Vivere Il Morire

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  • 7/25/2019 Vivere Il Morire

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    ACCANTO A CHI SOFFRE:percorso di avvicinamento al malato inguaribile

    Nicola Ferrari, Associazione Maria Bianchi

    1- Cos lontano, cos vicino

    I malati inguaribili, la fase terminale della vita, il dolore cronico, la sofferenza fisica-

    affettiva-sociale-mentale: tutte realt che, oltre a provocare ansia e allontanamento,

    sembrano bloccare qualunque pensiero, attivit, iniziativa. Per queste persone - ma

    facilmente, se si eccettuano le morti violente ed improvvise, anche noi vivremo questo

    periodo-, intorno alla loro vita, spesso ununica realt: il deserto. Deserto distituzioni e

    servizi (quanta strada deve ancora fare lassistenza domiciliare), deserto daffetti e

    amicizie, deserto di riflessioni. Sintersecano problemi organizzativi-economici, politici,

    culturali, formativi che vanno a formare il vuoto intorno a migliaia di famiglie ogni anno in

    Italia e in qualunque parte del mondo -basti pensare ai nuclei famigliari che hanno un

    malato di tumore o di Aids; ma soprattutto la paura che cimpedisce di avvicinare

    queste situazioni.

    Non sapere cosa dire, che fare, preoccupati di incontrare situazioni fuori dal nostro

    concetto di vita, in ansia per il senso dinadeguatezza che la situazione nuova comporta,

    timorosi di non sapere controllare il flusso demozioni che tutto questo pu scatenare innoi, impreparati a considerare il dolore, il lutto, la morte come cammino di vita.

    Diventa allora necessario conoscere, conoscerci: cercare di capire come vive e cosa sente

    una persona che percorre lultimo tratto del cammino su questa terra e allo stesso tempo

    pensare, o meglio, ripensare a noi stessi, le fondamenta, la sorgente, il senso.

    Proviamo a ricordarci di quando siamo stati malati di una malattia non grave, normale

    ma che ha interrotto bruscamente il nostro lavoro, i progetti, la possibilit di uscire,

    andare al cinema, dedicarci alle persone che amiamo; in quei momenti, se abbiamo avuto

    la fortuna di restare dentro a quella situazione senza aspettare noiosamente laguarigione (leggendo, ascoltando la radio...) forse siamo riusciti ad intuire.

    Unintuizione magari confusa, discontinua ma penetrante, unintuizione che ci suggeriva

    che forse potremmo vivere dignitosamente senza tante delle cose che riteniamo

    importanti: gli hobbies, i viaggi, la televisione...ma di qualcosa daltro non possiamo farne

    a meno, pena la vertiginosa caduta qualitativa e di senso della nostra stessa vita. E, forse,

    questo nocciolo essenziale costituito dallimmenso mondo degli affetti e dalla

    preoccupazione di non aver stabilito una giusta gerarchia di valori (con le conseguenti

    scelte concrete) nel tran-tran della vita quotidiana.

    Tutto questo per una prima indicazione: chi vuole restare accanto a chi muore deve,

    prima di tutto, considerare queste persone non come altro da s, immerse in altri mondi e

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    validit del suo lavoro, pur con gli inevitabili perfezionamenti e approfondimenti che

    sempre si susseguono, fu pressoch unanime.

    Il centro della proposta della Kubler-Ross risiede nellavere individuato diversi meccanismi

    di difesa che la mente umana possiede come in dotazione e che servono, se

    adeguatamente elaborati, per arrivare a potere affrontare la realt del morire in maniera

    consapevole (il che non significa necessariamente serena).

    E importante qui cogliere il senso complessivo di questindagine: non certo un desiderio

    speculativo-culturale ma lavere scoperto, perch di questo si trattato, che si pu

    aiutare una persona a vivere il morire senza dovere dare vuoti incoraggiamenti, speranze

    per il futuro, verit calate dallalto, utopistiche e presuntuose indicazioni comportamentali,

    per quanto rettamente intesi e onestamente proposte.

    E certamente un traguardo complesso ma possibile, un impegno che solo per paura si

    etichetta come irraggiungibile, forse proprio per autogiustificarsi e convincersi cos che

    neanche vale la pena impegnarsi.

