggero divino, mostrandosiqui di tre quarti, e nella tela maggiore nettamente di profilo. [G.L.]

Bibl.: Lanzilotta 1999-2000, 2000.

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E’ l’unica opera firmata (ma non datata) tra le tele di questa chiesa: da porsiin stretta relazione, per analogie di stile e contenuto, con le altre operededicate agli Arcangeli dello stesso autore presenti in questa chiesa.

La Vergine, china sul genuflessorio, ha un'impostazione che si richiamaall'Annunziata di una analoga tela di Paolo De Matteis del 1712, conserva-ta al City Art Museum of St. Louis, Missouri (USA).

Lo stesso modello costituirà un importante riferimento per unaAnnunciazione del 1781, al Purgatorio di Castellana. [G.L.]

Bibl.: Marascelli 1933; Di Mizio 1980; Lanera 1988; Pellegrino 1993; Pasculli Ferrara 1995;Lanzilotta 1999, 1999-2000, 2000; Sisto 2000; Di Mizio – Sabato 2003.

15. ANNUNCIAZIONE (1734-41)Putignano, S. Domenico

Olio su tela, cm 200x120 - discreto s. d. c.

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16. S. MICHELE ARCANGELO(1734-69)Polignano a mare, cappellarurale della Consolatrice

Dipinto murale (primo strato dipinto a intona-co umido, secondo strato di rifinitura asecco), altezza cm 170 ca.Probabile restauro XIX sec.;pessimo s. d. c., con crepe, cadute di colo-re, ridipinture posteriori, muffe, macchie diumido.

Fondata nel XVIII secolo per volontà della famiglia Lattarulo, la cappellaera inizialmente dedicata a S. Gennaro. Tuttavia nelle fonti è sempre ricor-data col nome della Madonna Consolatrice, il cui culto si venera nella vici-na Castellana. L’interno della cappella presenta in un dipinto murale unariproduzione ottocentesca della Consolatrice di Aurelio Persio, da cui iltitolo più popolare di essa.

A parte le figure dei due Santi ai lati della Consolatrice, Michele e Vito,non escludo che il Fato abbia dipinto con la medesima tecnica anche ilresto della parete, attualmente occupata da decorazioni ottocentesche.

Il santo, così come il suo pendant San Vito, si ascrivono con buona cer-tezza alla mano del Fato, data l’alta qualità di alcuni particolari, analoghiad altri presenti nelle opere del pittore (la composizione delle figure, gliscorci, le mani, le capigliature, il viso dei due santi) e l’inconsueta tecnicaesecutiva, poco praticata dai pittori locali. [G.L.]

Bibl.: Lanzilotta 1999-2000.

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Il Santo martire è patrono di Polignano, e questo può spiegare la sua pre-senza in una cappella rurale nel territorio della città costiera. Il Santo èriconoscibile per i tradizionali attributi: l'aspetto giovanile, la croce, lapalma, il cane (non ben visibile, in basso a destra).

Nonostante il pessimo stato di conservazione dei dipinti, è ancora possi-bile una lettura critica delle figure.La finezza del disegno, il contesto temporale e geografico, le soluzioni sti-listiche e compositive inducono anche la presente figura all’attribuzione alpennello del Fato. [G.L.]

Bibl.: Lanzilotta 1999-2000.

17. S. VITO (1734-69)Polignano a mare,cappella rurale della Consolatrice

Dipinto murale (primo strato dipinto a intona-co umido, secondo strato di rifinitura asecco); altezza cm 170 ca.Probabile restauro XIX sec.;pessimo s. d. c., con crepe, cadute di colo-re, ridipinture posteriori, muffe, macchie diumido.

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18. MATER DOMINI (1734-69)Polignano a mare, cappella ruraledella Consolatrice

Dipinto murale (primo strato dipinto a intona-co umido, secondo strato di rifinitura asecco); cm 90x80 ca.Probabile restauro XIX sec.;pessimo s. d. c., ormai quasi illeggibile;cadute di colore, crepe, parti mancanti.

L’opera è dipinta entro una nicchia sulla facciata della cappella, all’esternoquindi, soggetta agli agenti atmosferici.

Allo stato attuale è pressochè irrimediabilmente perduta e consunta.Tuttavia, per questo dipinto, e le analogie della elaborazione cromatica con-frontata con le pitture dell’interno, e la familiarità del disegno compositivoinducono all’attribuzione fatesca, meliori iudicio semper salvo. [G.L.]

Bibl.: Lanzilotta 1999-2000.

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Di incerta datazione, probabilmente della fase giovanile, destinato alla devozioneprivata.

Proviene dalla famiglia di Teresa Gabrieli, cui appartenevano anche l’omoni-ma Annunciazione, un Angelo Custode, una Maddalena penitente, un GesùBambino dormiente. Altri quadri del Fato erano di proprietà della sorellaEugenia, la cui collezione è però andata dispersa.

Pochi ed essenziali gli elementi che compongono la scena: il Santo è ritratto inmeditazione sul Crocifisso che regge in mano.

Sul tavolino poggia uno stelo di gigli, suo tradizionale attributo iconografico.Il fondo oscuro contrasta con la veste candida ed il roseo viso del fanciullo

assorto, facendo risaltare maggiormente la dimensione devozionale del dipinto.[G.L.]

Bibl.: Lanzilotta 1999-2000, 2000.

19. S. LUIGI GONZAGA (1734-41)Castellana, collezione privata

Olio su tela, cm 71,5x55cattivo s. d. c.; cadute di colore.

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20. GLORIA DI S. DOMENICOE DELL’ORDINE (1734-54)Monopoli, S. Domenico

Olio su tela, cm 200x160restauro 1995 ca.; buono s. d. c.;parti mancanti.

La datazione di quest’opera può essere compresa tra gli anni fecondi deilavori per i padri domenicani di Putignano e Rutigliano (1732-41), e glianni immediatamente successivi al lungo soggiorno napoletano (1742-52),carico di vivaci suggestioni cromatiche d’impronta solimenesca.

L’opera è menomata in più punti per irreparabili cadute del colore; sic-chè mancano l’immagine di S. Domenico davanti alla Trinità e gran partedella base del quadro, ove, molto probabilmente doveva esserci la firma delFato.

Una pletora di santi, beati e angeli affollano questa straordinaria compo-sizione, tra cui si riconoscono i S. S. Pio V, Rosa da Lima, Tommaso,Caterina. Si tratta certamente di uno dei lavori più impegnativi del pittore,che aveva da attenersi alle strette indicazioni della committenza, la quale aquanto pare non voleva tralasciare alcun proprio patrono; per l’Ordine deiPredicatori tuttavia il Fato doveva essere un artista di fiducia, avendo avutomodo di lavorare per gli altri conventi del territorio, come Putignano eRutigliano. [G.L.]

Bibl.: Lanzilotta 1999-2000.

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Vi ricorrono puntuali gli stilemi del Fato, quali le peculiari attaccature delsetto nasale alle arcate sopraccigliari, la tavolozza pastello nelle pitturemurali, il demonio assoggettato all’arcangelo, la compunta postura di alcu-ni santi, la statuaria – quasi principinesca – figura dell’Immacolata.

La cappella rurale intitolata a S. Michele Arcangelo fu fondata nel set-tembre 1735 dai fratelli de Giorgio, il sacerdote Michelangelo e il dottoredi leggi Giuseppe, figli di Giangiacomo de Giorgio, medico.

Al suo interno il dipinto murale raccoglie tutti i santi patroni della fami-glia: da S. Giorgio ai Santi Giuseppe e Michele, con la presenza di S. Irene,patrona secondaria di Castellana a partire dallo stesso anno di fondazionedella cappella. Nonostante le non ottimali condizioni di conservazione, laleggibilità delle immagini permette di apprezzare la qualità della mano del-l’artista, secondo uno stile e una tecnica esecutiva affatto corrispondente aidipinti per la cappella rurale della Consolatrice, in territorio polignanese,degli stessi anni. [G.L.]

Bibl.: Lanera 1990.

21. IMMACOLATA CON I SANTIGIUSEPPE, ANNA, GIORGIO,DOMENICO, MICHELE ARCANGELO,ANTONIO DI PADOVA, FRANCESCO DIPAOLA E IRENE (1735)Castellana, cappella rurale di S.Michele Arcangelo

Pittura a secco su muro cm 183x305mediocre s. d. c., presenza di polveree sporcizia superficiale.

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Il quadro, di piccole dimensioni, era collocato in origine sul pulpito ligneo,sotto il baldacchino.

Il Santo è raffigurato in aspetto giovanile, mentre con una mano regge unlibro (forse la Contra Gentiles o la Summa Teologica), e con l’altra ne indi-ca un preciso punto; è evidente il legame metaforico con il luogo in cuil’opera era collocata, ovvero il pulpito.

Purtroppo, oltre alla tela, allo stato dei fatti si è persa l’originaria docu-mentazione fotografica di essa: non sembra esistere un’immagine a colori,né più si trova un originale a stampa anche in bianco e nero.

La stampa esistente nell’archivio della biblioteca comunale diCastellana è scomparsa. Parimenti misteriosamente non esiste negli archi-vi della Soprintendenza di Bari alcuna documentazione, né schede, né foto-grafie, né negativi, né altro che possa provare l’esistenza di tal opera. Perfinire, del furto dell’opera non fu mai fatta denuncia.

La foto presente in catalogo fu pubblicata proprio in seguito al furto dallarivista Susasuso, bollettino del CERICA - Centro Ricerche Castellanese perla tutela dei beni storici, artistici e naturali - di Castellana Grotte, nel mag-gio 1993; ma purtroppo né l’archivio del CERICA né l’autore della foto(Mimmo Guglielmi, 1986) ne conserva un negativo. [G.L.]

Bibl.: Lanera 1988; Pellegrino 1993, 1998, 1999; Lanzilotta 1999-2000.

22. S. TOMMASO D’AQUINO(1738-41)Castellana, già in Purgatorio

Olio su tela, cm 55x40 ca.trafugato il 6 giugno 1992

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23. S. FRANCESCO BORGIA (1738)Castellana, Purgatorio

Olio su tela, cm 234x157 - restauro 1994;buono s. d. c.

Commissionata dalla Confraternita del Purgatorio, della quale egli diventaconfratello, l’opera è datata in penombra su un margine a sinistra. Durantel’ultimo restauro, intorno agli angioletti che ostentano il SantissimoSacramento, sono stati individuati alcuni pentimenti. Il quadro, concepitocome pala d’altare e dipinto inizialmente su un telaio rettangolare, è statosuccessivamente centinato.

L’immagine del Santo ha un evidente modello di riferimento nel corri-spondente quadro del Giordano (S. Francesco Saverio e S. FrancescoBorgia) conservato a Capodimonte a Napoli. Il gesuita è rapito davanti allavisione estatica del Santissimo Sacramento portato in volo da un angioletto;in mezzo, una folta schiera di angeli e cherubini, nel cielo reso dorato dallastraordinaria luce che emana il Corpo di Cristo.

Il quadro fu trafugato dalla chiesa del Purgatorio, assieme ad altre tele,la notte tra il 5 e il 6 giugno 1992, e fortunosamente ritrovato dopo pochigiorni in una strada rurale nei dintorni di Castellana. Dopo il restauro èstato finalmente riposto nella collocazione originaria. [G.L.]

Bibl.: Lanera 1988; Pellegrino 1993, 1997, 1998, 1999; Lanzilotta 1999, 1999-2000.

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Dipinto per la chiesa di S. Maria del Suffragio, detta del Purgatorio essen-do di pertinenza dell’omonima confraternita, della quale il pittore entra afare parte.

Il piccolo quadretto è inserito al centro, sul lato frontale del pulpito esa-gonale rispetto alla navata della chiesa; è legato per forme e contenuti aicinque quadretti allegorici disposti tre alla sinistra e due alla destra dellealtre facce del pulpito. Si tratta di un unico ciclo di dipinti aventi finalitàdidascaliche ed educative: attraverso la rappresentazione di scene allegori-che sono spiegati cinque modi per compiere opere di suffragio per i defun-ti, ma indicano altresì diversi mezzi di perfezionamento individuale sullabase degli insegnamenti evangelici. Mentre le cinque tele (presentate inseguito) sviluppano un tema ciascuna, la presente opera vuole riassumereed arricchire il significato delle altre. In alto a sinistra, seduta sulle nuvo-le e attorniata dai cori angelici è posta la Madonna del Suffragio colBambino seduto sulla sua gamba destra. Sotto di loro, gemono supplicantile anime del Purgatorio, mentre espiano i loro peccati tra le fiamme. Inposizione intermedia tra i due gruppi di figure, sulla destra, un membrodella confraternita, vestito dei paramenti liturgici (camice bianco, mozzettacon orlo e fiammelle rosse, mazza), versa sulle anime purganti dell’acquacontenuta in un’anforetta. Ai suoi piedi sono dipinti diversi simboli cherichiamano i contenuti dei quadretti sugli altri lati del pulpito: il messalesu cui poggia il calice apparecchiato (la messa di suffragio), il libro apertoe il rosario (le preghiere), la borsa dei soldi (l’elemosina, le offerte), il pane(il digiuno e la frugalità dei pasti). In sintesi, questa tela per così dire rias-suntiva vuole affermare l’esistenza del Purgatorio e che quegli stessi mezzidi perfezionamento individuale possono servire a suffragare le anime inattesa di ascendere al Cielo, fornendo una motivazione in più per compor-tamenti conformi agli insegnamenti della dottrina.

Suggerisce il Di Mizio come “nella tela è presente anche una componen-te propagandistica della confraternita del Purgatorio”. Il colto linguaggiopittorico, ricco di simboli e contenuti allegorici, ha per le sue caratteristi-che di complessità una destinazione non popolare, ma finalizzata ad unapiù ristretta cerchia dei confratelli, dei loro simpatizzanti, di laici e religio-si comunque di un ceto sociale più elevato. Del resto è notorio come la stes-sa appartenenza alla Confraternita del Purgatorio costituisse di per sé unsegno di distinzione sociale (cfr. a riguardo Lanera 1968).

Per quanto riguarda l’autografia fatesca, Abbate (com. or. 1998) avanzale sue perplessità su tutto il ciclo allegorico del pulpito, come anche di altrepiccole tele presenti in chiesa. Lo scrivente, come anche la Cisternino(com. or. 1997), il Lanera, il Pellegrino, la Pasculli, propende per l’attribu-zione a pieno titolo di tutte i quadri della chiesa al pittore castellanese.[G.L.]

Bibl.: Lanera 1968, 1988; Di Mizio 1979; Pasculli Ferrara 1994, 1995; Pellegrino 1997;Lanzilotta 1999-2000.

24. MADONNA DEL SUFFRAGIO EANIME PURGANTI (1738-41)Castellana, Purgatorio(sul pulpito)

Olio su tela, cm 50x36 discreto s. d. c.

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Fa parte di una serie di cinque quadretti allegorici sui ‘modi’ di suffragioper i defunti collocata sui vari lati del pulpito. L’attribuzione, come affer-mato in precedenza, è piuttosto tormentata.

Secondo Di Mizio (I/1978, 1979) vi sarebbe l’intervento di altre mani peruna tela della serie (senza specificare quale), forse di allievi di bottega;Abbate (com. or. 1998) esclude per tutta la serie la paternità fatesca.Lanera (1968, 1988), Pellegrino (1993, 1997, 1998), Pasculli Ferrara(1995) e lo scrivente sono invece per l’attribuzione piena al Fato.

Una donna genuflessa sulle nuvole (elemento indicante la chiave di let-tura allegorica), gli occhi rivolti al Cielo, reca sulla mano destra un turibo-lo fumante (la preghiera che sale a Dio); sulla mano sinistra arde un cuorefiammeggiante (carità e fervore), e sulle ginocchia è poggiato un libro aper-to (la dottrina) su cui è collocato un rosario (la preghiera recitata). Accantoalla donna, un gallo sta a ricordare l’esortazione evangelica: “vegliate e pre-gate, per non cadere in tentazione” (Mt, 26, 41). [G.L.]

Bibl.: Lanera 1968, 1988; Di Mizio I/1978, 1979; Pasculli Ferrara 1995; Pellegrino 1993, 1997, 1998,1999; Lanzilotta 1999-2000.

25. ALLEGORIA DI UN MODO DISUFFRAGIO PER I DEFUNTI:LA PREGHIERA INDIVIDUALE(1738-41)Castellana, Purgatorio

Olio su tela, cm 50x36 - discreto s. d. c.

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26. ALLEGORIA DI UN MODO DISUFFRAGIO PER I DEFUNTI:L'ELEMOSINA (1738-41)Castellana, Purgatorio

Olio su tela, cm 50x36discreto s. d. c.

Anche questo dipinto fa parte delle serie di cinque quadretti allegorici sui‘modi’ di suffragio per i defunti collocata sui vari lati del pulpito. Una donnavelata, in abito grigio con spalline a foglie e maniche rosse, ha un mantel-lo marrone poggiato di traverso sulle ginocchia che le nasconde le mani; sulsuo capo arde un lume.

Davanti a lei sono raffigurati due fanciulli che tendono le mani aperte inatto di chiedere l’elemosina. La rifinitura dell’abito suggerisce una certaagiatezza della donna; lo spirito di discernimento e di fede viene espressodal lume; il velo sul capo, come anche le mani nascoste indicano la discre-zione e la riservatezza nell’esercizio caritatevole, secondo il passo evange-lico: “Guardatevi dal praticare le vostre buone opere davanti agli uominiper essere da loro ammirati […]. Quando tu fai l’elemosina, non sappia latua sinistra ciò che fa la tua destra, perché la tua elemosina resti segreta”(Mt, 6, 1-4). I fanciulli richiamano un altro insegnamento delle Scritture: “Echi avrà dato anche un solo bicchiere di acqua fresca a uno di questi pic-coli […] non perderà la sua ricompensa” (Mt, 10, 42). [G.L.]

Bibl.: Lanera 1968, 1988; Di Mizio 1979; Pasculli Ferrara 1995; Pellegrino 1993, 1997, 1998, 1999;Lanzilotta 1999-2000.

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Altro quadretto della serie allegorica presente sul pulpito. Il dipinto mostraun uomo imbavagliato vestito di una tunica bianca e con un mantello verdea tracolla. Solleva con la mano destra un cartiglio sul quale è scritto:“PAUCO VESCOR” (digiuno), e porta un pesciolino legato al pollice conuna cordicella. Dall’altro lato tiene sotto braccio un coniglio, e con il piededestro schiaccia un drago dalle fauci spalancate. L’insieme pone l’accentoe sulla frugalità dei pasti (il pesciolino da un canto e il gesto di protezionedel coniglio dall’altro) e sulla discrezione nell’esercizio del digiuno (simbo-leggiato dal bavaglio), espressamente offerto a Dio tramite il chiaro cartiglioche viene tenuto sollevato; così anche lo sguardo dell’uomo è rivolto alCielo.

La presenza del drago sottomesso richiama un’altra affermazione evan-gelica: "Questa razza di demoni non si scaccia se non con la preghiera e ildigiuno" (Mt, 17, 21). [G.L.]

Bibl.: Lanera 1968, 1988; Di Mizio 1979; Pasculli Ferrara 1995; Pellegrino 1993, 1997, 1998, 1999;Lanzilotta 1999-2000.

27. ALLEGORIA DI UN MODO DISUFFRAGIO PER I DEFUNTI:IL DIGIUNO (1738-41)Castellana, Purgatorio

Olio su tela, cm 50x36 - discreto s. d. c.

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28. ALLEGORIA DI UN MODO DISUFFRAGIO PER I DEFUNTI:LA MESSA (1738-41)Castellana, Purgatorio

Olio su tela, cm 50x36discreto s. d. c.

Appartenente alla serie di dipinti a contenuto allegorico presente sul pul-pito. Un sacerdote è inginocchiato sulla nuvola: ha davanti un altare appa-recchiato con gli strumenti della celebrazione eucaristica ed indossa i para-menti del rito funebre.

Ha lo sguardo rivolto al Cielo al quale è collegato mediante un intensofascio di luce (la Grazia divina); con la mano destra agita un turibolo, sim-bolo qui della preghiera comunitaria nella celebrazione della messa. [G.L.]

Bibl.: Lanera 1968, 1988; Di Mizio 1979; Pasculli Ferrara 1995; Pellegrino 1993, 1997, 1998, 1999;Lanzilotta 1999-2000.

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Si tratta probabilmente dell’opera più complessa tra quelle presenti nel pulpito.Osserva con particolare acume interpretativo il Di Mizio: «L’insegnamento cristia-no ha rivolto sempre particolare attenzione alla valorizzazione della sofferenzatanto fisica quanto morale: la Redenzione stessa del genere umano è avvenutaattraverso la sofferenza culminata nel supplizio della croce. Condizione essenzia-le perché il dolore sia meritorio è lo stato di Grazia, l’accettazione in spirito difede».

È il tema svolto nella presente tela, che sul pulpito è la prima a partire dallasinistra verso destra. Presenta una figura femminile assisa su nuvole con le spallee il capo coperto da un mantello chiaro su abito marrone. Una corona di spine lecinge la fronte, una lunga trina nera pende dal braccio destro, lo sguardo è fissosu una piccola croce tenuta con la mano sinistra.

Davanti alla donna, su un piano più basso, è collocato un angioletto che reggeun pesciolino appeso a una cordicella ed una graticola. L’angelo, messaggero divi-no, stabilisce un collegamento col soprannaturale, la corona di spine richiama laPassione di Cristo, la trina nera potrebbe alludere a un lutto per la perdita di uncongiunto. Il pesciolino riporta il tema dell’astinenza, idea rafforzata dalla presen-za della graticola (che può indicare la frugalità nei condimenti). La croce alludealla compartecipazione alle sofferenze di Cristo, secondo l’insegnamento evange-lico: “Se qualcuno vuol venire dietro di me rinneghi se stesso, prenda la sua crocee mi segua” (Mc, 8, 34).

In sostanza il messaggio che traspare è l’invito all’accettazione serena delle pro-prie sofferenze nell’imitazione di Cristo, particolarmente attraverso l’eserciziodella speranza, della preghiera e della meditazione.

Da un punto di vista qualitativo la presente tela costituisce forse un esempiopiù modesto rispetto alle altre per il rapido tratto e per la sommarietà della resapittorica.

Ma non escludo possibili maldestri interventi successivi che ne possano avereguastato la lettura. [G.L.]

29. ALLEGORIA DI UN MODODI SUFFRAGIO PER I DEFUNTI:L'IMITAZIONE DI CRISTO (1738-41)Castellana, Purgatorio

Olio su tela, cm 50x36 - discreto s. d. c.

Bibl.: Lanera 1968, 1988; Di Mizio 1979; Pasculli Ferrara 1995; Pellegrino 1993, 1997, 1998, 1999;Lanzilotta 1999-2000.

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L’opera è conservata in sacrestia. Il ritratto ha le medesime sembianze del pon-tefice S. Pio V in estasi davanti al crocifisso dei domenicani di Putignano, comepressoché identica è la mitra sul capo. Porta con la mano sinistra il libro e ilpastorale, mentre con la destra è in atto di benedire.

Date le sue piccole dimensioni, il quadro doveva certamente essere desti-nato a devozione privata: il Santo pontefice è tradizionalmente identificatocome Leone I (440-461), che era, tra l’altro, il patrono di Castellana (fino al2003, anche se affatto dimenticato; per decreto vescovile fu spodestato dallaMadonna della Vetrana, forse ben più remunerativa per i devoti castellanesi).[G.L.]

Bibl.: Lanera 1968, 1988, 1990, 1991; Pellegrino 1997, 1998, 1999; Lanzilotta 1999-2000.

30. S. LEONE MAGNO (1738-41)Castellana, S. Francesco d’Assisi

Olio su tela, cm 40x30 ca. - buono s. d. c.

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31. ANNUNCIAZIONE (1738-54)Castellana, S. Francesco d’Assisi

Olio su tela, cm 36x45 - restauro 1993 ca.;buono s. d. c.

La piccola tela era originariamente collocata sulla cantoria, sopra il presbite-rio. Delle quattro annunciazioni che si conoscono del Fato, essa è l’unica condisposizione orizzontale della composizione: una soluzione magnifica per irisultati ottenuti, che fanno di quest’opera una delle più suggestive e riuscitedel suo catalogo. Mai prima d’ora il pittore aveva raggiunto una resa formale ecromatica così elevata, tanto che sarei propenso a collocare questo lavoro nellapiena maturità, intorno ai primi anni cinquanta: la Vergine, illuminata diSpirito Santo (si noti il candido fascio di luce che la lega alla colomba), chinaumilmente il capo e in braccia conserte manifesta la sua partecipe adesione aldisegno divino; davanti a lei sta l’angelo, che è ritratto con un disegno delica-tissimo, «reso quasi evanescente da pieghe e trasparenze ottenute da sicurepennellate di bianco di zinco» (Pellegrino). [G.L.]

Bibl.: Lanera 1988, 1990; Pellegrino 1993, 1997; Lanzilotta 1999-2000.