    VIVERE IL MORIRE:i 5 stadi di Elisabeth Kubler-Ross

    La psichiatra Elisabeth Kubler-Ross rappresenta dunque il punto di riferimento

    praticamente obbligato per chi sinteressa, a qualunque livello, del processo del morire. I

    suoi pluridecennali contatti con persone al termine della vita, lhanno portata ad elaborare

    uno studio (pubblicato nel famosissimo libro La morte e il morire) che consiste nellavere

    individuato 5 famosi meccanismi di difesa che lessere umano ha in dotazione quando si

    affronta la possibilit della morte imminente: shock-rifiuto-isolamento, collera,

    patteggiamento, depressione, accettazione.

    Un primo tentativo di avvicinamento al mondo del malato non pu che iniziare dallanalisi

    di questi meccanismi di difesa.

    PRIMA FASE: RIFIUTO E ISOLAMENTO

    La prima reazione del malato di fronte alla consapevolezza di avere una malattia mortale

    pu essere un temporaneo stato di shock, dal quale egli esce a poco a poco. Quando il

    suo iniziale senso di torpore comincia a svanire ed egli pu ritrovare le sue energie, la

    consueta risposta : No, non posso essere io. .Un rifiuto pi o meno ansioso sar

    determinato dal modo in cui il malato viene informato, dal tempo che ha a disposizione

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    per riconoscere gradualmente linevitabile evento e da come si preparato durante la vita

    ad affrontare le situazioni dolorose e difficili.

    Il rifiuto una difesa temporanea e ha la funzione di paracolpi: permette al malato di

    ritrovare coraggio e, col tempo, di mobilitare altre difese. Viene presto sostituito da una

    parziale accettazione, pur ripresentandosi di tanto in tanto, anche durante le fasi

    avanzate della malattia. Questi malati, infatti, possono considerare la possibilit della

    propria morte per un po di tempo, ma poi devono accantonare questa considerazione per

    poter continuare a vivere.

    Secondo Elisabeth Kubler-Ross, pi opportuno parlare della morte e del morire con i

    malati - se mostrano di desiderarlo - molto prima che la cosa stia realmente avvenendo.

    Un individuo sano e forte pu affrontare meglio e con maggior coraggio questargomento

    ed anche per la famiglia pi facile discuterne in tempi di relativo benessere. Rimandare

    tali conversazioni molto spesso non va a beneficio del malato, ma serve ai nostri

    meccanismi di difesa.

    Occorrono sensibilit e intuizione per riconoscere i momenti in cui il malato assume la

    realt della situazione e i momenti in cui preferisce guardare a qualcosa di pi vivace e

    piacevole: in tal caso permettiamogli di fantasticare su cose pi felici, anche se

    improbabili, senza fargli notare le contraddizioni. In questo modo gli consentiremo di

    guardare in faccia la morte pur conservando la speranza.

    Passando le settimane, al rifiuto subentra spesso lisolamento dal mondo circostante,

    vissuto come ostacolo alla realizzazione dei desideri di guarigione e di salute.

    SECONDA FASE: LA COLLERA

    Quando la prima fase di rifiuto non pu pi durare, sostituita da sentimenti di rabbia,

    invidia, risentimento. Il malato si chiede: Perch proprio io?.

    Questa fase molto difficile da affrontare dal punto di vista della famiglia e del personale,

    in quanto la collera proiettata in tutte le direzioni e sullambiente, spesso in maniera

    indistinta. I familiari che vanno a far visita al malato sono ricevuti con freddezza, con

    indifferenza, il che rende lincontro penoso; allora essi reagiscono con sensi di colpa,lacrime, dolore, oppure evitano di tornare, aumentando lo sconforto del malato.

    Il problema che poche persone si mettono nei panni del malato e si domandano

    lorigine del suo risentimento. Egli vede attorno a s la vita che continua, mentre la sua

    vita sta per finire prematuramente e tutto ci per cui ha lavorato gli negato. Vuole

    inoltre rassicurarsi che non sar dimenticato: alza la voce, reclama, pretende maggiore

    attenzione.

    Un malato rispettato e compreso, cui si dedica attenzione e tempo, abbasser presto la

    voce e diminuir i suoi rabbiosi reclami. Sapr di essere una persona preziosa, curata, cui

    si permette dessere attivo al massimo grado possibile, finch pu. Dobbiamo imparare ad

    ascoltare i malati ed anche ad accettare qualche collera irrazionale sapendo che il sollievo

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    che ne deriver per loro li aiuter a sopportare meglio le ultime ore; ma questo lo

    possiamo fare solo se prima avremo affrontato la nostra paura della morte, i nostri

    desideri distruttivi e avremo preso coscienza delle nostre difese, che molto possono

    interferire sul modo in cui trattiamo il malato.

    TERZA FASE: VENIRE A PATTI

    La terza fase, quella del compromesso, meno nota ma egualmente importante per il

    malato. Il malato senza speranza sillude di poter fare una specie daccordo che possa

    rimandare linevitabile evento: Se Dio ha deciso di togliermi da questo mondo e non

    risponde alle mie arrabbiate suppliche, forse sar meglio disposto se glielo chiedo con

    delicatezza.

    Il malato sa in ogni modo, attraverso sue precedenti esperienze, di avere una piccolissima

    probabilit di essere ricompensato per buona condotta e di avere concessioni per servizi

    speciali.

    Il suo desiderio quasi sempre il prolungamento della vita, seguito da quello di essere

    per alcuni giorni liberato dal dolore o dal disagio fisico. Il venire a patti un tentativo di

    dilazionare: include un premio offerto per buona condotta, pone anche un determinato

    limite di tempo che gli consenta di fare una cosa che gli sta particolarmente a cuore e

    include una promessa implicita che non chieder di pi se gli sar concessa questa

    dilazione (anche se, in fondo, la promessa non verr mai mantenuta). I patti sono

    generalmente fatti con Dio e per lo pi tenuti segreti, menzionati tra le righe o confidatiad un sacerdote. Gran parte dei malati promette una vita dedicata a Dio, oppure il

    dono del proprio corpo alla scienza in cambio di un po di tempo in pi da vivere.

    Psicologicamente le promesse si possono collegare con qualche senso di colpa nascosto e

    sarebbe quindi utile che i commenti fatti dai malati non fossero sottovalutati, per capire

    se ci sono dei desideri inconsci che gli impediscono di acquisire una certa serenit.

    QUARTA FASE: LA DEPRESSIONEQuando il malato incurabile non pu pi negare la sua malattia, quando costretto a

    subire altri interventi o il ricovero, quando comincia ad avere sintomi o diviene pi debole

    o pi magro, non pu pi essere disinvolto o sorridente. In primo luogo prende coscienza

    della grave perdita che subisce: una donna con un cancro al seno pu reagire al fatto che

    la sua figura rimanga danneggiata, una con un cancro allutero pu sentire di non essere

    pi donna.

    Inoltre si aggiungono spesso altri motivi di depressione: il peso finanziario delle cure e del

    ricovero che pu costringere il malato a vendere tutto ci che possiede, la perdita del

    lavoro, la separazione dai familiari.

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    Tuttavia, una volta intuita la causa della depressione, possibile mitigare parzialmente il

    senso irrealistico di colpa o di vergogna che nasce nel malato. Ad esempio, nel caso di

    una donna che si preoccupa di non essere pi donna, si possono fare dei delicati e

    semplici complimenti per qualche tratto particolarmente femminile, parlare dei suoi

    problemi col marito in modo che laiuti a conservare la stima di s, occuparsi dei bisogni

    della sua famiglia per aiutarla ad essere pi serena.

    Ma non dobbiamo dimenticare un secondo tipo di depressione causata dal dolore che il

    malato vicino alla morte deve affrontare per prepararsi alla sua ultima separazione da

    questo mondo.

    Questo tipo di depressione molto diverso dal precedente e va trattato in modo diverso:

    non si presenta come il risultato di una perdita subita, ma prende in considerazione le

    perdite che stanno per accadere.

    La nostra reazione iniziale verso le persone tristi generalmente quella di cercare di

    incoraggiarle dicendo loro di guardare il lato gioioso della vita, le cose vivaci, positive che

    sono intorno a loro. Questa spesso lespressione dei nostri bisogni, della nostra

    incapacit a tollerare un viso lungo per un periodo di tempo prolungato e pu essere un

    modo utile di accostare il malato solo quando si tratta del primo tipo di depressione. Al

    contrario, quando la depressione un modo per prepararsi allimminente perdita di tutti

    gli oggetti del proprio amore, forse non occorre pi tanto incoraggiare e rassicurare. Non

    si dovrebbe incoraggiare il malato a guardare il lato gioioso delle cose, poich questo

    significherebbe per lui non contemplare la morte imminente.