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In origine il quadro era collocato sul pulpito; ora è in sacrestia. È cronologica-mente vicino alla Circoncisione di Rutigliano per le analogie stilistiche nellaresa anatomica del Santo e del S. Giovanni Battista in particolare.

Il Santo ritratto ha caratteristiche fisiognomiche molto marcate, corrispon-denti a quella che fu la sua personalità e la sua storia: un carattere fiero, deter-minato, sicuro di essere nel giusto, coraggioso e dall’animo combattivo.

«Il volto scarno, la fronte alta, luminosa e solcata da profonde rughe,l’espressione assorta degli occhi conferiscono al soggetto un atteggiamento diprofonda pensosità accentuata dalla concentrazione delle alte luci soprattuttonella parte alta del volto» (Di Mizio).

Incurante dell’età avanzata, con la mano destra stringe vigorosamente l’im-pugnatura della spada, suo tradizionale attributo iconografico: dalle sue manisi distinguono in buona evidenza le grosse vene affioranti sulla pelle. Con lamano sinistra stringe il libro, circondato dall’ampio mantello rosso che loavvolge per più della metà del busto. [G.L.]

Bibl.: Di Mizio I/1978; Lanera 1988, 1990; Pasculli Ferrara 1995; Pellegrino 1997; Lanzilotta 1999-2000.

32. SAN PAOLO APOSTOLO(1740-42)Castellana, S. Francesco d’Assisi

Olio su tela, cm 84x60 - discreto s. d. c.cadute di colore

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33. IMMACOLATA (1740-42)Mola di Bari, S. Nicola, Oratoriodell’Immacolata

Olio su tela, cm 80x60 - restauro 1976;buono s. d. c.

Eseguita probabilmente in occasione dell’erezione dell’Oratorio (1740), percommissione delle famiglie patrocinanti Zuccarino e Martinelli: prima, quin-di, del ritorno del pittore a Napoli del 1742.

La Vergine è ritratta nella postura che ricalca l’iconografia tradizionale,entro una tavolozza prodiga di tonalità fredde, come è consueto nei lavori delFato, tra cui emerge il manto azzurro che la avvolge. [G.L.]

Bibl.: AAVV 1980; Sciacovelli – Viceconte 1998; Gelao 1994; Lanzilotta 1999-2000.

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È una copia della omonima statua di Aurelio Persio (1551) conservata in S.Leone Magno a Castellana. Dal disegno del Fato è stata ricavata un’incisioneda Secondo Bianchi a Napoli nel 1791, riprodotta in catalogo.

Riporto la traduzione di Marco Lanera del testo nell’incisione: “Immaginedella Madre di Dio, la Vergine della Consolazione, che scolpita in pietra dalconcittadino Aurelio Persio, discepolo del Buonarroti, nell’anno 1551, pia-mente è venerata quale Ottima Patrona, nella chiesa di S. Leone, a Castellana,nella Peucezia. Vincenzo Fato, di Castellana, copiò dall’originale nel 1741.Secondo Bianchi incise a Napoli, nel 1791”. [G.L.]

Bibl.: Lanera 1968; Pasculli Ferrara 1995; Lanzilotta 1999-2000, 2005.

34. MATER DOMINI (1741)Originale perduto - disegno

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35. CIRCONCISIONE CONS. S. GIOVANNI BATTISTAE LIBORIO (1741)Rutigliano, S. Domenico

Olio su tela, cm 212x154 - mediocre s. d. c.;in più punti la tela è lacerata

Firmata e datata, l’opera è stata commissionata dalla nobile AgnesePappalepore Troiani per il suo altare privato nella chiesa dei domenicani diRutigliano.

Insolita e per certi aspetti originale la soluzione compositiva di questa palad’altare, che vede la compresenza di un quadro all’interno di un quadro maggio-re. Entro un ampio e rasserenato paesaggio, sono raffigurati S. Giovanni Battistaseduto su una cassa recante bene in vista lo stemma della famiglia Pappalepore(un lupo che mangia una lepre), il quale indica un quadro su tela trasportato involo da due angeli. Accanto al Precursore è inginocchiato S. Liborio (riconoscibi-le per l’abito vescovile ed il libro con i sassolini accanto a lui), in atteggiamentodevoto davanti alla visione della tela. In essa è rappresentata la Circoncisione diGesù; sullo sfondo, interessante è la soluzione architettonica decorativa scelta dalFato, con l’apertura del Tempio in un porticato a esedra, visibile dato il solleva-mento di un grande drappo verde sulla sinistra.

Non si trovano simili modelli compositivi contemporanei nell’area dellaTerra di Bari, eccetto i soliti quadri del tipo Santi che adorano l’immagine diS. Domenico / della Madonna, i quali però non offrono soluzioni così dinami-che e ardite.

Un riferimento - seppure di ambito profano - vicino alle conoscenze del pitto-re può trovarsi nella nota tela Allegoria della Pace di Rastatt ed Utrecht (1714-18ca.) del suo presuntomaestro Paolo DeMatteis, conservata attualmente alla SarahCampbell Blaffer Foundation a Houston, in Texas (USA). [G.L.]

Bibl.: Boraccesi 1984; Lanera1988; Pasculli Ferrara 1995; Lanzilotta 1999-2000.

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Collocata al centro della cantoria, tra i quattro Evangelisti, vicini ad essaanche cronologicamente. Di quest’opera fa rilevare la Pasculli Ferrara che “èevidente la precisa ripresa iconografica dal suo disegno del 1741” dellaMadonna di Aurelio Persio, utile terminus ante quem.

Nella presente tela la Vergine si distingue tra i vari modelli di Madonne proprioper il discostarsi per questa occasione dagli stilemi compositivi a cui è avvezzo ilpittore: qui la madre è senza il velo che le copre il capo, lo sguardo - in osservanzaalmodello scultoreo aureliano - è aperto e fermo; così anche sono riproposti in formapittorica la diversa acconciatura di capelli, parimenti il vestito e la mantellina lega-ta sul petto da una fibula dorata. [G.L.]

Bibl.: Pasculli Ferrara 1995; Pellegrino 1997; Lanzilotta 1999-2000.

36. MATER DOMINI (1741-42)Castellana, Purgatorio

Olio su tela, cm 75x65 - discreto s. d. c.

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37. S. LUCA (1741-42)Castellana, Purgatorio

Olio su tela, cm 75x65 - discreto s. d. c.

È collocata sulla cantoria, assieme alla Mater Domini e agli altri Evangelisti.L’autografia del Fato, a proposito di tutte le figure degli evangelisti, è alquan-to tormentata. Per la Testini (schede SBAAAS 1986) e per Abbate (com. or.1998) si tratterebbe di opere di bottega; diversamente propendono ilPellegrino e chi scrive. Piuttosto si può affermare che si tratti di lavori di mino-re impegno e di finalità maggiormente decorativa, benché tutti e quattro man-tengano comunque un livello qualitativo non inferiore ai parametri minimidella produzione del pittore.

Il Santo è colto in atto di redigere il suo Vangelo, mentre alle sue spalle s’in-travede in penombra il bue, suo tradizionale attributo iconografico. [G.L.]

Bibl.: Di Mizio I/1978; Pellegrino 1997; Lanzilotta 1999-2000.

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Collocata sulla cantoria, assieme alla Mater Domini e agli altri Evangelisti.Il Santo è ritratto col viso in penombra, mentre è volto a cercare ispirazio-

ne o suggerimenti da un angelo, sua figura di accompagnamento, al quale è,nell’iconografia sacra, tradizionalmente associato. [G.L.]

Bibl.: Di Mizio I/1978; Pellegrino 1997; Lanzilotta 1999-2000.

38. S. MATTEO (1741-42)Castellana, Purgatorio

Olio su tela, cm 75x75 - discreto s. d. c.

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39. S. MARCO (1741-42)Castellana, Purgatorio

Olio su tela, cm 75x75 - discreto s. d. c.

Altra tela collocata sulla cantoria, assieme alla Mater Domini e agli altriEvangelisti. È stilisticamente e qualitativamente il quadro più riuscito dellaserie, per la amabile resa della postura e del volto del Santo, ritratto in unatteggiamento che ricorre di frequente nei personaggi fateschi. Il Pellegrino vivedrebbe un autoritratto del pittore. [G.L.]

Bibl.: Di Mizio I/1978; Pellegrino 1997; Lanzilotta 1999-2000.

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Fa parte della serie dei quadri sugli Evangelisti collocati sulla cantoria dellachiesa. Il Santo è raffigurato insieme al libro e all’aquila, suo tradizionale attri-buto iconografico. Alle spalle, il fondo mostra un cielo nuvoloso e oscuro chefa risaltare la sua figura accrescendo la luminosità del mantello rosso.

Sul piano qualitativo il dipinto è il meno convincente della serie; si devepensare a un probabile e fors’anche ampio intervento di bottega. [G.L.]

Bibl.: Di Mizio I/1978; Pellegrino 1997; Lanzilotta 1999-2000.

40. S. GIOVANNI (1741-42)Castellana, Purgatorio

Olio su tela, cm 75x65 - discreto s. d. c.

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41. NATIVITÀ DI GESÙ (1742)Napoli, Duomo,sacrestia del Tesoro di S. Gennaro

Olio su rame, cm 43x32 - discreto s. d. c.

È firmata “OPUS VINCENTII FATO BARENSIS 1742”, a differenza degli altriovali in rame nei quali si firma “a Castellana”. Si tratta verosimilmente dellaprima opera eseguita per il Tesoro di S. Gennaro. Catello ipotizza che tale impor-tante commissione sia avvenuta da parte di un deputato del Tesoro, nobile puglie-se. Fa parte di un ciclo di otto opere, quattro su rame e quattro su tela: i dipintisu rame raffigurano degli episodi dell’infanzia di Gesù; oltre al presente, vi èanche l’Epifania, la Presentazione al tempio, il Cristo fra i dottori. I dipinti su telaraffigurano episodi dell’età adulta di Cristo, inerenti a dei miracoli.

L’ovale, di armoniosa composizione, servirà al pittore come modello per unapala del medesimo soggetto dipinta nel 1768 per la chiesa matrice di Noci (cfr.scheda 88). [G.L.]

Bibl.: Catello 1977; Strazzullo 1978; Lanera 1988; Pasculli Ferrara 1995; Pellegrino 1998, 1999;Lanzilotta 1999-2000.

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L’ovale, firmato, fa parte di una serie di quattro opere sul tema dell’infanziadi Cristo dipinta per il Tesoro di S. Gennaro.

La scena è tratta dal racconto dell’evangelista Matteo (2, 11). Con virtuo-sismi da miniaturista il Fato realizza una scena di gustoso sapore esotico (sinotino in particolare i due cammelli e i costumi “all’orientale”), sempre com-prendente l’arioso paesaggio e il coro di angioletti sulle vaporose nubi.Straordinaria testimonianza di come l’artista fosse capace in un contesto diconcorrenza agguerrita sapersi distinguere e trovare una certa affermazioneprofessionale, riuscendo a lasciare una serie di dipinti per la chiesa piùimportante della capitale. [G.L.]

Bibl.: Catello 1977; Strazzullo 1978; Lanera 1988; Pasculli Ferrara 1995; Pellegrino 1998, 1999;Lanzilotta 1999-2000.

42. ADORAZIONE DEI MAGI (1742)Napoli, Duomo, sacrestia del Tesorodi S. GennaroOlio su rame, cm 43x32 - discreto s. d. c.

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43. PRESENTAZIONE AL TEMPIO(1742)Napoli, Duomo, sacrestia delTesoro di S. Gennaro

Olio su rame, cm 43x32 - discreto s. d. c.

L’ovale, firmato, fa parte di una serie di quattro opere sul tema dell’infanziadi Cristo dipinta per il Tesoro di S. Gennaro.La scena è tratta dal racconto dell’evangelista Luca (2, 25-35).

Si ritrova uno stilema dell’autore, il pavimento “a chianche”, assieme adettagliati elementi di insolita eleganza, quali l’elaborato disegno del tavolotondo presso la Vergine e l’accurata natura morta degli oggetti che vi sonopoggiati; nell’insieme è senz’altro una delle sue composizioni più felici, comepure gli altri ovali della serie. [G.L.]

Bibl.: Catello 1977; Strazzullo 1978; Lanera 1988; Pasculli Ferrara 1995; Pellegrino 1998, 1999;Lanzilotta 1999-2000.

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L’ovale, firmato, fa parte di una serie di quattro opere sul tema dell’infanzia diCristo dipinta per il Tesoro di S. Gennaro. La scena è tratta dal racconto del-l’evangelista Luca (2, 41-47).

Composizione dinamica e affollata di figure dei sacerdoti che si affannanoa mettere in difficoltà il giovane Gesù, il quale invece si muove con disinvol-tura nelle questioni che gli vengono sottoposte. Sullo sfondo si intravedono isuoi genitori che finalmente lo ritrovano. [G.L.]

Bibl.: Catello 1977; Strazzullo 1978; Lanera 1988; Pasculli Ferrara 1995; Pellegrino 1998, 1999;Lanzilotta 1999-2000.

44. GESÙ FRA I DOTTORI (1742)Napoli, Duomo, sacrestia delTesoro di S. GennaroOlio su rame, cm 43x32 - discreto s. d. c.

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45. CRISTO E LO STORPIO(1742-43)Cava de’ Tirreni, collezioneprivata

Olio su tela, cm 16x23 - restauro 1975 ca.;discreto s. d. c.

L’episodio del risanamento dell’uomo dalla mano inaridita è tratto dai vangelisinottici: Matteo 12, 10-13; Marco 3, 1-5; Luca 6, 6-10.

Il quadretto fu in un primo momento pensato come schizzo preparatorio diun lavoro del ciclo dei Miracoli di Cristo per l’antisacrestia del Tesoro di S.Gennaro nel duomo di Napoli. Successivamente il pittore preferì eseguire unaltro soggetto.

Date le dimensioni ridotte e la finalità dell’opera, il dipinto presenta un’ese-cuzione sommaria e frettolosa, non esente tuttavia da una certa attenzione peril vicendevole gioco di sguardi dei diversi personaggi. [G.L.]

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L’episodio è tratto dal vangelo di Marco (7, 32-35).Come nel caso del Cristo e lo storpio, anche questo quadretto fu in un primo

momento pensato come schizzo preparatorio di un lavoro del ciclo deiMiracoli di Cristo per l’antisacrestia del Tesoro di S. Gennaro, e in seguitosostituito con un altro soggetto. Di qui si giustifica una condotta pittorica nonal livello delle migliori prestazioni del Fato. [G.L.]

46. CRISTO E IL MUTO (1742-43)Cava de’ Tirreni, collezione privata

Olio su tela, cm 16x23 - restauro 1975 ca.;discreto s. d. c.

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47. CRISTO E L’IDROPICO(1742-43)Cava de’ Tirreni, collezioneprivata

Olio su tela, cm 16x23 - restauro 1975 ca.;discreto s. d. c.

La piccola tela rettangolare costituisce il bozzetto per il dipinto mistilineodell’antisacrestia del Tesoro di S. Gennaro.

Rispetto ad altre prove del genere, quali l’Annunciazione Gabrieli (scheda14) e la Madonna con i S. S. Gaetano e Teresa degli Alcantarini (scheda 61),le divergenze tra bozzetto e lavoro conclusivo sono in questo caso maggiori,quasi a voler essere un semplice schizzo, rapidamente tratteggiato per siste-mare i vari protagonisti della scena: speculare, rispetto all’altra versione, è ladisposizione dei personaggi; qui Cristo pone la mano sull’idropico, secondoun gesto taumaturgico, che sfuma nella versione definitiva in una posturameno tattile e più solenne. [G.L.]

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Il dipinto fa parte di una serie di quattro Miracoli di Cristo, non firmati né datati.Erano tradizionalmente attribuiti dalle guide a un certo Vincenzo Frate; sono statirestituiti al Fato dal Catello dal 1977. Sono databili nello stesso periodo dei quat-tro ovali del Tesoro di S. Gennaro, dando per inteso - come lectio facilior - cheappartengano allo stesso ciclo decorativo.

L’episodio è tratto dall’evangelista Luca (14, 1 e sgg.); Gesù sta domandandoai farisei e ai dottori della legge se sia lecito o no curare di sabato. È il momentoscelto dal pittore per rappresentare la scena, che precede il miracolo stesso.L’episodio secondo le Scritture si dovrebbe svolgere all’interno della casa di unfariseo; il Fato preferisce un’ambientazione all’esterno, per poter disporre con piùdisinvoltura il numero di persone che occupa la scena. Si evince subito come inquesti primi lavori noti del periodo napoletano il linguaggio figurativo si elevi ditono, senz’altro stimolato dalla grandissima offerta di riferimenti pittorici del pas-sato e contemporanei: affiorano così echi dell’arte dell’ambito del De Matteiscome pure, filtrati o per conoscenza diretta di opere, emergono richiami a model-li dell’area romana (Gaulli, Maratta) e bolognese (Reni, Guercino, Dal Sole). [G.L.]

Bibl.: Catello 1977; Strazzullo 1978; Lanera 1988; Pasculli Ferrara 1995; Pellegrino 1998, 1999;Lanzilotta 1999-2000.

48. CRISTO E L’IDROPICO(1742-43)Napoli, Duomo, antisacrestia delTesoro di S. Gennaro

Olio su tela, cm 60x40 ca. - discreto s. d. c.

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49. CRISTO E IL CIECO DI GERICO(1742-43)Cava de’ Tirreni,collezione privata

Olio su tela, cm 16x23 - restauro 1975 ca.;discreto s. d. c.

Come già nel caso di Cristo e l’idropico, anche questo piccolo olio costituisceil bozzetto per l’analogo dipinto mistilineo dell’antisacrestia del Tesoro di S.Gennaro.

Poche sono qui le divergenze rispetto alla versione definitiva, per giunta inuna prova qualitativamente più accurata rispetto alle altre della serie. [G.L.]

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Altro dipinto appartenente al ciclo dei Miracoli di Cristo realizzato per ilTesoro di S. Gennaro. L’episodio è riportato nel Vangelo di Marco (10, 46-52).

Qui, come anche nella Guarigione del paralitico di Cafarnao e in Cristo el’idropico, il pittore una o più figure in primo piano viste di spalle, soluzionefinalizzata ad un maggiore coinvolgimento emotivo da parte dell’osservatore,dandogli l’impressione di sentirsi parte della scena. [G.L.]

Bibl.: Catello 1977; Strazzullo 1978; Lanera 1988; Pasculli Ferrara 1995; Pellegrino 1998, 1999;Lanzilotta 1999-2000.

50. CRISTO E IL CIECO DI GERICO(1742-43)Napoli, Duomo, antisacrestia delTesoro di S. Gennaro

Olio su tela, cm 60x40 ca. - discreto s. d. c.

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51. CRISTO E IL PARALITICO DICAFARNAO (1742-43)Napoli, Duomo, antisacrestia delTesoro di S. Gennaro

Olio su tela, cm 60x40 ca. - discreto s. d. c.

Il dipinto è parte del ciclo dei Miracoli di Cristo realizzato per il Tesoro di S.Gennaro. Riguarda il noto episodio della guarigione del paralitico di Cafarnao,narrata nel Vangelo di Marco (2, 1-12).

Ancora più affollata di personaggi rispetto alle altre tele, la scena presentain primo piano al centro Cristo, che ordina al paralitico di alzarsi. Questi sileva dal lettuccio ancora incerto delle perentorie parole di Gesù (“ti ordino –disse al paralitico – alzati, prendi il tuo lettuccio e va’ a casa tua”), davanti allostupore degli astanti. Sullo sfondo, in penombra, si distingue una massicciaarchitettura che occupa quasi l’intera superficie superiore del dipinto, tanto dafare intravedere appena uno squarcio di cielo. [G.L.]

Bibl.: Catello 1977; Strazzullo 1978; Lanera 1988; Pasculli Ferrara 1995; Pellegrino 1998, 1999.

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Altro dipinto appartenente al ciclo dei Miracoli di Cristo realizzato per ilTesoro di S. Gennaro. Si riferisce all’episodio narrato nel testo di Matteo (15,21-28). Riuscita è senz’altro la soluzione compositiva adottata in questa tela:i personaggi sono disposti in due distinti gruppi, separati al centro da uno spa-zio vuoto che dall’alto va sempre più restringendosi verso il basso fino a farconvergere lo sguardo verso il cagnolino ai piedi del Cristo, fulcro dell’episo-dio (cfr. Mt, 15, 26-27): “[Gesù] rispose: ‘Non è bene prendere il pane dei figliper gettarlo ai cagnolini’. ‘È vero, Signore, disse la donna, ma anche i cagno-lini si cibano delle briciole che cadono dalla tavola dei loro padroni’”). Sulfondo compare un edificio merlato in mezzo alla campagna. Elemento costan-te in tutte le scene del ciclo, il gruppuscolo di angioletti in gloria tra le nuvo-le dorate. [G.L.]

Bibl.: Catello 1977; Strazzullo 1978; Lanera 1988; Pasculli Ferrara 1995; Pellegrino 1998, 1999;Lanzilotta 1999-2000.

52. CRISTO E LA CANANEA(1742-43)Napoli, Duomo, antisacrestia delTesoro di S. Gennaro

Olio su tela, cm 60x40 ca. - discreto s. d. c.

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53. LA SACRA FAMIGLIAAPPARE A S. TERESA IN ESTASI(1743)Frasso Telesino, S. Maria delSoccorso alias Chiesa di Campanile

Olio su tela, cm 210x170 ca.restauro 1999; buono s. d. c.

L’opera è datata e firmata: “OPUS VINCENTII FATO / [A] CASTELLANA1743”; fu realizzata per un altare laterale della chiesa parrocchiale del paesedell’Appennino beneventano.

Commissionata a Napoli presso lo studio del pittore, la tela pervenne aFrasso nel dicembre dello stesso anno. La scena è tratta da un episodio narra-to dalla stessa santa nella sua Vita: il mistico incontro sarebbe avvenuto il gior-no dell’Assunzione del 1561. In quell’occasione la Madonna la avrebbe esor-tata a realizzare la fondazione di un monastero.

Elaborata e suggestiva la composizione, che può essere considerata tra lepiù ispirate e riuscite della produzione pittorica del Fato, gradevole nella fre-schezza del segno e nella resa particolare degli angeli: in particolare, le mag-giori simpatie vanno alla coppia di angioletti seduti in basso per terra, che siabbracciano vicendevolmente. [G.L.]

Bibl.: Piscitelli – Battisti – Calandra 1997; Lanzilotta 1999-2000, 2000, 2001, 2003.

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Il dipinto è firmato sul retro: “OPUS VINCE[N]TJ FATO / 1743”.Pur accettando l’autografia del pittore, data la minore qualità dell’opera,

deve trattarsi probabilmente di un lavoro con ampio intervento di bottega.S’ignorano in merito la committenza e la storia del dipinto, come pure le

cause che lo hanno portato alla attuale ubicazione. [G.L.]

Bibl.: Lanzilotta 1999-2000.

54. ADDOLORATA (1743)Manfredonia, Pinacoteca Civica

Olio su tela, cm 45x39 - restauro 2001(foto a destra: particolare del retro deldipinto)

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55. MADONNA DEL CARMINE EANIME PURGANTI (1744)Castellaneta, S. Giuseppe

Olio su tela, cm 173x128 - mediocre s.d. c.;lacerazioni.

Commissionata dai conti Sarapo di Castellaneta per la loro chiesa privata, fir-mata e datata. Il soggetto iconografico è tra i più usati del pittore, di cui siconoscono altre tre versioni, nelle chiese confraternali del Purgatorio diCastellana e Conversano.

Tra le anime dei purganti si distinguono un chierico (di spalle in primopiano), un uomo barbuto (di profilo a destra), una figura virile (con le bracciaalzate), raffiguranti verosimilmente dei parenti defunti dell’illustre casata loca-le.

Non trattandosi in questo caso di un’opera concepita come pala d’altare peruna destinazione specifica, è probabile che i Sarapo abbiano acquistato la teladirettamente dallo studio del pittore, che in quel periodo viveva a Napoli. [G.L.]

Bibl.: Lanzilotta 1999, 1999-2000, 2001.

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Dipinto polilobato, firmato e datato. Fa parte di una serie di due Scene dellavita della Santa, all’interno della cappella a lei dedicata nella chiesa oliveta-na di Napoli.

La scena presenta la Santa giovinetta che viene presentata al suo futuromarito, Lorenzo de’ Ponziani, ricco mercante e comandante delle truppe pon-tificie di Roma.

L’insolita composizione, affollata di personaggi, si riallaccia alle soluzioniformali adottate per le Storie dell’infanzia e miracoli di Cristo del Tesoro di S.Gennaro, aventi in comune una precisa connotazione narrativa, piuttosto chedevozionale. [G.L.]

Bibl.: Galante 1872; Catello 1977; Strazzullo 1978; Lanera 1988; Pasculli Ferrara 1994, 1995; Pellegrino1998, 1999; Lanzilotta 1999-2000.

56. S. FRANCESCA ROMANAADOLESCENTE (1747)Napoli, S. Anna dei Lombardi

Olio su tela, cm 130x220 - discreto s. d. c.

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57. L’ANGELO DIFENDES. FRANCESCA ROMANA DALLEPERCOSSE DEL DEMONIO (1747)Napoli, S. Anna dei Lombardi

Olio su tela, cm 130x220 - discreto s. d. c.

Dipinto polilobato, firmato e datato. Costituisce il pendant del quadro prece-dente della serie di due Scene della vita della Santa, nella chiesa degliOlivetani di Napoli.

La scena presenta la Santa in preghiera all’interno della sua camera daletto, mentre è difesa da un angelo che la protegge dai tormenti del demonioe di altri mostri insidiosi. Composizione molto riuscita, tra le migliori del pit-tore, nella sua delicata rappresentazione dell’intimità domestica: una cameraspoglia, un letto, un tavolino su cui è poggiato un libro di preghiere e un cro-cifisso, l’immancabile pavimento “a chianche”.

Suggestiva la rappresentazione dei mostri demoniaci, anch’essi insoliti aessere raffigurati nei dipinti a soggetto devozionale del Fato.

Analoghe figure si possono ritrovare, seppure in tono minore, nel pescegatto della pala del Purgatorio di Noci, nella allegoria del digiuno del pulpi-to del Purgatorio castellanese, e più vagamente negli eretici del S. Tommasod’Aquino o nel demonio sottomesso del S. Michele Arcangelo, entrambi in S.Domenico a Putignano. [G.L.]

Bibl.: Galante 1872; Catello 1977; Strazzullo 1978; Lanera 1988; Pasculli Ferrara 1994, 1995; Pellegrino1998, 1999; Lanzilotta 1999-2000.

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Eseguita probabilmente in occasione dei lavori per l’ampliamento dellaCappella del SS. Sacramento, conclusisi nel 1752. Il soggetto è assai vicinostilisticamente - ma di qualità nettamente superiore - all’Eterno eseguito perla cantoria della chiesa dei Paolotti di Castellana (opera peraltro di datazioneincerta).

Il dipinto presenta richiami ad analoghe rappresentazioni del De Matteis,da cui si evincono altresì supporti compositivi e cromatici di Lanfranco eGiordano: riferimenti di sicuro possesso nell’arte del Fato, allora appena tor-nato dalla lunga permanenza nella capitale. [G.L.]

Bibl: Mongelli in AAVV 1980; Milano 1982; D’Elia 1982; Sciacovelli – Viceconte 1998;Lanzilotta 1999-2000.

58. PADRETERNO (1752 CA.)Mola di Bari, S. Nicola

Olio su tela, cm 160x110 - restauro 1976;buono s. d. c.

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La scritta dedicatoria nega o rende dubbia l’attribuzione del dipinto a VincenzoFato, ma il restauro già concluso e le ricerche documentarie e bibliografiche appenainiziate inducono a mantenere il riferimento al pittore castellanese, ipotizzato qualcheanno fa da Giacomo Lanzilotta (1999-2000), o, tuttalpiù, ad ammettere l’intervento diun aiuto o di un suo imitatore. Vi si legge che, nel 1802, Francesco Antonio Albanesedonò alla chiesa del Purgatorio l’opera che aveva fatto restaurare da GiovanniD’Episcopo.Questi, un pittore che dal cognome si direbbenapoletano, avrebbe aggiun-to altre immagini alla tela originariamente dipinta da un certoBenasco (qui il testo nonemendato: «FRANCISCUS ANTONIUS ALBANESE DE’ CASTRIOTI PETRIANTONII FILIUS / HANC TELAMANTEAPERBENASCUMPICTAMAB IOAN-NE D’EPISCOPO RESTAURAVI / ATQUE ALIIS IMAGINIBUS AUGI, ORNARI-QUE CURANS PIUS DICAVIT ANNO MDCCCII»). Non è dato sapere se Benascofosse il nome o lo pseudonimo del primo artista né se fosse riportato sulla tela; in talcaso, si potrebbe anche supporre una versione errata perBernasco oBernascone, oppu-re proprio per Beinaschi, lo stimato pittore di nome Giovanni Battista (1636-1688).

Trent’anni fa, catalogando il dipinto per la Soprintendenza Gallerie di Bari,Consiglia De Venere copiò per intero la scritta; collocò l’esecuzione del lavoro origina-le nella seconda metà del XVIII secolo e intitolò tutta l’opera, finita agli inizi del seco-lo successivo, La Natività [di Gesù] e Santi, senza riuscire ad identificare con precisio-ne il soggetto. Nel 2000, quando Giacomo Lanzilotta la inserì nel suo primo catalogodelle opere di Vincenzo Fato, l’inedita tela del Purgatorio di Noci era molto rovinata,della scritta si leggeva bene soltanto l’anno; ciononostante lo studioso individuò gli sti-lemi iconografici e le affinità con altre tele dell’artista, corresse l’identificazione dellaNatività, che è inequivocabilmente quella della Madonna, e avanzò distinte propostedi attribuzione per il riconoscimento dei santi che attorniano questa e l’altra scena inprimo piano, avente come protagonista l’arcangelo Raffaele che accompagna Tobiolopresso il fiume Tigri.

Svolto con l’ausilio di radiografie, il restauro dellaNatività diMaria e Santi non soloha reso leggibili le figure e i particolari della composizione,mediante la rimozione delleridipinture bituminose otto- e novecentesche, ma ha anche chiarito le modalità con cuiè stato ottenuto il supporto pittorico, già palese assemblaggio di due tele, una più vec-chia dell’altra, ora approssimativamente datate. Il soggetto della tela più antica, inbasso e in evidenza, è san Raffaele custode di Tobiolo e risalirebbe alla fine del XVIIsecolo; il soggetto della tela meno antica, aggiunta per due lati alla prima, è quello piùin alto, la natività di Maria apparsa a santa Teresa d’Avila, databile almeno a sessan-ta- settant’anni dopo. Per rappresentare la scena della Natività, il pittore ha adottatol’espediente del dipinto portato in volo dagli angeli, un motivo già riscontrato daLanzilotta nel Fato (Pala Pappalepore in S. Domenico a Rutigliano).

Il complesso soggetto della tela del Purgatorio di Noci, chiunque sia stato l’ideato-re, è il compendio dei culti via via introdotti nell’antico oratorio confraternale: lo dimo-strano i primi dati acquisiti dalla lettura comparata di documenti inediti (numerosi evari per tipologia, che è impossibile qui citare con le rispettive segnature archivistiche)e di opuscoli concernenti la storia della chiesa e della confraternita (ad esempio, LaCongregazione del Purgatorio di Noci. Le sue opere, Noci 1893). Nel corso del XVIIIsecolo, due dei cinque altari della chiesa erano dedicati rispettivamente a sant’Anna ea san Raffaele. Forse in relazione con il culto della madre della Madonna, protettricedelle partorienti, o forse perché già sentita a Noci, ebbe origine una speciale devozio-ne verso la Natività di Maria. Fu avviata inoltre, intorno al 1734, la costituzione delsodalizio dei «Fratelli della Natività e del Purgatorio sotto la protezione di SanRaffaele», dalla vita instabile e scarsamente documentata, non riconosciuto come loera invece l’antica confraternita del Purgatorio nella quale poi, nel 1853, finì per esse-re incorporato. L’altare di san Raffaele, a quell’epoca, si trova intitolato talvolta asant’Andrea Avellino, protettore contro la morte improvvisa, mentre il quadro si ritro-va altresì indicato come «San Raffaele e Sant’Andrea»: il santo riprodotto a destradell’Arcangelo, dunque, è sant’AndreaAvellino (e non san FilippoNeri), anche perché

59. TOBIOLO, L’ARCANGELORAFFAELE, SANT’ANDREAAVELLINO CON SOPRA LANATIVITÀ DI MARIA TRA S.PIETRO D’ALCANTARA E SANTATERESA D’AVILA, E ANGELI(1768 CIRCA)Noci, chiesa del Purgatorio(già S. Francesco da Paola)

Olio su tela, cm 128x87 - restauro 2005buono s. d. c.

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tra le messe da celebrare nel Purgatorio sono segnate quelle offerte a lui. Per ragionicompositive, il pittore dipinse Andrea in preghiera e non, secondo l’iconografia con-sueta, colpito a morte durante la celebrazione della messa; e la stessa cosa può dirsiper santa Teresa d’Avila, in alto a destra nella tela nocese: egli non rappresentò la scenadella transverberazione, più comunemente raccontata dalle immagini, ma la visionemistica della nascita di Maria. A sinistra è ritratto, con ogni probabilità, san Pietrod’Alcantara, promotore della riforma che ricondusse l’Ordine francescano al rigoredella prima Regola; l’iconografia è la solita. Pietro, conterraneo e contemporaneo diTeresa, sarebbe stato raffigurato in corrispondenza della santa poiché la incoraggiò ariformare il Carmelo. Potrebbe essere, altrimenti, un alcantarino caratterizzato daun’analoga iconografia, Giovanni Giuseppe della Croce, rapito frequentemente davisioni della Madonna e di Gesù Bambino, soggetto a fenomeni di levitazione. Morto aNapoli nel 1734, fu beatificato nel 1789 e, l’anno dopo, eletto compatrono della città.A Napoli vissero per qualche tempo il Fato e gli Albanese (Francesco Antonio era ilfratello del noto Giuseppe, martire della Repubblica napoletana del 1799). Qualcuno,colpito personalmente o in maniera indiretta da un evento miracoloso, avrebbe sentitoil desiderio di vedere effigiato il frate dalla santa vita non ancora fatto santo. Questaseconda ipotesi, proposta per un prosieguo dell’indagine, sposterebbe in avanti il rifa-cimento del dipinto e ne assegnerebbe l’esecuzione ad un buon continuatore o imita-tore del Fato finora sconosciuto (D’Episcopo?).

Ferma restando l’analisi stilistica di Giacomo Lanzilotta, risulta, allo stato attualedelle ricerche, che il san Raffaele con Tobiolo è opera del Benasco, mentre il resto èattribuibile a Vincenzo Fato. Intorno al 1768, quando stava ultimando per la ChiesaMadre di Noci l’Adorazione dei pastori, il Fato, confratello del Purgatorio di Castellana,avrebbe realizzato per il Purgatorio di Noci la Natività di Maria e Santi, ancora unavolta mediante il reimpiego di una tela dipinta. Più tardi, infine, su commissione diFrancesco Antonio Albanese, priore della confraternita, l’opera sarebbe stata rimaneg-giata da Giovanni D’Episcopo che, però, firma dicendosi autore del restauro e dell’ag-giunta non meglio specificata «di immagini». [M.I.]

Bibl.: Lanzilotta 1999-2000, Intini 2005.

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L’infelice collocazione come cimasa dell’altare di S. Pasquale Baylon nonpermette una facile lettura del dipinto; oltretutto l’esposizione diretta allaluce solare proveniente dalla cupola e dalle finestre del transetto ha causatonel corso dei secoli un sensibile sbiadimento dei colori.

Nonostante ciò si denota l’alta qualità dell’opera, vicina stilisticamente aisoggetti analoghi della chiesa Matrice di Mola e della pala del Purgatorio diPolignano.

È da datarsi verosimilmente dopo la permanenza a Napoli del pittore, inuna fase artistica di piena maturità. [G.L.]

Bibl.: Lanzilotta 1999-2000.

60. IMMACOLATA (1752-80)Castellana, Madonna dellaVetrana

Olio su tela, cm 160x160 ca. - cattivo s. d. c.

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61. MADONNA CON BAMBINO,S. GAETANO DA THIENE E S.TERESA D’AVILA (1752-80)Castellana, già nel Conventodegli Alcantarini

Olio su tela, cm 54x42trafugato (o alienato?) in data imprecisatanel periodo 1999-2005

È il bozzetto realizzato per l’analoga tela conservata in S. Leonardo aCastellana; l’elemento paesaggistico sullo sfondo (nel quale s’intravedonoalcuni edifici, forse una veduta cittadina; cfr. la Madonna Pastora diSanteramo), ricorrente in molte opere della piena maturità e vecchiaia, indu-ce a collocare la datazione di queste opere posteriormente al soggiorno napo-letano degli anni ‘40. Il dipinto è ridotto nel numero di angeli e più fresco nel-l’elaborazione compositiva rispetto alla versione finale, che risulta sensibil-mente più appesantita nella parte superiore, con la Madonna tra le nuvole inun coro di angeli e cherubini.

La tela è misteriosamente scomparsa dalla sua precedente collocazione, inuna stanza della clausura conventuale, e risultata irreperibile; dal padre guar-diano del convento apprendo (comunicazione orale del 30 settembre 2005) chela tela è «irreperibile, non si sa da quanto tempo» (sicuramente dopo il dicem-bre 1998, quando chi scrive fotografò il dipinto). La scomparsa ha dei conno-tati oscuri. Non è stata mai fatta denuncia di furto del quadro. Perché i fratinon hanno mai sporto denuncia? il dipinto del Fato è stato realmente trafuga-to? come fa un quadro a sparire da una stanza della clausura, al primo pianodel convento, senza che nessuno se ne accorga (o si opponga)? [G.L.]

Bibl.: Lanzilotta 1999-2000.

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Pala per un altare laterale della chiesetta castellanese, di cui si ignora la commit-tenza. Per la cronologia, cfr. la scheda precedente.

Il dipinto presenta la più usata delle soluzioni compositive del pittore, secondolo schema triangolare che vede al vertice la Madonna col Bambino sulle nuvole inun coro festoso di angeli, e al di sotto i due Santi in estatica adorazione.

Meno felice in questo caso - rispetto e al bozzetto e ad altri analoghi soggetti -risulta la raffigurazione della Madonna e degli angioletti circostanti. [G.L.]

Bibliografia: Lanera 1988; Pellegrino 1997; Lanzilotta 1999-2000.

62. MADONNA CON BAMBINO,S. GAETANO DA THIENE E S.TERESA D’AVILA (1752-80)Castellana, S. Leonardo

Olio su tela, cm 163x117 - cattivo s. d. c.

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63. PADRETERNO (1752-70)Castellana, S. Francesco di Paola

Olio su tela, cm 80x140 ca.mediocre s. d. c.

Il dipinto, polilobato, è collocato sulla cantoria; stilisticamente vicino all’ana-loga tela di Mola, ma meno riuscito a livello qualitativo, si ipotizza essere statorealizzato intorno a quel periodo o alcuni anni dopo; è decisamente anterioreal Padreterno del Purgatorio di Castellana.

Attribuzione discussa: secondo Di Mizio (1978) al lavoro avrebbe parteci-pato un allievo nell’esecuzione del corpo e delle mani, mentre il viso rimanedato al Fato; secondo Abbate (com. or. 1998) si tratterebbe di opera di allievoo imitatore. [G.L.]

Bibl.: Di Mizio I/1978; Pellegrino 1997, 1998; Lanzilotta 1999-2000.

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L’opera, rovinatissima e quasi illeggibile, presenta nello sfondo paesaggisticocaratteri ricorrenti in altre tele, quali le due versioni di Madonna conBambino, S. Gaetano e S. Teresa e la Madonna d’ogni bene di Castellana, ilMiracolo di S. Mauro di Massafra, la Madonna Pastora di Santeramo e altre.Così un altro riferimento derivato dalla cultura figurativa napoletana è il drap-po vermiglio che si alza al di sopra del soggetto, a guisa di sipario teatrale, dirichiamo caravaggesco: soluzione già adottata in passato da Paolo De Matteis(cfr. la Danae del Detroit Institute of Arts a Detroit).

Precedentemente identificato come Amorino, nel soggetto è da riconoscer-si meglio il Bambino Gesù, per via della presenza di una sottile aureola, amalapena visibile intorno al capo. [G.L.]

Bibl.: Lanzilotta 1999-2000.

64. GESÙ BAMBINODORMIENTE (1752-80)Castellana, collezione privataOlio su tela, cm 60x80 ca. - pessimo s. d. c.

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65. ANGELO CUSTODE (1752-80)Castellana, collezione privata

Olio su tela, cm 104x77 - mediocre s. d. c.;lacerazioni e cadute di colore

Già appartenuto alla collezione di Teresa Gabrieli, da cui derivanol’Annunciazione omonima, il S. Luigi Gonzaga, Gesù Bambino dormiente e laMaddalena penitente.

Date le ridotte dimensioni, l’opera sembra essere stata dipinta per la devo-zione privata. Evidente è il contenuto edificante dell’argomento: l’AngeloCustode guida il fanciullo nel cammino della vita e lo protegge dalle insidiedel peccato, simboleggiate qui dal baratro che si apre ai piedi del piccolo (dalquale si vedono spuntare le fiamme dell’inferno); elegantissima è la posa del-l’angelo, alle cui spalle si apre un cielo rasserenato in una bucolica ambienta-zione. Data l’alta qualità dell’esecuzione, l’opera è da essere datata intorno aglianni del ritorno in patria del Fato, a partire quindi dal 1752. [G.L.]

Bibl.: Lanzilotta 1999-2000, 2000.

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L’opera presenta analogie con le due versioni di Madonna con Bambino, S.Gaetano e S. Teresa e si può datare intorno a quegli anni; anch’essa facevaparte della collezione di Teresa Gabrieli. Si tratta - pur essendo finalizzata alladevozione privata e quindi meno necessaria di impegno - di uno dei quadri piùriusciti della carriera dell’artista.

Ritorna qui da coprotagonista un arioso paesaggio bucolico, entro il qualela Maddalena penitente si è rifugiata allontanandosi dal consorzio umano. Ilpittore la coglie assorta in pensosa preghiera davanti a una croce ed unteschio, elementi di meditazione del mistero della morte e resurrezione diCristo e della vita breve dei mortali. [G.L.]

Bibl.: Lanzilotta 1999-2000.

66. MADDALENA PENITENTE(1752-80)Castellana, collezione privata

Olio su tela, cm 73x56,5 - mediocre s. d. c.;lacerazioni e cadute di colore

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67. MATER DOMINI (1752-80)Putignano, Purgatorio alias SantiMedici

Olio su tela, cm 78x70 - restauro1991 ca.; buono s. d. c.

Di difficile datazione; forse dipinta negli anni della vecchiaia, come lascia pre-sumere la vicinanza formale alla Mater Domini in collezione privata castella-nese, ove il Bambino Gesù assume la medesima posa con lo sguardo verso l’os-servatore e le braccia conserte e poggiate sulla spalla della Madre.

Il dipinto, assieme al suo pendant con S. Lucia (scheda seguente), è statoattribuito in precedenza - ma evidentemente senza alcun fondamento - al sei-centesco Francesco Antonio Altobello (Angelastri M., scheda SBAAAS relati-va 1991). [G.L.]

Bibl.: Lanzilotta 1999-2000.

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L’opera fa da pendant alla Mater Domini della scheda precedente; eseguitaprobabilmente nello stesso periodo.

La Santa siracusana reca i suoi attributi tradizionali, la palma dei martiri edil calice con gli occhi; è presentata in un elegante e sofisticato abito della suaepoca, insolito rispetto alle varie raffigurazioni di Santi fateschi. Si notino inparticolare i bottoncini che legano le maniche della camicia, le spalline mer-late con ciondoli pendenti, le preziose fibule sul petto, e la raffinata composi-zione formale e cromatica complessiva. [G.L.]

Bibl.: Lanzilotta 1999-2000.

68. S. LUCIA (1752-80)Putignano, Purgatorio aliasSanti Medici

Olio su tela, cm 50x50 - restauro 1991 ca.;buono s. d. c.

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69. S. LEONARDO (1758)Putignano, S. Pietro Apostolo

Olio su tela, cm 40x60 ca. - restauro 2003;ottimo s. d. c. (foto prima del restauro)

Collocato sulla trabeazione della cappella di S. Cesario, sopra la statua delsanto titolare, il piccolo dipinto presenta il Santo con l’abito benedettinorecante nella mano destra le catene, strumento del martirio e suo tradizionaleattributo iconografico; porta la mano sinistra al petto ed ha il capo chino inassorta meditazione.

Alle sue spalle si apre uno squarcio di cielo tra le nuvole dorate.La datazione 1758 è incisa sull’originale telaio ligneo del dipinto, ed è

emersa durante i lavori di restauro dell’intera cappella e dell’opera fatesca.[G.L.]

Bibl.: Giagulli 1983; Lanzilotta 1999-2000.

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Di difficile datazione, proveniente da S. Francesco d’Assisi. La tela raffigurail noto episodio raccontato nella Vita della monaca carmelitana: rapita in esta-tica visione, la Santa narra di un angelo che, armato di una freccia, le trafig-geva il cuore fiammeggiante di ardore mistico.

Data l’alta qualità del dipinto (ma non parimenti valorizzato con l’ultimorestauro) sarei propenso a datarlo intorno agli anni ‘50 del secolo, periododella piena maturità artistica del Fato. [G.L.]

Bibl.: Lanera 1988; Pellegrino 1997, 1998, 1999; Lanzilotta 1999-2000.

70. S. TERESA D’AVILA (1752-80)Castellana, Immacolata

Olio su tela, cm 96x78 - restauro 1999;buono s. d. c.(foto a destra: prima del restauro)

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71. IMMACOLATA CON I S. S.CATERINA D'ALESSANDRIA,ANDREA AVELLINO, VINCENZOFERRERI E VESCOVO (1752-64)Polignano a Mare, Purgatorio

Olio su tela, cm 250x180 - mediocre s. d. c.

Stilisticamente vicina agli ovali dipinti per S. Francesco d’Assisi e per ilPurgatorio a Monopoli, l’opera è databile intorno a quegli anni. La pala è impo-stata secondo un classico modello giordanesco e dematteisiano, adoperato inarea pugliese anche dal Lama e da altri pittori.

Non è molto chiara l’identificazione di alcuni personaggi. Il Santo alle spal-le di Caterina d’Alessandria deve essere Andrea Avellino, raffigurato conindosso i paramenti liturgici; la Santa è riconoscibile data la presenza accan-to a lei di una ruota spezzata; S. Vincenzo si distingue per l’abito, la fiammadello Spirito Santo sul capo e per l’iscrizione sul libro aperto: "…EIUS /…CENZO / …RERIO". Resta da svelare l’identità del Santo vescovo, diaspetto giovanile, un libro in mano, il pastorale adagiato sul pavimento, e -forse - un abito monastico sotto il mantello. Può trattarsi di Biagio, Ludovicodi Tolosa, Brunone, Antonino, o Gennaro. [G.L.]

Bibl.: Pellegrino 1998, 1999; Lanzilotta 1999-2000.

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Per la cronologia del dipinto cfr. scheda precedente. La figura di S. Agostinoè stilisticamente assai vicina a quella eponima della pala del Purgatorio mono-politano, ulteriore elemento che induce a datare le tele di Polignano intornoalla metà degli anni ‘50 del secolo.

Curiosa la differente rappresentazione delle pose dei Santi: Agostino è ilsolo inginocchiato in adorazione della Madonna; S. Antonio di Padova si rivol-ge ad abbracciare il Bambino Gesù, e i due sono osservati da Gaetano;Francesco di Paola, più solitario e introverso, medita silenzioso il Vangelo, chetiene poggiato su un ginocchio. [G.L.]

Bibl.: Lanzilotta 1999-2000.

72. MADONNA CON BAMBINO E S.S. AGOSTINO, FRANCESO DI PAOLA,ANTONIO DI PADOVA E GAETANODA THIENE (1752-64)Polignano a Mare, Purgatorio

Olio su tela, cm 260x180 - mediocre s. d. c.;lacerazioni

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73. CRISTO E LA MADONNAADORATI DA S. FRANCESCO (1755)Monopoli, S. Francesco d’Assisi

Olio su tela, cm 240x167 - cattivo s. d. c.

Il dipinto, firmato e datato, è il primo di una serie di quattro ovali eseguiti peri Francescani monopolitani tra il 1755 e il 1761. È situato nella cappelladell’Immacolata assieme a quello con S. Chiara e Clarisse.

La composizione è piuttosto affollata di figure, dal momento che oltre i trepersonaggi principali partecipa un cospicuo numero di presenze angeliche, inpuro stile rococò, secondo la tendenza iconografica del tempo: sono presentitra le nuvole e ai piedi del Santo, in varie dimensioni angioletti e cherubini.Particolarmente riuscita risulta la soluzione di collocare in tre quarti la coppiaGesù e Maria in alto a sinistra, e lungo la diagonale il Serafico Padre vistoquasi di spalle in basso a destra, offrendo in tal modo una visione dinamicadella scena. [G.L.]

Bibl.: Bellifemine 1981; Lanera 1988; Pasculli Ferrara 1995; Pellegrino 1998, 1999;Lanzilotta 1999, 1999-2000.

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Il dipinto è stato realizzato su commissione della confraternita del Purgatoriodi Monopoli, ed è firmata in basso “OPUS VINC. FATO / A. D. 1756”. L’opera,tra le meno note fra quelle firmate del pittore, presenta i due Santi in pose dif-ferenti, l’uno di spalle e l’altro di fronte chi osserva, secondo uno schema com-positivo adottato in precedenza sempre più frequentemente: esempi del gene-re si ritrovano dalla pala Pappalepore (1741, con S. Giovanni Battista di fron-te, S. Liborio di spalle) di Rutigliano, alla pala di S. Leonardo (con i S. S.Gaetano e Teresa), fino a quelle successive con la Madonna di Costantinopoli(con i S. S. Donato e Biagio) di Castellana, e altre.