    Sarebbe controindicato dirgli di non essere triste, poich tutti noi siamo tremendamentetristi quando perdiamo una persona cara. Il malato in procinto di perdere tutte le cose e

    le persone che ama. Permettendogli di esprimere il suo dolore, trover alla fine meno

    difficile accettare e sar grato a coloro che sapranno stare con lui durante la fase

    depressiva, senza dirgli costantemente di non essere triste.

    Il secondo tipo di depressione generalmente di carattere silenzioso, in contrasto con il

    primo tipo durante il quale il malato ha tanto da comunicare e richiede molte interazioni

    verbali. Nel dolore che prepara la morte c bisogno di poche parole o addirittura di

    nessuna: questo il momento in cui troppa interferenza da parte di visitatori che cerchinodi rallegrarlo ostacola la sua preparazione emotiva invece di intensificarla.

    QUINTA FASE: L ACCETTAZIONE

    Se un malato ha il tempo sufficiente (cio non una morte improvvisa) e viene aiutato a

    superare le fasi precedenti, pu raggiungere uno stadio nel quale non sar n depresso

    n arrabbiato per il suo destino e pu contemplare la sua prossima fine. Sar stanco e

    molto debole, si assopir spesso, ma ci non significa che egli abbandoner del tutto la

    speranza. Laccettazione non deve essere scambiata con una fase felice: quasi un vuoto

    di sentimenti.

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    E come se il dolore se ne sia andato, la lotta sia finita e venga il tempo per il riposo

    finale prima del lungo viaggio.

    Questo il tempo in cui generalmente la famigliaha bisogno daiuto e di comprensione

    pi del malato stesso. Il malato ha trovato un po di pace, desidera essere lasciato solo o

    per lo meno non essere agitato da notizie e problemi del mondo esterno. Le visite spesso

    non sono desiderate e, se vengono, il malato non ha pi voglia di parlare. Tuttavia

    importante che egli senta che pu contare su di noi, che non ci pesa stare in silenzio o

    stringergli la mano: deve sapere che gli saremo vicini sino alla fine. Ci sono alcuni malati

    che lottano fino allultimo e conservano una speranza che rende loro quasi impossibile

    raggiungere questo stadio di accettazione. La maggioranza invece smette di lottare e

    accetta la morte senza disperazione, senza paura. E importante saper distinguere due

    casi diversi:

    1) il caso in cui il malato rinuncia prematuramente a lottare quando avrebbe ancora la

    possibilit di prolungare la propria vita e quindi va incoraggiato a sperare, a non lasciarsi

    andare;

    2) il caso in cui il malato arrivato ad accettare la fine ed il suo unico desiderio riposare

    e morire in pace.

    In questo momento cos delicato per lui molto importante latteggiamento che

    assumono le persone che gli stanno accanto: molto spesso i familiari interpretano l

    accettazione del malato come una rinuncia codarda o peggio ancora come un rifiuto nei

    confronti di coloro che desiderano la sua salute e reagiscono drammaticamente a questo

    normale e sano distacco. Si rende un gran servizio ai familiari se si aiutano acomprendere limmenso impegno che richiesto per raggiungere questa fase

    daccettazione e il fatto che il progressivo distacco porter il malato ad una morte pi

    serena. In genere le persone anziane raggiungono questo traguardo con maggiore facilit

    e con poco aiuto da parte dellambiente. Si sentono alla fine della vita, hanno lavorato,

    allevato i figli, sofferto e provano un senso di soddisfazione quando ripensano agli anni di

    lavoro. Altri possono raggiungere questo stato quando hanno il tempo sufficiente per

    prepararsi alla morte ma avranno bisogno di maggiore aiuto e comprensione da parte

    dellambiente per superare tutte le fasi descritte.

    LA SPERANZA

    Lunica costante che permane attraverso tutte le fasi la speranza. Ogni malato, anche

    quello meglio disposto ad accettare, lascia aperta la possibilit per qualche cura, per la

    scoperta di una nuova medicina o sillude, a volte, che tutto sia un incubo dal quale un

    giorno si sveglier. E un modo per conservare il coraggio, per superare i periodi pi

    difficili.

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    Ecco perch in genere i malati mostrano la massima fiducia nei medici che permettono

    loro tale speranza. Questo non significa che i medici devono mentire ai malati, significa

    semplicemente condividere con loro la speranza. Anche nei momenti pi critici, in cui

    sembra che non ci sia pi nulla da fare, il malato non deve mai sentirsi abbandonato dal

    medico, deve essere certo di continuare a ricevere le cure pi efficaci, sentirsi appoggiato

    e confortato. E fondamentale che anche il personale ospedaliero e la famiglia

    trasmettano fiducia al malato quando ne ha ancora bisogno.

    Quando invece un malato cessa di esprimere una speranza, di solito segno di morte

    imminente. In tal caso non bisogna incoraggiarlo a sperare: il malato pronto a morire e

    non deve essere turbato dalla nostra incapacit ad accettare questo fatto.

    Lanalisi della Kubler-Ross ha letteralmente fatto il giro del mondo ed stata in maniera

    pressoch unanime riconosciuta come reale e valida da medici, infermieri, volontari,

    parenti e da chi, a qualunque livello, ha avuto e ha a che fare con persone che si

    avvicinano alla fine della loro vita. Naturalmente, come spesso succede in questi casi, altri

    studi e ricerche si sono susseguite, arrivando a specificare e mettere in evidenza con

    sempre maggiore sensibilit e precisione la proposta della dottoressa svizzera: lanalisi

    complessivo di questo periodo della vita e le relative implicazioni relazionali restano in

    ogni caso sempre di grandissima utilit e valore.

    In seguito la Kubler-Ross si dedicata, ed era forse inevitabile, ad altre dimensioni del

    morire: le esperienze di morte apparente, i contatti con i defunti, la premorte...lasciando

    sovente un p perplessi (vd. La vita dopo la morte o lautobiografico Lanello della vita,ed. Frassinelli). Ma un dato emerge prepotentemente dalla sua analisi e, in fin dei conti,

    da tutta la sua vita: in qualunque momento, la capacit di stabilire rapporti umani sinceri

    e profondi con la persona gravemente malata costituisce il vero nucleo dellaiuto. Non

    importa che ruolo possiamo avere: familiari e parenti, operatori sociali e sanitari,

    volontari, amici, colleghi di lavor

    La qualit dei nostri rapporti accanto al malato terminale influisce (e c chi afferma che

    determina) la qualit della vita che ancora si pu vivere.

    Credo per che non ci sia niente di pi efficace del leggere parte del testamento diquesta straordinaria dottoressa, ormai in fin di vita:

    La morte in se stessa una meravigliosa e positiva esperienza, ma il processo del morire,

    quando si prolunga come nel mio caso, un incubo. Esaurisce tutte le facolt, soprattutto

    la pazienza, la perseveranza e lobiettivit. Per tutto il 1996 ho lottato con il costante

    dolore e le limitazioni delle mie paralisi. Ho bisogno di assistenza ventiquattrore su

    ventiquattro Se suonano alla porta di casa, non posso andare ad aprire. E la privacy? E

    ormai cosa del passato. Dopo tanti anni di assoluta indipendenza, una lezione difficile

    da imparare. La gente entra, esce. Certe volte casa mia sembra la Grand Central Station,

    altre volte troppo silenziosa. Che razza di vita questa? Una vita miserabile. Nel

    gennaio del 1997, data di stesura di questo testo, posso dire in tutta onest che sono

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    ansiosa di laurearmi. Mi sento debolissima, sono in preda a dolori incessanti, e

    totalmente indipendente. Stando alla mia coscienza cosmica, so che smettessi di essere

    amara, arrabbiata e risentita per il mio stato e dicessi solo s a questa sorta di fine della

    mia vita, allora potrei partire e vivere in un posto migliore e vivere una miglior vita. Ma

    dato che sono terribilmente cocciuta e insolente, devo imparare a caro prezzo le mie

    ultime lezioni. Proprio come chiunque altro.

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