Il Santo di Tagaste offre il cuore fiammeggiante, suo attributo iconograficotradizionale, al Bambino Gesù, che lo benedice. Ai suoi piedi, altri elementiche lo identificano: il libro (in quanto Dottore della Chiesa), sul quale è sedu-to un simpatico angioletto che regge in mano il laccio. S. Monica è in atteggia-mento di preghiera, le mani giunte, inginocchiata, il libro aperto ai suoi piedi.[G.L.]

Bibl.: Pellegrino 1998, 1999; Lanzilotta 1999-2000.

74. MADONNA COL BAMBINO E IS. S. AGOSTINO E MONICA(1756)Monopoli, Purgatorio

Olio su tela, cm 150x100 ca.mediocre s. d. c.; lacerazioni

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75. S. CHIARA D'ASSISICON S. S. ROSA DA VITERBO,MARGHERITA DA CORTONA, CHIARADA MONTEFALCO, ELISABETTAD'UNGHERIA (1755-61)Monopoli, S. Francesco d’Assisi

Olio su tela, cm 240x159 - mediocre s. d. c.

Il dipinto fa parte di una serie di quattro ovali eseguiti per i Francescani mono-politani tra il 1755 e il 1761. Vi si celebra la gloria del ramo femminile della spi-ritualità e santità francescana. Al centro, tra le nuvole, siede la fondatrice delSecondo Ordine Francescano (clarisse), illuminata di Spirito Santo, che mostral’ostensorio col SS. Sacramento. Ai suoi lati si trovano le più eminenti personali-tà femminili del francescanesimo, e clarisse e terziarie e laiche, ciascuna indican-te un esempio differente di santità: attiva (Rosa), caritatevole (Margherita,Elisabetta), mistica-contemplativa (Chiara da Montefalco). Rosa da Viterbo, ter-ziaria e martire, è riconoscibile per la corona di rose che le cinge il capo.Margherita da Cortona, terziaria, mostra gli attributi vicino a sé, il cane e il croci-fisso. Elisabetta di Turingia, laica e regina d’Ungheria, conserva la corona regalesul capo ed ha nelle mani un teschio e una corona di spine per la meditazione. Inatteggiamento estatico è la clarissa Chiara da Montefalco, con le braccia alzate eil viso rivolto al Cielo. [G.L.]

Bibl.: Bellifemine 1981; Lanera 1988; Pasculli Ferrara 1995; Pellegrino 1998;Lanzilotta 1999, 1999-2000.

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76. S. GIUSEPPE IN GLORIA CON S.VITO E S. ROCCO (1755-61)Monopoli, S. Francesco d’Assisi

Olio su tela, cm 245x165 - cattivo s. d. c.;lacerazioni, alterazioni cromatiche, muffe

Il dipinto fa parte di una serie di quattro ovali eseguiti per i Francescani mono-politani tra il 1755 e il 1761. La presenza dei due Santi si spiega soprattuttoper la grande devozione popolare di cui godono nel sud est della Terra di Bari.

S. Vito Martire è patrono di Polignano, città costiera a pochi kilometri daMonopoli. Il suo culto è assai diffuso: oltre che qui, anche a Castellana ePutignano per fare qualche esempio. S. Rocco di Montpellier è venerato comeprotettore dalle pestilenze, pertanto particolarmente caro da queste parti fune-state negli anni addietro da terribili morbi (1656, 1690-92 i più devastanti: cfr.Sisto 1999).

Interessante è la contemporanea presenza nel quadro dei due cani, legatiiconograficamente ai personaggi predetti. Entrambi i cani hanno simile sem-bianza, muso lungo bianco e orecchie pezzate nere, così come furono dipinti isoggetti analoghi nelle tele di Tobiolo e l’Arcangelo Raffaele e Gloria di S.Domenico nelle rispettive chiese domenicane di Putignano e Monopoli: segnoforse di una particolare affezione del pittore per un certo animale.Diversamente sono invece realizzati i cani che si vedono nel Cristo e laCananea del Duomo di Napoli, nel mezzo fresco di S. Vito della cappella rura-le della Consolatrice, nell’Arrivo della Madia del Duomo di Monopoli. [G.L.]

Bibl.: Bellifemine 1981; Lanera 1988; Pasculli Ferrara 1995; Pellegrino 1998; Lanzilotta 1999, 1999-2000.

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Proveniente dalla piccola chiesa castellanese di S. Maria della Neve, dettaanche Mater Domini; il titolo Madonna d’Ogni Bene si deve al Lanera (1988).La datazione intorno ai primi anni ‘40 è data dalla Pasculli Ferrara (1995);adducendo le stesse ragioni della studiosa, lo scrivente è propenso a colloca-re la tela posteriormente al 1760 (anno presunto del restauro di una telamonopolitana tradizionalmente attribuita al Veronese, da cui il Fato ha rica-vato il modello per la Madonna col Bambino in posizione eretta).

L’opera è menomata in più punti per irreparabili cadute del colore. Inbasso a sinistra sono state individuate tracce della sua firma con data, pur-troppo illeggibile.

Davanti alla Vergine col Bambino Gesù, insolitamente in piedi, stannoinginocchiati a sinistra S. Lorenzo (che ha vicino a sé la graticola, strumentodel suo martirio), e a destra S. Filippo Neri (in paramenti liturgici, con il libroai suoi piedi). A sinistra è in piedi S. Giovanni Nepomuceno il confessore,che rivolto a Gesù mostra sulla mano destra la sua lingua tagliata; un interes-sante riferimento analogo è stato dipinto da Paolo De Matteis in una pala con-servata nella Cappella Imperiale di Vienna.

Non è improbabile quindi che il Fato abbia conosciuto l’opera del maestrodel Cilento attraverso disegni, incisioni o studi che dovevano circolare aNapoli a quel tempo, senz’altro nell’ambito della di lui scuola. A destra nellacomposizione si trova in piedi una coppia di Santi, formata dal missionariogesuita Francesco Saverio e dal crociato francescano Giovanni da Capistrano,armato del gonfalone.

Vale la pena riportare le note che a riguardo scrisse il Lanera nel 1990:«La tela è infatti di proprietà comunale, perché dalla chiesa fu trasferita(forse sono ottant’anni) nei depositi del palazzo di città. […] Santa Mariad’Ogni Bene la trassi io, con le mie mani, dalle oscure latebre dove era fini-ta; quando per uno scherzo del destino (tanto io ero lontano dall’immaginar-lo, e dal desiderarlo, pure) fui eletto general sindaco della magnifica univer-sità di Castellana. La povera tela se ne stava addossata al muro, in mezzo amolto immondo ciarpame, in una segreta e umida stanza, quasi inaccessibi-le, posta in fondo ai locali dell’Ufficio Elettorale. Non foss’altro che per que-sto, non rimpiango le mille pene che patii in quei cinque anni del mio sinda-cato.

La tela è pur essa di don Vincenzo Fato, il delicato piissimo pittore. Checon grazia settecentesca ha effigiata la beatissima Vergine che trattiene astento il Figlioletto (Ogni-Bene), che si divincola dalle mani materne, perscendere a giocare con l’arcidiacono san Lorenzo, che da terra lo adora esta-tico». [G.L.]

77. MADONNA D’OGNI BENE CONS. S. LORENZO, GIOVANNINEPOMUCENO, GIOVANNI DACAPISTRANO, FRANCESCOSAVERIOE FILIPPO NERI (1760-78)Castellana, Palazzo Comunale

Olio su tela, cm 221x153restauro 1991 ca.; discreto s. d. c.

Bibl.: Di Mizio IV/1978; Lanera 1988, 1990; Pasculli Ferrara 1994, 1995; Lanzilotta 1999, 1999-2000.

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Il dipinto, firmato e datato “OPVS VINCENTII FATO A. D. 1761”, fa parte diuna serie di quattro ovali eseguiti per i Francescani monopolitani tra il 1755e il 1761. Di quest’opera, come di tutta la pittura del Fato in generale, è criti-co il Bellifemine; ma il monsignore nel suo scritto del 1981 incorre in unaserie di abbagli riguardo al pittore, a partire dalla datazione del quadro (inBellifemine, 1981, a p. 43 è scritto, a proposito di quest’ovale: “firmato e data-to 1771”) fino all’identificazione dei Santi. Davanti a S. Michele Arcangelo èinginocchiato S. Bonaventura da Bagnoregio, teologo francescano, la cui pre-senza è oltretutto giustificata essendo in una chiesa del medesimo Ordine. Nonsi tratta, come afferma Bellifemine, di S. Carlo Borromeo perché il religiosoraffigurato non presenta le note fattezze del cardinale controriformista, gene-ralmente dotato d’un gran nasone e privo di barba. Non si spiegherebbe delresto l’esigenza di raffigurare il santo milanese in area monopolitana, inun’epoca in cui da tempo era ormai tramontata ogni politica religiosa e icono-grafica di stampo postridentino.

Il dotto e barbuto Bonaventura, in abito cardinalizio e la cappa porporinapoggiata nei pressi, è ben riconoscibile in una sua posa tradizionale, con illibro sulla sinistra e la penna sulla destra, sollevata in atto di accingersi a scri-vere qualcosa. Tale immagine sembra essere stata ripresa pari pari da una sta-tua eponima di fra’ Luca Principino (del 1715-25 ca.), oggi in collezione pri-vata, che il Fato doveva con buona ragionevolezza avere visto bene aCastellana e tenuto a mente.

Davanti all’Angelo Custode col piccolo Tobia, sta inginocchiato S. Ludovicod’Angiò vescovo di Tolosa e non S. Agostino come vedrebbe il Bellifemine.Anche qui è plausibile la presenza del francescano spirituale, erede angioinoal trono del regno di Napoli, a cui rinunciò per vestire il saio. L’identificazioneè confermata dalla presenza ai piedi del Santo di una corona e uno scettro, chenon avrebbero alcuna attinenza con la figura di S. Agostino, i cui attributi tra-dizionali sono il cuore fiammeggiante e il laccio (cfr. la pala monopolitana equella polignanese del Purgatorio col vescovo di Ippona). [G.L.]

78. S. ANNA CON MARIA EI S. S. BONAVENTURA, MICHELEARCANGELO, LUDOVICO DITOLOSA E ANGELO CUSTODE(1761)Monopoli, S. Francesco d’Assisi

Olio su tela, cm 248x163 - cattivo s. d. c.;lacerazioni

Bibl.: Bellifemine 1981; Lanera 1988; Pasculli Ferrara 1995; Pellegrino 1998, 1999;Lanzilotta 1999, 1999-2000.

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Commuove pensare che il buon pittore abbia aspettato di raggiungere i sessan-t’anni di età per vedere per la prima volta una propria opera collocata sul postod’onore di una chiesa, come pala per l’altare maggiore; e non credo di esserelontano dal vero se immagino che pure lo stesso Fato si debba essere commos-so a vedere montata la sua tela sopra quell’altare.

Il dipinto fu pagato con i fondi provenienti dal lascito del notaio AntonioFanelli di Putignano per la chiesa delle Carmelitane. È firmato - come usa faredi consueto l’autore - sul lato in ombra d’un sasso ai piedi del Santo: “OPUSVINCENTII FATO / A. D. 1765”; reca in basso a sinistra lo stemma del bene-fattore del monastero: uno scudo barrato con tre stelle nella banda superiore etre uccelli in quella inferiore. Scrive appunto Di Mizio, 1984: «Con disposizio-ni testamentarie, infatti, quel notaio nominò il convento delle carmelitane diPutignano erede universale dei suoi beni nel caso in cui la propria nipote fossedeceduta senza aver dato alla luce figli e con l’impegno che tali fondi venisse-ro amministrati a parte. Inoltre, sulle opere realizzate con quei fondi, dovevaessere apposto lo stemma del testante. Ed è questa la ragione per cui lo stem-ma dei Fanelli spicca un po’ dovunque».

La composizione presenta l’Eterno Padre e lo Spirito Santo sovrastare lascena, in un cielo luminoso affollato di festosi angeli e cherubini, dove tra lenuvole siede la Madonna del Carmine col Bambino Gesù. La Vergine, accom-pagnata da un angelo, consegna lo scapolare a S. Simone Stock, fondatoredell’Ordine delle Carmelitane. In basso, una coppia di angioletti di improntasolimenesca mostra gli abitini e il libro della regola. L’impegno dell’artista nelpresente lavoro ha prodotto davvero una delle sue opere più felici. [G.L.]

79. LA MADONNA DEL CARMINECONSEGNA LO SCAPOLARE A S.SIMONE STOCK (1765)Putignano, Convento Grande

Olio su tela, cm 270x180discreto s. d. c.; muffe

Bibl.: Marascelli 1933; Di Mizio 1978, 1979, 1984; Gelao 1994; Pasculli Ferrara 1994, 1995; Pellegrino

1998, 1999; Lanzilotta 1999, 1999-2000.

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132 Opera databile nello stesso periodo della pala Madonna e S. Simone Stock, odi pochi anni successiva. L’episodio è narrato nel primo libro dei Re, 19, 4-8,ed è strettamente collegato all’episodio dell’altra tela presente nel presbiteriodella chiesa carmelitana con Elia e la vedova di Zarepta (1 Re, 17, 9-16).

Le due storie del profeta Elia illustrano attraverso l’opera del personaggiobiblico degli esempi di virtù teologali: fede, speranza, e carità. Nella presentetela si verte particolarmente sulla fede, messa in dubbio dal profeta che, pocofiducioso della protezione divina, chiede di morire e si addormenta sotto unginepro.

La scena offre come grande protagonista l’angelo, magistralmente raffigura-to, che si adagia in volo a ridestare il profeta ed esortarlo a mangiare il ciboche Dio gli aveva posto accanto. [G.L.]

Bibl.: Gelao 1994; Lanzilotta 1999-2000.

80. ELIA SVEGLIATO DALL'ANGE-LO (1764-67)Putignano, Convento Grande

Olio su tela, cm 165x240 - discreto s. d. c.

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81. ELIA E LA VEDOVADI ZAREPTA (1764-67)Putignano, Convento Grande

Olio su tela, cm 165x240 - discreto s. d. c.

Il dipinto è databile nello stesso periodo della pala Madonna e S. SimoneStock, o pochi anni dopo. L’episodio (1 Re, 17, 4-16) si collega a quellodell’Angelo che sveglia Elia nell’altra tela del Fato nel presbiterio della chiesacarmelitana.Elia chiede alla povera vedova da mangiare e da bere, ed ella gliene offre

avvisandolo che si tratta dell’ultimo cibo rimastole; il profeta le garantisce chequel cibo rimasto, della farina nella giara e dell’olio nell’orcio, non si esauri-rà. È evidente il messaggio religioso del quadro che da una parte esalta la cari-tà (il gesto estremo della vedova) e dall’altra esorta alla fede e alla speranza(”Non temere” dice Elia; oltre al miracolo della farina e dell’olio il profetamostrerà alla vedova un’altra grande prova della ricompensa divina, allorquan-do resusciterà il figlioletto di lei morto). [G.L.]

Bibl.: Marascelli 1933; Di Mizio 1984; Gelao 1994; Pasculli Ferrara 1995; Pellegrino 1998, 1999;

Lanzilotta 1999, 1999-2000.

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L’opera è firmata su un lato in ombra (consueto del Fato) di un sasso “OPUSVINCENTII FATO 1767”. Commissionata dalla famiglia de Giorgio come palad’altare per la propria cappella, intitolata ai S. S. Antonio abate e Maddalena,oggi non più esistente.Ne scrive il Lanera, 1990, a p. 66: «Di tutta la cappella sussiste solo la

redazione della tela che la ornava; opera dell’infaticabile Vincenzo Fato. Nellatela del Fato sono rappresentati sì i santi Antonio e Maddalena, ma in posizio-ne meno onorifica del giovane intruso san Luigi Gonzaga. Così piacque ainuovi patroni, i signori de Giorgio».La presenza dei diversi Santi allude allegoricamente ai differenti esempi e

modi di raggiungere la salvezza: attraverso carità e innocenza (S. Luigi), asce-si e vita eremitica (Antonio abate), conversione e penitenza (Maddalena). Lapala era inizialmente stata concepita senza la figura del taumaturgo portoghe-se: è infatti evidente la rottura dell’equilibrio compositivo e l’asimmetria deivolumi, fatto eccezionale in un quadro del Fato, sempre attentissimo al bilan-ciamento delle masse, all’ordine e alla giusta distribuzione dei personaggi. Sesi analizza attentamente la pala si osserva come il circolo di nuvole attornias-se completamente il corpo di S. Luigi e lasciasse scoperte le ali dell’angeloreggente il crocifisso.Che il S. Antonio di Padova sia stato aggiunto in un tempo successivo è

anche abbastanza verificabile a occhio nudo: il saio pur scuro del francescanolascia intravedere in trasparenza la prosecuzione del disegno delle nuvole edelle pieghe della manica dell’angelo.Resta da chiarire quali potessero essere le motivazioni dei committenti, i

quali imposero al pittore una aggiunta del genere all’ultimo momento, a lavo-ro ormai conchiuso. Non credo di sbagliare però nel ritenere che quella richie-sta gli dovesse pesare alquanto, proprio per ragioni stilistiche e compositive:si andava a rompere l’armonia e l’equilibrio della composizione.Certo è che il Fato dipinse il buon S. Antonio di Padova con tutti crismi e

a regola d’arte, ma anche suo malgrado. [G.L.]

82. GLORIA DI S. LUIGI GONZAGACON I S. S. ANTONIO ABATE,MADDALENA E ANTONIODI PADOVA (1767)Castellana, S. Leone Magno

Olio su tela, cm 240x153 - cattivo s. d. c.;lacerazioni

Bibl.: Lanera 1979, 1990, 1988; Pasculli Ferrara 1995; Pellegrino 1997, 1998, 1999;Lanzilotta 1999, 1999-2000.

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Firmata “OPUS VINCENTII / FATO A. D. 1767”, la pala fu commissionataper un altare laterale della chiesa dei carmelitani scalzi putignanesi.Alla Santa mistica appare in estatica visione la SS. Trinità accompagnata

tra le nuvole da un coro festante di angeli e cherubini. Ai suoi piedi è il librodella regola e il giglio. L’Eterno è in atto di benedirla, il Figlio le mostra conla destra il suo Sacro Cuore e con la sinistra indica se stesso. Alle sue spallealcuni angioletti trasportano in volo la croce di legno.Un particolare di rilievo è da notare nell’angioletto con le braccia aperte

all’estrema destra della parte centrale del quadro: è insolitamente vestito d’unatunica di colore rosso porpora, peraltro d’un tono ancor più vivace del mantodi Cristo. [G.L.]

Bibl.: Marascelli 1933; Pasculli Ferrara 1995; Pellegrino 1998; Lanzilotta 1999, 1999-2000.

83. S. TERESA DAVANTI ALLA SS.TRINITÀ (1767)Putignano, Carmine

Olio su tela, cm 215x150 - mediocre s. d. c.

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84. S. PIETRO APOSTOLO (1767)Castellana, Caroseno

Olio su tela, cm 180x55 - discreto s. d. c.

Commissionata, assieme al S. Giovanni Apostolo, dal cappellano del Carosenoin data 25 agosto 1767 (Archivio di S. Leone, conclusioni capitolari, p. 286v).L’opera è firmata “OP. VINCENTII FATO A. D 1767”.Il Santo è raffigurato in piedi, in posizione statuaria accentuata da forti con-

trasti chiaroscurali che ne evidenziano la solennità. È legato alla pala del S.Giovanni, e la posa dei due apostoli si direziona verso il centro dell’ancona,dove è presente un affresco seicentesco con una Mater Domini (che sarà poicoperto con un analogo soggetto dipinto a olio su rame dello stesso Fato dal1785). [G.L.]

Bibl.: Lanera 1988; Pasculli Ferrara 1995; Pellegrino 1997, 1998; Lanzilotta 1999, 1999-2000.

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Commissionata, assieme al S. Pietro Apostolo, dal cappellano del Caroseno indata 25 agosto 1767 (Archivio di S. Leone, conclusioni capitolari, p. 286v).L’opera è firmata ”OP. VINCENTII FATO A. D 1767”.Ritratto superbo del pittore, tra i più riusciti della sua produzione: come il

corrispondente dipinto di S. Pietro, è raffigurato in piedi, in posizione statua-ria accentuata da forti contrasti chiaroscurali che ne evidenziano la solennità.Si noti che il S. Giovanni porta i sandali ai piedi, al contrario di S. Pietro cheva scalzo. [G.L.]

Bibl.: Lanera 1988; Pasculli Ferrara 1995; Pellegrino 1997, 1998; Lanzilotta 1999, 1999-2000.

85. S. GIOVANNI APOSTOLO(1767)Castellana, CarosenoOlio su tela, cm 180x55 - discreto s. d. c.

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86. SPERANZA (1768)Conversano, depositidi S. Benedetto

Olio su tela, cm 160x156 ca.mediocre s. d. c.

Firmata in basso a sinistra “OPUS VINCENTII FATO / A. D. 1768”. Eseguita,assieme alla Carità, per le monache del monastero conversanese. In merito a que-sti due dipinti si conosce una lettera (cfr.Cenni biografici) del Fato per donMicheleManuzzi, procuratore delle monache di S. Benedetto, in cui si racconta delle trat-tative per il prezzo del lavoro. Ne risulta che le tele furono acquistate per 30 duca-ti, una cifra decisamente inferiore alle iniziali richieste del pittore; ma tant’è, cheil nostro aveva da sfamare una famiglia di dieci persone (come è scritto nella let-tera), e quindi pensò bene di doversi contentare del ‘vil prezzo’ pattuito, magariaddolcito da quella ‘grossa spasa di dolci’ che in aggiunta si sarà fatto dare per lesue figliole.Il dipinto presenta tra le nuvole la figura allegorica della speranza, una donna

in preghiera col volto fiducioso rivolto al Cielo, mentre vicino a lei un angiolettoregge un’ancora, concreto simulacro di fermezza nelle turbolenze della vita quoti-diana ed invito a perseverare nella speranza.Data la particolare forma delle tele, presumo dovessero servire come quadri

sopra-porta per i locali all’interno del monastero piuttosto che per una determina-ta collocazione nella chiesa. [G.L.]

Bibl.: D’Elia 1968; Pasculli Ferrara 1995; Lanzilotta 1999, 1999-2000.

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In merito alla storia delle tele eseguite per il monastero di S. Benedetto, cfr.la scheda precedente.Il dipinto presenta una donna tra le nuvole, elegantemente vestita, sul cui

capo arde una vivace fiammella; è in procinto di allattare un bambino, men-tre altri due pargoli le si accostano a chiederle nutrimento, e due cherubiniosservano la scena.Il tema dell’allattamento come dono di sé agli altri è stato usato nella pit-

tura in vari altri modelli e versioni, tra cui il più noto è quello della Caritàromana, nel quale una donna allatta l’anziano padre carcerato; a Napoli, unesempio mirabile è nella nota tela caravaggesca de Le sette opere di miseri-cordia nella chiesa del Pio Monte della Misericordia. [G.L.]

Bibl.: D’Elia 1968; Pasculli Ferrara 1995; Lanzilotta 1999, 1999-2000.

87. CARITÀ (1768)Conversano, depositi di S.Benedetto

Olio su tela, cm 160x156 ca.mediocre s. d. c.

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88. ADORAZIONE DEI PASTORI(1768)Noci, Maria SS.ma della Natività

Olio su tela, cm 250 x 180 - restauro 2004(foto piccola: particolare del dipinto primadel restauro)

Il dipinto conservato nella Chiesa Madre di Noci, un tempo pala dell’altare disan Giuseppe, è stato incluso, sin dal primo elenco redatto da Marco Lanera,tra le opere realizzate compiutamente dall’artista castellanese, poiché firmatonel 1768.Di recente Giacomo Lanzilotta, per primo, ha individuato il precedente

dello schema compositivo nell’Adorazione dei pastori dipinta da Vincenzo Fatoper la Cappella del Tesoro di San Gennaro nel duomo di Napoli, ma ha ritenu-to lo stile del dipinto nocese, seppure firmato, «insolito alla maniera di dipin-gere del Fato», forse in gran parte opera di aiuti, a prescindere dalle ridipin-ture.L’ultimo restauro ha messo in luce, dopo la rimozione delle ridipinture otto-

e novecentesche, l’esistenza di almeno tre distinte redazioni dell’opera. Lafigura centrale, Gesù Bambino adagiato nella mangiatoia, è stata dipinta duevolte: oggi s’intravede un Bambino orientato in un’altra posizione rispetto aquello soprastante, conosciuto sinora e ritenuto fatesco.La Madonna a destra, che prega a mani giunte e medita il mistero nel suo

cuore, e il pastore in primo piano a sinistra paiono “tipici” dell’artista.Suggeriscono una diversa impostazione iniziale di parte della scena il pastoreritratto seduto di spalle, a destra della Madonna, il capo di un bambino (pro-babilmente un angelo che annuncia ai pastori dormienti la nascita del Signore)accanto al pastore che sta prendendo in braccio una pecorella, la testa di ungiovane affiorata in corrispondenza dello spazio, già considerato vuoto, tra laMadonna e il pastore che rende omaggio al Bambino togliendosi il cappellodalla testa e inchinandosi (come nell’Adorazione napoletana). Sullo sfondo unpaesaggio roccioso e tre lontane figure a cavallo, i Magi, che prima del restau-ro erano poco leggibili.Sotto la figura maschile centrale, sino al restauro ritenuto san Giuseppe (e

tanto simile al santo ritratto nell’ovale della chiesa di San Francesco diMonopoli), ne è stata rinvenuta un’altra, non finita, poi tutta coperta tranne cheper le mani, riutilizzate dall’ultimo artista (o l’artista?!) per farne le mani delpresunto san Giuseppe. In totale sembrava che i pastori della composizione,prima del restauro, fossero sei. Ora le figure visibili, integre e non, oltre aicomponenti della Sacra Famiglia e ai Magi, sono in tutto dieci; undici, se siconsidera la testa evanescente tra i primi due personaggi, più in fondo, adestra. Da notare il primo, un pastore che suona la zampogna, e che era statooscurato a vantaggio di quello al centro. Non si comprende bene, invece ilruolo della seconda figura (femminile?), di cui è visibile la testa reclinata, congli occhi chiusi: con un turbante nero, in atteggiamento dolente, non ha sensonell’ambito di una scena festosa natalizia. Dall’altra parte, in seguito alla rimo-zione delle pesanti campiture con le quali erano stati realizzati il bue e l’asi-no, sono comparse le teste di due altri personaggi con barba, uno giovane, l’al-tro anziano. Il giovane con l’aureola e gli occhi chiusi parrebbe proprio Cristo:seguendo l’andamento parabolico della disposizione di tutte le figure chinatee con gli occhi verso il basso, a partire dalla “dolente” fino all’anziano dallabarba bianca (Giuseppe d’Arimatea?), la scena che viene a configurarsi non èaltro che la deposizione di Cristo dalla croce. Sarebbero almeno tre i personag-

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gi, poi trasformati in pastori, coinvolti nell’azione. La tela, dunque, già dipin-ta, sarebbe stata riutilizzata dal Fato (o un altro artista) per l’esecuzione di unsoggetto diverso.Dai riscontri documentari in corso per rafforzare (o smentire) tale ipotesi e

per scrivere la storia del dipinto, si è desunto che all’altare di San Giuseppe,denominato anche «altare del Presepe» (rimosso nel secolo scorso), era legatol’omonimo beneficio fondato sul finire del XVI secolo. Che vi fosse collocatoun dipinto raffigurante la scena della natività del Signore lo attestano il titolosacro e alcuni documenti, come, ad esempio, la descrizione fatta da mons.Antonio Brunacchio, vescovo di Conversano, mentre compiva la “Santa Visita”a Noci nel luglio del 1635. Sull’altare vi era una «icona in tela cum cornicibuset figura Nativitatis Domini, Beatae Virginis et Sancti Josephi» (Archivio sto-rico della Chiesa Madre di Noci, Capitolo,Miscellanea, I, 23, c. 10r), una telache, in un momento ancora imprecisato, fu sostituita. Decisivo per l’interven-to di Vincenzo Fato e della sua bottega si rivelò l’ordine impartito dal vescovodi Conversano Michele Tarsia, dal 23 settembre 1764 in visita pastorale nellacittà di Noci e, in particolare, quel giorno in Chiesa Madre, a proposito deldipinto esposto sull’altare di San Giuseppe: «Mandavit quod citius renovariiconam in tela depictam» (Archivio Diocesano di Conversano, Noci, SanteVisite, 11.a, 1764, c. 12r).Era dunque necessario “rinnovare” la tela, restaurarla nel senso di ridipin-

gerla, oppure sostituirla. Spettava al sacerdote titolare del beneficio di sanGiuseppe eseguire gli ordini del vescovo, che aveva biasimato anche la man-canza di pulizia dell’altare.In quegli anni il beneficiario era don Francesco Antonio Longo di

Castellana, figlio di Vittoria Lenti di Noci, dottore nei due diritti, divenuto pri-micerio del capitolo di San Leone Magno. Fu il Longo a commissionare al Fatol’Adorazione dei pastori: l’artista castellanese, con il reimpiego di una teladipinta, di provenienza non ancora accertata, portò a compimento il lavoro (oun restauro già iniziato da un allievo) e, come si sa, fissò la propria firma e ilnome del committente in un’epigrafe, nell’angolo inferiore sinistro dell’imma-gine («OPUS VINCENTIJ FATO / IUSSU U.I.D. PRIMICERIJ / FRANCISCIANTONIJ LONGO / CASTELLANAE PATRONI 1768»). [M.I.]

Bibl.: Lanera 1968; Pasculli Ferrara 1995; Lanzilotta 1999, 1999-2000; Pellegrino 1999; Intini 2004, 2005.

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89. MIRACOLO DI S. MAURO(1770)Massafra, S. Benedetto

Olio su tela, cm 253x208 - discreto s. d. c.

Firmata sulla brocca galleggiante “VINC. FATO / 1770”, la pala fu probabil-mente dipinta in occasione della professione di fede della figlia MariaArcangela presso il monastero massafrese avvenuta lo stesso anno. Nei docu-menti della comunità risulta esservi stata anche un’altra figlia del pittore,Maria Michela. Entrambe le sorelle nacquero a Napoli.Il dipinto illustra un episodio miracoloso della vita dei due fratelli Mauro e

Placido, monaci della comunità di Cassino al tempo di S. Benedetto. Il Papaaveva affidato al Santo di Norcia i due fratelli; un giorno, mentre Benedettopregava nella sua cella, ebbe una visione: Placido stava annegando. Sicchémanda subito in soccorso Mauro, il quale camminando miracolosamente sulleacque trae il fratello fuori pericolo. Il pittore rappresenta il momento culmi-nante della scena del salvataggio, mentre da una loggia del monastero sullosfondo si distingue S. Benedetto che osserva da lontano; magnifica è la rappre-sentazione dell’ambiente bucolico e del sereno paesaggio che si apre all’oriz-zonte. È da notare che l’alta qualità del lavoro fu rilevata anche dai commis-sari napoleonici del Murat, i quali vi apposero il sigillo di lacca rossa, a indi-care un’opera suscettibile di requisizione. [G.L.]

Bibl.: Grippa 1934; Catucci 1942; Jacovelli 1976; Lanera 1988; Pasculli Ferrara 1995;Lanzilotta 1999-2000.

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Scoperta dal Pellegrino (che ne identificava il soggetto in S. Vincenzo Ferreri),la tela è firmata ai piedi del Santo, sul piedistallo “OPUS VINC. / FATO1770”: dipinta non per la chiesa ma per il decoro interno del convento dome-nicano.Il religioso spagnolo è raffigurato su di un piedistallo, in piedi, il volto sicu-

ro, recante nelle mani il libro e il giglio; sullo sfondo si intravede un cielo sere-no ed un alto orizzonte ripreso con prospettiva a volo d’uccello. Un leggeroventicello solleva un lembo dell’abito del frate, mostrandoci la piega e l’om-bra, sottile dettaglio naturalistico. [G.L.]

Bibl.: Pellegrino 1993; Lanzilotta 1999-2000.

90. S. DOMENICODI GUZMAN (1770)Putignano, Conservatoriodi S. Maria degli Angeli

Olio su tela, cm 130x80 ca.discreto s. d. c.

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91. MADONNA PASTORA (1771)Santeramo in Colle, IstitutoMissionari Monfortani

Olio su tela, cm 75x62 - discreto s. d. c.;cadute di colore

Il piccolo dipinto è firmato e datato; la firma è apposta - come di consueto -sulla parte in ombra di un sasso ai piedi della Vergine: si legge “VINC. FATO1771”*.Sembra essere un bozzetto preparatorio per una pala d’altare ancora non

conosciuta. Proviene dalla collezione dei Conti Sava di Santeramo in Colle,successivamente donato dalla famiglia, insieme ad altri beni, ai PadriMonfortani.Il quadro sviluppa un tema assai comune per il culto diffuso dellaMadonna

Pastora (o Pastorella) nei paesi dell’entroterra delle Murge pugliesi. Al centrodella composizione, seduta su di un giaciglio roccioso, la Vergine in abito cam-pagnolo si riposa, accarezzando una pecorella. Altre pecore intorno masticanopetali di rose, essendovi nei pressi un fiorito roseto. Alle spalle della Madonna,sull’orizzonte si distingue il panorama di una cittadina. [G.L.]

* Negli archivi della Soprintendenza per il Patrimonio Storico, Artistico ed Etnoantropologico di Bari,Ufficio Catalogo, è presente la scheda relativa alla Madonna Pastora. L’opera è stata catalogata neglianni addietro da un non meglio identificato "Centro Ricerche Storia e Arte" di Santeramo. L’anonimo auto-re della scheda (n. 1600182344) non deve però avere osservato con sufficiente attenzione il dipinto, vistoche non si è accorto della presenza della firma del Fato. Piuttosto, ed è quel che più sorprende, l’operaviene attribuita addirittura ad un pittore del sedicesimo secolo di "scuola fiamminga"!!! Non per entrare inpolemica con chicchessia, terrei a riferire al lettore di una personale vicenda che risale al 1995. Appenaconclusi gli studi all’Accademia di Belle Arti, feci domanda al Soprintendente di Bari per candidarmi comeschedatore: lo stesso mestiere insomma del compilatore della scheda di Santeramo. Qualche mese dopomi arrivò la risposta negativa del Soprintendente (con raccomandata a carico del destinatario; non basta-va la posta ordinaria?): l’ente assumeva esclusivamente laureati in lettere o in architettura. Sarei curiosodi sapere dove ha studiato l’autore della scheda summenzionata.

Bibl.: Lanzilotta 1999-2000.

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Pala di pregevole fattura, firmata e datata. È la prima delle due opere esegui-te per i francescani alcantarini del santuario di Capurso; si trovano collocatesugli altari di sinistra e destra del transetto della chiesa.Due anni dopo il pittore consegnò ai frati il pendant con la Madonna degli

angeli e S. Pietro d’Alcantara. [G.L.]

Bibl.: Pacifico 1853; Mariella 1979; Lanera 1988; Pasculli Ferrara 1995; Lanzilotta 1999-2000.

92. L’IMMACOLATA APPAREA S. PASQUALE BAYLON (1771)Capurso, S. M. del Pozzo

Olio su tela, cm 300x200 ca.restauro 2004; buono s. d. c.

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93. TRINITÀ CON S. S. LUCIA,VINCENZO FERRERI, GIUSEPPECALASANZIO E CATERINAD'ALESSANDRIA (1771)Castellana, S. Leone Magno

Olio su tela, cm 240x153cattivo s. d. c.; cadute di colore

L’opera è firmata e datata sul margine in ombra in basso a sinistra, non chia-ramente leggibile a causa del suo attuale stato di conservazione.L’identità della Santa martire alle spalle del Calasanzio è incerta.

Tradizionalmente è nota come S. Agata, ma piuttosto sono propenso a vederlacome S. Caterina d’Alessandria. La martire catanese porta come tradizionaleattributo i propri seni tagliati sopra un vassoio, elemento che non si vede neldipinto; oltretutto il culto di S. Agata non è granché diffuso da queste parti, nécredo lo fosse in passato. È plausibile allora che si tratti di Caterinad’Alessandria, se si vuol riconoscere, a fianco del Calasanzio all’estremità delquadro e all’altezza della sua mano sinistra, un frammento della ruota spezza-ta della martire. [G.L.]

Bibl.: Lanera 1988, 1990; Pasculli Ferrara 1995; Pellegrino 1997, 1998, 1999; Lanzilotta 1999-2000.

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Firmata su un sasso “OPUS VINCENTII FATO A CASTELLANA 1771”, lapala presenta la Madonna col Figlio in presenza di due Santi molto venerati aCastellana. S. Donato si riconosce dalla vicinanza con una luna all’orizzonte(ed è infatti il patrono dei lunatici, ossia degli epilettici); il vescovo armeno haai suoi piedi il libro con la palma e lo strumento del martirio (e lo si invocacontro il mal di gola).È da rilevare il sottile dettaglio naturalistico delle pagine consumate e pie-

ghettate agli angoli del libro aperto di S. Biagio, indice della particolare curache il Fato aveva per ogni elemento anche marginale della composizione. [G.L.]

Bibl.: Taccone 1979; Lanera 1988, 1990; Pasculli Ferrara 1995; Pellegrino 1997, 1998, 1999;Lanzilotta 1999-2000.

94. MADONNA DICOSTANTINOPOLI CON S. S.DONATO E BIAGIO (1771)Castellana, S. Leone Magno

Olio su tela, cm 240x160restauro 1994 ca.; buono s. d. c.

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95. MADONNA DEGLI ANGELICON S. S. FRANCESCO D’ASSISI EPIETRO D’ALCANTARA (1773)Capurso, S. M. del Pozzo

Olio su tela, cm 300x190 ca.restauro 2004; buono s.d.c.

Il dipinto è firmato “VINCENTIUS FATO / INV. ET PINXIT 1773” sopra unsasso nei pressi di S. Pietro. Costituisce il naturale pendant alla paladell’Immacolata collocata sulla parete opposta del transetto della chiesa, erealizzata dal pittore due anni prima.Al Serafico Padre e al riformatore spagnolo dell’Ordine appare in estatica

visione la Vergine e il Bambino Gesù attorniati da un luminoso e festante corodi presenze angeliche tra le nubi. Sullo sfondo, una decorosa esecuzione dipaesaggio costiero, aperto all’orizzonte tra i due Santi inginocchiati. [G.L.]

Bibl.: Pacifico 1853; Mariella 1979; Lanera 1988; Pasculli Ferrara 1995; Lanzilotta 1999-2000.

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Databile negli anni estremi della sua produzione. Il Bambino ha la stessapostura che si trova nella Mater Domini del Purgatorio di Putignano, ma èanche vicino all’analogo soggetto del Caroseno (1785).Proviene dal casato dei de Giorgio di Castellana, ed aveva una precedente

collocazione in palazzo Giampietro. Rientra nella produzione del pittore desti-nata alla devozione privata. [G.L.]

Bibl.: Lanzilotta 1999, 1999-2000.

96. MATER DOMINI (1773-1787)Castellana, collezione privata

Olio su tela, cm 55x45 ca. - buono s. d. c.

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97. MADONNA DICOSTANTINOPOLI CONS. GIOVANNI BATTISTA ES. ANTONIO DI PADOVA (1776)Putignano, S. Maria diCostantinopoli

Olio su tela, cm 131x95 - mediocre s. d. c.

Il dipinto è firmato “VIN.S FATO P. / 1776” in un angolo in basso a sinistranei pressi del S. Giovanni.Presenta la Madonna tra le nuvole col Gesù Bambino benedicente, seduto

sulla gamba sinistra della Madre. Il Figlio regge un globo sormontato da unacroce, osservando una tradizione iconografica che, attraverso numerosevarianti, si riallaccia al filone dell’arte copta (Di Mizio).A terra si trovano S. Giovanni Battista, patrono di Putignano, e S. Antonio

di Padova, ciascuno con i propri attributi iconografici. [G.L.]

Bibl.: Marascelli 1933; Di Mizio 1980; Lanera 1988; Lanzilotta 1999-2000.

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Databile intorno agli anni della pala dellaMadonna di Costantinopoli conser-vata nella stessa chiesetta. È avvicinabile stilisticamente al quadretto Gesùbambino meditante sugli strumenti della Passione ora in deposito presso iCarabinieri del Nucleo Tutela del Patrimonio Artistico di Bari.L’ovale raffigura Gesù Bambino recante la croce, anticipazione del suo futu-

ro sacrificio per la redenzione dell’umanità. È vestito di una tunica d’intensorosso porpora, colore che simboleggia il martirio. Lo sguardo è serio e penso-so, non privo di una certa atmosfera melanconica. [G.L.]

Bibl.: Marascelli 1933; Di Mizio 1980; Lanzilotta 1999-2000.

98. SALVATOR MUNDI (1776-77)Putignano, S. Maria diCostantinopoli

Olio su tela, cm 58x43 - pessimo s. d. c.;lacerazioni, cadute di colore

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99. S. GIROLAMO (1776-77)Putignano, S. Maria diCostantinopoli

Olio su tela, cm 58x43 - mediocre s. d. c.;cadute di colore

Databile intorno agli anni della pala dellaMadonna di Costantinopoli conser-vata nella stessa chiesetta.Meglio conservato del Salvator Mundi, raffigura il Dottore della Chiesa

durante la sua vita eremitica; inginocchiato e seminudo, con la destra stringeil crocifisso al quale si rivolge pensoso, mentre fa penitenza battendosi il pettocon una pietra stretta nella destra. Gli è accanto il leone, e nei pressi è abban-donato a terra il manto porporino con la cappa cardinalizia. Opera tra le piùrilevanti della galleria del Fato, di alta fattura qualitativa, specie nella magi-strale rappresentazione della natura morta costituita dagli oggetti posti sultavolino dell’autore della Vulgata. [G.L.]

Bibl.: Marascelli 1933; Di Mizio 1980; Lanzilotta 1999-2000.

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L’ovale, insieme al Giacobbe lotta con l’Angelo della scheda seguente, provie-ne dalla famiglia Lenti di Noci. Presenta diverse menomazioni che ne compro-mettono in parte la lettura, riguardo al volto di Tobiolo, a parte del suo corpo,alla parte superiore del dipinto, al cagnolino bianco, verosimilmente giustap-posto da altra mano.La figura dell’angelo è integra, e permette di raffrontarla con analoghe ver-

sioni quali le figure angeliche dell’Annunciazione Gabrieli, dell’AngeloCustode, dalla collezione nocese dei Gabrieli, o dell’Annunciazione del 1781nel Purgatorio di Castellana; da quest’ultimo dipinto si può ricavare una pre-sunta datazione negli anni ottanta del Settecento. L’episodio è narrato nel libroveterotestamentario di Tobia, 6, 1-3: un soggetto già interpretato dal Fato inanni giovanili, per una tela di maggiori dimensioni in S. Domenico aPutignano. [G.L.]

100. TOBIOLO E L’ARCANGELORAFFAELE (1776-86)Noci, collezione privata

Olio su tela, cm 41,7x29mediocre s. d. c.; cadute di coloree riparazioni maldestre

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101. GIACOBBE LOTTA CONL’ANGELO (1776-86)Noci, collezione privata

Olio su tela, cm 41,7x29 - discreto s. d. c.

L’ovale, insieme al Tobiolo e l’Arcangelo Raffaele della scheda precedente, pro-viene dalla famiglia Lenti di Noci. L’episodio è narrato in Genesi, 32, 25-31.In uno scenario bucolico illuminato dalla morbida luce dell’aurora, si fronteg-giano i duellanti, efficacemente raffigurati in solenne postura: più che una lottail pittore sembra suggerire una danza, se non quasi un abbraccio.La tavolozza è quella degli anni tardi, costituita da tonalità tenui e delica-

te, prevalentemente fredde in cui emerge qualche drappo rosso fuoco: analo-ghi riflessi si ritrovano in opere quali la Madonna Pastora dei Monfortani diSanteramo, il S. Girolamo o il Salvator Mundi di S. Maria di Costantinopoli aPutignano, o il S. Giacomo Minore in collezione privata a Conversano. [G.L.]

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102. MADONNA DEL SUFFRAGIOE ANIME PURGANTI (1778)Conversano, Purgatorio

olio su tela, cm 200x160 ca.restauro 2000

L’opera, firmata in basso a sinistra “VINCENTIUS FATO / INVENTIT E[T]PINXIT / A.D. 1778” è concepita come pala d’altare per una destinazione benprecisa: la confraternita del Purgatorio nell’omonima chiesa di Conversano.La tela, che adotta uno schema compositivo già sperimentato dal pittore, è

scandita in due parti: nella parte superiore la Madonna circondata da una tur-binio di cherubini, testine alate e vapori celesti, si staglia su un cielo livido,immerso in una luce cianotica. Al suo fianco San Michele Arcangelo dotato diapposito bilancino e spada. In basso le anime purganti immerse nude nelfuoco, abbacinate dalla luce, assumono un aspetto sinistro, disperato e tragi-co, protendono le braccia e i visi verso Maria e verso gli angeli per invocarnel’intercessione e la salvezza. [A.D.T.]

Bibl.: Lanera 1988; Pellegrino 1993, 1998, 1999; Lanzilotta 1999, 1999-2000.

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103. S. GIACOMO MINORE(1779)Conversano, collezione GiacomoMacchia Laterza

Oolio su tela, cm 46x35 - restauro 1999;buono s. d. c.

Il piccolo ovale era firmato e datato sul retro della tela; con il recente restau-ro, a causa della rinfoderatura del dipinto, si è perduta ogni traccia della firma,della quale malauguratamente non esiste documentazione fotografica.Proveniente dalla famiglia Francavilla di Castellana.Il Santo si riconosce in quanto ha in mano una clava, suo tradizionale attri-

buto iconografico, e porta appeso al collo un ritratto di Gesù; infatti secondo laleggenda, Giacomo il minore doveva avere nelle fattezze del viso molta somi-glianza al Volto Santo. [G.L.]

Bibl.: Lanzilotta 1999, 1999-2000.

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Di difficile datazione, come del resto la gran parte delle piccole tele e dellecimase del Purgatorio, l’opera sembra posteriore al S. Francesco Borgia del1738; data l’impostazione reniana, può essere stata eseguita dopo uno dei suoinumerosi soggiorni napoletani. È evidente la ripresa di elementi stilistici diderivazione bolognese, come il particolare disegno delle nuvole ‘a grappolo’,sostenenti la Madonna col Bambino. Di testimonianze figurative del genere ilpittore poteva trovarne in buona quantità nella Capitale del Viceregno, dovehanno lasciato opere artisti quali Lanfranco, Domenichino, Reni e altri.Anche questo quadro - come il S. Francesco Borgia - fu trafugato dalla chie-

sa del Purgatorio la notte tra il 5 e il 6 giugno 1992, e fortunosamente ritrova-to dopo pochi giorni in una strada rurale nei dintorni di Castellana. Dopo ilrestauro è stato finalmente riposto nella collocazione originaria. [G.L.]

Bibl.: Pellegrino 1993, 1997, 1998, 1999; Lanzilotta 1999, 1999-2000.

104. S. FILIPPO NERIIN ESTASI (1780-82)Castellana, Purgatorio

Olio su tela, cm 290x215 - restauro 1994;buono s. d. c.

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105. RIPOSO DURANTE LA FUGAIN EGITTO (1780-82)Castellana, Purgatorio

Olio su tela, cm 100x160 - restauro 1998;buono s. d. c.

È la cimasa della pala di S. Filippo Neri, e probabilmente eseguita negli stes-si anni. Suggestiva la soluzione compositiva, che mette insieme il motivo delriposo durante la fuga in Egitto con il motivo dell’allattamento del Bambino.Il Fato rappresenta con un segno delicato e amabile una scena di piccola

intimità familiare: sopra il sacco coi bagagli si adagia la Madonna alle presecol pargolo, mentre, seduto alle sue spalle, S. Giuseppe pensoso è confortatoda un angelo che lo incoraggia e gli indica la strada per la salvezza. [G.L.]

Bibl.: Lanera 1988; Pellegrino 1998, 1999; Lanzilotta 1999-2000.

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Secondo il Pellegrino l’opera, firmata e datata, riprende molti caratteri dellaAnnunciazione di Paolo de Matteis che è conservata nel City Art Museum ofSaint Louis, Missouri, USA.È impostata secondo uno schema compositivo analogo alla tela eponima di

S. Domenico di Putignano; tuttavia rispetto all’Annunciazione putignanesequesta è decisamente posteriore. [G.L.]

Bibl.: Pellegrino 1993, 1998, 1999; Pasculli Ferrara 1995; Lanzilotta 1999-2000.

106. ANNUNCIAZIONE (1781)Castellana, Purgatorio

Olio su tela, cm 275x200 ca.restauro dal 1985 al 2002

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107. PADRETERNO (1781)Castellana, Purgatorio

Olio su tela, cm 100x160 ca.restauro 1998; buono s. d. c.(foto prima del restauro)

La tela è cimasa dell’Annunciazione, pertanto databile intorno a quegli anni.L’Eterno è ritratto in atteggiamento più severo rispetto agli analoghi soggetticonosciuti, per esempio quelli delle tele di Mola e dei Paolotti di Castellana,sembra piuttosto rifarsi al modello adottato nella pala de La Madonna delCarmine e S. Simone Stock del Convento Grande di Putignano. [G.L.]

Bibl.: Lanera 1988; Pellegrino 1997, 1998, 1999; Lanzilotta 1999-2000.

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Il quadro copre un affresco seicentesco sull’altare maggiore.La datazione dell’opera si ricava da diversi documenti, conservati

nell’Archivio di S. Leone Magno. Di alcune carte si è già detto nei Cenni bio-grafici; desta un certo interesse anche un documento, nel quale sono riportatele parole del committente: "Mi faccio esito di carlini cinque e sono per lo sparonel giorno che si pose all’altare il nuovo quadro […]" (Archivio di S. LeoneMagno, libri di Caroseno, 6, conto del 1785/86, del procuratore don FrancescoMacchia).L’impostazione della scena è qui variata: il Bambino non è più seduto su

una gamba ma è adagiato su un panno bianco, tenuto fra le braccia dellaMadre. Sia Gesù che la Madonna hanno lo sguardo rivolto all’osservatore. Nonsi tratta di uno dei lavori migliori usciti dal pennello del brav’uomo, ormaiprossimo al termine della sua carriera artistica. [G.L.]

Bibl.: Lanera 1980, 1986, 1988; Pasculli Ferrara 1995; Pellegrino 1997, 1998, 1999;

Lanzilotta 1999-2000.

108. MADONNA DEL CAROSENO(1785)Castellana, CarosenoOlio su tela incollata su rame, cm 120x90discreto s. d. c.; piccoli fori sulla tela

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109. MADONNA DEL SUFFRAGIOE ANIMEPURGANTI (1785)Castellana, Purgatorio

Olio su tela, cm 308x210restauro 1994 ca.; buono s. d. c.

È la pala dell’altaremaggiore, firmata in basso a destra: “OPUSVINCENTII FATO/ A CASTELLANA; A. D. 1785. AE. SU.E A. 80”.Per la prima volta, alla firma solita con nome, cognome e patria, l’anziano pittoreaggiunge l’età; dato, che ci permette, in mancanza di migliori documenti in propo-sito, di risalire grosso modo al suo anno di nascita, verosimilmente il 1705.Lo stesso anno dell’esecuzione della presente pala, il Fato detta testamento, sen-tendosi ormai prossimo alla fine dei suoi giorni; preso allora da un certo sentimen-to di orgoglio per la sua “nobile professione”, ha quindi tenuto a voler lasciare delsuo ricordo ai posteri qualche informazione in più.La grande tela racchiude in sé tutto l’impegno, la volontà di perfezione, la mae-

stria, il sunto estetico di oltre sessant’anni di attività artistica, come s’è visto (cfr.terzo capitolo) non sempre colma di onori, del pittore castellanese.Dopo il recente restauro è possibile individuare i numerosi pentimenti, ripen-

samenti, rapide coperture ed istintive correzioni, visibili anche ad occhio nudo,particolarmente tra gli angeli.Si notino, tra l’altro, i seguenti: la riduzione del volume della testa di un cheru-

bino, tra la Vergine e le anime sulle nuvole; entrambe le ali dell’angelo con lemanigiunte al di sotto di queste; l’ala sinistra dell’angelo che solleva l’anima d’un chie-rico, e la stretta di mani tra loro; tutto l’altro angelo che libera l’anima d’un laico,con ritocchi su ali e braccia.La Madonna è soavemente raffigurata nell’atto di accogliere a braccia aperte le

suppliche delle anime espianti, e nel contempo inviare gli angeli perché portino alCielo alcune di loro, il cui momento è finalmente giunto. [G.L.]

Bibl.: Lanera 1988; Pasculli Ferrara 1995; Pellegrino 1997, 1998, 1999; Lanzilotta 1999, 1999-2000.

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È cimasa dell’altare maggiore. Il pennello del Fato comincia qui a manifesta-re una certa stanchezza: si evince la mano incerta, che fa propendere la data-zione agli anni estremi della sua produzione. Probabilmente posteriore allaMadonna del Carmine.Il gesuita è raffigurato seduto su di un giaciglio di paglia, in riva al mare;

protende lo sguardo al Cielo, in attesa del riposo eterno, confortato da alcunicherubini. Il soggetto si carica di una forte componente autobiografica; comeha osservato giustamente il Pellegrino, «Il nostro pittore si paragona proprioal missionario delle Indie che ha terminato la sua missione, la sua avventuraterrena.Il mare, che invita a raggiungere nuovi orizzonti, non lo interessa più, non

è più tempo di navigare, di tentare nuove avventure, non è più tempo di dipin-gere». [G.L.]

110. SAN FRANCESCO SAVERIOMORENTE (1785-86)Castellana, Purgatorio

Olio su tela, cm 100x170 ca.restauro 1994 ca.; buono s. d. c.

Bibl.: Pellegrino 1997, 1998, 1999; Lanzilotta 1999-2000.

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Sicuramente l’ultima opera del pittore, firmata e datata, ma lasciata incomple-ta alla sua morte e successivamente completata da Pietro Bardellino. Il dipin-to era destinato a essere collocato sulla fiancata sinistra del Cappellone dellaMadia, e di fronte doveva venire un altro quadro del Fato, ma l’avvenuta suamorte troncò i suoi lavori. L’anno seguente il Capitolo di Monopoli mandò aCastellana il pittore Antonio Maria Drago a ritirare le due tele “delli due qua-dri, una dei quali era pittata e l’altra imprinita”…” (Archivio Unico Diocesanodi Monopoli, Registro dei conti, 26 agosto 1789). Dopo di che il Capitolo deci-se di allogare al Bardellino i due simmetrici quadri sulle fiancate delCappellone. La firma su un sasso in basso a destra riporta: “VINCENTIUSFATO P[INXIT]. A[NN]O AE[TATIS]. SUAE 83 A. D. 1788”. Non è dato disapere a che punto esattamente fosse stata lasciata l’opera alla morte dell’au-tore. Sentendosi con i giorni contati (il buon notaio Pace il 29 gennaio del 1788lo trova ormai a letto infermo) presumo che avesse completato tutte le figure,e almeno la parte inferiore della tela.La scena narra dell’approdo a Monopoli di una zattera (madia) recante

un’icona della Vergine col Bambino; è ambientata presso la Cala PortaVecchia, anziché all’antico porticciolo monopolitano. Sullo sfondo si intrave-dono le lingue di terra verso Brindisi e il torrione a destra dovrebbe esserequello ivi esistente alla fine del Settecento, successivamente trasformato nel-l’attuale casa Zaccaria (Tartarelli). All’orizzonte costiero, si distingue l’anticaabbazia gerosolomitana di S. Stefano.Nel gruppo di destra, due uomini tra la folla si distinguono rispetto agli altri:

uno, dall’aspetto signorile, sembra dialogare con l’osservatore in un gesto dipresentazione della scena; l’altro, più anziano e con la barba, ha il busto par-zialmente girato verso l’osservatore, le braccia incrociate sul petto, lo sguardorivolto alla Sacra Icona, in atteggiamento di fede e fervore. Con giusta osser-vazione il Di Mizio individua in tale figura l’autoritratto del Fato, tesi che con-divido. Particolarmente acute sono le motivazioni che lo studioso addotta asostegno, incentrate sul ruolo del bianco cagnolino che è nei pressi. Scriveinfatti: «[il cane] pare uscito dal riquadro in cui sono scritti i dati anagraficidell’autore e punta il musetto verso il vecchio in preghiera mentre ancora nonritira la zampetta posteriore destra dalla parola “Vincenzo”: pare che sia lì perstabilire un collegamento tra il nome e la persona che lo porta. Né sfugge lapossibilità di un valore simbolico dell’animale: fedeltà all’arte, al credo reli-gioso, alla sua Castellana da cui si congeda prima ancora di portare a compi-mento l’ultima fatica. “Nelle tue mani, o Signore, raccomando il mio spirito; aquesta tela, che raccoglie i frutti di energie estreme, affido le mie sembianze.Amen”». [G.L.]

111. ARRIVO DELLA MADIA NELPORTO DI MONOPOLI (1788)Monopoli, Cattedrale

Olio su tela, cm 230x325 - cattivo s. d. c.;tela allentata, lacerazioni

Bibl.: Olivieri 1954; Tartarelli 1960; Lanera 1960, 1968, 1988; Bellifemine 1979; Senesi Albanese 1981;Di Mizio 1981; Pasculli Ferrara 1994, 1995; Pellegrino 1998, 1999;Lanzilotta 1999, 1999-2000, 2000, 2001.

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Opere di attribuzione discussa o parzialmente autografe

112. SACRA FAMIGLIA CON S. S. ANNA E GIOACCHINO (1725-35)Castellana, S. Francesco di PaolaOlio su tela - cattivo s. d. c.

Attribuzione di Nicola Pellegrino, che condivido con qualche riserva; la telarichiama certi elementi che potrebbero datarla, se autografa, agli anni dellaproduzione giovanile. [G.L.]Bibl.: Pellegrino 1997, 1998; Lanzilotta 1999-2000.

113. MADONNA DELLA VETRANA CON S. S. VITO, NICOLADI BARI E ANTONINO DA FIRENZE (1725-35)Castellana, S. Francesco di PaolaOlio su tela - cattivo s. d. c.

Forse opera di collaborazione. Attribuzione parziale di Nicola Pellegrino, perquanto riguarda le figure dei S. S. Nicola eAntonino; come nel caso della tela pre-cedente si potrebbe formulare una datazione precoce, intorno agli anni della pro-duzione giovanile. [G.L.]Bibl.: Pellegrino 1997, 1998, 1999; Lanzilotta 1999-2000.

114. ADORAZIONE DEI PASTORI (1725-31)Napoli, già in S. Maria ai MontiOlio su tela - trafugato nel 1991

Attribuzione di chi scrive e della Cisternino (com. or. 2001).Purtroppo l’impossibilità di visionare direttamente l’opera non consenteun’analisi più approfondita. Databile al primo soggiorno napoletano. [G.L.]Bibl.: Lanzilotta 1999-2000.

115. PRESENTAZIONE AL TEMPIO (1725-31)Napoli, già in S. Maria ai MontiOlio su tela - trafugato nel 1991

Attribuzione di chi scrive e della Cisternino (com. or. 2001). In particolareritorna la figura femminile di spalle, in primo piano sulla sinistra. Databile alprimo soggiorno napoletano. [G.L.]Bibl.: Lanzilotta 1999-2000.

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116. GESÙ TRA I DOTTORI (1725-31)Napoli, già in S. Maria ai MontiOlio su tela - trafugato nel 1991

Attribuzione di chi scrive e della Cisternino (com. or. 2001). Databile al primo sog-giorno napoletano. [G.L.]Bibl.: Lanzilotta 1999-2000.

117. S. IRENE (1725-37)Monopoli, S. Francesco d’AssisiOlio su tela - restauro 1995 ca.; buono s. d. c.

Proveniente da S. Maria Amalfitana a Monopoli. Attribuzione di NicolaPellegrino, che ritengo piuttosto dubbia; pu! forse trattarsi di opera di collabora-zione, altrimenti posteriormente ritoccata. Secondo il Bellifemine si tratta di un"pittore napoletano di primo $700#. [G.L.]Bibl.: Bellifemine 1982; Lanzilotta 1999-2000.

118. ANNUNCIAZIONE (1741-52)Napoli, S. Maria del rifugioOlio su tela - buono s. d. c.

Opera di ottima fattura, si attribuirebbe al Fato per le corrispondenze stilisti-che in particolare nel viso della Vergine, nella raffigurazione degli angeli e deicherubini. [G.L.]Bibl.: Lanzilotta 1999-2000.

119. ADORAZIONE DEI PASTORI (1741-1752)Napoli, S. Maria del rifugioOlio su tela - discreto s. d. c.; parti mancanti.

Opera più sofisticata e forse per questo meno convincente della precedente, necostituisce il pendant. [G.L.]Bibl.: Lanzilotta 1999-2000.

120. GESÙ BAMBINO MEDITANTE SUGLI STRUMENTIDELLA PASSIONE (1755-80)Bari, Castello Svevo; deposito del Nucleo Tutela del Patrimonio Artisticodell’Arma dei CarabinieriOlio su tela - mediocre s. d. c.; cadute di colore

Proveniente dal sequestro dei beni accumulati illecitamente da GaetanoBellifemine. Attribuzione dello scrivente; è probabile che appartenesse ad unachiesa di Monopoli. [G.L.]

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121. NOLI ME TANGERE (1755-80)Bari, Castello Svevo; deposito del Nucleo Tutela del Patrimonio Artisticodell’Arma dei CarabinieriOlio su tela - pessimo s. d. c.; cadute di colore; quasi illeggibile

Come il dipinto precedente, proveniente dal sequestro dei beni accumulatiillecitamente da Gaetano Bellifemine. Attribuzione dello scrivente; è probabi-le che appartenesse ad una chiesa di Monopoli. [G.L.]

122. S. GIUSEPPE COL BAMBINO (1755-80)Castellana, collezione privataOlio su tela - restauro 2000; buono s. d. c.

Attribuzione del Pellegrino (com. or. 2000). Fatesco è il Bambino Gesù, ma ilS. Giuseppe non è molto convincente. Può trattarsi di opera di bottega coninterventi del maestro. [G.L.]Bibl.: Lanzilotta 1999-2000.

123. NATIVITÀ DI MARIA (1768-80)Conversano, PurgatorioOlio su tela; cm 200x160 ca. restauro 1999; buono s. d. c.

La Natività di Maria, una delle poche scene al femminile dell’iconografia reli-giosa, fin dalle più antiche rappresentazioni costituiva un pretesto per incan-tevoli e realistiche raffigurazioni della camera di una partoriente e dell’affac-cendarsi di amiche e vicine.Proprio per questo carattere totalmente umano e terreno, le scene della

Natività di Maria costituiscono preziosi documenti storici e di costume connumerosi dettagli di arredo e abbigliamento.Elementi di singolare preziosità si possono certamente rintracciare in que-

sta tela, di notevole interesse soprattutto per un certo indugiare su particolari“laici” di raffinata eleganza.

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In primo piano quattro figure femminili circondano Maria appena nata e lapreparano per il bagnetto: la premura e la dolcezza dei gesti accompagnano iprimi delicati respiri della bimba, sotto gli occhi premurosi di Gioacchino cheassiste all’evento mantenendosi ad una rispettosa distanza.La donna che ha tra le braccia Maria potrebbe essere sua cugina Elisabetta:

si giustificherebbe così la particolare cura che emerge nella raffigurazione del-l’abbigliamento della donna rispetto alle ancelle a lei vicine. E’ importante sot-tolineare, infatti, che spesso i particolari di un’opera relativi alle così dette“Arti Minori” sono di notevole rilievo non solo per la datazione di un’opera eper individuare l’ambito storico-artistico di provenienza ma anche e soprattut-to per confronti con altre opere dello stesso artista. In questo caso l’abito diSanta Elisabetta richiama quello di altri personaggi fateschi: nello specificosono possibili accostamenti per il particolare smerlo delle maniche conl’Allegoria dell’elemosina di Castellana, con Cristo e la Cananea di Napoli con

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S. Lucia del Purgatorio di Putignano e con le allegorie della Speranza e Caritàdel 1768 nei depositi di San Benedetto a Conversano.In secondo piano Sant’Anna è distesa in un grande letto, le mani giunte e

lo sguardo al cielo come segno di commossa riconoscenza, attorno a lei dueancelle con un vassoio di cibi e vivande per ristorare la partoriente, mentre laterza ancella si allontana varcando l’uscio della porta.La raffinatezza dell’opera si manifesta, in modo particolare, in alcuni inte-

ressanti dettagli di oreficeria che spiccano per eleganza e ricercatezza: gliorecchini delle donne – tutti diversi per motivi decorativi e per la scelta dellepietre preziose – offrono un interessante catalogo dell’arte orafa tardo settecen-tesca.Singolari sono anche le acconciature delle donne, elemento che conferme-

rebbe la derivazione napoletana dell’opera o almeno il confronto con taleambito artistico, che sappiamo essere stato di notevole rilievo nel percorso for-mativo del Fato.Scrive Adelaide Cirillo Mastrocinque in relazione al costume napoletano

seicentesco: «l’acconciatura è un semplice pezzo di mussola chiara inamida-ta, che si piega e si accomoda sui capelli intrecciati e fissati in una crocchiasulla quale si appunta con spilloni che l’attraversano».L’attenzione rivolta a particolari di oreficeria suggerisce un possibile con-

fronto con altre opere di Vincenzo Fato: il medaglione di San MicheleArcangelo nella chiesa di San Domenico a Putignano; le spille che decoranol’abito dell’Angelo Custode (Castellana, collezione privata) e quelle dell’abitodi Santa Lucia nella chiesa del Purgatorio di Putignano.Lo stesso schema composito dell’opera ricalca, del resto, quello della per-

duta Natività dell’Amalfitana, opera giovanile del Fato purtroppo misteriosa-mente scomparsa.Il pavimento e gli angeli festanti sono inoltre un ulteriore elemento di con-

fronto con opere dell’artista.Il tema della Natività di Maria, inoltre, si lega a doppio filo con la

Confraternita del Purgatorio o del Suffragio: come testimoniano le fonti, nellachiesa di San Martino, nel quartiere di San Cosma a Conversano, antica sededella confraternita c’era infatti un altare sormontato da una quadro raffiguran-te la Natività della Vergine “sub qua militant fratres” (Fanizzi).E’ probabile dunque che i confratelli del Purgatorio dopo la commissione al

Fato della Madonna delle anime purganti, nell’attuale chiesa del Purgatorio,spinti dalla devozione - e dalla stima nei confronti dell’artista - abbiano a luicommissionato la realizzazione di questa interessante tela, opera della maturi-tà del Fato, che si può pertanto datare tra il 1768 e il 1780. [A.D.T.]

Bibl.: Fanizzi 1990; Cirillo Mastrocinque 1991; L’Abbate 1997.

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124. TRINITÀ CON S. VINCENZO FERRERICastellana, il SalvatoreOlio su tela, cm 250x180 ca. - cattivo s. d. c.

Proveniente da S. Leone Magno in Castellana, la tela è firmata e datata “W:SLONGO PINXIT 17[3]0”. Tuttavia il Pellegrino è propenso a credere che sitratti di una firma posticcia, avendo il dipinto “tutto lo stile del Fato”(Pellegrino 1997, p. 54), dato che non si ha alcuna notizia nelle fonti di que-sto Longo, né si conoscono altre opere. Lo scrivente lo ritiene vicino all’ambi-to di Giovan Battista Lama o di Nicola De Filippis, allievo del De Matteis; delLama si conosce una pala di soggetto e stile analogo conservata in S. Teresa aMonopoli. [G.L.]

Bibl.: Pasculli Ferrara 1982; Pellegrino 1997; Lanzilotta 1999-2000.

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Opere documentate ma irreperibili o perdute di cui non esistedocumentazione fotografica

125. MADONNA DELLA MADIA (“QUADRO GRANDE”)126. S. VINCENZO FERRERI (“QUADRO GRANDE”)127. MADONNA DEL CAROSENO (“QUADRETTO”)128. S. PASQUALE (“QUADRETTO”)129. S. LUIGI (“QUADRETTO”)130. CRISTO SCHIODATO DALLA CROCE (“QUADRETTO”)131. MADONNA CON S. GIUSEPPE E CORO D’ANGELI (“QUADRETTO”)

Presumibilmente degli oli su tela, i summenzionati dipinti compaiono neltestamento del prete don Giuseppe Sgobba di Castellana, documento rogatonell’agosto del 1811. Allo stato attuale delle ricerche non sono rinvenuti. Nellachiesa castellanese dell’Immacolata esiste un “quadretto”, quasi illeggibileper le cattive condizioni di conservazione, raffigurante una Deposizione dallacroce: che si tratti del dipinto al n. 130? Un auspicabile intervento di restauropotrebbe scioglierne il mistero. [G.L.]Bibl.: Mastromarino 2002.

132. S. BIAGIO (1735)Monopoli, già in S. Maria AmalfitanaOlio su tela - irreperibile

Menzionata per la prima volta dal Tartarelli, poi dal Bellifemine; come già perla Natività di Maria, anche di quest’opera si sono perse le tracce; oltretutto nonesiste una benché minima documentazione fotografica a riguardo. [G.L.]Bibl.: Tartarelli 1960; Bellifemine 1982; Lanera 1988; Lanzilotta 1999-2000.

133. S. PIETRO APOSTOLOPutignano, già in S. Maria la GrecaOlio su tela, cm 300x200 - irreperibile

L’autografia del Fato è testimoniata dall’avvocato putignanese GiovanniCasulli nel suo manoscritto sulla storia della città (s.d., circa 1886). Alla p.139, f. 1542, durante la descrizione degli arredi della chiesa scrive, accennan-do anche ad altre opere non meglio precisate: “dei vari quadri fra quali quel-li di S. Pietro e di S. Paolo, che fece nei primi del 1600 (sic), Vincenzo Fato diCastellana”. Insieme al suo pendant S. Paolo Apostolo, la tela risulta ancora inloco nel 1937-38, documentata dalla scheda doppia n. 4 della Soprintendenzafirmata M. Luceri, la quale attribuisce entrambi i dipinti ad una generica“scuola napoletana”. La studiosa ne descrive l’opera: “S. Pietro in un antroroccioso … a mani giunte sguardo al Cielo”. [G.L.]Bibl.: Galiani 1994.

134. S. PAOLO APOSTOLOPutignano, già in S. Maria la GrecaOlio su tela, cm 300x200 - irreperibile

Per la ricostruzione storica del dipinto vedi scheda precedente. Insieme al suopendant S. Pietro Apostolo, la tela risulta ancora in loco nel 1937-38, docu-mentata dalla scheda doppia n. 4 della Soprintendenza firmata M. Luceri, laquale attribuisce entrambi i dipinti ad una generica “scuola napoletana”. Lastudiosa ne descrive l’opera: “S. Paolo seduto, rivolto tre quarti verso destraguarda i libri sparsi a terra. Nello sfondo a destra orizzonte infuocato”. [G.L.]Bibl.: Galiani 1994.

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ADDENDA

AUTORI DELLE SCHEDE

Mariella Intini [M.I.]Mario Alberto Pavone [M.A.P.]

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V | ADDENDA

Il dipinto raffigura la Madonna col Bambino. Seduta e ripresa di tre quar-ti, la Vergine contempla il Bambino che le dorme in grembo, nudo e placi-do. È rappresentata mentre, portato l’indice della mano sinistra alla fron-te reclinata, in atteggiamento assorto, sta quasi per prendere, con la sua,la manina destra del Figlio che stringe una piccola croce. In alto a destra,tre cherubini si affacciano in direzione del fascio di luce che investe il visoe il collo della Madonna e che invece si modula, diminuendo l’intensità,per carezzare dolcemente il Bambino che riposa. La raffinata composizio-ne riesce ad infondere una certa serenità in chi la osserva: “consolazione”,stando al titolo assegnatole, titolo più spesso utilizzato in ambito cultualeagostiniano.L’opera, non firmata, fu “pennellata dall’eccellente Luca Giordano”,

secondo quanto attestava il canonico Gianfrancesco Cassano, che compo-se una storia di Noci intorno al 1720. Per volontà del padre Definitore dellocale convento dei Cappuccini, Francesco Giacomino da Noci, detto ilVecchio, fu eretto l’altare dedicato alla “Madonna della Consolazione” e fuistituita la festa nel giorno della domenica in albis, in ricordo del giorno incui il dipinto fu solennemente allogato. Una frase vergata sul frontespiziodi un libro di prediche, stampato a Venezia nel 1665 e appartenuto allalibreria del convento nocese, riferiva che la figura “del famoso pittore

LUCA GIORDANO

MADONNA COL BAMBINODETTA MADONNADELLA CONSOLAZIONE(ante 1690)Noci, SS. Nome di Gesù

Olio su tela, cm. 84,5 x 57,5.

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V | ADDENDA

chiamato il Giordano” fu donata al frate Francesco da un nipote musicista(innominato), nell’anno 1690. Morto il Giacomino nel 1706, la festa della“Consolazione” continuò ad essere celebrata e la Madonna sotto questotitolo invocata dai Nocesi per ottenere grazie, soprattutto la pioggia duran-te gli anni di siccità e carestia. Pietro Gioia, che ricostruì e pubblicò unastoria di Noci e del circondario tra il 1839 e il 1842, accolse la versioneche attribuiva l’opera (“quel pregiatissimo quadro, che si teneva l’origina-le”) a Luca Giordano, ma non prese posizione né approfondì le indagini.Nel 1941 l’ex chiesa del soppresso convento dei Cappuccini fu elevata

a terza parrocchia di Noci e fu intitolata al SS. Nome di Gesù. La cerimo-nia ufficiale che segnò l’insediamento del primo parroco, don AnastasioAmatulli, e la fondazione della parrocchia si tenne il 4 novembre 1945. Apartire da quell’anno, per volere del parroco e con il concorso dei parroc-chiani, la chiesa fu ristrutturata e ampliata su progetto dell’arch. PasqualeCarbonara, fornita di nuovi arredi sacri, consacrata nel 1962. Non tutte leimmagini devozionali appartenute ai frati francescani, statue e tele, pur serestaurate presso l’allora Soprintendenza Gallerie di Bari (?), trovaronocollocazione nella “nuova” chiesa. La tela della Madonna dellaConsolazione, restaurata nel 1968, fu spostata nell’ufficio parrocchiale(prima di tutte le operazioni effettuate risultava misurare cm 100 x 75; oramancano pressappoco 15 cm per lato. Esaminando il quadro ci si rendeconto che è dipinta la parte di tela piegata in corrispondenza del telaio).Assegnata al Giordano da Michele D’Elia, secondo altri è opera di un

allievo o di un imitatore del celebre artista. [M.I.]

Bibl.: Gioia 1839-42 (rist. 1970); Da Valenzano 1926; Notarnicola 1931 (rist. 1995); D’Elia 1964;

Tateo 1984; Cassano 1999; Gentile 1999; Intini 2000.

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V | ADDENDA

Secondo i dati forniti in sede d’asta (Babuino, Via dei Greci 2/a, Roma, catalogodella vendita 21-23 ottobre 2003, n. 31, pp. 40-41), il dipinto « già in collezio-ne privata a Perugia, proviene dall’Ungheria, originariamente come legato delVescovo Miclòs Nagyvàradi, dall’eredità del conte Nikolaus Szèchènyi, vescovodi Grosswardein, Vàszon (Leinwand)».Come richiedeva la prassi di bottega, il bozzetto preparatorio destinato al

committente quale prova tangibile dell’impegno assunto, per il quale veniva ver-sato un anticipo, costituiva una realizzazione preliminare di particolare rilievoper l’impegno dell’artista in merito al risultato finale. Nel periodo di permanen-za in bottega, prima della consegna definitiva, l’opera diveniva punto privilegia-to di osservazione, verso cui si orientavano i tentativi di imitazione degli allievi,molti dei quali supportati dall’intervento dello stesso maestro. In molti casi veni-vano realizzate alcune repliche per soddisfare le richieste di amici e conoscitoriche avevano apprezzato particolarmente il risultato conseguito. Di qui la dirama-zione anche in provincia di esperienze maturate nella stretta cerchia dell’artistaproponente.Nel caso della tela in questione dobbiamo appunto considerare che si tratta

di un’opera realizzata nell’ambito della bottega di Francesco Solimena e portataa termine sotto il suo diretto controllo, come lascia supporre il rilievo dato alletinte dal marchio chiaroscurale.La tela va ricondotta al bozzetto per la pala di uguale soggetto realizzata dal

Solimena per Santa Maria Egiziaca a Forcella, di cui dà notizia il De Dominici(Vite de’ pittori, scultori e architetti napoletani, Napoli, 1742, III, p. 585):«D’ugual forza di chiaroscuro, ma di tinta più vaga sono i quadri esposti nellaChiesa di S. Maria Egiziaca, presso Porta Nolana, ove espresse in uno la B.Vergine con S. Agostino e S. Monica, e nell’altro la stessa SS. Vergine con alcu-ni Santi Carmelitani». Il Bologna (Francesco Solimena, Napoli, 1958, pp. 81, 92,263), nel riprendere tale testimonianza, indicava in collezione Busiri Vici aRoma «il bozzetto dell’opera (o forse soltanto una buona copia di esso)». Quantoalla datazione, lo studioso riprendeva una traccia documentaria del D’Addosio(Documenti inediti…, in “Archivio Storico delle Provincie Napoletane”, 1920,p. 114), per indicare il 1696 come anno di esecuzione di ambedue i dipinti diSanta Maria Egiziaca. Secondo quanto ho avuto modo di precisare successiva-mente (M. A. Pavone,Francesco Solimena inDonnalbina, in “Studi di Storia del-l’arte”, 1991, pp. 203-242; Pittori napoletani del primo Settecento: fonti e docu-menti, Napoli 1997, p. 140) la pala agostiniana dell’Egiziaca, dopo il restauro,ha rivelato la data 1690, che ha dato conferma al documento reso noto dal Rizzo(in “Storia dell’arte”, 1990, p. 386): « A.S.B.N., Banco di S. Maria del Popolo,giornale di cassa, matr. 566, 14 marzo 1689: A Suor Camilla M. Paolucci D. 50e per esso a Francesco Solimena disse sono in conto di un Quadro haverà da farenella loro Chiesa del Monastero dell’Egiziaca…».Dal confronto con la pala di Santa Maria Egiziaca traspaiono elementi di

stringente affinità strutturale, anche se la tela di piccolo formato non contiene,nella parte alta della composizione, gli elementi architettonici sviluppati dalSolimena per dare un risalto monumentale all’opera definitiva, come il riferi-mento al partito architettonico sovrastante i capitelli corinzii. La rispondenza

FRANCESCO SOLIMENAE COLLABORATORE(NICOLA MARIA ROSSI?)

MADONNA CON BAMBINO INTRONO TRA SANT’AGOSTINO ESANTA MONICASalerno, Collezione privata

Olio su tela, cm 96x74,5

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iconografica risulta comunque completa fin nei minimi dettagli, come nella scrit-ta “Confessioni” sul dorso del volume posto sul gradino, che viene richiamatodall’angelo per indicarne l’autore in Sant’Agostino.Venendo ad un esame del risultato finale della tela in questione va osservato

che l’opera, pur riferendosi al bozzetto preliminare della citata paladell’Egiziaca, costituisce un tentativo di rielaborazione di tale tematica matura-to, tra gli anni venti e trenta del Settecento, all’interno dell’accademia delSolimena e sotto il suo specifico controllo. La ricerca cromatica testimonia unorientamento volto ad avvalorare il risalto chiaroscurale, ma anche a conciliarel’effetto luministico con un’impostazione statica e monumentale, sulla scorta diquanto operato dal Solimena nel momento della svolta classicistica maturataintorno al 1690, in occasione della tela con l’Allegoria delle virtù regali, oggi aSan Pietroburgo (Museo dell’Ermitage). Risulta evidente l’assenza, percepibilenell’esemplare dell’Egiziaca, di elementi tipici degli anni ’80-’90, quali il “mac-chiato” giordanesco, inserito in un’atmosfera densa di vapori, o la particolaremorbidezza delle carni e dei panni, che si individua nelle tele del Solimena finoagli esiti delle tele di Donnalbina, della seconda metà degli anni ’90.Il particolare rilievo dato alle stoffe, indagate nel loro spessore materico con-

sente raffronti, per il Sant’Agostino, sia con il più anziano dei re magi nellaAdorazione di Donnalbina, che con il San Gennaro della Cattedrale di Napoli econ quello della collezione Harrach a Schloss Rohrau. Il putto in primo piano hala solida resa di quello ai piedi del San Ruffo della cappella del Palazzo Ruffo aNapoli, come di quelli della Madonna del Gonfalone di SantaMaria degli Angeliad Aversa. Le scelte indicate permettono di risalire ad interventi diretti delSolimena in un contesto generale dove si viene precisando l’operato di un allie-vo, che andrà identificato con Nicola Maria Rossi, specie se si confrontano gliesiti della tela con quelli dei bozzetti e delle relative tele finali realizzate per lachiesa della Croce di Lucca ed ora in deposito presso la chiesa dell’Abazia diCava dei Tirreni.Al Rossi, stretto seguace del metro solimeniano, che raggiunse l’apice della

propria affermazione negli anni del viceregno austriaco, come è testimoniatodalle commissioni dell’Harrach, vanno riferite alcune tipiche definizioni figura-tive, come quella del Bambino, che si ritrova in una posa simile nella Visione diSan Giuseppe Colasanzio del Museo di Dunkerque. La sua cifra stilistica è inol-tre riconoscibile dall’andamento dei panneggi, confrontabile, per la Vergine, coni risultati delle figure danzanti nella Festa di Piedigrotta (Schloss Rohrau, colle-zione Harrach), e, per la Santa Monica, con le vesti delle Sante Chiara e Rosa(Napoli, Incoronata a Capodimonte). Anche la fuga prospettica, che sigla la chiu-sura scenica facendo perno sulla sequenza delle colonne, consente rimandi adalcune delle sue più significative composizioni.In ultimo va osservato che il dipinto, ora a Salerno, mostra evidenti segni di

ridipintura in alcune parti, quali, la testa della Vergine, e la figura dell’angelocon le mani giunte, posto sulla destra. [M.A.P.]

Bibl.: De Dominici 1742 ; D’Addosio 1920; Bologna 1958; Pavone 1991, 1997; Hermery in AAVV 2001;

Contursi - Pavone 2002.

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FRANCESCO SOLIMENA

LA VERGINE IMMACOLATACON BAMBINO IN GLORIANocera Inferiore, Conventodi Sant’Andrea (attualmente pressoil Convento dei Cappuccini di Nola)

Olio su tela

La tela occupa la parte centrale del polittico dei Cappuccini di Sant’Andreaa Nocera Inferiore. L’opera si inserisce tra i dipinti realizzati dal Solimenaper i diversi ordini religiosi presenti nell’agro nocerino sarnese e in parti-colare per i nuclei attivi a Nocera: località dove aveva avviato il proprioapprendistato presso la bottega paterna (cfr. il recente contributo: Angelo eFrancesco Solimena nell’Agro Nocerino-Sarnese tra continuità e alternative,a cura di G. Contursi, M. A. Pavone, Salerno 2002).Le scelte pittoriche adottate dal Solimena in tale circostanza, oltre ad

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essere funzionali a rafforzare il tono solenne nella presentazione dellaVergine rivelano il ricorso ad un vigoroso impasto cromatico-luministico,che consente di confrontarne l’esito con i risultati conseguiti in alcune delletele di Donnalbina e in particolare nella Natività. La figura della Verginenella tela in questione, dal punto di vista della scelta tipologica, va posta inrelazione alla figura femminile che funge da protagonista nella tela delMuseo di Tolosa (cfr. F. Bologna, Francesco Solimena, Napoli, 1958, fig.139; A. Hermery, in Settecento. Le siècle de Tiepolo, catalogo della mostra,Lille, 2001, pp. 272-273).Mentre la tela della cimasa, raffigurante il Padre Eterno, appare piutto-

sto legata alla produzione del padre Angelo, per la vigorosa impronta chia-roscurale, oltre che per l’intervento quasi calligrafico che connota la defi-nizione del capo e delle mani, i due pannelli laterali alla tela centrale, conSant’Andrea e San Francesco in estasi, spettano a Nicola Malinconico.Pertanto la data 1702, apposta alla cornice, consente non solo di circoscri-vere cronologicamente tale produzione, ma anche di assistere alla compar-tecipazione dei due artisti napoletani al complesso pittorico voluto daiCappuccini di Nocera. Tale lavoro, a più mani, se testimonia un obiettivoconfronto tra i due maestri, e, nel caso del Malinconico, rimanda ad esitiquali il San Francesco dei Santi Bernardo e Margherita a Napoli (1694),permette inoltre di richiamare alla memoria le tappe che segnarono la deco-razione di Donnalbina, affidata in parte e in primo luogo al Solimena, e poicompletata dal Malinconico, proprio nel 1702 (cfr. M. A. Pavone, Pittorinapoletani del primo Settecento. Fonti e documenti, Napoli, 1997, pp. 112-121). [M.A.P.]

Bibl.: Bologna 1958; Hermery in AAVV 2001; Pavone 1997; Contursi - Pavone 2002.

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GIACOMO LANZILOTTA

CRONOLOGIA E REGESTO DEI DOCUMENTIDI VINCENZO FATO

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11770055 ccaa.. nasce, forse a Castellana in Terra di Bari, da Giampietro e FrancescaAlfarano;

11771199--2288 presunta formazione presso la bottega di Paolo De Matteis (che muorenel ’28); forse a questo periodo risalgono i primi soggiorni a Napoli;

11772299--4400 presunta attività in S. Domenico a Putignano (13 tele di cui una firma-ta, l'Annunciazione);

11773300

11773311

11773322 Natività di Maria, Monopoli, S. Maria Amalfitana;

11773333

11773344 documentato a Castellana come collaboratore dello scultore fra’ LucaPrincipino (AASSBB,, SScchheeddee nnoottaarriillii,, CCaasstteellllaannaa,, NNoottaaiioo CCoollaa MMoonnssuulllloo,, 11773344,, nn..88550044,, cccc.. 4444 ee sseegguueennttii);

11773355 Immacolata con Santi, Castellana, cappella rurale di S. Michele; S .Biagio, Monopoli, S. Maria Amalfitana; documentato a Castellana, nominato inun atto del notaio Sabbatelli (AASSBB,, SScchheeddee nnoottaarriillii,, CCaasstteellllaannaa,, NNoottaaiiooSSaabbbbaatteellllii,, pprroottooccoolllloo 11773355,, iinnsseerrttoo cchhee sseegguuee aa cc.. 220011tt);

11773366 documentato a Castellana, nominato in un atto del notaio Cola Monsullo,in merito alla vendita di venti stoppelli di terre, siti in contrada Monte Sassonio(AASSBB,, SScchheeddee nnoottaarriillii,, CCaasstteellllaannaa,, NNoottaaiioo CCoollaa MMoonnssuulllloo,, 11773366,, cc.. 7733);

11773377

11773388 S. Francesco Borgia, Castellana, Purgatorio;

11773399

11774400

11774411Mater Domini, disegno; Circoncisione con Santi, Rutigliano, S. Domenico;

11774411--5522 decennio di permanenza stabile a Napoli; ha lo studio (e verosimil-mente l’abitazione, ivi o nei pressi) in via dell’Avvocata al Mercatello, rione deiquartieri spagnoli;

11774422 8 opere per il Tesoro di S. Gennaro nel Duomo di Napoli (AATTSSGG,, ddoocc..HH//8800,, SSppeessee mmeennssiillii ffaattttee ppeerr llaa cchhiieessaa,, aapprriillee--sseetttteemmbbrree 11774422;; ddoocc.. CCFF//2200,, nn..11229977,, SSppeessee ddiivveerrssee ppeerr llaa ssaaccrreessttiiaa,, 11774433;; ddoocc.. GGGG//1133,, aaaa.. 11774411--11775511,,GGiioorrnnaallee ddeell TTeessoorroo ddeell GGlloorriioossoo SS.. GGeennnnaarroo,, 2222 mmaaggggiioo 11774433);

Giacomo LanzilottaCRONOLOGIADI VINCENZO FATO: FATTI, OPERE, DOCUMENTI

Sigle:

ASBArchivio di Stato di Bari

ASLArchivio di S. Leone Magno di Castellana Grotte

ADCArchivio Diocesano di Conversano

AUDArchivio Unico Diocesano di Monopoli

APSDSArchivio Parrocchiale di S. Domenico Soriano di Napoli

ATSG

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11774433 il 17 ottobre sposa Antonia Picardi (AAPPSSDDSS,, RReeggiissttrrii mmaattrriimmoonniiaallii,, vvooll..11774400--11774466,, aa.. 11774433,, 1177 oottttoobbrree,, pp.. 2211vv); Pala di Frasso Telesino; Addolorata diManfredonia;

11774444Madonna del Carmine, Castellaneta, S. Giuseppe;

11774455 nasce Giovan Pietro Fato, battezzato il 30 giugno (AAPPSSDDSS,, RReeggiissttrroo ddeeiiBBaatttteezzzzaattii,, vvooll.. 11774400--4466,, 3300 ggiiuuggnnoo 11774455,, pp.. 8800rr);

11774466

11774477 2 storie di S. Francesca Romana, Napoli, S. Anna dei Lombardi;

11774488

11774499

11775500

11775511

11775522 durante il viaggio di ritorno da Napoli, sosta alla taverna d’Orta inCapitanata, ove il 9 aprile la moglie partorisce Maria Saveria; la neonata vienebattezzata sul posto dal rev. Giannantonio Cardone di Castellana, anch'egli inviaggio con la famiglia del pittore; dal documento battesimale apprendiamo cheil padrino fu tale Giuseppe di Giorgio, di Napoli (AASSLL,, RReeggiissttrrii bbaatttteessiimmaallii,, 1122mmaaggggiioo 11775522);

11775533 presunti lavori a Mola di Bari, S. Nicola;

11775544 gli nasce un’altra figlia, Grazia Maria (AASSLL,, RReeggiissttrrii bbaatttteessiimmaallii,, 1166 oottttoo--bbrree 11775544);

11775555 dipinge a Monopoli, S. Francesco d’Assisi; documentato a Castellanaassieme al suo presunto fratello Paolo, sacerdote (AASSLL,, lliibbrroo ddeeggllii iinnttrrooiittii eeddeessiittii,, 1166 mmaaggggiioo,, pppp.. 117700,, 117722);

11775566 dipinge a Monopoli una pala d'altare per il Purgatorio;

11775577 documentato a Castellana (AASSBB,, SScchheeddee nnoottaarriillii,, CCaasstteellllaannaa,, NNoottaaiioo CCoollaaMMoonnssuulllloo,, 11775577,, cc.. 1199), dove si legge che il Fato abitava "nel vicinato dellaPiazza pubblica";

11775588 dipinge il piccolo S. Leonardo per la cappella di S. Cesario della chiesamatrice di Putignano;

11775599

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11776600

11776611 altri 3 dipinti in Monopoli, S. Francesco d’Assisi; gli nasce la quinta figlia,Marianna (AASSLL,, RReeggiissttrrii bbaatttteessiimmaallii,, 44 ggeennnnaaiioo 11776611);

11776622

11776633

11776644 da questa data è probabile che scelga di stabilirsi definitivamente aCastellana; tuttavia mantiene contatti con Napoli, da dove si fa inviare le tele‘imprimite’;

11776655 Madonna del Carmine e S. Simone Stock, Putignano, Convento Grande;forse esegue altri lavori;

11776666 documentato a Castellana, in merito alla vendita di un fondo in contradaLa Cupa (AASSBB,, SScchheeddee nnoottaarriillii,, CCaasstteellllaannaa,, NNoottaaiioo VViittaannttoonniioo CCaammppaanneellllii,,11776666,, cc.. 55tt);

11776677 documentato a Castellana; difficoltà economiche; chiede al Capitolo di S.Leone Magno una dilazione al pagamento di un censo (AASSLL,, ccoonncclluussiioonnii ccaappii--ttoollaarrii,, 2255 ggeennnnaaiioo,, pp.. 227777rr); due dipinti per il Caroseno a Castellana, documen-tati (AASSLL,, ccoonncclluussiioonnii ccaappiittoollaarrii,, 2255 aaggoossttoo,, pp.. 228866rr), un dipinto per il Carminea Putignano, un dipinto per S. Leone a Castellana;

11776688 Adorazione dei pastori, Noci, Natività; lettera del 24 gennaio a d. MicheleManuzzi, avvocato del Monastero di S. Benedetto a Conversano: si parla di duetele commissionate dalle monache al pittore; si tratta dei quadri allegoriciCarità e Speranza, quest’ultima firmata e datata lo stesso anno, conservate tut-tora nei depositi del Monastero; sempre nella lettera dichiara che la sua fami-glia è composta da dieci persone (AADDCC,, CCoonnvveerrssaannoo,, mmoonnaasstteerrii ssoopppprreessssii,, SS..BBeenneeddeettttoo,, ccoorrrriissppoonnddeennzzaa ccoommuunnee,, 2244 ggeennnnaaiioo,, ss.. nn..); il giorno 22 febbraio ilpittore castellanese ricevette dal Monastero di S. Benedetto la somma di duca-ti 10 e grana 30, quale probabile pagamento parziale del lavoro commissionato(AADDCC,, CCoonnvveerrssaannoo.. MMoonnaasstteerrii ssoopppprreessssii.. SS.. BBeenneeddeettttoo.. BBiillaannccii,, bbuussttaa 1111,, ffaassccii--ccoolloo 99,, ff.. nn.. ii..); in luglio consultato per la decorazione del coro del Caroseno(AASSLL,, ccoonncclluussiioonnii ccaappiittoollaarrii,, 1177 lluugglliioo,, pp.. 330000vv);

11776699

11777700 S. Vincenzo Ferreri, Putignano, Conservatorio S. M. degli Angeli; Miracolodi S. Mauro, Massafra, S. Benedetto; professione di fede di una sua figlia neldetto monastero; gravi difficoltà economiche; dichiara in una lettera “di esserecaduto in lacrimevole povertà”, e che la sua famiglia è composta di otto perso-ne; nella stessa data il Capitolo concede un prestito al Fato di 15 ducati al 5%di interesse; cautela del notaio Pace (AASSLL,, ccoonncclluussiioonnii ccaappiittoollaarrii,, 2222 lluugglliioo,, pp..55vv ++ eeppiissttoollaa sseegguueennttee ss.. nn..;; mmiisscceellllaanneeaa ""rriinnffrraanncchhii ddii ccaappiittaallii"",, 1144 aaggoossttoo,, pp..

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226600vv);

11777711 dipinge a Castellana, S. Leone Magno, varie opere; S. Pietro d’Alcantara,Capurso, S. Maria del Pozzo; Madonna Pastora, Santeramo, Monfortani;

11777722

11777733 Madonna degli Angioli con S. Pasquale Baylon, Capurso, S. Maria delPozzo;

11777744 difficoltà economiche; chiede un prestito, parte per i suoi bisogni, parteper coprire precedenti debiti; vari documenti (AASSLL,, ccoonncclluussiioonnii ccaappiittoollaarrii,, 99ggeennnnaaiioo,, 1155 sseetttteemmbbrree;; ccaarrtteellllaa cceennssuuaarrii,, vvooll.. 11110066,, 1155 sseetttteemmbbrree,, pp.. 224488rr);

11777755 gli muore il figlio Pietro; ricevuta di pagamento del pittore (AASSLL,, ccaarrtteell--llaa cceennssuuaarrii,, vvooll.. 11110066,, 55 ffeebbbbrraaiioo,, pp.. 338844vv);

11777766 dipinge 3 tele a Putignano, S. M. di Costantinopoli;

11777777

11777788Madonna del Carmine, Conversano, Purgatorio;

11777799 S. Giacomo Minore, Conversano, collezione privata;

11778800 è nominato tra i ‘galantuomini’ nell’elenco dei debitori del Capitolo di S.Leone; il debito riguarda l’anno precedente e ammonta a 3 ducati e 60 [grana];è anche documentato il pagamento del censo di 3 ducati per l'annata 80/81; varidocumenti (AASSLL,, ccoonncclluussiioonnii ccaappiittoollaarrii,, 2266 mmaarrzzoo,, pppp.. 6633vv,, 6644rr;; lliibbrroo ddeegglliiiinnttrrooiittii eedd eessiittii,, 1166 mmaaggggiioo,, pp.. 11rr);

11778800--8866 in questo periodo presumibilmente esegue le cimase degli altari delPurgatorio a Castellana, e altre decorazioni della chiesa;

11778800--8844 tale Samuele Fato, forse un parente, firma l’unico suo quadro cono-sciuto 178..? a Galatone. Non essendo egli nominato nel testamento del 1785,se ne deduce che: a) non è figlio del Fato; b) se lo fosse (nato forse a Napoli?),dovrebbe essere morto entro il 1785, sicchè avrebbe realizzato la tela entro taledata;

11778811 Annunciazione, Castellana, Purgatorio; è documentato il pagamento delcenso di 3 ducati per l'annata 81/82 (AASSLL,, lliibbrroo ddeeggllii iinnttrrooiittii eedd eessiittii,, 1166 mmaagg--ggiioo,, pp.. 11rr);

11778822 è documentato il pagamento del censo di 3 ducati per l'annata 82/83(AASSLL,, lliibbrroo ddeeggllii iinnttrrooiittii eedd eessiittii,, 1166 mmaaggggiioo,, pp.. 11rr);

11778833 gli muore un altro figlio, Francesco; il cappellano del Caroseno trova una

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VI | VINCENZO FATO Cronologia

ricevuta del pittore di 6 ducati per il ritratto della Mater Domini che si farà inrame (AASSLL,, ccoonncclluussiioonnii ccaappiittoollaarrii,, 11 mmaaggggiioo,, pp.. 8833rr); è documentato il paga-mento del censo di 3 ducati per l'annata 83/84 (AASSLL,, lliibbrroo ddeeggllii iinnttrrooiittii eedd eessiittii,,1166 mmaaggggiioo,, pp.. 11rr);

11778844 è documentato il pagamento del censo di 3 ducati per l'annata 84/85(AASSLL,, lliibbrroo ddeeggllii iinnttrrooiittii eedd eessiittii,, 1166 mmaaggggiioo,, pp.. 11rr);

11778855 dipinge a Castellana per il Caroseno e il Purgatorio; il 10 maggio fa testa-mento; documentato (AASSBB,, SScchheeddee nnoottaarriillii,, CCaasstteellllaannaa,, NNoottaaiioo GGiiuusseeppppeeDDoommeenniiccoo PPaaccee,, 11778855,, cccc.. 4477 ee sseegguueennttii;; AASSLL,, lliibbrrii ddii CCaarroosseennoo,, 66,, ccoonnttoo ddeell11778855//8866,, ddeell pprrooccuurraattoorree ddoonn FFrraanncceessccoo MMaacccchhiiaa); è documentato il pagamen-to del censo di 3 ducati per l'annata 85/86 (AASSLL,, lliibbrroo ddeeggllii iinnttrrooiittii eedd eessiittii,, 1166mmaaggggiioo,, pp.. 99);

11778866 il sacerdote Oronzo Montanaro definisce "eccellenti pitture" i quadri delCaroseno "di S. Pietro e di S. Giovanni" (AASSLL,, ccoonncclluussiioonnii ccaappiittoollaarrii,, 1133 lluugglliioo,,pp.. 110088vv); è documentato il pagamento del censo di 3 ducati per l'annata 86/87(AASSLL,, lliibbrroo ddeeggllii iinnttrrooiittii eedd eessiittii,, 1166 mmaaggggiioo,, pp.. 11rr);

11778877 incomincia nel suo studio castellanese l’Arrivo della Madia, Monopoli,Cattedrale, che lascerà incompleto alla sua morte; è documentato il pagamentodel censo di 3 ducati per l'annata 87/88 (AASSLL,, lliibbrroo ddeeggllii iinnttrrooiittii eedd eessiittii,, 1166mmaaggggiioo,, pp.. 11rr);

11778888 il 29 gennaio, malato, sul letto di morte, detta al notaio GiuseppeDomenico Pace il codicillo al testamento (AASSBB,, SScchheeddee nnoottaarriillii,, CCaasstteellllaannaa,,NNoottaaiioo GGiiuusseeppppee DDoommeenniiccoo PPaaccee,, 11778888,, cccc.. 3366 ee sseegguueennttii). Il 6 febbraio muorea Castellana, nella sua casa di via del Gelso; viene seppellito, secondo le suevolontà, nella chiesa della Confraternita del Purgatorio, della quale era confra-tello (AASSLL,, RReeggiissttrroo ddeeii mmoorrttii,, 66 ffeebbbbrraaiioo 11778888); per il funerale del pittore furo-no spesi ducati dieci, grana ventotto e cavalli nove (AASSLL,, LLiibbrroo ddeell pprrooccuurraattoorreeggeenneerraallee,, 11778888,, ss.. nn..);

11778899 il Capitolo di Monopoli manda a Castellana il pittore Antonio Maria Dragoa ritirare la tela dell'Arrivo della Madonna della Madia, più un'altra tela dellestesse dimensioni che era stata allogata al defunto pittore; ma delle due, solola prima era stata dipinta, e l'altra appena "imprimita" (AAUUDD,, RReeggiissttrroo ddeeiiccoonnttii,, 2266 aaggoossttoo 11778899).

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VI | VINCENZO FATO Regesto dei documenti

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ASB, Schede Notarili, Castellana, Notaio Giuseppe Domenico Pace, 1785, cc.47 e seguenti.

Testamento nuncupativo del magnifico D. Vincenzo Fato.Die decimo mensis maii, millesimo septingentesimo octuagesimo quinto,

indictione tertia, Castellanae. Regnante /. Nella nostra presenza personalmentecostituito il magnifico D. Vincenzo Fato della terra di Castellana, il quale consi-derando lo stato fragile e caduco dell’umana natura, e non esservi cosa più certadella morte, ed incertissima l’ora di quella, dubitando passare da questa all’al-tra vita senza disporre dei suoi beni temporali, ha stabilito perciò fare, siccomefa, il suo ultimo, nuncupativo testamento […]. Primieramente raccomanda l’ani-ma sua a Dio Padre onnipotente, alla beatissima Vergine Maria e a tutti i suoisanti avvocati e protettori, pregandoli che nel partire farà da questa all’altra vitala vogliano far partecipe dell’eterna gloria. Il suo corpo cadavere però vuole chesi sepelisca nella chiesa della congregazione del Purgatorio di questa predettaterra, di dove n’è stato accettato per confratello.E perché il capo e principio di ogni testamento è l’istituzione dell’erede […]

perciò esso D. Vincenzo testatore istituisce, fa e di sua bocca nomina in suo uni-versale e particolare erede la magnifica D. Antonia Picardi sua dilettissimamoglie, la quale vuole che succeda e debba succedere in tutti i suoi beni stabi-li […] fuorchè all’infrascritte disposizioni, videlicet: in primis vuole, ordina ecomanda esso D. Vincenzo testatore che se mai dopo la morte dell’anzidetta D.Antonia Picardi sua moglie ed erede lasciassero beni stabili o mobili, ne possadisporre solamente della somma di ducati 50, essendo questa la sua volontà.Vuole ordina e comanda esso D. Vincenzo testatore che lasciando beni mobi-

li e stabili dopo la morte di detta sua moglie erede, succeda come erede fiducia-rio lo Spedale di questa terra di Castellana, essendo tale la sua volontà.Vuole ordina e comanda esso D. Vincenzo testatore che sia esecutore testa-

mentario di questa sua disposizione il dottor D. Francesco Mastromattei, il qualedebba procurare la vendita di tutti gli stabili e mobili che forse rimarranno dopola morte di detta sua moglie erede, e formare un capitale, e di cui i frutti vitadurante delle sue cinque figlie monache professe si debbano distribuire e corri-spondere alle medesime, cioè un terzo alle due figlie che sono nel monistero diSan Benedetto in Massafra, l’altro terzo alle due figlie che sono nel monisterodello Spirito Santo di Casalnovo, e l’ultimo terzo alla figlia monaca che si trovasituata nel monistero di Santa Chiara di Conversano, col diritto d’accrescere[…], intendendo che ancorchè delle dette cinque sue figlie lasciasse una sola,questa debba avere l’intiero frutto di detto capitale, il quale se fosse soverchio aipropri suoi bisogni, del soverchio vuole che se ne facesse celebrare tante messeper l’anima sua, di sua moglie e dei suoi figli.Dopo la morte di tutte le figlie, dovendo succedere lo Spedale, vuole che dal

frutto del riferito capitale in perpetuo se ne debbano distribuire limosine ai pove-ri di Castellana, coll’intelligenza del vicario1, del parroco, e del sindaco pro tem-pore, a cui spetta la cura dei poveri, come avvocato dei medesimi, essendo que-sta la sua volontà. […] Lascia all’esecutore l’aggio dell’otto per cento sulla ren-dita, con facoltà di eliggere il successore, se prevedesse di morire prima che suc-ceda l’Ospedale. Dovendo […] tal frutto […] distribuirsi per limosina ai poveridi Castellana, siccome s’è detto, tal distribuzione debba farsi a quei poveri chenon ponno andar girando per la terra, ma a quei poveri che non ponno per la loroonestà uscir di casa, sfacciandosi2, e che saranno noti e al vicario, e al parroco e

1. Testamento

REGESTO DEI DOCUMENTI

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VI | VINCENZO FATO Regesto dei documenti

al sindaco pro tempore; e se mai tali poveri non fossero tanti che assorbisserotutto il fruttato, quel che avanza si distribuisca agli altri poveri di questa terra diCastellana, essendo tale la sua volontà.Ed insinuato da me notaio ad esso testatore D. Vincenzo che lasciasse qual-

che cosa al nuovo Albergo de’ Poveri che dalla maestà regnante si sta edifican-do in Napoli, essendo un atto di cristiana pietà sovvenire i poveri, rispose, esse-re un povero galantuomo.Et hanc dixit esse suam ultimam et supremam voluntatem […] pro qua fuimusrequisiti etc3.Coram Iohanne Longo regio ad contractus iudice, me notario Iosepho DominicoPace, reverendo domino Vito Nicolao Leone, diacono domino Francisco Sgobba,diacono domino Andrea Pace, clerico domino Antonio Macchia, magnificodomino Dominico La Nera, magnifico Francisco Longo, magnifico MartinoValente, et aliis testibus rogatis4.

ASB, Schede notarili, Castellana, Notaio Giuseppe Domenico Pace, 1788, cc. 36e seguenti.

“Codicillo del magnifico D. Vincenzo Fato”. A 29 gennaio 1788.“A richiesta fattaci per parte del magnifico D. Vincenzo Fato della terra diCastellana, ci siamo noi notaio, giudice a’ contratti e testimoni personalmenteconferiti nelle case di sua solita abitazione site nella publica piazza, ed ivi giun-ti abbiamo ritrovato il suddetto D. Vincenzo giacente in letto, ritenuto da infer-mità di corpo, sano per la Dio grazia di mente, e nella sua perfetta loquela […].Col presente codicillo esso D. Vincenzo testatore concede tutta la facoltà allaridetta D. Antonia di lui moglie di poter vendere i suddetti suoi beni a sua ele-zione, per rinfrancare il debito e per mantenere la sua persona di vitto, vesti,infermità e medicamenti e di qualunque altra cosa alla detta D. Antonia mogliefacesse di bisogno, non limitandole somma alcuna, anche che si avesse a consu-mare tutto il patrimonio, essendo questa la sua volontà. […]”. Interrogato circal’eventuale lascito all’Albergo dei Poveri “disse non aver che lasciare”.

2. Codicillo

1 Intendi il vicario generale della badessa di S. Benedetto di Conversano, ordinaria allora delterritorio “nullius diocesis” di Castellana.

2 Ovvero i poveri vergognosi, coloro cioè che non hanno di che vestirsi con decenza e per-tanto vergognandosi non si fanno nemmeno vedere per strada.

3 “E questa dichiarò che era la sua ultima, estrema volontà […] al qual riguardo fummo noitutti richiesti, eccetera” (trad. del Lanera, in id., op. cit., 1988, p. 11, nota 3).

4 “In presenza di Giovanni Longo regio giudice dei contratti, di me notar Giuseppe DomenicoPace, del reverendo don Vito Nicola Leone, del diacono don Francesco Sgobba, del diacono donAndrea Pace, del chierico don Antonio Macchia, del magnifico don Domenico Lanera, del magni-fico Francesco Longo, del magnifico Martino Valente, e di altri testi appositamente richiesti”

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MARINA FERRERO

SINTESI IN INGLESE E FRANCESE

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Vincenzo Fato was born in 1705, maybe in Castellana in the Land ofBari. We can deduce the year of his birth undirectly from his last work ofart, where the painter wanted to indicate his age, in addition to his signatu-re and the date.The first historical document where he is mentioned in Castellana

belongs to year 1734.It has not been cleared up yet where the painter spent his childhood and

his youth. It’s certain that when he was thirteen or fourteen years old he wasan apprentice, maybe in Paolo de Mattei’s workshop, known during deMattei’s stay in Puglia in 1713-1719. We can’t exclude that Fato follows hismaster on his way back to Naples and there he stays for some years, aboutbetween 1719 and 1729.His first signed and dated work of art is of 1732, a Nativity of the Virgin

in the church of Santa Maria Amalfitana in Monopoli, but surely a long timebefore that date Fato works as an independent painter. After an attentivestylistical analysis, we can date one or two altar-piece in San Domenico inPutignano about between 1729 and 1732. In this church thirteen canvas bythe author are kept and the Annunciation is signed but not dated.In Castellana the painter lives in via del Gelso, close to the main squa-

re, corresponding nowadays at via Cesare Battisti. San Francesco Borgia, in 1738, is his first painting in a long series of

works for the church of the Purgatory Confraternity in Castellana.Between the second half of 1741 and April 1752 Fato lives constantly in

Naples: he has his own home and workshop in via dell’Avvocata alMercatello, where, at that time, the artists’ district was.Eight paintings of 1742-43, representing Stories of Childhood and mira-

cles of Jesus Christ, are kept in the Treasure of San Gennaro in NaplesCathedral. This one is the most important commission of his own artisticcareer, even if it happened in not so clear circumstances: some documentscame out from the Treasure Archives reporting the transportation of some ofthese paintings, their framing, the tips for the porter, but nothing is writtenabout the fee for the artist or about the origin of the settlement. About this last question, we can get a ray of light thanks to the recent

discovery of four little sketches of the Miracles of Jesus Christ from theTreasure, kept in a private collection and coming from a palace of familyGiampietro from Castellana.From the same mansion, inherited from the deceased family of de

Giorgio, are an oval by Fato representing a Mater Domini and a Saint Josephwith the Holy Child, now kept in two different private collections. This factcan suggest us a predilection of family de Giorgio towards Fato: we can con-sider that this family (provincial lords with possession between Naples andthe south-east of Bari) has been the first patron of the artist, and maybe they

An outline of the biography

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recommended him at the Deputation, then Fato’s artistic capability madethe rest. Living in Naples was for an artist the best way to assert himself. The

capital of the South was already a metropolis with more than 320.000 inha-bitants, it was a first class artistic centre and arsenal of the best and mostmodern intellectual energies. Naples offered many opportunities, but therewas a very fierce competition; for this reason, from April 1752, Fato deci-des to go back to Puglia for good.We can imagine how his professional life wasn’t easy, even in his home-

land: forced by need, he had to accept commissions with humiliating con-ditions just to support his “family of ten members”, as he said in his letterof 1768.As written in his testament, all his daughters entered a convent. It has

been calculated that the painter spent not less than 1500 ducats to let thembecome nuns.Because of this, he was in very bad financial circumstances and things

got even worse as years went by for many reasons: first of all it was hard toobtain commissions, and the local clergy preferred the easy drawing and theingratiating style of Carella (his competitor) or a modest and cheap Tatulli.The few commissions he got (the magnificent Madonna and San Simone

Stock and two other canvas for the Major Convent in Putignano) were notenough: he could not maintain his family because of the famine of 1764 andbecause of the poor harvests in his small lands so, from 1767, the painterwasn’t able to pay his rates with regularity. It may be that, from 1764, he no longer gets to Naples, not even for shorts

stays. During this period we can suppose his entrance in the PurgatoryConfraternity: in its church he will paint many canvas, both large and smallones.Fato, now aged, in the eighth and ninth decade of the century is engaged

in the most intense and difficult moment of his career, besides of his life: inpoor health and reduced for unclear reasons in indigence, he continues topaint resolutely to support himself and his family and to pay his dues.Between 1770 and 1788 we can count over ten altar-pieces of large

dimensions, and a equal number of smaller works of art, where diligenceand creative energy appear, as well as a frantic laboriousness, made of con-tinuous reflections, changes of mind and corrections. In his paintings wecan distinguish a still strong and skilful stroke, a surprising chromatic fre-shness, which is the expression of an artist arrived at the limit of his life,but determined in making a reputation for himself against the straits of thatmoment and only for the glory towards the posterity, just for that honour sodesired that “eternally lasts”.A document dated on the 26th March 1780 shows that Fato is in the list

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of the Capitolo’s debtors in consequence of non-payments of the taxes fromthe years before, but he is mentioned among “the respected gentlemen ofthis town”.In 1785, when he was eighty years old, he finishes and signs the high

altar-piece for the church of Purgatory in Castellana, the Madonna ofCarmine with the souls in Purgatory.Feeling his end approaching, the painter, on the 10th May 1785 dictates

his last wills to the notary Giuseppe Domenico Pace. His beloved wifeAntonia Picardi is the only heir, but in the same time Fato has a munificentthought for his daughters in convent, for the hospital in Castellana and forthe poor people. Requested by his notary if he wanted to leave somethingfor the House of the poor in Naples to be built the painter, maybe with anote of grudge towards the capital, answered that “he was a poor gentle-man”.Until his infirmity precipitated, Vincenzo Fato was still busy in a great

work of art, the largest he has ever made: the Coming of the icon of theMadonna Madia, commissioned by the Diocese of Monopoli for the big cha-pel of the cathedral. He wanted to sign and represent himself among thepious bystanders: he’s the white-bearded man that a little dog is fixing,while his little paw is laying on a rock where the sign of the artist is engra-ved: Vincentius Fato pinxit, anno aetatis suae 83, A.D. 1788.After a few days having dictate a codicil to his testament, on the 6th

February 1788 Vincenzo Fato dies, provided with the sacraments.He is buried in the church of Purgatory, where he still rests in such a

good company, with the angels and saints that he represented in over halfof a century of intense, humble and religious work of artist.

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Vincenzo Fato est né en 1705, peut-être à Castellana dans la Terre deBari; on peut déduire d’une manière indirecte l’année de sa naissance parses œuvres extrêmes, dans lesquelles le peintre a voulu indiquer son âge,ainsi que sa signature et la date.Le premier document où on le mentionne à Castellana date de 1734.

C’est encore à éclairer où il a passé son enfance et sa jeunesse. On peutdonner pour certain que à treize ou quatorze ans il entre dans l’atelier dequelque peintre renommé: probablement chez Paolo de Matteis, connu pen-dant le sejour de celui-ci aux Pouilles dans les années 1713-1719. On nepeut pas exclure qu’il ait suivi son maître dans sa rentrée à Naples et qu’ilse soit établi dans la capitale pendant quelques ans, environ entre 1719 et1729.Sa première œuvre datée et signée c’est de 1732, une Nativité de Marie

dans l’eglise de Sainte Marie Amalfitaine à Monopoli; mais c’est sûr quebien avant cette date il aura operé comme peintre autonome.Après une attentive analyse stylistique, on peut évincer comme une ou

deux rétables d’autel en St. Dominique à Putignano peuvent être datés àpeu près entre 1729 et 1732. Dans l’église des dominicains sont conservées treize toiles de notre

auteur dont une signée mais pas datée, l’Annonciation.A Castellana le peintre a sa maison dans la rue du Mûrier, près de la

place, correspondante à l’actuelle rue Cesare Battisti. Le St. François Borgia, de 1738, c’est la première œuvre d’une longue

série pour l’église castellanaise de la confrérie du Purgatoire.Entre la deuxième moitié de 1741 et l’avril 1752 le peintre s’installe à

Naples ; il a sa maison et son atelier dans la rue de l’Avvocata al Mercatello,que à cette époque était le quartier des artistes.Huit tableaux, représentant Histoires de l’enfance et miracles de Jésus-

Christ du Trésor de St. Gennaro dans la Cathédrale de Naples, appartien-nent aux ans 1742-43. Il s’agit de la commande la plus importante de sacarrière artistique, même si c’est passée à la suite de circonstances pasclaires: un ensemble de documents résultant des Archives du Trésor se rap-portent au transport de quelques-uns parmi ces œuvres, ses encadrements,des pourboires au porteur, mais on tait des honoraires pour l’artiste ou del’origine de l’emplacement. Une faible lumière éclaire cette question grâce à la recente découverte

de quatre petits croquis des Miracles de Jesus-Christ du Trésor, en collec-tion privée, qui proviennent d’un palais de la famille Giampietro deCastellana.Du même palais dérivent aussi un ovale de Fato représentant une Mater

Domini et un St.Joseph avec l’Enfant Jésus, hérites de la famille éteinte desde Giorgio et à présent conservés en deux différentes collections privées.

Données biographiques

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On peut comme ça déduire que les de Giorgio, seigneurs de province avecpropriété entre Naples et le sud-est de la région de Bari, avaient une pré-dilection pour Fato et peut-être qu’ils furent les premiers mécènes de l’ar-tiste. C’est aussi plausible une signalisation de l’artiste vers la Députationcomme protégé de la famille de Giorgio; après, les capacités artistiques denotre auteur fissent le reste. Pour un artiste, vivre à Naples c’était la meilleure occasion pour s’impo-

ser: la capitale du Midi était une métropole avec plus de 320.000 habitants,centre artistique de premier ordre et arsenal des meilleures et plus moder-ne énergies intellectuelles. Sûrement à Naples il y avait beaucoup de tra-vail, mais la concurrence devait être sans pitié; c’est pour cette raison que,depuis l’avril 1752, le peintre décide de s’installer définitivement auxPouilles.On peut donc comprendre par intuition comme sa vie professionnelle,

même dans sa patrie, n’était pas facile, souvent forcé à rechercher des com-missions même à conditions humiliants, pour la subsistance “d’une famillede dix personnes”, comme il dit dans une lettre de 1768. D’après ce qui ressort de son testament, toutes ses filles prononcent ses

vœux. On a calculé que pour la dot de prise de voile Fato aura dépensé pourses filles au moins 1500 ducats. Outre cela, ses conditions économiquesempirent sensiblement dans les années, avant tout à cause de l’affirmationd’un goût, dans le clergé local, vers le dessin facile et les tons douceâtresde Carella, son concurrent, ou d’un plus modeste et à bon marché Tatulli. L’exiguïté des commissions (la splendide Vierge et St. Simon Stock et

deux autres toiles pour le Convent Grand de Putignano), la famine de 1764et la pénurie des récoltes dans ses petits crus, ne permettent pas au pein-tre de soutenir sa famille à tel point que, à partir de 1767, Fato ne réussitplus à payer régulièrement ses impôts.Il est probable que depuis 1764 il ne se rend plus à Naples, même pas

pour des brefs séjours.On suppose que dans cette période il entre dans la confrérie du

Purgatoire: dans son église il va peindre beaucoup de toiles, grandes etpetites.Entre la huitième et la neuvième décennie du siècle Fato, désormais âgé,

doit faire face à la période la plus intense et difficile de sa vie et de sa car-rière: en santé vacillante et réduit en misère à cause des raisons pas clai-res, il continue à peindre tenacement, pour soutenir soi-même et sa famil-le et pour payer ses dettes.Entre 1770 et 1788 on compte plus de dix rétables d’autel de grandes

dimensions et autant de plus petite mesure, dont il émerge une telle ardeur,une énergie créative et une activité frénétique, souvent avec nouvellesréflexions, regrets et corrections. On peut apercevoir son coup de pinceau

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encore plein d’énergie et sûr et une surprenante fraîcheur chromatique quisont expression d’un artiste arrivé à la limite de sa vie mais fermementdéterminé à s’affirmer, contre les gênes pendent ce temps-là et regardant àla gloire vers la postérité, seulement pour obtenir l’honneur ardemmentdésiré que “perpétuellement dure”.Un document daté le 26 mars 1780 atteste des nouvelles difficultés: Fato

est dans la liste des débiteurs du Chapitre pour n’avoir pas payé les impôtsdes années précédents, mais il est nommé parmi “les honnêtes hommesrespectés dans cette ville”.En 1785, à l’âge de 80 ans, Fato termine et signe le rétable d’autel

majeur du Purgatoire de Castellana, la Vierge du Carmine avec âmes du pur-gatoire.Le dévot peintre s’aperçoit que la mort est proche et le 10 mai 1785 il

dicte ses dernières volontés au notaire Giuseppe Domenico Pace. Il laisselégataire universel sa bien-aimée femme Donna Antonia Picardi; il a aussiune pensée généreuse vers ses filles religieuses, pour l’hôpital deCastellana et pour les pauvres besogneux. A la demande du notaire s’il vou-lait laisser quelque chose pour l’Auberge des Pauvres de Naples à ériger,Fato, avec peut-être une remarque de ressentiment vers la capitale, repond“d’être un pauvre honnête homme”. Vincenzo Fato, jusqu’à l’aggravation de son état, s’appliquait encore à

une œuvre grandiose, la plus grande toile de sa carrière: la Arrivée de l’icô-ne de la Vierge de la Huche, commissionnée par la diocèse de Monopolipour la grande chapelle de la Cathédrale. Il a voulu se figurer parmi lesspectateurs: c’est l’homme à la barbe et cheveux blancs, un petit chien leregarde et sa petite patte s’allonge vers une pierre où la signature de l’arti-ste est gravée: Vincentius Fato pinxit, anno aetatis suae 83, A.D. 1788.Quelques jour après avoir dicté un codicille sur son testament, Vincenzo

Fato meurt le 6 février 1788, muni des sacrements.Il est enterré dans l’église du Purgatoire, et toujours il y repose, en com-

pagnie des anges et des saints qu’il a représentés en plus d’un demi-siècled’intense, humble et religieux travail d’artiste.

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VINCENZO FATO

Mimmo Guglielmifoto delle schede nn. 2, 3, 4, 5, 6, 7, 8, 9, 10, 11, 12, 13, 15, 20, 22, 35, 41, 42,43, 44, 48, 50, 52, 60, 67, 68, 69, 71, 72, 73, 74, 75, 76, 78, 79, 80, 81, 88 (pre-restauro), 92, 95, 97, 98, 99, 106, 111

Pino Canellifoto della scheda n. 53

Giovanna Cisterninofoto delle schede nn. 56, 57

Antonella Di Turifoto delle schede nn. 102, 123

Nicola Furiofoto delle schede nn. 33, 58

Mariella Intinifoto alla p. 178

Piero Intinifoto delle schede nn. 59, 88 (post-restauro)

Pasquale Ladoganafoto delle schede nn. 23, 24, 25, 26, 27, 28, 29, 36, 37, 38, 39, 40, 62, 63, 70(pre-restauro), 82, 83, 84, 85, 93, 94, 104, 107, 108, 109, 110, 112, 124

Giacomo Lanzilottafoto delle schede nn. 14, 16, 17, 18, 19, 21, 30, 31, 32, 45, 46, 47, 49, 55, 61, 64,65, 66, 70 (post-restauro), 77, 86, 87, 89, 90, 91, 96, 100, 101, 103, 120, 121, 122

Archivio Giacomo Lanzilottafoto delle schede nn. 51, 114, 115, 116

Archivio Ce.Ri.Ca. Centro Ricerche Castellanesefoto della scheda n. 34

Archivio Mimma Pasculli Ferrarafoto alle pp. 16 - 19

Archivio Mario Alberto Pavonefoto alle pp. 181, 183

Archivio fotografico Soprintendenza per il Patrimonio Storico, Artistico ed Etnoantropologico delle province di Bari e Foggiafoto delle schede nn. 1, 54, 105

Referenze fotografiche

Page 210: Vincenzo Fato